Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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1) - In particolare, la Corte ha precisato che la disposizione di cui al predetto art. 9, comma 2 (..”a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 ..... OMISSIS ) nonostante il suo tenore letterale, non consiste in una mera riduzione delle retribuzioni, ma in una imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti; il che viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante, determinandosi così un irragionevole effetto discriminatorio (cfr. sent. n. 223/2012, punto 13).

2) - Per l’effetto, va accertato il diritto dei ricorrenti alla retribuzione di loro spettanza, determinata senza tenersi conto delle decurtazioni di cui alla menzionata disposizione di legge e l’Amministrazione va condannata alla restituzione delle differenze stipendiali illegittimamente non corrisposte ai ricorrenti, con ogni accessorio di legge.

Il resto leggetelo qui sotto.

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13/03/2013 201300091 Sentenza 1


N. 00091/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00050/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa
sezione autonoma di Bolzano
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 50 del 2012, proposto da:
U. C., D. M., A. P. e S. T., rappresentati e difesi dagli avv.ti Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti, Luca Formilan e Daria De Pretis, con domicilio eletto presso l’avv. Luciano Andrea Miori in Bolzano, via Duca D'Aosta, 51;

contro
Ministero della Giustizia, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trento, largo Porta Nuova, 9;

per il riconoscimento,

previa idonea cautela,

e con riserva di motivi aggiunti del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni previste dall'art. 9, comma 2, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, e confermate dall'art. 2, comma 1, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, come modificato in sede di conversione della l. 14 settembre 2011, n. 148,
nonché per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2013: consigliere Margit Falk Ebner e uditi per le parti i difensori:
Avv. R. Zadra, in sostituzione dell'avv. D. De Pretis, per i ricorrenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il presente ricorso, notificato in data 29 febbraio, i ricorrenti, tutti magistrati ordinari in servizio presso Uffici giudiziari ricompresi nell’ambito della circoscrizione di questo Tribunale Amministrativo, chiedono il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni previste dall’art. 9, comma 2, del D.L. 31.3.2010 n. 78, convertito con L. 30.7.2010 n. 122 e confermate dall’art. 2, comma 1, D.L. 13.8.2011, n. 138, come modificato in sede di conversione dalla L. 14.9.2011, n. 148.

A tal fine i ricorrenti hanno eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, del D.L. n. 78 del, convertito in legge n. 122 del 2010 per “violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), anche in riferimento al principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.); ingiustificata disparità di trattamento tra pubblici dipendenti ed altre categorie di lavoratori; irragionevolezza ed illogicità manifeste, eccesso e sviamento di potere” (primo motivo) e per “violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 Cost.; irragionevolezza ed illogicità manifeste, eccesso e sviamento di potere” (secondo motivo).

Le Amministrazioni statali resistenti si sono costituite in giudizio chiedono il rigetto del ricorso, previa dichiarazione del difetto di legittimazione passiva e/o di carenza della titolarità del rapporto dedotto in causa in capo al MEF ed alla PCM.

Nelle more del giudizio la questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 2, D.L. n. 78/2010 come convertito in L. n. 122/2010 è stata risolta dalla Corte Costituzionale con sentenza 11.10.2012, n. 223.

Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2013 il procuratore dei ricorrenti dichiarava di aver tuttora interesse alla decisione del merito del ricorso.

Quindi, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO
Il ricorso è fondato, poiché, nelle more del giudizio, con sentenza n. 223 dell’11.10.2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 2, del D.L. n. 78/2010 come convertito in L. n. 122/2010, in riferimento alla violazione delle norme costituzionali (artt. 3 e 53 Cost.) dedotte anche dai ricorrenti.

In particolare, la Corte ha precisato che la disposizione di cui al predetto art. 9, comma 2 (..”a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di Statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non può essere comunque inferiore 90.000 euro lordi annui”), nonostante il suo tenore letterale, non consiste in una mera riduzione delle retribuzioni, ma in una imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti; il che viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante, determinandosi così un irragionevole effetto discriminatorio (cfr. sent. n. 223/2012, punto 13).

Attesa la dichiarata illegittimità costituzionale del menzionato art. 9, comma 2, del D.L. n. 78/2010 come convertito in L. n. 122/2010, il ricorso è fondato va, pertanto, accolto.

Per l’effetto, va accertato il diritto dei ricorrenti alla retribuzione di loro spettanza, determinata senza tenersi conto delle decurtazioni di cui alla menzionata disposizione di legge e l’Amministrazione va condannata alla restituzione delle differenze stipendiali illegittimamente non corrisposte ai ricorrenti, con ogni accessorio di legge.

Tenuto conto che l’Amministrazione non poteva che fare doverosa applicazione della predetta disposizione di legge, fino alla sua declaratoria di incostituzionalità, le spese possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, accerta il diritto dei ricorrenti alla retribuzione di loro spettanza, determinata senza tenersi conto delle decurtazioni di cui all’art. 9, comma 2, D.L. 31.3.2010, n. 78, convertito con L. 30.7.2010, n. 122, e condanna l’Amministrazione competente alla restituzione delle relative somme, con ogni accessorio di legge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bolzano nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Lorenza Pantozzi Lerjefors, Presidente
Hugo Demattio, Consigliere
Marina Rossi Dordi, Consigliere
Margit Falk Ebner, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/03/2013


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Art. 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 ed altro.

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Ricorso proposto dai 775 ricorrenti, dipendenti del Ministero degli Interni ed, in particolare, appartenenti alla Polizia di Stato.

Il TAR Lazio ha dichiara inammissibile il ricorso per difetto di interesse.

Il resto potete leggerlo qui sotto.

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18/03/2013 201302758 Sentenza 1T


N. 02758/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02922/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2922 del 2012, proposto dai 775 ricorrenti indicati nell’elenco allegato, composto da 4 pagine, che fa parte integrante della presente sentenza, tutti rappresentati e difesi giuste procure in calce al ricorso introduttivo del giudizio, dagli Avv.ti Francesco Bonifazi e Federico Lovadina, anche disgiuntamente tra loro, entrambi del foro di Firenze, ed elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio dell'avv. Jenny Lorenzano, in Viale Angelico n. 78.

contro
Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per il riconoscimento del diritto dei ricorrenti agli incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013, previa, se del caso, declaratoria di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevede che "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (...), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010", per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione e, per l'effetto, sospensione del giudizio e rinvio alla Corte Costituzionale;

e per il riconoscimento del diritto al risarcimento danni di ogni singolo ricorrente per non aver potuto beneficiare dei suddetti incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013, da parametrare in base all'ultimo incremento effettivamente goduto e relativo agli anni 2008-2011, oltre all’adeguamento ISTAT.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2013 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio i ricorrenti - dipendenti del Ministero degli Interni ed, in particolare, appartenenti alla Polizia di Stato -, hanno rappresentato che è sempre stato loro riconosciuto l'adeguamento economico biennale degli stipendi a partire dall'entrata in vigore del D.P.R. 27 aprile 1984, n. 69, relativo al quadriennio 1982-1985.

In tal senso, da ultimo, si è provveduto con il D.P.R. 1 ottobre 2010, n. 184, che recepisce l'accordo sindacale per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e con il provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento militare (biennio economico 2008-2009).

L'art. 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni con legge 30 luglio 2010, n. 122, prevede che nel triennio 2011-2013 "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (..), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010".

Quindi, stando al contenuto letterale della suddetta norma, deve ritenersi che per gli anni 2011-2013 ai ricorrenti non verrà riconosciuto alcun incremento stipendiale, come, invece, accaduto, per ogni biennio, a partire dall'entrata in vigore del citato D.P.R. n. 69/1984.

A parere dei ricorrenti, ove così fosse da interpretare la suddetta norma, essa sarebbe del tutto illegittima per contrasto con norme di rango costituzionale. Per tale ragione, gli interessati hanno sollevato questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio per affermare l’infondatezza del ricorso
All’udienza del 17 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO
1. I ricorrenti hanno basato le proprie domande di accertamento del diritto agli incrementi stipendiali per gli anni 2011-2013 e di risarcimento danni, sull’asserita illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, con legge 30 luglio 2010, n. 122, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione, deducendo quanto di seguito indicato.

I) - Violazione e falsa applicazione artt. 2 e 3 e 53 della Costituzione; irragionevolezza e disparità di trattamento; violazione del principio di capacità contributiva e di progressività nell'imposizione tributaria.

L'articolo 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, nel prevedere che "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso trattamento accessorio (...), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010", determina, a prescindere dalla qualificazione normativa, un decremento patrimoniale a carico dei ricorrenti.
Infatti, nel vedersi negato l'adeguamento del proprio stipendio, contrariamente a quanto fino ad oggi sempre riconosciuto a salvaguardia del valore sostanziale (e non soltanto nominale) della retribuzione, i ricorrenti sono, di fatto, sottoposti ad un prelievo occulto la cui natura non può che ascriversi ad una prestazione patrimoniale imposta dallo Stato avente natura essenzialmente tributaria.

Trattandosi di una vera e propria imposizione tributaria la stessa avrebbe dovuto sottostare ai principi stabiliti dall'art. 53 della Costituzione.

Tale norma, nel legittimare il potere impositivo dello Stato, impone che il prelievo debba essere rivolto, a parità di redditi incisi, a "Tutti" i cittadini (cd. principio di generalità delle imposte), in ragione della propria capacità contributiva, in un sistema informato a criteri di progressività.

Più precisamente, la norma in parola prevede, al primo comma, che "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"; mentre, al secondo comma, stabilisce che "Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".

Ebbene, la norma contenuta nel citato articolo 9 si pone in contrasto con i principi dettati dall'articolo 53 della Costituzione.

Per quanto riguarda il primo comma dell'art. 53 Cost., i Costituenti hanno inteso introdurre un criterio di uguaglianza sostanziale fra i soggetti sottoponibili ad imposizione, in ragione della loro capacità contributiva.

Il termine indefinito "Tutti" costituisce espressione del principio di universalità del tributo che, in armonia con il principio di eguaglianza affermato dall'art. 3 della Costituzione, deve colpire, ricorrendone i presupposti, tutti i soggetti, senza distinzioni.

Pertanto, il citato articolo 9, nell'introdurre un prelievo tributario (occulto), avrebbe dovuto, ai fini della propria legittimità costituzionale, soggiacere alle disposizioni dell'art. 53 Cost., ovvero avrebbe dovuto rivolgersi nei confronti di "Tutti" coloro che manifestino la medesima capacita contributiva, a prescindere cioè dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro.

In sostanza, il legislatore del 2010 avrebbe dovuto comprendere nell'indubbia portata impositiva dell'articolo 9, non soltanto una singola categoria di dipendenti pubblici (nella specie i dipendenti della Polizia di Stato), ma anche tutte le altre categorie di pubblico impiego, nonché quelle di dipendenti privati.

Tale tesi trova conforto nell’ordinanza n. 1162, del 23 giugno 2011, del TAR Campania, sede di Salerno, sez. n. 1, con la quale, nel rimettere davanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità relativa al comma 22, dell'art. 9, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, i giudici campani hanno affermato, da un lato, la natura di prelievo occulto delle previsioni di cui al medesimo articolo 9 e, dall'altro, hanno sottolineato il contrasto con il primo comma dell'art. 53 Cost..

Infatti, nell'ordinanza si legge "che (trattandosi obiettivamente, come non è dato di dubitare anche alla luce del contesto normativo in cui è stata codificata, di prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli ant. 23 e 53 della Carta costituzionale), la sua previsione (esclusivamente rimessa, al di là del nomen juris utilizzato, alla normativa primaria, in forza dei principi di legalità e sostanzialità dei tributi) avrebbe dovuto gravare, a parità di redditi incisi, su "tutti" i cittadini (c.d. principio di generalità della imposte), in ragione della loro capacita contributiva, in un sistema informato a criteri di progressività (c.d. principio di progressività)"; e che "riguardando la contestata misura riduttiva della indennità integrativa speciale (...) è lecito opinare che si tratti, in sostanza, di selettivo ed odioso tributo speciale ratione subiecti (verisimilmente ma abusivamente alternativo ad una omogenea, proporzionata e generalizzata accentuazione del carico fiscale imposta dalle valorizzate contingenze finanziarie).”.

I Giudici campani non si sono limitati ad una mera enunciazione di principio, ma hanno qualificano come illegittime costituzionalmente tutte le disposizioni tributarie che incidono solamente nei confronti di alcune (e non tutte) le categorie dei lavoratori, sottolineandone l'evidente contrasto non solo nei riguardi dell'art. 53, comma 1, Cost., ma anche in riferimento all'art. 3 (principio di uguaglianza) e all'art. 2 (principio di solidarietà) della Costituzione.

Al riguardo, è stato sottolineato che: "avuto riguardo al comune e condiviso intendimento del requisito della capacità contributiva scolpito all'art. 53 Cost. quale "valore" diretto ad orientare, nel quadro di una complessiva "razionalità" impositiva, la discrezionalità del legislatore in ordine alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni tributari - deve ritenersi che limite espresso all'azione impositiva sia quello per cui "a situazioni uguali corrispondano tributi uguali": di tal che, anche alla luce del correlato principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2, il sacrificio patrimoniale che - per non implausibili e contingenti ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parità di capacità reddituale, altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole (arg. ex Corte cost. [ord.] 14 luglio 1999, n. 299; e cfr. Id. 18 luglio 1997, n. 245)".

Appare chiaro che il citato articolo 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 - nella parte in cui (contrariamente a quanto accaduto, per ogni biennio, a partire dall'entrata in vigore del D.P.R. n. 69/1984) non riconosce alcun incremento stipendiale nei confronti della sola categoria cui appartengono i ricorrenti - si pone, quale norma impositiva occulta, in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza, solidarietà e capacità contributiva (artt. 3, 2 e 53 della Costituzione).

Inoltre, posto che il medesimo articolo 9 configura in capo ai ricorrenti un prelievo occulto, esso finisce per porsi in contrasto anche con l'altro fondamentale principio dettato dalla Carta Costituzionale in materia impositiva; ossia quello di progressività.

In particolare, il secondo comma dell'art. 53 è stato pensato dai Costituenti per accentuare l'impronta solidaristica cui risulta ispirato il dovere di concorrere alle spese pubbliche sulla base della capacità contributiva ed, al contempo, è teso a realizzare il principio di uguaglianza sostanziale.

È evidente, infatti, che la sottoposizione ad obblighi impositivi non proporzionali, bensì crescenti in funzione dell'aumento della base imponibile, tiene conto della circostanza per cui il sacrificio recato al singolo dal concorso alle spese pubbliche risulta tanto maggiore quanto minore è la ricchezza posseduta, e viceversa.

Quindi, la norma in contestazione avrebbe dovuto, nel rispetto del secondo comma del medesimo art. 53 Cost., porre in essere un prelievo progressivo nei confronti dei ricorrenti.

Ma cosi non è stato, posto che con il tributo occulto in questione il legislatore del 2010 ha colpito in modo proporzionale (senza in alcun modo tener conto di determinanti parametri retributivi quali, ad esempio, l'anzianità di servizio) tutti i dipendenti della Polizia di Stato, finendo per applicare un prelievo che gli stessi giudici campani, in fattispecie assimilabile a quella oggetto di causa, hanno definito come "tributo sostanzialmente regressivo, poiché (essendo, come è noto, l'indennità integrativa speciale ex art. 3 L n. 27 del 1981 corrisposta in misura uguale ad ogni magistrato, indipendentemente dall'anzianità di servizio) finisce per colpire (in violazione del canone di cui al 2° comma dell' 53 Cost.) in misura minore i magistrati con retribuzione complessiva elevata ed in misura maggiore i magistrati con retribuzione complessiva inferiore".

II) - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36 della Costituzione; violazione del principio di adeguata retribuzione.

In base ai contratti collettivi stipulati a partire dal 1984, l'incremento economico biennale è sempre stato riconosciuto ai dipendenti della Polizia di Stato e, quindi, rappresenta un elemento costante della retribuzione, avente anche la funzione di mantenere intatta la capacità di spesa e l'entità sostanziale dello stipendio all'aumentare del costo della vita.

Pertanto, detto incremento stipendiale, oltre ad essere un diritto acquisito e costituente parte integrante della retribuzione spettante ad ogni singolo dipendente, svolge la funzione di garantire a quest'ultimo il diritto costituzionalmente garantito alla percezione di una retribuzione congrua ed adeguata alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente a soddisfare i propri bisogni e quelli della propria famiglia.

Ai sensi dell'art. 36, comma 1, della Costituzione, infatti, "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".

Appare chiaro che, benché il rapporto di lavoro si configuri come rapporto sinallagmatico e, quindi, soggiacente al principio di equivalenza (delle prestazioni), l'art. 36 Cost. arricchisce tale rapporto sinallagmatico con l'introduzione del principio della cd. sufficienza della retribuzione.

In tal senso, la sufficienza richiede un livello retributivo collegato al minimo vitale del lavoratore, tale da permettere a quest'ultimo un tenore di vita socialmente adeguato tenendo conto anche del contesto storico ed ambientale in cui lo stesso vive.

Così, si comprende anche il riferimento esplicito dell'art. 36 Cost. alla "famiglia": la garanzia della giusta retribuzione deve riguardare non soltanto il singolo lavoratore, ma anche soggetti esterni al rapporto lavorativo come, ad esempio, i membri della sua famiglia.

Inoltre, l'art 36 Cost. pone anche l'ulteriore fondamentale principio della proporzionalità, teso in sostanza ad esplicitare la correlazione della retribuzione rispetto sia alle mansioni svolte dal lavoratore che al tempo dedicato da quest'ultimo al lavoro stesso.

In sostanza, la retribuzione non riveste solo un carattere corrispettivo, ma realizza anche una vera e propria finalità previdenziale.

La normativa susseguitasi a partire dal 1984 ha costituito attuazione positiva dei diritti, delle garanzie e dei principi costituzionalmente richiamati. Infatti, l'aumento stipendiale (previsto dal D.P.R. 27 aprile 1984, n. 69, relativo al quadriennio 1982-1985 ed il D.P.R. 1 ottobre 2010, n. 184) si configura come la concreta attuazione degli interessi sottostanti al principio di sufficienza della retribuzione che impone che al lavoratore debba essere assicurata "un'esistenza libera e dignitosa".

Sotto altro profilo, in riferimento al principio di proporzionalità, l'aumento stipendiale altro non è che l'adeguamento alle diverse mansioni svolte ed al relativo tempo impiegato dal lavoratore.

Così correttamente inquadrato, si comprende che il trattamento economico dei dipendenti della Polizia di Stato deve essere generalmente certo, costante e non soggetto a diminuzioni che minerebbero inevitabilmente quelle insopprimibili garanzie stabilite dalla Carta costituzionale.

Con l'entrata in vigore del citato articolo 9 del d.l. n. 78 del 2010, invece, ai ricorrenti è stato decurtato illegittimamente il loro stipendio, violando quanto previsto all'art. 36 Cost..

Ciò, malgrado l'incremento stipendiale rappresenti parte integrante della retribuzione media del dipendente della Polizia di Stato, come risulta dal fatto che la legislazione vigente, a far data dal 1984, ha avuto l'evidente intento di rendere effettivi e dare attuazione ai principi di cui all'art. 36 Cost..

In assenza, infatti, degli incrementi stipendiali il potere d'acquisto della retribuzione dei ricorrenti si sarebbe inevitabilmente assottigliata, contraddicendo le garanzie poste dalla Costituzione.

In sostanza, l'aumento stipendiale altro non è che un mero adeguamento della retribuzione media al costo della vita ed al costo del denaro.

In termini giuridici, siamo di fronte ad un vero e proprio "diritto quesito" e, quindi, il blocco dell'aumento stipendiale rappresenta una vera e propria decurtazione dello stipendio e fa si che i dipendenti della Polizia di Stato percepiscano - negli anni presi a riferimento dal medesimo articolo 9 - una retribuzione, in termini sostanziali, inferiore a quella che hanno sempre percepito a partire dal 1984.

Al riguardo, nella richiamata ordinanza del TAR Campania, Sezione di Salerno, n. 1162/ 2011, si legge: "che, in definitiva, alla luce degli evocati principi e direttive costituzionali, deve ritenersi che il trattamento economico dei magistrati debba essere (oltreché "adeguato" alla quantità e qualità del lavoro prestato, come imposto, in termini generali, dall'art. 36 della Costituzione) certo e costante, e in generale non soggetto a decurtazioni".

In definitiva, la norma in esame non fa altro che introdurre una riduzione del trattamento retributivo che oltre ad appalesarsi irragionevole e fonte di disparità di trattamento, (contrastante con i canoni di sufficienza, proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione) costituisce un tributo occulto non conforme al principio di capacità contributiva e, pertanto, in contrasto con gli artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione.

2. La difesa erariale ha sostenuto la correttezza dell’operato dell’Amministrazione e l’infondatezza del ricorso.

3. Il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile in quanto la situazione pregiudizievole per i ricorrenti, venutasi a creare a causa dell’entrata in vigore del contestato primo comma dell’articolo 9 del decreto legge n. 78/2010, convertito con modificazioni, con legge 30 luglio 2010, n. 122, risulta essersi modificata (a vantaggio degli stessi ricorrenti) a seguito dell’entrata in vigore di norme e atti amministrativi sopravvenuti.

Con il citato articolo 9, comma 1, del d.l. n. 78/2010, si è stabilito che, per il triennio 2011-2013, "il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (...), non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010".

Tuttavia, già l’art. 8, co. 11-bis, del medesimo d.l. n. 78/2010, ha previsto che “Al fine di tenere conto della specificità del comparto sicurezza-difesa e delle peculiari esigenze del comparto del soccorso pubblico, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un fondo con una dotazione di 80 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2011 e 2012 destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco interessato alle disposizioni di cui all’articolo 9, comma 21. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, sono individuate le misure e la ripartizione tra i Ministeri dell’interno, della difesa, delle infrastrutture e dei trasporti, della giustizia, dell’economia e delle finanze e delle politiche agricole alimentari e forestali delle risorse del fondo di cui al primo periodo. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Ai relativi oneri si fa fronte mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’attuazione dei commi 13-bis, 13-ter e 13-quater dell’articolo 38.”.

A tali disposizioni, ha fatto seguito l’art. 1, del D.L. 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 2011, n. 74, il quale prevede che “- 1. - Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e in particolare dai commi 1 e 21 del predetto articolo, la dotazione del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, è incrementata, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, di 115 milioni di euro. - 2. - La dotazione del fondo di cui al comma 1 può essere ulteriormente incrementata, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della difesa e dell'interno, con quota parte delle risorse corrispondenti alle minori spese effettuate, rispetto al precedente anno, in conseguenza delle missioni internazionali di pace, e delle risorse di cui al comma 7, lettera a), dell'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, relativo al Fondo unico giustizia. Le risorse di cui al presente comma sono attribuite in modo da assicurare trattamenti omogenei al personale delle Forze armate e a quello delle Forze di polizia. - 3. - Il fondo di cui al comma 1, come incrementato ai sensi del presente articolo, è destinato alla corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche con riferimento al personale interessato alla corresponsione, per i medesimi anni, dell'assegno funzionale, del trattamento economico superiore correlato all'anzianità di servizio senza demerito, compresa quella nella qualifica o nel grado, degli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni, nonché degli emolumenti corrispondenti previsti per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché all'applicazione dell'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Si applicano le disposizioni di cui al secondo e terzo periodo del citato articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010. - 4. - All'onere derivante dal comma 3 si provvede mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2011, 2012 e 2013, dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 155, ultimo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.”.

In sostanza, con tali disposizioni, si è previsto di eliminare gli effetti negativi derivanti dall’applicazione della norma contestata dai ricorrenti, mediante l’istituzione del fondo di dotazione indicato, posto che il terzo comma del citato articolo 1 del d.l. n. 27/2011, ha stabilito che tale fondo (come incrementato dalla medesima fonte normativa), sarebbe stato destinato alla corresponsione di assegni una tantum al personale (tra gli altri) delle Forze di polizia, destinatario dell'applicazione dell'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

La ripartizione del fondo indicato è, in concreto, avvenuta mediante il D.P.C.M. 27 ottobre 2011(recante Ripartizione del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicato nella Gazz. Uff. 14 dicembre 2011, n. 290).

Tale decreto è stato emanato in applicazione dell’art. 8, comma 11-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (con il quale è stato, appunto, istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 80 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2011 e 2012, destinato a finanziare le misure perequative in favore del personale di Forze armate, Forze di polizia e Corpo nazionale dei vigili del fuoco, interessato all'applicazione dell'art. 9, comma 21, del medesimo decreto-legge) e dell’art. 1 del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2011, n. 74 (che, oltre ad incrementare il predetto fondo di 115 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2011 è 2012, ha previsto una dotazione di 115 milioni di euro anche per l'anno 2013 e, contestualmente, ha esteso la destinazione del medesimo fondo al finanziamento di assegni una tantum in favore dello stesso personale interessato alla corresponsione delle indennità ivi previste, nonché all'applicazione dell'art. 9, commi 1 e 21, del richiamato decreto-legge n. 78 del 2010).

Con il D.P.C.M. 27 ottobre 2011, è stata data concreta attuazione alle misure perequative in questione e si è provveduto alla ripartizione delle risorse tra i Ministeri dell'Interno, della Difesa, delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Giustizia, dell'Economia e delle Finanze e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013 (e, quindi, per l’intero periodo oggetto delle domande giudiziali proposte dai ricorrenti con il ricorso introduttivo del giudizio), pari a complessivi 195 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 e 115 milioni di euro per l'anno 2013, destinando al Ministero dell’Interno – Polizia di Stato -, euro 28.673.630 per il 2011, euro 27.200.043 per il 2012 ed euro 16.279.093 per il 2013.

Le norme indicate ed il citato decreto presidenziale hanno autorizzato l’Amministrazione ad attribuire, con successivi decreti ministeriali, assegni una tantum al personale delle Forze di polizia per evitare, tra l’altro, proprio gli effetti pregiudizievoli derivanti dall’applicazione dell’articolo 9, comma 1, del d.l. n. 78/2010 e, quindi, i ricorrenti, al momento della presentazione del ricorso (notificato il 21 marzo 2012) non avevano interesse a contestare tale disposizione proponendo le domande contenute nel ricorso introduttivo del giudizio.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per difetto di interesse.

5. Sussistono gravi ed eccezionali motivi – legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate – per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- lo dichiara inammissibile il ricorso per difetto di interesse;

- dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Trattamento retributivo spettante previsto dall'art.9, co.2 , del d.l.n.78/2010,

1) - Gli interessati sono tutti titolari del trattamento retributivo superiore a 90.000 euro annui

2) - il Ministero delle Finanze con avviso n. 166/2012, pubblicato sul portale WEB, aveva indicato le modalità di restituzione, con accredito diretto delle somme, peraltro già erogate a decorrere dai cedolini dei mesi di dicembre 2012 e gennaio 2013;

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

19/03/2013 201300243 Sentenza 1


N. 00243/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00205/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 205 del 2012, proposto da:
(congruo nr. di ricorrenti), rappresentati e difesi dagli avv.ti Marco Cuniberti, Luca Formilan, Sergio Vacirca, Vittorio Angiolini, con domicilio eletto in Latina, presso la segreteria della sezione via A. Doria, 4;

contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t.,
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t.,
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per il riconoscimento
del diritto al trattamento retributivo spettante previsto dall'art.9, co.2 , del d.l.n.78/2010, convertito in l. n.122/2010 e confermate dall'art. n.2,co.1, d.l.n.138/2011, come modificato in sede di conversione dalla l. n.148/2011;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2013 il dott. Antonio Massimo Marra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Rilevato:
che i ricorrenti, tutti magistrati dell’ordinamento giudiziario in servizio presso la Uffici giudiziari ricompresi nell’ambito di competenza territoriale di questo tribunale, con il presente ricorso hanno richiesto il riconoscimento del proprio diritto alla retribuzione, da calcolare senza le decurtazioni introdotte dall’art. 9, comma 2 del dl 31.3.2010, n. 78 conv. in L. n. 122/19, nonché la condanna dell’amministrazione ai conseguenti pagamenti;

Ritenuto:
che gli interessati sono tutti titolari del trattamento retributivo superiore a 90.000 euro annui e sono quindi soggetti alle anzidette decurtazioni;

che con decisione n. 233 dell’11.10.2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dei commi 2 e 22 art. 9 cit.;

che a detta sentenza ha fatto seguito il d.P.C.M del 30.10.2012, vistato dalla Corte dei Conti in data 14.11.2012, per la restituzione degli importi in precedenza trattenuti alla stregua delle norme dichiarate incostituzionali;

che il Ministero delle Finanze con avviso n. 166/2012, pubblicato sul portale WEB, aveva indicato le modalità di restituzione, con accredito diretto delle somme, peraltro già erogate a decorrere dai cedolini dei mesi di dicembre 2012 e gennaio 2013;

che il ricorso deve esser perciò dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse
che le spese di giudizio devono essere peraltro compensate tra le parti

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Antonio Massimo Marra, Consigliere, Estensore
Roberto Maria Bucchi, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni di cui al comma 22 dell'art. 9 del dl. 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modifiche in l. 30 luglio 2010 n. 122

1) - Per l’effetto, va accertato il diritto dei ricorrenti a percepire la retribuzione come a loro spettante, determinata senza tener conto delle decurtazioni di cui alla menzionata disposizione di legge e l’Amministrazione va condannata alla restituzione delle differenze stipendiali illegittimamente non corrisposte ai ricorrenti, con ogni accessorio di legge.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

22/03/2013 201300101 Sentenza 1


N. 00101/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00091/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa
sezione autonoma di Bolzano
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 91 del 2011, proposto da:
OMISSIS (congruo numero di ricorrenti), rappresentati e difesi dagli avv. Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Daria De Pretis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luciano Andrea Miori in Bolzano, via Duca D'Aosta, 51;

contro
Ministero della Giustizia e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri p.t. e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri p.t., tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato di Trento, nei cui uffici in Trento, largo Porta Nuova, 9 sono pure domiciliati;

per il riconoscimento,

previa idonea cautela,

e con riserva di motivi aggiunti, del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni di cui al comma 22 dell'art. 9 del dl. 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modifiche in l. 30 luglio 2010 n. 122 nonchè per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2013 Marina Rossi Dordi e udita l’avv. R. Zadra, in sostituzione dell'avv. D. De Pretis, per i ricorrenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 28 marzo 2011, i ricorrenti, tutti magistrati ordinari in servizio presso gli Uffici giudiziari ricompresi nell’ambito della circoscrizione di questo Tribunale amministrativo, chiedono il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo loro spettante, senza tener conto delle decurtazioni introdotte con il comma 22 dell'art. 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

A sostegno del ricorso viene dedotto un unico articolato motivo:
Violazione e falsa applicazione del comma 22 dell’art. 9 del dl. 31 maggio 2010 n. 78, come conv. con modif. in l. 30 luglio 2010 n. 122, anche in relazione alla l. 19 febbraio 1981 n. 27. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 Cost. Irragionevolezza ed illogicità manifesta. Eccesso e sviamento di potere.

I ricorrenti chiedevano a questo Tribunale di addivenire alla declaratoria del diritto al trattamento retributivo nel senso suindicato attraverso un’interpretazione di legge costituzionalmente orientata, sollevando in difetto eccezione di incostituzionalità del disposto legislativo per violazione degli stessi articoli ora citati.

Le Amministrazioni statali intimate si sono costituite in giudizio chiedendo dichiararsi la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate ed il rigetto del ricorso.

All’udienza nella camera di consiglio del 19 aprile 2011, su concorde istanza delle parti, la trattazione dell’istanza cautelare è stata rinviata all’udienza di merito.

Nelle more del giudizio, in esito ai giudizi di legittimità costituzionale promossi da numerosi Tribunali amministrativi regionali, interveniva la sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012, depositata in data 11 ottobre 2012.

Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2013 il procuratore dei ricorrenti dichiarava di aver tuttora interesse alla decisione del merito del ricorso e la causa veniva trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato.

Con sentenza n. 223/2012 la Corte Costituzionale, considerando, tra l’altro, che tale disciplina determina “una ingiustificata disparità di trattamento fra la categoria dei magistrati e quella del pubblico impiego contrattualizzato”, con violazione dell’art. 3 Cost. nonché dei principi costituzionali “posti a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 22, del d.l. n. 78/2010 come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010,
1. nella parte in cui dispone che per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981 non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per il 2014 è pari alla misura già prevista per il 2010 ed il conguaglio per il 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21 e
2. anche nella parte in cui dispone che l’indennità speciale di cui all’articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15 % per l’anno 2011, del 25 % per il 2012 e del 32 % per il 2013, ritenendo che la decurtazione in oggetto “rivesta carattere tributario” e non vada quindi esente dalle censure prospettate con riferimento agli articolo 3 e 53 Cost., comportando comunque “una ingiustificata disparità di trattamento con riguardo alle indennità percepite dagli altri dipendenti statali”.

Attesa la dichiarata illegittimità costituzionale del menzionato art. 9, comma 22, del decreto-legge n. 78/2010, il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Per l’effetto, va accertato il diritto dei ricorrenti a percepire la retribuzione come a loro spettante, determinata senza tener conto delle decurtazioni di cui alla menzionata disposizione di legge e l’Amministrazione va condannata alla restituzione delle differenze stipendiali illegittimamente non corrisposte ai ricorrenti, con ogni accessorio di legge.

In considerazione del fatto che l’Amministrazione era tenuta all’applicazione della predetta disposizione di legge, fino alla sua declaratoria di incostituzionalità, appare giustificato addivenire alla compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, sezione autonoma di Bolzano, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, accerta il diritto dei ricorrenti alla retribuzione di loro spettanza, determinata senza tenersi conto delle decurtazioni di cui all’art. 9, comma 22, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito con legge 30.7.2010, n. 122 e condanna l’Amministrazione competente al pagamento a favore dei ricorrenti dei relativi importi così ricalcolati, con ogni accessorio di legge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bolzano nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Lorenza Pantozzi Lerjefors, Presidente
Hugo Demattio, Consigliere
Marina Rossi Dordi, Consigliere, Estensore
Margit Falk Ebner, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Posto il Parere espresso del Consiglio di Stato, circa la proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti

Buona lettura.

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17/04/2013 201300944 Definitivo C Adunanza di Sezione 11/04/2013


Numero 01832/2013 e data 17/04/2013


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza di Sezione del 11 aprile 2013


NUMERO AFFARE 00944/2013

OGGETTO:
Ministero dell’economia e delle finanze – Ufficio legislativo - Economia.


Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti.

LA SEZIONE
Vista la relazione in data 27 marzo 2013, trasmessa con nota in data 28 marzo 2013, prot. ACG/117/RIFPA/4524, con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze chiede il parere del Consiglio di Stato sull’affare in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Bruno Mollica;

Premesso e Considerato:
I- Riferisce l’Amministrazione che lo schema di regolamento sottoposto all’esame della Sezione introduce disposizioni intese al conseguimento degli obiettivi di risparmio fissati dall’articolo 16, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

Espone altresì che lo schema, predisposto d’intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri in data 21 marzo 2013 e dà attuazione, in particolare, alle misure di cui al comma 1, lettere b) e c), e al comma 2, del citato articolo 16 del D.L. n. 98 del 2011.

L’intervento normativo si compone di un solo articolo, suddiviso in 3 commi (di cui, il primo, ripartito nelle lettere da a) a d).

Al comma 1, la lettera a) dispone la proroga al 31 dicembre 2014 delle seguenti misure previste dall’articolo 9 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122:

-blocco dei trattamenti economici individuali (art. 9, comma 1);

-riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali (art. 9, comma 2);

-limite massimo e riduzione dell’ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale (art. 9, comma 2-bis);

-blocchi economici riguardanti: meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, progressioni di carriera comunque denominate del personale contrattualizzato e di quello in regime di diritto pubblico (art. 9, comma 21).

La disposizione tiene conto altresì, in punto di esclusione dalla proroga, degli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza 11 ottobre 2012, n. 223.

Al comma 1, lettera b), si introduce la proroga al 31 dicembre 2013, con effetto sull’anno 2014, dei blocchi introdotti dall’art. 9, comma 23, del citato D.L. n. 78 del 2010, riguardanti il personale docente, educativo ed ATA della scuola;

-il comma 1, lettera c) reca una misura che sterilizza, ai fini contrattuali, gli anni 2013 e 2014 ed annulla gli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall’anno 2011 per tutte le Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e successive modificazioni;

-il comma 1, lettera d), nel far salva l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale negli importi in atto corrisposti ai sensi dell’articolo 9, comma 17, del predetto D.L. n. 78 del 2010, dispone, per gli anni 2013 e 2014, il blocco degli incrementi di tale indennità, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevedendo altresì che la stessa, con riferimento al nuovo triennio contrattuale 2015-2017, venga calcolata secondo le modalità e i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti (Protocollo sulla politica dei redditi del 23 luglio 1993, intesa del 30 aprile 2009 per l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del pubblico impiego e articolo 47-bis, comma 2 del decreto legislativo 165 del 2001.

Il comma 2 stabilisce l’estensione al personale convenzionato del Servizio sanitario nazionale delle disposizioni concernenti le proroghe del blocco dei trattamenti economici e delle procedure contrattuali disposte al comma 1.

Il comma 3 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

II- Ritiene la Sezione di dover formulare alcune osservazioni di carattere sia formale che sostanziale in ordine allo schema di regolamento proposto .

II.1.- Relativamente al preambolo, si osserva che il terzo “Visto” riporta, oltre al corretto richiamo alla normativa di riferimento, una “sovrabbondante” indicazione dei contenuti della normativa stessa: si suggerisce, pertanto, per esigenze di snellimento del testo, di limitare all’essenziale il predetto richiamo.

Appare nel contempo necessario, per il rilievo che assume nel contesto normativo di cui trattasi, un espresso richiamo, prima del “Visto” concernente la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, alla sentenza della Corte costituzionale 11 ottobre 2012, n. 223.

Da ultimo, il riferimento al parere del Consiglio di Stato andrebbe più adeguatamente espresso nei seguenti termini: “Udito il parere emesso dalla Sezione per gli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza del…”.

II.2. In ordine all’articolato, va preliminarmente dato atto che le previsioni di cui all’articolo 1, comma 1, lettere a), b), c), si collocano correttamente nel quadro delineato dalla normativa primaria.

Ed invero, la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni trae base normativa nell’articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

Il che trae seco anche la legittimità delle statuizioni concernenti il personale di cui alla lettera b), prorogate fino al 31 dicembre 2013, nonché del blocco “senza possibilità di recupero” delle procedure contrattuali e negoziali, e dei conseguenti incrementi economici ricadenti negli anni 2013 – 2014.

Sembra peraltro al Collegio che la lettera a) del comma 1 necessiti di una parziale riformulazione che tenga conto, da un lato, di una maggiore chiarezza espositiva e, dall’altro, di una esigenza di completezza del richiamo del quadro normativo con riguardo al dispositivo della precitata sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012 ed al disposto del comma 22, ultimo periodo, del citato decreto legge n. 78 del 2010 (in riferimento alla inapplicabilità al personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 delle disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo, del decreto legge medesimo).

Ciò posto, si suggerisce di sostituire la lettera a) dello schema regolatorio con il seguente periodo:

“a) le disposizioni recate dall’articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente, 2 bis e 21 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate sino al 31 dicembre 2014. Sono pertanto escluse da tale proroga, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale del decreto legge n. 78 del 2010 cit. in parte qua, sancita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, le disposizioni dell’articolo 9, comma 2, nella parte in cui viene disposta la riduzione dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT, ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nella misura del 5 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro lordi annui e del 10 per cento per quella superiore a 150.000 euro lordi annui. Resta altresì ferma la inapplicabilità delle disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo, prevista dal comma 22, ultimo periodo, del predetto decreto legge nei confronti del personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, nonché, ai sensi della citata sentenza n. 223 del 2012, del comma 21, primo periodo, nei confronti del personale dalla medesima contemplato.”.

II.3.- Relativamente al disposto di cui alla lettera d), concernente l’indennità di vacanza contrattuale, la deroga all’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ed all’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, con la correlata previsione del blocco, senza possibilità di recupero, per gli anni 2013 e 2014, del riconoscimento di incrementi a titolo di IVC (con protrazione della corresponsione della stessa nella misura di cui all’articolo 9, comma 17, secondo periodo del predetto decreto legge 31 maggio 2010, n. 78), trova anch’essa adeguata base normativa primaria nel precitato articolo 16, comma 1, lettera b).

Parimenti supportata da specifica normativa primaria appare la previsione secondo cui l’indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio contrattuale 2015-2017 “è calcolata secondo le modalità e i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materia”: ed invero, il comma 1 dell’articolo 16 del decreto legge n. 98 del 2011 demanda espressamente ad un regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, alla lettera c), “la fissazione delle modalità di calcolo relative all’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017”.

Senonchè, l’intervento regolatorio stabilisce che la predetta indennità “non assorbe quella corrisposta ai sensi del precedente periodo”.

Orbene, sembra al Collegio che l’espressione “non assorbe” possa prestarsi ad equivoci interpretativi, in particolare in un contesto di blocco della crescita dei trattamenti economici, fonte di possibili controversie in sede giurisdizionale.

La Sezione è meditatamente dell’avviso che il non assorbimento debba essere inteso in senso non limitativo della posizione economica del pubblico dipendente: orientano per tale soluzione, oltre al significato lessicale del termine, anche i contenuti della relazione illustrativa, che riportano espressamente la locuzione “senza riassorbimento dei predetti importi” (id est, importi relativi al periodo 2013-2014 erogati ai sensi dell’articolo 9, comma 17, del D.L. n. 78 del 2010) nonché il prospetto delle “economie lorde” che, relativamente a tale misura, prevede, per il 2015 e 2016, un dato pari a “zero”.

Peraltro, non può non rilevarsi che , ove l’espressione – che, oggettivamente potrebbe prestarsi anche ad antitetiche interpretazioni, avuto altresì riguardo alla natura e finalità della indennità di vacanza contrattuale – dovesse essere intesa in senso limitativo del profilo economico del dipendente, la previsione integrerebbe, in sostanza, un “blocco” ulteriore della crescita del trattamento economico accessorio del dipendente, e specificatamente, una non consentita proroga oltre il 2014 del blocco degli incrementi retributivi a titolo di indennità di vacanza contrattuale proiettati nel triennio 2015-2017, in assenza di apposita norma primaria, relativa a tale periodo, esulando anche dall’ambito di un regolamento ex articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

In tal caso, la previsione non troverebbe invero idonea copertura normativa nel disposto del precitato articolo 16, comma 1, lettera c) – che è limitato alla fissazione, mediante atto regolamentare, delle sole modalità di calcolo dell’IVC – e presterebbe quindi il fianco a rilievi di questo Consesso.

Nel caso in cui l’espressione “non assorbe” dovesse essere peraltro intesa nel positivo senso prospettato dalla Sezione, si ritiene comunque opportuna una chiarificazione terminologica idonea a superare eventuali dubbi interpretativi.

II.4- Nulla da osservare in ordine al disposto del comma 2 del provvedimento regolatorio – che estende, in quanto compatibili, le disposizioni concernenti le proroghe dei trattamenti economici e delle procedure contrattuali al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale – che trova sufficiente fondamento normativo primario nell’articolo 16, comma 2 del decreto legge n. 98 del 2011.

III- In conclusione, la Sezione ritiene che lo schema di regolamento proposto risponda alla ratio di contenimento della spesa in materia di pubblico impiego siccome disciplinata dalle vincolanti norme primarie richiamate, ferme restando le osservazioni esposte nei punti precedenti.

P.Q.M.
La Sezione esprime parere favorevole, con le osservazioni di cui in premessa, all’ulteriore corso dello schema di regolamento proposto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Bruno Mollica Luigi Cossu




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Quanto sopra, tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale 11 ottobre 2012, n. 223 che tutti ormai sappiamo.
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Successivamente è intervenuto il decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185 che, tuttavia, non è stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni previsto dalla legge.
Il Comunicato 31 dicembre 2012 (in Gazz. Uff., 31 dicembre 2012, n. 303) ha informato che, a decorrere dal 29 dicembre 2012, le disposizioni del presente decreto-legge sono state recepite dall'articolo 1, commi da 98 a 100 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), pubblicata nel supplemento ordinario n. 212/L alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 302 del 29 dicembre 2012.

Il resto leggetelo se è d'interesse vostro.

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10/05/2013 201301218 Sentenza 4


N. 01218/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00077/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 77 del 2012, proposto da:
S. C., rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Tarullo e Sandro Campilongo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Avolio in Milano, viale Gian Galeazzo, 16;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t. e Consiglio di Stato, in persona del Presidente p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata nei suoi uffici in Milano, via Freguglia, 1

per l'accertamento
del diritto alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza e con esclusione dell’applicazione delle norme del d.l. n. 78/10

e conseguente condanna
delle amministrazioni resistenti in solido alla corresponsione delle somme dovute con interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2013 il dott. Maurizio Santise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il ricorrente - magistrato amministrativo in servizio presso Uffici giudiziari ricompresi nell'ambito di competenza territoriale del giudice adito (Tar Lombardia – sez. dist. di Brescia) - chiedeva al TAR la declaratoria di illegittimità delle decurtazioni del rispettivo trattamento retributivo, derivanti dalla applicazione delle disposizioni finanziarie contenute nei commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 e dei commi 7 e 10 dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, domandando altresì il consequenziale riconoscimento del diritto al trattamento retributivo, senza tener conto delle riduzioni contestate. Il magistrato istante prospettava in particolare il vizio di violazione di legge sotto plurimi profili, nonché l'illegittimità costituzionale della normativa primaria.

Nel giudizio, costituitesi le Amministrazioni intimate, venivano disposti plurimi rinvii della pubblica udienza in attesa della decisione della Corte Costituzionale innanzi alla quale nel frattempo erano state devolute le questioni di legittimità costituzionale denunciate anche dal ricorrente.

Intervenuta la sentenza 223 del 2012 della Corte Costituzionale, la causa veniva trattenuta in decisione. Il Collegio riaggiornava la camera di consiglio al 20 febbraio 2013 e tratteneva definitivamente la causa in decisione.

DIRITTO
Come detto, con sentenza n. 223 dell’11 ottobre 2012 è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale:

1) dell'articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 è pari alla misura già prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21;

2) dell'articolo 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che l'indennità speciale di cui all'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32% per l'anno 2013;

3) dell'articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro;

4) dell'articolo 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall' art. 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato).

La Corte ha, inoltre, dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 12, co. 7 del d.l. 78 del 2010, perché in nessuno dei giudizi a quibus è stata proposta domanda da parte di un magistrato in quiescenza, per qualunque causa, in epoca successiva al 30 novembre 2010, che abbia subito gli effetti della norma.

Successivamente è intervenuto il decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185 che, tuttavia, non è stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni previsto dalla legge. Il Comunicato 31 dicembre 2012 (in Gazz. Uff., 31 dicembre 2012, n. 303) ha informato che, a decorrere dal 29 dicembre 2012, le disposizioni del presente decreto-legge sono state recepite dall'articolo 1, commi da 98 a 100 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), pubblicata nel supplemento ordinario n. 212/L alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 302 del 29 dicembre 2012.

La norma citata recita che “al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012 e di salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica, l'articolo 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e' abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2011. I trattamenti di fine servizio, comunque denominati, liquidati in base alla predetta disposizione prima della data di entrata in vigore del decreto legge 29 ottobre 2012, n. 185, sono riliquidati d'ufficio entro un anno dalla predetta data ai sensi della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del citato articolo 12, comma 10, e, in ogni caso, non si provvede al recupero a carico del dipendente delle eventuali somme gia' erogate in eccedenza”.

Il comma 99 precisa che “I processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base contributiva utile prevista dall'articolo 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall'articolo 37 del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, si estinguono di diritto; l'estinzione e' dichiarata con decreto, anche d'ufficio; le sentenze eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti.

Orbene, tanto premesso, in relazione ai punti 1) e 2) del ricorso (relativo all’inapplicabilità dei commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 e del comma 10 dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010) lo stesso va accolto, in quanto sussiste il diritto del ricorrente alla percezione del trattamento retributivo, con esclusione dell’applicazione delle norme dichiarate incostituzionali.

Quanto alla richiesta di liquidazione degli interessi e rivalutazione, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 18/2011, richiamando i criteri fissati dalla decisione n. 3 del 15 giugno 1998 della medesima Adunanza Plenaria ha stabilito che, in relazione ai crediti retributivi, per il periodo successivo al 31 dicembre 1994, sussiste il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione. A partire, infatti, dal 1 gennaio 1995, per effetto del divieto di cumulo sancito dall'art. 22, comma 36 della legge n. 724 del 1994, spettano, sui ratei maturati da tale ultima data, solo gli interessi - calcolati sulla somma nominale secondo i vari tassi in vigore alla scadenza dei singoli ratei mentre la rivalutazione spetta a titolo di "maggior danno", solo se (e nella misura in cui) risulti superiore al tasso dell'interesse legale (c.d. eventuale differenziale tra interesse legale e il maggior danno da svalutazione), prova che naturalmente è posta a carico del dipendente pubblico.

Il credito di cui si tratta è di valuta, avendo ab origine ad oggetto una somma di denaro, pertanto la rivalutazione può astrattamente venire in considerazione come componente della pretesa vantata in termini di maggior danno da ritardato adempimento del debito, ai sensi dell'art. 1224, secondo comma, c.c..

In ordine alla prova che il creditore deve fornire per conseguire il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria in caso di tardivo adempimento di debiti di valuta ed, in particolare, in ordine ai limiti all'utilizzabilità della prova presuntiva, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono recentemente intervenute sul punto, enucleando precisi principi di diritto, cui aderisce il Tribunale.

Si è precisato (cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, 16 luglio 2008, n. 19499 e giurisprudenza successiva, tra le tante si consideri Cassazione civile sez. III, 28 marzo 2012, n. 4959; Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 8 marzo 2012, n. 3682) che: "a) nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c., comma 2 (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate - nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 cod. civ., comma 1; b) è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata; c) il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subito, quand'anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell'interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario sia che invochi come parametro l'utilità marginale netta dei propri investimenti; d) in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l'imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni dell'impresa ed all'entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche; e, nel secondo, che la somma sarebbe stata impiegata utilmente nell'impresa".

In definitiva, il maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali, mentre al di fuori di tale meccanismo presuntivo deve essere provato in modo specifico dalla parte che ne chiede il ristoro.

Nondimeno la giurisprudenza già citata ha precisato che la sopravvenuta svalutazione monetaria non ne consente una rivalutazione d'ufficio, occorrendo una domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti dall'art. 1224, comma 2, c.c. ed il soddisfacimento del relativo onere probatorio.

Spetta, quindi, al ricorrente richiedere il maggior danno da svalutazione fornendo la prova almeno presuntiva di questo e cioè almeno del tasso del bot non superiore all'anno (sul punto, testualmente, Cassazione civile, sez. III, 28 marzo 2012, n. 4959).

Nel caso di specie, la domanda di rivalutazione non è supportata sul piano probatorio, perché la parte ricorrente non ha dimostrato, neppure in via indiziaria, che nel periodo preso in considerazione il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.

Ne deriva, pertanto, che la domanda relativa alla corresponsione degli interessi legali va accolta, mentre va rigettata la domanda di condanna al pagamento di somme a titolo di danno da svalutazione monetaria, non avendo il ricorrente provato un maggior danno.

Quanto al punto 3) del ricorso e, in particolare, alla contestata illegittimità dell’art. 12, co. 7 del d.l. 78 del 2010, vanno condivise le indicazione della Corte Costituzionale, che, nel dichiarare manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale, ha precisato che non può sussistere alcun pregiudizio, né interesse attuale a ricorrere in capo ai magistrati che non abbiano presentato domanda di quiescenza. “Neppure risulta individuato alcun immediato pregiudizio subito dai magistrati in servizio, diverso dalla rateizzazione, che essi subiranno nel momento del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, il giorno successivo a quello del compimento del settantesimo anno di età o a quello fissato nel provvedimento di trattenimento in servizio, ovvero per anzianità di servizio, ovvero per dimissioni” (cfr., sent. Corte Cost. 223/2013 cit., punto 10).

Ne deriva che in relazione al punto 3) del ricorso va dichiarata l’inammissibilità dello stesso per carenza di interesse attuale ad agire.

Quanto al punto 4) del ricorso, in attuazione del comma 99 dell’art. 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 va dichiarata, invece, l’estinzione parziale del giudizio.

La circostanza che l’esito del presente giudizio è dipeso dalla pronuncia della Corte Costituzionale e non da un provvedimento ab origine illegittimo emesso dall’amministrazione resistente giustifica la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

lo accoglie in relazione ai punti 1) e 2) accertando il diritto del ricorrente alla percezione del trattamento retributivo con esclusione dell’applicazione delle norme dichiarate incostituzionali, oltre interessi legali, come indicato in motivazione e, per l’effetto, condanna le amministrazioni resistenti alla corresponsione delle relative somme.

Respinge la domanda di condanna al pagamento di somme a titolo di danno da svalutazione monetaria;

In relazione al punto 3) del ricorso, lo dichiara inammissibile;

In relazione al punto 4) del ricorso dichiara l’estinzione parziale del giudizio.

Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio dei giorni 9 gennaio 2013 e 20 febbraio 2013, con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Elena Quadri, Consigliere
Maurizio Santise, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/05/2013
panorama
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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La ricorrente, magistrato contabile in servizio, attualmente assegnata alla Sezione regionale Controllo della Toscana della Corte dei Conti con qualifica di Primo Referendario,
- è assoggettata alla decurtazione stipendiale prevista, a decorrere dal 2011, dall’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010,
nonché
- al blocco dell’adeguamento retributivo imposto dall’art. 9, comma 21, del citato d.l. ed alla progressiva riduzione nel tempo dell’indennità giudiziaria, secondo quanto sancito dal citato art. 9, secondo periodo del comma 22;
- la stessa è inoltre destinata a subire la rateizzazione dell’indennità di fine rapporto, in virtù dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78/2010,
nonché
- la sostituzione dell’indennità di buonuscita con il privatistico trattamento di fine rapporto, con pregiudizio attuale derivante dal fatto che all’aliquota del 6,91% prevista dall’art. 2120 c.c. per i dipendenti pubblici e privati si aggiunge la perdurante trattenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione, già prevista dall’abrogata disciplina dell’indennità di buonuscita.

Il resto x completezza leggetelo qui sotto nel caso interessi.

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06/06/2013 201300919 Sentenza 1


N. 00919/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01553/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1553 del 2011, proposto dalla dottoressa OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avvocati Sandro Campilongo e Stefano Tarullo, e domiciliata per legge presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli n. 40;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, e Corte dei Conti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, e domiciliati per legge presso la stessa in Firenze, via degli Arazzieri n. 4;

per il riconoscimento, previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale,

del diritto alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza e con esclusione dell’applicazione delle norme del d.l. 31.5.2010 n. 78 convertito, con modificazioni, nella legge 30.7.2010 n.122 (“Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”),

e per la condanna, ex artt. 30 e 34, comma 1 lett. c, c.p.a.
delle Amministrazioni resistenti, in solido o secondo le rispettive responsabilità e competenze, alla corresponsione delle somme dovute come sopra, con rivalutazione monetaria ed interessi sino al soddisfo;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Corte dei Conti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2013 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La ricorrente, magistrato contabile in servizio dal …..2005, attualmente assegnata alla Sezione regionale Controllo della Toscana della Corte dei Conti con qualifica di Primo Referendario, è assoggettata alla decurtazione stipendiale prevista, a decorrere dal 2011, dall’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, nonché al blocco dell’adeguamento retributivo imposto dall’art. 9, comma 21, del citato d.l. ed alla progressiva riduzione nel tempo dell’indennità giudiziaria, secondo quanto sancito dal citato art. 9, secondo periodo del comma 22; la stessa è inoltre destinata a subire la rateizzazione dell’indennità di fine rapporto, in virtù dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78/2010, nonché la sostituzione dell’indennità di buonuscita con il privatistico trattamento di fine rapporto, con pregiudizio attuale derivante dal fatto che all’aliquota del 6,91% prevista dall’art. 2120 c.c. per i dipendenti pubblici e privati si aggiunge la perdurante trattenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione, già prevista dall’abrogata disciplina dell’indennità di buonuscita.

Ciò premesso, la ricorrente ha chiesto che, previa remissione alla Corte Costituzionale della questione di compatibilità delle predette norme con la Costituzione, sia riconosciuto il suo diritto a percepire la retribuzione in misura integrale, deducendo:

1) quanto all’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010, riguardante la riduzione del trattamento economico: violazione dell’art. 53 della Costituzione (lesione dei principi di proporzionalità e progressività dell’imposizione, anche in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione); violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione (lesione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza legislativa, solidarietà sociale, politica ed economica); violazione degli artt. 42 e 97 della Costituzione (lesione dei principi in tema di ablazione reale, di buon andamento ed imparzialità amministrativa); violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione (lesione dei principi di libera concorrenza, di buon andamento, efficienza ed efficacia); violazione sotto altro profilo dell’art. 3 della Costituzione (lesione dei principi di ragionevolezza legislativa e di affidamento); violazione sotto altro profilo degli artt. 2 e 97 della Costituzione (lesione della buona fede amministrativa e della dignità sociale); violazione degli artt. 24, 100, 101, 111, 108 e 113 della Costituzione (lesione dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura);

2) quanto all’art. 9, commi 21 e 22, del d.l. n. 78/2010 (relativo al blocco dell’adeguamento retributivo ed alla riduzione dell’indennità giudiziaria): violazione degli artt. 24, 100, 101, 111, 108 e 113 della Costituzione; violazione dell’art. 36 della Costituzione (lesione del principio di proporzionalità della retribuzione);

3) quanto all’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78/2010 (concernente la rateizzazione del trattamento di fine rapporto): violazione degli artt. 24, 100, 101, 111, 108 e 113 della Costituzione;

4) quanto alla ritenuta del 2,50% prevista dall’art. 37 del d.p.r. n. 1032/1973 e dall’art. 18 della legge n. 75/1980, che accompagna quella del 6,91% di cui all’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010, la ricorrente propugna la tesi interpretativa secondo cui quest’ultima norma ha abrogato il precedente impianto normativo, ovvero ha soppresso il previgente prelievo del 2,50%, e, in via subordinata (qualora si ritenesse ancora applicabile il suddetto prelievo), deduce l’incompatibilità della norma stessa con gli artt. 2, 3, 36, 42, 53, 97 e 98 della Costituzione.

Si è costituita in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

All’udienza dell’8 maggio 2013 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO
Nelle more del giudizio la Corte costituzionale, con sentenza n. 223 dell’11.10.2012, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, nonché dell’art. 12, comma 10, del medesimo d.l., in riferimento alla violazione di norme costituzionali richiamate anche dall’attuale ricorrente.

In particolare, secondo il giudice delle leggi la riduzione dei trattamenti economici superiori a 90.000 euro lordi annui, disposta dall’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010, contrasta con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, mentre il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e la riduzione dell’indennità giudiziaria, previsti dall’art. 9, comma 22 del citato decreto legge, collidono con gli artt. 3, 53, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione; quanto all’art. 12, comma 10, del predetto decreto legge, il quale dispone che sulle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2011 si applica l’aliquota del 6,91%, senza abrogare la trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, nella parte in cui la suddetta norma legislativa non esclude l’addebito al dipendente della rivalsa pari al 2,50%.

In relazione a quest’ultimo profilo il giudice delle leggi ha quindi escluso che fosse possibile desumere, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’abrogazione del perdurare del contestato prelievo, smentendo così l’orientamento di una parte della giurisprudenza amministrativa (TAR Calabria, Reggio Calabria, 18.1.2012, n. 53).

E’ invece manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità relativa all’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78/2010 (che prevede lo scaglionamento, fino a tre importi annuali, dell’indennità di buonuscita), così come dichiarato dalla Corte Costituzionale con la citata pronuncia, valevole anche nel caso di specie.

Invero la ricorrente non è magistrato in quiescenza che abbia subito gli effetti della norma, e quindi non è portatrice di un interesse attuale a dolersi dell’applicazione della predetta norma legislativa.

In conclusione, il ricorso va in parte accolto (quanto alle questioni riguardanti l’art. 9, commi 2 e 22, e l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010) e in parte dichiarato inammissibile (quanto alle questioni concernenti l’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78/2010).

Per l’effetto l’Amministrazione, qualora non abbia già provveduto ad esito della predetta sentenza del giudice delle leggi, va condannata al pagamento delle differenze retributive illegittimamente non corrisposte alla ricorrente, ivi compresi gli adeguamenti stipendiali nel frattempo maturati e non riscossi, ed alla restituzione delle ritenute operate a titolo di rivalsa sulla base contributiva; su tali somme dovranno essere corrisposti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, dal momento di maturazione dei singoli ratei di retribuzione e fino all’effettivo soddisfo, in applicazione dei criteri di cui all’art. 2 del decreto del Ministro del Tesoro n. 352 del 1° settembre 1998, con calcolo dei suddetti accessori da effettuare sugli importi nominali, al netto delle ritenute contributive e fiscali (Cons. Stato, A.P., 5.6.2012, n.6; TAR Lombardia, IV, 29.1.2013, n. 260).

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, inclusi gli onorari difensivi.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo accoglie e in parte lo dichiara inammissibile, nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Carlo Testori, Consigliere
Gianluca Bellucci, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/06/2013
panorama
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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Queste sono le 6 (sei) Ordinanze del Tar Lazio richiamate dalla Corte Costituzione e che riguardano altri soggetti non appartenenti alle FF.AA. o FF.PP., riguardante l’art. 9, comma 21, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010, n. 122.

Tutte e 6 sono per lo stesso motivo ed hanno tutte la stessa conclusione in attesta della pronuncia della Corte Costituzionale.

Per motivi di spazio le posto parzialmente, tranne la 1^ che è quasi del tutto per intera:
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19/06/2012 201205670 Collegiali 1

N. 05670/2012 REG.PROV.COLL.
N. 10321/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
Nel giudizio introdotto con il ricorso 10321/11, proposto da (omissis dei ricorrenti),

nonché dal Sindacato nazionale dipendenti ministero affari esteri – SNDMAE, in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'avv. M. Scongiaforno, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Postumia 3;

contro
il Ministero degli affari esteri, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge;
per l'annullamento
del d.m. 26 luglio 2011, n. 1615, nella parte in cui ha disposto che la progressione dei ricorrenti al grado di consigliere d'ambasciata per gli anni 2011, 2012 e 2013 debba avere effetto ai fini esclusivamente giuridici;
di ogni altro atto preparatorio, preliminare, connesso, consequenziale ed esecutivo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero degli affari esteri;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2012 il cons. avv. A. Gabbricci ed uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

OMISSIS

3.2. Osservano intanto i ricorrenti come il d.m. 1615/11 statuisca sulla loro progressione di carriera, rinviando, quanto al conseguente trattamento economico, al vigente accordo sindacale per il personale della carriera diplomatica, relativamente al servizio prestato in Italia, recepito mediante decreto presidenziale

4.5. Invero, sempre lo stesso XXI comma, immediatamente di seguito alla norma fin qui considerata, dispone ad evidente integrazione di quella che “per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”: sicché sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, per il periodo d’interesse, efficacia economica a qualsiasi progressione di carriera, a prescindere dalla fonte che regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso.

5.1. Acquista così rilevanza, ai fini della decisione, la questione – prospettata nel quarto motivo di ricorso - di costituzionalità del ripetuto art. 21, XXI comma, del d.l. 78/10, nella parte d’interesse: disposizione che, secondo quanto si è fin qui visto, trova applicazione alla fattispecie attraverso il d.m. 1615/11, che lede direttamente i ricorrenti, e che potrebbe dunque essere travolto soltanto unitamente alla prima.

5.2. Nel determinare se la questione sia o meno manifestamente infondata, sembra al Collegio di dover partire da quello che è il concreto effetto della disposizione (“le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”) e cioè che, per il triennio in questione, al dipendente non vengono versati le somme corrispondenti agli emolumenti, al netto d’imposta, stabiliti per la posizione attuale – in concreto, nella fattispecie, quello di consigliere di ambasciata - ma gli importi corrispondenti alla loro precedente qualifica di appartenenza, da cui il dipendente è cessato: in altre parole, per effetto della disposizione de qua, il dipendente, pur svolgendo un lavoro presuntivamente di maggiore complessità ed impegno, continua a percepire un corrispettivo equivalente al precedente trattamento economico, che si deve presumere adeguato invece ad una prestazione meno onerosa.

5.3. Orbene, a seconda del significato giuridico che a tale situazione economica si vuole attribuire, si presentano distinti profili di potenziale incostituzionalità, non configgenti, ma subordinati tra loro: nel rispetto dunque del principio, affermato dalla Corte costituzionale, che considera invece inammissibili le questioni di costituzionalità della stessa disposizioni di legge, poste tra loro in forma alternativa ed incompatibile.

5.4.1. Orbene, l’art. 9, XXI comma, del d.l. 78/10, nella parte d’interesse, determina anzitutto, in violazione dell’art. 2 Cost., un’irragionevole disparità di trattamento all’interno de personale della carriera diplomatica.

Infatti, a parità di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti – con incarichi complessi e responsabilità di uffici apicali, come previsto per i consiglieri d’ambasciata - tali dipendenti percepiscono o meno lo stesso trattamento economico (in disparte le maggiorazioni per la diversa anzianità nella qualifica stessa), in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall’anno in cui la qualifica è stata ad essi attribuita, che non ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato.

5.4.2. D’altro canto, ex art. 36 Cost. il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro: e si deve presumere che, in specie, tale sia la retribuzione tabellare assegnata ai consiglieri diplomatici, stabilita per effetto di una specifica trattativa con la parte datoriale pubblica, e poi recepita nel decreto presidenziale più volte richiamato.

Tale adeguata retribuzione, che continua ad essere corrisposta ai colleghi promossi prima del 2011, è invece negata agli odierni ricorrenti e ciò per un lungo intervallo di tempo, corrispondente ad oltre trentasei mensilità: l’art. 9, XXI comma, si pone dunque in espresso contrasto con la norma costituzionale testé citata.

5.4.3. Non è dubbio che il legislatore con l’art. 9, XXI comma, persegua la riduzione del passivo del bilancio statale, ma questo si deve comunque armonizzare, secondo proporzionalità e ragionevolezza, e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale ex artt. 2 e 3 Cost., con gli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall’art. 36 Cost..

Questo non si verifica invece nella specie: l’eliminazione del miglior trattamento economico, riferibile alla nuova posizione acquisita, contrasta con il principio di proporzionalità testé richiamato, che il legislatore, pur nella sua discrezionalità, è tenuto a rispettare.

5.5. Per altro verso, poi, la situazione così descritta, dove il trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni e le conseguenti responsabilità, ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica è stata conferita, non può che interferire negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, e ciò si riverbera sull’organizzazione degli uffici, incidendo negativamente sul loro buon andamento, così violando l’art. 97 Cost.

5.6.1. Sotto un diverso profilo, ed in subordine rispetto alle censure precedentemente dedotte, si deve constatare come l’art. 9, XXI comma, sebbene letteralmente prescriva di non accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di pubblici dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l’Erario, sotto un profilo sostanziale e degli effetti, impone a quegli stessi dipendenti una prestazione patrimoniale, poiché gli trattiene una parte dei compensi maturati con la promozione e che sono corrisposti agli altri colleghi di pari qualifica.

5.6.2. L’art. 9, comma XXI, impone cioè agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero, in altri termini, istituisce un tributo anomalo, il quale contrasta con i principi costituzionali in materia, quali stabiliti dagli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione.

5.6.3. È infatti anzitutto violato il principio di capacità contributiva, poiché il sacrificio è richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza ma al dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica è stata acquisita, e senza alcuna considerazione del principio di progressività.

Si aggiunga che, in evidente violazione dei principi costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica, e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parità capacità contributiva, su analoghe categorie di lavoratori, o di redditi.

5.6.4. Per dirla altrimenti, un limite espresso all’azione impositiva è quello per cui a situazioni uguali corrispondono tributi uguali, e viceversa: per cui il sacrificio patrimoniale, il quale incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi) indenni, o comunque colpendoli più leggermente, a parità di capacità reddituale, è arbitrario ed irragionevole, e viola il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. ed il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.

6.1.In conclusione, sussistono dunque i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma XXI, del d.l. 31 marzo 2010 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, per la parte in cui stabilisce che “le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione.

6.2. Restano riservati all’esito del giudizio incidentale le determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul merito e sulle spese,

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma XXI, del d.l. 31 marzo 2010 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nei termini e per le ragioni esposti in motivazione, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione;

b) sospende il giudizio in corso;

c) ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa ed al presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al presidente del Senato della Repubblica ed al presidente della Camera dei deputati;

d) dispone la trasmissione degli atti, a cura della stessa segreteria, alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio addì 23 maggio 2012 con l'intervento dei signori magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Angelo Gabbricci, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/06/2012
---------------------------------------------------------------------------------------------------------

03/07/2012 201206050 Collegiali 1

N. 06050/2012 REG.PROV.COLL.
N. 05228/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 5228 del 2011, proposto da:

OMISSIS, Sindacato Nazionale Dipendenti Ministero Affari Esteri -SNDMAE, rappresentati e difesi dagli avv.ti Gea Sgueglia e Ugo Sgueglia, presso lo studio dei quali domiciliano in Roma, via Ottorino Lazzarini, n.19;

contro
Ministero degli affari esteri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del d.m. 0856 del 17 maggio 2011 che dispone che la nomina ad ambasciatore dei ricorrenti per il triennio 2011/2013 avra' fini esclusivamente giuridici.

OMISSIS

1. I ricorrenti, funzionari diplomatici del Ministero degli affari esteri rivestenti il grado di ambasciatore, impugnano il decreto del Ministero degli affari esteri 17 maggio 2011, n. 0856 che, …….., ha determinato l’attribuzione del relativo trattamento economico, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e 2013 gli effetti sono “esclusivamente giuridici”.
L’impugnazione avverso il predetto provvedimento viene interposta anche dal Sindacato Nazionale Dipendenti Ministero Affari Esteri -SNDMAE, sindacato che cura gli interessi della categoria dei diplomatici, nei confronti del quale ogni questione relativa alla legittimazione ad agire, ed ai limiti della stessa, può essere esaminata in sede di decisione definitiva, atteso che, in ogni caso, non sussiste alcun dubbio sulla legittimazione degli altri ricorrenti ad agire nella presente sede avverso il gravato provvedimento.
OMISSIS
L’impugnato decreto ministeriale espone di dare applicazione al comma 21 dell’art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122.
OMISSIS
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
OMISSIS






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/07/2012

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
06/07/2012 201206158 Collegiali 1


N. 06158/2012 REG.PROV.COLL.
N. 07661/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 7661 del 2011, proposto da:

OMISSIS, rappresentati e difesi dagli avv.ti Ugo Sgueglia e Gea Sgueglia, con domicilio eletto presso Ugo Sgueglia in Roma, via Ottorino Lazzarini, 19;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
d.p.r. 17/11 nella parte in cui ha disposto che la nomina dei ricorrenti al grado di Ministro Plenipotenziario per gli anni 2011, 2012 e 2013 debba avere effetto ai fini esclusivamente giuridici;

OMISSIS;

1. I ricorrenti, funzionari diplomatici del Ministero degli affari esteri rivestenti il grado di Ministro Plenipotenziario, impugnano il decreto del ….. che, in seguito alla loro nomina al grado di Ministro Plenipotenziario, intervenuta con d.P.R. 16 febbraio 2011, n. 4, con decorrenza 2 gennaio 2011, ha determinato l’attribuzione del relativo trattamento economico, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e 2013 gli effetti sono “esclusivamente giuridici”.
OMISSIS

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
OMISSIS




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/07/2012
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------
06/07/2012 201206159 Collegiali 1


N. 06159/2012 REG.PROV.COLL.
N. 07981/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 7981 del 2011, proposto da:

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ugo Sgueglia e Gea Sgueglia, con domicilio eletto presso Ugo Sgueglia in Roma, via Ottorino Lazzarini, 19;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
d.p.r. 17/11 nella parte in cui stabilisce che per il triennio 2011/2013 la nomina a Ministro Plenipotenziario avrà effetto ai fini esclusivamente giuridici;

OMISSIS;

1. Il ricorrente, funzionario diplomatico del Ministero degli affari esteri rivestente il grado di Ministro Plenipotenziario, impugna il decreto del ….. che, in seguito alla sua nomina al grado di Ministro Plenipotenziario, intervenuta con d.P.R. 16 febbraio 2011, n. 4, con decorrenza 2 gennaio 2011, ha determinato l’attribuzione del relativo trattamento economico, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e 2013 gli effetti sono “esclusivamente giuridici”.
OMISSIS
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
OMISSIS




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/07/2012
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
06/07/2012 201206160 Collegiali 1


N. 06160/2012 REG.PROV.COLL.
N. 06829/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 6829 del 2011, proposto da:

OMISSIS, rappresentati e difesi dagli avv.ti Ugo Sgueglia e Gea Sgueglia, con domicilio eletto presso Ugo Sgueglia in Roma, via Ottorino Lazzarini, 19;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
in parte qua, del d.p.r. 17/11 nella parte in cui ha disposto che la nomina dei ricorrenti al grado di Ministro Plenipotenziario per gli anni 2011, 2012 e 2013 debba avere effetto ai fini esclusivamente giuridici;

OMISSIS;

1. I ricorrenti, funzionari diplomatici del Ministero degli affari esteri rivestenti il grado di Ministro Plenipotenziario, impugnano ….
OMISSIS
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
OMISSIS




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/07/2012
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
06/07/2012 201206161 Collegiali 1


N. 06161/2012 REG.PROV.COLL.
N. 07982/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 7982 del 2011, proposto da:

OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Ghera, con domicilio eletto presso Federico Ghera in Roma, via delle Milizie, 1;

contro
Ministero degli Affari Esteri, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del d.p.r. n. 17 del 19.05.2011 nella parte in cui dispone che la nomina del dott. massimo riccardo a ministro plenipotenziario valga, per gli anni 2011, 2012 e 2013, “ai fini esclusivamente giuridici”, e dunque senza corresponsione del relativo trattamento economico;
OMISSIS

1. Il ricorrente, funzionario diplomatico del Ministero degli affari esteri rivestente il grado di Ministro Plenipotenziario, impugna ….
OMISSIS
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
OMISSIS




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/07/2012
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SENTENZA N. 304
ANNO 2013


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con un’ordinanza del 19 giugno, quattro ordinanze del 6 luglio e una ordinanza del 3 luglio 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 218, 219, 243, 244, 245 e 246 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti gli atti di costituzione di Adriana Apollonio ed altri, di Massimo Lavezzo Cassinelli ed altro e di Sandro De Bernardin, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 e nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi gli avvocati Monica Scongiaforno per Adriana Apollonio ed altri, Ugo Sgueglia per Massimo Lavezzo Cassinelli ed altro e per Sandro De Bernardin e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sei ordinanze di identico tenore (reg. ord. nn. 218, 219, 243, 244, 245 e 246 del 2012) ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.

1.1.− I giudizi a quibus hanno tutti ad oggetto ricorsi avverso provvedimenti di nomina di personale della carriera diplomatica nei quali è specificato che il provvedimento, ai sensi della norma impugnata, ha effetto a fini esclusivamente giuridici. I provvedimenti impugnati, infatti, sono attuativi del terzo periodo del comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010; comma che si riporta integralmente: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

I giudizi a quibus si differenziano perché in uno il ricorso si riferisce alla nomina a consigliere di ambasciata (ordinanza n. 218), in altri i ricorsi traggono origine dalla nomina a ministro plenipotenziario (ordinanze nn. 219, 243, 244, 245), e infine, nell’ultimo, dalla nomina ad ambasciatore (ordinanza n. 246).

Il rimettente, con riferimento alle nomine a ministro plenipotenziario e ad ambasciatore ritiene infondata la tesi dei ricorrenti secondo la quale tali nomine non costituirebbero una progressione di carriera, ma un vero e proprio cambiamento di status, restando, pertanto, estranee alla regolazione discendente dal citato art. 9, comma 21, che presuppone, invece, proprio la progressione di carriera.

Il Tar del Lazio ritiene che, nell’ambito dell’unicità del ruolo prevista dall’art. 101 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), il passaggio tra i predetti gradi realizzi un vero e proprio sviluppo della carriera, rendendo irrilevante la circostanza, segnalata dai ricorrenti, che le successive disposizioni prevedano l’accesso ai primi tre gradi mediante «promozione» (artt. 103, 107, 108) e l’accesso ai due gradi apicali per «nomina» (artt. 109 e 109-bis), in quanto tali modalità riflettono esclusivamente l’esistenza di un diverso rapporto fiduciario con l’istituzione di appartenenza tra il promosso ed il nominato. Osserva, poi, che in ogni caso l’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, con la locuzione «progressioni di carriera comunque denominate», fa riferimento a qualsiasi tipo di avanzamento di carriera ricomprendendo anche quelle che presuppongono l’esercizio di una elevata discrezionalità nella scelta tra i candidati provenienti dai gradi inferiori.

Il rimettente ritiene infondata anche la tesi avanzata nei ricorsi secondo la quale la disposizione impugnata, quale norma di carattere generale, non possa derogare, modificandola, alla disciplina speciale che regola il trattamento economico dei diplomatici, di cui agli artt. 101 e 112 del predetto d.P.R. n. 18 del 1967 ed all’art. 1 e seguenti del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206 (Recepimento dell’accordo sindacale per il personale della carriera diplomatica, relativamente al servizio prestato in Italia – Biennio giuridico ed economico 2008-2009).

Nei ricorsi, infatti, si evidenzia, in particolare, che il personale appartenente alla carriera diplomatica è retto dal proprio specifico ordinamento, regolato dal d.P.R. n. 18 del 1967, il cui art. 112 − siccome sostituito dall’art. 14 del d.lgs. 24 marzo 2000, n. 85 (Riordino della carriera diplomatica, a norma dell’articolo 1 della legge 28 luglio 1999, n. 266) − ha introdotto il sistema della contrattazione, da trasfondere successivamente in un atto regolamentare, emanato sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica. Attualmente, l’atto di recepimento è rappresentato dal citato d.P.R. n. 206 del 2010, successivo allo stesso d.l. n. 78 del 2010, che, recependo l’ipotesi di accordo, ne ha espressamente decretato l’applicazione al personale appartenente alla carriera diplomatica. Pertanto, l’art. 112 del d.P.R. 18 del 1967 assegnerebbe al d.P.R n. 206 del 2010 la funzione di atto regolamentare speciale, che non può essere eterointegrato da prescrizioni pur contenute in una fonte di grado superiore, ma di carattere generale.

Anche tale percorso argomentativo viene confutato dal rimettente, sempre al fine di motivare la rilevanza delle questioni di costituzionalità sollevate. Afferma, infatti, che la delegificazione di una materia, effettuata mediante un atto avente forza e valore di legge, non esclude che altre norme dello stesso grado possano integrare, con previsioni generali o speciali, la disciplina della materia delegificata: in altre parole, la delegificazione comporta che la materia trovi la sua disciplina ordinaria in una fonte inferiore, non che questa sia l’unica fonte costituzionalmente legittima per la disciplina della materia stessa.

Nel caso di specie, l’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e per la finalità che esso persegue − e, dunque, per la lettera e la ratio delle stesse − si prefigge lo scopo di intervenire su tutti i rapporti d’impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte principale che li disciplina. Tanto che lo stesso comma 21 dispone che le progressioni di carriera, comunque denominate, ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 abbiano effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici non solo per il personale pubblico non contrattualizzato di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (in cui rientra il personale della carriera diplomatica), ma anche per il personale contrattualizzato.

Il Tar del Lazio ritiene, pertanto, estremamente chiara la volontà del legislatore di escludere, per il periodo in oggetto, efficacia economica a qualsiasi progressione di carriera, a prescindere dalla fonte che regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso.

Per questi motivi, secondo il rimettente, acquista rilevanza, ai fini della decisione, la questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010.

Nel motivare la non manifesta infondatezza, il rimettente premette che il concreto effetto della disposizione in questione, secondo cui «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici», è quello della corresponsione al dipendente, per il triennio in questione, non delle somme corrispondenti agli emolumenti, al netto d’imposta, stabiliti per la posizione attuale, ma degli importi corrispondenti alla precedente qualifica di appartenenza, da cui il dipendente è cessato. In altri termini, per effetto della disposizione de qua, il dipendente, pur svolgendo un lavoro presuntivamente di maggiore complessità ed impegno, continua a percepire un corrispettivo equivalente al precedente trattamento economico, che si deve presumere adeguato invece ad una prestazione meno onerosa.

Secondo il rimettente, sussistono distinti profili di illegittimità costituzionale, non confliggenti, ma subordinati tra loro, nel rispetto, quindi, del principio, affermato dalla Corte costituzionale, che considera inammissibili le questioni di costituzionalità, della stessa disposizione di legge, poste tra loro in forma alternativa ed incompatibile.

L’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte d’interesse, determinerebbe anzitutto, in violazione dell’art. 2 (recte: 3) Cost., un’irragionevole disparità di trattamento all’interno del personale della carriera diplomatica.

Infatti, a parità di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti − con incarichi complessi e responsabilità di uffici apicali − tali dipendenti percepiscono o no lo stesso trattamento economico (a prescindere dalle maggiorazioni per la diversa anzianità nella qualifica stessa), in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall’anno in cui la qualifica è stata ad essi attribuita; situazione che non ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato.

Inoltre, risulterebbe violato anche l’art. 36 Cost., in quanto il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro (dato che si deve presumere che tale sia la retribuzione tabellare stabilita in conseguenza di una specifica trattativa con la parte datoriale pubblica, poi recepita nel decreto presidenziale più volte richiamato). Tale adeguata retribuzione, che continua ad essere corrisposta a coloro che sono stati promossi prima del 2011, è invece negata ai ricorrenti, oltretutto per un lungo intervallo di tempo, corrispondente ad oltre trentasei mensilità.

L’obiettivo perseguito dal legislatore con la disposizione impugnata sarebbe, secondo il Tar del Lazio, quello della riduzione del passivo del bilancio statale, ma tale obiettivo dovrebbe comunque armonizzarsi, secondo proporzionalità e ragionevolezza e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale di cui agli artt. 2 e 3 Cost. con gli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall’art. 36 Cost.. Tale evenienza non si verificherebbe, invece, nella specie, in quanto «l’eliminazione del miglior trattamento economico, riferibile alla nuova posizione acquisita, contrast[erebbe] con il principio di proporzionalità, che il legislatore, pur nella sua discrezionalità, è tenuto a rispettare».

Per altro verso, poi, la differenziazione del trattamento economico tra colleghi, non in ragione delle mansioni e delle conseguenti responsabilità, ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica è stata conferita, interferirebbe negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, e ciò si riverbererebbe sull’organizzazione degli uffici, incidendo negativamente sul loro buon andamento, in violazione dell’art. 97 Cost.

Sotto un diverso profilo, ed in subordine rispetto alle censure precedentemente dedotte, l’art. 9, comma 21, sebbene letteralmente prescriva di non accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di pubblici dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l’Erario, sotto un profilo sostanziale e degli effetti, imporrebbe a quegli stessi dipendenti una prestazione patrimoniale costituita dalla trattenuta da parte dello Stato di una parte dei compensi maturati con la promozione. L’art. 9, comma 21, terzo periodo, imponendo agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, istituirebbe un tributo anomalo, in contrasto con i principi costituzionali in materia, quali quelli stabiliti dagli artt. 2, 3 e 53 Cost. Sarebbe, in tal modo, violato il principio di capacità contributiva, poichè il sacrificio sarebbe richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza, ma al dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica è stata acquisita e senza alcuna considerazione del principio di progressività. Il Tar aggiunge che, in evidente violazione dei principi costituzionali prima richiamati, il tributo colpirebbe solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parità di capacità contributiva, su analoghe categorie di lavoratori, o di redditi.

Poiché un limite espresso all’azione impositiva, invece, è quello per cui a situazioni uguali devono corrispondere tributi uguali, ne consegue che sarebbe arbitrario ed irragionevole un sacrificio patrimoniale il quale incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi) indenni, o, comunque, colpendoli più leggermente, a parità di capacità reddituale, in violazione del principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.

2.− È intervenuto nei giudizi di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

L’Avvocatura dello Stato, innanzi tutto, esclude che la disposizione censurata violi gli artt. 2 e 3 Cost., in quanto la Corte costituzionale ha già avuto occasione di affermare che misure di «blocco» dello stipendio adottate in un momento delicato della vita nazionale e segnate dalla finalità di realizzare, con immediatezza, un contenimento della spesa pubblica rispetto degli obiettivi fondamentali di politica economica e dei vincoli derivanti dal processo di integrazione europea possono ritenersi non lesive del principio di cui all’articolo 3 Cost. − sotto il duplice aspetto della non contrarietà al principio di uguaglianza sostanziale e di irragionevolezza − a condizione che siano eccezionali, transeunti, non arbitrarie e consentanee allo scopo prefissato (sentenze n. 245 del l997, n. 417 del 1996, n. 99 del 1995 e n. 6 del 1994; ordinanza n. 299 del 1999).

Il «blocco» introdotto dalla norma impugnata presenterebbe, all’evidenza, carattere provvedimentale, risultando disposto per un periodo contenuto nei limiti temporali dell’intervento emergenziale stabilito dal legislatore (e cioè per gli anni dal 2011 al 2013), al fine di impedire erogazioni per esigenze di riequilibrio di bilancio, e renderebbe, perciò, irrilevante, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la diseguaglianza casuale collegata al momento di maturazione delle progressioni.

Quanto, invece, alla violazione degli articoli 2, 36 e 97 Cost., la parte resistente osserva che l’ordinanza di rimessione non contiene riferimenti utili a stabilire se la progressione di carriera comporti necessariamente lo svolgimento di incarichi «superiori», diversi e più onerosi di quelli svolti in precedenza, né se ciò sia avvenuto con riguardo ai ricorrenti.

La questione, dunque, prima ancora che infondata, risulterebbe irrilevante.

Con riguardo alla violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost., l’Avvocatura dello Stato rileva che, nel caso in esame, la norma censurata non prevede una decurtazione di una componente retributiva già dovuta e in godimento, parificabile ad un prelievo tributario, bensì opera un differimento del momento di maturazione di tale componente, che vale anche a fini contributivi.

Si tratterebbe, in altri termini, di un mero «blocco» stipendiale che deve essere considerato legittimo. Il differimento, peraltro, concerne tanto il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001 quanto il personale contrattualizzato, sì che va escluso in radice qualunque profilo di disparità di trattamento nell’ambito del settore omogeneo e confrontabile dei lavoratori che prestano la loro attività alle dipendenze della pubblica amministrazione.

3.− Con riferimento all’ordinanza n. 218 del 2012, si sono costituiti i ricorrenti del giudizio a quo, chiedendo che la Corte, in accoglimento delle questioni sollevate dal Tar del Lazio, dichiari l’illegittimità costituzionale del terzo periodo del comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010.

4.− Con riferimento alle ordinanze n. 245 e n. 246 del 2012, si sono costituiti i ricorrenti dei giudizi a quibus, eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità delle questioni sollevate e, in subordine, chiedendone l’accoglimento.

Secondo tali parti private, infatti, la norma censurata dal Tar del Lazio non dovrebbe applicarsi, in quanto le nomine nel grado, rispettivamente, di ministro plenipotenziario e di ambasciatore non costituiscono una progressione di carriera, ma un cambiamento di status.

Infatti, la carriera diplomatica retta dall’unitarietà del ruolo prevede i gradi di: segretario di legazione, consigliere di legazione, consigliere d’Ambasciata, ministro plenipotenziario e ambasciatore, ma solo per i primi tre gradi sarebbe prevista una normale progressione di carriera mediante una specifica procedura di promozione, mentre ai successivi due gradi si accederebbe solo mediante una nomina con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Sarebbe dunque errata la tesi del rimettente che, in punto di rilevanza, ha ritenuto non fondato il motivo di ricorso attinente a questi profili, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.

Un ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe dall’applicazione del criterio di specialità, in quanto al personale della carriera diplomatica non si applicherebbe la disciplina del d.l. n. 78 del 2010, ma quella specifica di cui al d.P.R. n. 206 del 2010.

In subordine, le parti private chiedono l’accoglimento delle questioni sollevate dal Tar del Lazio con argomentazioni analoghe a quelle delle ordinanze di rimessione.

5.− Con memorie depositate in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato insiste nelle proprie richieste, ribadendo le proprie argomentazioni in ordine all’infondatezza delle questioni sollevate.

6.− Con memorie depositate in prossimità dell’udienza, le parti private insistono nelle richieste formulate negli atti di costituzione.

Considerato in diritto

1.− Con sei ordinanze di identico tenore (reg. ord. nn. 218, 219, 243, 244, 245 e 246 del 2012) il Tribunale amministrativo del Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione.

1.1.− In considerazione dell’identità delle questioni, deve essere disposta la riunione dei giudizi, al fine di definirli con un’unica pronuncia.

1.2.− Secondo il rimettente, la norma censurata, nella parte in cui dispone che «Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici», determinerebbe, in violazione dell’art. 3 Cost., un’irragionevole disparità di trattamento all’interno del personale della carriera diplomatica, in quanto, a parità di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti, tali dipendenti percepirebbero un diverso trattamento economico, in relazione ad un elemento del tutto aleatorio costituito dall’anno in cui la qualifica è stata ad essi attribuita.

La norma indicata, inoltre, violerebbe l’art. 36 Cost., ledendo il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato (dato che si deve presumere che il rispetto di questo precetto costituzionale sia stato alla base della determinazione della retribuzione tabellare delle varie qualifiche), nonché gli artt. 2, 3 e 36 Cost., in quanto la riduzione del passivo del bilancio statale si deve comunque armonizzare, secondo proporzionalità e ragionevolezza, oltre che con i principi di eguaglianza formale e sostanziale, con gli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall’art. 36 Cost.

Risulterebbe violato anche l’art. 97 Cost., perché la differenziazione del trattamento economico non per le mansioni espletate ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica è stata conferita, interferirebbe negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, determinando un effetto negativo sull’organizzazione degli uffici e sul loro buon andamento.

In via subordinata, il Tar del Lazio ritiene che il terzo periodo dell’art. 9, comma 21, violi anche gli artt. 2, 3 e 53 Cost. in quanto, trattenendo una parte dei compensi maturati con la promozione, imporrebbe ai dipendenti una prestazione patrimoniale in violazione del principio di capacità contributiva e senza alcuna considerazione del principio di progressività.

Il sacrificio patrimoniale imposto verrebbe in tal modo ad acquisire la veste di «tributo anomalo» che, incidendo soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando altre categorie di lavoratori indenni, o, comunque, colpendoli più leggermente a parità di capacità reddituale, sarebbe arbitrario ed irragionevole e violerebbe il principio di uguaglianza fissato dall’art. 3 Cost. ed il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.

2.− In via preliminare, i ricorrenti dei giudizi a quibus di cui alle ordinanze n. 245 e n. 246 del 2012 eccepiscono l’inammissibilità, in relazione al requisito della rilevanza, delle questioni sollevate dal rimettente, perché la norma impugnata non troverebbe applicazione per le nomine a ministro plenipotenziario e ad ambasciatore che costituirebbero non una promozione o progressione di carriera, ma un cambiamento di status.

Inoltre i medesimi ricorrenti eccepiscono un ulteriore motivo di inammissibilità assumendo che la norma censurata, in quanto a carattere generale, non potrebbe derogare la disciplina speciale che regola il rapporto di lavoro del personale della carriera diplomatica, che oramai può ritenersi interamente contrattualizzato.

2.1.− Entrambe le eccezioni non sono fondate.

Tali eccezioni sono già state proposte nel corso dei giudizi a quibus quali motivi di illegittimità dei provvedimenti impugnati.

Il Tribunale rimettente, nel motivare la rilevanza della questione, ha ritenuto di non aderire alla prima delle tesi dei ricorrenti innanzi indicata, in ragione dell’unitarietà del ruolo prevista dall’art. 101 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri). Il passaggio tra i gradi, secondo il Tar del Lazio, realizza un vero e proprio sviluppo della carriera, rendendo irrilevante la diversa disciplina delle modalità di progressione, ovvero «promozione» con decreto del Ministro degli esteri per i primi tre gradi (artt. 103, 107 e 108) e «nomina» (artt. 109 e 109-bis) con decreto del Presidente della repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta motivata del Ministro degli affari esteri.

In ogni caso, in questa sede deve rilevarsi che l’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, con la locuzione «progressioni di carriera comunque denominate», fa riferimento a tutti i tipi di avanzamento di carriera, ricomprendendo anche quelli che presuppongono l’esercizio di una elevata discrezionalità nella scelta tra i candidati provenienti dai gradi inferiori, che, però, non può estendersi fino a comprendere funzionari che abbiano un’anzianità nel grado di provenienza inferiore ai minimi legislativamente previsti o a persone estranee alla carriera stessa.

In relazione all’altra eccezione di inammissibilità, non vi è dubbio che la norma censurata trovi applicazione in tutti i rapporti d’impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte che li disciplina.

3.− La questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, sollevata in riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., non è fondata.

Il trattamento economico e funzionale del personale diplomatico, al contrario di quanto sostiene il rimettente, non è eguale per tutti i dipendenti posizionati nel medesimo grado. Al riguardo, occorre osservare, sia che la voce retributiva oggetto della presente questione è solo una delle voci che costituiscono il trattamento complessivo dei funzionari della carriera diplomatica, sia che nell’ordinamento di tale personale non è prevista l’obbligatoria corrispondenza tra grado e funzioni e, conseguentemente, tra grado e trattamento economico collegato all’esercizio delle funzioni.

Per ciò che concerne il primo dei punti innanzi evidenziati, vi è da considerare che l’art. 3 del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206 (Recepimento dell’accordo sindacale per il personale della carriera diplomatica, relativamente al servizio prestato in Italia), prevede che la voce relativa allo stipendio tabellare conviva, per il periodo in cui detti funzionari prestano la loro attività in Italia, con altre due voci, retribuzione di posizione e di risultato, e che per il personale che svolge le sue funzioni all’estero è prevista la corresponsione di indennità e misure di favore disciplinate dagli artt. 170 e seguenti del d.P.R. n. 18 del 1967 (tra le quali ha particolare rilievo quella «di servizio all’estero»), sulle quali non opera, ovviamente, la cristallizzazione stipendiale di cui si tratta. Ed è opportuno, al riguardo, tenere presente, con riferimento a quest’ultima voce, che per il personale della carriera diplomatica lo svolgimento del servizio all’estero non costituisce un dato occasionale, ma un normale adempimento delle funzioni relative allo svolgimento dei «compiti spettanti allo Stato in materia di rapporti politici, economici, sociali e culturali con l’estero» attribuiti al Ministero dall’art.12 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Quanto al secondo aspetto, vale a dire la presenza di disposizioni legislative che escludono l’obbligatoria corrispondenza tra grado e svolgimento delle funzioni, deve richiamarsi l’art. 101 del d.P.R. n. 18 del 1967, che prevede, al quarto comma, che: «Il funzionario diplomatico che consegua l’avanzamento al grado superiore può continuare ad esercitare le precedenti funzioni per il tempo richiesto dalle esigenze di servizio»; al quinto comma, che: «In deroga a quanto stabilito dal terzo comma, lettera b) del presente articolo, i funzionari diplomatici, purché compresi in ordine di ruolo nei primi due terzi dell’organico del grado, possono essere destinati, per esigenze di servizio, a coprire posti all’estero cui corrispondono funzioni del grado immediatamente superiore, ai sensi della tabella 1, in sedi individuate con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con quello del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, fatto salvo quanto è disposto nel successivo sesto comma per i capi di rappresentanza diplomatica»; e, al sesto comma, che: «Con il medesimo decreto di cui al quinto comma del presente articolo sono altresì individuate le rappresentanze diplomatiche a cui possono essere preposti, per ragioni di servizio, consiglieri d’ambasciata compresi nei primi due terzi dell’organico del grado».

Risulta evidente, pertanto, che l’assunto da cui muove il rimettente circa l’uniformità del trattamento retributivo del personale della carriera diplomatica in relazione al grado o alle funzioni ricoperte e la necessaria corrispondenza tra le funzioni esercitate e il grado ricoperto, non trova alcuna conferma nella disciplina del personale della carriera diplomatica.

Inoltre, deve rilevarsi che, pur in presenza di un principio di carattere generale di tendenziale allineamento stipendiale, per evitare, tra gli appartenenti alla medesima qualifica o al medesimo grado, disparità di trattamento, nel caso di specie manca uno degli elementi cui è connessa l’esigenza dell’identico trattamento retributivo, vale a dire il possesso della medesima anzianità di servizio. Infatti, coloro che hanno maturato il diverso trattamento connesso alla progressione in carriera avvenuta prima del 2011 hanno comunque una maggiore anzianità di servizio, la quale già di per sé può giustificare un diverso trattamento retributivo.

Va sottolineato, infine, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità nelle ipotesi di conservazione di elementi retributivi derivanti da posizioni personali di stato, ovvero spettanti per effetto di incarichi o funzioni non aventi carattere di generalità, ovvero derivanti dal mantenimento di più favorevoli trattamenti economici comunque conseguiti in settori diversi dell’amministrazione. Sulla base di queste motivazioni si è ritenuta legittima la disciplina (di cui all’art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, recante «Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali», convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 14 novembre 1992, n. 438) che ha determinato l’abrogazione del cosiddetto istituto dell’allineamento stipendiale, già introdotto dall’art. 4, terzo comma, del decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681 (Adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 20 novembre 1982, n. 869, «proprio al fine di ovviare a situazioni di disparità di trattamento retributivo determinatesi nell’ambito di una stessa qualifica in relazione al riconoscimento di trattamenti “personalizzati”, non collegati a specifiche situazioni di stato del beneficiario e conseguenti al “trascinamento” di anzianità pregresse maturate in qualifiche e ruoli diversi» (sentenza n. 6 del 1994). Può, quindi, addirittura verificarsi che, in casi particolari, nella stessa amministrazione dipendenti con minore anzianità di servizio e, presumibilmente, con incarichi di minor rilievo percepiscano retribuzioni più elevate.

4.− Le questioni di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, per violazione degli artt. 2, 3 e 36 97 Cost., sono parimenti non fondate.

In riferimento agli artt. 36 e 97 Cost. questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che «la proporzionalità e sufficienza della retribuzione devono essere valutate considerando la retribuzione nel suo complesso, non in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico (ordinanza n. 368 del 1999; sentenza n. 15 del 1995), mentre il principio di buon andamento dell’amministrazione non può essere richiamato per conseguire miglioramenti retributivi (ordinanza n. 205 del 1998; sentenza n. 273 del 1997)» (ordinanza n. 263 del 2002).

Risulta evidente, pertanto, l’infondatezza delle censure relative alla lesione del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, quale quella che si deve presumere in relazione alla retribuzione tabellare attuale dei ricorrenti nei giudizi principali, e alla lesione del buon andamento della pubblica amministrazione.

Con riferimento ai restanti parametri, deve evidenziarsi che, nel caso in esame, la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999).

Va in questa sede ribadito il principio, affermato più volte da questa Corte, secondo il quale dalla disciplina costituzionale in vigore non è dato desumere, per i diritti di natura economica connessi a rapporti di durata, anche nel pubblico impiego, una specifica protezione contro l’eventualità di norme retroattive: di talché, su questo piano, il vero limite nei confronti di norme di tale natura non può essere ricercato altro che nell’esigenza del rispetto del principio generale di ragionevolezza comprensivo della tutela dell’affidamento (ex plurimis, sentenze n. 31 e n. 1 del 2011; n. 302 del 2010; n. 228 del 2010; n. 74 del 2008).

In assenza di un’esigenza costituzionale di parità di trattamento ed a fronte di una situazione di fatto in cui lo stesso verificarsi della “progressione di carriera” rappresenta un’eventualità di non sicura attuazione, pertanto, la norma censurata non può dirsi irragionevole viste le sue finalità di contenimento della spesa pubblica per far fronte alla grave crisi economica. Spetta infatti al legislatore, nell’equilibrato esercizio della sua discrezionalità e tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica (sentenze n. 477 e n. 226 del 1993), bilanciare tutti i fattori costituzionalmente rilevanti.

Nelle ordinanze da n. 243 a n. 246 del 2012, il rimettente afferma, con riferimento alla ipotizzata violazione dell’art. 36 Cost., che «la disposizione non regola la posizione di coloro tra essi che, nominati Ministri Plenipotenziari [o «Ambasciatori»: ordinanza n. 246] nel considerato triennio 2011/2013, saranno, nell’arco dello stesso periodo, collocati a riposo per raggiunti limiti di età». Poiché la questione non costituiva oggetto dei giudizi principali, il rimettente formula la sopra riportata considerazione, con la quale imputa al legislatore un’omissione (quella cioè di non aver regolato situazioni che presentavano determinate peculiarità), senza però farne, correttamente, oggetto di una specifica richiesta atta a promuovere su questo diverso aspetto il giudizio incidentale. Il punto, quindi, esula dal presente procedimento.

5.− Anche la questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, per violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost., non è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese.

Un tributo consiste in un «prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva» (sentenza n. 102 del 2008); indice che deve esprimere l’idoneità di tale soggetto all’obbligazione tributaria (sentenze n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965, n. 45 del 1964).

La norma censurata, sulla base degli indici ora riportati, non ha natura tributaria in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del dipendente pubblico. Pertanto, in assenza di una decurtazione patrimoniale o di un prelievo della stessa natura a carico del soggetto passivo, viene meno in radice il presupposto per affermare la natura tributaria della disposizione. Inoltre, viene a mancare anche il requisito relativo all’acquisizione delle risorse al bilancio dello Stato, in quanto la disposizione non realizza un’acquisizione che, anche in via indiretta, venga a fornire copertura a pubbliche spese, ma determina un risparmio di spesa.

Anche tale ultima censura non è, quindi, fondata.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013.

F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2013.

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Chissà se la sentenza che si attende della Corte Costituzionale per le FF.AA. e FF.PP. sarà uguale a questa cosa?
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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Questa è un'altra sentenza della Corte Costituzionale che si è espressa sul tema dell’art. 9, commi 2 e 21, primo, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.
Infatti diversi Tar hanno chiesto l'intervento della citata Corte.
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1) - Le questioni sono state sollevate nel corso di giudizi promossi da docenti universitari di ruolo, ordinari, straordinari, associati, ricercatori, nei confronti, nel complesso, delle rispettive università degli studi, del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Presidente del Consiglio dei ministri, per ottenere l’accertamento del diritto alla corresponsione del proprio trattamento economico senza l’applicazione delle misure di blocco previste dall’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010.

Ecco alcuni punti che si leggono In questa sentenza (punti cruciali):

2) - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi non fondate le questioni in esame, con argomentazioni analoghe a quelle già esposte con riguardo all’ordinanza n. 179 del 2012, richiamando, altresì, la lettera in data 5 agosto 2011 con la quale la Banca Centrale Europa chiedeva di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche, valutando la riduzione dei costi del pubblico impiego.

3) - Anche la difesa dello Stato, nei giudizi promossi con le ordinanze n. 197 e n. 259 del 2012 e n. 83 e n. 123 del 2013, ha depositato memoria, con la quale ha posto in evidenza come gli Stati membri dell’Unione Europea si sono assoggettati all’obbligo di recepire nelle rispettive Costituzioni le regole impartite dal Patto di stabilità e crescita. Successivamente, per effetto dell’entrata in vigore della direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), sono state dettate regole minime affinché fosse garantito il rispetto da parte degli Stati firmatari dell’obbligo, imposto direttamente dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.

4) - In particolare, espone l’Avvocatura dello Stato che la materia disciplinata dalla direttiva costituisce, peraltro, oggetto di recente intervento normativo dell’Unione europea, prospettato dalla proposta di regolamento recante disposizioni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell’eurozona [COM (2011) 821, parte del cosiddetto two pack], attualmente all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.

5) - Infine ricorda come il Trattato sulla stabilità, il coordinamento nella governance nell’Unione economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, cosiddetto Fiscal compact, all’art. 3, impegni le parti contraenti ad applicare ed introdurre, entro un anno dalla entrata in vigore del Trattato, norme vincolanti e a carattere permanente.

Il resto potete leggerlo nella lunghissima sentenza qui sotto.
N.B.: secondo me, da quello che abbiamo visto e letto fino ad oggi ( 2 sentenze negative della Corte Costituzionale), la sentenza che stiamo aspettando sulle FF.AA. e FF.PP. potrebbe essere di identica motivazione di quella che oggi pubblico qui sotto, altrimenti ci sarebbe disparità di trattamento tra il P.I. (pubblico impiego).
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SENTENZA N. 310

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 21, primo, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza dell’8 maggio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza del 15 giugno 2012, dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con due ordinanze del 24 agosto 2012, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con ordinanza del 6 agosto 2012, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con ordinanze dell’8 novembre e del 20 dicembre 2012, dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria con ordinanze del 27 febbraio e del 13 marzo 2013 e dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia con ordinanza del 25 marzo 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 179, 197, 259, 277 e 294 del registro ordinanze 2012 ed ai nn. 3, 16, 83, 123 e 148 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 37, 39, 46 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2012 e nn. 2, 5, 7, 18, 23 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di costituzione di C.G. ed altri, di M.D. ed altro, di S.S. ed altri, di B.E.M. ed altri, di B.N. ed altri, di C.E. ed altri, di C.E. ed altri, di C.F. ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 e nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Chiara Reggio D’Aci per M.D. ed altro, per S.S. ed altri e per C.E. ed altri, Alberto Romano per B.E.M. ed altri, Vittorio Angiolini per B.N. ed altri, Giuliano Gruner per C.E. ed altri, Massimo Vernola per C.F. ed altri e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− I Tribunali amministrativi regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, per la Lombardia e per il Piemonte, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, i Tribunali amministrativi regionali per l’Umbria e per la Puglia, con distinte ordinanze di rimessione, rispettivamente iscritte ai nn. 179, 197, 259, 277 e 294 del registro ordinanze del 2012 e ai nn. 3, 16, 83, 123 e 148 del registro ordinanze del 2013, hanno sollevato, nel complesso, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 della Costituzione.

1.1.− Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha impugnato anche l’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost.

1.2.− Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha impugnato l’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78 del 2010, – a cui faceva seguito l’art. 2, comma 7, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148 −, in riferimento agli artt. 2 (principio di solidarietà), 3, 23, 36 e 53 Cost. (registro ordinanze n. 294 del 2012).
Tuttavia, con successivo provvedimento di correzione di errore materiale, il rimettente ha disposto che nella suddetta ordinanza i riferimenti normativi fossero sostituiti con l’indicazione «art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010».

1.3.− Le questioni sono state sollevate nel corso di giudizi promossi da docenti universitari di ruolo, ordinari, straordinari, associati, ricercatori, nei confronti, nel complesso, delle rispettive università degli studi, del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Presidente del Consiglio dei ministri, per ottenere l’accertamento del diritto alla corresponsione del proprio trattamento economico senza l’applicazione delle misure di blocco previste dall’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010.
Tali disposizioni prevedono che «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

1.4.− I giudici rimettenti, quanto alla rilevanza delle questioni, ritengono che la disciplina in esame trovi diretta applicazione in ordine ai docenti universitari di ruolo, non potendosi escludere che, per gli stessi, il sistema di progressione stipendiale presenti caratteri di automatismo.
In particolare, il TAR Lombardia ed il TAR Umbria (registro ordinanze n. 197 del 2012, n. 83 e n. 123 del 2013), espongono che l’applicabilità dell’art. 9, comma 21, nei confronti dei ricorrenti, non è contraddetta dal nuovo sistema di progressione economica, introdotto dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), poiché la progressione stipendiale rimane prefigurabile ex ante in quanto non subordinata ad eventi estranei alla sfera lavorativa degli interessati, quali le determinazioni assunte in sede di contrattazione collettiva o il superamento di selezione tra più aspiranti.
Per tutti i rimettenti, quindi, i ricorrenti subiscono un immediato pregiudizio dalle disposizioni di blocco in esame, ed hanno un interesse attuale a ricorrere, in ragione del contenuto precettivo delle disposizioni censurate.
I TAR, quindi, ritengono di dover fare applicazione delle stesse, così disattendendo uno dei motivi dei ricorsi proposti, e sospettano le medesime di illegittimità costituzionale.

1.5.− La non manifesta infondatezza è dedotta da ciascun Tribunale amministrativo regionale con riguardo a più parametri costituzionali nei termini di seguito indicati.

2.− Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria (registro ordinanze n. 179 del 2012), nell’impugnare l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 2 (dignità sociale e solidarietà), 3 (ragionevolezza, uguaglianza e partecipazione), 36, 53 e 97 Cost., rileva come la disciplina ivi contenuta privi i docenti universitari di utilità economiche ormai acquisite nell’aspettativa relativa al proprio trattamento retributivo, alterando in tal modo la disciplina di un rapporto di durata. I docenti universitari, in ragione della riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010, che collega la progressione economica a meccanismi di valutazione, non potranno contare, allo scadere del blocco, a differenza di tutti i dipendenti non contrattualizzati, della ripresa del più favorevole regime automatico dell’applicazione degli scatti stipendiali.
Il blocco in esame opera anche rispetto al nuovo sistema di classi e scatti, sancito dalla legge n. 240 del 2010 e viola gli artt. 3, 97 e 36 Cost., non potendosi ravvisare alcun automatismo nel nuovo sistema di progressione economica, che non potrà che operare dal 2014, con nocumento per il buon andamento dell’amministrazione e lesione del principio di proporzionalità tra la retribuzione e la qualità e quantità del lavoro effettivamente svolto dal docente.

2.1.− Il TAR Calabria qualifica il blocco, sia dell’adeguamento che degli scatti stipendiali, come imposizione di natura tributaria e prospetta la violazione degli artt. 3, 97, 36 e 53 Cost.
Il Giudice amministrativo deduce che la disciplina in esame, che disattende la proporzionalità tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro prestato, sarebbe in contrasto con il principio della capacità contributiva, poiché il meccanismo del blocco colpisce in modo maggiore i titolari di stipendi più bassi, e con quello della progressività, atteso che il blocco colpisce nella stessa misura percentuale tutti i docenti a prescindere dal reddito o dal numero di scatti maturati nel triennio.
La stessa disciplina applica una misura indistinta a classi di stipendio disomogenee senza considerare la complessiva situazione reddituale dei soggetti incisi, presenta carattere continuativo e opera solo rispetto ad alcune classi di persone esentando, quindi, alcune categorie di contribuenti da tale imposizione straordinaria.
L’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione sarebbero lesi dal momento che vengono penalizzati i docenti più giovani, in contrasto con le esigenze di valorizzazione delle giovani generazioni di ricercatori.

2.2.− La norma in esame è, altresì, sospettata di illegittimità costituzionale, qualora se ne negasse la natura tributaria, nella parte in cui esclude qualsiasi possibilità di successivo recupero degli incrementi stipendiali oggetto del blocco, così violando gli artt. 3, principi di uguaglianza e di ragionevolezza, 97 e 36 Cost. Analogo vincolo, peraltro, non sussisterebbe per il personale contrattualizzato.

2.3.− Ad avviso del TAR rimettente, sarebbero lesi anche gli artt. 2 e 23 Cost., in quanto viene sacrificata la dignità sociale della persona «lavoratore-pubblico» che non può essere considerato responsabile della crisi finanziaria, e che è soggetto alle scelte del legislatore e del datore di lavoro.

2.4.− Sotto ulteriore profilo, poi, il TAR Calabria, deduce la violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in quanto il blocco, ricondotto dal legislatore nell’alveo della riduzione di spesa, riguarderebbe ingiustificatamente una categoria di sicura “tassabilità”, trascurando di recuperare le imposte evase.

2.5.− Il solo art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, è ritenuto lesivo degli artt. 42 e 97 Cost. Assume il giudice a quo che qualora non si riconoscesse alle disposizioni censurate natura tributaria, non potrebbe non rilevarsi che le stesse hanno natura sostanzialmente espropriativa, dal momento che determinano una vera e propria ablazione di redditi formanti oggetto di diritti quesiti, senza la previsione di alcun indennizzo.
Le vicende espropriative possono riguardare anche beni mobili fungibili, quali il denaro, sicché si sarebbe in presenza di una norma-provvedimento, con conseguente violazione dell’art. 97 Cost., avendo quest’ultima eliso la fase del procedimento, deputata alla partecipazione degli interessati, al fine di interloquire sulla legittimità e sull’opportunità delle scelte cui sono chiamati a contribuire.

3.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto delle questioni, deducendone la non fondatezza. La difesa dello Stato ha posto in rilievo le esigenze di contenimento della spesa pubblica che costituiscono il fondamento delle disposizioni in esame. Quest’ultime trovano un precedente nell’art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale (sentenza n. 245 del 1997).
Atteso che la norma impugnata ha toccato tutti i dipendenti del settore pubblico, modulando la portata dell’intervento in ragione dello specifico ordinamento, non sarebbe ravvisabile la dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
La norma in questione non avrebbe natura tributaria in quanto destinata ad operare una riduzione di spesa e non a realizzare un maggior gettito, né la stessa lederebbe l’art. 36 Cost.

4.− Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (registro ordinanze n. 197 del 2012), ha impugnato l’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e 53 Cost.
La previsione del blocco alla maturazione delle classi e scatti di stipendio per un triennio, con effetti permanenti, infatti, determina una paralisi della progressione stipendiale dei ricorrenti, non paragonabile alla più circoscritta misura annuale, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 245 del 1997, venendo così lesi i criteri di ragionevolezza e ponderazione posti a presidio del principio di eguaglianza.
Il carattere non eccezionale della disciplina impugnata troverebbe conferma anche nell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in quanto stabilisce la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle misure in esame.
L’esclusione di qualsiasi recupero comporta che i meccanismi di adeguamento riprenderanno a decorrere solo dal 2014, con la possibile alterazione del rapporto tra valore reale della retribuzione e aumento del costo della vita e con la conseguente lesione degli artt. 36 e 97 Cost.
Si paleserebbe, altresì, disparità di trattamento tra i ricorrenti e le altre categorie di dipendenti pubblici menzionati dall’art. 9, comma 21, atteso che il legislatore non ha distinto tra coloro che possono conseguire l’avanzamento solo a seguito di positiva valutazione e coloro che vi hanno diritto a prescindere, per i quali, una volta decorso il triennio, i cosiddetti automatismi stipendiali riprenderanno a decorrere come prima.

4.1.− Anche il TAR Lombardia prospetta la violazione dell’art. 53 Cost., con argomentazioni analoghe a quelle prospettate dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria.

5.− Sono intervenuti nel giudizio C.G. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno richiamato, a sostegno della fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, la sentenza n. 223 del 2012, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21.
In particolare, gli interventori espongono che non sono ravvisabili nella fattispecie in esame gli indici per escludere il possibile carattere arbitrario di una normativa di blocco, e cioè la natura temporanea della misura e la distribuzione in modo uguale (o per territorio e categorie) del carico dei sacrifici chiesti dall’emergenza.

6.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi non fondate le questioni in esame, con argomentazioni analoghe a quelle già esposte con riguardo all’ordinanza n. 179 del 2012, richiamando, altresì, la lettera in data 5 agosto 2011 con la quale la Banca Centrale Europa chiedeva di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche, valutando la riduzione dei costi del pubblico impiego.

7.− Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara (reg. ord. n. 294 del 2012), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78 del 2010, − a cui faceva seguito l’art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148 −, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 Cost.
Con decreto collegiale del 30 novembre 2012, il TAR, su istanza di parte ricorrente, ha proceduto a correzione di errore materiale, rilevando che il collegio intendeva riferirsi all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.
Il TAR premette che analoga questione è stata sollevata con l’ordinanza n. 701 del 2011 (ordinanza iscritta al reg. ord. n. 46 del 2012, decisa con la sentenza n. 223 del 2012) e afferma che la normativa in questione si sostanzia in una prestazione economica imposta in via duratura, un triennio, attuata mediante blocchi stipendiali gravanti sui dipendenti pubblici, lasciando indenni i lavoratori privati.

8.− Sono intervenuti in giudizio C.E. e altri, ricorrenti nel giudizio a quo, sostenendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.

9.− È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile sia per difetto di rilevanza, in quanto le norme impugnate non sembrerebbero applicabili alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, dal momento che il ricorso veniva proposto da alcuni professori o ricercatori di ruolo per il riconoscimento del trattamento stipendiale spettante, sia perché, in relazione alle suddette disposizioni, è intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale con la sentenza n. 223 del 2012.

10.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con due ordinanze (registro ordinanze n. 259 e n. 277 del 2012), ha impugnato l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost.

10.1.− Il TAR, in primo luogo riporta, facendole proprie, le censure di violazione degli artt. 3, 97, 36 e 53 Cost., proposte dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria (registro ordinanze n. 179 del 2012), e richiama l’ordinanza di rimessione n. 197 del 2012 del TAR Lombardia.

10.2.− In secondo luogo, prospetta i seguenti vizi di costituzionalità.
Ad avviso del rimettente, la norma, pur collocata in un ambito emergenziale, dà luogo alla definitiva perdita di un triennio di anzianità, sia quale mancata percezione degli scatti che sarebbero maturati, ma anche quale azzeramento di detto periodo di anzianità.
Sussisterebbe, quindi, ad opera del disposto taglio lineare, focalizzato per settore di lavoratori (pubblico impiego) e categoria (docenti universitari), una disparità di trattamento legata alla casualità.
La Corte costituzionale avrebbe ritenuto legittime misure di blocco, valorizzandone la limitata durata temporale giustificata da contingenti emergenze economiche. Tali condizioni non sarebbero ravvisabili nel caso di specie, atteso il carattere permanente, discriminatorio e regressivo della misura, in contrasto con le finalità dichiaratamente temporali ed emergenziali.
Quanto alla prospettata violazione dell’art. 3, il TAR chiarisce che il congelamento della progressione per un triennio, in ragione del meccanismo biennale della progressione stipendiale, potrebbe colpire alcuni degli interessati due volte e che l’uniforme ed indiscriminato blocco delle classi determina una perdita economica più pesante per coloro che hanno una retribuzione tabellare più bassa, non riconducibile ad un mero inconveniente di fatto.
Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 36 Cost., il rimettente espone che la disposizione in esame cronicizza e rende fisiologica una disparità retributiva a parità di mansioni ed anzianità effettiva, ledendo, altresì, il canone dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione.

11.− Nel giudizio iscritto al n. 259 del registro ordinanze del 2012 sono intervenuti S.S. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle prospettazioni dell’ordinanza di rimessione.
Gli interventori hanno posto in evidenza come il blocco per un triennio, senza possibilità di recupero, delle progressioni economiche automatiche, determina una perdita sull’intera carriera futura del singolo soggetto, con effetti regressivi che ricadono sulle fasce di stipendio più basse.
Sussisterebbe, altresì, disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di personale non contrattualizzato, atteso che il comma 22 dell’art. 9 ha stabilito per il personale di Magistratura e dell’Avvocatura dello Stato, che la riduzione stipendiale «non opera ai fini previdenziali» e che nei confronti del predetto personale «non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo» del medesimo art. 9.
Il sacrificio economico imposto ai docenti universitari non sarebbe, altresì, adeguatamente giustificato rispetto al contenimento della spesa pubblica, in ragione del numero dei primi nell’ambito dei dipendenti pubblici.
Infine, le norme censurate inciderebbero sulla regola della proporzionalità della retribuzione.

12.− Nel medesimo giudizio iscritto al n. 259 del registro ordinanze 2012, hanno spiegato intervento, con deduzioni difensive analoghe a quelle di S.S. e altri, anche M.D. e D.R.

13.− Nel giudizio iscritto al n. 277 del registro ordinanze 2012 hanno spiegato intervento B.E.M. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, che, in particolare, nel censurare le disposizioni di cui all’art. 9, comma 21, secondo periodo, hanno sottolineato come l’ordinamento universitario non preveda più un automatismo nella progressione economica per effetto della riforma introdotta sin dal decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1, e che detta norma produce degli effetti permanenti, lesivi degli artt. 36 e 97 Cost.

14.− In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la non fondatezza delle questioni, con argomentazioni analoghe a quelle già sopra riportate.

15.− Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con due ordinanze (registro ordinanze n. 3 e n. 16 del 2013) ha impugnato l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3 e 97 Cost., anche in relazione all’art. 9 e 36 Cost.
Il rimettente ricorda come già in precedenza il legislatore sia intervenuto sulla retribuzione dei docenti universitari, stabilendo la corresponsione dell’adeguamento in misura ridotta del 70 per cento e il differimento di 12 mesi della maturazione dell’aumento biennale o della classe di stipendio, nel limite del 2,5 per cento.
Tale successione di interventi, ad avviso del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, ha dato luogo ad un’inesorabile erosione del potere di acquisto di tale categoria con la conseguente violazione degli artt. 3 e 36 Cost.
Il rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 223 del 2012, da cui si desume la non conformità a Costituzione di tutti gli interventi legislativi che, in ragione di un’emergenza finanziaria continua e non adeguatamente governata con efficaci misure eque e strutturali, non solo di spesa, ma anche di entrata, colpiscono a ripetizione e con effetti duraturi le retribuzioni del pubblico impiego.
Il carattere non eccezionale dell’intervento trova conferma nella proroga dello stesso al 31 dicembre 2014, disposto dall’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011.
Quindi, in presenza della reiterazione di misure afflittive, la dichiarata natura eccezionale e transitoria, non appare compatibile con l’art. 3 Cost., violandosi, diversamente il principio della generalità e della ragionevolezza delle norme giuridiche.
Altro profilo di illegittimità costituzionale per la violazione degli artt. 3 (principio di eguaglianza e ragionevolezza), 97 (imparzialità e buon andamento dell’amministrazione), anche con riferimento al diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36 Cost.) è ravvisato in ragione del rinvio della riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010, a cui è stata data attuazione con il d.P.R. 15 dicembre 2011, n. 232 (Regolamento per la disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari, a norma dell’articolo 8, commi 1 e 3 della legge 30 dicembre 2010, n. 240), che esclude l’automatismo delle progressioni stipendiali.
Sussisterebbe, altresì, la lesione dell’art. 36 Cost., in quanto il meccanismo degli scatti, specie se legato ad una valutazione dell’attività effettivamente svolta, è collegato al principio di proporzionalità tra la retribuzione percepita e la qualità e quantità del lavoro effettivamente svolto.
Come già prospettato dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, vi sarebbe disparità di trattamento tra gli stessi docenti universitari, in quanto si è in presenza di una misura indistinta, con un effetto più gravoso per i docenti con minore anzianità. Come già dedotto nelle altre ordinanze di rimessione, la prevista esclusione di possibilità di recupero, sia per la misura di cui al primo periodo del comma 21, che per quella di cui al secondo periodo, sarebbe irragionevole e violerebbe gli artt. 3, 36 e 97 Cost. L’irragionevolezza della preclusione emerge nella comparazione delle disposizioni che riguardano i dipendenti contrattualizzati, non essendo previsto un effetto simile.

16.− Sono intervenuti nel giudizio, iscritto al n. 3 del registro ordinanze 2013, B.N. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle censure del TAR.

17.− È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, che nel sostenere l’infondatezza delle questioni, ha prospettato argomentazioni analoghe a quelle già prospettate con riguardo agli altri giudizi.

18.− Con due ordinanze (registro ordinanze n. 83 e n. 123 del 2013), il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, con analoghe argomentazioni, ha censurato l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 9, 33, 34, 36, 37, 53, 77 e 97 Cost.
Sussisterebbe la violazione dell’art. 3 Cost., in ragione del carattere non transeunte delle misure, come confermato dall’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. 98 del 2011, che determinano una paralisi nella progressione stipendiale dei docenti universitari, senza recupero.
Il TAR richiama la sentenza n. 223 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’omologo blocco stipendiale emergenziale disposto nei confronti dei magistrati.
Tale statuizione, pure considerando le guarentigie costituzionali a tutela dell’autonomia ed indipendenza della magistratura e del relativo trattamento economico, assume valenza generale, poiché gli interventi del legislatore di carattere emergenziale, istitutivi di misure che incidono in modo afflittivo sul trattamento economico del personale pubblico, devono essere “temporalmente delimitati”, diversamente da quanto avvenuto con il decreto-legge in questione.
Sarebbero, altresì lesi, gli artt. 3, 36 e 97 Cost.
Il medesimo TAR, nel ricordare la riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010, con argomentazioni analoghe a quelle esposte dal TAR Calabria, deduce la lesione della tutela dell’affidamento e il venir meno del rapporto di proporzionalità tra retribuzione e qualità del lavoro prestato, nonché la disparità di trattamento che si viene a determinare tra docenti universitari in ragione della diversa anzianità, con la penalizzazione dei docenti e ricercatori con minor anzianità di servizio, e con le altre categorie di personale in regime di diritto pubblico che continuano ad avere un progressione economica automatica.
Anche questo TAR assume la natura tributaria delle disposizioni censurate svolgendo argomentazioni analoghe a quelle già sopra riportate.
Ad avviso del giudice amministrativo non sarebbe manifestamente infondata la violazione dell’art. 77 Cost., mancando i presupposti della «necessità» e dell’«urgenza», atteso che l’esigenza di controllo della finanza pubblica non appare di per sé condizione necessaria e sufficiente a concretare tali requisiti, anche laddove si consideri che la norma in esame ha lo scopo di produrre effetti a distanza di oltre sei mesi dalla sua adozione. I vizi del decreto-legge così denunciati non possono, peraltro, esser fatti salvi dalla legge di conversione.
Infine il TAR denuncia la violazione degli artt. 3, secondo comma, 9, primo comma, 33 e 34 Cost., poiché le forti decurtazioni stipendiali, penalizzano irragionevolmente il personale docente, in contrasto con le richiamate disposizioni costituzionali che testimoniano la rilevanza sul piano sostanziale della valorizzazione della ricerca scientifica e dell’insegnamento, essendo in particolare, la centralità della ricerca scientifica richiamata all’interno dei principi fondamentali.

19.− Nel giudizio iscritto al n. 83 del registro ordinanze 2013 sono intervenuti C.E. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle censure prospettate dal rimettente.
In particolare gli interventori hanno evidenziato come, in ragione della misura in esame che tocca solo una parte del personale non contrattualizzato e introduce una forma di prelievo tributario, l’anzianità maturata nel triennio non è recuperabile, con effetti che si ripercuotono su tutto l’arco della carriera, gravando in modo maggiore sui soggetti più giovani.

20.− Sia in quest’ultimo, che in quello promosso con l’ordinanza n. 123 del 2013, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, che, nel sostenere l’infondatezza delle questioni, ha prospettato argomentazioni analoghe a quelle già prospettate con riguardo agli altri giudizi.

21.− Il Tribunale regionale amministrativo per la Puglia (registro ordinanze n. 148 del 2013), ha impugnato l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e 53 Cost.
Il TAR assume che il carattere non contingente della misura in esame viola l’art. 3, secondo comma, Cost.
La norma lederebbe altresì i principi di cui agli art. 3 e 53 Cost., come specificati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Come già evidenziato nelle ordinanze di rimessione del TAR Calabria e del TAR Lombardia il prelievo in esame, modulato senza alcuna differenziazione, si è indirizzato verso una categoria di contribuenti caratterizzata dall’avere la parte pubblica come datore di lavoro, risultando esentati dall’imposizione straordinaria tutti gli altri contribuenti pure in possesso di rilevanti redditi.
L’illegittimità della disposizione si palesa, inoltre, per la mancata previsione di un successivo recupero degli incrementi stipendiali oggetto del blocco, per violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione e con riguardo alla proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
L’irragionevolezza della disposizione si apprezzerebbe ancor più nel confronto con il personale contrattualizzato.

22.− Sono intervenuti in giudizio C.F. ed altri, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alle prospettazioni del rimettente e richiamando a sostegno la sentenza n. 223 del 2012.

23.− In prossimità dell’udienza pubblica i ricorrenti nel giudizio a quo, intervenuti nel giudizio promosso con l’ordinanza n. 197 del 2012, hanno depositato memoria con la quale nel ribadire le difese svolte hanno osservato, in particolare, che la normativa in questione determina un concreto pregiudizio alla vita accademica, nonché all’esistenza personale di essi ricorrenti e la conferma del blocco sino al 2014 ne pone in luce il carattere non eccezionale e non temporaneo.
Nel giudizio promosso con l’ordinanza n. 259 del 2012 i ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno spiegato intervento, hanno depositato memoria con la quale hanno posto in evidenza che la normativa censurata determina una disciplina restrittiva in ordine alla rilevanza della anzianità di servizio, ingiustificata in ragione del fatto che per essi la progressione di carriera non è mai automatica ma è sempre soggetta ad un controllo di qualità.
Nel giudizio promosso con l’ordinanza n. 3 del 2013, B.N. ed altri, parti ricorrenti nel giudizio a quo, intervenuti, hanno depositato memoria, in prossimità dell’udienza, con la quale hanno prospettato la sussistenza della lesione dell’art. 53 Cost., diversamente da quanto ritenuto dal giudice rimettente.
Gli interventori hanno dedotto, che le misure in esame eccedono la sfera dell’emergenza economico-finanziaria dello Stato, transitoria o, comunque, circoscritta nel tempo, anche in ragione della intervenuta proroga sino al 31 dicembre 2014.
Gli interventori osservano che la non contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei docenti universitari è stata mantenuta in conformità ai principi dell’autonomia universitaria, di cui all’art. 33 Cost., e dunque in vista di maggiori garanzie in ordine all’esercizio imparziale ed indipendente della funzione.

24.− Anche la difesa dello Stato, nei giudizi promossi con le ordinanze n. 197 e n. 259 del 2012 e n. 83 e n. 123 del 2013, ha depositato memoria, con la quale ha posto in evidenza come gli Stati membri dell’Unione Europea si sono assoggettati all’obbligo di recepire nelle rispettive Costituzioni le regole impartite dal Patto di stabilità e crescita. Successivamente, per effetto dell’entrata in vigore della direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), sono state dettate regole minime affinché fosse garantito il rispetto da parte degli Stati firmatari dell’obbligo, imposto direttamente dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
In particolare, espone l’Avvocatura dello Stato che la materia disciplinata dalla direttiva costituisce, peraltro, oggetto di recente intervento normativo dell’Unione europea, prospettato dalla proposta di regolamento recante disposizioni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell’eurozona [COM (2011) 821, parte del cosiddetto two pack], attualmente all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.
Infine ricorda come il Trattato sulla stabilità, il coordinamento nella governance nell’Unione economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, cosiddetto Fiscal compact, all’art. 3, impegni le parti contraenti ad applicare ed introdurre, entro un anno dalla entrata in vigore del Trattato, norme vincolanti e a carattere permanente.

FINE PRIMA PARTE poiché la sentenza supera le parole consentite:
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Aggiunto la SECONDA PARTE:
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Considerato in diritto

1.− I Tribunali amministrativi regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, per la Lombardia e per il Piemonte, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, e i Tribunali amministrativi regionali per l’Umbria e per la Puglia, con nove ordinanze di rimessione, rispettivamente iscritte ai nn. 179, 197, 259 e 277 del registro ordinanze del 2012 ed ai nn. 3, 16, 83, 123 e 148 del registro ordinanze del 2013, hanno sollevato, nel complesso, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 della Costituzione.

1.1.− Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha impugnato anche l’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost.

1.2.− Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con l’ordinanza n. 294 del 2012, ha impugnato l’art. 9, commi 2 e 22, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 2, 3, 23 e 53 Cost. Tuttavia, con successivo provvedimento di correzione di errore materiale, il rimettente ha disposto che nella suddetta ordinanza i riferimenti normativi fossero sostituiti con l’indicazione «art. 9 comma 21 del d.l. n. 78 del 2010».

1.3.− Le questioni hanno ad oggetto, nella quasi totalità, le stesse norme, con argomentazioni in ampia parte coincidenti e, pertanto, deve essere disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un’unica trattazione e di un’unica pronuncia.

2.− Nei giudizi rispettivamente promossi con le ordinanze nn. 197, 259, 277 e 294 del 2012, ed ai nn. 3, 83 e 148, del registro ordinanze 2013, sono intervenuti i ricorrenti in sede di giurisdizione amministrativa.
Gli interventi sono ammissibili, atteso che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che le parti del giudizio principale sono legittimate ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 237 del 2013).

3.− Alcuni degli intervenuti, peraltro, nell’aderire all’ordinanza di rimessione, invocano parametri ulteriori rispetto all’ordinanza di rimessione e, al riguardo, si deve ricordare che, per costante orientamento di questa Corte, l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle sole norme e parametri indicati, pur se implicitamente, nell’ordinanza e che quindi non possono essere presi in considerazione questioni o profili di costituzionalità diversi, tanto se siano stati dedotti ma non fatti propri dal giudice a quo, quanto se ampliano o modificano il contenuto delle stesse ordinanze (ex multis, sentenza n. 298 del 2011).
Pertanto, le censure di violazione dell’art. 53 Cost., prospettate da B.N. ed altri, costituiti nel giudizio promosso con l’ordinanza n. 3 del 2013, sono inammissibili.

4.− Deve essere anche dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, sollevata dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost., sia per difetto di motivazione sulla rilevanza, dal momento che la controversia verte sull’applicazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, e dunque il rimettente non deve fare applicazione dell’art. 9, comma 2, sia in quanto, con la sentenza n. 223 del 2012, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale disposizione.

5.− È egualmente manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 (così rettificata in sede di correzione di errore materiale l’ordinanza di rimessione), sollevata dal TAR Abruzzo, sezione staccata di Pescara, per difetto di motivazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza, atteso che le argomentazioni poste a base delle censure, anche in ragione dell’espresso richiamo all’ordinanza di rimessione n. 701 del 2011, iscritta al n. 46 del registro ordinanze 2012 e decisa con la sentenza n. 223 del 2012, sono relative ai commi 2 e 22 del citato art. 9, di cui il TAR non è chiamato a fare applicazione.

6.− Il vaglio di legittimità costituzionale, dunque, si incentra sull’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, che stabilisce: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».
La norma, dunque, prevede per il personale cosiddetto non contrattualizzato di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), tra cui i docenti universitari, il blocco per il triennio 2011-2013:

a) dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), per gli anni 2011, 2012 e 2013;

b) degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio, relativi allo stesso periodo;

c) di ogni effetto economico delle progressioni in carriera, comunque denominate, conseguite nel periodo 2011-2013.

7.− È presente in tutte le ordinanze la doglianza della mancanza di ragionevolezza dell’azione legislativa, che è dedotta, nel complesso, insieme alla disparità di trattamento, alla lesione dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, alla violazione del principio di proporzionalità della retribuzione, alla lesione del principio di promozione della ricerca scientifica e del valore dell’insegnamento.

La censura è prospettata sotto due profili.

In primo luogo, le norme sono sottoposte al vaglio della Corte per l’inadeguato bilanciamento, operato dal legislatore, tra le finalità di risparmio di spesa della complessiva manovra economica contenuta nel d.l. n. 78 del 2010 e i plurimi interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo, non potendosi ravvisare, nella specie, per la protrazione nel tempo del blocco e per l’esclusione di successivi recuperi, le condizioni in presenza delle quali questa Corte ha ritenuto legittime analoghe misure (in particolare, sono richiamate le sentenze n. 245 del 1997 e n. 223 del 2012).
In secondo luogo, i rimettenti deducono l’irragionevolezza delle disposizioni, da un lato, per la peculiarità del meccanismo di progressione stipendiale dei docenti universitari, che sarebbe privo di un automatismo tout court, in ragione della riforma introdotta con la legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario); dall’altro, per gli effetti che le stesse determinano nell’ambito della categoria professionale dei docenti universitari, dal momento che il carattere indifferenziato della misura colpirebbe in modo più gravoso i ricercatori universitari e coloro che hanno minore anzianità di servizio, nonché coloro che nel triennio avrebbero maturato due dei previsti scatti biennali.

8.− È opportuno procedere ad una ricognizione del quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni impugnate, sia con riguardo agli specifici meccanismi di adeguamento e sviluppo della retribuzione su cui incidono quest’ultime, sia con riguardo ad alcuni profili dell’ordinamento universitario.

8.1.− Quanto al primo periodo del comma 21 dell’art. 9, esso incide sul cosiddetto adeguamento stipendiale disciplinato dall’art. 24, comma 1, della legge n. 448 del 1998, secondo cui la retribuzione delle categorie di personale non contrattualizzato ivi indicate, tra cui i docenti e i ricercatori universitari, è adeguata di diritto annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall’Istituto nazionale di statistica, conseguiti nell’anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, utilizzate dal medesimo Istituto per l’elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali.
Si può ricordare, in proposito, come la giurisprudenza amministrativa abbia avuto modo di rilevare che l’adeguamento in questione, in quanto correlato alla dinamica salariare dei dipendenti pubblici che si avvalgono del regime della contrattazione collettiva, costituisce sul piano sostanziale un miglioramento retributivo del tutto omologo a quello riconosciuto per il periodo di riferimento al personale contrattualizzato (Consiglio di Stato, sezione sesta, decisione 21 settembre 2010, n. 6991).
Il sistema di adeguamento richiamato nell’art. 9, comma 21, primo periodo, funge, dunque, da criterio di determinazione stipendiale indiretto e per relationem, con fini perequativi a favore di categorie non contrattualizzate, all’andamento delle dinamiche retributive degli altri settori del pubblico impiego.

8.2.− Nell’esaminare la disciplina di blocco, senza possibilità di successivo recupero, del suddetto meccanismo di adeguamento, occorre ricordare che il d.l. n. 78 del 2010, al comma 17, dello stesso art. 9, coerentemente con la norma in esame, ha stabilito, tra l’altro, che «Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012» del personale contrattualizzato.

8.3.− La disciplina delle classi e degli scatti legati all’anzianità di servizio dei professori e ricercatori universitari, su cui incide il secondo periodo dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, stabilendo che ai fini della maturazione degli stessi non sono utili gli anni 2011, 2012 e 2013, trova fondamento nel d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica). Quest’ultimo articola la progressione economica dei docenti di ruolo delle università in una serie di classi e scatti biennali di stipendio, che incidono diversamente a seconda dell’anzianità di servizio.
In particolare, per i professori ordinari la progressione economica si sviluppa in sei classi biennali di stipendio, pari ciascuna all’8 per cento della classe attribuita ai medesimi all’atto della nomina ad ordinario, ovvero del giudizio di conferma, ed in successivi scatti biennali del 2,50 per cento, calcolati sulla classe di stipendio finale (art. 36, quarto comma, del d.P.R. n. 382 del 1980); per i ricercatori confermati, la progressione economica si sviluppa in sette classi di stipendio, pari ciascuna all’8 per cento del parametro iniziale ed in successivi scatti biennali del 2,50 per cento, calcolati sulla classe finale (art. 38, primo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980).
Va ricordato che ai sensi dell’art. 3-ter, comma 1, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1, «Gli scatti biennali di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, destinati a maturare a partire dal 1° gennaio 2011, sono disposti previo accertamento da parte della autorità accademica della effettuazione nel biennio precedente di pubblicazioni scientifiche»; e che il successivo comma 2 ha sancito che «I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni sono stabiliti con apposito decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su proposta del Consiglio universitario nazionale e sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca».
Il sistema è stato poi modificato dalla legge n. 240 del 2010: infatti, alla stregua degli artt. 6, comma 14, e 8, comma 1, a decorrere dall’entrata in vigore dei regolamenti attuativi della legge stessa, le classi e gli scatti sono triennali e legati all’esito di una valutazione, le cui modalità sono da definire con apposito regolamento (poi adottato con il d.P.R. 15 dicembre 2011, n. 232 che reca «Regolamento per la disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari, a norma dell’articolo 8, commi 1 e 3 della legge 30 dicembre 2010, n. 240»).

8.4.− Va anche ricordato che con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, all’art. 16, comma 1, lettera b), è stato previsto che per le stesse finalità della legge in esame «con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, […] può essere disposta […] la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime», e che tale proroga è stata in effetti disposta con il d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111).

9.− Così riepilogato il quadro normativo di riferimento, può passarsi ad esaminare le censure prospettate.

10.− Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, sollevata dal solo TAR Umbria (registro ordinanze nn. 83 e 123 del 2013), in riferimento all’art. 77 Cost., per la asserita mancanza dei presupposti di «necessità» e di «urgenza», atteso che l’esigenza di controllo della finanza pubblica non sarebbe di per sé condizione necessaria e sufficiente a concretare tali requisiti.
In realtà il d.l. n. 78 del 2010, che reca l’intestazione «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», è stato adottato ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all’evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica, esigenze che non sono concretamente contestate nelle ordinanze di rimessione.
E d’altro canto l’art. 9, rubricato: «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico», e che si inserisce nel Capo III «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, invalidità e previdenza», appare del tutto coerente con tali finalità di contenimento della spesa pubblica. In particolare, la protrazione nel tempo – anche se
non senza limiti − delle misure previste non contraddice la sussistenza della necessità ed urgenza, attese le esigenze di programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.

11.− Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dal TAR Lombardia, dal TAR Umbria e dal TAR Puglia, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 36 e 53 Cost.
Alle disposizioni in esame, infatti, non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non danno luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l’erario.
La giurisprudenza della Corte, da ultimo (sentenza n. 223 del 2012), ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve comportare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse derivanti, che devono essere connesse ad un presupposto economicamente rilevante, vanno destinate a «sovvenire» le pubbliche spese.
Conseguentemente, non possono trovare ingresso le censure relative al mancato rispetto dei principi di progressività e di capacità contributiva.

12.− Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, sollevate, nel complesso, dal TAR Umbria e dal TRGA Trento, in riferimento agli artt. 9, 33, 34 e 97 Cost.
Si ricorda in proposito come la giurisprudenza della Corte non suffraghi la conferenza di tali parametri al trattamento economico dei docenti universitari, atteso che con la sentenza n. 22 del 1996, si è affermato, con specifico riguardo all’art. 33 Cost., la «non pertinenza di tale parametro al problema del trattamento economico dei docenti, posto che l’autonomia oggetto di tale disposizione “non attiene allo stato giuridico dei professori universitari” […], “i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge statale ritiene di adottare”».
La successiva sentenza n. 383 del 1998 ha poi affermato che «Gli artt. 33 e 34 della Costituzione pongono i principi fondamentali relativi all’istruzione con riferimento, il primo, all’organizzazione scolastica (della quale le università, per quanto attiene all’attività di insegnamento sono parte: sentenza n. 195 del 1972); con riferimento, il secondo, ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l’una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione. Questa connessione richiede un’interpretazione complessiva dei due articoli della Costituzione».

13.− Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate da tutti i rimettenti, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2 (dignità sociale e solidarietà), 3 (principio di ragionevolezza e di uguaglianza, partecipazione), 36 e 97 (anche in riferimento all’art. 9), Cost., nonché al principio dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, con riguardo al blocco sia dell’adeguamento, che delle classi e degli scatti.

13.1.− Viene in proposito più volte richiamata la sentenza n. 223 del 2012 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 22, relativo al blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale di magistratura.
La pronuncia evidenzia in particolare le peculiari modalità di attribuzione dell’adeguamento, mediante acconti e conguagli, «per il solo personale della magistratura», ed ha riaffermato che attraverso tale meccanismo, la legge, sulla base dei principi costituzionali, ha messo al riparo la magistratura da qualsiasi forma di interferenza, che potesse, sia pure potenzialmente, menomarne l’autonomia e l’indipendenza, sottraendola alla dialettica negoziale.
È su queste basi che essa ha quindi concluso che il relativo blocco eccede l’obiettivo di realizzare un «raffreddamento» della dinamica retributiva ed ha, invece, comportato una vera e propria irragionevole riduzione di quanto già riconosciuto sulla base delle norme che disciplinano l’adeguamento.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 22, anche nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21, va quindi ricondotta alle specificità dell’ordinamento della magistratura, specificità non sussistenti nella fattispecie in esame.

13.2.− Le censure di irragionevolezza, cui si connette, nella prospettazione dei rimettenti, la violazione degli ulteriori parametri costituzionali sopra richiamati, sia per effetto del blocco dell’adeguamento, che del blocco della progressione economica per classi e scatti, devono essere esaminate alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha enunciato le condizioni di legittimità di tali meccanismi di risparmio della spesa pubblica.
Questa Corte, in generale, ha ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione (sentenze n. 245 del 1997 e n. 299 del 1999, come richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012).

13.3.− Nella specie, quanto all’adeguamento, il blocco è stato previsto per la durata di tre anni (poi prorogato sino al 31 dicembre 2014), con l’espressa esclusione di successivi recuperi.
In proposito, va ricordato che, come in passato (art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, recante «Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali», convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438), la scelta del legislatore è stata quella di realizzare una economia di spesa e non un semplice rinvio della stessa, come si verificherebbe se i tagli fossero recuperabili.
Ed al riguardo è opportuno ricordare che l’esclusione della possibilità di recupero è stata prevista anche per il blocco delle procedure previste per il personale contrattualizzato, stabilito dal comma 17 del medesimo art. 9 del d.l. n. 78 del 2010.
Peraltro il quarto periodo del comma 21 stabilisce che «Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».
Rileva, quindi, anche nel caso in esame, quanto affermato dalla Corte con la sentenza n. 189 del 2012, laddove si è individuata la ratio legis dell’art. 9, comma 17, nella necessità di evitare che il risparmio della spesa pubblica derivante dal temporaneo divieto di contrattazione possa essere vanificato da una successiva procedura contrattuale o negoziale che abbia ad oggetto il trattamento economico relativo proprio a quello stesso triennio 2010-2012, trasformandosi così in un mero rinvio della spesa.
A maggior ragione valgono tali considerazioni, circa la razionalità del sistema, per la misura incidente sulle classi e sugli scatti, poiché le disposizioni censurate non modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco.

13.4.− Con particolare riferimento poi alla ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure, non ci si può esimere dal considerare l’evoluzione che è intervenuta nel complessivo quadro, giuridico-economico, nazionale ed europeo.
La recente riforma dell’art. 81 Cost., a cui ha dato attuazione la legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), con l’introduzione, tra l’altro, di regole sulla spesa, e dell’art. 97, primo comma, Cost., rispettivamente ad opera degli artt. 1 e 2 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), ma ancor prima il nuovo primo comma dell’art. 119 Cost., pongono l’accento sul rispetto dell’equilibrio dei bilanci da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo.
Non è senza significato che la direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), evidenzi come «la maggior parte delle misure finanziarie hanno implicazioni sul bilancio che vanno oltre il ciclo di bilancio annuale» e che «Una prospettiva annuale non costituisce pertanto una base adeguata per politiche di bilancio solide» (20° Considerando), tenuto conto che, come prospettato anche dalla difesa dello Stato, vi è l’esigenza che misure strutturali di risparmio di spesa non prescindano dalle politiche economiche europee.

13.5.− Ebbene, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali quelli in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica. In particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra economica del 1992.
Le norme impugnate, dunque, superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.

13.6.− Quanto alla lamentata non ragionevolezza delle disposizioni impugnate poiché non incidono su coloro che non dichiarano le proprie disponibilità economiche all’amministrazione finanziaria, occorre rilevare che, in merito, il legislatore non potrebbe che operare su altri piani, precipuamente fiscali, con meccanismi quindi non comparabili con le misure in questione.
Più in generale, ove si intenda alludere anche ad una disparità di trattamento del lavoro pubblico rispetto a quello privato, non può non rilevarsi che le profonde diversità dello stato giuridico (si pensi alla minore stabilità del rapporto) e di trattamento economico escludano ogni possibilità di comparazione.

13.7.− La ragionevolezza delle norme impugnate non viene neanche incisa dalle generiche e assertive doglianze relative all’assenza di responsabilità dei cittadini gravati dalle misure in esame per la situazione economica che vi ha dato luogo, e alla mancata partecipazione degli stessi alle scelte di politica economica.
Quanto alla prospettata disparità di trattamento rispetto ad altro personale non contrattualizzato, quale gli avvocati e procuratori dello Stato e le Forze di polizia, si osserva che la mancata considerazione, da parte dei rimettenti, delle specificità di ciascuna categoria professionale in regime di diritto pubblico, priva le censure del necessario adeguato quadro di riferimento.

13.8.− Né è ravvisabile la lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, atteso che, come questa Corte ha più volte affermato, il legislatore può anche emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009); situazione che nella specie non può dirsi sussistente.

13.9.− In ordine alla prospettata, connessa lesione dell’art. 36 Cost., si deve rilevare, infine, come, secondo i principi affermati da questa Corte (sentenze n. 120 del 2012 e n. 287 del 2006), allo scopo di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti, occorra far riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso, dovendosi avere riguardo – in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza – al principio di onnicomprensività della retribuzione medesima. Pertanto tale parametro, ex se ed in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., non risulta violato, non incidendo le disposizioni in esame sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari nel suo complesso, né emergendo una situazione che leda le tutele socio-assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 Cost.

13.10.− Quanto al blocco delle classi e degli scatti, non sono fondate neanche le censure volte a sostenere l’irragionevolezza dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, per le ricadute delle norme impugnate sulla riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010.
Occorre premettere al riguardo che, come già ritenuto dai rimettenti nell’affermare la rilevanza delle questioni, la valutazione delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, prevista nel nuovo sistema di progressione economica, non esclude la sussistenza di quella cadenza temporale predeterminata per la progressione, che rende coerente l’applicazione del blocco anche in presenza della novella, come previsto dall’art. 8, comma 1, della legge n. 240 del 2010.
Né il prospettato differimento del sistema di valutazione, può incidere sul buon andamento delle università degli studi. Si può ricordare, infatti, che la previsione di un vero e proprio sistema di valutazione applicabile alle università italiane, può essere ricondotto alla legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e che con il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286, il sistema è stato ulteriormente disciplinato con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).
Il meccanismo di valutazione si inserisce, dunque, in un contesto già orientato a garantire la qualità dell’offerta universitaria, nell’ambito del più ampio panorama europeo. Il buon andamento dell’amministrazione universitaria, anche in riferimento all’art. 9 Cost., non è, dunque, connesso al solo sistema di avanzamento in carriera dei docenti e ricercatori universitari, come delineato dagli artt. 6 ed 8 della legge n. 240 del 2010, e pertanto non risulta compromesso.

13.11.− Viene infine dedotto uno specifico profilo di illegittimità, connesso ai differenti effetti del blocco in ragione della diversa anzianità di servizio maturata.
In proposito, va in primo luogo rilevato che l’urgenza e l’ampiezza della manovra economica contenuta nel d.l. n. 78 del 2010, in cui si inscrivono le norme censurate, ha interessato l’intero comparto del pubblico impiego: la sua stessa struttura non rendeva, dunque, possibile una frantumazione delle misure previste. D’altro canto, considerato che la materia attiene a scelte di politica economica e sociale, che non spetta a questa Corte valutare (sentenza n. 119 del 2012) se non nei limiti della evidente irragionevolezza, non emergono elementi che possano indurre ad una tale conclusione.
Va infatti osservato che il sacrificio imposto al personale docente, se pure particolarmente gravoso per quello più giovane, appare, in quanto temporaneo, congruente con la necessità di risparmi consistenti ed immediati.
Del resto, nel senso della non irragionevolezza di un analogo blocco degli incrementi retributivi, si è già pronunciata questa Corte, con la sentenza n. 245 del 1997, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438 del 1992, questione prospettata negli stessi termini dall’allora rimettente.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevata, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 Cost., dai Tribunali amministrativi regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, per la Lombardia e per il Piemonte, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, dai Tribunali amministrativi regionali per l’Umbria e per la Puglia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2013.
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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I ricorrenti, docenti universitari di ruolo, chiedevano il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo per il triennio 2011-2013, comprensivo degli adeguamenti ed incrementi derivanti dalle dinamiche stipendiali contemplate dalla normativa di settore, senza tener conto delle misure limitative introdotte dall'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010.

IL TAR di Catanzaro scrive:

La questione dedotta in giudizio è stata, nelle more, esaminata dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 17/12/2013 n. 310, ha dichiarato: (omissis, leggete in sentenza qui sotto )

Ricorso PERSO, il tutto leggetelo direttamente.
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06/03/2014 201400367 Sentenza 2


N. 00367/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01466/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso R.G. n. 1466 del 2011, proposto da L. V., rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Saitta, Gabriele Strano, Fabio Saitta, con domicilio eletto presso Gregorio De Vinci in Catanzaro, via Milano N.15/B; (congruo nr. di ricorrenti – OMISSIS - ), rappresentati e difesi dagli avv. Antonio Saitta, Fabio Saitta, Gabriele Strano, con domicilio eletto presso Gregorio De Vinci in Catanzaro, via Milano N.15/B;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore, Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, in persona del Ministro pro-tempore, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, via G. da Fiore, 34;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
A. S. F., rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Saitta, Antonio Saitta, Gabriele Strano, con domicilio eletto presso Gregorio De Vinci in Catanzaro, via Milano N.15/B; P. H. G., G. F., P. V., M. C., rappresentati e difesi dagli avv. Antonio Saitta, Fabio Saitta, Gabriele Strano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gregorio De Vinci, in Catanzaro, via Milano n.15/B;

per l’accertamento
del diritto al trattamento retributivo e previdenziale dovuto senza tener conto delle decurtazioni di cui all’art. 9, comma 21, D.L. 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010, n. 122,
e per la condanna
delle Amministrazioni intimate al pagamento delle somme corrispondenti, con interessi e rivalutazione monetaria, come per legge, dal maturare dei singoli ratei stipendiali sino al soddisfo, nonché alla ricostruzione della posizione previdenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 7 febbraio 2014, il cons. Concetta Anastasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti, docenti universitari di ruolo, chiedevano il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo per il triennio 2011-2013, comprensivo degli adeguamenti ed incrementi derivanti dalle dinamiche stipendiali contemplate dalla normativa di settore, senza tener conto delle misure limitative introdotte dall'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010, il quale prevede che "i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici".

A loro avviso, il descritto intervento normativo comporterebbe il "blocco" dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall'art. 24 della L. n. 448/1998, delle progressioni stipendiali per classi biennali di cui D.P.R. n. 382/1980 e relativi scatti, nonché di ogni effetto economico delle progressioni di carriera conseguite nel triennio.

Secondo gli esponenti, la manovra in questione sarebbe iniqua, poiché, in sostanza, il sistema retributivo dei docenti universitari sarebbe stato già significativamente inciso in tempi relativamente recenti (art. 1, comma 576 della L. n. 296/2006 e art. 69 della L. n. 133/2008) e, inoltre, gli effetti penalizzanti, in virtù di quanto disposto dall'art. 16, comma1, lett. b) del D.L. n. 98/2011, potrebbero essere prorogati anche per gli anni successivi.

Deducevano, sotto svariati aspetti, illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, chiedendo di rimettere la relativa questione alla Corte Costituzionale, in sintesi, per: a) per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, in virtù dell'irragionevolezza degli effetti prodotti e della disparità di trattamento posta in essere nei confronti di altre categorie di dipendenti pubblici non contrattualizzati, che godono di regimi basati su progressioni automatiche; b) per violazione del principio di corrispondenza fra la retribuzione e la qualità e quantità del lavoro effettivamente svolto: c) dello slittamento di tre anni dell'entrata in vigore della riforma attuata con L. n. 240/2010, ritardando l'introduzione dei prescritti meccanismi premiali basati sul merito, in funzione dei principi di buon andamento ed efficienza dell'Amministrazione universitaria.

Con atto depositato in data 27.4.2012, intervenivano ad adiuvandum, alcuni professori e ricercatori universitari.

Con atto depositato in data 7.5.2012, si costituiva la difesa erariale per le Amministrazioni intimate e, con memoria depositata in data 5.12.2013, svolgeva le proprie tesi difensive a sostegno della legittimità costituzionale delle norme indicate.

Alla pubblica udienza del giorno 7 febbraio 2014, il ricorso passava in decisione.

La questione dedotta in giudizio è stata, nelle more, esaminata dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 17/12/2013 n. 310, ha dichiarato:

1) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (“Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

2) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 2, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevata, in riferimento agli artt. 42 e 97 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

3) non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 Cost., dai Tribunali amministrativi regionali per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, per la Lombardia e per il Piemonte, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, dai Tribunali amministrativi regionali per l'Umbria e per la Puglia.

Invero, la Corte Costituzionale, confermando, in sostanza, principi già espressi con la sentenza n. 304 del 12.12.2013, con riferimento al personale diplomatico, colpito dalla stessa misura, ha evidenziato che, per le categorie di personale di cui all'art. 3 T.U. 30 marzo 2001 n. 165 e successive modificazioni, le progressioni di carriera, comunque denominate, eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013, hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici, tenendo presente che le norme censurate, a carattere di necessità e urgenza, non hanno natura tributaria, non rivestono la specificità dell'ordinamento di magistratura e mirano ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica - sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono - e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni, in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.

Pertanto, al Collegio non rimane che prendere atto della precitata sentenza della Corte Costituzionale del 17/12/2013 n. 310, richiamando integralmente i principi e le argomentazioni ivi svolte.

Conseguentemente, il ricorso si appalesa infondato e va rigettato.

Tuttavia, in ragione della specificità delle questioni trattate e dell'assenza di un univoco quadro giurisprudenziale in materia al momento della proposizione dell’odierno ricorso, le spese di giudizio possono essere integralmente compensate.

P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Schillaci, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere, Estensore
Giuseppina Alessandra Sidoti, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2014
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per l'annullamento
Per l’accertamento,

del diritto alla corresponsione alle voci retributive che ai ricorrenti non sono state corrisposte a decorrere dal 1 gennaio 2011 ed in particolare:

- le differenze retributive legate alla maturazione delle classi e agli aumenti periodici che sono intervenuti o interverranno nel corso del triennio 2011-2013 (art. 1 del D.L. n. 681 del 1982);
- le differenze retributive dipendenti dai meccanismi di adeguamento al costo della vita secondo gli indici calcolati dell’ISTAT (art. 24 della L. n. 448/1998);
le differenze retributive conseguenti al compimento, nel triennio stesso, di venticinque (art. 43, comma 23, della legge n. 121/1981 e art. 1802, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2010) o ventitré (art. 43/ter, comma 2, della L. n. 121/1981 e art. 1802, comma 3, del D.Lgs. n. 66/2010) anni di servizio;

e con atto contenente motivi aggiunti,
per l’annullamento

del D.P.R. 4 settembre 2013 n. 122 che approva il regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti a norma dell’art. 16, comma 1, 2, e 3, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111;

gli interessati, in qualità di ufficiali delle forze armate dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri con il grado di colonnello/capitano di vascello e di tenente colonnello, hanno chiesto l’accertamento del diritto all’integrale retribuzione secondo il regime di diritto pubblico previsto dalle norme vigenti per i rispettivi ordinamenti dell’Arma e delle Forze Armate in generale, che è connotato dalle seguenti regole comuni:

a) progressione economica che si sviluppa in classi biennali ed aumenti periodici;
b) adeguamento annuale del trattamento stipendiale agli incrementi medi calcolati dall’ISTAT;
c) attribuzione del trattamento economico del dirigente superiore per il servizio prestato senza demerito per 23/25 anni.

IL TAR LAZIO scrive:

ecco alcuni frammenti
------------------------------------
1) - Nel merito il Collegio nell’affrontare le questione di incostituzionalità prospettate non può prescindere dalla giurisprudenza recente della Corte Costituzionale.

2) - Con precedenti decisioni, ed in particolare con la sentenza n. 310 del 27 dicembre 2013, il Supremo Giudice delle Leggi ha già statuito, seppure partendo da questioni che sono state sollevate nel corso di giudizi promossi da docenti universitari di ruolo, ordinari, straordinari, associati e ricercatori o comunque da altre categorie similari di dipendenti pubblici non contrattualizzati, sulle questioni di presunta incostituzionalità delle medesime norme in virtù di argomentazioni che rendono quelle sollevate con l’attuale mezzo di gravame manifestamente infondate.

3) - Nella specie, quanto all’adeguamento, il blocco è stato previsto per la durata di tre anni (poi prorogato sino al 31 dicembre 2014), con l’espressa esclusione di successivi recuperi.

4) - Poichè non vengono forniti elementi argomentativi ulteriori e sufficienti a sovvertire le motivazioni già espresse dalla Corte Costituzionale nelle sentenze sopra richiamate, il Collegio ritiene che non occorrano altre precisazioni per considerare la questione manifestamente infondata.

5) - Allo stesso modo deve essere valutata la questione di incostituzionalità prospettata con il ricorso principale e con l’atto contenente motivi aggiunti relativamente all’art. 16, comma 1, lett. b) del D.L. n. 98 del 2011 convertito in L. n. 111/2011 che autorizza il Governo con uno o più regolamenti ex art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1998 a prorogare il blocco delle retribuzioni anche per il 2014.

6) - Va, infine, rilevato che, sebbene con ordinanza collegiale n. 7532 del 24 luglio 2013 la seconda Sezione di questo Tribunale abbia rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella l. 30 luglio 2010, n. 122, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, quanto in essa riportato non solo non è pienamente pertinente con il caso in esame, ma risulta del tutto superato dalla successiva sentenza n. 310 del 2013 della Corte Costituzionale di cui si è dato contezza in precedenza.

7) - Per tutte le ragioni sopra esposte il Collegio dichiara parzialmente inammissibile per incompetenza ex art. 13, comma 2, del c.p.a. il ricorso laddove proposto dai sig.ri B. S., G. G., B. F., D. M. G., G. L. e P. S., e per le altre parti lo respinge perché infondato.

Il resto per completezza leggetelo qui sotto.

N.B.: ormai con questa sentenza del Tar non esistono più speranze e possiamo metterci l'anima in pace.
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27/05/2014 201405676 Sentenza 1B


N. 05676/2014 REG.PROV.COLL.
N. 07603/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7603 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
(congruo nr. di ricorrenti), tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Guido Corso e Guerino Massimo O. Fares, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Bisagno, 14;

contro
Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

Per l’accertamento,

del diritto alla corresponsione alle voci retributive che ai ricorrenti non sono state corrisposte a decorrere dal 1 gennaio 2011 ed in particolare:
- le differenze retributive legate alla maturazione delle classi e agli aumenti periodici che sono intervenuti o interverranno nel corso del triennio 2011-2013 (art. 1 del D.L. n. 681 del 1982);
- le differenze retributive dipendenti dai meccanismi di adeguamento al costo della vita secondo gli indici calcolati dell’ISTAT (art. 24 della L. n. 448/1998);
le differenze retributive conseguenti al compimento, nel triennio stesso, di venticinque (art. 43, comma 23, della legge n. 121/1981 e art. 1802, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2010) o ventitré (art. 43/ter, comma 2, della L. n. 121/1981 e art. 1802, comma 3, del D.Lgs. n. 66/2010) anni di servizio;

e con atto contenente motivi aggiunti,

per l’annullamento
del D.P.R. 4 settembre 2013 n. 122 che approva il regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti a norma dell’art. 16, comma 1, 2, e 3, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2014 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso, notificato il 17 luglio 2012 e depositato il successivo 29 settembre, gli interessati, in qualità di ufficiali delle forze armate dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri con il grado di colonnello/capitano di vascello e di tenente colonnello, hanno chiesto l’accertamento del diritto all’integrale retribuzione secondo il regime di diritto pubblico previsto dalle norme vigenti per i rispettivi ordinamenti dell’Arma e delle Forze Armate in generale, che è connotato dalle seguenti regole comuni:

a) progressione economica che si sviluppa in classi biennali ed aumenti periodici;

b) adeguamento annuale del trattamento stipendiale agli incrementi medi calcolati dall’ISTAT;

c) attribuzione del trattamento economico del dirigente superiore per il servizio prestato senza demerito per 23/25 anni.

Secondo i ricorrenti le suddette regole non hanno trovato applicazione dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 per effetto di una serie di misure legislative. In particolare, l’art. 9, comma 21 secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 ha inciso sul criterio di cui alla lett. a), l’art. 9, comma 21 primo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 ha inciso sul criterio di cui alla lett. b) e l’art. 9, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 ha inciso sul criterio di cui alla lett. c).

Per la evidente iniquità e contrasto con gli articoli 3, 36, 97 e 53 della costituzione si chiede la rimessione della questione di incostituzionalità delle norme sopra riportate alla Corte Costituzionale.

Nel contempo si pone la questione di incostituzionalità anche dell’art. 16, comma 1 lett. b), del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 che consente al Governo, con regolamento, di prorogare fino al 31 dicembre 2014 le superiori disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni per contrasto, oltre che con gli articoli sopra indicati, anche con gli artt. 23 e 76 della Cost..

In via ulteriore si prospetta altresì la questione di legittimità costituzionale, previa rimessione alla Corte, dell’art. 8, comma 11 bis del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, nella parte in cui prevede un fondo di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze Armate, senza tener conto dell’anno 2013 e senza tener conto, per l’anno 2012, dell’aumento del numero dei militari aventi diritto al beneficio per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Cost..

Con successivo atto contenente motivi aggiunti, notificato il 23 dicembre 2013 e depositato il 17 gennaio 2014, le parti istanti hanno chiesto l’annullamento del D.P.R. del 4 settembre 2013 n. 122 che approva il regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti a norma dell’art. 16, comma 1, 2, e 3, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lett. b), del D.L. n. 98/2011 per contrasto con gli artt. 23, 36, 53, 97, 76 e 77 della cost.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Difesa ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali con un’unica memoria dell’Avvocatura dello Stato hanno eccepito la infondatezza delle questioni di incostituzionalità sollevate dai ricorrenti.

In via preliminare, il Collegio non può non rilevare che risulta del tutto fondata l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato secondo cui il presente gravame risulta inammissibile per difetto di competenza del giudice adito in ragione delle sede di servizio di parte dei ricorrenti, la cui posizione per effetto dell’art. 13, comma 2, del c.p.a. va stralciata dal presente giudizio (B. S. e G. G., con servizio a Verona, B. F. e D. M. G. con servizio a Lecce, nonché G. L., con servizio a Salerno, e P. S., con servizio a Napoli) e dichiarare pertanto per i suddetti nominativi rispettivamente la competenza del T.A.R. per il Veneto, del T.A.R. per la Puglia e del T.A.R. per la Campania, presso cui le predette parti potranno eventualmente riassumere il giudizio.

Sul punto va ribadito che risulta del tutto infondata la generica questione di illegittimità costituzionale del richiamato art. 13, comma 2, del c.p.a., atteso che la disposizione invocata in maniera del tutto chiara distingue la competenza del giudice amministrativo sulle questioni attinenti lo status di pubblici dipendenti in virtù della sede di servizio, in un’ottica organizzativa e funzionale che non lede la libertà di difesa di ciascun interessato.

Nel merito il Collegio nell’affrontare le questione di incostituzionalità prospettate non può prescindere dalla giurisprudenza recente della Corte Costituzionale.

Con precedenti decisioni, ed in particolare con la sentenza n. 310 del 27 dicembre 2013, il Supremo Giudice delle Leggi ha già statuito, seppure partendo da questioni che sono state sollevate nel corso di giudizi promossi da docenti universitari di ruolo, ordinari, straordinari, associati e ricercatori o comunque da altre categorie similari di dipendenti pubblici non contrattualizzati, sulle questioni di presunta incostituzionalità delle medesime norme in virtù di argomentazioni che rendono quelle sollevate con l’attuale mezzo di gravame manifestamente infondate.

I vizi di incostituzionalità dedotti nel ricorso principale si sviluppano affrontando l’esame complessivo dell’art. 9 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, con particolare riferimento ai commi 1 e 21, rispetto alla sua incidenza sul normale assetto retributivo degli ufficiali delle forze armate dell’esercito, della marina, dell’aeronautica e dell’arma dei carabinieri.

Da tale raffronto la difesa di parte istante pone in risalto la violazione della norma costituzionale contenuta nell’art. 3 (principi di uguaglianza e ragionevolezza).

L’assunto si fonda sulla mera constatazione che il blocco dei meccanismi di progressione automatica degli stipendi (classi e scatti biennali o trattamento economico superiore legato all’anzianità di servizio senza demerito) finisce per discriminare gli ufficiali che hanno maturato o matureranno il diritto nel triennio rispetto a coloro che tale diritto hanno acquisito un giorno prima del 1 gennaio 2011.

Come rilevato dallo stesso ricorrente già nella decisione n. 299 del 1993 la Corte Costituzionale ha ritenuto compatibile con il richiamato art. 3 un sistema similare di blocco a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti e consentanei allo scopo prefisso.

Con la citata sentenza n. 310 del 2013 il giudice delle leggi parte dall’assunto secondo il quale è presente in tutte le ordinanze di rimessione degli atti la doglianza della mancanza di ragionevolezza dell’azione legislativa, che è dedotta, nel complesso, insieme alla disparità di trattamento, alla lesione dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, alla violazione del principio di proporzionalità della retribuzione, alla lesione del principio di promozione della ricerca scientifica e del valore dell’insegnamento.

Il sistema di adeguamento richiamato nell’art. 9, comma 21, primo periodo, funge, dunque, da criterio di determinazione stipendiale indiretto e per relationem, con fini perequativi a favore di categorie non contrattualizzate, all’andamento delle dinamiche retributive degli altri settori del pubblico impiego.

L’argomento ermeneutico sopra illustrato è di per sè idoneo a fugare ogni dubbio di incostituzionalità per ciò che riguarda la violazione degli artt.3 e 36 della costituzione in considerazione che il Governo ed il Parlamento non solo hanno adottato misure restrittive nei confronti del personale non contrattualizzato, ma hanno previsto, in termini di bilanciamento assoluto su tutto il pubblico impiego, il blocco dei rinnovi dei contratti degli altri dipendenti pubblici dei vari comparti di contrattazione.

Infatti, al riguardo la Corte con molta chiarezza espositiva ribadisce che “nell’esaminare la disciplina di blocco, senza possibilità di successivo recupero, del suddetto meccanismo di adeguamento, occorre ricordare che il d.l. n. 78 del 2010, al comma 17, dello stesso art. 9, coerentemente con la norma in esame, ha stabilito, tra l’altro, che «Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012» del personale contrattualizzato.”.

Alla luce delle premesse sopra evidenziate la Corte trae le seguenti conclusioni sugli aspetti di incostituzionalità dell’art. 9 del D.L. n. 78 del 2010:

Nella specie, quanto all’adeguamento, il blocco è stato previsto per la durata di tre anni (poi prorogato sino al 31 dicembre 2014), con l’espressa esclusione di successivi recuperi.

In proposito, va ricordato che, come in passato (art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, recante «Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali», convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438), la scelta del legislatore è stata quella di realizzare una economia di spesa e non un semplice rinvio della stessa, come si verificherebbe se i tagli fossero recuperabili.

Ed al riguardo è opportuno ricordare che l’esclusione della possibilità di recupero è stata prevista anche per il blocco delle procedure previste per il personale contrattualizzato, stabilito dal comma 17 del medesimo art. 9 del d.l. n. 78 del 2010.

Peraltro il quarto periodo del comma 21 stabilisce che «Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

Rileva, quindi, anche nel caso in esame, quanto affermato dalla Corte con la sentenza n. 189 del 2012, laddove si è individuata la ratio legis dell’art. 9, comma 17, nella necessità di evitare che il risparmio della spesa pubblica derivante dal temporaneo divieto di contrattazione possa essere vanificato da una successiva procedura contrattuale o negoziale che abbia ad oggetto il trattamento economico relativo proprio a quello stesso triennio 2010-2012, trasformandosi così in un mero rinvio della spesa.

A maggior ragione valgono tali considerazioni, circa la razionalità del sistema, per la misura incidente sulle classi e sugli scatti, poiché le disposizioni censurate non modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco.

Con particolare riferimento poi alla ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure, non ci si può esimere dal considerare l’evoluzione che è intervenuta nel complessivo quadro, giuridico-economico, nazionale ed europeo.

La recente riforma dell’art. 81 Cost., a cui ha dato attuazione la legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), con l’introduzione, tra l’altro, di regole sulla spesa, e dell’art. 97, primo comma, Cost., rispettivamente ad opera degli artt. 1 e 2 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), ma ancor prima il nuovo primo comma dell’art. 119 Cost., pongono l’accento sul rispetto dell’equilibrio dei bilanci da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo.

Non è senza significato che la direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), evidenzi come «la maggior parte delle misure finanziarie hanno implicazioni sul bilancio che vanno oltre il ciclo di bilancio annuale» e che “Una prospettiva annuale non costituisce pertanto una base adeguata per politiche di bilancio solide» (20° Considerando), tenuto conto che, come prospettato anche dalla difesa dello Stato, vi è l’esigenza che misure strutturali di risparmio di spesa non prescindano dalle politiche economiche europee”.

Ebbene, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali quelli in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica. In particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra economica del 1992.

Le norme impugnate, dunque, superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.

Altra argomentazione prospettata dalle parti istanti è la dedotta violazione dell’art. 36 della costituzione poiché l’obbligo di osservanza del principio enunciato nel predetto articolo non può mai giustificare il mancato riconoscimento di un compenso economico rapportato alle mansioni effettivamente svolte.
Tale violazione sarebbe duplice: sia rispetto ai colleghi che hanno maturato l’anzianità di 23 o 25 anni di servizio da ufficiale prima del 1 gennaio 2011, sia rispetto ai colleghi che, nel triennio, hanno avuto ed avranno la stessa retribuzione di coloro che, nel triennio, hanno maturato l’anzianità anzidetta.

Si sottolinea al riguardo che nell’ambito militare la progressione di carriera si fonda su un dato costante ed inderogabile: l’anzianità di servizio senza demerito.

In ordine alla prospettata lesione dell’art. 36 Cost., la Corte rileva come, secondo i principi affermati con le sentenze n. 120 del 2012 e n. 287 del 2006, allo scopo di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti, “occorra far riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso, dovendosi avere riguardo – in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza – al principio di onnicomprensività della retribuzione medesima. Pertanto tale parametro, ex se ed in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., non risulta violato, non incidendo le disposizioni in esame sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari (nel caso di specie dei militari) nel suo complesso, né emergendo una situazione che leda le tutele socio-assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 Cost.”.

Allo stesso modo in conclusione si sofferma sul dato della casualità degli effetti delle disposizioni normative in discussione:

“Viene infine dedotto uno specifico profilo di illegittimità, connesso ai differenti effetti del blocco in ragione della diversa anzianità di servizio maturata.

In proposito, va in primo luogo rilevato che l’urgenza e l’ampiezza della manovra economica contenuta nel d.l. n. 78 del 2010, in cui si inscrivono le norme censurate, ha interessato l’intero comparto del pubblico impiego: la sua stessa struttura non rendeva, dunque, possibile una frantumazione delle misure previste.

D’altro canto, considerato che la materia attiene a scelte di politica economica e sociale, che non spetta alla Corte valutare (sentenza n. 119 del 2012) se non nei limiti della evidente irragionevolezza, non emergono elementi che possano indurre ad una tale conclusione.

Va infatti osservato che il sacrificio imposto al personale interessato, se pure particolarmente gravoso per quello più giovane, appare, in quanto temporaneo, congruente con la necessità di risparmi consistenti ed immediati.

Del resto, nel senso della non irragionevolezza di un analogo blocco degli incrementi retributivi, si è già pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 245 del 1997, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438 del 1992, questione prospettata negli stessi termini dall’allora rimettente.”

Sotto altro aspetto la soppressione dei diritti economici degli ufficiali viene interpretata dalle parti istanti come una ulteriore trattenuta fiscale imposta dal legislatore sul trattamento economico complessivo al fine di prospettare la violazione dell’art. 53 della costituzione sotto l’aspetto della lesione dei principi generali dell’universalità e dell’uguaglianza.

La predetta questione è risolta dalla Corte Costituzionale alla radice affermando che alle disposizioni in esame, non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non danno luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l’erario.

La giurisprudenza della Corte, da ultimo (sentenza n. 223 del 2012), ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve comportare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse derivanti, che devono essere connesse ad un presupposto economicamente rilevante, vanno destinate a «sovvenire» le pubbliche spese.

Conseguentemente, non possono trovare ingresso le censure relative al mancato rispetto dei principi di progressività e di capacità contributiva.

Alla luce della complessa e dettagliata motivazione della Corte Costituzionale non residuano margini per prospettare ulteriori questioni di illegittimità costituzionali delle norme contenute nel più vote citato art. 9, commi 1 e 21, del D.L. n. 78/2010.

La stessa difesa delle parti istanti, avendo constatato nelle ultime pronunce della Corte Costituzionale – ed in particolare nella sentenza n. 310 del 2013 sopra diffusamente riportata – un aspetto preclusivo e dirimente in tema di rimessione degli atti al giudice delle leggi, ha con la memoria di replica depositata il 14 aprile 2014 insistito nella prospettazione della violazione degli artt. 3, 23, 36 e 53 della Costituzione, ribadendo la natura tributaria della decurtazione operata sulle retribuzioni del personale non contrattualizzato della p.a.

Poichè non vengono forniti elementi argomentativi ulteriori e sufficienti a sovvertire le motivazioni già espresse dalla Corte Costituzionale nelle sentenze sopra richiamate, il Collegio ritiene che non occorrano altre precisazioni per considerare la questione manifestamente infondata.

Allo stesso modo deve essere valutata la questione di incostituzionalità prospettata con il ricorso principale e con l’atto contenente motivi aggiunti relativamente all’art. 16, comma 1, lett. b) del D.L. n. 98 del 2011 convertito in L. n. 111/2011 che autorizza il Governo con uno o più regolamenti ex art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1998 a prorogare il blocco delle retribuzioni anche per il 2014.

Sul tema si condivide la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la questione di incostituzionalità è manifestamente infondata poiché, non avendo le misure legislative prorogate natura tributaria, la riserva di legge è relativa; pertanto, il legislatore con la norma dell’art. 16, convertito in legge dal Parlamento, ha correttamente demandato ad una fonte regolamentare – quindi sub primaria – la sola valutazione della proroga delle misure restrittive per l’anno 2014 senza che alla stessa fonte normativa fosse demandata l’individuazione di diverse od ulteriori misure restrittive già delineate ed approvate dal Parlamento.

Del tutto inconferente ed irrilevante è la diversa questione connessa alla prospettata incostituzionalità dell’art. 8, comma 11 bis, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, nella parte in cui prevede un fondo di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, senza tener conto dell’anno 2013 e senza tener conto dell’aumento del numero dei militari aventi diritto, per contrasto con gli articoli 3, 36 e 97 della costituzione.

La prospettazione della relativa eccezione di incostituzionalità oltre ad essere generica è del tutto priva di una logica argomentativa idonea a sovvertire quello che è nello spirito e nella funzione la particolarità della disposizione normativa contenuta nell’articolo da ultimo citato che nella sostanza assume una valenza di beneficio compensativo a favore per il personale non contrattualizzato delle Forze armate.

Il fondo disponibile dipende essenzialmente dalle risorse finanziarie reperite dal Governo e non dal numero delle persone incise dalla manovra di contenimento della spesa pubblica.

Va, infine, rilevato che, sebbene con ordinanza collegiale n. 7532 del 24 luglio 2013 la seconda Sezione di questo Tribunale abbia rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella l. 30 luglio 2010, n. 122, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, quanto in essa riportato non solo non è pienamente pertinente con il caso in esame, ma risulta del tutto superato dalla successiva sentenza n. 310 del 2013 della Corte Costituzionale di cui si è dato contezza in precedenza.

Per tutte le ragioni sopra esposte il Collegio dichiara parzialmente inammissibile per incompetenza ex art. 13, comma 2, del c.p.a. il ricorso laddove proposto dai sig.ri B. S., G. G., B. F., D. M. G., G. L. e P. S., e per le altre parti lo respinge perché infondato.

Per la natura delle questioni sollevate sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte, lo dichiara inammissibile per incompetenza a decidere sulla presente controversia per i ricorrenti indicati in parte motiva, indicando rispettivamente i TT.AA.RR. per il Veneto, per la Puglia e per la Campania quali giudici competenti, e per ogni altra parte lo respinge.

Compensa integralmente tra la parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere, Estensore
Floriana Rizzetto, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2014
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