Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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capitanfracasso

Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da capitanfracasso »

panorama ha scritto:Questa notizia che allego proviene della PolPen.
Se ho capito bene nel file dicono che il 2,5% spetta versarlo al datore di lavoro.
Quindi avalla la nostra istanza. O mi sbaglio io?


alessandra

Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da alessandra »

...non resta che attendere il giudizio della Corte Costituzionale.
alessandra

Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da alessandra »

Le Amministrazioni, naturalmente, hanno risposto negativamente alle istanze per la cessazione del prelievo.
Non resta che partire con l'ennesimo ricorso al TAR e speriamo bene....
panorama
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da panorama »

Ciao Alessandra, potresti allegare la risposta di cui parli?
grazie
alessandra

Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da alessandra »

panorama ha scritto:Ciao Alessandra, potresti allegare la risposta di cui parli?
grazie
Ho trovato solo quella del Ministero dell'Interno...le altre, comunque, non si discostano molto da quell'orientamento.
panorama
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da panorama »

Alessandra ma è di questi giorni oppure e quella di un po' di mesi fa e che era anche sul sito del Coisp (Polizia)?
alessandra

Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da alessandra »

Si, è quella di qualche tempo fa, per la precisione del 10/04/2012.
Ho avuto modo di leggere anche quelle di G.D.F. e M.D. ed il contenuto è simile.
Resta il dubbio se, dopo l'atto di diffida inoltrato, che comunque è utile perchè interrompe i termini di prescrizione, sia il caso di attendere o adire le vie legali con un ricorso il TAR.
Cosa ne pensi?
panorama
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da panorama »

21/08/2012 201200539 Sentenza 1

TAR - Sezione Staccata di Reggio Calabria

La sentenza di cui sopra è il seguito della Sentenza non definitiva n. 53/2012 del T.A.R. Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, (che molti ricorderanno), allo scopo di ottenere il riconoscimento, previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, del proprio diritto alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza e con esclusione dell'applicazione della normativa di cui al d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30.7.2010, n. 122.

Ecco la parte conclusiva della sentenza di ieri 21.08.2012

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile quanto all’opposizione di terzo contro l’ordinanza collegiale nr. 89/2012, che converte in atto d’intervento nel giudizio nr. 564/2011; lo accoglie quanto all’opposizione di terzo contro la sentenza parziale nr. 53/2012, che, per l’effetto, è annullata; ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 79, 80 del c.p.a. ed art. 295 del c.p.c., sospende il giudizio nr. 564/2011 per la parte già definita con la sentenza nr. 53/2012, fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana della decisione della Corte Costituzionale sulle questioni sollevate con ordinanza nr 11/2012 del TAR di Perugia.
Riserva alla riassunzione ogni altra decisione, in rito, come nel merito e sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa e manda alla Segreteria giurisdizionale di comunicarne copia alle parti.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Leotta, Presidente
Salvatore Gatto Costantino, Primo Referendario, Estensore
Valentina Santina Mameli, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/08/2012
alessandra

Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da alessandra »

panorama ha scritto:21/08/2012 201200539 Sentenza 1

TAR - Sezione Staccata di Reggio Calabria

La sentenza di cui sopra è il seguito della Sentenza non definitiva n. 53/2012 del T.A.R. Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, (che molti ricorderanno), allo scopo di ottenere il riconoscimento, previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, del proprio diritto alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza e con esclusione dell'applicazione della normativa di cui al d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30.7.2010, n. 122.

Ecco la parte conclusiva della sentenza di ieri 21.08.2012

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile quanto all’opposizione di terzo contro l’ordinanza collegiale nr. 89/2012, che converte in atto d’intervento nel giudizio nr. 564/2011; lo accoglie quanto all’opposizione di terzo contro la sentenza parziale nr. 53/2012, che, per l’effetto, è annullata; ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 79, 80 del c.p.a. ed art. 295 del c.p.c., sospende il giudizio nr. 564/2011 per la parte già definita con la sentenza nr. 53/2012, fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana della decisione della Corte Costituzionale sulle questioni sollevate con ordinanza nr 11/2012 del TAR di Perugia.

Riserva alla riassunzione ogni altra decisione, in rito, come nel merito e sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa e manda alla Segreteria giurisdizionale di comunicarne copia alle parti.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Leotta, Presidente
Salvatore Gatto Costantino, Primo Referendario, Estensore
Valentina Santina Mameli, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/08/2012
...questa parte conclusiva, sinceramente, non mi è molto chiara!!
In buona sostanza cosa ha affermato rispetto alla prima sentenza??
panorama
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

Messaggio da panorama »

Ecco la sentenza completa.


21/08/2012 201200539 Sentenza 1


N. 00539/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00141/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 141 del 2012, proposto da:
Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dagli avv. Dario Marinuzzi, Francesco Muscari Tomaioli, con domicilio eletto presso Gestione Ex Inpdap Sede Provinciale Inps in Reggio Calabria, v.le Calabria N. 82;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15; Giuseppe Caruso, Giulio Veltri, Desirèe Zonno, Consiglio di Stato;

per l'annullamento
in sede di opposizione di terzo, dei due provvedimenti pronunciati sul ricorso RG n. 564 del 2011, e precisamente:
la sentenza non definitiva n. 53/2012 del T.A.R. Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, depositata in segreteria in data 18.1.2012;
l’ordinanza n. 89/2012 del T.A.R. Calabria, sez. di Reggio Calabria, depositata l'1.2.2012;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2012 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Nell’odierno giudizio, parte ricorrente spiega opposizione di terzo avverso l’ordinanza nr. 89/2012 e la sentenza non definitiva nr. 53/2012 pronunciate dal TAR nel giudizio di cui al ricorso n. 564/2011, proposto dai magistrati indicati in epigrafe (odierni controinteressati), allo scopo di ottenere il riconoscimento, previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, del proprio diritto alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza e con esclusione dell'applicazione della normativa di cui al d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30.7.2010, n. 122.

Più precisamente, parte ricorrente espone che i controinteressati, ricorrenti nel giudizio n. 564/2011, hanno chiesto l’ annullamento, previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, dei seguenti atti:
1. decurtazione stipendiale dovuta alla “riduzione di spesa”, operata dall'Amministrazione datrice di lavoro, ex art. 9, secondo comma, del d.l. n. 78 del 2010;

2. blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, previsto dall’ art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010;

3. rateizzazione dei trattamenti previdenziali di fine servizio, ex art. 12, settimo comma, del d.l. n. 78/2010;

4. trattenuta del 2,50% ai fini previdenziali, in considerazione dell’ avvenuta trasformazione del trattamento di fine servizio in trattamento di fine rapporto, ex art. 12, comma 10 del d.l. n. 78/2010.

Il Tribunale con sentenza non definitiva n. 53 del 2012 si è pronunciato sulla questione sopra richiamata al punto 4, considerata matura per la decisione, mentre per tutte le altre domande con separata ordinanza n. 89 del 2012 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’ art. 9, commi 2, 21 primo periodo, 22 primo, secondo e terzo periodo, nonché dell’art. 12, comma 7, del citato d.l. n. 78 del 2010, con riferimento agli articoli 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 103, 104, 108, 111 e 113 della Costituzione.

Nel presente giudizio l’I.N.P.S. (succeduto ex lege all’INPDAP), nella dichiarata qualità di terzo litisconsorte necessario pretermesso, impugna e contesta, circa i soli aspetti previdenziali prospettati con il ricorso introduttivo ai richiamati nn. 3 e 4, sia l’ ordinanza n. 89/2012 che la sentenza n. 53/2012 del Tribunale, per articolati motivi in diritto, spiegando in proposito opposizione di terzo, con cui fa valere il proprio interesse alla decisione della lite, che ne avrebbe giustificato la chiamata in causa; contesta nel merito le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, affermando che la normativa indicata andrebbe interpretata nel senso che è stata modificata la sola disciplina della costituzione del fondo a carico del datore di lavoro, non quella che prevede la trattenuta del 2,50% a carico del lavoratore; propone altresì domanda cautelare, chiedendo la sospensione della sentenza opposta nelle more della decisione del gravame.

Si è costituita l’Avvocatura Distrettuale dello Stato che aderisce al ricorso dell’INPS.

Con ordinanza nr. 60/2012, depositata il 19 aprile 2012, è stata concessa la misura cautelare della sospensione della sentenza impugnata ed è stata fissata l’udienza pubblica di discussione della causa nel merito.

Alla pubblica udienza del 4 luglio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

I) Preliminarmente, si dà atto che al 4 luglio 2012, data della odierna udienza pubblica, non risulta ancora proposto appello: ai sensi dell’art. 109 c.p.a., la competenza a decidere sull’opposizione del terzo è dunque dello stesso giudice che ha pronunciato la sentenza opposta e, secondo un recente arresto dell’A.P., possono fare parte del Collegio che giudica sull’opposizione quegli stessi magistrati che hanno composto l’organo giudicante che ha emesso la sentenza opposta (Cons. Stato, Ad.Plen. 30.03.2009, nr. 2, che afferma l’inapplicabilità dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51, n. 4, c.p.c. nei confronti del giudice della fase cautelare che partecipa alla decisione di merito ed in sede di opposizione di terzo; cfr. anche Cassazione civile sez. II, 22 marzo 2006, n. 6358).

Ancora in rito, non è superfluo precisare che le cause inerenti il rapporto di lavoro dei magistrati amministrativi sono ascritte alla competenza inderogabile del TAR della sede di servizio, rientrando nella previsione di cui all’art.13, comma 2 del c.p.a., a meno che non siano inerenti a provvedimenti adottati dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, nel qual caso a norma dell’art. 135, comma 1, lett. “a” sono devoluti alla cognizione funzionale del TAR Lazio (previsione introdotta dall’art. 1 del dlgs n. 195/2011); poiché l’odierna controversia scaturisce da modifiche normative di carattere generale, che investono la totalità dei dipendenti pubblici, e non riguarda provvedimenti adottati dal C.P.G.A., la competenza a conoscere della lite è regolata dal menzionato art. 13, comma 2 del c.p.a.

Da ciò consegue che la controversia in epigrafe deve essere esaminata dai magistrati assegnati alla medesima sede di servizio dei ricorrenti, in applicazione della regola della competenza territoriale prima richiamata.

Peraltro, trattandosi di controversia attinente aspetti generali di natura ordinamentale, non sussiste alcuna possibilità concreta di astensione, perché ciò si tradurrebbe in un sostanziale diniego di giustizia, trovandosi nelle medesime condizioni tutti i magistrati, appartenenti sia alla giurisdizione amministrativa che alle altre giurisdizioni (al pari, peraltro, di tutti i dipendenti pubblici).

Sotto quest’ultimo aspetto, si osserva, in ogni caso, che i componenti del Collegio giudicante non hanno proposto a loro volta alcuna richiesta di rimborso dei contributi per cui è causa, e, dunque, nel caso di specie, non sussiste un interesse attuale individualizzato che possa comportare una qualsiasi incompatibilità nel decidere.

II) Richiamando le argomentazioni già svolte dal Tribunale con l’ordinanza nr. 60/2012, va ritenuto che il ricorso è fondato e merita accoglimento quanto alla domanda rescindente negli stessi limiti di quanto ritenuto in sede cautelare; relativamente alla conseguente parte rescissoria del giudizio, ovvero quanto al merito del quarto motivo del ricorso nr. 564/2011 , essendo identica questione pendente di fronte alla Corte Costituzionale per effetto dell’ordinanza di remissione del TAR Umbria nr. 11 del 25 gennaio 2012, è opportuno disporre la sospensione del giudizio fino alla pubblicazione della decisione che sarà adottata in quella sede.

III) Più precisamente, l’opposizione di terzo proposta dall’INPS è inammissibile nella parte in cui si impugna l’ordinanza nr. 89/2012, poiché con quest’ultima, nel disporsi la rimessione alla Corte Costituzionale della risoluzione delle questioni ivi dedotte, non è stato definito in alcun modo il giudizio, quanto al suo oggetto.

Tuttavia, l’atto di opposizione di terzo, avendone i requisiti di sostanza e di forma (è notificato alle controparti presso il domicilio eletto), va convertito, ex art. 32 comma 2 c.p.a., in atto di intervento nel giudizio nr. 564/2011 tutt’ora pendente (ancorchè sospeso per effetto della rimessione alla Corte Costituzionale), per la parte di domanda che non è stata definita con la sentenza parziale e non definitiva nr. 53/2012.

IV) L’opposizione avverso la sentenza non definitiva nr. 53/2012 è fondata e va accolta, seppure con le precisazioni esposte a seguire.

Nel proprio ricorso, l’INPS si duole della circostanza che la sentenza non definitiva nr. 53/2012 è viziata per non essere stato evocato in giudizio l’Ente previdenziale, avendo accertato il Tribunale l’avvenuta abrogazione della disciplina sull’indennità di buonuscita prevista dal D.P.R. n. 1032 del 1973, a decorrere dal 1.1.2011, ex art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010 (abrogazione in ragione della quale è stata dichiarata l’illegittimità del prelievo del 2,50% sull’ 80% della retribuzione, con conseguente inapplicabilità della pregressa ritenuta del 9,60 sull’80% della retribuzione, gravante nella misura del 7,10 sul datore di lavoro e del 2,50 sul lavoratore, e sostituzione con il prelievo del 6,91 sull’ intera retribuzione). Ciò in quanto, se sussiste la legittimazione passiva dell’Ente previdenziale in caso di contestazioni circa la spettanza e/o le modalità di computo del trattamento previdenziale con determinate voci retributive, sussiste, a fortiori, la medesima legittimazione nel caso in cui, come quello che ci occupa, si tratta addirittura di statuire in ordine all’avvenuta abrogazione dell’istituto dell'indennità di buonuscita.

A conferma di quanto sopra dedotto, l'INPS evidenzia che, secondo un’interpretazione rigorosa, la statuizione oggi contestata, qualora dovesse affermarsi quale principio giurisprudenziale consolidato, costringerebbe l'Ente previdenziale, ancorchè non evocato in giudizio, alla liquidazione immediata dell’indennità di buonuscita nei confronti della intera platea dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Ciò in considerazione del fatto che il trattamento di fine rapporto, in difetto di specifica normativa di dettaglio e/o di richiamo ai precedenti D.P.C.M., dovrebbe essere accantonato, rivalutato e liquidato direttamente dal datore di lavoro, secondo l'impostazione di cui all’art. 2120 c.c.
Ad attento esame, va ritenuto che la prospettazione della difesa dell’INPS è condivisibile solo ai fini della legittimazione a proporre l’opposizione di terzo, ovvero nella parte in cui va ritenuto sussistente in capo all'Istituto ricorrente un interesse qualificato, contrastante con l’assetto di interessi che scaturisce dalla sentenza opposta.

Ciò di cui l’Istituto si duole è infatti una situazione giuridica autonoma ed incompatibile rispetto a quella scaturente dalla sentenza in favore delle parti vittoriose. Trattasi pertanto di una posizione non di vero e proprio controinteresse processuale, bensì di una posizione rilevante ai sensi dell’art. 108 comma I del c.p.a. (peraltro modificato in senso ampliativo dal Dlgs 195/2011).

A tal proposito, si richiama quanto recentemente ritenuto in giurisprudenza (Cons. Stato, V, 28 settembre 2011 n. 5391), secondo cui “In tema di legittimazione a proporre l'opposizione di terzo nei confronti di una sentenza del giudice amministrativo, per soggetto titolare di una posizione pregiudicata dalla decisione interessata dal ricorso in opposizione, ossia di una situazione incompatibile con la statuizione giurisdizionale, non si deve intendere solo colui il quale aspiri al medesimo bene conseguito dal ricorrente vittorioso ma, in senso più lato, colui che intenda difendere un bene della vita inciso negativamente, nella sua integrità o nel suo valore, dalla sentenza opposta”.

Secondo l’interpretazione della normativa di riferimento seguita dal Collegio nella sentenza nr. 53/2012, il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle anzianità contributive, deve avvenire secondo la disciplina del Codice Civile (art. 2120), con accantonamento del 6,91% sull’intera retribuzione ed abrogazione della trattenuta del 2,50% sull’80% dei redditi del dipendente.

In effetti, nel sistema previgente la trattenuta del 2,50% era operata solo a titolo di rivalsa parziale a carico del lavoratore, con la conseguenza che dalla questione oggetto del giudizio circa l’attuale vigenza o abrogazione di tale prescrizione non discende alcuna conseguenza economica o monetaria immediata a carico dell’INPS, il quale percepirà comunque la percentuale del 6,91% sull’intera retribuzione (con la sola differenza che il relativo onere sarà interamente a carico del datore di lavoro, che non potrà rivalersi sul lavoratore).

Per questa ragione all’INPS non può essere riconosciuto alcun interesse immediato a contraddire, né la posizione di controinteressato in senso tecnico.

Tuttavia, è certamente oggetto di interesse meritevole di tutela (che ne impone una specifica trattazione in sede di merito) la considerazione, svolta dalla difesa dell’INPS, circa le conseguenze ulteriori e successive della pronuncia in ordine all’eventuale nuovo assetto della normativa di riferimento, perché secondo tale tesi, la portata del principio di diritto che il TAR ha formulato con la sentenza nr. 53/2012 sarebbe tale da far ritenere che l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010 abbia in sostanza sostituito integralmente la disciplina del trattamento di fine servizio con quella del trattamento di fine rapporto.

In questo senso, l’opposizione di terzo è rivolta a difendere quel “bene della vita inciso negativamente, nella sua integrità o nel suo valore, dalla sentenza opposta” (così la già citata pronuncia del Consiglio di Stato nr. 5391/2011), costituito dalla regolarità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa di cui l’INPS è titolare.

Più precisamente, secondo la difesa dell’INPS, dal tenore letterale della disposizione emergerebbe che la fattispecie contemplata atterrebbe solo al “computo dei trattamenti di fine servizio”, a valere sulle anzianità maturate dal 1° gennaio 2011 in poi, ma non al trattamento di fine rapporto. Dovendosi considerare limitata al solo trattamento di fine servizio (rectius alla indennità di buonuscita), la modifica legislativa dovrebbe essere intesa come applicabile esclusivamente alle modalità di computo di tale trattamento, da effettuarsi, in analogia con le diposizioni codicistiche, applicando l’aliquota pari al 6,91% e senza alcuna novità, dunque, in ordine al prelievo contributivo (ovvero alla rivalsa) che rimarrebbe immutato.

Ove così non fosse, ove cioè fosse corretto il principio di diritto che il TAR ha formulato, ne deriverebbe – ancora secondo la difesa dell’INPS - che la disposizione in esame avrebbe abrogato immediatamente, quasi come un colpo di spugna, l’intera disciplina dei trattamenti di fine servizio - regolati nel nostro ordinamento non soltanto dal D.P.R. n. 1032 del 1973 (indennità di buonuscita per gli ex dipendenti dello Stato), ma anche dalla legge n. 152 del 1968 (indennità premio di servizio per gli ex dipendenti degli enti locali e della Sanità) e dalla legge n. 70 del 1975 (indennità di anzianità ai dipendenti degli enti pubblici non economici). Ciò non sarebbe possibile, perché l’eventuale novazione della prestazione (id est, la trasformazione dell'indennità di buonuscita in trattamento di fine rapporto per l’intera platea di tutti i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni) avrebbe dovuto necessariamente essere corredata da tutta un’ulteriore serie di modifiche ordinamentali ed organizzative che sono invece del tutto assenti (rendendosi necessario, ad esempio, individuare il soggetto competente a liquidare la prestazione, cioè l’ente previdenziale, oppure il datore di lavoro), ed avrebbe dovuto essere dotata di copertura finanziaria, posto che gli oneri per la finanza pubblica sarebbero ingenti.

Le deduzioni dell’INPS sembrano prospettare, in sintesi, un’efficacia del principio di diritto affermato in giudizio che si estenderebbe ben oltre la portata ed i limiti del caso concreto e che investirebbe la situazione giuridica di cui l’Istituto è titolare, esponendolo alla necessità di una completa revisione di tutti i meccanismi di computo dei trattamenti di fine rapporto di cui è responsabile.

Tale posizione di interesse impone dunque il riesame delle questioni di diritto affrontate con la sentenza parziale nr. 53/2012, unitamente ad un’approfondita disamina dei profili così dedotti, che hanno contenuto innovativo.

Le doglianze sin qui trattate, come anticipato nell’ordinanza nr. 60/2012, costituiscono sicuramente l’espressione di una posizione d’interesse a proporre l’opposizione di terzo da parte dell’INPS e dunque giustificano l’annullamento della sentenza nr. 53/2012, in accoglimento della corrispondente domanda rescindente, cui consegue la necessità di pronunciare nuovamente nel merito del ricorso che tale sentenza aveva definito, tenendo presenti anche le argomentazioni dell’INPS.

V) A tali ulteriori fini si osserva quanto segue.

Con la quarta censura dedotta nel ricorso introduttivo del giudizio nr. 564/2011 i ricorrenti chiedono:

- l’accertamento dell’intervenuta abrogazione della disciplina sull’indennità di buonuscita, disposta - a decorrere dall’1 gennaio 2011 - dal comma 10 dell’art. 12 (“Interventi in materia previdenziale”) del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010 n. 122;

- l’accertamento dell’illegittimità del perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita);

- la restituzione degli accantonamenti già eseguiti e che verranno eseguiti in corso di giudizio, con rivalutazione ed interessi di legge;

- in subordine, la remissione degli atti alla Corte Costituzionale, per accertare l’illegittimità del perdurare del prelievo.

Osserva il Collegio che a norma del comma 10 dell’art. 12 citato, “con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento”.

Secondo i ricorrenti, la norma imporrebbe che il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive debba avvenire secondo la disciplina del Codice Civile (art. 2120), stabilendo un accantonamento del 6,91% sull’intera retribuzione.

Ne conseguirebbe l’illegittimità del cumulo dei due istituti (ossia la perdurante trattenuta del 2,50% sull’80% dei redditi del dipendente, in aggiunta all’istituto di nuova introduzione per effetto della norma in esame).

Seguendo la prospettazione degli interessati, si osserva che sino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% sempre sull’80% della retribuzione (Cfr. l’art. 37 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, secondo cui “ciascuna amministrazione si rivale a carico del dipendente iscritto in misura pari al 2,50 per cento della base contributiva”; la base contributiva è fissata dall’art. 38 del D.P.R. da ultimo citato nell’80% “dello stipendio, paga o retribuzione annui, considerati al lordo”).

In ordine alla percentuale complessiva della ritenuta, l'art. 18 della legge 20 marzo 1980, n. 75 ha poi stabilito che "Ferma restando la rivalsa del 2,50 per cento a carico dei dipendenti, la scala crescente della misura dei contributi previdenziali obbligatori di cui all'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, è ulteriormente prorogata fino a raggiungere il 9,60 per cento dal 1° gennaio 1984".

Alla luce di tale premessa, nella sentenza nr. 53/2010 è stata ritenuta fondata la tesi dei ricorrenti, secondo cui l’intero complesso normativo da ultimo riportato è da intendersi implicitamente abrogato dal predetto comma 10 dell’art. 12 “con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011”.

Invero, secondo la prospettiva ermeneutica che il TAR aveva accolto, alla disposizione da ultimo citata dovrebbe riconoscersi un chiaro effetto novativo dell’istituto, dal momento che regola ex novo la medesima materia, in costanza dei medesimi presupposti di fatto che erano presi in esame nella normativa precedentemente in vigore, introducendo una differente modulazione del contributo (diversa percentuale sull’intera base stipendiale), esaustivamente regolata, e richiamando la disciplina dell’art. 2120 del cod. civ., e dunque la disciplina civilistica del trattamento di fine rapporto, nell’ambito della quale la rivalsa del 2,50% a carico dei dipendenti non è praticata, perché non prevista in alcun modo. Conferma a tale prospettiva si traeva dalla circostanza che il comma 10 dell’art. 12 citato non fa salva la rivalsa del 2,50%, come invece aveva chiarito lo stesso legislatore in precedenti interventi modificativi della disciplina preesistente (cfr. l’art. 18 della l. 75/1980 prima richiamato), conformemente al noto brocardo “ubi lex voluit, dixit”. In questo senso, dovrebbe ritenersi che, secondo i consueti principi in tema di successione delle leggi nel tempo, a decorrere dal 1° gennaio 2011 la ritenuta per il trattamento di fine servizio non avrebbe dovuto essere più quella del 9,60 sull’80% della retribuzione (gravante nella misura del 7,10% sul datore di lavoro e del 2,50% sul lavoratore), bensì, esaustivamente, del 6,91% sull’intera retribuzione.

Secondo questa prospettiva, le deduzioni dell’INPS, sebbene evidenzino un comprensibile e condivisibile interesse sostanziale al chiarimento del principio di diritto affermato dal TAR nella sentenza nr. 53/2012, specie nelle argomentazioni variamente esposte e trattate nella memoria depositata il 1 giugno 2012, non sarebbero fondate.

Invero, nel ritenere quanto sin qui richiamato, il TAR aveva solo affermato che la novità legislativa riguarda il regime delle aliquote, segnatamente il loro importo, e soprattutto la soppressione della rivalsa, non la più complessa ed articolata disciplina dell’istituto, la cui ricostruzione esula dall’ambito dell’oggetto del ricorso e sulla quale, pertanto, non sussisteva alcun giudizio.

In particolare, lo sforzo della difesa dell’INPS di trarre dalla citata sentenza nr. 53/2012 argomenti volti a dimostrare l’incidenza della pronuncia sul complessivo regime delle trattenute non sembra aver conseguito l’effetto di superare la considerazione posta a base della decisione opposta, secondo cui ciò che andrebbe ritenuto implicitamente abrogato è la soppressione della rivalsa.

Tuttavia, tali prospettive non vanno approfondite in questa sede, poiché identica questione rispetto a quella odierna risulta essere stata sollevata con l'ordinanza nr 11/2012 del TAR Perugia, depositata il 25 gennaio 2012 (cfr. punto 8 della parte motiva dell’ordinanza).

Più precisamente, quest’ultimo decidente ha così ritenuto: “se può sussistere qualche residuale perplessità in ordine all’intervenuta abrogazione tacita dell’art. 37 da ultimo citato, appare invece molto accentuato il dubbio di incostituzionalità connesso all’applicazione in combinato disposto dell’art. 12, comma 10, del dl.l. n. 78 del 2010 con la rivalsa a carico del dipendente iscritto in misura pari al 2,50 per cento della base contributiva. Secondo la condivisibile tesi di parte ricorrente, il protrarsi del prelievo del 2,50 per cento nella nuova disciplina concernente il trattamento di fine servizio contrasta con il principio di eguaglianza e con l’art. 36 della Costituzione, consentendo allo Stato datore di lavoro una riduzione dell’accantonamento, illogica anche perché in nessuna misura collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato “.

Il giudice a quo ha quindi ritenuto che sulle norme in esame non sia sufficiente o comunque possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata che ne risolva le evidenti antinomie ed ha preferito sottoporre la questione di legittimità costituzionale, che necessariamente deriva da tale premessa, al giudizio della Corte Costituzionale (cosa che, in via subordinata, chiedono anche i ricorrenti nel giudizio nr. 564/2011).

Evidenti ragioni di opportunità ed ordine processuale consigliano di riservare ogni decisione in rito, come nel merito e sulle spese in ordine al quarto motivo del ricorso nr. 564/2011, già oggetto della pronuncia parziale nr. 53/2010, sospendendo il presente giudizio fino alla pronuncia della Corte Costituzionale sull’ordinanza nr 11/2012 del TAR di Perugia nella parte d’interesse.

In conclusione, l’opposizione di terzo proposta dall’INPS va converita in atto d’intervento nel giudizio, nella parte in cui si impugna l’ordinanza collegiale nr. 89/2012, mentre la stessa opposizione di terzo va accolta in ordine al richiesto annullamento della sentenza parziale nr. 53/2012; il giudizio sul ricorso nr. 564/2011, nella parte già oggetto della pronuncia nr. 53/2012, va sospeso ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 79 ed 80 del c.p.a. fino alla pronuncia della Corte Costituzionale sull’ordinanza di rimessione nr 11/2012 del TAR di Perugia, riservando alla riassunzione ogni valutazione in rito, come nel merito e sulle spese.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile quanto all’opposizione di terzo contro l’ordinanza collegiale nr. 89/2012, che converte in atto d’intervento nel giudizio nr. 564/2011; lo accoglie quanto all’opposizione di terzo contro la sentenza parziale nr. 53/2012, che, per l’effetto, è annullata; ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 79, 80 del c.p.a. ed art. 295 del c.p.c., sospende il giudizio nr. 564/2011 per la parte già definita con la sentenza nr. 53/2012, fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana della decisione della Corte Costituzionale sulle questioni sollevate con ordinanza nr 11/2012 del TAR di Perugia.

Riserva alla riassunzione ogni altra decisione, in rito, come nel merito e sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa e manda alla Segreteria giurisdizionale di comunicarne copia alle parti.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Leotta, Presidente
Salvatore Gatto Costantino, Primo Referendario, Estensore
Valentina Santina Mameli, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/08/2012
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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(posto la seguente sentenza nel modo abbreviato poichè molto lunga ed il presente sito non la fa pubblicare per estesa poichè supera le dimensioni)


SENTENZA N. 223
ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

omissis

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 9, commi 2, 21 e 22 e 12, commi 7 e 10 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, con ordinanza del 23 giugno 2011, dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con ordinanza del 28 luglio 2011, dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto con ordinanza del 15 novembre 2011, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento con ordinanza del 14 dicembre 2011, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia con ordinanza del 14 dicembre 2011, dal Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo, sezione di Pescara, con ordinanza del 13 dicembre 2011, dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, con due ordinanze del 25 gennaio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, con ordinanza del 10 gennaio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, con ordinanza del 10 gennaio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con due ordinanze del 1° febbraio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale della Emilia-Romagna, sezione staccata di Parma, con ordinanza del 22 febbraio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con ordinanza dell’11 gennaio 2012 e dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, con ordinanza del 10 gennaio 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 219 e 248 del registro ordinanze 2011 ed ai nn. 11, 12, 20, 46, 53, 54, 56, 63, 74, 75, 76, 81 e 94 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2011 e nn. 7, 9, 14, 15, 17, 18, 19 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2012.

OMISSIS (parte conclusiva)

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile l’intervento spiegato, nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 54 del 2012, da Abbritti Paolo;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che l’indennità speciale di cui all’articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro;

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato);

6) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, sollevata, nei giudizi iscritti al reg. ord. nn. 46 e 53 del 2012, dai TAR per l’Abruzzo e per l’Umbria;

7) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, sollevata, nei giudizi iscritti al reg. ord. nn. 54 e 74 del 2012, dai TAR per l’Umbria e per la Calabria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2012.
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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Cmq. la sentenza di cui sopra l'ho già fatta girare in diverse parte d'Italia, dal nord al sud, isole comprese.
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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Manager pubblici ‘graziati’, Federconsumatori: uno schiaffo a pensionati e operai


“Pur avendo grande rispetto delle decisioni assunte dalla Corte Costituzionale, non condividiamo affatto il pronunciamento che ha dichiarato illegittimo il taglio dei compensi al di sopra dei 90.000 Euro ai dipendenti pubblici”. E’ questo il commento di Federconsumatori alla decisione della Consulta che ha stabilito, in particolare, l’illegittimità dell’articolo 9, nella parte in cui dispone che – a decorrere dal primo gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 – “i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro”. Per la Corte Costituzionale, “il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio”.

Per quanto riguarda i magistrati, la Consulta ha bocciato anche il comma 22 dello stesso articolo, dove dispone che non siano erogati, “senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012″. E che “per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per il 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014″.

Ma Federconsumatori non ci sta: “Per risollevare le sorti del Paese in questi difficili tempi di crisi hanno contribuito tutti, dai pensionati ai dipendenti pubblici “semplici”, quelli che non percepiscono stipendi milionari, ed in generale tutti i cittadini, che non solo hanno pagato salatamente le conseguenze delle manovre economiche, ma hanno dovuto rinunciare ai servizi ed agli standard di vita a cui erano abituati.È inaccettabile che a sfuggire a questo meccanismo siano unicamente i manager pubblici, che hanno percepito e torneranno a percepire stipendi milionari”.
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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News del giorno 23.10.2012

BUONUSCITA: GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE (leggi tutto)

martedì 23 ottobre 2012

da IL SOLE 24 ORE

Aumenti (a sorpresa) per gli stipendi della PA
La Consulta boccia anche la trattenuta del 2,5% sul Tfr:da 20 a 80 euro netti in più al mese, oltre gli arretrati

di Gianni Trovati -
Gli stipendi pubblici e i rinnovi contrattuali sono congelati da più di due anni, ma mentre il Governo lavora per pro-lungare i1 blocco totale (indennità di vacanza contrattuale compresa) almeno fino al 2015, arriva una stecca pesante nel coro dell'austerità: a farla è la Corte costituzionale, che nella sentenza 223/2012 non si è limitata a cancellare il “contributo di solidarietà" a carico degli statali e a tagliare le indennità speciali dei magistrati, ma ha bocciato anche la trattenuta del 2,5% sul Tfr dei dipendenti pubblici, non imposta, invece, ai lavoratori del settore privato. Con un duplice risultato:
l'obbligo di restituzione degli arretrati, e un aumento in busta paga rispetto ai livelli previsti dalla manovra estiva del 2010 che aveva ingabbiato gli stipendi pubblici. Il 2,5% caduto sotto le forbici dei giudici delle leggi si calcola infatti sulla retribuzione del dipendente, comprese le indennità di posizione, e non sul solo accantonamento per il trattamento di fine rapporto o di fine servizio, per cui la novità può valere per i 3,3 milioni di dipendenti pubblici più di molti rinnovi contrattuali anche siglati in tempi pin generosi degli attuali.

Per rendersene conto basta dare un'occhiata alle tabelle pubblicate qui a fianco, che fanno i conti in tasca alle figure tipo che lavorano negli uffici dell'amministrazione centrale o negli enti locali. Per un impiegato di un ente territoriale, per esempio, la pronuncia costituzionale vale 332 euro netti di arretrati del 2011, 307 di competenza 2012 (i due valori sono diversi perche nel 2011 il Tfr era soggetto a tassazione separata, più leggera di quella ordinaria) e un incremento netto in busta paga da quasi 24 euro al mese. Le cifre, naturalmente, salgono insieme alla posizione occupata dall'interessato nella gerarchia dell'amministrazione, e non solo per l’aumento dello stipendio di base. Se il dipendente è anche titolare di «posizione organizzativa», cioè in pratica ha la responsabilità di un ufficio, pur non essendo un dirigente, nel calcolo entrano anche i 12,911 euro dell'indennità di posizione e il conto si gonfia:
tra 2011 e 2012 l'arretrato vale mille euro e l'aumento netto in busta si attesta poco sopra i 34 euro al mese.

Per un dirigente, la cifra in gioco raddoppia abbondantemente. Gli stessi calcoli si replicano nell'amministrazione centrale, dove a parità di qualifica gli stipendi sono più alti di quelli che si incassano nel territorio. Al vertice della piramide si incontrano i dirigenti di prima fascia, che dalla novità attendono 2.300 euro di arretrati e 8o euro al mese in più rispetto alla retribuzione ricevuta fino al mese scorso.
Un’ottima notizia, che soprattutto per questa categoria si accompagna all'addio, anch'esso retroattivo, al contributo di solidarietà che chiedeva il 5% della quota di retribuzione superiore a 90 mila euro e di quella che supera quota 150 mila euro. Pessima, invece, è la notizia letta con gli occhi amministrazioni e dei conti pubblici (si veda anche l'altro articolo in pagina): negli uffici si è già avviata la macchina delle richieste di restituzione delle trattenute diventate illegittime ex post, le amministrazioni in genere prendono tempo in attesa di istruzioni ministeria-li ma presto occorrerà mettere mano alla cassa.

A motivare la presa di posizione dei giudici costituzionali, che in un colpo solo hanno abbattuto tre pilastri centrali nella gabbia con cui la manovra estiva 2010 ha provato a imbrigliare i conti del pubblico impiego, ci sono ovvie ragioni di equità. La Corte ha richiamato gli articoli 3 e 53 della Costituzione, che tutelano la parità dei cittadini davanti alla legge e la proporzionalità tra le richieste fiscali e la capacità contributiva del singolo. Un euro, spiegano i giudici, Costituzione alla mano, ha lo stesso valore sia quando va in tasca a uno statale sia quando finisce a un lavoratore privato, per cui deve essere sottoposto a una tassazione identica. Un principio chiaro, che ora impone al Governo di trovare strade nuove se vuole recuperate i risparmi caduti sotto i colpi della Corte.
_________________________________________________________________________


Il peso. Occorre riconoscere anche il pregresso
Busta più pesante da novembre

Di Tiziano Grandelli
Mirco Zamberlan

La sentenza della Corte Costituzionale 223/2012 che ha dichiarato illegittima la norma del Dl 78/2010 relativa alla trattenuta sul Tfr rischia di far saltare i conti delle amministrazioni pubbliche in materia di personale. I giudici costituzionali non hanno portato solo vantaggi nelle tasche dei dipendenti pubblici, ma hanno anche inflitto un duro colpo alle casse comunali.

La norma bocciata
Da dove nasce il pasticcio? Nasce dall'obiettivo di togliere un beneficio di cui i dipendenti pubblici godevano in materia di trattamento di fine servizio, se assunti prima del 2001, estendendo anche a questi lavoratori il regime del Tfr previsto nel Codice civile. In sostanza, fino al 2010, la normativa imponeva al datore di lavoro un accantonamento sull'80% della retribuzione lorda (che la base su cui si calcola l’accantonamento del Tfr), con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,5%, calcolata sempre sull'8- o% della retribuzione. La normativa pregressa prevedeva un accantonamento determinato su una base di computo ridotta, e, a fronte di un miglior Tfr, esigeva la rivalsa sul dipendente.
Nell'assetto che si è determinato in seguito alla norma impugnata (DL 78/2010, articolo 12, comma 10), la percentuale di accantonamento opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, solo per i dipendenti pubblici, in assenza della “fascia esente”, determina in un sol colpo una riduzione della retribuzione e la riduzione della quantità di Tfr maturata nel tempo.
Il legislatore aveva dunque dimenticato che, nel privato, tutti gli oneri sono a carico del datore di lavoro, mentre nei regimi pubblicistici era prevista appunto la ritenuta a carico del dipendente (il 2,5% sull'8o% della retribuzione). L'illegittimità costituzionale si fonda sul principio di parità di trattamento fra i dipendenti pubblici e quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro.


L'impatto della sentenza
Che cosa succede a questo punto? Le pubbliche amministrazioni non sono più legittimate a trattenere ai dipendenti la trattenuta ex Enpas, ex Inadel,(*) e cosi via. Inoltre, dovranno restituire le stesse ritenute effettuate dal 1° gennaio 2011 fino a oggi. Infatti, l'articolo 136 della Costituzione prevede che la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere effetto dal giorno successivo alla. pubblicazione della decisione.
Considerando che la sentenza è stata pubblicata il 17 ottobre 2012 (Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, n. 41), l'applicazione inizierà con gli stipendi del mese di novembre, poiché gli stipendi di ottobre sono già stati elaborati. Peraltro, sembra non si possa sfuggire nemmeno al riconoscimento degli arretrati, poiché le sentenze hanno efficacia anche nei confronti dei rapporti sorti prima della dichiarazione di illegittimità con la sola eccezione dei rapporti esauriti. Gli enti dovranno dunque fare una variazione di bilancio per far fronte a questi oneri sopravvenuti, che sono quantificabili in una quota pari al 2% delle retribuzioni annue utili ai fini Tfr (che equivale al 2,5% dell’80% della retribuzione). Questo vuol dire che, nel 2012, dovranno essere reperite le risorse per rimborsare le trattenute effettuate nel 2011, quelle
trattenute nella prima parte del 2012 e quelle non più recuperabili nel 2012 a fronte della sentenza. In pratica si tratta di circa il 4%, da calcolare non solo sullo stipendio tabellare ma anche sulle altre voci utili (come indennità di amministrazione e retribuzione di posizione). Gli enti si troveranno in enorme difficoltà o, più probabilmente, nella impossibilita di rispettare i vincoli sul contenimento della spesa di personale.
(*) ex Inpdap per il personale della Polizia di Stato
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Re: Istanza per la cessazione del prelievo del 2,50% sul TFR

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L'Arma è sempre Ultima

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