irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Ricorso Accolto.
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1) - Il contestato indebito, secondo quanto comunicato dall’INPS, sarebbe scaturito dal raffronto tra le somme pagate a titolo di pensione provvisoria e quelle dovute in base al provvedimento di liquidazione della pensione definitiva

2) - In particolare, l’errore ha riguardato principalmente la voce stipendio (euro 16.397,82 a fronte di euro 12.116,54), ma ha interessato anche altre voci, come la retribuzione individuale di anzianità (euro 1.001,04 a fronte di euro 883,39), i sei scatti stipendiali (euro 3.584,15 a fronte di euro 2.905,64), l’ assegno funzionale (euro 3.070,50 a fronte di euro 1.800,20), l’indennità pensionabile (euro 9.117,60 a fronte di euro 7.990,80), l’indennità integrativa speciale (euro 6.495,48 a fronte di euro 6.371,03).

3) - Tali errori, pur parzialmente compensati da altro errore di segno contrario, cioè sfavorevole al pensionato, relativo al montante individuale utilizzato per il computo della quota calcolata con il sistema contributivo, hanno determinato la liquidazione, in via provvisoria, di una pensione annua lorda di euro 21.656,05, a fronte di una pensione spettante, liquidata in via definitiva, di euro 18.734,75.

4) - Effettivamente, la differenza tra i due importi non è irrilevante e ha comportato l’attribuzione di un trattamento di quiescenza superiore a quello spettante di circa il 15%.

5) - Per converso, va osservato che l’importo della pensione indebitamente liquidata, rapportato a mese, era di circa euro 1.800, superiore di circa 240 euro a quella spettante, ma comunque sempre nettamente inferiore all’importo mensile della retribuzione percepita dall’interessato al momento del collocamento a riposo.

6) - Estrapolando i dati dal prospetto di liquidazione della pensione definitiva e tenendo in considerazione le varie voci retributive (stipendio, R.I.A., assegno funzionale , I.I.S., indennità pensionabile ), si ricava che tale retribuzione era di circa euro 2.400.

7) - Nel caso di specie, non solo tale circostanza non si verifica, ma si rileva che l’importo mensile della pensione era anzi inferiore di circa 600 euro a quello dell’ultimo trattamento retributivo percepito.

8) - Su tali somme spetterebbero al ricorrente anche gli interessi legali, come recentemente affermato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con sentenza n. 33/2017/MD del 12/10/2017.
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SARDEGNA SENTENZA 152 11/12/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SARDEGNA SENTENZA 152 2017 PENSIONI 11/12/2017
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Sent. n. 152/2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA

pronuncia la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23846 del registro di Segreteria, proposto da
N. C., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea PETTINAU ed Elena PETTINAU, presso lo studio dei quali in Cagliari, piazza Gramsci 18 è elettivamente domiciliato

RICORRENTE

contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), Gestione Dipendenti Pubblici, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro DOA, Mariantonietta PIRAS e Stefania SOTGIA, elettivamente domiciliato presso l’ufficio legale dell’Ente in Cagliari, via P. Delitala 2

RESISTENTE

Uditi, nell’udienza pubblica del 21 novembre 2017, l’avvocato Elena PETTINAU per il ricorrente e l’avvocato Marina OLLA per l’INPS, su delega dei patroni costituiti, che hanno integralmente confermato le rispettive conclusioni di parte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

FATTO

Il ricorrente, ex Vice Brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, titolare di pensione, ha proposto ricorso contro il provvedimento dell’INPS di Sassari prot. n. 7300 del 23/06/2016, con il quale gli è stato comunicato un debito di euro 27.648,76 per somme indebitamente percepite a titolo di pensione provvisoria, nel periodo 11/12/2007-30/06/2016, di cui è stato disposto il recupero con applicazione di una ritenuta mensile sulla pensione di cui è titolare di euro 341,34 a partire dalla rata di luglio 2016.

Il contestato indebito, secondo quanto comunicato dall’INPS, sarebbe scaturito dal raffronto tra le somme pagate a titolo di pensione provvisoria e quelle dovute in base al provvedimento di liquidazione della pensione definitiva (decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 1096 del 06/11/2014).

Sono state formulate le seguenti conclusioni:

“Voglia l’Ecc.ma Corte dei Conti adita, contrariis rejectis, accogliere il presente ricorso e per l’effetto accertare e dichiarare l’irripetibilità delle somme asseritamente percepite indebitamente dal Sig. N. C. condannando l’INPS alla restituzione di quanto trattenuto.

Con condanna alle spese del presente giudizio da liquidarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari”.

L’INPS si è costituito in giudizio a ministero degli avvocati Alessandro DOA, Mariantonietta PIRAS e Stefania SOTGIA con memoria difensiva depositata in Segreteria tramite PEC il 27/02/2017, chiedendo il rigetto del ricorso, con vittoria di spese e competenze legali come per legge.

La Sezione, con ordinanza n. 20/2017, ha accolto l’istanza cautelare proposta contestualmente al ricorso, disponendo la sospensione della ritenuta applicata sulla pensione del ricorrente.

Discusso il giudizio nel merito all’udienza del 10/03/2017, la Sezione, con ordinanza n. 60/2017, ritenuto che dagli atti non emergessero con chiarezza le circostanze di fatto e i presupposti di diritto che hanno determinato l’accertamento dell’indebito pensionistico, ha ordinato all’INPS di depositare, entro trenta giorni dalla notifica dell’ordinanza, il quadro riepilogativo ed i relativi prospetti di lavorazione sulla pensione numero n. 10332899, intestata al ricorrente, relativi al recupero dell’indebito di €. 27.648,76 di cui al provvedimento del 23/06/2016, successivo alla liquidazione definitiva della pensione di cui al decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 1096 emesso in data 06/11/2014, preceduta da quella provvisoria decorrente dal 11/12/2007, nonché una relazione analitica illustrativa che chiarisse le circostanze di fatto e i presupposti di diritto che hanno determinato l’accertamento dell’indebito pensionistico.

L’INPS non ha dato risposta all’ordinanza né nel termine assegnato né successivamente.

L’udienza per la discussione del giudizio, originariamente fissata al 7 luglio 2017, è stata rinviata al 18 luglio 2017 a seguito della sostituzione del giudice unico precedentemente designato, trasferito ad altro Ufficio giudiziario.

In tale ultima udienza, la Sezione, dopo aver ribadito quanto affermato in sede cautelare, secondo cui la fondatezza della pretesa del ricorrente va valutata alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento alla sentenza delle Sezioni riunite n. 2/2012/QM del 2 luglio 2012, ha dato disposizione, con ordinanza, per acquisire elementi di giudizio attinenti all’accertamento dello stato soggettivo di buona fede del pensionato, in relazione alla possibilità dello stesso di rilevare l’errore commesso nella liquidazione della pensione.

L’ordinanza era tesa a stabilire “1) se la pensione provvisoria sia stata oggetto di un atto di liquidazione (di cui, in caso affermativo, dovrà essere acquisita copia) e se lo stesso sia stato portato a conoscenza del pensionato; 2) se il provvedimento definitivo di liquidazione della pensione sia stato comunicato al pensionato”.

Dell’esecuzione degli incombenti istruttori è stato incaricato il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri (il quale, all’occorrenza, doveva curare di interessare gli Uffici dell’amministrazione che avessero trattato la pratica di pensione del ricorrente).

Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Centro Nazionale Amministrativo, Servizio Trattamento Economico, Ufficio Contenzioso di Chieti, ha trasmesso le notizie e gli atti richiesti con nota inviata tramite PEC in data 2 agosto 2017.

La causa è stata decisa con dispositivo letto nell’udienza del 21 novembre 2017 per i motivi di seguito esposti in

DIRITTO

Preliminarmente, va detto che, nella nota di risposta all’ordinanza istruttoria, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha preso posizione sul merito della domanda proposta dal ricorrente, affermando che “non sussistono gli elementi che consentono alla parte ricorrente di sostenere la domanda, che si mostra priva di fondamento e immeritevole di accoglimento”.

Va però escluso che con tale atto l’Arma dei Carabinieri abbia acquisito la qualità di parte del giudizio a titolo di interveniente, vuoi perché l’atto non viene espressamente qualificato come comparsa di costituzione, finalizzata a dispiegare intervento nel giudizio, vuoi perché lo stesso non è stato notificato alle parti avverse, come impone l’art. 160, comma 3 CGC (applicabile nella fattispecie, essendo stato il ricorso proposto dopo l’entrata in vigore di detto codice).

La riportata affermazione assume quindi un valore di mero obiter dictum.

Come ricordato anche nell’ultima ordinanza istruttoria, il potere dell’Amministrazione di recuperare indebiti pensionistici formatisi per differenza tra gli importi della pensione provvisoria e della pensione definitiva soggiace ai limiti fissati, in via giurisprudenziale, con la sentenza delle Sezioni riunite di questa Corte n. 2/2012/QM del 2 luglio 2012.

È stato ivi affermato che il diritto dell’amministrazione incontra il limite derivante dal legittimo affidamento del pensionato sulla spettanza delle somme percepite. Ciò in quanto “l’affidamento legittimo e ragionevole è espressione di un principio che impone al soggetto pubblico che voglia esercitare il suo potere nei confronti del privato, di tenere nel debito conto l’interesse alla conservazione di un vantaggio (ovvero un bene o un’utilità), conseguito in buona fede dal privato stessa per effetto di un previo atto o di un comportamento della pubblica amministrazione, a ciò finalizzato, unitamente all’indefettibile requisito che detto vantaggio si sia consolidato per effetto del decorso di un significativo lasso temporale”.

Le SSRR hanno pertanto espresso la seguente massima di diritto:

“Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto – dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.

Come già affermato nell’ordinanza istruttoria, “nel caso di specie, l’elemento oggettivo dato dal decorso del tempo è sicuramente riscontrabile, in ragione sia dell’intervallo trascorso tra la cessazione dal servizio del ricorrente (11/09/2007) e l’emanazione del provvedimento di pensione definitiva (06/11/2014), sia della durata del periodo durante il quale l’interessato ha continuato a percepire il trattamento provvisorio di misura superiore a quella spettante (il ritardo con il quale l’indebito in questione è stato segnalato è in parte imputabile allo stesso INPS, considerato che il provvedimento di pensione definitiva risulta ad esso pervenuto contestualmente alla sua emissione e l’indebito è stato contestato solo nel giugno del 2016)”.

Gli elementi acquisiti con l’ordinanza istruttoria inducono la Sezione a ritenere che sia riscontrabile anche l’elemento soggettivo della buona fede.

Va detto che la pensione provvisoria è stata oggetto di un apposito atto di liquidazione (atto dispositivo n. 3252 del 28/11/2007, allegato n. 2 degli atti trasmessi dal Comando dell’Arma dei Carabinieri in risposta all’ordinanza istruttoria).

Come è facile notare ponendo a confronto il prospetto di calcolo allegato all’atto in questione con quello contenuto nel decreto di liquidazione della pensione definitiva (decreto n. 1096 del 06/11/2014, allegato n. 6 degli atti trasmessi dal Comando dell’Arma dei Carabinieri in risposta all’ordinanza istruttoria), ciò che ha determinato la liquidazione di una pensione superiore a quella spettante è stato un macroscopico errore commesso nella determinazione della base pensionabile relativa alla parte della pensione liquidata con il sistema retributivo.

In particolare, l’errore ha riguardato principalmente la voce stipendio (euro 16.397,82 a fronte di euro 12.116,54), ma ha interessato anche altre voci, come la retribuzione individuale di anzianità (euro 1.001,04 a fronte di euro 883,39), i sei scatti stipendiali (euro 3.584,15 a fronte di euro 2.905,64), l’ assegno funzionale (euro 3.070,50 a fronte di euro 1.800,20), l’indennità pensionabile (euro 9.117,60 a fronte di euro 7.990,80), l’indennità integrativa speciale (euro 6.495,48 a fronte di euro 6.371,03).

Tali errori, pur parzialmente compensati da altro errore di segno contrario, cioè sfavorevole al pensionato, relativo al montante individuale utilizzato per il computo della quota calcolata con il sistema contributivo, hanno determinato la liquidazione, in via provvisoria, di una pensione annua lorda di euro 21.656,05, a fronte di una pensione spettante, liquidata in via definitiva, di euro 18.734,75.

Effettivamente, la differenza tra i due importi non è irrilevante e ha comportato l’attribuzione di un trattamento di quiescenza superiore a quello spettante di circa il 15%.

Tuttavia, va considerato che, per quanto consta, il provvedimento di liquidazione della pensione provvisoria (la cui lettura avrebbe sicuramente posto l’interessato in condizione di avvedersi dell’errore commesso dall’amministrazione) non risulta pervenuto al N. C.. Al riguardo, l’ordinanza istruttoria aveva espressamente richiesto ai Carabinieri di fornire dimostrazione dell’avvenuta ricezione, da parte del pensionato, delle comunicazioni a lui date dei vari atti liquidativi della pensione, attraverso la produzione, anche in copia, di eventuali avvisi di ricevimento di raccomandate o equivalenti. Dimostrazione che non è stata data, neppure relativamente alla comunicazione del provvedimento di liquidazione della pensione definitiva.

Per converso, va osservato che l’importo della pensione indebitamente liquidata, rapportato a mese, era di circa euro 1.800, superiore di circa 240 euro a quella spettante, ma comunque sempre nettamente inferiore all’importo mensile della retribuzione percepita dall’interessato al momento del collocamento a riposo.

Estrapolando i dati dal prospetto di liquidazione della pensione definitiva e tenendo in considerazione le varie voci retributive (stipendio, R.I.A., assegno funzionale , I.I.S., indennità pensionabile ), si ricava che tale retribuzione era di circa euro 2.400.

Come è noto, nella sentenza del 2012 cit., le SSRR, sia pure a titolo meramente esemplificativo, hanno espressamente segnalato, tra gli indici di sicura riconoscibilità dell’errore commesso nella liquidazione della pensione provvisoria, l’attribuzione di un trattamento di quiescenza superiore a quello di attività.

Nel caso di specie, non solo tale circostanza non si verifica, ma si rileva che l’importo mensile della pensione era anzi inferiore di circa 600 euro a quello dell’ultimo trattamento retributivo percepito.

In definitiva, non si rilevano elementi che possano indurre a ritenere che il pensionato abbia avuto la concreta possibilità di rendersi conto (in via diretta, con la visione del prospetto di liquidazione della pensione provvisoria, o in via indiretta, sulla base di indici sintomatici) dell’errore dell’amministrazione, al riguardo anche tenuta nella dovuta considerazione l’obiettiva difficoltà di calcolo dei trattamenti pensionistici.

Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente dichiarazione di irripetibilità dell’indebito e condanna dell’amministrazione resistente alla restituzione al ricorrente delle somme trattenute precedentemente al provvedimento cautelare adottato dalla Sezione.

Su tali somme spetterebbero al ricorrente anche gli interessi legali, come recentemente affermato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con sentenza n. 33/2017/MD del 12/10/2017. Tuttavia, non può essere emessa pronuncia sul punto, atteso che il diritto del ricorrente alla restituzione delle somme indebitamente trattenute dall’INPS non attiene ad un credito pensionistico, che, in quanto tale, determinerebbe automatica e officiosa liquidazione, da parte del giudice, degli accessori, ai sensi dell’art. 167, comma 3 CGC.

Il diritto ora accertato attiene invece, come si evince anche dalla motivazione della sentenza sopra richiamata, alla restituzione di un pagamento indebito effettuato dal pensionato.

In casi siffatti, come affermato dalla giurisprudenza (v. Corte di cassazione, n. 2814 del 10/03/1995), occorre un’espressa domanda di parte di attribuzione degli interessi, che, nel caso di specie, non è stata proposta.

La condanna alle spese segue la soccombenza e va disposta in favore dei procuratori del ricorrente, dichiaratisi antistatari. La liquidazione è operata sulla base della tabella 11 allegata al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e del valore della causa, con applicazione di una riduzione, ai sensi dell’art. 4, comma 1 del suddetto decreto, tenuto conto della non particolare complessità dell’affare, anche in relazione all’esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso di N. C. e, per l’effetto, dichiara non ripetibile la somma di euro 27.648,769 di cui è stato disposto il recupero con il provvedimento impugnato.

Condanna l’INPS a restituire al ricorrente le somme recuperate in esecuzione del suddetto provvedimento.

Condanna l’INPS al pagamento, in favore degli avvocati Andrea PETTINAU ed Elena PETTINAU, dichiaratisi antistatari, delle spese di assistenza legale, che si liquidano in euro quattromila, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15%.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di quaranta giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 21 novembre 2017.
Il Giudice unico
f.to Antonio Marco CANU


Depositata in Segreteria il 11 dicembre 2017.


Il Dirigente
f.to Giuseppe Mullano


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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Ricorso per somme indebite Accolto, sentenza importante.

inoltrato domanda per la concessione del trattamento di cui alla l. n. 407/1998 in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata;

Ecco alcuni brani:

1) - Conformemente a quanto richiesto nel libello introduttivo (punto B a pag. 11 e punto 3 delle conclusioni), nel calcolo delle somme da corrispondere alla ricorrente, per differenza tra il trattamento di attività accertato in questa sede e il trattamento di reversibilità della pensione privilegiata già in godimento, dovranno essere riconosciute e conteggiate le esenzioni fiscali invocate anche sul trattamento di reversibilità della pensione privilegiata (art. 1, comma 3, l. n. 302/1990 da porre a riferimento con l’art. 2, comma 5, della l. n. 407/1998; art. 1, comma 563, l. n. 266/2005; art. 34, comma 1, del d.l. n. 159/2007 convertito in l. n. 222/2007), tenuto conto che - in base all’orientamento del giudice di legittimità - la controversia relativa all’ammontare della ritenuta fiscale operata dall’istituto previdenziale attiene al trattamento pensionistico e, ove derivante da rapporto di pubblico impiego, rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti, che ricomprende tutte le controversie funzionali e connesse al diritto alla pensione dei pubblici dipendenti (Cass. SS.UU. n. 7755/2017).

2) - Sul trattamento pensionistico riconosciuto alla ricorrente saranno inoltre applicate, in presenza delle relative condizioni, le esenzioni fiscali spettanti ai sensi di legge (art. 1, comma 211, della l. n. 232/2016).

3) - Conclusivamente il ricorso va accolto e va dichiarato il diritto della ricorrente ad ottenere il trattamento complessivo di attività, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 629/1973, con decorrenza dei ratei a partire dal quinquennio antecedente alla data di presentazione del ricorso giurisdizionale (7 novembre 2017), da corrispondere alla ricorrente nella misura in cui il trattamento complessivo di attività risulti migliorativo rispetto al trattamento di reversibilità della pensione privilegiata già in godimento nello stesso periodo, con interessi e rivalutazione monetaria ai sensi di legge dal giorno del dovuto sino all’integrale soddisfo, salva l’applicazione dei limiti al cumulo tra essi previsti dalla legislazione (art. 16, comma 6, l. n. 412/1991, art. 2 del D.M. 1 settembre 1998 n. 352), con le esenzioni fiscali previste dalla legge e con la restituzione delle trattenute mensili di euro 222,02 effettivamente operate dal dicembre 2016.

Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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Sezione MARCHE Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 132 Pubblicazione 04/06/2018


REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE DEI CONTI
Sezione giurisdizionale regionale per le Marche

in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico nella materia pensionistica Cons. Fabio Gaetano Galeffi, ha pronunciato, nella pubblica udienza del 17 aprile 2018, con l’assistenza del Segretario sig.ra Manuela Brutti, la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22144/PM/NC del registro di segreteria, presentato il 6 novembre 2017 da M. F., c.f. OMISSIS, nata a OMISSIS l’OMISSIS, quale vedova dell’appuntato C.C. OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avv. Leonardo Carbone, c.f. CRBLRD41E09C349O, pec avvleonardocarbone@pec.it, e dall’avv. Daniela Carbone, c.f. CRBDNL72T53H501R, pec avvdanielacarbone@cnfpect.it, e con gli stessi elettivamente domiciliata ad Ascoli Piceno, Via A. Orsini 11, come da procura in calce al ricorso,

NEI CONFRONTI DI
- Ministero della difesa, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Ancona, Piazza Cavour;

- INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, gestione ex Inpdap, Direzione provinciale di Ascoli Piceno, in persona del Direttore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonio Cimmino, Floro Flori e Susanna Mazzaferri, ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura Inps, Ancona, Via S. Martino 23;

AVVERSO

il decreto del Ministero della difesa n. 834 dell’8 luglio 2009 e tutti gli atti presupposti e conseguenti, quali i provvedimenti Inps di recupero sulle somme ritenute indebite, recante revoca del decreto del Ministero della difesa n. 1141 del 14 settembre 2004 di riconoscimento alla ricorrente, quale vedova e avente causa dal defunto coniuge appuntato dei Carabinieri OMISSIS, del trattamento di attività a decorrere dal 15 dicembre 1998.

Nella pubblica udienza del 17 aprile 2018, assenti le parti, la causa viene trattenuta in decisione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La ricorrente chiede in via principale: 1) che sia dichiarato illegittimo il decreto del Ministero della difesa n. 834 dell’8 luglio 2009 e tutti gli atti presupposti e conseguenti, quali i provvedimenti Inps di recupero sulle somme ritenute indebite; 2) che siano condannati il Ministero della difesa e l’Inps a ripristinare la pensione commisurata al trattamento di attività ai sensi della l. n. 629/1973, nonché a restituire le somme non più corrisposte per effetto della revoca disposta dal provvedimento impugnato, oltre alle trattenute sulla pensione privilegiata indiretta n. 10125583 fino all’effettivo soddisfo; 3) che siano condannati il Ministero della difesa e l’Inps a ripristinare la detassazione sulla pensione privilegiata indiretta n. 10125583 a prescindere della liquidazione del trattamento di attività; ed in subordine: 4) che sia dichiarata l’illegittimità dell’indebito in corso di recupero sulla pensione n. 10125583, con conseguente irripetibilità di quanto trattenuto; con condanna alle spese.

Contestualmente al ricorso, l’interessata ha chiesto anche tutela cautelare.

In sintesi, ha riferito la ricorrente:

- di essere vedova di OMISSIS, appuntato dei Carabinieri deceduto il ... luglio 1981 durante un’operazione di prevenzione e repressione di atti di terrorismo;

- che in data 10 febbraio 1982 il Comandante della Legione Carabinieri di Ancona aveva disposto con proprio decreto il pagamento in favore della ricorrente di pensione indiretta con decorrenza dal 1° agosto 1981;

- che il Ministero della difesa, con decreto n. 837 del 9 aprile 1983, aveva disposto a domanda dell’interessata la liquidazione della pensione privilegiata indiretta, considerando che la morte del dante causa era avvenuta per causa di servizio;

- di aver successivamente inoltrato domanda per la concessione del trattamento di cui alla l. n. 407/1998 in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata;

- che, a seguito di istruttoria, il Comando Carabinieri Marche con atto del 2 ottobre 1999 ha riferito al Ministero dell’interno che il decesso di OMISSIS era avvenuto durante un inseguimento stradale mentre il militare stesso era impegnato in indagini conseguenti al rapimento del fratello di un soggetto appartenente ad una organizzazione terroristica;

- che il Ministero della difesa, Direzione generale del personale militare, con d.m. n. 1141 del 14 settembre 2004, riconosceva in favore della ricorrente, quale vedova di OMISSIS, il trattamento complessivo di attività, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 629/1973, a decorrere dal 15 dicembre 1998, stante la prescrizione quinquennale nel periodo pregresso;

- che successivamente il d.m. n. 834 dell’8 luglio 2009 revocava il d.m. n. 1141 del 14 settembre 2004, sulla base della considerazione che l’evento lesivo, da cui è stato originato il decesso del dante causa OMISSIS, era avvenuto per le ferite riportate a seguito di incidente stradale, come da rapporto del Gruppo Carabinieri di Ascoli Piceno del 16 settembre 1981;

- che in data 7 ottobre 2016 con nota n. OMISSIS l’Inps di Ascoli Piceno ha comunicato alla ricorrente l’esistenza del predetto d.m. n. 834 del 2009, ai fini della rideterminazione del trattamento pensionistico (da trattamento di attività a pensione privilegiata indiretta), con contestuale comunicazione dell’applicazione di ritenuta cautelativa di euro 222,02 a partire dal mese di dicembre 2016;

- che in data 17 ottobre 2016 con nota n. OMISSIS l’Inps di Ascoli Piceno ha convocato l’attuale ricorrente;

- che da informazioni assunte per le vie brevi da parte della ricorrente, l’importo dell’indebito risulterebbe di circa 150.000 euro.

Ritiene la ricorrente di aver diritto, sulla base della propria posizione, alla corresponsione del trattamento previdenziale quale vedova di vittima del terrorismo, e conclude nei termini in precedenza riportati, formulando contestualmente domanda di tutela cautelare, anche in relazione alla ritenuta Irpef, allegando l’esistenza del fumus e del danno grave e irreparabile, traendo dalla pensione l’unica fonte di sostentamento, dovendo in ipotesi essere assoggettata anche a procedimenti esecutivi sulla casa di abitazione, a causa della propria carenza di liquidità per far fronte al presunto indebito.

Si è costituito il Ministero della difesa con memoria pervenuta il 6 dicembre 2017, precisando di aver proceduto nel 2009 alla revoca del d.m. del 2004 adeguandosi ai rilievi dell’organo di controllo successivo di legittimità sugli atti di conferimento delle pensioni pubbliche (art. 166 l. n. 312/1980); nella memoria viene inoltre illustrata una vicenda relativa all’indebito nel frattempo formatosi e alla connessa rivalsa chiesta al Ministero dall’Inps sul relativo importo. Viene trattata infine la questione dell’esenzione Irpef.

Ha concluso l’amministrazione chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato in fatto e in diritto, con compensazione delle spese di giudizio; in subordine ha eccepito la prescrizione quinquennale sui ratei, essendo per tabulas noto alla controparte sin dal 2009 la riduzione del trattamento pensionistico, e chiede infine che l’eventuale miglior trattamento pensionistico riconosciuto sia dichiarato esentato dall’Irpef a decorrere dal 1° gennaio 2017 ai sensi dell’art. 1, comma 211, della l. n. 232/2016.

Si è costituito l’Inps con memoria pervenuta il 7 dicembre 2017, confermando di aver agito sulla base delle istruzioni fornite dal Ministero della difesa con il richiamato d.m. n. 834 dell’8 luglio 2009, essendo ordinatore secondario di spesa; quanto alla ritenuta Irpef di aver proceduto secondo la normativa di riferimento; in ordine alla ripetibilità dell’indebito, l’Inps richiama la disciplina inerente il recupero degli importi conseguenti alla determinazione della pensione. Secondo l’Inps, la domanda cautelare sarebbe comunque sfornita di prova; anche il periculum sarebbe inesistente, in considerazione del modesto importo della trattenuta mensile. Ha concluso l’Inps chiedendo di respingere l’istanza di sospensione e nel merito di respingere integralmente l’avversa pretesa poiché infondata in fatto e in diritto; vinte le spese.

In ordine alla fase cautelare, con ordinanza n. 69/2017, resa nella camera di consiglio del 12 dicembre 2017 e depositata il 29 successivo, questa Sezione ha ritenuto, da una cognizione sommaria degli atti di causa, la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, disponendo in particolare: la sospensione degli effetti del d.m. difesa n. 834 dell’8 luglio 2009, e, conseguentemente, delle note dell’Inps di Ascoli Piceno n. OMISSIS del 7 ottobre 2016 e n. OMISSIS del 17 ottobre 2016; la sospensione della ritenuta di euro 222,02 a partire dal mese successivo alla ricezione da parte dell’Inps della predetta ordinanza, senza restituzione delle somme già trattenute dal dicembre 2016 e sino alla definizione del giudizio; disponendo incombenze istruttorie e fissando per la prosecuzione della trattazione l’odierna udienza del 17 aprile 2018.

All’esito degli adempimenti istruttori di cui alla predetta ordinanza n. 69/2017, il Ministero della difesa ha fatto pervenire in data 6 febbraio 2018 una memoria, con la quale evidenzia di aver comunicato con nota prot. OMISSIS del 26 maggio 2009 all’Inpdap di Ascoli Piceno la sospensione del pagamento del d.m. 1141 e il ripristino del pagamento della pensione privilegiata di reversibilità di cui al d.m. n. 837 del 9 aprile 1983; nella medesima memoria si precisa che l’Inpdap di Ascoli Piceno riscontrava con nota del 16 giugno 2009, fornendo assicurazioni circa il ripristino della pensione privilegiata di reversibilità e precisando di restare in attesa di istruzioni al riguardo per il prosieguo.

L’Inps non ha presentato ulteriori memorie.

All’udienza del 17 aprile 2018, assenti le parti, la causa viene messa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Sezione è chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza in capo alla ricorrente del diritto al trattamento di cui all’art. 1 della l. n. 629/1973, già in godimento sulla base del decreto del Ministero della difesa n. 1141 del 14 settembre 2004, poi revocato con d.m. d.m. difesa n. 834 dell’8 luglio 2009.

1) Questioni preliminari. In via preliminare va chiarito che, nonostante nella memoria di costituzione del Ministero della difesa vi sia cenno ad un’azione di rivalsa dell’Inps verso il Ministero stesso per un ipotetico indebito pensionistico (pag. 5-7), sulla quale viene chiesta la dichiarazione di inammissibilità per carenza di interesse, tuttavia dalla documentazione in atti non risulta che l’Inps abbia fatto valere una domanda di rivalsa a carico del Ministero della difesa, essendosi l’Inps limitato a precisare le condizioni cui soggiace la presunta irrepetibilità dell’indebito. Ciò posto, non vi è luogo a pronunciarsi su tale rivalsa, che risulterebbe peraltro estranea alla giurisdizione di questo giudice.

2) Spettanza del trattamento di attività. Nel merito, dal rapporto del Gruppo Carabinieri di Ascoli Piceno del 16 settembre 1981 si evince che l’incidente stradale in cui ha perso la vita l’appuntato C.C. OMISSIS è avvenuto il … luglio 1981 sull’autostrada A14, all’altezza del casello di OMISSIS, nel corso di operazioni dirette a perseguire gli autori di grave reato (sequestro di persona), perpetrato nelle Marche ed ancora in corso all’epoca dell’incidente stradale di che trattasi, per il quale erano sospettati gli appartenenti ad una organizzazione terroristica.

Dalla descrizione dettagliata dei fatti viene in luce la matrice terroristica dell’episodio in cui ha perso la vita l’appuntato C.C. OMISSIS, coniuge della ricorrente, consistente negli esiti mortali di un inseguimento stradale, su veicolo dell’amministrazione, nei confronti di un soggetto già condannato per reati eversivi e in libertà provvisoria, nominativamente generalizzato in atti, che alle ore 8,50 del …. luglio 1981 veniva riconosciuto dai militari mentre era a bordo di altro veicolo che transitava e superava ad alta velocità la vettura dei militari sulla stessa autostrada A14. Avviato l’inseguimento all’altezza della galleria di OMISSIS dell’A14 e percorsi circa 8 km in direzione nord, in una curva a sinistra all’altezza del km ……. dell’A14, in corrispondenza del casello di OMISSIS, avveniva l’incidente letale. Il servizio di polizia durante il quale è avvenuto il predetto episodio risultava specificamente svolto in base ad ordine di servizio del … luglio 1981 impartito a OMISSIS e altri due militari da parte del comandante del nucleo operativo C.C. di Ascoli Piceno, contenente dettagliate istruzioni circa l’orario (a partire dalle ore 7,30 del …. luglio 1981), l’itinerario (Ascoli Piceno - San Benedetto del Tronto - Civitanova Marche - Ancona e viceversa) e la finalità del servizio (intercettare e fotografare elementi sospettati di essere appartenenti alla colonna marchigiana di un’organizzazione terroristica, per accertare e documentare eventuali incontri tra gli elementi inquisiti).

L’orario e il luogo in cui è avvenuto l’episodio in cui l’appuntato OMISSIS ha perso la vita sono compatibili con il servizio a cui lo stesso era specificamente comandato, insieme agli altri due militari, su vettura …… in dotazione ai Carabinieri e con targa di copertura.

Dalla documentazione in atti, si rileva che il militare è quindi caduto il … luglio 1981 durante lo svolgimento di indagini e operazioni di prevenzione e repressione di atti di terrorismo, come precisato anche nelle premesse del decreto 30 marzo 2000 del Capo della Polizia per la riliquidazione della speciale elargizione di cui alla l. n. 466/1980.

Ciò posto, va rilevato che l’art. 1 della l. n. 629/1973 dispone che il “trattamento complessivo di attività” spetta alla vedova e agli orfani dei militari “deceduti in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza ad azioni terroristiche o criminose o in servizio di ordine pubblico” e il caso di specie (inseguimento di soggetto sospettato di terrorismo, in fuga) appare rientrante nella previsione di legge.

Risulta infine che con decreto del … marzo 2010 il defunto appuntato C.C. OMISSIS è stato insignito dal Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 34 della l. n. 222/2007, di Medaglia d’oro per le vittime del terrorismo alla memoria, con la seguente motivazione “Per gli alti valori morali espressi nell’attività prestata presso l’Amministrazione di appartenenza e per i quali, a OMISSIS (XX), il … luglio 1981, nel corso di un inseguimento stradale connesso alle indagini relative al rapimento del fratello di un noto terrorista, rimase ucciso in un incidente stradale”.

Per l’effetto, deve essere dichiarata, conformemente a quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio, la sussistenza in capo alla ricorrente del diritto ad ottenere il trattamento di cui all’art. 1 della l. n. 629/1973, già in godimento sulla base del decreto del Ministero della difesa n. 1141 del 14 settembre 2004.

3) Decorrenza del trattamento di attività. In ordine alla decorrenza del trattamento di attività di cui al punto che precede, e in relazione ad una eventuale prescrizione di ratei in esito a specifica eccezione formulata dall’amministrazione convenuta, va osservato che:

- la ricorrente aveva già ottenuto il trattamento di reversibilità della pensione privilegiata, come da decreto n. 837 del 9 aprile 1983 di concessione della pensione privilegiata indiretta;

- successivamente aveva ottenuto a domanda (in data 3 dicembre 2003) il trattamento complessivo di attività, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 629/1973, a decorrere dal quinquennio precedente (15 dicembre 1998), come da d.m. n. 1141 del 14 settembre 2004;

- il trattamento di attività veniva revocato e veniva ripristinata la pensione privilegiata di reversibilità, a seguito dell’annullamento del d.m. del 2004 adottato da successivo d.m. n. 834 dell’8 luglio 2009;

- in data 7 ottobre 2016 con nota n. ….. l’Inps di Ascoli Piceno ha comunicato alla ricorrente l’esistenza del predetto d.m. n. 834 del 2009, ai fini della rideterminazione del trattamento pensionistico (da trattamento di attività a pensione privilegiata indiretta), con contestuale comunicazione dell’applicazione di ritenuta cautelativa di euro 222,02 a partire dal mese di dicembre 2016;

- in data 17 ottobre 2016 con nota n. …… l’Inps di Ascoli Piceno ha convocato l’attuale ricorrente.

Dalla memoria del Ministero della difesa del 6 febbraio 2018, emerge inoltre che:

- con atto prot. 106022 del 26 maggio 2009, il Ministero della difesa comunicava all’Inpdap, e sia pure per conoscenza all’attuale ricorrente, la revoca del d.m. del 2004, avvenuta per effetto del successivo d.m. del 2009;

- l’Inpdap con nota del 16 giugno 2009, anch’essa indirizzata per conoscenza alla sig.ra OMISSIS, assicurava la ricezione della predetta comunicazione e precisava che a partire dalla rata di luglio 2009 veniva ripristinata la pensione privilegiata di reversibilità;

Il presunto indebito da recuperare, quale differenza tra pensione privilegiata e trattamento di attività per il periodo dal 1998 al 2009, veniva formalmente contestato all’attuale ricorrente soltanto con le due lettere del 7 e 17 ottobre 2016: l’importo del presunto indebito è indicato in euro 150.000 circa nel ricorso di parte (pag. 5) e in euro 132.925,84 nella memoria di costituzione dell’Inps (pag. 1).

Ciò posto, rileva il giudicante che già a partire dal 2009, allorché la misura del trattamento in godimento era stata ridotta, l’attuale ricorrente era in grado di percepire lo svantaggio economico a cui veniva sottoposta, per la diminuzione del trattamento stesso; pur tuttavia l’interessata si è indotta a presentare ricorso soltanto il 6 novembre 2017, dopo aver ricevuto le due missive dell’Inps del 7 ottobre 2016 prot. …… e del 17 ottobre 2016 prot. ……; solo nel 2016, secondo la ricostruzione offerta nel ricorso, l’interessata avrebbe infatti avuto contezza della misura e quindi dell’ordine di grandezza dell’importo da recuperare.

Al riguardo osserva il giudicante che il trattamento di attività risulta spettante alla ricorrente, e quindi non vi è luogo al recupero di alcun indebito previdenziale.

Tuttavia, il trattamento di attività spettante alla ricorrente va ragguagliato ad un preciso periodo di riferimento: ritiene sul punto il giudicante che, ferma restando l’insussistenza dell’indebito, il trattamento di attività dovrà avere una decorrenza quinquennale a ritroso rispetto alla domanda giudiziale del 6 novembre 2017.

Diversamente opinando, non verrebbe adeguatamente valutata l’inerzia in cui è incorsa l’interessata per non essere tempestivamente insorta in via amministrativa o giurisdizionale sin dalla riduzione del trattamento avvenuta nel 2009; inerzia che era accompagnata dalla consapevolezza del pregiudizio che le veniva arrecato, per effetto della riduzione del trattamento complessivo in godimento.

Ne consegue che, non risultando dalla documentazione di causa la presenza medio tempore (dal 2009) di atti interruttivi della prescrizione, e ferma restando l’inesistenza di un indebito previdenziale come sopra accertata, la decorrenza del trattamento di attività spettante alla ricorrente non potrà superare il termine quinquennale di prescrizione dei ratei, partendo a ritroso dal 6 novembre 2017, come previsto dall’art. 2948 c.c. e dall’art. 2 della l. n. 428/1985 (Corte conti SS.RR. n. 10/99/QM).

Conformemente a quanto richiesto nel libello introduttivo (punto B a pag. 11 e punto 3 delle conclusioni), nel calcolo delle somme da corrispondere alla ricorrente, per differenza tra il trattamento di attività accertato in questa sede e il trattamento di reversibilità della pensione privilegiata già in godimento, dovranno essere riconosciute e conteggiate le esenzioni fiscali invocate anche sul trattamento di reversibilità della pensione privilegiata (art. 1, comma 3, l. n. 302/1990 da porre a riferimento con l’art. 2, comma 5, della l. n. 407/1998; art. 1, comma 563, l. n. 266/2005; art. 34, comma 1, del d.l. n. 159/2007 convertito in l. n. 222/2007), tenuto conto che - in base all’orientamento del giudice di legittimità - la controversia relativa all’ammontare della ritenuta fiscale operata dall’istituto previdenziale attiene al trattamento pensionistico e, ove derivante da rapporto di pubblico impiego, rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti, che ricomprende tutte le controversie funzionali e connesse al diritto alla pensione dei pubblici dipendenti (Cass. SS.UU. n. 7755/2017).

Sul trattamento pensionistico riconosciuto alla ricorrente saranno inoltre applicate, in presenza delle relative condizioni, le esenzioni fiscali spettanti ai sensi di legge (art. 1, comma 211, della l. n. 232/2016).

Per effetto di quanto sopra stabilito, l’Inps dovrà infine restituire alla ricorrente le trattenute mensili di euro 222,02 già eseguite a partire dal dicembre 2016 (nota Inps del 7 ottobre 2016), per mancanza di titolo al recupero.

4) Conclusioni. Restano assorbite tutte le altre questioni, argomentazioni ed eccezioni, le quali vengono ritenute non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonee a sostenere una conclusione di tipo diverso.

Conclusivamente il ricorso va accolto e va dichiarato il diritto della ricorrente ad ottenere il trattamento complessivo di attività, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 629/1973, con decorrenza dei ratei a partire dal quinquennio antecedente alla data di presentazione del ricorso giurisdizionale (7 novembre 2017), da corrispondere alla ricorrente nella misura in cui il trattamento complessivo di attività risulti migliorativo rispetto al trattamento di reversibilità della pensione privilegiata già in godimento nello stesso periodo, con interessi e rivalutazione monetaria ai sensi di legge dal giorno del dovuto sino all’integrale soddisfo, salva l’applicazione dei limiti al cumulo tra essi previsti dalla legislazione (art. 16, comma 6, l. n. 412/1991, art. 2 del D.M. 1 settembre 1998 n. 352), con le esenzioni fiscali previste dalla legge e con la restituzione delle trattenute mensili di euro 222,02 effettivamente operate dal dicembre 2016.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in complessivi euro 3.000 (tremila), di cui euro 1.500 (millecinquecento) a carico del Ministero della difesa ed euro 1.500 (millecinquecento) a carico dell’Inps, oltre Iva e Cap se dovuti.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per le Marche, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso. Liquida le spese a favore della ricorrente in complessivi euro 3.000 (tremila) compresa la fase cautelare, di cui euro 1.500 (millecinquecento) a carico del Ministero della Difesa ed euro 1.500 (millecinquecento) a carico dell’Inps. Fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della sentenza.

Così deciso ad Ancona, nella Camera di Consiglio del 17 aprile 2018.

IL GIUDICE UNICO
F.to Dott. Fabio Gaetano Galeffi


PUBBLICATA IL 04/06/2018


IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
F.to Dr.ssa Tiziana Camaioni


Il Giudice unico delle pensioni, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del d. lgs. n. 196/2003, dispone che a cura della Segreteria sia apposta annotazione di cui al terzo comma del predetto art. 52.
Ancona, 17 aprile 2018
IL GIUDICE UNICO
F.to Cons. Fabio Gaetano Galeffi


In esecuzione del provvedimento del Giudice unico delle pensioni ai sensi dell’art. 52 del d. lgs. n. 196/2003, in caso di diffusione, omettere generalità e altri dati identificativi di parte ricorrente.
IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
F.to Dr.ssa Tiziana Camaioni
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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CdC Veneto del 22/10/2018, Accolto

1) - su domanda, il trattamento in causa veniva riliquidato conferendo alla medesima la pensione speciale di 1^ categoria da 22/10/75 a 21/10/78 e, con decorrenza 22/10/78, la pensione privilegiata di reversibilità. Con decreto OMISSIS il trattamento veniva riliquidato in applicazione dell'art. 3 L. 59/1991.

2) - La questione di merito sottoposta a questo Giudice inerisce l’indebito sorto dal conguaglio tra pensione provvisoria e definitiva.


vedi allegato
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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prima era I.N.P.D.A.P., attualmente è I.N.P.S., che perde l'Appello, avverso la decisione della Sezione giurisdizionale per il Piemonte 1° giugno 2010 n. 80.

1) - la sentenza impugnata ha accolto il ricorso della parte appellata avverso il provvedimento a mezzo del quale l’Amministrazione previdenziale aveva disposto il recupero di somme percepite sulla pensione provvisoria, ed originate dal conguaglio con il trattamento definitivo di pensione.

LA PARTE CHE QUì viene messa in evidenza riguarda quanto segue:

2) - Con il terzo motivo, l’Istituto appellante deduce l’illegittimità della statuizione di primo grado con la quale sono stati riconosciuti gli interessi legali sulle somme da restituire al pensionato per contrasto con la giurisprudenza in materia di questa Corte dei conti.

3) - Conclude, pertanto, con la richiesta che l’indebito sia dichiarato ripetibile e, in subordine, che sulle somme da restituire non siano dovuti gli interessi legali.

La CdC d'Appello precisa:

4) - La Sezione, con sentenza-ordinanza 13 dicembre 2017 n. 984, ha rigettato il primo ed il secondo motivo e disposto il rinvio della causa all’udienza odierna per quanto attiene al terzo,

5) - All’udienza, il rappresentante dell’Amministrazione ha dichiarato di aver preso atto della sopravvenuta sentenza delle Sezioni riunite n. 33/QM del 2017.

6) - Ragione per cui, va confermata la statuizione del giudice territoriale e le somme da restituire, già interamente trattenute in confronto della parte ricorrente, devono essere maggiorate dei soli interessi legali, da calcolarsi a far tempo dalla data della proposizione della domanda giudiziale siccome accertato dalla sentenza impugnata.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Allego 2 sentenze della CdC Sez. 3^ d'Appello proveniente da sentenze della CdC Veneto, la n. 149 e 150 per i motivi di cui al post.

In entrambe le sentenze si legge:

1) - Il terzo motivo d’appello, concernente la prescrizione del diritto alla ripetizione dei ratei deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione.

2) - In giurisprudenza è pacifico che per il recupero degli indebiti oggettivi, ex art. 2033 c.c., da parte della P.A., la prescrizione è quella ordinaria decennale, ex art.2946 c.c. (cfr. ex pluribus, Corte dei conti, Sezione III, sent. n.62696, del 12 gennaio 1989, Sezione II, sent. n. 228, del 10 luglio 2002, Sezione Veneto, sent. n.508, del 22 maggio 2006, Sezione I d’App., sent. n.302/2008/A, del 09 luglio 2008, Cass. Sezione Lavoro, sent. n.2111, del 10 marzo 1997, Sez. Trib., sent. n.10665, del 07 luglio 2003, Tar Liguria, sent. n.146, del 12 febbraio 2004).

3) - Quest’ultima decorre, in via di principio, dal giorno del pagamento delle maggiori rate o assegni non dovuti, integrante il requisito della liquidità ed esigibilità del credito (Sez. II n. 1022 del 2015 e 702 del 2017; Sez. III n. 10 del 2017) purché coincidente con il momento in cui <<…il diritto (al recupero) può essere fatto valere>>, così come statuito dall’art. 2935 c.c.

4) - Ciò significa che <<l’exordium praescriptionis>>, ossia il dies a quo della sua decorrenza, può essere impedito dal ricorrere di un’impossibilità legale che si frapponga all’esercizio del diritto da parte del suo titolare, ossia da parte dell’INPS.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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perdita del grado e somme indebite. La CdC fa chiarezza.

Accolto.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE VENETO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 83 Pubblicazione 13/06/2019

n. 83/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto

GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del Cons. Maurizio Massa,
nella pubblica udienza del giorno 11-06-2019, ha pronunziato

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 30803, del registro di segreteria, proposto con ricorso da M.M., nato a OMISSIS, rappresentato e difeso dall'Avv. Angelo Fiore TARTAGLIA elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Viale delle Medaglie d'Oro n.266, RICORRENTE

contro
il Ministero della Difesa,

contro
il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri,

contro
I.N.P.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Filippo Doni, con il quale è elettivamente domiciliato presso l’Ufficio Legale INPS di Venezia, Dorsoduro 3500/d,

RESISTENTE

per riassunzione del giudizio deciso con sentenza n. 700/2018 della Corte dei Conti, II Sezione Giurisdizionale Centrale d'Appello, che annullava la sentenza di primo grado n. 231/2015 di questa Sezione, rinviando gli atti al Giudice di primo grado.

VISTO il codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174; gli articoli 5 e 9 della legge 21.7.2000, n. 205.

ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso presentato in data 10/03/2015 (giudizio n. 29950), il ricorrente contestava l'ingiunzione di pagamento n. 333 del 7.10.2014 emanata dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo con la quale è stata richiesta al ricorrente la restituzione di euro 6.972,06 quali somme indebitamente percepite dal 17.02.2006 al 16.05.2006, a seguito di collocamento in congedo per perdita del grado.

Questa Sezione Giurisdizionale respingeva il ricorso con sentenza n. 231/2015, oggetto di impugnativa ed annullata con decisione n. 700/2018 della II Sezione Giurisdizionale Centrale d'Appello, che ha rinviato la causa a questa Sezione Giurisdizionale per la definizione del giudizio nel merito, nonché per la regolazione delle spese di lite.

La sentenza n. 700 del 2018 veniva depositata in segreteria il 18.12.2015 e la causa veniva riassunta con ricorso depositato il 18-03-2019, previa notifica dell’8-3-2019.

La difesa dell’I.N.P.S. (ex I.N.P.D.A.P.), con atto di costituzione in giudizio depositato il 31-05-2019, ha chiesto in via pregiudiziale di dichiarare il difetto di legittimazione passiva di I.N.P.S. quanto alle domante attoree riguardanti le tre mensilità stipendiali in corso di recupero da parte dell'ente datore di lavoro, per essere la relativa domanda da rivolgere esclusivamente nei confronti del predetto ente datore di lavoro;

preliminarmente di dichiarare l'inammissibilità delle domande pensionistiche tutte in quanto non precedute da apposita istanza amministrativa;

di dichiarare l'intervenuta decadenza delle domande pensionistiche tutte, ove la relativa domanda amministrativa risultasse essere stata presentata da oltre tre anni;

di dichiarare il difetto di interesse ad agire del ricorrente con riguardo al trattamento pensionistico ordinario provvisorio in corso di erogazione;
sempre preliminarmente di dichiarare la prescrizione dei diritti azionati e, con riguardo ai singoli ratei di trattamento asseritamente spettanti, dichiarare la prescrizione dei singoli ratei;

nel merito di rigettare le avverse domande, in quanto infondate in fatto ed in diritto per i motivi esposti, ovvero in quanto non provate.

nel merito, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento dell'avverso ricorso, di ridurre la condanna per interessi e rivalutazione alla sola maggiore somma tra i due accessori, conformemente alla vigente legislazione ed alla costante giurisprudenza.

Spese, diritti ed onorari di causa integralmente rifusi, o, in caso di soccombenza, comunque compensati in considerazione della complessità del quadro amministrativo in evoluzione.

Il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri con memoria depositata l’8 aprile 2019, ha chiesto il rigetto del ricorso, in subordine ha eccepito la prescrizione quinquennale.

Nell’udienza, udite le parti presenti, come da verbale, la causa veniva posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Risulta dagli atti di causa che il ricorrente, militare in congedo, ha impugnato l'ingiunzione di pagamento n. 333 del 7.10.2014 emanata dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo con la quale è stata richiesta al ricorrente la restituzione di Euro 6.972,06 quali somme indebitamente percepite dal 17.02.2006 al 16.05.2006, a seguito di collocamento in congedo per perdita del grado.

Questa Sezione Giurisdizionale respingeva il ricorso con sentenza n. 231/2015, oggetto di impugnativa ed annullata con decisione n. 700/2018 della II Sezione Giurisdizionale Centrale d'Appello, che ha rinviato la causa a questa Sezione Giurisdizionale per la definizione del giudizio nel merito, nonché per la regolazione delle spese di lite.

Questo Giudice ritiene applicabili al caso di specie gli art. 203, 204, 205 e 206 del T.U. 1092 del 29-12-1973.

In particolare ai sensi dell’art. 203, del T.U. 1092 del 29-12-1973: “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”.

Secondo l’art. 204, del T.U. 1092 del 29-12-1973:

“La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando:

a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;

b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità;

c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento;

d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.

Ai sensi dell’art. 205, del T.U. 1092 del 29-12-1973:

“La revoca e la modifica sono effettuate d'ufficio o a domanda dell'interessato.

Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti.

La domanda dell'interessato deve essere presentata, a pena di decadenza, entro i termini stabiliti dal comma precedente; nei casi previsti nelle lettere a) e b) dell'art. 204 il termine decorre dalla data in cui il provvedimento è stato comunicato all'interessato”.

Mentre ai sensi dell’art. 206, primo comma, del T.U. 1092 del 29-12-1973, “Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità, risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all'accertamento di fatto doloso dell'interessato”.

Quest’ultima disposizione deve essere integrata con l’art. 3 della legge 7 agosto 1985, n. 428 - Interpretazione autentica e integrazione dell'art. 206 del testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092-: “La norma contenuta nell'art. 206 del testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, deve intendersi applicabile nel caso in cui, verificandosi le condizioni stabilite negli articoli 204 e 205 dello stesso testo unico, il provvedimento definitivo di concessione e riliquidazione della pensione, assegno o indennità venga modificato o revocato con altro provvedimento formale soggetto a registrazione”.

Secondo principi di diritto enunciati dalle Sezioni riunite di questa Corte con sentenza n. 15/2011/QM del 21/11/2011 non esiste in capo all’amministrazione un generale potere di autoannullamento dei provvedimenti concessivi della pensione, in quanto la materia è espressamente regolata da disciplina speciale, contenuta (per quanto riguarda la pensionistica ordinaria) negli artt. 203 e sgg. del d.P.R. n. 1092/1973.

Tale normativa, ispirata ad un evidente favor nei confronti del pensionato, delinea un insieme compiuto e chiuso dei casi nei quali il provvedimento pensionistico può essere annullato d’ufficio, dovendosi ritenere che al di fuori di essi non sia consentita alcuna altra forma di autotutela.

Le ipotesi nelle quali la norma di cui all’art. 204 cit. ammette la revoca o la modifica dei provvedimenti definitivi di quiescenza, ponendosi come eccezioni rispetto al principio della immodificabilità della pensione, sono, per loro stessa natura, di stretta interpretazione (Corte dei conti, Sez. Sardegna del 23/11/2010 n. 821 e del 5/6/2013 n. 182; Corte dei conti, II Sez. Appello del 23/4/2018 n. 266).

Il trattamento pensionistico definitivo può essere modificato o revocato soltanto per le ipotesi tassative indicate negli artt. 204 e 205 del D.P.R. n. 1092/1973 (errore di fatto, di calcolo, etc.), con la conseguenza che ove vi sia un errore di diritto, l’Amministrazione non può fare uso del generale potere di revoca o annullamento consentito in via generale per gli atti amministrativi. L’errore di diritto non è previsto tra le ipotesi che legittimano la revoca o la modifica del trattamento definitivo di pensione e deve, di conseguenza, essere considerato immodificabile il trattamento pensionistico erogato al dipendente cessato dal servizio (Corte conti, III centrale n. 408 2015).

Secondo la Corte costituzionale, sentenza n. 208/2014:

“Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 204 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, impugnato, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 Cost., nella parte in cui non consente la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico anche nel caso di errore di diritto. Infatti, sussiste una sostanziale eterogeneità tra le ipotesi di errore di fatto e di calcolo, utilizzate impropriamente quale tertia comparationis, e l'ipotesi di errore di diritto, la cui percezione non gode della medesima immediatezza dei primi. Inoltre, l'esigenza di correggere l'errore di diritto è già sufficientemente garantita nella fase interinale del procedimento di liquidazione del trattamento pensionistico. Il correlativo interesse al rispetto della legittimità dell'azione amministrativa viene, invece, ragionevolmente sacrificato ai contrapposti valori di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento in sede di liquidazione definitiva, dovendosi privilegiare l'interesse del pensionato alla stabilità del vitalizio percepito. Il legislatore ha così esercitato non irragionevolmente il proprio potere di scelta nel regolare la dialettica di interessi parimenti meritevoli di protezione”.

Nel caso in esame non ricorre alcuna delle ipotesi previste all’art. 204, del T.U. 1092 del 29-12-1973, per cui il primo provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non poteva essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso.

Pertanto la domanda formulata dal ricorrente con il ricorso in riassunzione deve essere accolta e va quindi dichiarato il diritto del ricorrente a trattene le somme richieste con l'ingiunzione di pagamento n. 333 del 7.10.2014.

Considerata la specifica richiesta di parte ricorrente, deve essere disposto in ordine alla liquidazione delle spese di lite.

In forza del principio della soccombenza si deve disporre la liquidazione delle spese di lite (comprensive del grado d’appello) nella misura indicata dal dispositivo.

In applicazione dell’art. 429 c.p.c., come modificato dall’art.53 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito nella legge 6 agosto 2008 n.13 (cfr. art. 56 D.L. citato), nel caso in esame si rende necessaria la fissazione di un termine di 20 giorni per il deposito della sentenza comprensiva della motivazione. Ai sensi degli artt. 22 e 52 Dlgs 196/03 appare opportuno omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte privata.

Ai sensi degli artt. 22 e 52 Dlgs 196/03 appare opportuno omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte privata.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica,
ACCOGLIE

il ricorso indicato in epigrafe e dichiara che il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo non ha diritto al recupero della somma di € 6.972,06# richiesta con l’ingiunzione n. 333 del 7.10.2014 e successivi provvedimenti connessi, con il conseguente diritto del ricorrente a trattenere la predetta somma.

CONDANNA
il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente, liquidandole nella misura di euro 2.000,00 (duemila).

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di 20 giorni dalla data dell’udienza.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma degli artt. 52 e 22 d.lgs. 196/03.
Così deciso in Venezia, il 11-06-2019.
IL GIUDICE
f.to (Cons. Maurizio Massa)


Depositata in Segreteria il 13/06/2019


Il Funzionario preposto
f.to Nadia Tonolo
In esecuzione del provvedimento del G.U.P. ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Venezia, 13/06/2019
Il Funzionario preposto
f.to Nadia Tonolo
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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La CdC Sez. 2^ d'Appello con la n. 455/2019 nell'accogliere il ricorso del ricorrente, conclude:
"sentenza va annullata con rinvio alla Sezione giurisdizionale di primo grado affinché proceda ad un nuovo esame, nel merito, della questione controversa".

precisa anche:

1) - La questione riguardante la ripetibilità dell'indebito insorto da conguaglio fra trattamento pensionistico provvisorio e pensione definitiva, disciplinato dall’art. 162 e ss. del DPR 1092/73, è stata oggetto successivi arresti da parte dell’Organo nomofilattico della Corte dei conti che si è, da ultimo, pronunciato in proposito con la sentenza n. 2/2012 in data 2 luglio 2012.

2) - Alla ponderazione dei contrapposti interessi, quindi, le Sezioni riunite sono pervenute con l’affermazione del principio per cui la scadenza del termine procedimentale fissato per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione va rapportato e valutato unitamente e in concorso con altri elementi, oggettivi e soggettivi, rimessi alla individuazione del giudice di merito ai fini dell’accertamento dell’esistenza, nel caso concreto, di un affidamento del pensionato meritevole di tutela.

3) - Il Collegio rileva l’irragionevole esclusione della condizione di affidamento in capo al S., fondata dal Primo Giudice sulla mera percezione della pensione di privilegio, che avrebbe dato causa all’incrementarsi dell’indebito, addossandone il “rischio” in capo all’incolpevole percettore (cfr. altresì Corte dei conti, Sez. II, n. 329/2017).
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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ricorso al TAR accolto,

- ripetizione della somma di euro 20.194,54 (Terapia Salvavita)

1) - hanno escluso che la patologia riconosciuta al militare sia da collegare al servizio, per cui gli emolumenti corrisposti oltre il primo anno andavano decurtati della metà, mentre nulla era dovuto per i periodi successivi al secondo anno di aspettativa.

2) - parte ricorrente ha contestato la negativa determinazione della p.a. osservando che la patologia accusata e riconosciuta al ricorrente, invero, rientra, a pieno titolo, nella ipotesi di cui al DPR n. 51 del 16 aprile 2009.

Il TAR precisa:

3) - Risulta agli atti di causa la certificazione medica rilasciata, in data 8 aprile 2015, dall’Azienda sanitaria Sant’Andrea, che ha attestato che il ricorrente, in conseguenza dell’OMISSIS occorsogli nel 2008, è in trattamento con farmaci salvavita.

4) - L’organo interpellato, con la nota n. 97/..-1 del 25 novembre 2015, ha escluso, nel caso di specie, l’applicazione dell’articolo 17 del DPR 11 settembre 2007, n. 171, perché : “la patologia …… non rientra nelle infermità assimilabili a quelle previste dal DPR n. 51 del 16 aprile 2009”, pertanto i periodi di ricovero e di terapia non possono essere sottratti al periodo di aspettativa in cui è limitata, ovvero esclusa la retribuzione.

5) - Infatti, come sopra riportato la parte ha prodotto una certificazione dell’Azienda sanitaria Sant’Andrea, rilasciata nel 2015, in cui risulta che, sin dal 2008, lo stesso è in cura presso l’indicato nosocomio ed è trattato con farmaci salvavita.

6) - Si tratta, all’evidenza, di una motivazione assolutamente inadeguata e non conferente con la lettera del DPR n. 51/2009, nel momento che il ricorrente ha prodotto una certificazione medica nei termini indicati dalla previsione normativa sopra riportata.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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La CdC sez. 1^ d’Appello n. 99/2020 dichiara inammissibile l'appello dell’INPS e conferma la sentenza impugnata in rif. alla sentenza della CdC Puglia n. 115/2019.

Ripetizione di indebito pensionistico.

I fatti erano:

1) - In particolare, l’Istituto afferma di avere avviato, a seguito della circolare INPS n. 210 del 31.12.2015, una verifica sulla perequazione delle pensioni concesse a titolari di più di una pensione a carico della gestione dipendenti pubblici, per il periodo dall'1.01.2012 al 31.12.2015. Nel caso di specie si è avveduto che la perequazione della ricorrente non fosse allineata ai parametri delineati dall’art. 34 della legge n. 448 del 1998 in caso di cumulo di pensioni.

2) - Ragion per cui ha accertato conguagli negativi per perequazione sulla pensione di reversibilità, pari a € 250,78 nel 2012, € 252,23 nel 2013, € 303,66 nel 2014, per un totale di € 806,67 (il conguaglio negativo accertato per l'anno 2015, pari a € 313,11, non è stato inizialmente recuperato stante la sospensione inizialmente disposta dalla legge di stabilità 2016, n. 208 del 28.12.2015 per tale anno).
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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CdC sezione 2^ d'Appello rigetta l'appello proposto dall'INPS

1) - La fattispecie riguarda un provvedimento di accertamento d’indebito pensionistico adottato in conseguenza della riliquidazione della pensione definitiva risalente al 2014 e relativamente ad una cessazione risalente al 2008.

2) - L’amministrazione fa riferimento in primo luogo all’art. 162 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 che espressamente prevede l’obbligo di procedere a conguaglio nel caso di pensione definitiva ed al rilievo secondo cui grava sul pensionato l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto all’irripetibilità dell’indebito, i quali non si limitano al solo decorso del tempo, ma al concreto affidamento sulla bontà della liquidazione.

Il Giudice precisa:

3) - L’Istituto, con l’atto d’appello, non contesta alcuno degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, ma si limita a contestare la mancanza di prova sui fatti costitutivi dell’irripetibilità e ad affermare l’inadeguatezza della motivazione.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Accolto l'appello del Ministero della Difesa.

Il CdS con la sentenza di Gennaio 2021,per questi motivi precisa che la prescrizione ordinaria e decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate, e, non quinquennale: "essendo emerso un debito nei confronti dell'Amministrazione (ammontante a lire 7.250.368), si era provveduto al conguaglio dello stipendio già attribuito in via provvisoria"

Nella sentenza si legge altresì:

1) - Anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 23 novembre 2010, n. 24418, hanno statuito che la ripetizione dell'indebito oggettivo, essendo azione tesa a ripristinare l'equilibrio tra le posizioni di due contraenti, leso dal mancato rispetto del vincolo sinallagmatico tra le prestazioni, è soggetta al termine di prescrizionale decennale.

2) - In altri termini, la diversità della posizione del lavoratore che può agire per ottenere quanto dovuto per le proprie prestazioni nel termine di cinque anni previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c. per i pagamenti periodici è ben diversa rispetto a quella in cui lo stesso dipendente abbia ottenuto somme non dovute, il che giustifica l'applicazione del diverso regime della prescrizione ordinaria decennale.

3) - Tale sentenza, infatti, merita conferma, nella parte in cui ha stabilito che “l’Amministrazione, nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve effettuare il recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali, giacché è al netto di queste ritenute che gli emolumenti in più sono stati corrisposti, e la ripetizione dell'indebito deve necessariamente riferirsi soltanto alle somme effettivamente percepite in eccesso”.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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La CdC sez. 3^ d’Appello n. 360 in rif. alla CdC Lazio n. 39/2018, rigetta l’appello dell’INPS in riferimento all’indebito pensionistico
- Nelle more del giudizio xx era deceduto ed il giudizio era stato riassunto da uno degli eredi:

in DIRITTO si legge

“ L’articolo 1, comma 263, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, come sostituito dall’articolo 38, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recita: “Il recupero non si estende agli eredi del pensionato, salvo che si accerti il dolo del pensionato medesimo”; tale norma, il cui contenuto è stato ripreso dall’articolo 38, comma 10, della legge 24 dicembre 2001, n. 448, è stata interpretata dalla giurisprudenza contabile (ex multis questa sezione n. 102 del 2019; prima sezione centrale d’appello n. 424 del 2012; seconda sezione centrale d’appello n. 736 del 2016; terza sezione centrale d’appello n. 495 del 2017) di immediata applicazione a tutte le fattispecie di recupero di indebito nei confronti degli eredi del pensionato perché non si combina né fa sistema con nessun’altra norma del medesimo articolo, né con quella del requisito economico (commi 260 e 261), né con quella della salvezza dei recuperi in corso (comma 264), essendo anche indipendente dalla data di percezione o da quella di adozione del provvedimento di recupero; in altri termini, tale norma non è legata ad un particolare contesto temporale ed opera, con l’eccezione della particolare fattispecie regolata dalla sentenza n. 18/2017/QM delle sezioni riunite di questa Corte, per tutte le azioni di recupero intraprese nei confronti degli eredi del pensionato successivamente all’1/1/1996.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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CdC sez. 1^ d’Appello n. 344 in Rif. alla sentenza della CdC Veneto, Accoglie l’appello del ricorrente PolStato sul recupero di somme indebite pensionistiche.

Nella sentenza viene fatto riferimento:

1) - Anche su questa disposizione, la Corte costituzionale, con sentenza 4 aprile - 23 giugno 2017, n. 148, ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sugli artt. 204 e 205, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

2) - L’art. 206, sugli effetti, dispone che: 1. Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità, risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all'accertamento di fatto doloso dell'interessato. 2. Il mancato recupero derivante dall'applicazione della norma del presente articolo può essere addebitato all'impiegato soltanto in caso di dolo o colpa grave.

3) - L’art. 207, sulla revoca o modifica su domanda nuova, dispone che: Fuori dei casi previsti negli articoli precedenti, il provvedimento può essere sempre revocato o modificato quando l'interessato presenti una domanda nuova che incida su materia che non abbia formato oggetto del precedente provvedimento.

4) - La registrazione della Corte dei conti nel 2017 non viene, pertanto, più espletata, per effetto della cessazione del regime transitorio avviato con la riforma del sistema pensionistico del 1995, e il provvedimento di concessione del trattamento pensionistico adottato dall’Inps, pur essendo sottoposto al regime dei controlli interni previsto per l’ente, assume valore definitivo al momento della sua adozione.

5) - Pertanto, le due decisioni della SS.RR. n. 7/2011 e n. 2/2012, ed in particolare la seconda, sono utili ai fini della definizione del presente giudizio soltanto nei limiti, che verranno successivamente evidenziati, degli effetti della durata del periodo che è intercorso tra il primo provvedimento ed il secondo provvedimento modificativo.

6) - Nella concreta fattispecie, il trattamento pensionistico era già stato liquidato in via definitiva con il provvedimento nel 2011 ed esso è stato modificato in peius nel 2017, in conseguenza del ricalcolo degli scatti biennali.

7) - Nel caso di specie, la modifica è conseguita ad una diversa modalità di imputazione dei sei scatti biennali, che era un elemento già in possesso dell’amministrazione sin dall’inizio ed il cui esito non era facilmente rilevabile dal destinatario.
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Re: irripetibilità delle somme percepite indebitamente

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Come calcolare il recupero delle somme.

Il CdS Sez. 2^ con la sentenza n. 3055 resa pubblica il 22/04/2022 in merito al recupero delle somme, precisa nuovamente quanto segue:

Orbene, mediante il sesto motivo d’impugnazione, l’appellante ha riproposto tali contestazioni, che sono fondate.

- In particolare, l’interessato ha evidenziato l’erroneità del conteggio posto a fondamento dei provvedimenti di recupero, laddove l’amministrazione gli ha chiesto la ripetizione anche degli importi delle ritenute Irpef, per euro 45.528,30, nonché laddove non ha computato a credito dell’interessato, in compensazione, le somme comunque spettantigli a titolo di trattamento pensionistico.

- In proposito si rileva che in tema ripetizione dell’Irpef la giurisprudenza ha chiarito che, qualora il datore di lavoro versi una retribuzione in eccesso, opera anche le ritenute fiscali erronee per eccesso, cosicché egli può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore soltanto nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo delle ritenute fiscali, mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione III, sentenze 20 marzo 2019, n. 1852, e 4 luglio 2011, n. 3984; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 3 novembre 2015, n. 5010, e 12 febbraio 2015, n. 750; Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 2 marzo 2009, n. 1164; Corte di cassazione, sezione VI, ordinanza 31 agosto 2021, n. 23604; Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 3 marzo 2020, n. 5888; Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 2 febbraio 2012, n. 1464). Ne consegue che la pubblica amministrazione, nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, lo deve effettuare al netto delle ritenute fiscali, il che nel caso di specie non è avvenuto.

- Come dedotto dall’appellante, i provvedimenti di recupero sono illegittimi anche con riferimento alla mancata compensazione con i crediti relativi al trattamento di quiescenza. Sul punto si evidenzia che l’interessato è stato posto in congedo da ottobre 2010, con cessazione degli assegni dal precedente mese di aprile 2010 e, quindi, ha maturato il diritto a percepire la pensione dal maggio 2010, salva la valutazione del periodo in cui gli è riconosciuto il trattamento stipendiale al 50% (da ottobre 2009 ad aprile 2010). Cionondimeno, illegittimamente il predetto diritto non è stato considerato dall’amministrazione, atteso che nei conteggi relativi al dovuto non compare alcuna somma successivamente ad aprile 2010, ma la sua sussistenza è certa, quale conseguenza vincolata dalla cessazione del rapporto di servizio, atteso che la compensazione, discendente dall’applicazione dei consueti principi generali di matrice civilistica, è stata reputata operante dalla giurisprudenza anche con riferimento alle reciproche partite di dare e avere dei dipendenti pubblici (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 10 settembre 1991, n. 706; Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 maggio 1991, n. 4893).

- Va peraltro sottolineato che l’amministrazione, tanto nel primo quanto nel secondo grado di giudizio, nulla ha dedotto circa la compensazione con il trattamento di quiescenza (su cui, dunque, vi è anche una mancata contestazione della richiesta compensazione), mentre in relazione alla questione delle ritenute Irpef ha sostenuto l’applicazione dell’art. 10, comma 1, lettera d-bis), del d.P.R. n. 917/1986, che tuttavia è inconferente con il caso di specie, in quanto tale disposizione reca il principio, estraneo all’oggetto del contendere, per cui dal reddito occorre dedurre «le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti», escludendo, per tal via, dalla base imponibile ai fini Irpef le somme già corrisposte a titolo di stipendio (di per sé imponibili) e già sottoposte prelievo fiscale che dovessero essere restituite, ma non sancisce che il soggetto erogatore (nel caso di specie l’amministrazione statale) possa ripetere anche le ritenute che mai sono entrate nella disponibilità del dipendente.
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