Non so se questa sentenza del Consiglio di Stato può interessare a qualcuno per prendere spunto ma comunque la metto lo stesso tanto per notizia per quelli che cercano nei motori di ricerca internet.
N. 06979/2010 REG.SEN.
N. 05101/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 5101 del 2005, proposto da:
Comune di …., rappresentato e difeso dagli avv. (omissis), con domicilio eletto presso l’avv. (omissis) in Roma, piazza di Montecitorio, …….;
contro
(omissis) di M. L. e P. C., rappresentata e difesa dagli avv. (omissis), con domicilio eletto presso l’avv. (omissis) in Roma, via Federico Confalonieri, ….;
nei confronti di
M. F.;
per la riforma parziale
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE III n. 01102/2005, resa tra le parti, concernente REGOLAMENTO APERTURA DI LOCALI PUBBLICI PER CONTENERE L'INQUINAMENTO ACUSTICO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione della Ditta ………...;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2010 il cons. F. Q. e uditi per le parti gli avvocati (omissis), su delega rispettivamente degli avv.ti (omissis);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Il Comune di …… impugna la sentenza del Tar per il Veneto indicata in epigrafe nella parte in cui, accertata incidenter tantum – perché ormai rimossa con successivo provvedimento – l’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. …… del 16.5.2003 disponente la chiusura dalle ore 23 dell’esercizio di titolarità della ricorrente ditta omissis., è stato condannato al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa in euro 200,00 al giorno per tutti i giorni di chiusura ovvero, se inferiore, per il periodo intercorrente tra la data di notifica dell’ordinanza impugnata e quella di notifica del provvedimento di rimozione (ordinanza n. …….. del 21 giugno 2003) della medesima.
Premette di aver ricevuto dal Prefetto di ….., che chiedeva gli interventi più opportuni, l’esposto di un gruppo di residenti nel quartiere (omissis), lamentante il grave stato di disagio e di sofferenza creato nelle ore notturne dagli schiamazzi, urla, suono di clacson e rumori provenienti dal locale (omissis), nonché dall’intralcio al passaggio dei pedoni aggravato dalla strettezza della via a causa del protrarsi dell’apertura fino alle ore 2 , nonché dalla presenza di rifiuti (cartacce, mozziconi, vetri) lasciati per strada, tanto da provocare la compromissione della salute di alcuni residenti. A ciò si aggiungevano l’intervento del Difensore civico (nota del 14.3.2003), altri esposti nonché la verifica della situazione lamentata a seguito di sopralluoghi della Polizia Municipale.
Tali circostanze conducevano all’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente n. ……. del 16.5.2003, con cui veniva ordinata l’anticipazione dell’orario di chiusura del locale alle ore 23. Per il suo annullamento , oltre che per il risarcimento del danno conseguente, la ditta (omissis) proponeva ricorso per violazione e falsa applicazione dell’art. 54 D.Lgs. n. 267/2000 ed eccesso di potere sotto vari profili sintomatici, a causa dell’assenza dei presupposti di emergenza connessi con l’inquinamento acustico, in particolare nelle ore (dalle 23 alle 2) per le quali era stata disposta la chiusura, nonché per la azionabilità, in luogo dei poteri straordinari esercitati, degli strumenti appositamente previsti dall’ordinamento (compiti della Polizia Municipale), diversi dalla chiusura dell’esercizio, per prevenire o reprimere i comportamenti di singoli denunciati, per mancata fissazione del termine di efficacia del provvedimento, per violazione del giusto procedimento e del contraddittorio.
In data 4.6.2003 veniva sottoscritto dall’Amministrazione comunale e dalle associazioni di categoria un codice di autoregolamentazione degli esercizi pubblici allo scopo di contenere i disagi denunciati dai residenti, sottoscritto per adesione anche (omissis), a seguito del quale l’ordinanza veniva rimossa con provvedimento notificato il 24.6.2003.
Il Tar, con la sentenza impugnata, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso a seguito della successiva rimozione dell’ordinanza e, ritenuta incidenter tantum la sua illegittimità per carenza di istruttoria in relazione all’insufficienza ed incongruità degli accertamenti disposti dal Comune, ha accolto la domanda di risarcimento del danno, liquidato in via equitativa.
L’appello rivolto avverso la pronuncia di condanna al risarcimento del danno è affidato ai seguenti motivi:
- insussistenza del presupposto dell’illegittimità del provvedimento accertato incidenter tantum, per mancanza di motivazione nonché per la acclarata situazione di grave disturbo della pubblica quiete che aveva giustificato l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente;
- assenza del presupposto della colpevolezza, per essere stata omessa ogni valutazione sul punto.
La ditta (omissis) si è costituita eccependo la genericità dei motivi di appello e la novità del motivo fondato sull’assenza di colpa, contestando, nel merito, i motivi di ricorso.
Sono state depositate memorie ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
All’udienza del 22.6.2010 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi, considerato che il gravame, pur riproducendo largamente il contenuto degli atti del precedente grado, investe con due distinti motivi precisamente il decisum, rispettando il carattere impugnatorio dell’appello e dando contezza delle ragioni per le quali le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice non possono essere condivise.
2.Parimenti ammissibile è il motivo incentrato sulla carenza di colpa dell’amministrazione, poiché, in disparte la considerazione dell’avvenuta confutazione in primo grado dell’infondatezza sull’an debeatur della domanda di risarcimento del danno, non si applica al resistente soccombente in primo grado il divieto di ius novorum in appello, dovendo a questo essere riconosciuta la possibilità di formulare mediante i motivi di appello tutte le censure pur se non proposte in primo grado (Cons. St. Sez. V, 24.8.2007 n. 4486).
3.Nel merito, l’appello è fondato.
4.I motivi di appello si incentrano sulla mancata motivazione da parte del giudice di primo grado in ordine alla confutazione della documentata istruttoria da cui era supportata l’ordinanza contingibile ed urgente, denotante le condizioni di grave disturbo della quiete pubblica e di emergenza, ed all’elemento della colpa, che avrebbe dovuto essere vagliato tenuto conto della gravità della violazione commessa, dei precedenti, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento.
5.Nella specie, sono state ampiamente documentate, oltre alle segnalazioni di residenti richiamate nel provvedimento, le richieste del Prefetto in data ….11.2002 e ….4.2003, in cui ripetutamente “si ritiene di richiamare nuovamente l’attenzione della S.V. per l’adozione degli interventi ritenuti più opportuni”, l’esplicita richiesta del 14.2.2003 di riduzione di orario dell’esercizio sito nella piazzetta (omissis) da parte del Difensore civico, le relazioni di servizio del Corpo della Polizia Municipale sui disagi avvertiti dai residenti oltre le ore 23.
6.Il Collegio ritiene che la presenza di gravi elementi indicativi di pesante disagio per i residenti, considerati fronteggiabili dall’amministrazione solo attraverso la limitazione dell’orario dell’esercizio allo scopo di salvaguardare l’ordine, la quiete e la salute pubblici, in disparte ogni valutazione circa l’ idoneità a creare il presupposto di urgenza connesso all’inquinamento acustico ed all’effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana per il legittimo ricorso ai poteri di ordinanza di cui all’art. 54 D.Lgs. n. 267/2000 (in senso affermativo, Cons. St. Sez. V, 13.2.2009, n. 828, in fattispecie del tutto simile), escluda, comunque, l’elemento soggettivo della colpa in capo all’amministrazione procedente.
7.Considerando l’orientamento secondo cui in sede di giudizio di risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, l’illegittimità dell’atto costituisce indizio presuntivo della colpa, restando a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare la scusabilità dell’errore per contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l’influenza di altri soggetti (Cons. St. Sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527), elementi questi liberamente valutabili dal giudice al fine di escludere la colpevolezza, non potendo l’imputazione avvenire sulla base del dato meramente oggettivo dell’illegittimità del provvedimento (Cons. St. Sez. V, 13.4.2010, n. 2029), la Sezione ritiene che, nella specie, l’amministrazione abbia fornito piena dimostrazione dell’assenza di imputabilità di ogni responsabilità a titolo di dolo o di colpa, data la molteplicità di richieste di intervento provenienti da soggetti pubblici e privati, l’emergenza della situazione creatasi a causa del livello dei rumori percepiti dall’interno delle abitazioni, la necessità di intervenire prontamente, il giustificato affidamento sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente come unica misura idonea a fronteggiare immediatamente la situazione di inquinamento acustico e di pericolo per l’ordine , la quiete e la salute pubblica .
8.Inoltre, l’avvenuta sottoscrizione di un codice di autoregolamentazione se, da un lato, dimostra la disponibilità di tutte le parti a cooperare per trovare una soluzione al turbamento creatosi, permettendo in tempi brevi il ritiro del provvedimento, dall’altro comprova la necessità, riconosciuta dagli stessi esercenti, di regolare le modalità di svolgimento della propria attività, avendo contribuito al verificarsi dei gravi disagi lamentati.
9.In conclusione, l’appello va accolto, con la riforma parziale della sentenza impugnata ed il rigetto della domanda di risarcimento del danno formulata con il ricorso di primo grado.
10.Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione Quinta, definitivamente pronunciando, ACCOGLIE l’appello e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza di primo grado, respinge la domanda di risarcimento del danno.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2010 con l'intervento dei Signori:
C. P., Presidente
M. L., Consigliere
A. S., Consigliere
A. C., Consigliere
F. Q., Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/09/2010
INQUINAMENTO ACUSTICO.
Re: INQUINAMENTO ACUSTICO.
C'è questa importante sentenza del Tar Puglia di Bari del 2010
N. 03202/2010 REG.SEN.
N. 00317/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 317 del 2009, proposto da:
G. C., rappresentato e difeso dall'avv. (omissis9, con domicilio eletto presso l’avv. (omissis) in Bari, via Roberto da Bari, …;
contro
Comune di Bari in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. V. B., con domicilio eletto con l’avv. V. B. in Bari, presso l’Avvocatura Comunale in via P. Amedeo 26;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
dell’ordinanza di revoca dell’autorizzazione al piccolo trattenimento nell’attività di pubblico esercizio denominato (“ omissis”), emessa dal Comune di Bari, ripartizione corpo di Polizia municipale, settore annona e amministrativa, prot. omissis, datata 22.01.2009, notificata in data 03.02.2009;
di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o collegato, anche se sconosciuto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari in persona del Sindaco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2010 la dott. F. P. e uditi per le parti i difensori avv.ti (omissis);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in esame il ricorrente ha impugnato l’ordinanza con la quale è stata disposta in data 22.1.2009 nei suoi confronti la revoca dell’autorizzazione dell’attività di piccolo intrattenimento relativamente al pubblico esercizio denominato (“ omissis”) dallo stesso gestito, ubicato in Bari.
Il ricorrente ha esposto che in data 19.12.2008 gli agenti della polizia municipale di Bari gli avevano contestato l’inottemperanza alle prescrizioni dell’autorizzazione amministrativa posseduta, in quanto la musica del locale era udibile all’esterno dell’esercizio alle ore 1,20; la circostanza era stata riportata nel verbale di accertamento del 21.12.2008, avverso il quale il ricorrente aveva presentato all’autorità competente, ovvero il Prefetto di Bari, i propri scritti difensivi.
Su tale presupposto era stata quindi emessa l’ordinanza impugnata, mentre l’avvio del procedimento di revoca era stato comunicato solo con nota del 20.1.2009, due giorni prima della revoca.
A sostegno del ricorso sono stati dedotti i seguenti vizi di legittimità:
1) violazione della legge 241/90, compressione ingiustificata del diritto alla partecipazione al provvedimento amministrativo;
2) violazione di legge e carenza assoluta di potere, in quanto l’ordinanza non indicava la norma sulla cui base fosse consentita la revoca dell’autorizzazione, essendo inconferenti rispetto all’atto adottato le norme dallo stesso menzionate, ovvero gli artt. 9 e 17 bis del TULPS, poiché il primo prevede l’obbligo di osservare le prescrizioni dell’autorizzazione e il secondo la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare in caso di violazione; l’ultima norma menzionata, l’art. 17 ter del TULPS, prevede poi per il caso di violazione delle prescrizioni la sospensione dell’attività autorizzata e non la revoca;
3) violazione dell’art. 18 L. 689/8, carenza di potere in concreto, essendo stata adottata l’ordinanza di revoca mentre il procedimento sanzionatorio è ancora in corso;
4) insussistenza dell’illecito amministrativo contestato, essendo il provvedimento basato esclusivamente sulla percezione soggettiva degli agenti accertatori, secondo i quali la musica era udibile all’esterno del locale, mentre le immissioni erano sempre state contenute nei limiti di legge, non essendo stata violata la disciplina in materia di inquinamento acustico;
5) violazione dell’art. 3 L. 241/90, dell’art. 29 quinquies d.p.r. 445/2000 e, ove occorra, degli artt. 75 e 76 d.lgs. 82/2000, non essendo l’ordinanza in questione né firmata né accompagnata da alcuna attestazione di conformità rispondente ai requisiti di legge, così come il certificato di esecutività in calce all’atto che non è firmato e non reca indicazione del soggetto certificatore ai sensi della L. 445/2000.
Si è costituita l’amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 155/2009 dell’11.3.2009 questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare.
All’udienza pubblica del 10.6.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
Con riferimento alla tardiva comunicazione dell’avvio del procedimento deve infatti essere osservato che già in data 24.7.2008, a seguito di ispezione eseguita il 26.6.2008 dagli agenti della polizia municipale di Bari, al ricorrente è stata notificata l’ordinanza di sospensione dell’attività di piccolo trattenimento per giorni 60, con avvertimento che, in caso di recidiva, si sarebbe provveduto alla revoca dell’autorizzazione; peraltro già il 12.2.2008 era stata contestata la diffusione di musica ad alto volume a cui era seguita la comunicazione di reato ex art. 650 c.p. e successivamente, il 16.1.2009, è stato notificato il verbale del 21.12.2008 di contestazione della diffusione di musica all’esterno del locale.
Alla luce di tali circostanze deve quindi ritenersi che, benché la comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca sia pervenuta al ricorrente nella stessa data in cui è stato emesso il provvedimento finale, pur se spedita due giorni prima, lo stesso sia stato comunque fin da un periodo di molto anteriore edotto della pendenza del procedimento e delle contestazioni che lo hanno originato, che sono sempre state portate alla sua conoscenza da parte dell’amministrazione.
Alcuna compressione della possibilità di partecipare al procedimento e di apportare le proprie deduzioni si è quindi verificata nel caso concreto, essendo state comunque assicurate le finalità di garanzia di un effettivo contraddittorio che sono alla base delle norme citate dal ricorrente.
Quanto alla mancata enunciazione delle ragioni di diritto del provvedimento, e quindi delle norme dallo stesso richiamate, va precisato che l’art. 9 R.D. 773/1931 (TULPS) dispone che “Oltre le condizioni stabilite dalla legge, chiunque ottenga un'autorizzazione di polizia deve osservare le prescrizioni, che l'autorità di pubblica sicurezza ritenga di imporgli nel pubblico interesse”; l’art. 17 bis prevede invece la sanzione per il caso di violazione di tale disposizione.
Correttamente, dunque, l’amministrazione ha fatto richiamo nella propria ordinanza all’art. 9 TULPS, che a sua volta appresta tutela avverso la violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo, tra le quali, nel caso in esame, si annovera quella secondo cui il volume della musica proveniente dall’interno del locale non deve essere udito all’esterno dell’esercizio, prescrizione violata nel caso di specie in più di una occasione; la stessa autorizzazione specifica poi anche che in caso di recidiva nella violazione è prevista la revoca, in applicazione dell’art. 10 TULPS, di tal che il relativo potere è stato correttamente esercitato.
Infondato è anche il terzo motivo di doglianza, a mente del quale l’impugnato provvedimento sarebbe illegittimo perché non preceduto dalla ordinanza-ingiunzione prevista dall’art. 18 L. 689/81. Va rilevato, in proposito, che il provvedimento di revoca impugnato si fonda sulle plurime violazioni delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione e, come tale, prescinde dalla esistenza della ordinanza-ingiunzione prevista dall’art. 18 L. 689/81, che è l’atto con il quale viene irrogata la sanzione pecuniaria per l’illecito amministrativo commesso. I due procedimenti e i relativi provvedimenti conclusivi presentano quindi uno svolgimento autonomo, essendo il primo deputato a far cessare l’attività condotta in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione ed il secondo a sanzionare in via pecuniaria tale condotta, senza che per la conclusione dell’uno sia necessaria la definizione dell’altro.
Quanto al fatto che il provvedimento sarebbe basato esclusivamente sulla percezione soggettiva degli agenti accertatori, secondo i quali la musica era udibile all’esterno del locale, va evidenziato che il verbale di accertamento redatto dal pubblico ufficiale fa prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonché riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni delle parti; in tale categoria rientra anche la percezione del rumore o della musica all’esterno del locale, trattandosi non di una valutazione o di un giudizio ma di una percezione di quanto avvenuto in presenza dell’agente.
Né rileva che, nel caso di specie, le immissioni fossero o meno contenute nei limiti di legge, o fosse o meno violata la disciplina in materia di inquinamento acustico, in quanto la contestazione alla base del provvedimento impugnato riguardava la violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione, concernenti il divieto di diffondere la musica all’esterno del locale.
Neppure il quinto motivo, infine, appare meritevole di accoglimento. Si censura il provvedimento impugnato perché illegittimo in quanto non firmato né accompagnato da attestazione di conformità rispondente ai requisiti di legge. Orbene: a prescindere dal fatto che tale censura, ove fosse fondata, si sostanzierebbe nel rilievo che il provvedimento impugnato sarebbe non illegittimo ma addirittura inesistente, con conseguente carenza di giurisdizione di Questo Tribunale, è agevole osservare che ciò che produce effetto non è il documento notificato al ricorrente ma il precetto incorporato nell’originale detenuto dal Comune di Bari: di tale originale il ricorrente avrebbe dovuto produrre copia autentica al fine di dimostrare che esso è affetto dai denunciati vizi. In mancanza di tale produzione l’assunto del ricorrente rimane privo di dimostrazione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione III, definitivamente pronunciando, così provvede:
respinge il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Comune resistente delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.000 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2010 con l'intervento dei Magistrati:
P. M., Presidente
A. P., Consigliere
F. P., Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/07/2010
N. 03202/2010 REG.SEN.
N. 00317/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 317 del 2009, proposto da:
G. C., rappresentato e difeso dall'avv. (omissis9, con domicilio eletto presso l’avv. (omissis) in Bari, via Roberto da Bari, …;
contro
Comune di Bari in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. V. B., con domicilio eletto con l’avv. V. B. in Bari, presso l’Avvocatura Comunale in via P. Amedeo 26;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
dell’ordinanza di revoca dell’autorizzazione al piccolo trattenimento nell’attività di pubblico esercizio denominato (“ omissis”), emessa dal Comune di Bari, ripartizione corpo di Polizia municipale, settore annona e amministrativa, prot. omissis, datata 22.01.2009, notificata in data 03.02.2009;
di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o collegato, anche se sconosciuto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari in persona del Sindaco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2010 la dott. F. P. e uditi per le parti i difensori avv.ti (omissis);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in esame il ricorrente ha impugnato l’ordinanza con la quale è stata disposta in data 22.1.2009 nei suoi confronti la revoca dell’autorizzazione dell’attività di piccolo intrattenimento relativamente al pubblico esercizio denominato (“ omissis”) dallo stesso gestito, ubicato in Bari.
Il ricorrente ha esposto che in data 19.12.2008 gli agenti della polizia municipale di Bari gli avevano contestato l’inottemperanza alle prescrizioni dell’autorizzazione amministrativa posseduta, in quanto la musica del locale era udibile all’esterno dell’esercizio alle ore 1,20; la circostanza era stata riportata nel verbale di accertamento del 21.12.2008, avverso il quale il ricorrente aveva presentato all’autorità competente, ovvero il Prefetto di Bari, i propri scritti difensivi.
Su tale presupposto era stata quindi emessa l’ordinanza impugnata, mentre l’avvio del procedimento di revoca era stato comunicato solo con nota del 20.1.2009, due giorni prima della revoca.
A sostegno del ricorso sono stati dedotti i seguenti vizi di legittimità:
1) violazione della legge 241/90, compressione ingiustificata del diritto alla partecipazione al provvedimento amministrativo;
2) violazione di legge e carenza assoluta di potere, in quanto l’ordinanza non indicava la norma sulla cui base fosse consentita la revoca dell’autorizzazione, essendo inconferenti rispetto all’atto adottato le norme dallo stesso menzionate, ovvero gli artt. 9 e 17 bis del TULPS, poiché il primo prevede l’obbligo di osservare le prescrizioni dell’autorizzazione e il secondo la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare in caso di violazione; l’ultima norma menzionata, l’art. 17 ter del TULPS, prevede poi per il caso di violazione delle prescrizioni la sospensione dell’attività autorizzata e non la revoca;
3) violazione dell’art. 18 L. 689/8, carenza di potere in concreto, essendo stata adottata l’ordinanza di revoca mentre il procedimento sanzionatorio è ancora in corso;
4) insussistenza dell’illecito amministrativo contestato, essendo il provvedimento basato esclusivamente sulla percezione soggettiva degli agenti accertatori, secondo i quali la musica era udibile all’esterno del locale, mentre le immissioni erano sempre state contenute nei limiti di legge, non essendo stata violata la disciplina in materia di inquinamento acustico;
5) violazione dell’art. 3 L. 241/90, dell’art. 29 quinquies d.p.r. 445/2000 e, ove occorra, degli artt. 75 e 76 d.lgs. 82/2000, non essendo l’ordinanza in questione né firmata né accompagnata da alcuna attestazione di conformità rispondente ai requisiti di legge, così come il certificato di esecutività in calce all’atto che non è firmato e non reca indicazione del soggetto certificatore ai sensi della L. 445/2000.
Si è costituita l’amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 155/2009 dell’11.3.2009 questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare.
All’udienza pubblica del 10.6.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
Con riferimento alla tardiva comunicazione dell’avvio del procedimento deve infatti essere osservato che già in data 24.7.2008, a seguito di ispezione eseguita il 26.6.2008 dagli agenti della polizia municipale di Bari, al ricorrente è stata notificata l’ordinanza di sospensione dell’attività di piccolo trattenimento per giorni 60, con avvertimento che, in caso di recidiva, si sarebbe provveduto alla revoca dell’autorizzazione; peraltro già il 12.2.2008 era stata contestata la diffusione di musica ad alto volume a cui era seguita la comunicazione di reato ex art. 650 c.p. e successivamente, il 16.1.2009, è stato notificato il verbale del 21.12.2008 di contestazione della diffusione di musica all’esterno del locale.
Alla luce di tali circostanze deve quindi ritenersi che, benché la comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca sia pervenuta al ricorrente nella stessa data in cui è stato emesso il provvedimento finale, pur se spedita due giorni prima, lo stesso sia stato comunque fin da un periodo di molto anteriore edotto della pendenza del procedimento e delle contestazioni che lo hanno originato, che sono sempre state portate alla sua conoscenza da parte dell’amministrazione.
Alcuna compressione della possibilità di partecipare al procedimento e di apportare le proprie deduzioni si è quindi verificata nel caso concreto, essendo state comunque assicurate le finalità di garanzia di un effettivo contraddittorio che sono alla base delle norme citate dal ricorrente.
Quanto alla mancata enunciazione delle ragioni di diritto del provvedimento, e quindi delle norme dallo stesso richiamate, va precisato che l’art. 9 R.D. 773/1931 (TULPS) dispone che “Oltre le condizioni stabilite dalla legge, chiunque ottenga un'autorizzazione di polizia deve osservare le prescrizioni, che l'autorità di pubblica sicurezza ritenga di imporgli nel pubblico interesse”; l’art. 17 bis prevede invece la sanzione per il caso di violazione di tale disposizione.
Correttamente, dunque, l’amministrazione ha fatto richiamo nella propria ordinanza all’art. 9 TULPS, che a sua volta appresta tutela avverso la violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo, tra le quali, nel caso in esame, si annovera quella secondo cui il volume della musica proveniente dall’interno del locale non deve essere udito all’esterno dell’esercizio, prescrizione violata nel caso di specie in più di una occasione; la stessa autorizzazione specifica poi anche che in caso di recidiva nella violazione è prevista la revoca, in applicazione dell’art. 10 TULPS, di tal che il relativo potere è stato correttamente esercitato.
Infondato è anche il terzo motivo di doglianza, a mente del quale l’impugnato provvedimento sarebbe illegittimo perché non preceduto dalla ordinanza-ingiunzione prevista dall’art. 18 L. 689/81. Va rilevato, in proposito, che il provvedimento di revoca impugnato si fonda sulle plurime violazioni delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione e, come tale, prescinde dalla esistenza della ordinanza-ingiunzione prevista dall’art. 18 L. 689/81, che è l’atto con il quale viene irrogata la sanzione pecuniaria per l’illecito amministrativo commesso. I due procedimenti e i relativi provvedimenti conclusivi presentano quindi uno svolgimento autonomo, essendo il primo deputato a far cessare l’attività condotta in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione ed il secondo a sanzionare in via pecuniaria tale condotta, senza che per la conclusione dell’uno sia necessaria la definizione dell’altro.
Quanto al fatto che il provvedimento sarebbe basato esclusivamente sulla percezione soggettiva degli agenti accertatori, secondo i quali la musica era udibile all’esterno del locale, va evidenziato che il verbale di accertamento redatto dal pubblico ufficiale fa prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonché riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni delle parti; in tale categoria rientra anche la percezione del rumore o della musica all’esterno del locale, trattandosi non di una valutazione o di un giudizio ma di una percezione di quanto avvenuto in presenza dell’agente.
Né rileva che, nel caso di specie, le immissioni fossero o meno contenute nei limiti di legge, o fosse o meno violata la disciplina in materia di inquinamento acustico, in quanto la contestazione alla base del provvedimento impugnato riguardava la violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione, concernenti il divieto di diffondere la musica all’esterno del locale.
Neppure il quinto motivo, infine, appare meritevole di accoglimento. Si censura il provvedimento impugnato perché illegittimo in quanto non firmato né accompagnato da attestazione di conformità rispondente ai requisiti di legge. Orbene: a prescindere dal fatto che tale censura, ove fosse fondata, si sostanzierebbe nel rilievo che il provvedimento impugnato sarebbe non illegittimo ma addirittura inesistente, con conseguente carenza di giurisdizione di Questo Tribunale, è agevole osservare che ciò che produce effetto non è il documento notificato al ricorrente ma il precetto incorporato nell’originale detenuto dal Comune di Bari: di tale originale il ricorrente avrebbe dovuto produrre copia autentica al fine di dimostrare che esso è affetto dai denunciati vizi. In mancanza di tale produzione l’assunto del ricorrente rimane privo di dimostrazione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione III, definitivamente pronunciando, così provvede:
respinge il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Comune resistente delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.000 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2010 con l'intervento dei Magistrati:
P. M., Presidente
A. P., Consigliere
F. P., Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/07/2010
Re: INQUINAMENTO ACUSTICO.
Immissioni di rumore e diritto al riposo notturno
Corte di Cassazione, III Sezione Civile Sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26899
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Immissioni di rumore e diritto al riposo notturno
Corte di Cassazione, III Sezione Civile
Sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26899
Presidente Travaglino – Relatore Lanzillo
La Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso relativo alle immissioni di rumore protratte per un lungo periodo di tempo e di ciò che esso comporta.
Nel caso di specie le immissioni di rumore erano provocate dagli schiamazzi e dalla musica ad alto volume (che durava fino a notte inoltrata) di un Piano-Bar e cabaret.
Si chiedeva quindi che venisse inibita la prosecuzione dell’attività di disturbo e che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni, alla salute ed esistenziale, ad essi provocati.
Le ricorrenti, condannate sia nel primo che nel secondo grado del giudizio, hanno presentato ricorso per cassazione denunciando la violazione degli art. 2043 e 2059 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello le ha condannate al risarcimento dei danni sulla base del solo accertamento dell’effettiva sussistenza di immissioni intollerabili, senza previamente accertare se da tali immissioni siano effettivamente derivati alle intimate danni risarcibili, così ravvisando sostanzialmente i danni non patrimoniali in re ipsa, in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale per cui anche i danni morali ed esistenziali debbono rigorosamente essere dimostrati nella loro consistenza ed entità, per dare diritto al risarcimento.
Inoltre, con altro motivo, denunciavano l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cioè sulla circostanza da esse dedotta nelle difese che è stata liquidata ad ognuno dei danneggiati una somma uguale, senza tenere conto della disparità di situazioni ad essi facenti capo, trattandosi di quattro donne e due uomini, di età diverse e con diversa vita lavorativa o pensionistica e diverse peculiarità caratteriali, esistenziali e relazionali.
La Corte ha rigettato il ricorso non ritenendo fondati i suddetti motivi e osservando che le immissioni sonore “clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità (come accertato dalla ASL e successivamente tramite CTU)” , si legge in sentenza, “si sono prodotte per almeno tre anni nelle abitazioni degli attori, in ore serali e notturne, determinando “una significativa lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti quali in particolare il diritto al riposo notturno, inevitabilmente pregiudicato (se non addirittura impedito) dalla musica ad alto volume e dagli schiamazzi...”
Nel caso di specie i danneggiati hanno dedotto “l’indebito, grave pregiudizio arrecato per almeno tre anni al riposo notturno, alla serenità e all’equilibrio della mente, ed alla vivibilità delle loro case, condizioni tutte che il rumore e il frastuono protraentisi per ore mettono seriamente e ingiustamente a repentaglio e di cui può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza“.
Infine, concludono i giudici del Palazzaccio “quanto all’omessa considerazione delle situazioni personali, la valutazione equitativa della Corte di merito ha avuto palesemente riguardo al danno minimo ipotizzabile per ciascuno dei danneggiati, considerato che la sofferenza e l’insonnia provocati dalla musica a tutto volume possono ritenersi comuni a tutti“
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Leggi il testo della sentenza
Testo sentenza, immissioni di rumore, danno, riposo notturno
Corte di Cassazione, III Sezione Civile
Sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26899
Presidente Travaglino – Relatore Lanzillo
Svolgimento del processo
Con due atti di citazione notificati il 19 gennaio 2004 ed il 3 marzo 2004 – che facevano seguito ad altrettanti ricorsi per provvedimento di urgenza – R.C., M.Z., C.M., C.S., M.C., M.Z. ed E.A.M. hanno convenuto davanti al Tribunale di Milano – sez. dist. di Legnano, il Circolo Fratellanza e Pace, avente sede nell’immobile adiacente a quello da essi occupato, e la s.r.l. Il Baricentro, che svolgeva attività di Piano-Bar e cabaret quale affittuaria dell’azienda-Bar al servizio del Circolo, chiedendo che venisse accertata l’intollerabilità delle immissioni di rumore (schiamazzi e diffusione di musica ad alto volume fino a notte inoltrata); che venisse inibita la prosecuzione dell’attività di disturbo e che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni, alla salute ed esistenziale, ad essi provocati.
Le convenute hanno resistito alle domande, che il Tribunale ha accolto con sentenza n. 130/2007, condannando le stesse ad eseguire le opere di insonorizzazione disposte dal CTU; ad uniformarsi agli orari di chiusura dei locali ed a pagare a ciascuno dei convenuti la somma di € 6.500,00, oltre rivalutazione, interessi e spese di causa (previa devalutazione alla data degli illeciti).
Proposto appello dalle soccombenti, a cui hanno resistito gli appellati, con sentenza 20 Ottobre – 12 novembre 2010 n. 3071 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico delle appellanti le spese processuali.
Queste ultime propongono due motivi di ricorso per cassazione. Gli intimati non hanno depositato difese.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione degli art. 2043 e 2059 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello le ha condannate al risarcimento dei danni sulla base del solo accertamento dell’effettiva sussistenza di immissioni intollerabili, senza previamente accertare se da tali immissioni siano effettivamente derivati alle intimate danni risarcibili, così ravvisando sostanzialmente i danni non patrimoniali in re ipsa, in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale per cui anche i danni morali ed esistenziali debbono rigorosamente essere dimostrati nella loro consistenza ed entità, per dare diritto al risarcimento. Con il secondo motivo denunciano omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cioè sulla circostanza da esse dedotta nelle difese che è stata liquidata ad ognuno dei danneggiati una somma uguale, senza tenere conto della disparità di situazioni ad essi facenti capo, trattandosi di quattro donne e due uomini, di età diverse e con diversa vita lavorativa o pensionistica e diverse peculiarità caratteriali, esistenziali e relazionali (abitudini, orari, sensibilità, ecc.). Al contrario avrebbero dovuto essere dimostrate dalle parti, ed accertate dai giudicanti, le effettive ripercussioni esistenziali delle immissioni di rumore.
2.- I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, non sono fondati.
2.1.- La sentenza impugnata ha accertato l’esistenza dei danni sulla base di elementi presuntivi.
Ha cioè ritenuto che le immissioni sonore “clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità (come accertato dalla ASL e successivamente tramite CTU)” si sono prodotte per almeno tre anni nelle abitazioni degli attori, in ore serali e notturne, determinando “una significativa lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti quali in particolare il diritto al riposo notturno, inevitabilmente pregiudicato (se non addirittura impedito) dalla musica ad alto volume e dagli schiamazzi…” (sentenza impugnata, p. 7-8). La Corte ha accertato altresì – con valutazione in fatto, non suscettibile di riesame in questa sede – che l’entità del danno non è da ritenere futile, né è consistita “in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità”, così uniformandosi ai principi più volte enunciati da questa Corte in materia (cfr. fra tutte, Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972; Cass. civ. Sez. 3, n. 20684/2009). La giurisprudenza citata in contrario dalle ricorrenti (Cass. civ. Sez. 3, 10 dicembre 2009 n. 25820) circa la necessità di fornire la prova specifica del danno da immissioni sonore, non è in termini poiché si riferisce ai casi in cui il danneggiato faccia valere un vero e proprio danno alla salute, cioè un danno biologico, calcolabile in punti di invalidità e risarcibile in termini particolarmente rigorosi, sulla base di specifiche tabelle.
Nella specie i danneggiati non hanno dedotto di avere subìto un tal tipo di danno.
Hanno invece dedotto l’indebito, grave pregiudizio arrecato per almeno tre anni al riposo notturno, alla serenità e all’equilibrio della mente, ed alla vivibilità delle loro case, condizioni tutte che il rumore e il frastuono protraentisi per ore mettono seriamente e ingiustamente a repentaglio e di cui può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.
2.2.- Quanto all’omessa considerazione delle situazioni personali, la valutazione equitativa della Corte di merito ha avuto palesemente riguardo al danno minimo ipotizzabile per ciascuno dei danneggiati, considerato che la sofferenza e l’insonnia provocati dalla musica a tutto volume possono ritenersi comuni a tutti (salvo a coloro che siano affetti da sordità).
Ma la predetta patologia, così come le peculiari situazioni od insensibilità personali idonee a giustificare la diminuzione del risarcimento, avrebbero dovuto essere dimostrati dai danneggianti, trattandosi di circostanze che vengono invocate al fine di dimostrare l’insussistenza totale o parziale del danno.
3.- Il ricorso deve essere rigettato.
4.- Non essendosi costituiti gli intimati non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, III Sezione Civile Sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26899
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Immissioni di rumore e diritto al riposo notturno
Corte di Cassazione, III Sezione Civile
Sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26899
Presidente Travaglino – Relatore Lanzillo
La Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso relativo alle immissioni di rumore protratte per un lungo periodo di tempo e di ciò che esso comporta.
Nel caso di specie le immissioni di rumore erano provocate dagli schiamazzi e dalla musica ad alto volume (che durava fino a notte inoltrata) di un Piano-Bar e cabaret.
Si chiedeva quindi che venisse inibita la prosecuzione dell’attività di disturbo e che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni, alla salute ed esistenziale, ad essi provocati.
Le ricorrenti, condannate sia nel primo che nel secondo grado del giudizio, hanno presentato ricorso per cassazione denunciando la violazione degli art. 2043 e 2059 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello le ha condannate al risarcimento dei danni sulla base del solo accertamento dell’effettiva sussistenza di immissioni intollerabili, senza previamente accertare se da tali immissioni siano effettivamente derivati alle intimate danni risarcibili, così ravvisando sostanzialmente i danni non patrimoniali in re ipsa, in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale per cui anche i danni morali ed esistenziali debbono rigorosamente essere dimostrati nella loro consistenza ed entità, per dare diritto al risarcimento.
Inoltre, con altro motivo, denunciavano l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cioè sulla circostanza da esse dedotta nelle difese che è stata liquidata ad ognuno dei danneggiati una somma uguale, senza tenere conto della disparità di situazioni ad essi facenti capo, trattandosi di quattro donne e due uomini, di età diverse e con diversa vita lavorativa o pensionistica e diverse peculiarità caratteriali, esistenziali e relazionali.
La Corte ha rigettato il ricorso non ritenendo fondati i suddetti motivi e osservando che le immissioni sonore “clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità (come accertato dalla ASL e successivamente tramite CTU)” , si legge in sentenza, “si sono prodotte per almeno tre anni nelle abitazioni degli attori, in ore serali e notturne, determinando “una significativa lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti quali in particolare il diritto al riposo notturno, inevitabilmente pregiudicato (se non addirittura impedito) dalla musica ad alto volume e dagli schiamazzi...”
Nel caso di specie i danneggiati hanno dedotto “l’indebito, grave pregiudizio arrecato per almeno tre anni al riposo notturno, alla serenità e all’equilibrio della mente, ed alla vivibilità delle loro case, condizioni tutte che il rumore e il frastuono protraentisi per ore mettono seriamente e ingiustamente a repentaglio e di cui può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza“.
Infine, concludono i giudici del Palazzaccio “quanto all’omessa considerazione delle situazioni personali, la valutazione equitativa della Corte di merito ha avuto palesemente riguardo al danno minimo ipotizzabile per ciascuno dei danneggiati, considerato che la sofferenza e l’insonnia provocati dalla musica a tutto volume possono ritenersi comuni a tutti“
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Leggi il testo della sentenza
Testo sentenza, immissioni di rumore, danno, riposo notturno
Corte di Cassazione, III Sezione Civile
Sentenza 15 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26899
Presidente Travaglino – Relatore Lanzillo
Svolgimento del processo
Con due atti di citazione notificati il 19 gennaio 2004 ed il 3 marzo 2004 – che facevano seguito ad altrettanti ricorsi per provvedimento di urgenza – R.C., M.Z., C.M., C.S., M.C., M.Z. ed E.A.M. hanno convenuto davanti al Tribunale di Milano – sez. dist. di Legnano, il Circolo Fratellanza e Pace, avente sede nell’immobile adiacente a quello da essi occupato, e la s.r.l. Il Baricentro, che svolgeva attività di Piano-Bar e cabaret quale affittuaria dell’azienda-Bar al servizio del Circolo, chiedendo che venisse accertata l’intollerabilità delle immissioni di rumore (schiamazzi e diffusione di musica ad alto volume fino a notte inoltrata); che venisse inibita la prosecuzione dell’attività di disturbo e che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni, alla salute ed esistenziale, ad essi provocati.
Le convenute hanno resistito alle domande, che il Tribunale ha accolto con sentenza n. 130/2007, condannando le stesse ad eseguire le opere di insonorizzazione disposte dal CTU; ad uniformarsi agli orari di chiusura dei locali ed a pagare a ciascuno dei convenuti la somma di € 6.500,00, oltre rivalutazione, interessi e spese di causa (previa devalutazione alla data degli illeciti).
Proposto appello dalle soccombenti, a cui hanno resistito gli appellati, con sentenza 20 Ottobre – 12 novembre 2010 n. 3071 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico delle appellanti le spese processuali.
Queste ultime propongono due motivi di ricorso per cassazione. Gli intimati non hanno depositato difese.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione degli art. 2043 e 2059 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello le ha condannate al risarcimento dei danni sulla base del solo accertamento dell’effettiva sussistenza di immissioni intollerabili, senza previamente accertare se da tali immissioni siano effettivamente derivati alle intimate danni risarcibili, così ravvisando sostanzialmente i danni non patrimoniali in re ipsa, in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale per cui anche i danni morali ed esistenziali debbono rigorosamente essere dimostrati nella loro consistenza ed entità, per dare diritto al risarcimento. Con il secondo motivo denunciano omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cioè sulla circostanza da esse dedotta nelle difese che è stata liquidata ad ognuno dei danneggiati una somma uguale, senza tenere conto della disparità di situazioni ad essi facenti capo, trattandosi di quattro donne e due uomini, di età diverse e con diversa vita lavorativa o pensionistica e diverse peculiarità caratteriali, esistenziali e relazionali (abitudini, orari, sensibilità, ecc.). Al contrario avrebbero dovuto essere dimostrate dalle parti, ed accertate dai giudicanti, le effettive ripercussioni esistenziali delle immissioni di rumore.
2.- I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, non sono fondati.
2.1.- La sentenza impugnata ha accertato l’esistenza dei danni sulla base di elementi presuntivi.
Ha cioè ritenuto che le immissioni sonore “clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità (come accertato dalla ASL e successivamente tramite CTU)” si sono prodotte per almeno tre anni nelle abitazioni degli attori, in ore serali e notturne, determinando “una significativa lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti quali in particolare il diritto al riposo notturno, inevitabilmente pregiudicato (se non addirittura impedito) dalla musica ad alto volume e dagli schiamazzi…” (sentenza impugnata, p. 7-8). La Corte ha accertato altresì – con valutazione in fatto, non suscettibile di riesame in questa sede – che l’entità del danno non è da ritenere futile, né è consistita “in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità”, così uniformandosi ai principi più volte enunciati da questa Corte in materia (cfr. fra tutte, Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972; Cass. civ. Sez. 3, n. 20684/2009). La giurisprudenza citata in contrario dalle ricorrenti (Cass. civ. Sez. 3, 10 dicembre 2009 n. 25820) circa la necessità di fornire la prova specifica del danno da immissioni sonore, non è in termini poiché si riferisce ai casi in cui il danneggiato faccia valere un vero e proprio danno alla salute, cioè un danno biologico, calcolabile in punti di invalidità e risarcibile in termini particolarmente rigorosi, sulla base di specifiche tabelle.
Nella specie i danneggiati non hanno dedotto di avere subìto un tal tipo di danno.
Hanno invece dedotto l’indebito, grave pregiudizio arrecato per almeno tre anni al riposo notturno, alla serenità e all’equilibrio della mente, ed alla vivibilità delle loro case, condizioni tutte che il rumore e il frastuono protraentisi per ore mettono seriamente e ingiustamente a repentaglio e di cui può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.
2.2.- Quanto all’omessa considerazione delle situazioni personali, la valutazione equitativa della Corte di merito ha avuto palesemente riguardo al danno minimo ipotizzabile per ciascuno dei danneggiati, considerato che la sofferenza e l’insonnia provocati dalla musica a tutto volume possono ritenersi comuni a tutti (salvo a coloro che siano affetti da sordità).
Ma la predetta patologia, così come le peculiari situazioni od insensibilità personali idonee a giustificare la diminuzione del risarcimento, avrebbero dovuto essere dimostrati dai danneggianti, trattandosi di circostanze che vengono invocate al fine di dimostrare l’insussistenza totale o parziale del danno.
3.- Il ricorso deve essere rigettato.
4.- Non essendosi costituiti gli intimati non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso.
Re: INQUINAMENTO ACUSTICO.
alcuni appunti interessanti per le attività.
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diniego di autorizzazione attività di preparazione di alimenti.
RICORSO
ha impugnato in primo grado la nota, datata 8.3.2013, a firma del responsabile del IV settore del Comune nonché la determinazione dirigenziale del 14.1.2013.
Con la predetta determina dirigenziale si decideva di negare il rilascio dell’autorizzazione di cui alla S.C.I.A. prot. del 29.10.2012 relativa all’attività di somministrazione di cibi e bevande di tipo A di cui all’istanza
Coerentemente con tale determinazione il responsabile del IV Settore della città di OMISSIS comunicava alla società con la nota dell’8.3.2013 che non poteva “avvalersi per l’inizio di attività dell’istituto del silenzio assenso”.
Il Tribunale con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso ritenendo in primo luogo che nel caso esaminato trova applicazione l’art. 19 della L. 241/90 che costituisce una norma speciale rispetto al successivo art. 20.
Ha ritenuto altresì il primo giudice che il meccanismo del silenzio assenso è sostitutivo dell’esercizio del potere autoritativo proprio del momento autorizzativo, ma non della preliminare verifica delle condizioni necessarie affinché tale potere possa essere esercitato.
I provvedimenti impugnati si sottrarrebbero alle censure essendo stati determinati dalla pregiudiziale inidoneità urbanistica, ambientale e di sicurezza dell’immobile in cui l’attività di ristorazione si intende realizzare. Peraltro, l’art. 19 della L. 241/90, applicabile nel caso all’esame del TAR, prevede che l’amministrazione deve entro 60 giorni pronunciarsi sulla domanda per evitare la formazione del silenzio assenso, senza essere tenuta, entro il medesimo termine a comunicare all’interessato il proprio provvedimento.
SENTENZA ,sede di CGARS_GIURISDIZIONALE ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201500446
-Public 2015-06-18-
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
OMISSIS
DIRITTO
Il Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art.19 della L. 241/ 90, il quale testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge.
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano, dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per l consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico.
E giacché la conformità a legge dei locali costituisce un necessario presupposto, la cui assenza impedisce lo svolgimento dell’attività commerciale considerata, tale profilo della vicenda risulta assorbente e va considerato per primo.
Dagli atti di causa risulta che la società ricorrente ha realizzato una struttura in legno, con la quale ha coperto il terrazzo, modificando la sagoma dell’edificio. Le opere realizzate sono visibili dalla strada. In tale modo, come esattamente osserva il Comune nella sua memoria, si è realizzato un primo piano, con superficie di non meno di 58 mq circa, a destinazione commerciale, qual è quella della ristorazione. Un siffatto intervento esula dalla previsione dell’art. 20 della L.R. 4/2003, che ribadisce al comma 6 che la realizzazione di verande non può comportare una variazione della destinazione d’uso della superficie modificata, la quale, comunque non può eccedere i 50 mq.. La tesi della società ricorrente secondo cui il comma 7 della norma citata prevede un diverso limite di 60 mq per gli edifici adibiti esclusivamente ad attività commerciali, non ha pregio, giacché ciò è consentito nel caso che vengano realizzate opere per l’adeguamento degli edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico sanitarie, con l’avvertenza che le opere realizzate con tale finalità possono essere regolarizzate previa richiesta di autorizzazione.
Il Collegio rileva, quindi, che le diverse tesi della società ricorrente non possono essere condivise e il motivo di ricorso va rigettato.
Nel provvedimento comunale impugnato si legge che l’accessibilità al solaio di copertura, servito da una scala a chiocciola interna al locale del piano terra, non risulta conforme al D.M. 236 del 14.6.1989 artt. 4 e 8.
Il primo giudice ha ritenuto tale motivazione del provvedimento impugnato immune da vizi, ritenendo del tutto irrilevante che “ la medesima scala fosse stata ritenuta idonea ad un uso privato, “quando il terrazzo non risultava occupato da iniziative commerciali”.
La ricorrente non rivolge a questo punto della sentenza nessuna censura sostanziale, ma piuttosto lamenta che “il Comune ha affermato l’esistenza di due ragioni di diniego della SCIA, che non aveva incluso fra i motivi ostativi nell’avviso di avvio del procedimento, senza quindi consentire alla ricorrente di presentare le proprie osservazioni, frustrando la finalità partecipativa della norma”.
Il Collegio ritiene di condividere quanto affermato dal primo giudice.
L’art. 4 del citato decreto 236/89 prevede espressamente una serie di requisiti che debbono avere le scale degli edifici aperti al pubblico, requisiti che la scala chiocciola non sembra avere né la ricorrente dice che li abbia. Non si vede, quindi, quali osservazioni essa avrebbe potuto presentare al Comune, che si è limitato a richiamare una precisa norma, che non lascia spazio a valutazioni discrezionali.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato infondato e come tale va respinto con assorbimento di ogni altro motivo.
La natura della vicenda consente di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
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diniego di autorizzazione attività di preparazione di alimenti.
RICORSO
ha impugnato in primo grado la nota, datata 8.3.2013, a firma del responsabile del IV settore del Comune nonché la determinazione dirigenziale del 14.1.2013.
Con la predetta determina dirigenziale si decideva di negare il rilascio dell’autorizzazione di cui alla S.C.I.A. prot. del 29.10.2012 relativa all’attività di somministrazione di cibi e bevande di tipo A di cui all’istanza
Coerentemente con tale determinazione il responsabile del IV Settore della città di OMISSIS comunicava alla società con la nota dell’8.3.2013 che non poteva “avvalersi per l’inizio di attività dell’istituto del silenzio assenso”.
Il Tribunale con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso ritenendo in primo luogo che nel caso esaminato trova applicazione l’art. 19 della L. 241/90 che costituisce una norma speciale rispetto al successivo art. 20.
Ha ritenuto altresì il primo giudice che il meccanismo del silenzio assenso è sostitutivo dell’esercizio del potere autoritativo proprio del momento autorizzativo, ma non della preliminare verifica delle condizioni necessarie affinché tale potere possa essere esercitato.
I provvedimenti impugnati si sottrarrebbero alle censure essendo stati determinati dalla pregiudiziale inidoneità urbanistica, ambientale e di sicurezza dell’immobile in cui l’attività di ristorazione si intende realizzare. Peraltro, l’art. 19 della L. 241/90, applicabile nel caso all’esame del TAR, prevede che l’amministrazione deve entro 60 giorni pronunciarsi sulla domanda per evitare la formazione del silenzio assenso, senza essere tenuta, entro il medesimo termine a comunicare all’interessato il proprio provvedimento.
SENTENZA ,sede di CGARS_GIURISDIZIONALE ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201500446
-Public 2015-06-18-
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
OMISSIS
DIRITTO
Il Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art.19 della L. 241/ 90, il quale testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge.
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano, dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per l consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico.
E giacché la conformità a legge dei locali costituisce un necessario presupposto, la cui assenza impedisce lo svolgimento dell’attività commerciale considerata, tale profilo della vicenda risulta assorbente e va considerato per primo.
Dagli atti di causa risulta che la società ricorrente ha realizzato una struttura in legno, con la quale ha coperto il terrazzo, modificando la sagoma dell’edificio. Le opere realizzate sono visibili dalla strada. In tale modo, come esattamente osserva il Comune nella sua memoria, si è realizzato un primo piano, con superficie di non meno di 58 mq circa, a destinazione commerciale, qual è quella della ristorazione. Un siffatto intervento esula dalla previsione dell’art. 20 della L.R. 4/2003, che ribadisce al comma 6 che la realizzazione di verande non può comportare una variazione della destinazione d’uso della superficie modificata, la quale, comunque non può eccedere i 50 mq.. La tesi della società ricorrente secondo cui il comma 7 della norma citata prevede un diverso limite di 60 mq per gli edifici adibiti esclusivamente ad attività commerciali, non ha pregio, giacché ciò è consentito nel caso che vengano realizzate opere per l’adeguamento degli edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico sanitarie, con l’avvertenza che le opere realizzate con tale finalità possono essere regolarizzate previa richiesta di autorizzazione.
Il Collegio rileva, quindi, che le diverse tesi della società ricorrente non possono essere condivise e il motivo di ricorso va rigettato.
Nel provvedimento comunale impugnato si legge che l’accessibilità al solaio di copertura, servito da una scala a chiocciola interna al locale del piano terra, non risulta conforme al D.M. 236 del 14.6.1989 artt. 4 e 8.
Il primo giudice ha ritenuto tale motivazione del provvedimento impugnato immune da vizi, ritenendo del tutto irrilevante che “ la medesima scala fosse stata ritenuta idonea ad un uso privato, “quando il terrazzo non risultava occupato da iniziative commerciali”.
La ricorrente non rivolge a questo punto della sentenza nessuna censura sostanziale, ma piuttosto lamenta che “il Comune ha affermato l’esistenza di due ragioni di diniego della SCIA, che non aveva incluso fra i motivi ostativi nell’avviso di avvio del procedimento, senza quindi consentire alla ricorrente di presentare le proprie osservazioni, frustrando la finalità partecipativa della norma”.
Il Collegio ritiene di condividere quanto affermato dal primo giudice.
L’art. 4 del citato decreto 236/89 prevede espressamente una serie di requisiti che debbono avere le scale degli edifici aperti al pubblico, requisiti che la scala chiocciola non sembra avere né la ricorrente dice che li abbia. Non si vede, quindi, quali osservazioni essa avrebbe potuto presentare al Comune, che si è limitato a richiamare una precisa norma, che non lascia spazio a valutazioni discrezionali.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato infondato e come tale va respinto con assorbimento di ogni altro motivo.
La natura della vicenda consente di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
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