FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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I ricorrenti, tutti militari che hanno lavorato o tuttora lavorano alle dipendenze del Ministero della difesa.
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IL TAR LAZIO precisa:

1) - Ne deriva che gli odierni ricorrenti non sono legittimati a partecipare a detto procedimento, non essendo titolari di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere, con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle amministrazioni competenti, né tantomeno che il giudice possa sostituirsi all’Amministrazione.

2) - Parte ricorrente è, viceversa, portatrice di un interesse soltanto indiretto in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziale destinataria delle misure da adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui lamenta la mancata attuazione:
- e ciò in ragione della natura assodatamente normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego;
- ma - per l'appunto - non è legittimata a partecipare al relativo procedimento.
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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201506491, - Public 2015-05-06 -


N. 06491/2015 REG.PROV.COLL.
N. 11128/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11128 del 2011, proposto da:
(congruo numero di ricorrenti – OMISSIS - ), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Michele Dulvi Corcione, con domicilio eletto presso Giovambattista Ferriolo in Roma, Via Andrea Doria N.48;

contro
Ministero della Difesa;

per l'annullamento
della determinazione in data 20 dicembre 2011 con cui il Ministero della difesa ha denegato ai ricorrenti il calcolo del trattamento pensionistico spettante secondo il sistema retributivo e comunque ha denegato la costituzione dei fondi previdenziali complementari - risarcimento danni

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2015 il dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti, tutti militari che hanno lavorato o tuttora lavorano alle dipendenze del Ministero della difesa, chiedono l’annullamento della determinazione in data 20 dicembre 2011 con cui il Ministero della difesa ha loro denegato il calcolo del trattamento pensionistico spettante secondo il sistema retributivo e comunque ha loro denegato la costituzione dei fondi previdenziali complementari.

Nel ricorso prospettano i seguenti motivi di gravame:

violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di procedimento, carenza assoluta di motivazione, carenza assoluta di istruttoria, violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della P.A., errore nel procedimento, ingiustizia manifesta, irragionevolezza, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 255/99, violazione e falsa applicazione della legge n. 388/00, violazione e falsa applicazione della legge n. 243/04.

Sollevano, infine, in via gradata un profilo di illegittimità costituzionale della legge n. 335 del 1995 con riferimento agli artt. 3, 76 e 97 Cost. .

Con il proposto ricorso lamentano sostanzialmente l’inapplicazione della normativa che ha previsto anche per i dipendenti delle Forze Armate il sistema di previdenza complementare.

Non si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione.

Alla pubblica udienza del 18 marzo 2015 il ricorso viene trattenuto per la decisione.

Il Collegio ritiene il ricorso, sulla scorta peraltro di conforme precedente avviso della Sezione, inammissibile per difetto di legittimazione dei ricorrenti (cfr. T.A.R. Lazio, I Bis, 26 marzo 2014 n. 3348, ma anche T.A.R. Lazio, I Sezione, 8 marzo 2011, n. 2092 e Cons. Stato, IV Sezione, n. 5698/2011).

La riforma previdenziale di cui alla c.d. legge "Dini" (legge 8 agosto 1995, n. 335) ha introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31 dicembre 1995 (art. 1 commi 6 e 12); il successivo art. 2 della legge ha poi previsto la "trasformazione" per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle previsioni dell'art. 2120 cod. civ. (comma 5), demandando alla contrattazione collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell'attuazione della c.d. previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati al 31 dicembre 1995 (comma 7).

Le c.d. forme di previdenza complementare per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico sono state quindi introdotte dal d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 per i lavoratori sia privati che pubblici (art. 2 lettera a), demandandone l'istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto pubblico (caso di specie), alle norme dei rispettivi ordinamenti (art. 3 comma 2); disposizioni analoghe sono state poi dettate dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.

Con particolare riguardo al personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: art. 3) e a procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: art. 4 e per le forze armate: art. 5).

Le procedure di concertazione sono regolate dall'art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995 (come modificato dal d.lgs. 31 marzo 2000, n. 129); avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione), con il coinvolgimento, rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato centrale di rappresentanza (COCER) interforze.

Dette procedure " [...] hanno inizio contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi successive [...]", ivi compresa la sottoscrizione dell'ipotesi di accordo sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica, dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di polizia ad ordinamento civile.

Infine, l'ipotesi di accordo economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti prospetti (che indicano personale interessato, costi unitari, oneri riflessi del trattamento economico, quantificazione complessiva della spesa, diretta ed indiretta), esaminate le eventuali osservazioni, sono approvati dal Consiglio dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti dello schema di provvedimento, successivamente "recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali si prescinde dal parere del Consiglio di Stato".

L'art. 26 comma 20 della legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 448, con norma d'interpretazione autentica, ha chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del trattamento di fine rapporto e l'istituzione di forme di previdenza complementare.

L'art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell'adesione ai fondi pensione):

"a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare [...] anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare".

Così delineato, in estrema sintesi, il quadro di riferimento normativo, deve rilevarsi che i ricorrenti censurano in sostanza la mancata predisposizione, a mezzo di procedure di negoziazione e concertazione, di idonei ed adeguati strumenti di pensione integrativa e “complementare”.

Orbene, è del tutto evidente che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse "finale", ovvero della posizione soggettiva destinata a sorgere per effetto di tale concertazione, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti "negoziali" in oggetto.

Tale interesse (assimilabile agli interessi legittimi procedimentali), appartiene, semmai, esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d'interessi collettivi chiamati a partecipare ai predetti procedimenti.

Per quanto possa occorrere si evidenzia ancora che, se anche le amministrazioni competenti si attivassero, l'effettivo avvio del procedimento di concertazione, preliminare all'adozione dello schema di atto da emanarsi nella forma di d.P.R., non potrebbe che dipendere anche da una concorrente e convergente volontà delle organizzazione sindacali summenzionate (quest'ultima, ovviamente, di natura squisitamente negoziale).

È pertanto evidente che, allo stato, i ricorrenti non sono titolari né di un diritto soggettivo, né di un interesse legittimo, potendo semmai riconoscersi un interesse di tal fatta (di carattere strumentale) solo in capo alle organizzazioni sindacali legittimate a partecipare alle procedure di contrattazione collettiva (cfr. da ultimo T.A.R. Lazio, I Sezione, 17 febbraio 2015 n. 2738 e Cons. stato, IV Sezione, 4 febbraio 2014, n. 504).

Ne deriva che gli odierni ricorrenti non sono legittimati a partecipare a detto procedimento, non essendo titolari di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere, con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle amministrazioni competenti, né tantomeno che il giudice possa sostituirsi all’Amministrazione.

Parte ricorrente è, viceversa, portatrice di un interesse soltanto indiretto in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziale destinataria delle misure da adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui lamenta la mancata attuazione: e ciò in ragione della natura assodatamente normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego; ma - per l'appunto - non è legittimata a partecipare al relativo procedimento.

Del pari inammissibile si rivela la domanda di risarcimento del danno sia in ragione di quanto osservato con riferimento alla (inammissibile) “pretesa” sostanziale di cui al ricorso in esame che avuto riguardo alla assoluta genericità ed indeterminatezza della stessa.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti.

Nulla per le spese, avuto riguardo alla omessa costituzione in giudizio dell’amministrazione della difesa, pur ritualmente intimata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Salvatore Mezzacapo, Consigliere, Estensore
Floriana Rizzetto, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/05/2015


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vi è anche questa sentenza

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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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con questa sentenza della Corte dei Conti sez. Piemonte sicuramente vi toglierà i dubbi.

i ricorrenti appartengono al Corpo della Guardia di Finanza.
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 4 2016 PENSIONI 18/01/2016


Sent. n. 4/16


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE

in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, quale giudice unico ai sensi dell’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come modificato dall’articolo 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19791 proposto da D. G. L. R., nato il …. e residente in ….. (NO), via …, D. G., nato il …. e residente in …. (NO), via ….., G. M., nato il ….. e residente in …. (NO), via ……, M. M., nato il ….. e residente in ….. (NO), via ……, P. F., nato il ……. e residente in ……. (NO), via ……., P. D. nato il……… e residente in …… (NO), via ………, O. M., nato il ……… e residente in … (NO), via ……., rappresentati e difesi dall’avv. Ennio Cerio ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Campobasso, via Mazzini n, 101

contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (c.f.80207790587) rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, avv. Mauro Prinzivalli;

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - con sede in Roma, via Ciro Il Grande n. 21 (C.F. 80078750587), in persona Presidente e legale rappresentante, Prof. Tito Michele Boeri, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Ruta (c.f. RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia Sanguineti (c.f. SNG PRZ 69A66 D969D) per Procura generale a rogito del notaio dr. Paolo Castellini, rep. 80974/21569 del 21 luglio 2015 e con loro elettivamente domiciliato in Torino – Via dell’Arcivescovado n. 9;

per ottenere
“l’accertamento del diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico – sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare- secondo il sistema c.d. “retributivo”, previa eventuale dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 1, commi 1, 6, 12, 13 dell’art. 2, commi 5, 6 e 7 e art. 5 della l. n. 335/1995, degli artt. 2 e 3, comma 2 del d.lgs. n. 124/1993, dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 252/2005, in relazione agli artt. 3, 36 primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione;
con la conseguente condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’INPS, ognuno per le rispettive competenze, ad adottare il metodo di calcolo della pensione dei ricorrenti secondo il sistema retributivo vigente ante-riforma, legge n. 335/1995;
nonché a risarcire i danni arrecati agli stessi in conseguenza del mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e previdenza complementare (c.f. secondo pilastro)”.

VISTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI all’udienza del 19 novembre 2015 l’avv. Benito Capelluto, per delega dell’avv. Ennio Cerio, in rappresentanza e difesa dei ricorrenti e l’avv. Michela Foti in rappresentanza e difesa dell’INPS;

RITENUTO in
FATTO

Con ricorso ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria della Sezione in data 30 giugno 2015 i ricorrenti indicati in epigrafe hanno chiesto accertarsi il loro preteso diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico, sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare, secondo il c.d. criterio “retributivo” e, per l’effetto, condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’INPS, “ognuno per le rispettive competenze”, ad adottare il metodo di calcolo della pensione dei ricorrenti secondo il sistema retributivo vigente antecedentemente alla legge n. 335/1995; ciò previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 6, 12, 13, dell’art. 2, commi 5, 6 e 7 e art. 5 della l. n. 335/1995, degli artt. 2 e 3, comma 2, de d.lgs. n. 124/1993 e dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 252/2005, in relazione agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione. Hanno altresì invocato, in via subordinata, la condanna al risarcimento dei danni asseritamente arrecati ai ricorrenti in conseguenza del mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e previdenza complementare (c.d. secondo pilastro) e, ancora in via subordinata, la condanna delle Amministrazioni resistenti alla corresponsione della quota percentuale pari alla “differenza di rendimento tra il fondo previsto dall’art. 12 del AQN in materia di trattamento di fine rapporto e previdenza complementare per i dipendenti pubblici del 29 luglio 1999 e il rendimento, con rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati a far data dal 1995 ovvero, in ulteriore ipotesi, dal 31 dicembre 2001, come stabilito dall’AQN del 29 luglio 1999” nonche’ l’accertamento del diritto “a percepire l’anticipazione del TFR secondo quanto stabilito dall’art. 2120 c.c. e condannare le amministrazioni resistenti a provvedere di conseguenza”.

Nell’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti affermano di essere tutti appartenenti, con diversi gradi e qualifiche, al Corpo della Guardia di Finanza e di essere assoggettati ai nuovi (e più penalizzanti) criteri di calcolo dell’ordinario trattamento di quiescenza in quanto alcuni assunti in servizio dopo il 31.12.1995 e altri privi del requisito dei 18 anni di servizio alla medesima data vedendosi quindi calcolare l’ordinario trattamento di quiescenza con il criterio “contributivo” oppure con quello “misto”.

Rilevano che l’applicazione immediata di tali criteri produrrà, nei loro confronti, un trattamento pensionistico notevolmente inferiore rispetto a quello assicurato dal sistema retributivo osservando che l’iniquità di tale situazione sarebbe stata riconosciuta dallo stesso legislatore che avrebbe inteso porvi rimedio con la previdenza complementare. I ricorrenti lamentano peraltro che il c.d. “Secondo Pilastro” della previdenza complementare non sarebbe stato attivato con ciò impedendo che mediante la costituzione di tale ulteriore posizione previdenziale si possa ovviare agli squilibri di ordine patrimoniale connessi all’applicazione dei nuovi criteri di calcolo della propria pensione.

I ricorrenti, richiamando i fondamenti costituzionali del diritto a pensione, con particolare riguardo all’art. 38 c. 2 Cost., deducono che solo in tale contesto può andarsi ad iscrivere, in modo costituzionalmente corretto, la c.d. “previdenza integrativa” (risalente al d.lgs. n. 124/1999 ma sviluppatasi con la legge n. 334/1995, che l’ha estesa anche alle pubbliche amministrazioni) volta ad assicurare forme pensionistiche complementari.

Il legislatore ordinario non potrebbe quindi disattendere il principio dell’automaticità della prestazione previdenziale sino al punto di svuotarlo del suo contenuto, potendo, semmai, solo limitarlo in vista della tutela di altri valori costituzionalmente protetti mentre – secondo la prospettazione attorea- con la legge n. 335/1995 non si sarebbe rimasti nel solco dei cennati principi costituzionali.

Nel distinguere sistemi di calcolo della pensione “retributivo”, “misto” e “contributivo” il legislatore ha previsto per i due ultimi metodi di computo indicati un trattamento pensionistico nettamente ridimensionato con previsione, al fine di far fronte alle predette ritenute sperequazioni economiche, accanto alla previdenza obbligatoria, dell’introduzione del c.d. “secondo pilastro” di previdenza, ovvero la previdenza complementare (da attuarsi con i c.d. “Fondi pensione”): ciò, secondo la tesi attorea, allo scopo di permettere ai lavoratori un’integrazione del trattamento di base per riportarlo a valori pari a quelli dei “colleghi rimasti con il sistema di calcolo retributivo”.

Lamentano i ricorrenti che “a distanza di quasi venti anni, gli interventi ritenuti – ai fini di cui è causa- prioritari (ed anzi indispensabili) non sono ancora stati attuati…”; peraltro, i fondi pensione non sarebbero stati ancora costituiti e non sarebbe possibile per i pubblici dipendenti accedere autonomamente ai c.d. “fondi pensione aperti” in quanto il medesimo non avrebbe la concreta possibilità di attingere alle somme destinate al TFR le quali, come tra l’altro indicato dall’art. 11, comma 4 dell’Accordo quadro, rappresenterebbero meri importi virtuali.

I ricorrenti forniscono una ricostruzione del quadro normativo di riferimento evidenziando che “a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 59, comma 56, della l. n. 449/1997 sarebbe stata estesa ai dipendenti pubblici, in servizio al 31.12.1995, la possibilità di richiedere la trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto, prevedendo che una parte della vigente quota contributiva relativa all’indennità di fine servizio venisse destinata a previdenza complementare”. Tuttavia, la piena operatività del nuovo sistema previdenziale sarebbe condizionata all’effettiva istituzione del Fondo Pensioni mentre il d.lgs. n. 252/2005, reiterando la disposizione dell’art. 3 d.lgs. n. 124/1993, stabilirebbe che per il personale “privatizzato”, le forme pensionistiche complementari potrebbero essere istituite mediante contratti collettivi laddove – per i restanti dipendenti pubblici- le stesse potrebbero essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti o- in mancanza di queste- mediante accordi tra i dipendenti stessi, promossi da loro Associazioni.

In definitiva, quindi, secondo la prospettazione attorea “per determinate categorie di lavoratori subordinati, ivi compresi il personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia , la previdenza complementare (o integrativa) è ancora “ di là da venire”. Le procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto non sono state concretamente avviate. Pertanto, la sperequazione del trattamento pensionistico spettante a questa categoria di lavoratori dipendenti non è stata ancora compensata”. La predetta inerzia sarebbe, ad avviso dei ricorrenti, ingiustificabile.

L’apparato pubblico, ai sensi degli artt. 1, 2, 4 e 7 del d.lgs. n. 195/1995, avrebbe l’obbligo (e non solo la facoltà) di attivarsi concretamente al fine di promuovere la costituzione di forme pensionistiche complementari in favore dei ricorrenti: tali disposizioni prevederebbero infatti che le procedure aventi ad oggetto il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari del personale della Guardia di Finanza devono concludersi con un decreto del Presidente della Repubblica emanato a seguito di concertazione tra i Ministri (o i Sottosegretari da questi delegati) della Funzione Pubblica, dell’Interno, del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, della Difesa, delle Finanze, della Giustizia e delle Politiche Agricole e Forestali. Le suddette procedure dovrebbero concludersi con un apposito “Schema di provvedimento” e il consiglio dei Ministri, entro 15 giorni da tale sottoscrizione, dovrebbe approvare il predetto schema e sottoporlo alla firma del Presidente della Repubblica.

In una tale situazione dovrebbe quindi – ad avviso dei ricorrenti- ritenersi più che legittima la pretesa degli stessi ad ottenere- quanto meno sino al momento in cui sarà attuata la c.d. “previdenza complementare” - un trattamento previdenziale da calcolarsi (anche per essi) secondo il tradizionale metodo “retributivo”.

Rilevante, ai fini della decisione della presente controversia, sarebbe inoltre la questione di costituzionalità che, secondo la prospettazione attorea, dovrebbe essere sollevata qualora la legge n. 335/1995 venisse interpretata nel senso di ritenere applicabili i nuovi metodi di calcolo del trattamento pensionistico anche in assenza dell’attuazione della previdenza complementare. Vi sarebbe, secondo la predetta prospettazione, una macroscopica e ingiustificata disparità di trattamento tra la situazione dei dipendenti privati e quella dei dipendenti pubblici e, all’interno di tale ultima categoria, tra coloro a favore dei quali i cennati fondi sono stati attivati e coloro che, come i ricorrenti, non avrebbero ancora avuta riconosciuta una tale possibilità, in violazione dell’art. 3 Cost.. Sarebbero parimenti violati gli artt. 36 e 38 Cost. in quanto, in assenza del “secondo pilastro” non sarebbe garantita la proporzionalità della pensione alla qualità e quantità del lavoro prestato, né l’adeguatezza di tale forma di retribuzione alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia.

Deducono più specificamente i ricorrenti che gli artt. 2 e 3, comma 2, d.lgs. n. 124/1993, nella parte in cui attribuisce anche ai dipendenti pubblici il diritto ad ottenere la previdenza complementare, senza però assicurarne l’effettivo esercizio e l’art. 3, comma 2, del d.lgs.n. 252/2005, nella parte in cui stabilisce che la previdenza integrativa è istituita mediante accordi o contratti collettivi, senza l’attribuzione ai singoli di mezzi per l’esercizio effettivo del diritto, si porrebbero in contrasto con gli artt. 3, 36 comma 1 e 38, comma 2 Cost.: ciò sia per l’illogicità sia per il fatto di non consentire ai lavoratori che non hanno fonti di reddito ulteriori rispetto al trattamento pensionistico di essere posti in condizione di disporre di mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita dignitoso e/o almeno simile a quello goduto nel periodo in cui erano impiegati.

Un simile diritto non potrebbe che essere tutelato attribuendo al suo titolare, almeno sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare, un trattamento pensionistico calcolato con il sistema retributivo; in assenza ne conseguirebbe un danno nei confronti degli attuali ricorrenti, commisurabile alla riduzione del trattamento pensionistico, inferiore di circa il 40% rispetto a quello goduto dai colleghi posti in regime di quiescenza con il sistema retributivo.

In via di subordine i ricorrenti chiedono di accertarsi il preteso diritto dei ricorrenti a percepire l’anticipazione del TFR secondo quanto stabilito dall’art. 2120 c.c. e condannare le amministrazioni resistenti a provvedere di conseguenza.

Con memoria difensiva depositata presso la Sezione in data 6 novembre 2015 si è costituito in giudizio l’INPS contestando quanto dedotto dai ricorrenti in quanto ritenuto “del tutto inammissibile nonché destituito di fondamento”.

In limine litis l’Istituto previdenziale eccepisce l’inammissibilità ex art. 152 u.c. disp. att. c.p.c. per non essere stato dichiarato da parte ricorrente il valore della prestazione dedotta in giudizio né quantificato l’ammontare della prestazione previdenziale controversa.

Ciò posto l’Istituto previdenziale ricostruisce il quadro normativo di riferimento a partire dalla disciplina di cui al d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, richiamando quindi il d.lgs. n. 124/1993 e la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 47/2000 oltre alle disposizioni speciali riguardanti espressamente i lavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.

Eccepisce quindi l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse attuale a ricorrere evidenziando che nella fattispecie non risulta dimostrato e dimostrabile alcun pregiudizio, né sotto il profilo dell’an né sotto il profilo del quantum, proprio perché le controparti (per loro stessa ammissione) sono attualmente in servizio e chiedono, tra l’altro, l’anticipazione del proprio trattamento di fine rapporto.

Secondo la prospettazione difensiva dell’Istituto previdenziale solo al momento del collocamento a riposo sarà possibile verificare, alla luce delle disposizioni di legge che a quell’epoca saranno in vigore, la misura del trattamento pensionistico eventualmente conseguito rispetto a quello “virtuale” che sarebbe spettato in forza di pregresse disposizioni di legge e così determinare, ove ne ricorressero i presupposti, l’eventuale variazione in peius. In tal senso su fattispecie analoga si sarebbe già pronunciata la Sez. Giur. Lazio, con la pronuncia n. 1127/2012. Sotto diverso profilo l’Istituto previdenziale rileva il difetto di propria legittimazione passiva per affermata estraneità alla fattispecie dedotta in giudizio e alle domande, anche risarcitorie, ex adverso formulate. La difesa rileva che l’INPS non è riconosciuto dal quadro normativo in materia di previdenza complementare quale soggetto che debba o possa istituire fondi di previdenza complementare; per quanto attiene al personale dei comparti Difesa e Sicurezza, rammenta l’Istituto previdenziale che trova applicazione l’art. 26, comma 20, della legge n, 448/1998 secondo il quale l’istituzione di forme di previdenza complementare deve avvenire tramite procedure di negoziazione e concertazione previste dal d.lgs. n. 195/1995 e che le stesse potranno definire la disciplina del trattamento di fine rapporto per il personale in parola, ai sensi dell’art. 2, comma da 5 a 8 della legge n. 335/1995.

Secondo la difesa dell’Istituto previdenziale, nell’inerzia delle parti (tra le quali non potrebbe ricomprendersi l’INPS), comprese le rappresentanze dei ricorrenti, lo stesso Istituto previdenziale non potrebbe autonomamente modificare meccanismi di computo delle prestazioni previdenziali normativamente stabiliti, così come non potrebbe collocare in regime di trattamento di fine rapporto il personale delle pubbliche amministrazioni e tantomeno destinare quote del trattamento di fine rapporto a fondi pensione non ancora esistenti.

L’Istituto previdenziale deduce altresì, in via di estremo subordine e nella denegata ipotesi di ritenuta inaccoglibilità delle eccezioni processuali sopra indicate, l’infondatezza nel merito delle domande proposte. Secondo la tesi difensiva nessuna responsabilità potrebbe essere attribuita all’INPS in ordine ad eventuali conseguenze pregiudizievoli che dovessero in futuro attingere i ricorrenti in quanto si tratterebbe di interventi di politica legislativa compiuti dal Legislatore e ad accordi la cui sottoscrizione vedrebbe protagoniste le Organizzazioni sindacali in rappresentanza delle categorie dei lavoratori interessati.

Anche con riguardo alle domanda proposta in via gradata e volta ad ottenere l’anticipazione del trattamento di fine rapporto la difesa dell’INPS eccepisce l’assoluta inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione della Corte dei conti, non ritenendosi rientrare detta materia nell’ambito del regime pensionistico dei dipendenti pubblici. Nel merito, inoltre, la difesa avversaria non indicherebbe neppure le date di assunzione dei singoli alle dipendenze del Dicastero neppure essendo possibile accertarsi il preteso diritto delle stesse a godere del regime del TFR, atteso che per i dipendenti assunti con contratto a tempo determinato in servizio al 30 maggio 2000 (per dipendenti assunti con contratto a tempo determinato) e con decorrenza dal 1 gennaio 2001, per il personale a tempo indeterminato, si applicherebbe il diverso regime dell’indennità di buonuscita, prevista e disciplinata dal d.p.r. n. 1032/1973.

L’Istituto previdenziale evidenzia ancora, in proposito, che comunque alcun diritto sussisterebbe in capo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni ad ottenere anticipazioni del proprio trattamento di fine rapporto e/o di fine servizio posto che l’accordo nazionale quadro del 29 luglio 1999, sottoscritto tra A.Ra.N. e le organizzazioni sindacali, all’art. 8, c. 3, disporrebbe che “Le condizioni per l’armonizzazione pubblico/privato in materia di anticipazioni saranno verificate in sede di contrattazione di comparto, nel rispetto degli equilibri di bilancio della finanza pubblica”: ogni determinazione al riguardo sarebbe quindi rimessa alla contrattazione collettiva la quale nulla disporrebbe in merito sino ad oggi, evidentemente anche per le note esigenze di contenimento della spesa pubblica. Secondo tale prospettazione l’insussistenza del diritto all’anticipazione del trattamento di fine servizio e/o di fine rapporto nel comparto pubblico sarebbe affermata altresì dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Risulterebbero inoltre del tutto inammissibili ed infondate le questioni di costituzionalità sollevate ex adverso.

La difesa dell’Istituto conclude quindi chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile ovvero respingerlo in toto.

Con memoria depositata in data 30 ottobre 2015 il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito nel giudizio con la rappresentanza dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato rilevando l’infondatezza del ricorso introduttivo e chiedendone il rigetto evidenziando, tra l’altro, che il sistema contributivo introdotto dalla legge n. 335/1995 con lo schema pro-rata (vale a dire per le anzianità contributive maturate a decorrere dal 1.1.1996 per i soggetti con anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31.12.1995 ed esteso dalla legge 214/2011, con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere dall’1.1.2012, anche ad altri soggetti), comporta la determinazione del trattamento pensionistico in ragione dei contributi versati, garantendone l’equivalenza attuariale nel periodo di percezione e garantendo altresì la tutela di valori di rango costituzionale quali l’equità intra e intergenerazionale e la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale pubblico donde la ritenuta “irrilevanza della previsione di un sistema previdenziale eventualmente integrativo della previdenza pubblica, nonché l’evidente manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata in ricorso”. Il Ministero ha quindi chiesto di dichiararsi la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata e di rigettarsi il ricorso in quanto infondato.

Con ulteriore memoria depositata presso la Sezione in data 11 novembre 2015 i ricorrenti, nel riportarsi al proprio atto introduttivo, hanno formulato ulteriori deduzioni in ordine alla ritenuta sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti a decidere la controversia, non solo con riguardo al diritto a pensione ma anche in relazione a quello relativo al preteso risarcimento del danno “per inadempimento delle obbligazioni derivanti da tale rapporto”.

In ordine al “mancato preventivo ricorso alla P.A.” la difesa dei ricorrenti evidenzia che “nel caso di specie non viene impugnato alcun provvedimento per il quale sia possibile ricorrere all’autotutela, né è in discussione un provvedimento che rivesta carattere di specialità e/o novità per il quale sia opportuna una preventiva pronuncia della P.A.”; precisa peraltro che, nel caso di specie, l’istanza sarebbe stata presentata e ricevuta dal Ministero dell’Economia in data 24 aprile 2015.

Con riguardo alla legittimazione passiva dell’INPS i ricorrenti ribadiscono che la domanda proposta in via principale è volta all’accertamento del diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico, sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare, secondo il c.d. criterio “retributivo”, con conseguenti indubbie competenze dell’INPS per la relativa liquidazione. Anche con riguardo alla domanda risarcitoria evidenzia la difesa dei ricorrenti che “se è vero che in base al combinato disposto degli artt. 1, 2 4 e 7 d.lgs. n. 195/95 le procedure aventi ad oggetto le forme pensionistiche complementari del personale della Guardia di Finanza devono concludersi con un decreto del Presidente della Repubblica…è pur vero che il ritardo nell’istituzione della previdenza complementare per il personale di polizia giova nonché arricchisce le casse dell’INPS che…dovrebbe erogare pensioni con il sistema contributivo a fronte di quello retributivo e quindi pensioni notevolmente più basse”.

In ordine alla richiesta di risarcimento del danno i ricorrenti precisano che trattasi di domanda alternativa alla richiesta principale, volta all’accertamento del diritto al calcolo della pensione con il sistema retributivo; si chiede di condannare le amministrazioni resistenti a risarcire il danno patito dai ricorrenti per la mancata colpevole ed ingiustificata attuazione dei fondi pensione e “seppur i ricorrenti sono ancora in servizio” il danno a questi ultimi sarebbe comunque provocato sin d’ora dalla mancata istituzione dei fondi pensione. Evidenziano i ricorrenti che il danno “seppur visibile e percepibile al momento della cessazione del rapporto di lavoro” sarebbe “in essere ed evidente, visto che per vent’anni i ricorrenti non hanno potuto iscriversi ad alcun fondo pensione”. Ricorrerebbe altresì una “responsabilità da ritardo, tipologia di nocumento ormai invalsa nella giurisprudenza amministrativa, anch’esso considerato sia come fonte di responsabilità contrattuale che extracontrattuale”. Il danno risarcibile sarebbe quello derivante dalla situazione di incertezza protratta oltre il termine entro il quale l’azione amministrativa doveva essere conclusa.

In via ulteriormente subordinata i ricorrenti invocano l’accertamento del preteso diritto a “percepire l’anticipazione del TFR secondo quanto stabilito dall’art. 2120 c.c. e condannare le amministrazioni resistenti a provvedere di conseguenza”; secondo la prospettazione difensiva “concedere in via straordinaria l’anticipazione del TFR, comunque denominato, darebbe la possibilità ai ricorrenti, sempre qualora non venisse accolta nessuna delle precedenti richieste, di crearsi loro stessi una previdenza complementare, in ottemperanza della legge ed in sostituzione di una P.A. gravemente inerte”.
In conclusione la difesa dei ricorrenti ribadisce la prospettata questione di costituzionalità “qualora la legge n. 335/1995 venga interpretata nel senso di ritenere applicabili i nuovi metodi di calcolo del trattamento pensionistico anche in assenza dell’attuazione della previdenza complementare”.

All’udienza in data 19 novembre 2015 l’Avv. Benito Capelluto, delegato dall’Avv. Ennio Cerio in rappresentanza dei ricorrenti e l’avv. Michela Foti in rappresentanza e difesa dell’INPS.

L’avv. Capelluto ha richiamato il ricorso insistendo per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate. In merito alle eccezioni sollevate da controparte con memoria di costituzione, ha richiamato integralmente la memoria in atti depositando n. 2 cartoline postali riguardanti la notificazione del ricorso all’INPS di Roma e al Ministero dell’Economia e Finanze c/o Avvocatura dello stato di Torino e nota d’udienza.

L’Avv. Michela FOTI, in rappresentanza dell’INPS, ha richiamato la memoria insistendo per l’accoglimento delle eccezioni preliminari e di merito. Si è opposta altresì al deposito delle note d’udienza per scadenza del termine processuale.

FINE PRIMA PARTE

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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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Rilevato in
DIRITTO

Il thema decidendum del presente giudizio verte in ordine ad una serie di distinte pretese, avanzate dai ricorrenti con l’atto introduttivo del giudizio, tutte concernenti interessi connessi all’avvio della previdenza complementare degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza.

Come noto, la riforma previdenziale di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335 ha introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31 dicembre 1995 (art. 1 commi 6 e 12); il successivo art. 2 della legge ha poi previsto la "trasformazione" per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle previsioni dell'art. 2120 cod. civ. (comma 5), demandando alla contrattazione collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell'attuazione della c.d. previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati al 31 dicembre 1995 (comma 7). Con la legge n. 214/2011 sono state ulteriormente modificate le norme in materia di calcolo del trattamento pensionistico con estensione del calcolo secondo il sistema contributivo delle anzianità maturate a decorrere dall’1.1.2012, anche con riguardo agli iscritti alle casse gestite dall’ex INPDAP di cui al comma 18 dell’art. 24 della medesima legge.

Le c.d. forme di previdenza complementare per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari sono state introdotte dal d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 per i lavoratori sia privati che pubblici (art. 2 lettera a), demandandone l'istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto pubblico, alle norme dei rispettivi ordinamenti (art. 3 comma 2); disposizioni analoghe sono state poi dettate dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 che ha riformulato la disciplina delle forme di previdenza complementare.

Con particolare riguardo al personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: art. 3) e a procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: art. 4 e per le forze armate: art. 5).

Le procedure di concertazione sono regolate dall' art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995 (come modificato dal d.lgs. 31 marzo 2000, n. 129); avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro per la semplificazione e pubblica amministrazione), con il coinvolgimento, rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato centrale di rappresentanza (COCER) interforze per le forze di polizia a ordinamento militare per le forze armate.

Dette procedure " ... hanno inizio contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi successive ...", ivi compresa la sottoscrizione dell'ipotesi di accordo sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica, dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di polizia ad ordinamento civile.

Infine, l'ipotesi di accordo economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti prospetti, esaminate le eventuali osservazioni, sono approvati dal Consiglio dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti dello schema di provvedimento, successivamente "recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali si prescinde dal parere del Consiglio di Stato".

L'art. 26 comma 20 della legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 448 ha inoltre chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del trattamento di fine rapporto e l'istituzione di forme di previdenza complementare.

L' art. 67 del d.p.r. 16 marzo 1999, n. 254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell'adesione ai fondi pensione):

"a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare ... anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare".

Individuato così in estrema sintesi il quadro normativo di base riguardante la fattispecie vanno in primo luogo esaminate le questioni preliminari sollevate dalla difesa dell’INPS in relazione alla domanda avanzata in via principale dai ricorrenti e volta all’accertamento del preteso “diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico, sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare, secondo il c.d. criterio “retributivo”.

In limine litis va peraltro rilevata l’inammissibilità del deposito da parte dei ricorrenti di note di udienza, alle quali si è opposta la difesa dell’INPS, in quanto tardive e non autorizzate.

Nulla quaestio- relativamente alla richiamata domanda formulata in via principale- circa la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti a decidere sulla pretesa pensionistica tenuto conto dell’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che riconosce al Giudice contabile, ai sensi degli artt. 13 e 62 del R.D. n. 1214/1934, una giurisdizione avente “…carattere esclusivo, essendo affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, sicchè in essa ricadono tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca l’elemento identificativo del petitum sostanziale, vale a dire tutte le controversie riguardanti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti” (ex multis Cass. Civ. Sez. Un. n. 573/2003).

Va peraltro rilevata, in accoglimento dell’eccezione proposta dall’Istituto previdenziale, l’inammissibilità per un diverso profilo – ancora preliminare- della stessa domanda, dovendo rilevarsi la carenza di interesse attuale ad agire in capo ai ricorrenti.

Alla stregua del principio generale dettato dall’art. 100 c.p.c.., applicabile anche al processo contabile, costituisce condizione per l'ammissibilità dell’azione la sussistenza dell'interesse ad agire, da intendersi non come idoneità astratta dell'azione alla corretta soluzione di una questione giuridica ma, più specificamente, come interesse proprio del ricorrente, sia pure talora strumentale, al conseguimento di una utilità o di un vantaggio concreti ed attuali, direttamente conseguibili mediante il giudizio (Corte dei Conti, Sez. I App., n. 1082/2014; Corte dei Conti, I Sez. App., n. 1207/2014; Corte dei conti Sez. Giur. Toscana, n. 393/2012; Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio, n. 14/2013; Corte dei conti, sez. Marche, n. 43/2012).

In giurisprudenza si è costantemente affermato che la tutela giurisdizionale riguarda diritti e che, in tale prospettiva, i fatti possono essere accertati dal Giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio (art. 2697 cod. civ.) e non di per sè, per gli effetti possibili e futuri; l'interesse ad agire deve quindi essere concreto ed attuale, cioè deve consistere nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, sì che resta escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione di una questione meramente futura ed ipotetica (Cass., Sez. 1, sent. 7786 del 29.03.2007, citando Cass. Sez. Un. 15.1.1996, n. 264 e Cass. 18.4.2002, n. 5635; cfr. anche Cass. civ. 23 maggio 2003 n. 8200).

La giurisprudenza contabile ha avuto modo di precisare, in ordine al profilo dell’interesse a ricorrere, che “E’ evidente che non può il giudice soddisfare una pretesa preventiva, al fine, non nascosto, di evitare di incorrere in peggioramenti della propria posizione pensionistica, come il legislatore va attuando, nel (vano) inseguimento degli equilibri finanziari posti in pericolo da elargizioni pensionistiche non più sostenibili, in relazione ai diritti riconosciuti in passato forse con troppa generosità (certo togliendo alle generazioni successive, quanto dato, appunto troppo generosamente ai padri – e alle madri) e al rapido allungamento delle speranze di vita, in pochi decenni aumentate di circa vent’anni” (Corte dei Conti, Sez. I App., n. 1082/2014).

Nella fattispecie, considerati i contenuti propri della giurisdizione pensionistica attribuita a questo Giudice, appare evidente che i ricorrenti hanno agito in questa sede per ottenere una declaratoria di mero principio in ordine alla liquidabilità del loro preteso futuro trattamento di quiescenza secondo il “sistema di calcolo retributivo”, in relazione a una situazione giuridica del tutto avulsa dall'esercizio concreto ed attuale del proprio diritto a pensione, sia nell'an che nel quantum. Invero, stando agli atti, i ricorrenti sono tutti attualmente in servizio e non risultano aver proposto in via amministrativa domanda di riconoscimento della pensione chiedendone ad oggi la liquidazione secondo il criterio di calcolo retributivo.

Gli stessi si sono limitati a produrre, unitamente alla memoria depositata in data 11 novembre 2015, l’atto di “intimazione e messa in mora” indirizzato al Ministero per la Pubblica Amministrazione e al Ministero dell’Economia e volto diffidare le stesse amministrazioni all’avvio del procedimento di concertazione, richiamando il disposto degli artt. 2 e 2 bis dalla l. n. 241/1990 e s.m.i..

I ricorrenti sono infatti tutti appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza e, secondo quanto riferito nell’atto introduttivo del giudizio, in parte sono “entrati in amministrazione dopo il 31.12.1995, ed altri alla medesima data non avevano raggiunto i 18 anni di servizio”; pertanto, secondo la stessa prospettazione attorea, “si vedranno” nel momento futuro in cui matureranno i requisiti pensionistici, “calcolare l’ordinario trattamento di quiescenza con il criterio contributivo oppure con quello misto”.

Trattandosi di dipendenti per i quali non risultano, allo stato – per quanto dagli stessi riferito- maturati i requisiti previsti dalla legge, la pensione è un evento del tutto ipotetico ed incerto e, comunque, non imminente, sia in punto di requisiti di accesso sia in punto di criteri di liquidazione (che saranno quelli del momento di effettivo pensionamento) (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur. Abruzzo, n. 172/2011, confermata da Corte dei conti, Sez. I App., n. 1034/2014).

Come chiarito dalla giurisprudenza contabile, in punto di interesse a ricorrere, “allorché gli interessati verranno via via a far valere in concreto l'invocato diritto … il regime previdenziale potrebbe essere rivisto ben più d'una volta, sicché l'odierna pronuncia, positiva o negativa che sia, resterebbe inutiliter data; né può darsi per assodato che i ricorrenti completeranno effettivamente l'intera carriera lavorativa nell'amministrazione di appartenenza, per cui la declaratoria qui invocata potrebbe, in concreto, non essere mai concretamente utilizzata a fini di pensione (Corte dei conti, Sez. Giur. Abruzzo, n. 172/2011).

Ne discende, in definitiva, che non è in discussione dinanzi a questo Giudice il diritto concreto ed attuale ad accedere alla pensione, né la misura della pensione stessa, e che l’invocato “diritto dei ricorrenti a vedersi calcolare il trattamento pensionistico” secondo il sistema retributivo “sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare” non potrà che essere valutato in sede giudiziale solo se e al momento in cui gli stessi avranno titolo a pensione, ad esempio in occasione della domanda di pensione o in occasione della liquidazione della pensione stessa (ove la misura della pensione liquidata dall'amministrazione non corrisponda alle pretese attoree).

Del resto, come ricordato dalla richiamata giurisprudenza, alla quale si fa rinvio, va ricordato che “la stessa normativa pensionistica applicabile dinanzi a questa Corte non solo prevede che i ricorsi in materia di pensioni “non sono ammessi”, tra l’altro, quando “si propongano domande sulle quali non siasi provveduto in sede amministrativa” (cioè quando non vi sia un provvedimento di pensione o un diniego di provvedimento; cfr. art. 71, lettera b, del citato Regolamento di procedura n. 1038 del 1933), ma stabilisce anche che, ad esempio, "in materia di riscatto di servizi il ricorso è ammesso soltanto contro il decreto concernente la liquidazione del trattamento di quiescenza” (art. 62 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214). La normativa intende, in tal modo, chiaramente evitare che si discutano in sede giudiziale questioni di computo di un servizio a prescindere da un concreto provvedimento di concessione, diniego o liquidazione della pensione che non valorizzi correttamente il periodo in contestazione (Corte dei conti, Sez. Giur. Abruzzo, n. 172/2011, confermata da Corte dei conti, Sez. I App., n. 1034/2014).

Il Giudice contabile ha inoltre avuto occasione di pronunciarsi su fattispecie del tutto assimilabile alla presente affermando espressamente –in linea con l’orientamento sopra descritto- che “il ricorso si appalesa inammissibile. Infatti nella sostanza gli interessati tuttora in servizio, e senza che abbiano avanzato apposita domanda di pensionamento, chiedono una pronuncia sulla determinazione dell’importo ritenuto spettante del loro trattamento pensionistico. Importo e trattamento che peraltro non possono essere valutati in astratto ma solo con riferimento alla disciplina vigente all’atto della cessazione dal servizio, da cui solo può derivare una valutazione circa l’esistenza in concreto di un diritto del ricorrente alla pensione nonché alla sua quantificazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio, n. 1127 in data 7 novembre 2012).

In tal senso, come sopra accennato, è del resto consolidata la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che ha chiarito come per configurare l'interesse ad agire non è sufficiente richiedere il mero accertamento di una “situazione giuridica”, essendo anche necessario che l'accertamento in diritto sia pregiudiziale alla richiesta di un concreto provvedimento, idoneo a realizzare l'interesse perseguito dalla parte, in quanto il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri per colui che agisce, ne' sono ammissibili mere questioni di interpretazione di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo persegua (così Cass. sez. 3, sent. 28405 del 28.11.2008, richiamando Cass. civ. Sez. Un. 20 dicembre 2006 n. 27187; Cass. civ. 22 agosto 2007 n. 17877 anche richiamate da Corte dei conti, Sez. Abruzzo, n. 172/2011).

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, restando così assorbita ogni altra questione (in forza del criterio della ragione più liquida -cfr. Cass., Sez. VI, n. 12002/2014- anche in relazione alla prospettata violazione dell’art. 152 u.c. disp. att. c.p.c.).

Alla luce dell’insussistenza di una condizione dell’azione deve ritenersi altresì inammissibile per difetto di rilevanza attuale nel presente giudizio la questione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti con riguardo all’art. 1, commi 1, 6, 12, 13, dell’art. 2, commi 5, 6 e 7 e art. 5 della l. n. 335/1995, artt. 2 e 3, comma 2, de d.lgs. n. 124/1993 e dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 252/2005, in relazione agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione: la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che il pregiudizio che deriva dall’applicazione delle disposizioni censurate attraverso la proposizione di questioni di costituzionalità deve essere attuale ed ha ribadito la manifesta inammissibilità delle questioni in cui la rilevanza è meramente ipotetica, eventuale o prematura (ex plurimis Corte Cost. ord. n. 39/2009; ord. n. 77/2009).

Si aggiunga che, in forza della richiamata giurisprudenza contabile, può comunque ritenersi “superat(a)…l’eccezione di costituzionalità pure sollevata, comunque manifestamente infondata, stante la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha riconosciuto spettante al Legislatore il potere di determinare il trattamento pensionistico da riconoscere ai pubblici dipendenti, variandone la consistenza e le modalità in relazione alle circostanze temporali senza che da ciò derivi una discriminazione tra pensionati costituzionalmente rilevante” (Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio, n. 1127 in data 7 novembre 2012). Con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 38, c. 2 Cost., la giurisprudenza costituzionale è del resto pienamente consolidata nello statuire la piena discrezionalità del legislatore nel dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (Corte Cost., n. 30/2004); per quanto concerne la dedotta ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento tra la posizione dei ricorrenti e la situazione dei dipendenti privati (per i quali sarebbero previste e disciplinate modalità di accesso ai “Fondi pensione”) nonchè, tra i dipendenti pubblici, nei confronti di coloro a favore dei quali i fondi sono stati attivati, basti rilevare che tale preteso effetto viene riferito dagli stessi ricorrenti alla mancata piena attuazione delle norme in relazione alle quali i medesimi lamentano il ritardato adempimento, non venendo in rilievo – per ciò stesso- profili di incostituzionalità discendenti dalle medesime disposizioni, in assenza- come rilevato dalla difesa dell’INPS- di tertium comparationis nella fattispecie.

Esaminata la domanda proposta in via principale va ora affrontata la distinta domanda, avanzata dai ricorrenti in via subordinata, volta al risarcimento del danno asseritamente subito dagli stessi in relazione al mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e previdenza complementare.

Ad avviso di questo Giudice, per ragioni analoghe a quelle prospettate in precedenza, il dedotto danno asseritamente discendente dalla mancata istituzione dei fondi pensione appare del tutto privo dei caratteri di certezza ed attualità non sussistendo, in pendenza del rapporto di lavoro e in assenza di maturazione dei requisiti per il riconoscimento del diritto a pensione in capo ai ricorrenti, alcuna lesione che possa configurare un pregiudizio attuale per inadempimento di obbligazioni o prestazioni pensionistiche, ricadente nella giurisdizione del Giudice contabile, ai sensi degli artt. 13 e 62 del R.D. n. 1214/1934, neppure potendo ipotizzarsi – allo stato- quale sarà la disciplina concretamente applicabile ai ricorrenti al momento- futuro e incerto- di effettivo accesso al beneficio pensionistico.

La domanda risarcitoria risulta pertanto anch’essa inammissibile per carenza di interesse attuale e concreto ad agire non potendo configurarsi allo stato– in assenza come detto delle condizioni per l’instaurazione del rapporto pensionistico - qualsivoglia pregiudizio addebitabile all’ente obbligato da cui possa scaturire un profilo di danno ricadente nell’ambito della giurisdizione del Giudice contabile.

Nella memoria depositata in data 11 novembre 2015 i ricorrenti, integrando i contenuti del ricorso introduttivo del giudizio, hanno peraltro ampliato la domanda altresì rilevando che ricorrerebbe, nella fattispecie, “anche la c.d. responsabilità da ritardo, tipologia di nocumento ormai invalsa nella giurisprudenza amministrativa, anch’esso considerato sia come fonte di responsabilità contrattuale che extracontrattuale”: la pretesa dei ricorrenti sarebbe quindi motivata anche con riguardo ad un preteso ritardo procedimentale di oltre vent’anni, asseritamente maturato dalla P.A. per l’istituzione dei fondi pensione.

Va sul punto richiamato il quadro di riferimento in base al quale – come sopra accennato- ai sensi dell’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 124/1993, per le modalità di istituzione delle forme pensionistiche complementari, per il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, si fa rinvio alla contrattazione collettiva o, per quanto concerne il personale non contrattualizzato, alle normative regolanti i rispettivi ordinamenti.

Riconoscono gli stessi ricorrenti che il successivo “d.ls. 252/2005 reitera pedissequamente la disposizione di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 124/1993 (stabilendo che per il personale privatizzato le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante contratti collettivi mentre – per i restanti dipendenti pubblici- le stesse possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti, o- in mancanza di queste medianti accordi tra i dipendenti stessi, promossi da loro Associazioni)”.

Per quanto concerne i comparti Difesa e Sicurezza, come accennato in precedenza, l’art. 26, comma 20, della l. n. 448/1998 prevede che l’istituzione di forme di previdenza complementare deve avvenire tramite le procedure di negoziazione e concertazione di cui al d.lgs. n. 195/1995 e che le stesse potranno definire la disciplina del trattamento di fine rapporto per il personale in parola, ai sensi dell’art. 2, commi 5-8, della l. n. 335/1995: la norma espressamente dispone che “Ai fini dell'armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell'istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995”.

Per quanto espressamente riconosciuto dalla difesa dei ricorrenti “ai sensi del combinato disposto degli artt. 1, 2, e 7 d.lgs. n. 195/1995 le procedure aventi ad oggetto il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari del personale della Guardia di Finanza devono concludersi con un decreto del Presidente della Repubblica emanato a seguito di concertazione tra i Ministri (o i sottosegretari da questi delegati) della Funzione Pubblica, dell’Interno, del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, della Difesa, delle Finanze, della Giustizia e delle Politiche Agricole e Forestali. Le suddette procedure devono essere avviate dal Ministro della Funzione Pubblica e devono concludersi con un apposito “Schema di Provvedimento”. Il Consiglio dei Ministri, entro 15 giorni da tale sottoscrizione, approva il predetto schema e lo sottopone alla firma del Presidente della Repubblica” (cfr. ricorso introduttivo).

Come chiaramente evincibile dalla disciplina richiamata la questione di cui trattasi concerne, secondo quanto correttamente evidenziato dalla difesa dell’INPS, interventi di politica legislativa che coinvolgono anche, in parte – quanto alla disciplina attuativa- le stesse Organizzazioni rappresentative delle categorie di dipendenti interessati.

In particolare, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 195/1995 è espressamente previsto che nelle delegazioni che prendono parte alle procedure di ”concertazione” di cui al comma 1, lettera b), e al comma 2 dello stesso decreto “le rappresentanze militari partecipano con rappresentanti di ciascuna sezione del Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), in modo da consentire la rappresentanza di tutte le categorie interessate”; ai sensi del successivo art. 7, comma 1 del d.lgs. n. 195/1995 “…Il COCER Interforze può presentare nel termine predetto, anche separatamente per sezioni Carabinieri, Guardia di finanza e Forze armate, le relative proposte e richieste al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro della difesa e, per il Corpo della Guardia di finanza, al Ministro delle finanze, per il tramite dello stato maggiore della Difesa o del Comando generale corrispondente…”.

Le predette procedure non paiono, quindi, potersi far ricadere tout court tra i procedimenti amministrativi disciplinati dalla legge n. 241/1990 e s.m.i. né, per l’effetto, il dedotto ritardo nell’attivazione delle forme pensionistiche complementari in favore dei ricorrenti può ritenersi correttamente inquadrabile ad oggi– come paiono invocare i ricorrenti- nell’ambito dell’istituto del ritardo procedimentale di cui all’art. 2 bis della richiamata legge dovendo piuttosto i dedotti profili ricondursi astrattamente nell’ambito di sfere decisionali non solo di alta amministrazione bensì di rilievo politico, alle quali concorrono anche le stesse rappresentanze delle categorie interessate.

L'assenza di una posizione soggettiva attualmente tutelabile attraverso lo strumento del ritardo procedimentale, è resa quindi evidente, nel caso in esame, dalla ”natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego” (cfr., al riguardo, Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351; T.A.R. Lazio, II, n. 7715/2013).

La giurisprudenza amministrativa ha altresì avuto modo di chiarire in proposito che “i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse "finale", ovvero della posizione soggettiva destinata a sorgere per effetto di tale concertazione, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti "negoziali" in oggetto. Tale interesse (assimilabile agli interessi legittimi procedimentali), appartiene, semmai, esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d'interessi collettivi chiamati a partecipare ai predetti procedimenti. Per quanto occorrer possa si evidenzia ancora, che, se anche le amministrazioni competenti si attivassero, l'effettivo avvio del procedimento di concertazione, preliminare all'adozione dello schema di atto da emanarsi nella forma di d.P.R., non potrebbe che dipendere anche da una concorrente e convergente volontà delle organizzazione sindacali summenzionate (quest'ultima, ovviamente, di natura squisitamente negoziale). E' pertanto evidente che, allo stato, il ricorrente non è titolare né di un diritto soggettivo, né di un interesse legittimo, potendo semmai riconoscersi un interesse di tal fatta ( di carattere strumentale) solo in capo alle organizzazioni sindacali legittimate a partecipare alle procedure di contrattazione collettiva” (T.A.R. Lazio, II, n. 7715/2013).

Va altresì rilevato, quanto alla fattispecie in esame, che il soggetto chiamato ad avviare le procedure di concertazione -individuato dall’art. 7, comma 1 del d.lgs. n. 195/1995 nel Ministro della Funzione Pubblica (ora Ministro della P.A.)- neppure risulta evocato nel presente giudizio non risultando in tale preliminare adempimento coinvolti né l’Istituto previdenziale né il Ministero dell’Economia qui convenuti.

Su tali premesse, anche qualora si desse accesso alla qualificazione del contestato danno quale conseguente a ritardo procedimentale, la domanda proposta in via subordinata dai ricorrenti dovrebbe comunque ritenersi inammissibile.

Si aggiunga che il danno lamentato dai ricorrenti neppure può ritenersi attenere al rapporto pensionistico (ovvero ad inadempienze nel dare attuazione all’obbligazione pensionistica), posto che l’asserito pregiudizio viene ricollegato dai ricorrenti ad un evento del tutto distinto dall’esecuzione del predetto rapporto, individuato nell’affermato ritardo nell’attivazione delle procedure complesse finalizzate alla costituzione di forme pensionistiche complementari in favore dei ricorrenti.

Quindi la domanda non è attratta automaticamente nella giurisdizione della Corte dei conti che, come detto, può riguardare solo le pretese strettamente connesse all’obbligazione pensionistica (ex plurimis Cass. SS. UU. n. 2298/2008): l’ordinamento ora è esplicito nella delimitazione delle sfere di giurisdizione attribuendo al G.A. la cognizione in ordine ad ogni pretesa concernente il “danno da ritardo”.

In materia opera, infatti, l’articolo 2-bis della legge 241/1990, come introdotto dall’art. 7, comma 1, lettera c, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (c.d. legge di semplificazione) prevede che "1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

L’articolo 133 del d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010 (Materie di giurisdizione esclusiva) del codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, prevede inoltre che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di : 1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (…)”

In ordine alla predetta disposizione la giurisprudenza contabile ha avuto modo di affermare che “la Corte dei conti ha la giurisdizione in materia di pensioni, ivi compresi gli accessori, cioè gli eventuali interessi e la rivalutazione monetaria dovuti come conseguenza del ritardato pagamento del trattamento pensionistico, ma non in materia di eventuali danni derivanti dal ritardo con cui l’amministrazione ha provveduto sulla domanda amministrativa. In altri termini, non rientra nella giurisdizione della Corte dei conti decidere sull’eventuale risarcimento di danno per ritardi nei procedimenti amministrativi o giurisdizionali relativi a trattamenti pensionistici…” (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Siciliana, n.848/2014. In tal senso si sono pronunciate anche le Sezioni d’Appello: ex plurimis Corte dei conti, Sez. I, App. n. 226/2013; Corte dei conti, Sez. I, App., n. 159/2011; Corte dei conti, Sez. III, n. 203/2013).

Su tali basi deve concludersi conseguentemente per l’inammissibilità, per i distinti profili sopra esaminati, della domanda risarcitoria.

Analogamente, deve ritenersi inammissibile l’ulteriore domanda proposta dai ricorrenti e volta all’accertamento del preteso diritto a percepire l’anticipazione del TFR secondo quanto stabilito dall’art. 2120 c.c. ovvero alla liquidazione di differenze di rendimento tra i fondi pensionistici e condannare le amministrazioni resistenti a provvedere di conseguenza.

Prescindendo da ogni considerazione di merito, in accoglimento dell’eccezione espressamente proposta sul punto dalla difesa dell’Istituto previdenziale, la domanda si appalesa inammissibile non rientrando detta materia, notoriamente, nell’ambito del regime pensionistico e risultando pertanto avulsa dalla giurisdizione del Giudice contabile.

Il trattamento di fine servizio/rapporto ovvero la buonuscita costituisce una retribuzione differita rispetto alla quale ogni accertamento concernente la sua spettanza (in cui è evidentemente da ricomprendersi anche la sua anticipazione – invocata nella fattispecie-) esorbita dall’ambito di giurisdizione contabile, delimitato dall'art. 62 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 ai ricorsi proposti contro i provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione a carico totale o parziale dello Stato e su tutti gli altri ricorsi in materia di pensione, che leggi speciali attribuiscono al giudice contabile.

Nel caso di specie, come visto, il legislatore ha disegnato la previdenza complementare del personale rimasto in regime di diritto pubblico (nell’ambito del quale sono ricompresi i dipendenti della Guardia di Finanza) come attinente al rapporto di impiego. Infatti, secondo l'art. 3, comma 1, lett. b, del D.Lgs. n. 195 del 1995, formano oggetto di contrattazione, tra gli altri, "b) il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, ai sensi dell'articolo 26, comma 20, della L. 23 dicembre 1998, n. 448".

Va rilevata, conseguentemente, l’inammissibilità della domanda volta al percepimento dell’anticipazione del TFR “secondo quanto stabilito dall’art. 2120 c.c.”, trattandosi di materia devoluta alla giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur. Toscana, n. 393/2012; Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio, n. 14/2013; Corte dei conti, Sez. Giur. Veneto, n. 9/2013; Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, n. 12/2015) da individuarsi, nel caso di specie, nel Giudice Amministrativo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 c. 1 e 63 c. 4 del d.lgs. n. 165/2001. In forza di tale ultima disposizione restano infatti “…devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo … in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi”.

Il ricorso, per le ragioni descritte in relazione a ciascuna delle domande avanzate dai ricorrenti, va quindi dichiarato nel suo complesso inammissibile.

Quanto alla regolamentazione delle spese, si osserva che risulta applicabile, ratione temporis, alla fattispecie, la modificazione dell’art. 92 c.p.c. introdotta dall’art. 13 d.l. n. 132 in data 12.9.2014, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162; su tali basi, considerata la peculiarità e novità delle questioni trattate, devono ritenersi sussistere i presupposti per la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sez. Giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando
dichiara il ricorso in epigrafe inammissibile.

Spese di giudizio compensate.

Ai sensi dell’art. 429 c.p.c. fissa il termine di sessanta giorni per il deposito della motivazione.
Così deciso in Torino il 19 novembre 2015.

Il GIUDICE
(F.to dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta)


Depositata in Segreteria il 18 Gennaio 2016


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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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La Corte dei Conti del Friuli V.G., dichiara inammissibile.
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per “vedersi calcolare il trattamento di pensione – sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare – secondo il sistema c.d. “retributivo”.

previdenza complementare (c.d. secondo pilastro)”.

1) - A ben vedere, tuttavia, tale atto, sottoscritto dall’avv. Ennio Cerio nell’interesse del sig. A… e di altri colleghi in servizio presso la Guardia di Finanza, contiene una mera intimazione ad “avviare o riavviare” le procedure aventi ad oggetto il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari. In realtà, non risulta allegata, da parte del ricorrente, alcuna domanda, indirizzata alle Amministrazioni interessate, ai fini dell’applicazione, sul futuro trattamento di pensione, dei criteri di calcolo previsti dal sistema retributivo.

Il tutto potete leggerlo qui sotto.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 106 16/12/2015
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 106 2015 PENSIONI 16/12/2015



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13721 del Registro di segreteria, promosso ad istanza di G. A., rappresentato e difeso dall’avv. Ennio Cerio, con domicilio eletto in Campobasso alla Via Mazzini n. 101, giusta mandato in calce al ricorso introduttivo del giudizio, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, con domicilio eletto presso la sede della stessa, in Trieste alla Piazza Dalmazia n. 3, nonché dell’I.N.P.S., ex Gestione I.N.P.D.A.P., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Iero, giusta procura ad lites rilasciata con atto del notaio Paolo Castellini in Roma del 21.8.2015, rep. n. 80974, rog. n. 21569, con domicilio eletto presso la Direzione Provinciale I.N.P.S. di Trieste, Via Sant’Anastasio n. 5;

Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2015, con l’assistenza del Segretario, dott.ssa Anna De Angelis, uditi l’avv. Luca Iero per l’I.N.P.S. e l’avv. Guglielmo Guglielmi dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato;

Visti gli atti e i documenti;

Considerato in
FATTO

Con il ricorso in epigrafe, il sig. G. A. ha convenuto in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’I.N.P.S. – ex Gestione I.N.P.D.A.P, per “vedersi calcolare il trattamento di pensione – sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare – secondo il sistema c.d. “retributivo”, previa eventuale dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 1, commi 1,6,12,12, dell’art. 2, commi 5,6 e 7 e art. 5 della l. n. 335/1995, degli artt. 2 e 3, comma 2, del D.lgs. n. 124/1993 e dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 252/2005, in relazione agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione; con la conseguente condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore e dell’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante p.t., ognuno per le rispettive competenze, ad adottare il metodo di calcolo della pensione del ricorrente secondo il sistema retributivo vigente ante-riforma legge n. 335/1995; nonché a risarcire i danni arrecati al medesimo in conseguenza del mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e previdenza complementare (c.d. secondo pilastro)”.

Con successiva memoria difensiva integrativa, il patrono del ricorrente ha argomentato in ordine alla provvista di giurisdizione della Corte dei conti, richiamando non solo i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ma anche le numerose decisioni con le quali il Giudice Amministrativo, pronunciandosi su questioni analoghe a quella in esame, ha declinato la propria giurisdizione riconoscendo quella del Giudice contabile. Sotto diverso profilo il nominato patrocinio ha evidenziato come nella controversia in esame, avente ad oggetto un fatto notorio, non si renda necessaria la pronuncia della P.A. su un preventivo ricorso azionato in via amministrativa.

Quanto alla legittimazione passiva dell’I.N.P.S., la difesa del ricorrente ha evidenziato come la stessa trovi fondamento in una domanda giudiziaria diretta, in via principale, a vedersi riconoscere il diritto al calcolo del futuro trattamento pensionistico, sino all’attuazione della previdenza complementare , sulla base del criterio “retributivo”. Con riferimento, invece, alla domanda di risarcimento del danno, la difesa del ricorrente ha chiarito come tale pretesa, formulata in relazione al ritardo della P.A. nell’istituzione dei fondi pensione, sia subordinata al mancato accoglimento della richiesta principale di applicazione del sistema retributivo nel calcolo del futuro trattamento di pensione.

L’avv. Cerio ha inoltre argomentato in ordine alle ulteriori, subordinate richieste di pagamento della quota di rendimento che il ricorrente avrebbe maturato nel caso in cui fosse stato possibile aderire ai fondi pensione ed alla domanda di anticipazione del T.F.R.. Da ultimo, ha illustrato i motivi posti a fondamento della prospettata questione di illegittimità costituzionale della legge n. 335/1995, sottolineando che il mancato accesso, per alcune categorie di lavoratori, alla previdenza complementare deve ritenersi in contrasto con i principi affermati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. In ragione di tali premesse, la difesa del convenuto ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

L’I.N.P.S., ritualmente costituitosi in giudizio, ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 71, lett. b), del R.D. n. 1038/1933, per carenza della previa domanda in via amministrativa. Sempre in via preliminare ha eccepito la carenza di interesse ad agire del ricorrente, osservando come la mancanza dei requisiti richiesti per l’accesso alla pensione faccia escludere, in capo al ricorrente, l’ interesse attuale e concreto ad agire per il riconoscimento di un sistema di calcolo della pensione diverso rispetto a quello previsto dalla legge n. 335/1995.

Il ricorso, inoltre, andrebbe ritenuto nullo o inammissibile per indeterminatezza del petitum, nella parte relativa alla richiesta di pagamento della quota di rendimento che l’interessato avrebbe conseguito ove fosse intervenuta l’istituzione dei fondi pensione. In ogni caso, per tale domanda, così come per quella afferente l’accertamento del diritto a conseguire l’anticipazione del T.F.R., andrebbe riconosciuto il difetto di giurisdizione del Giudice adito in favore del competente T.A.R..

Nel merito l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza del ricorso, sottolineando la manifesta infondatezza e l’irrilevanza delle dedotte questioni di legittimità costituzionale. Prive di fondamento giuridico sarebbero le censure mosse alle disposizioni relative al sistema di calcolo delle pensioni, mentre quelle afferenti alla mancata attuazione della previdenza complementare , oltre a non riguardare la sfera di competenza dell’I.N.P.S., non sarebbero tali da far dubitare della legittimità costituzionale delle norme di riferimento.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno formulata dal ricorrente, l’Ente previdenziale, nel rilevare come la stessa non risulti in alcun modo provata, ha sottolineato la propria completa estraneità alla procedura di attivazione della previdenza complementare , sicchè nessuna responsabilità potrebbe essere addossata al convenuto Istituto.

Costituitosi in giudizio con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha eccepito, in via preliminare, l’improponibilità, per carenza di interesse, delle domande proposte dal ricorrente in via subordinata ed alternativa: l’una diretta ad ottenere l’accertamento del diritto al calcolo della pensione secondo il cd. metodo retributivo, e l’altra, proposta in via subordinata, intesa a conseguire il risarcimento del danno asseritamente subito.

In particolare la difesa erariale, nel rilevare come non sia intervenuto alcun provvedimento di pensione idoneo a determinare una lesione diretta ed attuale della posizione giuridica soggettiva del ricorrente, ha eccepito, in via preliminare, l’improcedibilità del ricorso, ex art. 71, lett. b), del R.D. n. 1038/1933 per la mancanza di una previa istanza diretta a vedersi applicare, ai fini del calcolo della pensione e fino all’attuazione della disciplina del “secondo pilastro”, le regole del sistema retributivo.

Nel merito, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato ha contestato la fondatezza del ricorso, sottolineando come l’Amministrazione non possa disapplicare una legge vigente. Parimenti infondate sarebbero la richiesta di risarcimento danni in assenza di un comportamento, quanto meno colposo, imputabile all’Amministrazione convenuta, nonché le ulteriori domande proposte in via gradatamente subordinata.

Con note di udienza depositate in data 11.12.2015, la difesa del ricorrente, richiamando il contenuto delle precedenti difese, ha osservato come su una questione analoga, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Lombardia abbia declinato la propria giurisdizione in favore di quella del Giudice Amministrativo, evidenziando, nel contempo, come in numerose pronunce, i Tribunali Amministrativi Regionali abbiano declinato la propria giurisdizione in favore di quella della Corte dei conti. In ragione di tali premesse il nominato patrocinio ha chiesto che questo Giudice sollevi d’ufficio il regolamento di giurisdizione al fine di conseguire una pronuncia che faccia definitiva chiarezza sul punto.

All’udienza del 16 dicembre 2015, l’avv. Iero ha ribadito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire, insistendo, altresì, per il difetto di giurisdizione del Giudice adito; l’avv. Guglielmo Guglielmi si è riportato alle difese rassegnate in atti, associandosi all’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’I.N.P.S. e rilevando come anche per la domanda di risarcimento del danno non sia ravvisabile la giurisdizione del Giudice adito; da ultimo ha rimarcato l’infondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale. La causa è stata quindi decisa, mediante lettura del dispositivo in udienza, sulla base delle seguenti ragioni in

DIRITTO

In via pregiudiziale va dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti sulla domanda del ricorrente diretta a vedersi applicare, ai fini del calcolo del trattamento di pensione e sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare , le regole del sistema retributivo. In proposito occorre rilevare come il petitum sostanziale della domanda - elemento decisivo ai fini del riparto della giurisdizione -, attenga alla materia pensionistica devoluta alla cognizione della Corte dei conti, la quale, com’è noto, ricomprende tutte le controversie relative alla sussistenza del diritto, alla misura ed alla decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti (cfr. Cass. S.U. n. 1149/2000). Per quanto concerne, invece, la giurisdizione sulle domande formulate dal ricorrente in via subordinata, osserva questo Giudice come l’esame della relativa questione, sia sotto il profilo dell’interesse concreto ed attuale ad una pronuncia giudiziale, che dell’ economia processuale, non possa che ritenersi logicamente e giuridicamente condizionato dalla previa delibazione dei profili relativi alla fondatezza della domanda principale.

Passando, quindi, all’ eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalle Amministrazioni resistenti con riferimento al mancato esperimento della fase amministrativa, ne va rilevata la fondatezza.

L’art. 71 lett. b) del R.D. n. 1038 del 1933 prevede, infatti, che i ricorsi in materia di pensioni, assegni o indennità non sono ammessi “se si propongono domande sulle quali non si sia provveduto in via amministrativa”. Tale norma, per orientamenti giurisprudenziali consolidati, costituisce non solo uno strumento di economia processuale che impone, alla parte che intenda promuovere un giudizio, l’onere di attivarsi prioritariamente in sede amministrativa, ma anche un mezzo di garanzia teso ad evitare che l’Amministrazione sia convenuta in giudizio senza che ve ne sia necessità in quanto la pretesa potrebbe trovare accoglimento in via amministrativa (C.d.C., Sez. III n. 287/2013, id. Sez. I, n. 121/2007 e 95/2007).

Il preventivo esperimento della fase amministrativa va considerato, in definitiva, un “presupposto processuale e, pertanto, deve sussistere già alla data della proposizione del ricorso, mentre, di converso, deve escludersi che possa considerarsi alla stregua di una condizione dell’azione, sicchè se ne possa ammettere la sopravvenienza in corso di causa” (così: C.d.C., Sez. Puglia n. 955/2006; vd., anche, C.d.C., Sez. III n. 137/2013; id. Sez. III n. 218/2002; id. Sez. Lazio n. 1608/2011; id. Sez. Veneto n. 138/2008; id. Sez. Lombardia n. 263/2004; id. Sez. Molise n. 43/2004; id. Sez. Abruzzo n. 13/2004; id. Sez. III n. 218/2002).

Quanto all’argomento difensivo secondo cui, nelle controversie aventi ad oggetto una situazione notoria, non sarebbe necessario il preventivo esperimento della fase amministrativa, va ribadita la vincolatività del presupposto richiesto dall’art. 71, lett. b) del R.D. n. 1038/1933 ai fini della valida instaurazione del giudizio pensionistico. In proposito giova ricordare che in una fattispecie in cui la difesa del ricorrente, per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle prospettate nell’odierno giudizio, contestava la necessità della previa domanda amministrativa, la Sezione I di Appello ha osservato come la “notorietà” della posizione dell’Amministrazione non possa “portare ad ignorare e/o superare le disposizioni normative che delimitano l’ambito di ammissibilità dei ricorsi in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei conti” (C.d.C., Sez. I, n. 375/2007).

Ribadita, dunque, la contrarietà alla lettera ed alla ratio dell’art. 71, lett. b) del R.D. n. 1038/1933, di interpretazioni comportanti una sostanziale disapplicazione del dettato normativo, va osservato come nella fattispecie in esame la difesa del ricorrente abbia allegato, alla memoria difensiva integrativa, un “atto di intimazione e messa in mora” indirizzato al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ed al Ministro dell’Economia e delle Finanze.

A ben vedere, tuttavia, tale atto, sottoscritto dall’avv. Ennio Cerio nell’interesse del sig. A… e di altri colleghi in servizio presso la Guardia di Finanza, contiene una mera intimazione ad “avviare o riavviare” le procedure aventi ad oggetto il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari. In realtà, non risulta allegata, da parte del ricorrente, alcuna domanda, indirizzata alle Amministrazioni interessate, ai fini dell’applicazione, sul futuro trattamento di pensione, dei criteri di calcolo previsti dal sistema retributivo.

Alla stregua delle considerazioni innanzi esposte, va dichiarata l’ inammissibilità del ricorso in epigrafe. La novità delle questioni trattate e l’esistenza di indirizzi giurisprudenziali contrastanti in ordine alla portata applicativa dell’art. 71, lett. b), del R.D. n. 1038/1933 giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti in causa.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe; compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Trieste nella pubblica udienza del 16 dicembre 2015.
Il Giudice Unico delle Pensioni
f.to Dott. Giancarlo Di Lecce

Depositata in Segreteria il 16 dicembre 2015

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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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Anche la Corte dei Conti del Lazio la pensa come le altre.

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I ricorrenti, tutti appartenenti alle “Forze di Polizia” con un’anzianità di servizio al 1° gennaio 1996 inferiore a 18 anni.

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LAZIO SENTENZA 83 02/03/2016


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO SENTENZA 83 2016 PENSIONI 02/03/2016


SENT. 83/2016

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Pres. Ivan De Musso

Ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 74332, proposto da B. F. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti Alessandro Tarducci, Antonio Vallini, Marco Noferi e Iacopo Tozzi (studio legale CNTTV) del Foro di Firenze ed Enrico Gamba del Foro di Roma, e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliati in Roma, via del Casale Strozzi n. 31;

Uditi, nella pubblica udienza del 9 febbraio 2016, con l’assistenza del segretario dott. Marco Olivieri Sangiacomo, gli Avv.ti Giacomo Criscenti, su delega degli avvocati patrocinanti, per i ricorrenti e l’Avv. Dario Marinuzzi per l’Inps.

FATTO

I ricorrenti, tutti appartenenti alle “Forze di Polizia” con un’anzianità di servizio al 1° gennaio 1996 inferiore a 18 anni, chiedono:

- in via preliminare, ove possa occorrere, che sia rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 6, 12, 13, dell’art. 2, commi 5, 6 e 7 e art. 5 della legge n. 335/1995, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 della Cost., in quanto, contrariamente ai dipendenti privati, quelli pubblici non godono della stessa possibilità di trasferire tutto o parte del TFR in un Fondo pensione ai fini della costituzione della previdenza complementare di cui appunto godono i dipendenti privati. In sostanza, sussisterebbe una evidente disparità di trattamento fra i due comparti lavorativi, disparità che si è perpetuata nel tempo pregiudicando sia la salvaguardia delle aspettative pensionistiche del lavoratore pubblico che la misura del trattamento pensionistico stesso;

- nel merito, in via principale, che il giudice adito voglia accertare e dichiarare il diritto ad ottenere il riconoscimento del trattamento loro spettante secondo il sistema retributivo vigente ante-riforma legge n. 335/1995, fino a quando non sia data completa attuazione al sistema della previdenziale complementare per il pubblico impiego prevista dalla predetta legge di riforma e dagli atti normativi che ad essa hanno dato applicazione, ovvero, in subordine, nella misura ritenuta di giustizia, con i correlati benefici previdenziali;

- per l’effetto, voglia condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché il Ministero degli Interni in persona dei Ministri pro tempore e l’INPS, ognuno per le rispettive competenze, ad adottare il metodo di calcolo della pensione dei ricorrenti secondo il sistema retributivo vigente ante-riforma legge n. 335/1995, con conseguente annullamento o disapplicazione degli atti e/o provvedimenti che negano tale diritto; nonché, al risarcimento dei danni arrecati ai ricorrenti in conseguenza del mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e previdenza complementare (c.d. secondo pilastro), quantomeno fino al 31.12.2011, giacché nell’arco temporale dal 1 gennaio 1996 al 31.12.2011, è provata la mancata attuazione della stessa novella in termini di mancata attuazione della previdenza complementare tramite impiego del TFR e naturalmente il conseguente danno in termini economici, oltre al risarcimento dei danni causati;

- in via subordinata, voglia condannare i convenuti alla corresponsione in favore dei ricorrenti di quella quota percentuale pari alla differenza di rendimento fra il fondo previsto dall’art. 12 del AQN in materia di trattamento di fine rapporto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici dal 29 luglio 1999 e il rendimento garantito dai fondi privati esistenti che garantiscono il maggior rendimento, con rivalutazione monetaria e interessi legali maturati a far data dal 1995 ovvero, in ulteriore ipotesi, dal 31 dicembre 2001, come stabilito dall’AQN del 29 luglio 1999.

Si è costituito l’Inps con memoria dell’Avv. Dario Marinuzzi depositata in data 12 ottobre 2015 nella quale controdeduce alle istanze dei ricorrenti nei seguenti termini:

- difetto di legittimazione passiva dell’Inps, succeduto ex lege all’Inpdap nella gestione dei trattamenti previdenziali dei dipendenti del comparto pubblico. Ciò in quanto <<l’Inps non è riconosciuto dal quadro normativo in materia di previdenza complementare quale soggetto che debba o possa istituire e costituire Fondi di previdenza complementare: per il personale dei comparti Difesa e Sicurezza trova applicazione l’art. 26, comma 20, della legge n. 448/98 il quale stabilisce che l’istituzione di forme di previdenza complementare previste dal d.lgs. n. 195/1995 e che le stesse potranno definire la disciplina del trattamento di fine rapporto per il personale in parola, ai sensi dell’art. 2, commi da 5 a 8, della l.n. 335/95>>;

- assoluta insussistenza dell’an e del quantum della richiesta risarcitoria. Carenza dell’interesse attuale a ricorrere. Infondatezza delle domande spiegate ex adverso. Infatti, alla luce del quadro normativo succedutosi negli ultimi anni può evincersi che nessuna responsabilità può essere attribuita all’Inps in quanto trattasi di questione disciplinata da interventi di politica legislativa. In sostanza, <<spetta solamente al Legislatore stabilire tempi e modalità di eventuali riforme in tema compatibilmente con le esigenze di contenimento della spesa pubblica previdenziale; peraltro, non risulta dimostrato né dimostrabile alcun pregiudizio, né sotto il profilo dell’an che del quantum, atteso che i ricorrenti sono attualmente in servizio e che solamente al momento del loro collocamento a riposo sarà possibile verificare, alla luce delle disposizioni di legge che saranno in vigore, la misura del trattamento pensionistico concretamente conseguito rispetto a quello virtuale che sarebbe spettato in forza di diverse disposizioni di legge e così determinare, ove ne ricorrano i presupposti, quella eventuale variazione in peius, ora solo asserita e non certo dimostrata.>> (Corte conti, Sez. Lazio sent. n. 1127/2012);

- assoluta infondatezza della richiesta di anticipazione del trattamento di fine rapporto. In primo luogo, viene eccepita l’inammissibilità della domanda in quanto non risulta indicata, e dunque provata, la data di assunzione dei ricorrenti e, conseguentemente, il diritto a godere del regime di TFR. Nel merito, comunque, si eccepisce l’insussistenza in capo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni ad ottenere anticipazioni del proprio trattamento di fine rapporto e/o di servizio (principio affermato dalla Corte di cassazione, sent. n. 18230/2015 e n. 24474/2011);

- infondatezza e irrilevanza della sollevata questione di costituzionalità in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost.. In merito, <<…è sufficiente evidenziare che la giurisprudenza della Consulta è ormai del tutto consolidata nella direzione di ritenere che spetta alla discrezionalità del Legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico , ma ciò alla stregua delle risorse finanziarie attingibili, e fatta salva, ovviamente, la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (C. Cost., sent. n. 30/2004).>>

In data 01.02.2016 i ricorrenti hanno depositato una memoria integrativa nella quale, dopo aver sostenuto la derogabilità della competenza territoriale del giudice delle pensioni e nella specie la corretta incardinazione del giudizio dinanzi al GUP della Sezione giurisdizionale Lazio della Corte dei conti, anche per l’assenza di formale eccezione formulata da controparte, hanno insistito per l’accoglimento del ricorso nelle gradate conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio, sottolineando la disparità di trattamento ed il grave danno che i ricorrenti subiscono dal diverso regime pensionistico di cui attualmente godono rispetto a quello di cui sono destinatari i dipendenti privati.

All’udienza odierna, presente per i ricorrenti l’Avv. Giacomo Crescenti, su delega, e l’Avv. Dario Marinuzzi per l’Inps, le parti hanno confermato le rispettive argomentazioni scritte.

DIRITTO

1 - Preliminarmente, poiché l’Inps non ne ha eccepito la incompetenza territoriale – la cui derogabilità è stata affermata dalle Sezioni riunite nn. 5/2002 e 19/2003 - questo Giudice estende la propria pronuncia anche nei confronti di quei ricorrenti che non avevano, al momento della presentazione del ricorso, la residenza nella Regione.

2 - Ancora preliminarmente, il giudicante deve darsi carico di valutare la presenza dei presupposti di ammissibilità del ricorso che, oltre al più generale principio dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., richiede nel giudizio pensionistico affidato alla Corte dei conti la previa pronuncia amministrativa sulla domanda pensionistica ex art. 71, comma 1, lett.b), del r.d. n. 1038/1933.

Ritiene questo GUP che, ancorché manchi una formale pronuncia dell’amministrazione sulle richieste pensionistiche trasfuse nel ricorso, e i ricorrenti non siano cessati dal servizio né in procinto di essere destinatari di un trattamento pensionistico , il ricorso possa trovare accesso processuale in virtù di un sostanziale silenzio-rifiuto dell’amministrazione di appartenenza dei ricorrenti alle istanze dagli stessi presentate e della natura di giurisdizione sull’intero rapporto pensionistico , e non solo sull’atto, della Corte dei conti quale giudice delle pensioni.

Ma c’è un principio superiore che convince sulla ammissibilità del ricorso ed è quello del diritto dei ricorrenti ad avere una pronuncia di merito di cui, dopo la corretta declaratoria di difetto di giurisdizione del Tar Lazio al quale si erano rivolti, non può essere loro negata per motivi processuali: sarebbe una denegata giurisdizione in una materia di così rilevante importanza sociale contraria ai principi costituzionali (artt. 24 e 111 Cost.).

2.1 – L’Inps ha eccepito la propria legittimazione passiva atteso che l’ente previdenziale può rispondere di illegittimità prodotte nella fase di liquidazione del trattamento pensionistico ma non dei presupposti di diritto che ne determinano l’an ed il quantum di competenza dell’amministrazione di appartenenza.

L’eccezione non è fondata. La legittimazione passiva individua il soggetto giuridico nei confronti del quale può essere giudizialmente rivolta la domanda per l‘accertamento del diritto e l’ente previdenziale è nell’ordinamento pensionistico il soggetto erogatore del trattamento di quiescenza cui necessariamente la pretesa pensionistica va rivolta: in sostanza è il soggetto processuale necessario e quindi passivamente legittimato a ricevere la doglianza pensionistica. Altro è l’aspetto sostanziale della controversia sottoposta al giudicante, nella quale l’ente previdenziale può dimostrare l’inesistenza di un proprio obbligo giuridico o di eventuali responsabilità delle quali sia chiamato a rispondere; ma questo aspetto non attiene alla sussistenza della legittimazione processuale ma alla fondatezza della domanda.

3 – Nell’esame del merito, appare opportuno seguire la sequenza delle domande contenute nell’atto introduttivo del giudizio.

3.1 – In primo luogo, viene eccepita la costituzionalità dell’art. 1, commi 1, 6, 12, 13, dell’art. 2, commi 5, 6 e 7 e art. 5 della legge n. 335/1995, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 della Cost, in quanto, contrariamente ai dipendenti privati, quelli pubblici non godono della stessa possibilità di trasferire tutto o parte del TFR in un Fondo pensione ai fini della costituzione della previdenza complementare di cui appunto godono i dipendenti privati. In sostanza, sussisterebbe una evidente disparità di trattamento fra i due comparti lavorativi, disparità che si è perpetuata nel tempo pregiudicando sia la salvaguardia delle aspettative pensionistiche del lavoratore pubblico che la misura del trattamento pensionistico stesso.

La doglianza non è fondata, in quanto la norma prevede - ancorché in via sostanzialmente programmatica, perlomeno per l’attuazione del regime della previdenza complementare - la costituzione del c.d. II pilastro previdenziale anche per i dipendenti pubblici, per cui non si concretizza il vulnus costituzionale della disparità di trattamento con i dipendenti del settore privato. E’ vero, peraltro, che attualmente la discrasia di trattamento consegue all’inerzia del legislatore di dare concreta attuazione al dettato normativo, ma tale inerzia non può essere sindacata dal giudice delle leggi quale profilo di illegittimità costituzionale, potendo la Corte solo sollecitarne l’attuazione a fronte della piena discrezionalità del legislatore nella determinazione delle modalità e dei tempi.

Come è noto, infatti, la Corte costituzionale si è più volte espressa sui limiti del proprio potere sindacatorio nei confronti della potestà discrezionale del legislatore, anche in materia previdenziale (cfr., sentenze nn. 70/2015, 316/2010), affermando il vizio di costituzionalità nei casi in cui l’intervento del legislatore in materia previdenziale contrasti con gli “invalicabili” principi di ragionevolezza e proporzionalità e non sia sorretto da una “imperativa motivazione di interesse generale” (sent. n. 349/1985, richiamata da sent. n. 70/2015), ma ha sempre tenuto fermo il principio secondo cui <<…spetta al legislatore dettare, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico , alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona>> (fra le tante, cfr. sent. nn. 208/2014, 316/2010, 30/2004).

Non diverso è l’orientamento della giustizia comunitaria (cfr., Corte di Giustizia, ord. n. 130/2007 del 16.01.2008; causa C-46/07 del 13.11.2008), le cui pronunce in materia previdenziale si sono preoccupate, prevalentemente, di salvaguardare il principio della parità di genere, ma che non hanno mai affrontato (e forse non potrebbero arrivare a dichiararne la violazione) l’eventuale contrasto con i principi del diritto comunitario degli effetti della non attuazione di norma interna, rientrante nella discrezionalità del legislatore nazionale, in assenza di specifica direttiva comunitaria.

In sostanza, la discrezionalità del legislatore nazionale può essere sindacata, alla luce dei principi costituzionali e di quelli del diritto comunitario, solo nel caso in cui la norma interna sia in contrasto con tali principi sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento (con la possibilità del giudice nazionale di disapplicazione della norma stessa) o quando non sia data attuazione ad una specifica fonte normativa comunitaria (regolamento, direttiva), comportando in quest’ultima ipotesi da parte del giudice l’applicazione della norma inattuata con possibile condanna anche al risarcimento del danno.

Nel caso che ci occupa – si ribadisce – la norma interna non è contraria né ai principi costituzionali né a quelli del diritto comunitario, ma è soltanto rimasta inattuata e poiché non è correlata ad una fonte normativa comunitaria alla quale il legislatore nazionale è tenuto ad adeguarsi il giudice non ha supporti giuridici sui quali fondare una pronuncia che in qualche modo contrasti l’inerzia di chi avrebbe il dovere di conferire al sistema pensionistico complementare dei pubblici dipendenti un definitivo assetto.

3.2 – Con il secondo motivo i ricorrenti chiedono che il giudice disapplichi la legge Dini e, dando reviviscenza alla normativa precedente all’entrata in vigore della l.n. 335/1995, riconosca il diritto degli stessi alla liquidazione del trattamento pensionistico (futuro) sulla base del sistema retributivo .

Il giudice può procedere alla disapplicazione di una norma interna, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, nei casi in cui la stessa è in contrasto con la sopraordinata fonte normativa comunitaria di diretta applicazione nell’ordinamento giuridico nazionale. In assenza di tale fonte normativa il giudice non ha la potestà di disapplicazione ma solo il potere-dovere di rimettere la questione, qualora la ritenga rilevante e non manifestamente infondata, al giudice delle leggi (cfr., fra le ultime, Corte cost. n. 96/2015, Cons. Stato, ad. plen., n. 7/2015). Ipotesi che nella specie, come analizzato al punto 3.1, è da escludere.

C’è da aggiungere che la reviviscenza di una norma costituisce un tema molto dibattuto in giurisprudenza e in dottrina che ne limitano la possibilità applicativa solo ai casi in cui la Corte costituzionale abbia annullato una norma che, a sua volta, aveva esclusivo carattere abrogativo (argomenti ex Corte cost. n. 13/2012 ed altre ivi citate).

Nella fattispecie, la reviviscenza del regime pensionistico anteriormente vigente alla c.d. riforma Dini trova il doppio impedimento nella attuale vigenza della l.n. 335/1995 e nell’assenza del carattere meramente abrogativo della stessa.

3.2.1. Il riferimento che i ricorrenti fanno alla ordinanza della Corte di Giustizia n. 130/07 del 16.01.2008 non è conferente.

Occorre preliminarmente ricordare che la predetta pronuncia concerneva una questione di genere correlata ad un diverso regime tributario (incentivo all’esodo) in cui era evidente il diverso trattamento fra uomini e donne per il quale il giudice nazionale aveva sollecitato una decisione pregiudiziale sull’applicazione di una precedente pronuncia della CGE (sentenza c.d. Vergani, causa C-207/04) che tale disparità aveva già accertato.

Ed è anche inconfutabile il principio di diritto - al quale i ricorrenti si appellano – che la pronuncia 130/07 richiama, anche quale ius receptum, nei seguenti termini:<<Qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento , il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria.>>

Ma l’affermazione e l’applicazione di tale principio presuppone l’accertamento di una disparità di trattamento contenuta in una disposizione legislativa parametrata con fonti normative sovraordinate che il legislatore nazionale è comunque tenuto ad osservare, nella specie individuate, oltre che nei principi di diritto comunitario, nella direttiva 76/207/CEE (relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro) e nella direttiva 79/7/CEE (relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale).

Nel caso che ne occupa, invece, non solo le norme (art. 1, commi 1, 6, 12, 13; art. 2, commi 5,6 e 7 e art. 5 della l.n. 335/1995) non si pongono in contrasto con una specifica fonte normativa comunitaria, ma nemmeno con i principi primari del diritto comunitario e della Costituzione italiana, in quanto la disparità di trattamento - che al momento è indubitabile sotto il profilo della diversa operatività della previdenza complementare privata e pubblica – deriva solo dalla loro complessiva inattuazione, riproponendo, per il giudicante, le stesse problematiche precedentemente affrontate, che portano a concludere per la impossibilità, allo stato, di una pronuncia favorevole e per la insussistenza di iniziative processuali sollecitatorie di interventi di altri organi giudiziari che possano soddisfare la legittima aspettativa dei ricorrenti.

3.3 – Lo strumento per compensare le (negative) ripercussioni economiche che i ricorrenti denunciano di subire dall’inerzia perpetrata dal legislatore nell’attuazione nell’ambito del pubblico impiego della c.d. legge Dini non può certamente essere la domanda di risarcimento del danno.

Ciò in quanto il riconoscimento della fondatezza di una tale domanda presuppone in capo al soggetto (presunto) responsabile – in questo caso il legislatore nazionale – la violazione colpevole di un obbligo giuridico che nella specie, a fronte di una norma di natura sostanzialmente programmatica in materia di previdenza complementare per il comparto pubblico, non sussiste; né la pur legittima aspettativa di un’estensione del regime di previdenza complementare anche al pubblico impiego può assurgere a situazione giuridica meritevole di immediata e diretta tutela di fronte al (non esercitato) potere discrezionale del legislatore, atteso che i ricorrenti, ancora in attività di servizio, non sono titolari di una pretesa pensionistica patrimoniale e di un diritto risarcitorio attuale e concreto (in quanto titolari di una mera aspettativa ad un determinato trattamento di quiescenza, Cons. Stato, sez. V, n. 140/1987) che, invece, potranno eventualmente rivendicare al momento del pensionamento commisurandoli agli effetti consequenziali all’omissione totale o parziale o al ritardo con il quale il legislatore avrà dato attuazione al sistema previdenziale complementare previsto dalla l.n. 335/1995 per i pubblici dipendenti.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto, ma la complessità e la novità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese legali.

PQM

Il GUP della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando,

RESPINGE
Il ricorso.

Spese compensate.

Manda alla segreteria per le comunicazioni di rito.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2016.
Il GUP
F.to Pres. Ivan De Musso

Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 02/03/2016.

Per la Dirigente
F.to dott. Enrico Occhigrossi
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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questa sentenza della Corte dei Conti richiama anche la sentenza della Corte dei Conti Sardegna n. 93/2014 a favore del nostro ex collega CC. in pensione da me quì postata in data 12/11/2014.
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La Corte dei Conti del F.V.G. ha dato ragione a questa ricorrente, e pertanto vi consiglio a tutti di leggerla attentamente circa l'arrotondamento ed altro.

1) - maturato, al 30.12.2015, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 41 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.

2) - L’interessata ha contestato il diniego della pensione opposto dall’I.N.P.S., ponendo in evidenza come il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non abbia abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, in proposito, il messaggio n. 3305 del 14.5.2015, con il quale lo stesso Ente previdenziale ha confermato l’ operatività di tale beneficio nei confronti di coloro che, alla data del 30.4.2015, risultassero già cessati dal lavoro.

3) - l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 13/12/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 2016 RESPONSABILITA 13/12/2016



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13788 del registro di Segreteria, proposto da IANNI Isabella, nata a Gorizia in data Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Genovese ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Gorizia, Viale XXIV Maggio n. 11, giusta mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio, nei confronti dell’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luca Iero, Aldo Formicola e Marilina Rando, giusta procura generale alle liti per notaio Paolo Castellini di Roma del 21.7.2015, rep. n. 80974, rog. n. 21569, elettivamente domiciliato presso l’Ufficio Legale della Direzione Provinciale INPS di Trieste, Via Sant’Anastasio n. 5;

Alla pubblica udienza del 16 novembre 2016, con l’assistenza del segretario dott.ssa Alessandra Vidulli, uditi l’avv. Rossella Genovese per delega dell’avv. Luigi Genovese e l’avv. Luca Iero;

Esaminati gli atti e i documenti di causa;

Ritenuto in
FATTO

Con il ricorso in epigrafe, la sig.ra Isabella Ianni ha convenuto in giudizio l’I.N.P.S. al fine di vedersi riconoscere la pensione anticipata con effetto dal 30.12.2015. A fondamento della pretesa azionata la ricorrente ha dedotto di essere in possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, essendo cessata dal servizio in data 1.4.2015 ed avendo maturato, al 30.12.2015, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 41 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.

L’interessata ha contestato il diniego della pensione opposto dall’I.N.P.S., ponendo in evidenza come il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non abbia abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, in proposito, il messaggio n. 3305 del 14.5.2015, con il quale lo stesso Ente previdenziale ha confermato l’ operatività di tale beneficio nei confronti di coloro che, alla data del 30.4.2015, risultassero già cessati dal lavoro.

Costituitosi in giudizio con memoria difensiva depositata il 3.8.2016, l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.

Tale indirizzo interpretativo, peraltro, avrebbe trovato conferma nella giurisprudenza della Corte dei conti (C.d.C., Sez. Lazio n. 253/2015; id n. Sez. Marche n. 50/2015).

In siffatto contesto, le istruzioni impartite dall’ I.N.P.S. con il messaggio n. 3305/2015 farebbero ritenere applicabile la disciplina prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 limitatamente ai pensionamenti antecedenti alla data del 30.4.2015. Ne discenderebbe, in definitiva, l’insussistenza del presupposti per l’applicazione della disciplina in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva, posto che la ricorrente, alla data del 30.4.2015, non aveva ancora maturato il diritto a pensione ed era stata ammessa alla prosecuzione volontaria.

Con provvedimento istruttorio assunto all’udienza del 21 settembre 2016, è stato ordinato all’I.N.P.S. di trasmettere il fascicolo amministrativo unitamente ad una relazione volta ad acquisire elementi informativi utili ai fini della decisione. Espletata l’ordinanza istruttoria, alla successiva udienza del 16 novembre 2016, l’avv. Rossella Genovese ha insistito per l’accoglimento del ricorso, con il favore delle spese di lite. L’avv. Luca Iero, nel rimarcare le difficoltà interpretative poste dalla questione in esame, si è riportato alle richieste formulate in atti. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti la causa è stata decisa, mediante lettura del dispositivo in pubblica udienza, per le ragioni in diritto che si vanno di seguito ad esporre.

Considerato in
DIRITTO

A seguito della posizione assunta dall’I.N.P.S. in ordine alle richieste formulate con l’ordinanza istruttoria del 21 settembre 2016, può ritenersi che l’unico elemento ostativo al riconoscimento, in favore della ricorrente, della pensione anticipata con decorrenza 30 dicembre 2015, sia dato dalla ritenuta inoperatività, da parte dell’I.N.P.S., dei criteri di arrotondamento dell’anzianità assicurativa previsti dall’art. 59, co. 1, lett. B) della legge n. 449/1997. In particolare, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, maturata dalla sig.ra Ianni al 30 dicembre 2015, non è stata ritenuta arrotondabile a mese intero ( anni 41 e mesi 6), e ciò ha determinato il diniego di accesso alla pensione anticipata.

Ciò premesso, deve rilevarsi come in materia di calcolo dell’ anzianità contributiva, l’art. 3 della legge n. 274/1991 ha previsto, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, che “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.

Per quanto di specifico interesse nella fattispecie in esame, va richiamata la previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”. Tale norma, nell’interpretazione adottata dall’I.N.P.D.A.P., avrebbe sostituito il principio dell’arrotondamento ad anno intero (art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973) con quello dell’arrotondamento a mese intero mutuato dall’art. 3 della legge n. 274/1991, alla stregua del quale va trascurata la frazione di mese non superiore a quindici giorni e computata, per un mese, quella superiore (vd. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6).

La giurisprudenza della Corte dei conti ha ritenuto condivisibile tale orientamento osservando che “il legislatore non ha mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del sistema privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria” e ponendo, altresì, in evidenza che, in difetto di una norma direttamente disciplinante la fattispecie, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (C.d.C., Sez. Sardegna n. 93/2014).

Così delineato il quadro normativo di riferimento, rileva questo Giudice come la normativa richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata (legge n. 247/2007; art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011) non preveda alcuna disposizione abrogativa dell’ indicato criterio dell’arrotondamento a mese intero. Né, a maggior ragione, la previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi superata dalle mutevoli e contraddittorie interpretazioni adottate, nel tempo, dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. e trasposte in atti privi di efficacia normativa (circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).

Per quanto attiene alla posizione della sig.ra Ianni, è significativo rilevare come, non senza contraddizioni, l’I.N.P.S., pur ritenendo operante, fino al mese di aprile 2015, gli arrotondamenti per frazione di mese di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997 (vd. nota della Sede I.N.P.S. di Trieste del 18 ottobre 2016), abbia negato, in concreto, l’applicazione di tale criterio. Tale diniego, tuttavia, si pone in contrasto con le direttive contenute nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015, la cui applicazione avrebbe dovuto indurre gli stessi uffici amministrativi dell’I.N.P.S. a disporre l’arrotondamento a mese intero sul presupposto che l’interessata, alla data del 30 aprile 2015, aveva già risolto il rapporto di lavoro. A ben vedere, poi, non è dato vedere su quale base normativa trovi fondamento la tesi difensiva dell’Ente previdenziale secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’arrotondamento, rileverebbe non già l’avvenuta risoluzione del rapporto alla data del 30 aprile 2015 (fattispecie, questa, espressamente prevista nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015), ma l’aver maturato, entro la medesima data, il diritto a pensione.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni ed in applicazione dell’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, si ravvisano i presupposti affinché l’anzianità contributiva maturata dalla ricorrente alla data del 30 dicembre 2015, pari ad anni 41, mesi 5 e giorni 16, venga arrotondata ad anni 41 e mesi 6.

Conclusivamente, nella ravvisata sussistenza dei presupposti di legge, va riconosciuto il diritto della sig.ra Isabella Ianni a fruire della pensione anticipata dal 30 dicembre 2015, con ogni effetto utile ai fini della liquidazione degli arretrati e dei relativi accessori.

In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.380,00 oltre spese forfettarie (15%), C.A.P e I.V.A..

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, dichiara il diritto della ricorrente a conseguire la pensione anticipata dal 30.12.2015, con ogni effetto di legge. Condanna l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite, che liquida nell’importo di euro 1.380,00 oltre spese forfettarie (15%), CAP e IVA.

Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.

Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Trieste nella pubblica udienza del 16 novembre 2016.
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. Giancarlo Di Lecce
f.to

Depositata in Segreteria il 13 dicembre 2016


IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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volevo dire sentenza da me quì postata in data 13/11/2014.
oreste.vignati
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

Messaggio da oreste.vignati »

complimenti ancora panorama e siamo già a due. ora vediamo se in seguito l'inps adotterà questo criterio senza dover ricorrere.
panorama
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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La Corte dei Conti precisa:

1) - La giurisprudenza contabile (Corte conti, Sezione Giurisdizionale Abruzzo, n. 46/2014; Sezione Giurisdizionale Sardegna, n. 93/2014) ha ritenuto corretta l’interpretazione della norma di cui all’art. 59 comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997 che mutua il principio dell’ arrotondamento a mese intero, previsto dall’art. 3 della legge 274/91, contenuta nella richiamata circolare dell’I.N.P.D.A.P. n. 14/1998.

2) - Giova rilevare come il corretto principio dell’ arrotondamento sia stato confermato anche nei recenti messaggi I.N.P.S., n. 2974 del 30/4/2015 e n. 3305 del 14/5/2015, nella parte in cui ne è stata esclusa l’applicabilità dopo l’entrata in vigore dell’art. 24 del D.L. n. 201/2011, facendo salvo il precedente criterio per le prestazioni pensionistiche antecedenti al 30/4/2015 e per le pensioni di inabilità.

3) - Alla luce delle sopra esposte considerazioni, ed in applicazione dell’art. 59, comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997, appare evidente che l’anzianità contributiva del sig. C.G. alla data del 31 dicembre 1995 risulta essere di complessivi 18 anni – come, peraltro, indicato nello stesso prospetto di liquidazione della pensione del 14/11/2014 dell’I.N.P.S. – in virtù dell’ arrotondamento , a mese intero della frazione superiore a quindici giorni, pacificamente applicabile dall’Ente previdenziale. Infatti, come si è già detto, il servizio (inclusi i periodi ricongiunti) maturato dal ricorrente, a tale data, è di anni 17, mesi 11 e giorni 28.

4) - Ne consegue la fondatezza del gravame, in quanto il ricorrente ha soddisfatto il requisito contributivo dei 18 anni al 31/12/1995, con conseguente diritto dello stesso alla riliquidazione della pensione n. OMISSIS nel senso richiesto, in applicazione dell’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995.

Leggete il tutto qui sotto.
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TRENTINO ALTO ADIGE - TN SENTENZA 14 05/04/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TRENTINO ALTO ADIGE - TN SENTENZA 14 2017 PENSIONI 05/04/2017


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TRENTINO
ALTO ADIGE - SEDE DI TRENTO

Nella persona del Consigliere dott.ssa Stefania Fusaro, in funzione di giudice monocratico in materia di ricorsi pensionistici.

Esaminati gli atti e documenti di causa.

Uditi, all’udienza del 14 marzo 2017, con l’assistenza del Segretario dott. Bruno Mazzon, l’avv. Nicola Antonelli, in sostituzione dell’avv. Francesco Romano, per il ricorrente C.G. e l’avv. Carlo Costantino De Pompeis per l’I.N.P.S., ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio in materia pensionistica, sul ricorso iscritto al n. 4111 del Registro di Segreteria, proposto da C.G. (C.F. OMISSIS), nato il OMISSIS a OMISSIS, residente a OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Romano del Foro di Trento, giusta procura a margine del ricorso, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Trento, via Galilei n. 27;

contro

- l’I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (C.F. 80078750587), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso giusta procura generale alle liti atto notaio Paolo Castellini, Tivoli, del 21/7/2015 rep. n. 80974, dagli avvocati Carlo Costantino De Pompeis e Marta Odorizzi, con domicilio eletto presso la sede legale dell’I.N.P.S. di Trento, via delle Orfane n. 8;

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato, il sig. C.G. ex appartenente all’Arma dei Carabinieri e titolare, dal 22/10/2010, di pensione diretta di inabilità (n. …..) liquidata con determina dell’I.N.P.D.A.P. prot. n. ……… del 12/1/2011, nonché riliquidata dall’I.N.P.S. con determina prot. n. ………. del 14/11/2014, ha gravato tale ultimo provvedimento dell’Ente previdenziale. In particolare, il ricorrente ha chiesto che per effetto della ricongiunzione, ex art. 2 della legge n. 29/79, e del conseguimento di un’anzianità contributiva di 18 anni al 31 dicembre 1995 gli venga riliquidato il trattamento pensionistico con il sistema di calcolo retributivo, previsto dall’art. 1, comma 13 della legge n. 335/1995, con conseguente condanna dell’I.N.P.S. al pagamento dei ratei arretrati spettanti, maggiorati di accessori di legge, e con la rifusione delle spese di lite. Il sig. C. ha esposto di essere cessato dal servizio in data 12/10/2010, per inabilità assoluta e permanente all’attività lavorativa, e che l’I.N.P.D.A.P., con determina prot. n. …….. del 12/1/2011, gli liquidava la pensione (per un importo lordo annuo di euro 22.089,01) con il sistema di calcolo misto, in base ad un’anzianità di servizio, al 31/12/1995, di anni 17, mesi 4. Ha soggiunto che in seguito al decreto n. 11/2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, di ricongiunzione di periodi di contribuzione assicurativa pari ad anni 0, mesi 8 e gg. 2, l’I.N.P.S., successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P., gli ha riliquidato il trattamento di quiescenza, con determina prot. n. ……… del 14/11/2014, (per un importo lordo annuo di euro 22.943,75), computando il trattamento con il sistema di calcolo misto, nonostante la raggiunta anzianità di servizio, al 31/12/1995, di 18 anni. Ha, quindi, precisato di aver presentato istanza per la riliquidazione del trattamento pensionistico con il sistema di calcolo retributivo ma che l’I.N.P.S., con nota prot. n. del 23/11/2015, ha respinto la richiesta, asserendo la correttezza del proprio operato alla stregua dell’art. 7, comma 1, D.lvo n. 503/1992. Parte ricorrente ha osservato che la disciplina di cui all’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995 prevede, espressamente, che la pensione dei lavoratori che alla data del 31/12/1995 possano far valere un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni deve essere liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo. Nell’evidenziare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della citata norma alla liquidazione della pensione, essendo in possesso di un’anzianità contributiva di 18 anni alla data del 31/12/1995, ha sottolineato che la disposizione di cui all’art. 7 comma 1 del D.lvo n. 503/1992, citata dall’Amministrazione previdenziale si limita a prevedere una distinzione tra soggetti con anzianità contributiva inferiore o superiore a 15 anni, alla data del 31/12/1992, all’esclusivo fine della determinazione della retribuzione pensionabile senza impingere sul principio, attinente al calcolo retributivo, successivamente introdotto dall’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995.

1.2 L’I.N.P.S. si è costituito in giudizio, con memoria depositata in data 22/12/2016, rilevando che il sig. C. non ha avversato il decreto n. 11/2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, di ricongiunzione dei periodi di contribuzione assicurativa di anni 0, mesi 8 e gg. 2. Ha affermato la correttezza della riliquidazione del trattamento pensionistico , di cui alla determina prot. n. ……. del 14/11/2014, in quanto il pensionato non ha maturato il requisito dei 18 anni, al 31/12/1995 ed ha richiamato la disciplina di cui all’art. 7 comma 1 del D.lvo n. 503/1992, che opera un discrimine in base al conseguimento, o meno, dell’anzianità di quindici anni al 31/12/1992, per il calcolo della retribuzione pensionabile. La difesa dell’Ente previdenziale ha concluso chiedendo la reiezione della domanda attorea.

1.3 Con provvedimento istruttorio, assunto all’udienza del 17 gennaio 2017, è stato ordinato agli uffici dell’I.N.P.S. di trasmettere una dettagliata relazione corredata da eventuali circolari, autorizzando le parti a depositare, all’esito dell’incombente, memorie difensive integrative. L’Ufficio Gestione Dipendenti Pubblici di Trento ha ottemperato all’ordinanza dimettendo in data 14/2/2017 la richiesta relazione con alcuni allegati (circolari dell’I.N.P.D.A.P. n. 16/1993, n. 1/1994 e n. 21/1996). L’Ente previdenziale ha precisato che nella liquidazione della pensione del ricorrente sono stati considerati ai sensi dell’art. 7 del Decreto legislativo n. 503/1992, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, i periodi contributivi compresi tra la data di cessazione dal servizio (19/10/2010) ed il 1 gennaio 1993; ha richiamato la circolare I.N.P.D.A.P. n. 21/1996, evidenziando che l’anzianità contributiva prevista dall’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995 è da ritenersi maturata solo all’effettivo raggiungimento del diciottesimo anno, senza la possibilità di operare arrotondamenti.

1.4. La difesa della convenuta Amministrazione, nelle note conclusive depositate in data 22/2/2017, ha ribadito le argomentazioni contenute nella memoria di costituzione in giudizio ed ha soggiunto che l’art. 59, comma 1, lettera b) della legge n. 447/1997 esclude l’ arrotondamento per il computo dell’anzianità contributiva, sia ai fini del conseguimento del diritto che per la misura della pensione. Inoltre, ha rilevato che ai sensi dell’art. 7 del Decreto legislativo n. 503/92 il requisito dei 15 anni di contribuzione utile, al 31/12/1992, è determinante per il sistema di calcolo delle relative quote, come evidenziato nelle circolari I.N.P.D.A.P. n. 16/1993 (punti 2-3) e n. 1/1994 (punto 3, terzo capoverso). La resistente Amministrazione previdenziale ha, pertanto, chiesto il rigetto del ricorso evidenziando come, a seguito della ricongiunzione, l’anzianità del sig. C., alla data del 31/12/1995, sia di complessivi anni 17, mesi 11 e giorni 28, cosicché “il requisito per l’applicazione del sistema retributivo puro, salvaguardato dalla legge n. 335/1995 solo a favore di coloro che a fine 1995 avessero accreditati contributi utili per almeno 18 anni, non è stato raggiunto anche se, purtroppo, per solo alcuni giorni e senza sia contemplata alcuna possibilità di arrotondamento ”.

1.5 Il patrocinio difensivo del ricorrente, nella memoria integrativa depositata in data 3/3/2017, ha obiettato che la norma di cui all’art. 7, comma 1, del D.lgs n. 503/1992 attiene alle modalità di determinazione della retribuzione pensionabile mentre il sistema di calcolo retributivo della pensione, in luogo di quello misto, dipende dal possesso di un’anzianità contributiva di 18 anni, al 31 dicembre 1995, come espressamente statuito dall’art. 1, comma 13 della legge n. 335/1995. Parte attrice ha contestato l’operato dell’Ente previdenziale, asserendo la violazione dell’art. 59, comma 1, lettera b) della legge n. 449/1997. Ha rilevato che la cennata disciplina è, pacificamente, interpretata nel senso dell’ arrotondamento , per difetto o per eccesso, della frazione di un mese, con la conseguenza che un’anzianità contributiva di almeno 16 giorni deve essere considerata pari ad un mese. A tal riguardo, ha richiamato il contenuto della circolare applicativa dell’I.N.P.D.A.P. n. 14/1998, che ha allegato alla memoria.

Ulteriormente, ha sottolineato che per i trattamenti pensionistici maturati successivamente all’entrata in vigore dell’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, i messaggi I.N.P.S. n. 2974 del 30/4/2015 e n. 3305 del 14/5/2015, hanno confermato la regola dell’ arrotondamento (al mese) per le prestazioni pensionistiche liquidate prima del 30/4/2015 e con riguardo alle pensioni di inabilità. In ragione di tali considerazioni il nominato patrocinio ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

1.6 All’odierna udienza, i difensori delle parti hanno ribadito le deduzioni difensive in atti. All’esito della discussione, la causa è stata decisa mediante lettura del dispositivo in pubblica udienza, per le ragioni di seguito illustrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Il thema decidendum del giudizio – come delineatosi all’esito delle precisazioni contenute nelle memorie integrative, autorizzate, depositate dalle parti - attiene al diritto affermato dal sig. C.G. di vedersi riliquidare il trattamento pensionistico diretto di inabilità con il sistema di calcolo retributivo, in virtù dell’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995, in ragione del possesso di un’anzianità contributiva di 18 anni alla data del 31/12/1995, così calcolata in base all’ arrotondamento (a mese) previsto dall’art. 59, comma 1, lettera b) della legge n. 449/1997, che deve operare l’Ente previdenziale. L’I.N.P.S. ritiene, invece, inapplicabile la disciplina di cui all’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995, alla pensione del ricorrente, per l’impossibilità di operare l’ arrotondamento a 18 anni dell’anzianità contributiva raggiunta dal sig. C., al 31/12/1995, di anni 17, mesi 11 e giorni 28, in seguito al provvedimento di ricongiunzione dei periodi di contribuzione assicurativa pari ad anni 0, mesi 8 e gg. 2 (decreto n. 11/2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri).

Quanto alla disciplina di cui all’art. 7 del D.lgs n. 503/1992, parte ricorrente ne eccepisce l’inconferenza, rispetto alla questione dedotta in causa, riferendosi la norma alle modalità di computo della retribuzione pensionabile.

Ciò premesso, la questione oggetto del presente giudizio concerne l’applicazione dell’art. 1, comma 13 della legge n. 335/1995 sul presupposto (affermato dal ricorrente e negato dall’I.N.P.S.) del raggiungimento di 18 anni di anzianità contributiva, da parte del sig. C., alla data del 31/12/1995. A tale proposito, giova rilevare che la legge n. 335/1995, nel definire nuovi criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici attraverso la commisurazione delle pensioni alla contribuzione, ha mantenuto fermo il sistema retributivo (secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 13 della legge n. 335/1995) per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni. Ai fini del computo della predetta anzianità devono essere presi in esame tutti i periodi e servizi comunque utili a pensione, entro il 31/12/1995, ivi compresi quelli riscattabili o ricongiungibili. Quanto al calcolo dell’anzianità contributiva si rileva, poi, che l’art. 40, comma 2, del D.P.R. n. 1092/1973 prevedeva l’ arrotondamento ad anno intero della frazione superiore a sei mesi. Tale norma veniva implicitamente abrogata, a decorrere dal 1/1/1998, dall’art. 59 comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997. Disposizione, quest’ultima, secondo la quale per la determinazione dell’anzianità contributiva, ai fini sia del diritto che della misura della pensione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto. Nella circolare n. 14 del 16 marzo 1998 (successiva a quelle prodotte in causa dall’I.N.P.S.), l’I.N.P.D.P., con riferimento all’art. 59 comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997, ha chiarito (cfr. punto 6) che “dal tenore letterale della norma in esame si evince che per frazioni di anno debbano intendersi esclusivamente i mesi. Pertanto, per i trattamenti pensionistici [con riguardo, tra gli altri, agli iscritti alla gestione separata per i dipendenti dello Stato] decorrenti dal 2 gennaio 1998, siano essi di vecchiaia, anzianità, o inabilità, si applicano le disposizioni in materia di arrotondamenti così come previsti dall'art. 3 della legge 274/91”. Va precisato che il cennato art. 3 della legge 274/91 ha disposto che “il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.

La giurisprudenza contabile (Corte conti, Sezione Giurisdizionale Abruzzo, n. 46/2014; Sezione Giurisdizionale Sardegna, n. 93/2014) ha ritenuto corretta l’interpretazione della norma di cui all’art. 59 comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997 che mutua il principio dell’ arrotondamento a mese intero, previsto dall’art. 3 della legge 274/91, contenuta nella richiamata circolare dell’I.N.P.D.A.P. n. 14/1998. A tale riguardo, è stato osservato che “per un verso, il Legislatore non ha mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del settore privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria, e, per altro verso, in difetto di norma direttamente disciplinante la fattispecie, è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Corte conti, Sezione Giurisdizionale Sardegna, n. 93/2014 cit.). Giova rilevare come il corretto principio dell’ arrotondamento sia stato confermato anche nei recenti messaggi I.N.P.S., n. 2974 del 30/4/2015 e n. 3305 del 14/5/2015, nella parte in cui ne è stata esclusa l’applicabilità dopo l’entrata in vigore dell’art. 24 del D.L. n. 201/2011, facendo salvo il precedente criterio per le prestazioni pensionistiche antecedenti al 30/4/2015 e per le pensioni di inabilità. Alla luce delle sopra esposte considerazioni, ed in applicazione dell’art. 59, comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997, appare evidente che l’anzianità contributiva del sig. C.G. alla data del 31 dicembre 1995 risulta essere di complessivi 18 anni – come, peraltro, indicato nello stesso prospetto di liquidazione della pensione del 14/11/2014 dell’I.N.P.S. – in virtù dell’ arrotondamento , a mese intero della frazione superiore a quindici giorni, pacificamente applicabile dall’Ente previdenziale. Infatti, come si è già detto, il servizio (inclusi i periodi ricongiunti) maturato dal ricorrente, a tale data, è di anni 17, mesi 11 e giorni 28. Ne consegue la fondatezza del gravame, in quanto il ricorrente ha soddisfatto il requisito contributivo dei 18 anni al 31/12/1995, con conseguente diritto dello stesso alla riliquidazione della pensione n. OMISSIS nel senso richiesto, in applicazione dell’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995. Sui conseguenti arretrati, derivanti dalla spettante riliquidazione della pensione fin dalla sua originaria decorrenza - e, quindi, a far data dal 20/10/2010 - spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c., da calcolarsi dalla scadenza dei singoli ratei al soddisfo, secondo i criteri di cumulo parziale indicati nelle decisioni n. 10/Q.M./2002 e n. 6/Q.M./2008 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti (cfr., ex multis, Corte conti, Prima Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, n. 63/2017). In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della parte ricorrente, dei compensi di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.200,00 oltre spese forfettarie (15%), C.A.P e I.V.A.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Trentino Alto Adige – con sede in Trento, in composizione monocratica con funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando: Disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, accoglie il ricorso del sig. C.G. e, per l’effetto, dichiara, come specificato in motivazione, il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione con il sistema di calcolo retributivo.
Condanna l’I.N.P.S. alla corresponsione degli arretrati di pensione, spettanti al ricorrente, unitamente alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, da liquidarsi dalla scadenza dei singoli ratei al soddisfo, in applicazione del cumulo parziale, quale possibile integrazione degli interessi legali, ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi.
Condanna l’I.N.P.S. alla rifusione dei compensi di lite, in favore di parte ricorrente, che liquida nell’importo di euro 1.200,00 (euro milleduecento/00), oltre spese forfettarie (15%), C.P.A. ed I.V.A. Fissa il deposito della sentenza nel termine di sessanta giorni. Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.

Così deciso in Trento, nella pubblica udienza del 14 marzo 2017.

Il Giudice Unico
dott.ssa Stefania Fusaro

Ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.

Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 05 aprile 2017

Per il Direttore della Segreteria

Il Funzionario f.f.
Dott. Adriano Rosa
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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Domanda:

Come si computa il servizio utile ai fini T.F.S. e pensione?
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Il servizio utile ai fini T.F.S. è arrotondato all’anno successivo qualora il periodo superi i 6 mesi. Per esempio: 39 anni, 6 mesi e un giorno = 40 utili ai fini T.F.S.; 39 anni 6 mesi e zero giorni = 39 anni utili ai fini T.F.S.

Il servizio utile ai fini pensionistici è arrotondato all’anno successivo qualora il periodo superi gli 11 mesi e 15 giorni. Per esempio: 39 anni, 11 mesi e 15 giorni = 39 anni utili ai fini pensionistici. 39 anni, 11 mesi e 16 giorni= 40 anni utili ai fini pensionistici.
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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Altra sentenza favorevole al personale.
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1) - ex militare dell’Esercito Italiano in pensione dal 29 luglio 2016

2) - alla data del 31 dicembre 1995, aveva maturato un’anzianità contributiva di 17 anni, 11 mesi e 23 giorni, che avrebbe dovuto essere arrotondata ad anni 18, con conseguente applicazione dell’art. 1, comma 13 della l. n. 335/1995

La Corte dei Conti precisa:

3) - Va soggiunto che sia l’INPDAP che poi l’INPS hanno costantemente seguito l’indicazione data con la citata circolare del 1998, tant’è che anche nel provvedimento impugnato il servizio considerato per il calcolo della pensione al 31 dicembre 1995 è stato arrotondato a 18 anni.

4) - In conclusione, la Sezione ritiene che, anche ai fini che interessano, il calcolo dell’anzianità contributiva del ricorrente alla data del 31 dicembre 1995 debba essere operato in conformità alle indicazioni date con la circolare dell’INPDAP sopra richiamata e, pertanto, tale anzianità debba essere determinata, per arrotondamento , in anni diciotto …”.

N.B.: rileggi il punto n. 4 in riferimento al n. 3.
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SARDEGNA SENTENZA 87 20/06/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SARDEGNA SENTENZA 87 2017 PENSIONI 20/06/2017
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Sent. n. 87/2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA

pronuncia la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23933 del registro di Segreteria, proposto da
A. U. G., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro CELLA, presso lo studio del quale in Cagliari, via E. Pessina, 10 è elettivamente domiciliato

RICORRENTE

contro

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), Gestione Dipendenti Pubblici, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina OLLA, Alessandro DOA e Mariantonietta PIRAS, elettivamente domiciliato presso l’ufficio legale dell’Ente in Cagliari, via P. Delitala 2

RESISTENTE

Uditi, nella pubblica udienza del 23/05/2017, gli avvocati Pietro CELLA per il ricorrente e Mariantonietta PIRAS per l’INPS, che hanno confermato integralmente le rispettive conclusioni di parte.

MOTIVI DELLA DECISIONE
FATTO

Il sig. A. U. G., ex militare dell’Esercito Italiano in pensione dal 29 luglio 2016, ha proposto ricorso a questa Sezione contro l’INPS, chiedendo il riconoscimento del proprio diritto alla liquidazione della pensione con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011.

A questo riguardo, ha rilevato che, alla data del 31 dicembre 1995, aveva maturato un’anzianità contributiva di 17 anni, 11 mesi e 23 giorni, che avrebbe dovuto essere arrotondata ad anni 18, con conseguente applicazione dell’art. 1, comma 13 della l. n. 335/1995 (in senso conforme, è stata richiamata la sentenza di questa Sezione n. 93/2014).

In secondo luogo, ha osservato che la pensione liquidata dall’INPS sarebbe affetta anche da altro errore, relativo all’aliquota della pensione. Ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, aumentata di 1,80% per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo.

Ha quindi concluso per l’accertamento e la dichiarazione del proprio diritto alla riliquidazione della pensione in base al sistema retributivo con riferimento all’anzianità contributiva maturata antecedentemente al gennaio 2012 e ciò sulla scorta dell’aliquota di pensione nella misura prevista dall’art. 54 del T.U. n. 1092/1973. Con conseguente condanna dell’INPS alla corresponsione delle somme arretrate, oltre agli accessori di legge.

L’INPS si è costituito in giudizio con memoria difensiva depositata il 06/05/2014, con la quale gli avvocati difensori Alessandro DOA e Mariantonietta PIRAS hanno chiesto l’integrale rigetto del ricorso in quanto infondato, col favore delle competenze professionali come per legge.

La causa è stata decisa come da dispositivo letto in udienza, per le motivazioni di seguito esposte in

DIRITTO

La prima ragione di censura del provvedimento di liquidazione della pensione del ricorrente è da giudicare fondata, per le ragioni esposte nella sentenza di questa Sezione richiamata nel ricorso, di cui si riportano, di seguito, stralci della motivazione.

“La disposizione invocata dal ricorrente (art. 1, comma 13 della legge n. 335/1995) stabilisce che “per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, la pensione è interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo ”. Tenuto conto della intervenuta disposizione di cui all’art. 24, comma 2 del d.l. n. 201/2011, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. n. 214/2011, ove si considerasse fondata la tesi del ricorrente, ne conseguirebbe che il suo trattamento di quiescenza dovrebbe effettivamente essere calcolato con il sistema retributivo sino al 31 dicembre 2011.

Nel provvedimento impugnato, invece, la pensione è stata calcolata con il sistema retributivo sino al 31 dicembre 1995 e con il sistema contributivo per la restante parte.

A questo riguardo, il ricorrente sostiene, a differenza dell’INPS, che il calcolo dell’anzianità contributiva debba essere effettuato arrotondando l’anzianità maturata. […]

Ad avviso della Sezione, va intanto precisato che il possesso del requisito contributivo richiesto dalla citata disposizione della legge n. 335/1995 deve essere verificato alla luce della normativa vigente non alla data ivi indicata del 31 dicembre 1995, bensì nel momento in cui il lavoratore è collocato a riposo, salvo diversa ed espressa previsione di legge, che nel caso di specie non sussiste.

Ciò implica intanto che, nella fattispecie, non possa comunque applicarsi la disposizione di cui all’art. 40 del d.P.R. n. 1092/1973, in quanto implicitamente abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 1998, dall’art. 59, comma 1, lett. b) della l. n. 449/1997, il quale ha previsto che “per la determinazione dell’anzianità contributiva ai fini sia del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.

Proprio a tale ultima disposizione va fatto riferimento per la determinazione dell’anzianità contributiva posseduta dal ricorrente alla data del 31 dicembre 1995, posto che l’esito di tale calcolo è sicuramente rilevante “ai fini […] della misura della prestazione”.

Nel momento di entrata in vigore della norma si è posto un problema interpretativo. L’intento del legislatore è stato chiaramente quello di evitare, come invece avveniva nel regime precedente, alcun arrotondamento dell’anzianità contributiva basato sulle frazioni di anno.

Tuttavia, la norma non ha disposto alcunché circa le frazioni di mese.

Al riguardo, l’INPDAP, con circolare n. 14 del 16 marzo 1998 ha chiarito (v. punto 6) che “dal tenore letterale della norma in esame si evince che per "frazioni di anno" debbano intendersi esclusivamente i mesi. Pertanto, per i trattamenti pensionistici [con riguardo, tra gli altri, agli iscritti alla gestione separata per i dipendenti dello Stato] decorrenti dal 2 gennaio 1998, siano essi di vecchiaia, anzianità, o inabilità, si applicano le disposizioni in materia di arrotondamenti così come previsti dall'art. 3 della legge 274/91”.

La norma citata, riguardante le pensioni degli iscritti alle (allora esistenti) Casse pensioni degli istituti di previdenza, prevede che “il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.

L’orientamento assunto dall’INPDAP appare condivisibile, considerando, per un verso, che il legislatore non ha mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del settore privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria, e, per altro verso, che, in difetto di norma direttamente disciplinante la fattispecie, è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria.

Va soggiunto che sia l’INPDAP che poi l’INPS hanno costantemente seguito l’indicazione data con la citata circolare del 1998, tant’è che anche nel provvedimento impugnato il servizio considerato per il calcolo della pensione al 31 dicembre 1995 è stato arrotondato a 18 anni.

In conclusione, la Sezione ritiene che, anche ai fini che interessano, il calcolo dell’anzianità contributiva del ricorrente alla data del 31 dicembre 1995 debba essere operato in conformità alle indicazioni date con la circolare dell’INPDAP sopra richiamata e, pertanto, tale anzianità debba essere determinata, per arrotondamento , in anni diciotto …”.

Infondato è invece il secondo motivo di gravame, per le ragioni indicate dall’amministrazione nella comparsa di costituzione. Infatti, la norma invocata non trova applicazione nella fattispecie, essendo l’interessato cessato dal servizio con un’anzianità contributiva superiore ai venti anni di servizio.

Sulle maggiori somme dovute per effetto della presente sentenza spettano al pensionato gli accessori di legge, da calcolare con decorrenza dalla data di ciascuno dei ratei di pensione.

In relazione all’accoglimento parziale del ricorso, le spese vanno parzialmente compensate e liquidate a carico dell’INPS nella misura indicata in dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente il ricorso di A. U. G. e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in base al sistema retributivo con riferimento all’anzianità contributiva maturata antecedentemente al 1° gennaio 2012.

Sui maggiori ratei di pensione conseguentemente dovuti spettano al ricorrente gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria (quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi), con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

Compensa parzialmente le spese e pertanto, condanna l’INPS al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese di assistenza legale che si liquidano in euro milleduecento, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15%.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di trenta giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 23 maggio 2017.
Il Giudice unico
f.to Antonio Marco CANU


Depositata in Segreteria il 20/06/2017


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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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La suindicata sentenza però non ha accolto la tesi sulla seguente situazione.

- ) - Ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, aumentata di 1,80% per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo.

Infatti la Corte dei Conti precisa.

- ) - Infondato è invece il secondo motivo di gravame, per le ragioni indicate dall’amministrazione nella comparsa di costituzione. Infatti, la norma invocata non trova applicazione nella fattispecie, essendo l’interessato cessato dal servizio con un’anzianità contributiva superiore ai venti anni di servizio.
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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questa sentenza richiama anche quella n. 93/2014 della C.C. Sardegna quì postata il 13/11/2014.

Ricorso Accolto.

N.B.: ricorrente di altra Amministrazione.
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applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.

1) - Il ricorrente ha poi presentato una nuova domanda di pensione in data 22/04/2016, accompagnata da ulteriori versamenti contributivi volontari, che è stata accolta, avendo questi conseguito il requisito previsto di un’anzianità di 42 anni e 10 mesi. La pensione è stata dunque concessa con decorrenza dal 6/05/2016.

2) - La presente impugnativa è dunque finalizzata ad ottenere la retrodatazione dell’attribuzione della pensione alla scadenza originariamente richiesta del 23/12/2015, avendo l’interessato fatto espressa riserva – all’atto della seconda istanza – di salvaguardare gli effetti della precedente.

3) - A sostegno delle proprie ragioni afferma che il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non ha abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, al riguardo, il messaggio n. 3305 del 14/05/2015, con il quale l’INPS stesso ha confermato l’operatività del meccanismo di computo nei confronti di coloro che, alla data del 30/04/2015, risultassero già cessati dal lavoro. Richiama altresì le recenti favorevoli statuizioni rese sul punto da questa Sezione giurisdizionale con sentenza n. 84/2016.

4) - Con successiva memoria, depositata il 29/11/2017, l’Istituto previdenziale ha contestato nel merito la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P. (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997: ulteriore conferma di tale linea interpretativa si ritiene emerga dalla circolare del Ministero dell’Istruzione del 2012, nonché da alcune pronunce di questa Corte (Sez. Lazio n. 253/2015; Sez. Marche n. 50/2015).

5) - Si è posto in rilievo in particolare come il principio generale di riferimento sia rappresentato, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 274/1991 a norma del quale: “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.

6) - Accanto a tale statuizione si pone – con riguardo al caso di specie - l’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.

7) - La disposizione è stata interpretata dall’I.N.P.D.A.P. (ora INPS) nel senso della sopravvenuta sostituzione del meccanismo dell’ arrotondamento ad anno intero previsto nell’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 con quello dell’ arrotondamento a mese intero, mutuato appunto dal succitato l’art. 3 della legge n. 274/1991 (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6).

8) - Detta opzione ermeneutica – come già rilevato da questa Sezione – ha trovato riscontro nella giurisprudenza contabile, laddove si è affermato che, in mancanza di una previsione specifica, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Sez. Sardegna sent. n. 93/2014).

9) - Orbene, nel descritto quadro di riferimento, deve riconoscersi che la normativa di cui alla L. n. 247/2007 e all’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 - richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata - non prevede invero alcuna disposizione abrogativa dell’indicato criterio dell’ arrotondamento a mese intero.

10) - Né, d’altro canto, siffatto effetto abrogativo della relativa previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi conseguire alle plurime e mutevoli interpretazioni indicate nel tempo dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. in proprie circolari, come tali prive di efficacia normativa (e.g. circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).

N.B.: rileggi i punti 9 e 10 sopraindicati.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 13/12/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 2017 PENSIONI 13/12/2017
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REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis

ha emesso la seguente
SENTENZA

sul ricorso in materia di pensione, iscritto al n. 13885 del registro di segreteria, depositato in data 13/07/2017, proposto da
R.. Sergio, nato a ……. il …../1954, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Genovese, presso il cui studio, in Gorizia, Viale XXIV Maggio n. 11, è elettivamente domiciliato;

contro
INPS – sede provinciale di Trieste (gestione ex POST), in persona del direttore pro-tempore.

Visto l'atto introduttivo del giudizio.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Uditi, all'udienza del 13 dicembre 2017, l'avv. Genovese per il ricorrente e l’avv. Bridda nell’interesse dell’INPS.

Ritenuto in
FATTO

Con il ricorso in epigrafe, il sig. R.. chiede venga affermato il suo diritto al riconoscimento della pensione anticipata con decorrenza dal 23/12/2015. Deduce all’uopo di essere in possesso dei pertinenti requisiti di accesso a tale beneficio, essendo cessato dal servizio in data 28/02/2014 ed avendo maturato, al 30/12/2015, un’anzianità contributiva di anni 42, mesi 5 e giorni 25, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 42 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.

Riferisce di aver presentato in data 22/10/2015 domanda all’INPS per conseguire il suddetto trattamento, ricevendo – tuttavia – risposta negativa, con provvedimento del 7/01/2016, nel quale l’Istituto previdenziale ha opposto che “alla data del 30 settembre 2015 risultano accreditati 42 anni 2 mesi e 25 giorni nel fondo ex ipost, nel 2016 il requisito per la pensione anticipata di anzianità è pari a 42 anni e 10 mesi”.

Il ricorrente ha poi presentato una nuova domanda di pensione in data 22/04/2016, accompagnata da ulteriori versamenti contributivi volontari, che è stata accolta, avendo questi conseguito il requisito previsto di un’anzianità di 42 anni e 10 mesi. La pensione è stata dunque concessa con decorrenza dal 6/05/2016. La presente impugnativa è dunque finalizzata ad ottenere la retrodatazione dell’attribuzione della pensione alla scadenza originariamente richiesta del 23/12/2015, avendo l’interessato fatto espressa riserva – all’atto della seconda istanza – di salvaguardare gli effetti della precedente.

A sostegno delle proprie ragioni afferma che il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non ha abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, al riguardo, il messaggio n. 3305 del 14/05/2015, con il quale l’INPS stesso ha confermato l’operatività del meccanismo di computo nei confronti di coloro che, alla data del 30/04/2015, risultassero già cessati dal lavoro. Richiama altresì le recenti favorevoli statuizioni rese sul punto da questa Sezione giurisdizionale con sentenza n. 84/2016.

Con memoria depositata in data 14/11/2017 di è costituito in giudizio l’INPS, deducendo preliminarmente la tardività della notifica del ricorso nei propri confronti, avvenuta soltanto in data 07/11/2017.

Chiamata la causa nella pubblica udienza del 15/11/2017, il Giudice – rilevato il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 155 c.g.c per la notificazione del ricorso alla parte resistente – ha disposto il rinvio della trattazione della causa alla successiva udienza del 13/12/2017.

In data 21/11/2017 l’INPS ha depositato una nota illustrativa della posizione amministrativa del ricorrente, nella quale si precisa che al 31/12/2015 questi ha maturato un’anzianità contributiva di 42 anni, 5 mesi e 25 giorni, per effetto del versamento volontario dei contributi previdenziali per il quarto trimestre 2015. Ivi si rileva, altresì, che “l’unico elemento ostativo ai fini del riconoscimento della pensione anticipata con decorrenza dal 23/12/2015 è stata la mancata maturazione di un’anzianità contributiva pari ad almeno 41 (leggasi 42) anni e 6 mesi entro il 2015 senza arrotondamenti”.

Con successiva memoria, depositata il 29/11/2017, l’Istituto previdenziale ha contestato nel merito la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P. (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997: ulteriore conferma di tale linea interpretativa si ritiene emerga dalla circolare del Ministero dell’Istruzione del 2012, nonché da alcune pronunce di questa Corte (Sez. Lazio n. 253/2015; Sez. Marche n. 50/2015).

Nella pubblica udienza odierna le parti hanno confermato le conclusioni rispettivamente rassegnate in atti.

Considerato in
DIRITTO

La domanda attorea si palesa fondata.

Ritiene questo Giudice, infatti, che vada confermata l’interpretazione offerta da questa Sezione giurisdizionale in ordine alla vigente disciplina di computo e valutazione dei requisiti di contribuzione necessari per l’accesso alla pensione di anzianità.

Si è posto in rilievo in particolare come il principio generale di riferimento sia rappresentato, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 274/1991 a norma del quale: “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.

Accanto a tale statuizione si pone – con riguardo al caso di specie - l’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.

La disposizione è stata interpretata dall’I.N.P.D.A.P. (ora INPS) nel senso della sopravvenuta sostituzione del meccanismo dell’ arrotondamento ad anno intero previsto nell’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 con quello dell’ arrotondamento a mese intero, mutuato appunto dal succitato l’art. 3 della legge n. 274/1991 (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6). Detta opzione ermeneutica – come già rilevato da questa Sezione – ha trovato riscontro nella giurisprudenza contabile, laddove si è affermato che, in mancanza di una previsione specifica, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Sez. Sardegna sent. n. 93/2014).

Orbene, nel descritto quadro di riferimento, deve riconoscersi che la normativa di cui alla L. n. 247/2007 e all’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 - richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata - non prevede invero alcuna disposizione abrogativa dell’indicato criterio dell’ arrotondamento a mese intero.

Né, d’altro canto, siffatto effetto abrogativo della relativa previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi conseguire alle plurime e mutevoli interpretazioni indicate nel tempo dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. in proprie circolari, come tali prive di efficacia normativa (e.g. circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).

Con riferimento alla specifica posizione del sig. R.., deve inoltre osservarsi come egli rientri in una delle categorie di soggetti in favore dei quali l’INPS medesimo, nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015, ha previsto la salvaguardia del meccanismo di arrotondamento al mese intero, ovverosia quanti siano stati già collocati in quiescenza alla data del 30 aprile 2015: il ricorrente, infatti, ha risolto il rapporto di lavoro in data 28/02/2014. Rispetto a questa indicazione si presenta, poi, sostanzialmente apodittica la diversa ulteriore lettura della stessa offerta dall’Istituto secondo cui, invece, ai fini dell’applicazione dell’ arrotondamento , rileverebbe non già l’avvenuta risoluzione del rapporto alla data del 30 aprile 2015 (come espressamente previsto nel predetto messaggio) bensì l’aver maturato, entro la medesima data, il diritto a pensione.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, in applicazione dell’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, si reputa sussistano in favore del sig. R.. i presupposti affinché l’anzianità contributiva maturata alla data del 31 dicembre 2015, pari ad anni 42, mesi 5 e giorni 25, venga arrotondata ad anni 42 e mesi 6, con conseguente affermazione del suo diritto alla retrodatazione della decorrenza della pensione di anzianità liquidatagli alla data del 23/12/2015, con ogni effetto utile ai fini della liquidazione degli arretrati e dei relativi accessori.

In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.300,00 oltre I.V.A. e C.P.A..

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:

- dichiara il diritto del ricorrente a conseguire la pensione anticipata dal 23.12.2015, con ogni effetto di legge.

- condanna l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite, che liquida nell’importo di euro 1.300,00 oltre I.V.A. e C.P.A..

Il Giudice Cons. Giulia De Franciscis
f.to


Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.

Trieste, 13 dicembre 2017



Il Direttore della Segreteria
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Re: FF.AA. Sistema retributivo e contributivo.

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Con questa sentenza della Corte dei Conti Sardegna sul ricorso presentato dai colleghi CC., la Corte precisa alcune cose, anche se non lo ha accolto:

Ricorso anche per il risarcimento del danno.
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Ecco alcuni brani:

1) - A sostegno della pretesa, premesso che alcuni ricorrenti sono stati assunti dopo il 31 dicembre 1995 ed altri, alla medesima data, avevano un'anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni, di talché dovrebbero vedersi calcolare l'ordinario trattamento di quiescenza col criterio c.d. "contributivo" oppure con quello c.d. " misto", notevolmente inferiore a quello assicurato dal previgente sistema retributivo, è stato evidenziato quanto di seguito si riassume.

2) - esistenza di un disegno di legge (DDL) S. 2381 XVII Legislatura - disposizioni in materia di previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del soccorso pubblico – presentato in Senato in data 11.05.16 ed assegnato il successivo 28 giugno all’11° Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) in sede referente, che si prefiggerebbe l’obiettivo di porre rimedio all’annosa questione (il cui testo è stato riportato nell’atto difensivo).

3) - Vi è, infine, da considerare che i ricorrenti (e gli altri dipendenti del comparto difesa e sicurezza), sono gli unici nell’ambito del pubblico impiego per i quali non ha trovato attuazione il disegno legislativo sulla previdenza complementare, prevista dalla riforma del 1995, né hanno sortito effetto le iniziative giudiziarie portate avanti.

4) - Con la legge n. 335 del 1995 è stato introdotto il nuovo sistema di calcolo contributivo delle pensioni, allo scopo (come sottolineato, da ultimo, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 23 del 26/01/2017) di favorire il riequilibrio finanziario e di rimuovere le sperequazioni e le diseguaglianze provocate dal calcolo retributivo (relazione dell’undicesima commissione permanente, Lavoro e Previdenza sociale, al disegno di legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).

5) - Trattasi, dunque, di una nuova architettura legislativa del “sistema pensioni” che, in quanto tale, non può essere disapplicata dal giudice.

6) - Peraltro, va considerato che il giudice può procedere alla disapplicazione di una norma interna (ma non di una legge), secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, nei casi in cui la stessa sia in contrasto con una fonte normativa comunitaria di diretta applicazione nell’ordinamento giuridico nazionale (circostanza non ravvisabile nella specie), potendo, in caso contrario, sollecitare, laddove ne ritenga la rilevanza e la non manifesta infondatezza, l’intervento del giudice delle leggi (cfr., Sezione Lazio, sentenza n. 83 del 02/03/2016).

7) - A ben vedere, ed in linea generale, la invocata disparità di trattamento si radica, nella stessa prospettazione di parte attrice, non nelle norme sindacate, ma nella mancata attuazione delle medesime, come desumibile dall’analisi della diversa operatività della previdenza complementare privata e pubblica, e dei riflessi che tale differenza comporta sul piano economico, operata da parte ricorrente a sostegno della domanda subordinata.

8) - In tale ottica, innegabile appare che il sistema contributivo, in sé considerato, sia tutt’altro che irrazionale, ricollegando il trattamento pensionistico alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e assicurando, mediante la capitalizzazione della contribuzione e il coefficiente di trasformazione alla stessa applicabile, che sia data attuazione alla garanzia costituzionale dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, in un quadro di compatibilità con le risorse finanziarie disponibili e con le grandezze macroeconomiche rilevanti (cfr. sentenza Corte Cost. n. 23/2017).

9) - In primo luogo, rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta di regolare in un certo modo un determinato regime pensionistico, informato al principio della pluralità delle coperture previdenziali, soltanto in parte garantite dall'assicurazione generale obbligatoria per l'I.V.S., gestita dall'I.N.P.S.

10) - Seppure, per effetto della riforma del 1995, il trattamento di pensione maturato nel regime dell’AGO-IVS (e, per quanto qui interessa, nelle forme sostitutive, esclusive o esonerative), sia stato sensibilmente ridimensionato rispetto al passato,
- ) - non vi è motivo di ritenere che non sia, di per sé solo,

- ) - sufficiente ad assicurare al lavoratore in quiescenza mezzi adeguati alle esigenze di vita, cui devono provvedere organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato, data anche la salvaguardia del trattamento minimo, “riconducibile al secondo comma dell'art. 38 della Costituzione e parzialmente derogatoria del principio di proporzionalità della pensione ai contributi versati a vantaggio del principio di solidarietà” (v. C. cost., sent. 119 del 1997, e giurisprudenza ivi richiamata).

11) - Ciò comporta che la costituzione di fondi pensione di categoria e la definizione delle relative caratteristiche, anche in punto di contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro, ben può essere demandata a successive procedure negoziali tra i lavoratori e il datore di lavoro, con scelta tutt’altro che incoerente rispetto ai valori costituzionali.

12) - A non voler considerare che pur in mancanza (o in attesa) della costituzione di un fondo negoziale “chiuso” di categoria,
- ) - qualunque lavoratore ha comunque la concreta possibilità di aderire a un fondo pensione “aperto”,

- ) - fruendo degli stessi benefici fiscali in relazione ai contributi versati, ai rendimenti maturati sul proprio montante individuale e alle prestazioni erogate,

mentre

- ) - la mancata trasformazione del TFS del personale non contrattualizzato in TFR, pur pregiudicando, nell’attualità, la possibilità di conferire il TFR stesso a un fondo pensione,

- ) - comporta per converso la conservazione di un regime di calcolo di regola più vantaggioso e non ha influenza, in ogni caso, sul trattamento obbligatorio a carico dello Stato.

13) - Deve essere, dunque, conclusivamente affermato che l’asserita incostituzionalità non deriva,

- ) - come già in precedenza sottolineato dalla applicazione immediata del sistema contributivo (o misto),

- ) - quanto dall’omessa previsione legislativa di eventuali meccanismi procedimentali o assetti normativi anche sostitutivi volti,

- ) - in ipotesi, a rendere obbligatoria la costituzione dei fondi pensione, e la possibilità di conferimento ad essi del TFR entro un tempo prestabilito:

- ) - facoltà queste che, all’evidenza, attengono alla diversa sfera, normativa e politica insieme,

- ) - destinata a regolare gli assetti contrattuali della generalità del comparto,

- ) - attraverso le previste procedure di concertazione e negoziazione, nelle quali i singoli soggetti intervengono per il tramite delle loro rappresentanze sindacali, o degli organi a tal fine individuati.

Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SARDEGNA SENTENZA 168 20/12/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SARDEGNA SENTENZA 168 2017 PENSIONI 20/12/2017
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Sent. N. 168/2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA

in composizione monocratica, nella persona del Consigliere Maria Elisabetta LOCCI, quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23.936 del registro di Segreteria, proposto dai signori: ( OMISSIS per questione di spazio n. 454 ricorrenti ), tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Roberto MANDOLESI (CF: MNDRRT64P20D542C; PEC: robertomandolesi@ordineavvocatiroma.org ), presso il cui studio, sito in Roma, via Paolo Emilio n. 34, hanno eletto domicilio, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, in persona del Ministro pro tempore, il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, entrambi domiciliati ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Cagliari via Dante n. 23/25, e l’INPS, Gestione Dipendenti Pubblici.

Uditi, nella pubblica udienza del 23 novembre 2017 il difensore dei ricorrenti, Avvocato Stefania SCAMUTZI, per delega dell’Avvocato Roberto MANDOLESI, e l’Avvocato Alessandro DOA per l’INPS.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato in data 22 febbraio 2017 i ricorrenti, dipendenti in servizio appartenenti, con diversi gradi/qualifiche, alle Forze di Polizia, hanno chiesto:

a) in via principale, che venga accertato il proprio diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico spettante — sino all'effettiva attuazione della previdenza complementare — secondo il criterio cosiddetto "retributivo", previa eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge n. 335/1995, e dell'art. 3, co.2, d.lgs. n.252/2005, in parte qua, e previo eventuale annullamento e/o disapplicazione degli atti a ciò ostativi ed, in particolare, delle leggi, decreti e circolari disciplinanti la materia de qua; nonché dei vari provvedimenti ad essi consequenziali e/o connessi, comunque lesivi dei loro diritti; e che, di conseguenza, siano condannate le Amministrazioni convenute, ognuna per le rispettive competenze, ad adottare il sistema di calcolo del trattamento pensionistico spettante - sino all'effettiva attuazione della previdenza complementare - secondo il metodo c.d. "retributivo”;

b) in via subordinata, che siano condannate le Amministrazioni al risarcimento dei danni economici effettivamente subiti dai ricorrenti conseguenti al mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della connessa e conseguente istituzione della previdenza complementare (c.d. "Secondo Pilastro"); danni da liquidarsi in misura pari ai valori finali indicati in euro nella perizia tecnico-contabile versata agli atti, ovvero - sulla scorta di tali valori - in via del tutto equitativa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari.

A sostegno della pretesa, premesso che alcuni ricorrenti sono stati assunti dopo il 31 dicembre 1995 ed altri, alla medesima data, avevano un'anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni, di talché dovrebbero vedersi calcolare l'ordinario trattamento di quiescenza col criterio c.d. "contributivo" oppure con quello c.d. " misto", notevolmente inferiore a quello assicurato dal previgente sistema retributivo, è stato evidenziato quanto di seguito si riassume.

Sussisterebbe in primo luogo la giurisdizione della Corte dei conti, in quanto la controversia verterebbe principalmente sull'accertamento del diritto a percepire il trattamento pensionistico ad essi spettante secondo il sistema retributivo più favorevole, vigente nel periodo antecedente la riforma attuata con la legge n. 335/1995, come riconosciuto dal Giudice amministrativo in casi analoghi (ex multis: TAR Roma, n. 5024/14 e n.2721/09; TAR Perugia n. 432/13).

Nel merito del ricorso, ricostruita l’evoluzione normativa nella materia pensionistica e le sperequazioni che verrebbero a crearsi tra pensionati ante e post “riforma Dini”, con l’introduzione del metodo di calcolo misto e/o contributivo, è stato posto l’accento sul fatto che lo stesso Legislatore del 1995, avvedutosi di tale problema, aveva previsto, accanto alla previdenza obbligatoria (il cosiddetto "Primo Pilastro", volto ad assicurare in siffatta maniera la pensione di base), anche il cosiddetto "Secondo Pilastro” ossia la previdenza complementare, per il tramite dei "Fondi Pensione".

La previdenza complementare avrebbe dovuto attuarsi "immediatamente" (per evitare che vi fosse una diminuzione della copertura pensionistica rispetto al reddito), attraverso una contribuzione reale anche a carico dello Stato e, per le quote non coperte dal predetto stanziamento, con i cosiddetti "accreditamenti figurativi".

Ad avviso dei ricorrenti, secondo lo stesso Legislatore, la costituzione del c.d. "Secondo Pilastro" era condizione necessaria per garantire adeguati livelli di copertura previdenziale a tutti quei lavoratori penalizzati dall'introduzione dei nuovi (e più deleteri, dal punto di vista economico) sistemi di calcolo del trattamento pensionistico.

A tali fini, è stato evidenziato che, dopo numerosi solleciti, reiterati annualmente dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative delle forze di polizia ad ordinamento civile, e dai consigli centrali della rappresentanza militare, e dopo l’invio di formali atti di diffida da parte dei diretti interessati, il competente TAR, specificamente adito, aveva accolto i ricorsi per annullamento del silenzio rifiuto, dichiarando l’obbligo per le resistenti amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo entro 180 giorni (ex multis: TAR Roma, sent. n. 2721/2010). Persistendo l’inadempimento delle predette amministrazioni, veniva, di poi, accolto il connesso ricorso per l’esecuzione del giudicato, e nominato a un commissario ad acta.

Quest’ultimo, peraltro, sentito il TAR (nota del 19.11.2013), non avrebbe potuto fare altro che diffidare nuovamente il ministero competente ad avviare le procedure di concertazione e contrattazione per l’intero comparto difesa e sicurezza, interessando allo scopo le organizzazioni sindacali e i consigli centrali di rappresentanza e dandone informazione ai ricorrenti, diretti interessati, affinché potessero tenerne conto nel sollecitare l’avvio delle procedure stesse.

Ma anche tali ulteriori solleciti, stando a quanto rappresentato in atti, non avrebbero avuto riscontro pratico, di talché permarrebbero le ragioni di sperequazione, in punto di trattamento pensionistico, poste a base del ricorso, non essendo stata data la possibilità di compensare, mediante la previdenza complementare, il trattamento stesso, in violazione dell’espressa volontà del legislatore.

Ad avviso della difesa dei ricorrenti, dunque, in presenza di una tale situazione, gravida di risvolti incostituzionali, sarebbe più che legittima la pretesa ad ottenere — quanto meno sino al momento in cui sarà stata attuata la cosiddetta "previdenza complementare", un trattamento previdenziale da calcolarsi (anche per essi) secondo il tradizionale metodo "retributivo".

Diversamente ragionando, dovrebbe sollevarsi questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge in materia, nella parte in cui esse siano interpretate nel senso di rendere applicabile la “riforma Dini” al personale del comparto difesa e sicurezza, senza che sia stata parallelamente resa effettiva la possibilità, anche per questi ultimi, di accedere alle forme di previdenza complementare indissolubilmente legate alla riforma stessa (secondo il principio equitativo del simul stabunt, simul cadent).

Pertanto, l’applicazione parziale della “riforma Dini”, ovvero l’introduzione del sistema contributivo non accompagnata dalla possibilità di accedere alla previdenza complementare, violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (stante la macroscopica, ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento tra la situazione dei dipendenti privati e quella dei dipendenti pubblici e, all’interno di quest’ultima categoria, tra coloro a favore dei quali i fondi pensione sono stati attivati e coloro che, come i ricorrenti, non si sono visti riconosciuta tale legittima possibilità). Violerebbe, altresì, i principi di equa retribuzione e proporzionalità di cui agli articoli 36 e 38 della Costituzione, posto che il sistema contributivo di per sé solo, senza l’effettiva creazione del secondo pilastro, non garantirebbe la proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, né l’adeguatezza di tale forma di retribuzione differita alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia.

Per tale via, analoghe censure di non conformità a Costituzione (artt. 3; 36, co. l; e 38, co .2), sono state mosse nei confronti dell’art. 3, co. 2, del d.lgs. n. 252/05, norma emanata in attuazione della legge-delega n. 243/2004 (cosiddetta "Riforma Maroni"), nella parte in cui (reiterando, di fatto, pedissequamente la disposizione di cui all'art. 3 del d. lgs. n. 124/93), nello stabilire che la previdenza integrativa è istituita mediante Accordi o Contratti collettivi, non avrebbe attribuito ai singoli lavoratori alcun mezzo per l'esercizio effettivo del diritto (id est: per reagire all'eventuale inerzia delle OO.SS.).

In via subordinata, i ricorrenti hanno rilevato come il “mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della connessa - e conseguente -istituzione della previdenza complementare”, abbia comportato un danno risarcibile attuale e concreto, allegando ai fini della quantificazione e del nesso causale, perizia tecnico-contabile a firma del Prof. Daniele Pace (il danno è stato stimato tenendo conto dell’impossibilità di fruire, sul piano fiscale, della deduzione dei versamenti al fondo pensione e dell’impossibilità di destinare al fondo pensione stesso il TFR, aumentando per tal via il montante previdenziale).

Tale danno sarebbe conseguenza dell’inadempimento delle convenute Amministrazioni il cui comportamento omissivo, oltre che dal riferito contenzioso davanti al Giudice amministrativo, sarebbe stato stigmatizzato (quale vulnus normativo) finanche con un'interrogazione parlamentare (versata in atti).

L’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica e del Ministero della Difesa, si è costituita in giudizio in data 9.6.2017, depositando articolata memoria difensiva con la quale ha chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità e/ o improponibilità del ricorso e delle avverse domande, ovvero che sia respinto nel merito perché infondato, previa, occorrendo, declaratoria di non rilevanza e manifesta infondatezza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale. Con vittoria di spese.

A sostegno delle rassegnate conclusioni è stato dedotto quanto segue.

In via preliminare, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad agire in quanto i ricorrenti sono tutti in servizio, e nei loro confronti non si è ancora perfezionata la fattispecie costituiva del diritto a pensione. Ciò, alla luce della giurisprudenza contabile, priverebbe di rilevanza anche la prospettata questione di legittimità costituzionale, in ragione dell'insussistenza di una condizione dell'azione. Peraltro, detta questione sarebbe, comunque, da ritenersi manifestamente infondata, stante la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha statuito che spetta al Legislatore il potere di determinare il trattamento pensionistico da riconoscere ai pubblici dipendenti, variandone la consistenza e le modalità in relazione alle circostanze temporali, senza che da ciò derivi una discriminazione tra pensionati costituzionalmente rilevante, fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (Corte Cost., n. 30/2004 e Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio, n. 1127 in data 7 novembre 2012).

In ogni modo, per quanto concerne la dedotta ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento, gli stessi ricorrenti avrebbero riferito l’effetto lesivo alla mancata piena attuazione delle norme censurate, non venendo in rilievo, conseguentemente, profili di incostituzionalità discendenti dalle medesime disposizioni (Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per la Regione Piemonte sentenza n. 4/2016, e Sez. Giurisdizionale per la Regione Lazio sentenza n. 208 del 15.6.2016).

Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ha sottolineato la correttezza dell’operato delle Amministrazioni convenute, rilevando come, in relazione ai contenziosi promossi per il mancato avvio delle trattative negoziali, la giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva, o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione, sono titolari di un interesse finale e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti "negoziali". Quest’ultimo sarebbe rinvenibile esclusivamente in capo alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e/o ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali di interessi collettivi (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5698/ 2011; T. A.R Lazio, sez. I, sentenze n. 2092/2011 e nn. 7448, 7456 e 7458 del 2010).

Del pari improponibile ed inammissibile, sia sotto il profilo del difetto di giurisdizione, sia per difetto di un interesse concreto e attuale, e comunque del tutto infondata ed indimostrata, sarebbe la domanda risarcitoria avanzata dai ricorrenti in via subordinata.

Difatti, in pendenza del rapporto di lavoro, e in assenza di maturazione dei requisiti per il riconoscimento del diritto a pensione, non sarebbe ravvisabile alcun pregiudizio attuale derivato da inadempimento di obbligazioni o prestazioni pensionistiche (Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Regione Piemonte n. 4 del 18.1.2016).

Peraltro, la richiesta di liquidazione dell'asserito danno in via equitativa sarebbe inammissibile anche sotto il diverso profilo della mancata prova della sussistenza del medesimo, ovvero di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata (Cass. n. 15585/2007 e n. 4948/2013).

È stata, infine, eccepita l'intervenuta prescrizione dei diritti e crediti a qualunque titolo azionati dai ricorrenti, e formulata specifica contestazione degli assunti e conclusioni della perizia di parte nonché degli avversi conteggi e tabelle riassuntive.

L’INPS si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 9 giugno 2017, con la quale sono state formulate le seguenti conclusioni:

a) in via preliminare, che sia dichiarato il parziale difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, in merito alle domande relative a TFS o TFR, comunque formulate;

b) sempre in via preliminare, che sia dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'INPS, con riferimento alla domanda di risarcimento danni e di mancato avvio della previdenza complementare;

c) nel merito, che il ricorso sia respinto, in quanto infondato in fatto e diritto, anche con riferimento all'eccepita inammissibilità, e, comunque, non provato nei confronti dell’INPS. In ogni caso, col favore delle competenze professionali come per legge.

Nell’articolato atto defensionale l’Istituto previdenziale ha mosso preliminari eccezioni di inammissibilità avuto riguardo, per un verso, alla mancanza di una previa istanza amministrativa (ex art. 71 lett. b) del R.D. 13 agosto 1933 n. 1038, poi sostituito dall’art. 153 lett. B, D.lgs. n. 174/2016), come da sempre affermato, e da ultimo ribadito dalla giurisprudenza contabile (ex multis Sezione Toscana n. 105/2015; n. 62/2016; n. 6/2017), mentre per altro profilo, il ricorso sarebbe inammissibile per estrema genericità, mancando qualsiasi elemento utile ad identificare le singole posizioni asseritamente lese, non essendo stata indicati in ricorso, né altrimenti documentati, gli elementi che connotano la posizione individuale di ciascuno dei ricorrenti.

Ha anche eccepito il difetto parziale di giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alla domanda di "condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni conseguenti al mancato avvio delle procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto" e, comunque, in merito a tutte le domande relative a TFS o TFR, trattandosi di materia estranea a quella rimessa al giudice contabile, e soggetta alla giurisdizione del Tribunale ordinario quale Giudice del Lavoro, ovvero del Giudice Amministrativo.

Ha, ancora, eccepito la carenza di propria legittimazione passiva, con conseguente estromissione del giudizio, in ragione del fatto che l'attuale quadro normativo non assegna all'Ente previdenziale alcun ruolo attivo nella "creazione e/o istituzione" dei Fondi di previdenza complementare.

Nel merito, ripercorsa la disciplina normativa dettata in materia di previdenza complementare e di trattamento di fine rapporto/servizio, ha evidenziato come, in ossequio ai principi generali, spetterebbe solamente al Legislatore stabilire tempi e modalità di eventuali riforme in tema o, al più, laddove espressamente previsto, ad accordi la cui sottoscrizione vede protagoniste le Organizzazioni sindacali, in rappresentanza delle categorie dei lavoratori interessati.

Pertanto, nessuna responsabilità potrebbe essere attribuita all'INPS, giacché privo di qualunque potere al riguardo.

A non voler considerare che, allo stato attuale, nessun pregiudizio potrebbe dirsi dimostrato e dimostrabile, sia sotto il profilo dell'an che del quantum, essendo i ricorrenti tuttora in servizio; difatti, solamente al momento del loro collocamento a riposo sarà possibile verificare, alla luce delle disposizioni di legge in vigore, la misura del trattamento pensionistico concretamente conseguito rispetto a quello che sarebbe spettato in forza di diverse disposizioni di legge e così determinare, ove ne ricorrano i presupposti, quella eventuale variazione in peius, solo asserita nell’atto introduttivo del giudizio, come precisato dalla stessa giurisprudenza contabile (sentenze Sez. giurisdizionale Lazio, n. 1127 del 2012 e n. 83 del 2016).

Sul punto, è stato ulteriormente rilevato che i conteggi contenuti nella perizia versata in atti dai ricorrenti (cfr. doc. 17 del fascicolo di parte), espressamente contestati, non solo sarebbero inutilizzabili nei confronti dell’INPS, ma altresì del tutto ipotetici, e comunque errati, perché non conformi alle norme che disciplinano la materia, sia in ordine al criterio proposto, fondato su scelte soggettive dei parametri di riferimento, che per il quantum preteso; mancherebbe, inoltre, ogni riferimento alla posizione dei singoli ricorrenti, in ragione dell’assenza di qualsivoglia elemento idoneo a chiarirne la posizione contributiva, fermo restando che trattasi in ogni caso di materia che esulerebbe dalla giurisdizione della Corte dei Conti.

Con riferimento, infine, alla prospettata violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché dei principi di equa retribuzione e proporzionalità, di cui agli artt. 36 e 38 Cost., l’INPS ha precisato che la questione di legittimità costituzionale sarebbe manifestamente infondata, sia perché mancherebbe, in riferimento all’art. 3 Cost., il tertium comparationis, sia in quanto la giurisprudenza della Consulta sarebbe ormai del tutto consolidata nel ritenere che spetti alla discrezionalità del Legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, ma ciò alle stregua delle risorse finanziare attingibili e fatta salva, ovviamente, la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (C. Cost. sent. n. 30 del 2004).

Con memoria depositata in data 09.06.2017 il difensore dei ricorrenti, in riscontro alle eccezioni sollevate dalle convenute amministrazioni, ha insistito per l’accoglimento del ricorso, specificando ulteriormente quanto segue:

a) sussisterebbe l’interesse attuale e concreto dei ricorrenti, come di recente riconosciuto dalla Sez. Abruzzo, con sentenza n. 40/2017, stante la compiuta esposizione delle ragioni di fatto e diritto poste a fondamento della domanda giudiziale, sia quella principale concernente il sistema pensionistico da applicare, sia quella subordinata riguardante la richiesta risarcitoria, alla prima indissolubilmente legata, contenente gli elementi necessari per la quantificazione del danno;

b) non rileverebbe, inoltre, la mancanza di una previa istanza amministrativa, stante il sostanziale silenzio-rifiuto dell’Amministrazione di appartenenza a provvedere sulle istanze presentate, come stabilito dalla Sez. Lazio, con sentenza n. 83/2016, con la quale è stato altresì riconosciuto il diritto dei ricorrenti ad avere una pronuncia di merito, dopo la corretta declaratoria di difetto di giurisdizione del Tar Lazio al quale si erano rivolti;

c) contrariamente a quanto dedotto dalle Amministrazioni convenute, sarebbero stati forniti gli elementi utili al fine di rendere pronuncia nel merito della vicenda, avuto riguardo alla posizione giuridica lesa: tutti i ricorrenti, accomunati dall’avere un’anzianità di servizio che al 31.12.1995 non superava i 18 anni, o dall’essere neoassunti dall’1.1.1996, dopo l’entrata in vigore della legge di riforma (c.d. Dini), si sarebbero visti, indistintamente, mutare il sistema di calcolo del loro trattamento pensionistico (da “retributivo” a “contributivo”), e trattenere i correlati contributi previdenziali.

Tale posizione giuridica “fattuale”, chiaramente espressa nel ricorso introduttivo del giudizio, sarebbe l’elemento essenziale per valutare, in via principale, la disapplicazione di una norma di legge per incostituzionalità, essendo stati tutti penalizzati dal diverso sistema di calcolo della futura pensione introdotto con la legge n.335/1995.

Per la domanda di risarcimento del danno, avanzata in subordine, è stato evidenziato che la mancanza di alcuni dati personali dei ricorrenti, sebbene necessari ai fini del calcolo del quantum effettivamente dovuto a ciascuno di loro, non precluderebbe una pronuncia giudiziale di mero accertamento, secondo i criteri indicati in perizia e non contestati, rinviando a momenti e sedi diverse la quantificazione dell’effettivo danno subito dai singoli, o disponendo a tal fine una consulenza tecnica d’ufficio, previa acquisizione dei dati personali dei ricorrenti presso le Amministrazioni convenute, in applicazione del c.d. principio dispositivo, avendo i ricorrenti medesimi, per parte propria, prodotto in atti le prove documentali che è stato possibile reperire ai fini dell’accertamento dell’an e del quantum del danno patrimoniale richiesto.

Il legale di parte ricorrente ha specificato, inoltre, che sussisterebbe la legittimazione passiva delle Amministrazioni convenute e dell’INPS, e la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alla domanda subordinata di risarcimento del danno, fondata non tanto sulle mancate prestazioni (TFR) relative alla c.d. previdenza complementare, quanto sulla mancata colpevole attivazione del secondo pilastro pensionistico e sul connesso silenzio-rifiuto formatosi al riguardo.

Ha, quindi, insistito per l’accoglimento del ricorso, ritenendo attuale la domanda proposta, non emergendo, dagli interventi legislativi succedutisi nel tempo, una riconsiderazione della materia in termini più favorevoli per i ricorrenti, pur dando atto dell’esistenza di un disegno di legge (DDL) S. 2381 XVII Legislatura - disposizioni in materia di previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del soccorso pubblico – presentato in Senato in data 11.05.16 ed assegnato il successivo 28 giugno all’11° Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) in sede referente, che si prefiggerebbe l’obiettivo di porre rimedio all’annosa questione (il cui testo è stato riportato nell’atto difensivo).

Con note d’udienza depositate in data 19 giugno 2017, l’Avvocato MANDOLESI, nel ribadire la peculiarità della questione, ha evidenziato come le Amministrazioni convenute, nel dispiegare difese identiche a quelle formulate per altri ricorsi, avrebbero particolarmente insistito per la condanna alle spese. Al riguardo, nel sottolineare la novità e la unicità della vicenda nel panorama del pubblico impiego, ha chiesto, nella scongiurata ipotesi di rigetto del ricorso, l’integrale compensazione delle spese.

Venuto in discussione il giudizio all’udienza del 21 giugno 2017, con ordinanza n. 117/2017, in applicazione degli artt. 29 CGC e 182 c.p.c., è stato assegnato alla parte ricorrente il termine perentorio del 24 ottobre 2017, per il deposito in Segreteria di una valida procura alle liti, posto che quelle esibite, trasmesse mediante posta elettronica certificata in allegato al messaggio con il quale è stato trasmesso il ricorso, non contenevano riferimenti univoci al giudizio instaurato (ex art. 5, comma 6 del decreto del Presidente della Corte dei conti n. 98 del 21 ottobre 2015).

Con nota pervenuta alla Segreteria della Sezione il 23 ottobre 2017, l’Avvocato MANDOLESI, precisato che tutti i ricorrenti appartengono all’Arma dei Carabinieri , ha fatto presente che i signori M. G.; A. R. M. e V. P. sono stati indicati due volte nel ricorso introduttivo, e che per i signori E. B., R. F. e A. P. erano stati commessi errori di trascrizione nei dati anagrafici (sempre nel ricorso).

Ha poi, compiuto un’elencazione dei ricorrenti, distinguendo tra coloro che avevano conferito la procura alle liti, depositata in ottemperanza all’ordinanza e quelli che invece detta procura non avevano conferito.

Dal riscontro operato con gli atti di causa risulta non esibita la procura alle liti, oltre che per i ricorrenti indicati dalla difesa, anche per i signori D. M. A.; M. A. R. e V. P., i quali, va precisato, non figurano nella memoria in atti neppure tra coloro i quali hanno conferito detta procura.

Con ulteriore memoria integrativa, depositata in data 10 novembre 2017, la difesa dei ricorrenti, in relazione all’eccepita inammissibilità del ricorso per mancanza di una previa istanza amministrativa, ha specificato che in casi analoghi l’INPS si sarebbe limitato a riscontrare le specifiche domande sempre in termini generali e con clausole di stile e che, nel caso di specie, non rileverebbe né la singola posizione pensionistica lesa, né il previo esperimento della via amministrativa, essendo l’Istituto obbligato ad adottare, per legge, il sistema di calcolo delle pensioni secondo il metodo contributivo. Infine, con riferimento alle spese di giudizio, ha sottolineato che, in casi analoghi, anche due recentissime pronunce della Sezione Lombardia ne avrebbero disposto la compensazione (sentenze n. 81/2017 e 99/2017).

Con successive note d’udienza, pervenute in data 15 novembre 2017, l’Avvocato MANDOLESI ha ulteriormente rimarcato la stretta connessione intercorrente tra la riforma pensionistica e l’attuazione della previdenza complementare, come peraltro implicitamente riconosciuto dalle Amministrazioni convenute (il Ministero dell’Interno, nella memoria depositata per analogo giudizio, e l’INPS, Direzione Centrale Pensioni, nella nota trasmessa al difensore dei ricorrenti in risposta a diffide inoltrate da altri soggetti, versata in atti e priva di data).

La causa è stata esaminata all'udienza del 23 novembre 2017, nel corso della quale l’Avvocato SCAMUTZI, nell’interesse dei ricorrenti, ha integralmente richiamato le memorie in atti.

L’Avvocato DOA, per l’INPS, nel richiamare a sua volta le difese e conclusioni in atti, ha insistito per il difetto di legittimazione passiva dell’Istituto.

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FINE PRIMA PARTE
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