esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
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esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da militare37 »
Buonasera,
premetto che oggi , 5 novembre 2014,sono stato riformato per aver superato i 730 giorni nel quinquennio per motivi di salute.
L'11 settembre 2014 mi e' stato avviato un esame del giudicato penale, a seguito di una sentenza penale militare, passata in giudicato.
La domanda e': che seguito avrà quell'esame del giudicato penale in corso se il sottoscritto e' stato, nel frattempo, riformato con idoneità a passaggio ruolo civile???
potevano avviare un esame del giudicato penale essendo il sottoscritto in convalescenza???
potrebbe essere che l'esame del giudicato penale , mi crea problemi al successivo (tra pochi mesi) passaggio a ruolo civile????
grazie infinite a tutti.
premetto che oggi , 5 novembre 2014,sono stato riformato per aver superato i 730 giorni nel quinquennio per motivi di salute.
L'11 settembre 2014 mi e' stato avviato un esame del giudicato penale, a seguito di una sentenza penale militare, passata in giudicato.
La domanda e': che seguito avrà quell'esame del giudicato penale in corso se il sottoscritto e' stato, nel frattempo, riformato con idoneità a passaggio ruolo civile???
potevano avviare un esame del giudicato penale essendo il sottoscritto in convalescenza???
potrebbe essere che l'esame del giudicato penale , mi crea problemi al successivo (tra pochi mesi) passaggio a ruolo civile????
grazie infinite a tutti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da nabboni »
Che domande, certo che avrai problemi. Già quando le questioni sono limpidissime creano dei problemi, figurati in questo caso. Allora, di norma, l'amministrazione civile sospende la procedura di transito in attesa della definizione della fattispecie penale (e questo non è previsto, ma laddove avverrà, dovrai ricorrere al TAR, vi è giurisprudenza consolidata in materia. Se cerchi nel forum le sentenze che riporta il Grande Panorama ne avrai a bizzeffe. Però ti costringono a ricorrere). Inoltre, la tua amministrazione di provenienza, ti aprirà un procedimento disciplinare di Stato che in base al giudicato penale infliggerà la dovuta sanzione (diciamo che adesso la rimozione va parecchio in voga anche per un non nulla).
Per la questione della convalescenza, in base alla patologia, potresti cercare, per motivate ragioni, di rinviare il più possibile l'esame della trattazione (altrimenti rischiano la violazione del diritto alla difesa) e le tue eventuali memorie difensive.
Questo in estrema trasparenza.
Per la questione della convalescenza, in base alla patologia, potresti cercare, per motivate ragioni, di rinviare il più possibile l'esame della trattazione (altrimenti rischiano la violazione del diritto alla difesa) e le tue eventuali memorie difensive.
Questo in estrema trasparenza.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
(diciamo che adesso la rimozione va parecchio in voga anche per un non nulla).
Buonasera, mi rivolgo a nabboni: cortesemente, potresti spiegare cosa intendi "per un non nulla"?
Grazie.
Buonasera, mi rivolgo a nabboni: cortesemente, potresti spiegare cosa intendi "per un non nulla"?
Grazie.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da nabboni »
Reati molto lievi e anche per la multa (multa intesa quella penale Reclusione-Multa; Arresto-Ammenda).
Saluti.
Saluti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Buonasera,nabboni ha scritto:Reati molto lievi e anche per la multa (multa intesa quella penale Reclusione-Multa; Arresto-Ammenda).
Saluti.
chiedo scusa, ma io non penso proprio che sia così, altrimenti si potrebbe ricorrere alla sanzione di stato della destituzione anche per una semplice guida in stato di ebbrezza.
E la proporzionalità della sanzione dove è andata a finire?
Riporto uno stralcio del capitolo 5 della "Guida tecnica - norme e procedure disciplinari" 3^ edizione anno 2011 - Ministero della Difesa Direzione generale per il personale militare:
Le sanzioni di stato
a. Premessa. Le sanzioni di stato sono provvedimenti discrezionali afflittivi che comportano il venir meno (in via temporanea o definitiva) del rapporto di impiego pubblico e, a differenza delle sanzioni di corpo, producono effetti al di fuori dell’organizzazione militare (vedasi in tema quanto già ampiamente esposto nel primo capitolo relativo ai principi generali su cui si fonda la disciplina militare). Esse, pertanto, attengono a violazioni della disciplina che rendono inconciliabile, in maniera assoluta, la permanenza del soggetto nell’ambito militare. Esse hanno finalità retributiva, in senso morale oltre che prettamente giuridico, in quanto il soggetto è responsabile delle sue azioni ed è giusto che, nel bene e nel male, risponda delle conseguenze del suo comportamento. Le sanzioni in esame esplicano, altresì, funzioni di prevenzione generale, nel senso di dissuadere la compagine militare dal commettere ulteriori infrazioni disciplinari, nonché di prevenzione speciale, in quanto sono dirette all’autore della mancanza al fine di impedirgli di commettere altri illeciti disciplinari. Non ultima è la finalità prettamente rieducativa o di emenda che, tuttavia, caratterizza solo alcuni di tali provvedimenti, dal momento che riguarda esclusivamente il soggetto che può essere in qualche modo recuperato alle regole del consorzio militare (rectius “sospeso”), ma non quello che si vuole allontanare definitivamente, in quanto non meritevole di rivestire qualunque grado gerarchico (nel caso di “perdita del grado per rimozione”). La disciplina di stato è contraddistinta da peculiarità che attengono alla relativa procedura di accertamento, nonché ai soggetti destinatari delle sanzioni che comprendono anche il personale cessato dal servizio effettivo e quindi in congedo, per fatti commessi durante il servizio alle armi, quando sussista un interesse giuridicamente rilevante dell’amministrazione in conseguenza di un pregiudizio all’efficiente perseguimento degli obiettivi istituzionali propri dell’organizzazione militare, per la cui tutela è funzionale l’osservanza della disciplina militare. L’articolo 1357 del codice, nel riprodurre tutte le disposizioni contenute nelle preesistenti leggi di stato, fa un’elencazione omogenea delle sanzioni disciplinari in esame, applicabile a tutti i militari, indipendentemente dalla forza armata e dal grado rivestito. Tale classificazione comprende: – la sospensione disciplinare dall’impiego; – la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado; – la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare; – la perdita del grado per rimozione.
b. La sospensione disciplinare dall’impiego (o dalle funzioni del grado).
(1) Nozione e scopo. La sospensione disciplinare dall’impiego consiste nell’allontanamento temporaneo del militare dall’ufficio e comporta il venir meno, per un tempo determinato, dell’obbligo di effettuare la relativa prestazione lavorativa. Essa rientra nel più ampio genus della sospensione dall’impiego di cui all’articolo 885, primo comma del codice, il quale dispone che il militare può essere sospeso per motivi penali, disciplinari o precauzionali. Il riferimento all’impiego, previsto relativamente alle categorie dei sottufficiali e degli ufficiali, in luogo del servizio, contemplato per i ruoli iniziali (militari in servizio temporaneo), trova la sua ratio nella necessità di evidenziare l’omogeneità delle posizioni di stato di tutti i militari in servizio permanente e, dunque, forniti di un
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rapporto di impiego (articolo 893 del codice), rapporto di cui sono invece sprovvisti i militari in servizio temporaneo (a tempo determinato) in ferma o rafferma.
(2) Presupposti. La legge non precisa le fattispecie che ne costituiscono il presupposto; pertanto, sulla base del principio di proporzionalità, si deve ritenere che l’infrazione disciplinare dalla quale consegue la sospensione disciplinare dall’impiego debba essere meno grave di quelle che comportano l’adozione del provvedimento espulsivo della perdita del grado per rimozione. In ordine agli aspetti procedurali, l’articolo 1379, primo comma del codice prescrive che essa è adottata a seguito di inchiesta formale, senza necessità di deferire l’inquisito ad una commissione di disciplina.
(3) Durata. Il provvedimento di sospensione disciplinare ha una durata variabile che oscilla da un minimo di 1 (uno) ad un massimo di 12 (dodici) mesi. Ai fini di un equilibrato esercizio del potere disciplinare, naturalmente, costituisce un obbligo per l’amministrazione graduare l’importanza della misura disciplinare in rapporto alla gravità del fatto accertato ed al grado di responsabilità del soggetto.
Ti invito a riflettere su quanto esplicato al punto (3), in particolare sul fatto che:
"Ai fini di un equilibrato esercizio del potere disciplinare, naturalmente, costituisce un obbligo per l’amministrazione graduare l’importanza della misura disciplinare in rapporto alla gravità del fatto accertato ed al grado di responsabilità del soggetto.".
Quindi, la destituzione, sanzione massima di stato, potrà essere inflitta in seguito a condanne scaturite da procedimenti penali relativi a reati di consistente gravità e non certamente per reati "bagatellari" o, come tu dici, "per un non nulla", per il semplice fatto che l'amministrazione è "TENUTA" a rispettare la gradualità della sanzione da infliggere.
E se così non fosse, per qualche oscuro motivo, la destituzione inflitta per "un non nulla", sarebbe annullata giurisdizionalmente.
Detto ciò, eviterei di creare pericolosi allarmismi, a meno di portare esempi pratici, fatti realmente accaduti, a suffraggioo di ciò che si sostiene.
Infine rassicuro tutti coloro che mi hanno scritto in privato, in merito alle loro vicende personali.
Saluti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da nabboni »
Innanzitutto premetto che la guida tecnica operativa citata la conosco a memoria (e io l'ho anche utilizzata più di una volta, proprio in casi di mancata attinenza). La proporzionalità della sanzioni vale in tutti i campi. E allora cosa mi dici dei 14 anni inflitti a Corona per aver ottenuto un pò di soldi per non pubblicare delle foto senza estorcere un bel nulla? Ad un collega per una multa penale di 1000 €, gli hanno proposto la destituzione, attualmente dopo appropriati interventi è stato sospeso il procedimento (si badi sospeso). Anche per l'esempio fornito, se al posto della guida in stato di ebrezza, ci fosse la guida sotto l'uso di sostanze stupefacenti, la destituzione non gliela toglie nessuno e la differenza non è poi così marcata. Secondo me, qui nel forum ci sarebbero centinaia di colleghi che potrebbero riportare casi incredibili di sproporzionalità. Poi, sul fatto di vincere il ricorso al TAR, tutto abbastanza vero, ma intanto se non ottieni subito una sospensiva, ti destituiscono per anni fino alla sentenza definitiva.
Questo non è allarmismo, è realtà. Poi ognuno fa come meglio crede, ci mancherebbe.
Questo non è allarmismo, è realtà. Poi ognuno fa come meglio crede, ci mancherebbe.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da militare37 »
volevo precisare che io sono stato condannato a 8 mesi pena sospesa e No menzione casellario giudiziale, per il reato di insubordinazione con ingiuria e minaccia. Per questo non credo ci sia la perdita del grado ma credo al max un paio di mesi di sospensione dal servizio anche se sono ad oggi in aspettativa al transito a ruolo civile.Questo reato e' già passato in giudicato, ma essendo emersi nuovi elementi, il mio Avvocato sta producendo Revisione del processo e molto probabile usciamo assolti.Ora mi chiedo: se in questi giorni faccio la revisione, in attesa del processo di revisione,che succederà all'esame del giudicato penale??? e al passaggio a ruolo civile??? si congela tutto ( cioe' si ferma tutto), in attesa che la revisione abbia il suo risultato??????
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da nabboni »
In base al reato, le tue conclusioni sarabbero più o meno giuste, ma per me fai bene (soprattutto se innocente) a chiedere la revisione, anzi io sarei andato, comunque fino alla cassazione, sin da subito senza far diventare definitiva la sentenza di I° grado. Di regola, per il transito agli impeghi civili, si congela tutto,ma ciò non sarebbe previsto, ma per opporti dovrai fare ricorso al TAR.militare37 ha scritto:volevo precisare che io sono stato condannato a 8 mesi pena sospesa e No menzione casellario giudiziale, per il reato di insubordinazione con ingiuria e minaccia. Per questo non credo ci sia la perdita del grado ma credo al max un paio di mesi di sospensione dal servizio anche se sono ad oggi in aspettativa al transito a ruolo civile.Questo reato e' già passato in giudicato, ma essendo emersi nuovi elementi, il mio Avvocato sta producendo Revisione del processo e molto probabile usciamo assolti.Ora mi chiedo: se in questi giorni faccio la revisione, in attesa del processo di revisione,che succederà all'esame del giudicato penale??? e al passaggio a ruolo civile??? si congela tutto ( cioe' si ferma tutto), in attesa che la revisione abbia il suo risultato??????
Saluti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da militare37 »
Ciao e grazie ancora delle voste risposte.
Io sono arrivato in cassazione e sono stato condannato anche li.
Per questo essendo che, sono emersi nuovi elementi, proponiamo revisione nelle prossime settimane con la speranza che me l'accolgono e ci tiri fuori qualcosa di positivo.
Io sono arrivato in cassazione e sono stato condannato anche li.
Per questo essendo che, sono emersi nuovi elementi, proponiamo revisione nelle prossime settimane con la speranza che me l'accolgono e ci tiri fuori qualcosa di positivo.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
...E quindi, per "un non nulla", forse non è il caso di paventare provvedimenti catastrofici...nabboni ha scritto:In base al reato, le tue conclusioni sarabbero più o meno giuste, ma per me fai bene (soprattutto se innocente) a chiedere la revisione, anzi io sarei andato, comunque fino alla cassazione, sin da subito senza far diventare definitiva la sentenza di I° grado. Di regola, per il transito agli impeghi civili, si congela tutto,ma ciò non sarebbe previsto, ma per opporti dovrai fare ricorso al TAR.militare37 ha scritto:volevo precisare che io sono stato condannato a 8 mesi pena sospesa e No menzione casellario giudiziale, per il reato di insubordinazione con ingiuria e minaccia. Per questo non credo ci sia la perdita del grado ma credo al max un paio di mesi di sospensione dal servizio anche se sono ad oggi in aspettativa al transito a ruolo civile.Questo reato e' già passato in giudicato, ma essendo emersi nuovi elementi, il mio Avvocato sta producendo Revisione del processo e molto probabile usciamo assolti.Ora mi chiedo: se in questi giorni faccio la revisione, in attesa del processo di revisione,che succederà all'esame del giudicato penale??? e al passaggio a ruolo civile??? si congela tutto ( cioe' si ferma tutto), in attesa che la revisione abbia il suo risultato??????
Saluti.
Saluti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da militare37 »
Non e' il discorso di fare catastrofismo o meno, ma di chiedere delucidazioni in merito in quanto ho una grandissima paura che essendo stato riformato da militare, mi gioco il posto civile, cioe' non me lo danno il transito a ruolo civile e mi trovo in mezzo ad una strada x una cosa da niente. grazie a tuttiskorpios ha scritto:...E quindi, per "un non nulla", forse non è il caso di paventare provvedimenti catastrofici...nabboni ha scritto:In base al reato, le tue conclusioni sarabbero più o meno giuste, ma per me fai bene (soprattutto se innocente) a chiedere la revisione, anzi io sarei andato, comunque fino alla cassazione, sin da subito senza far diventare definitiva la sentenza di I° grado. Di regola, per il transito agli impeghi civili, si congela tutto,ma ciò non sarebbe previsto, ma per opporti dovrai fare ricorso al TAR.militare37 ha scritto:volevo precisare che io sono stato condannato a 8 mesi pena sospesa e No menzione casellario giudiziale, per il reato di insubordinazione con ingiuria e minaccia. Per questo non credo ci sia la perdita del grado ma credo al max un paio di mesi di sospensione dal servizio anche se sono ad oggi in aspettativa al transito a ruolo civile.Questo reato e' già passato in giudicato, ma essendo emersi nuovi elementi, il mio Avvocato sta producendo Revisione del processo e molto probabile usciamo assolti.Ora mi chiedo: se in questi giorni faccio la revisione, in attesa del processo di revisione,che succederà all'esame del giudicato penale??? e al passaggio a ruolo civile??? si congela tutto ( cioe' si ferma tutto), in attesa che la revisione abbia il suo risultato??????
Saluti.
Saluti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Buonasera,
mi rivolgo a militare37:
chiedo scusa se non sono stato abbastanza chiaro, ma il mio precedente intervento non era rivolto a te, bensì era riferito a quanto prima dibattuto con nabboni, in merito al discorso del "non nulla", come da egli definito, oppure del reato "bagatellare", come invece definito dal sottoscritto, intendendo quindi, visto la natura e l'entità del reato in questione, che non è il caso di essere così drastici ed evocare la "destituzione", ma restare invece sul piano della pura oggettività, soprattutto quando si parla di cose inerenti questioni talmente delicate che, come giustamente tu dici, già di per sé infondono una "grandissima paura" a coloro che sono gli attori principali della storia.
Quindi, dopo l'intervento in cui riporti che pensi ad un provvedimento disciplinare della sospensione disciplinare di 2 mesi dal servizio, siccome nabboni si dice d'accordo con tale pensiero (contraddicendosi, secondo me, con quanto precedentemente da lui stesso affermato) e. siccome anch'io ritengo congruo e probabile un siffatto provvedimento (in base alla mia esperienza), ho voluto sottolineare quanto avevo precedentemente scritto in merito al principio della proporzionalità della sanzione da infliggere, in seguito alle conclusioni dell'autonomo accertamento dei fatti da parte dell'amministrazione, principio a cui l'amministrazione stessa è "TENUTA" ad aderire, come riportato nella "Guida tecnica", all'apposito capitolo.
Scusandomi ancora, spero questa volta di essere stato più chiaro.
Saluti.
mi rivolgo a militare37:
chiedo scusa se non sono stato abbastanza chiaro, ma il mio precedente intervento non era rivolto a te, bensì era riferito a quanto prima dibattuto con nabboni, in merito al discorso del "non nulla", come da egli definito, oppure del reato "bagatellare", come invece definito dal sottoscritto, intendendo quindi, visto la natura e l'entità del reato in questione, che non è il caso di essere così drastici ed evocare la "destituzione", ma restare invece sul piano della pura oggettività, soprattutto quando si parla di cose inerenti questioni talmente delicate che, come giustamente tu dici, già di per sé infondono una "grandissima paura" a coloro che sono gli attori principali della storia.
Quindi, dopo l'intervento in cui riporti che pensi ad un provvedimento disciplinare della sospensione disciplinare di 2 mesi dal servizio, siccome nabboni si dice d'accordo con tale pensiero (contraddicendosi, secondo me, con quanto precedentemente da lui stesso affermato) e. siccome anch'io ritengo congruo e probabile un siffatto provvedimento (in base alla mia esperienza), ho voluto sottolineare quanto avevo precedentemente scritto in merito al principio della proporzionalità della sanzione da infliggere, in seguito alle conclusioni dell'autonomo accertamento dei fatti da parte dell'amministrazione, principio a cui l'amministrazione stessa è "TENUTA" ad aderire, come riportato nella "Guida tecnica", all'apposito capitolo.
Scusandomi ancora, spero questa volta di essere stato più chiaro.
Saluti.
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da nabboni »
Cerco di essere più elementare. Quello che io ritengo plausibile e giusto come il collega, non significa che sarà ritenuto plausibile e giusto dall'Amministrazione, sono due cose ben distinte e quindi non misto proprio contraddicendo. Tra le tante, cito solo qualche recente sentenza, giusto per non inondare la discussione, per rendere l'idea di come si può comportare l'Amministrazione ed anche, purtroppo il giudice amminsitrativo:
N. 01458/2014REG.PROV.COLL.
N. 05369/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5369 del 2011, proposto da:
Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
*****************, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Avagliano, con domicilio eletto presso Fabio Moneta in Roma, via Carlo Poma, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sezione Staccata di SALERNO - SEZIONE I n. 13466/2010, concernente irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Domenico Ielpo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’ Avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tar della Campania – sede di Salerno - ha deciso – previa riunione- due ricorsi proposti dall’odierna parte appellata Signor *************.
Con il primo ricorso (n. 3809 del 2000), corredato da motivi aggiunti, l’odierno appellato aveva gravato il decreto n. 002477/10915 del 24.7.2000 del Vice Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, recante l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, nonché degli atti connessi, presupposti e consequenziali, ivi compresi l’atto di contestazione degli addebiti del 3.12.1999 e la deliberazione del 23.6.2000 con la quale il Consiglio di Disciplina aveva proposto di irrogare al predetto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
Con il secondo mezzo, (ricorso n. 2600 del 2001) l’odierno appellato aveva gravato il decreto n. 0191418 del 31.7.2001, con il quale il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 13.10.1995.
Erano state prospettate dall’ odierno appellato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
L’adito Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato improcedibile il primo ricorso, in quanto “superato” dalla successiva determinazione avente identico contenuto dispositivo, ed ha concentrato l’esame su quest’ultima.
Ha in proposito ripercorso il risalente contenzioso e le principali tappe infraprocedimentali che lo avevano contraddistinto ed ha rammentato che l’odierno appellato in data 13.10.1995 era stato sospeso dal servizio in quanto sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 323 c.p., in relazione a fatti asseritamente commessi mentre prestava servizio presso la Casa Circondariale di Salerno – Fuorni.
Il Tribunale Penale di Salerno, con sentenza della III Sezione n. 592 del 23.11.1998, lo aveva assolto perché i fatti ascrittigli non erano più previsti dalla legge come reato.
Notificata la citata sentenza all’Amministrazione Penitenziaria, questa non ne aveva disposto la riammissione in servizio, pur non essendo stato iniziato il procedimento disciplinare nei termini previsti dalle vigenti disposizioni: invece, solo con atto del 3.12.1999, era stata effettuata nei suoi confronti la contestazione degli addebiti.
Egli aveva conseguentemente gravato la prima determinazione destitutiva nell’ambito del ricorso di primo grado n. 3809 del 2000 ed aveva ottenuto dal Tar tutela cautelare(ordinanza cautelare n. 2313 del 6.12.2000): l’appello proposto dall’Amministrazione innanzi al Consiglio di Stato era stato dichiarato irricevibile(l’ordinanza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 2951 del 22.5.2001).
Egli aveva agito per l’ottemperanza alla detta ordinanza cautelare ed aveva ottenuto la reintegrazione del ricorrente (conseguita solo per effetto dell’ordinanza del Tar n. 770 del 21.6.2001, disponente l’esecuzione della precedente ordinanza cautelare n. 2313/2000).
Senonchè l’Amministrazione il giorno successivo alla reintegrazione del medesimo aveva revocato il provvedimento sanzionatorio originario e disposto nuovamente la propria destituzione: il provvedimento di destituzione originariamente impugnato era stato infatti revocato dall’amministrazione intimata con il decreto n. 0191418 del 31.7.2001: anche quest’ultimo tuttavia era stato impugnato con l’autonomo ricorso n. 2600/2001 in quanto esso aveva disposto nuovamente la destituzione dell’originario ricorrente.
Ciò premesso, il Tar ha posto in luce che i fatti contestati con entrambi i provvedimenti destituivi coincidevano con quelli per i quali il suddetto era stato sottoposto a processo penale per il reato di cui all’art. 323 c.p., conclusosi con la sentenza di assoluzione n. 592 del 23.11.1998 pronunciata dal Tribunale Penale di Salerno non essendo gli stessi fatti più previsti dalla legge come reato: essi, sul diverso piano della valutazione disciplinare, erano stati ritenuti dall’amministrazione intimata indicativi “della mancanza del senso dell’onore e del senso morale e del dovere”, mal coniugantisi con “il doveroso rispetto delle norme che ogni appartenente ad un Corpo dello Stato deve sempre dimostrare” e fonte di “pregiudizio per il rapporto di fiducia e di affidabilità sul quale inderogabilmente deve essere improntato il servizio”.
In particolare, i fatti addebitati (atto di contestazione degli addebiti del 3.12.1999) riposavano nell’avere l’appellato “in concorso con altre persone in numero superiore a cinque, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di agente di Polizia Penitenziaria durante il servizio prestato presso la Casa Circondariale di Salerno, abusando dei poteri e comunque violando i doveri inerenti il suo ufficio, procurare vantaggi, non patrimoniali, a vari detenuti introducendo direttamente o comunque favorendo l’introduzione all’interno della citata Casa Circondariale di generi alimentari e altri generi voluttuari proibiti, di telefonini cellulari, batterie e accessori per la ricarica delle stesse, utilizzati dai detenuti nonché la fuoriuscita di telefoni cellulari ed accessori dalla Casa Circondariale di Salerno dopo ogni utilizzazione ai fini di garantirne l’occultamento e la possibilità di ricarica”.
Il primo giudice ha poi rammentato che già nella pronuncia cautelare n. 2313 del 6.12.2000, era stato rilevato che “i fatti contestati al ricorrente sono espressamente ricompresi in fattispecie di illecito disciplinare comportanti sanzione diversa rispetto a quella inflitta (artt. 2, 3 e 5 d.lgs n. 449/1992)” e che non appariva “rispettato, anche in relazione al conseguente obbligo di esternazione, il principio di graduazione e proporzionalità”.
Tuttavia il primo ricorso doveva essere dichiarato improcedibile in quanto il provvedimento ivi gravato era stato sostituito da altro provvedimento, avente identico contenuto.
Quanto a quest’ultimo,il primo giudice ha affermato la fondatezza della censura intesa a lamentare la violazione nella quale era incorsa l’Amministrazione nel dare avvio al procedimento disciplinare, dei termini di cui all’art. 7, comma 6, d.lgs n. 449/1992, ai sensi del quale “quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione”.
Ciò in quanto, la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale Penale di Salerno nei confronti dell’odierno appellato (sentenza della Terza Sezione n. 592 del 23.11.1998), all’esito del processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti poi scrutinati sotto il profilo disciplinare, era stata depositata il 2 giugno 1999 ed era stata notificata all’ Amministrazione intimata nei giorni 1 ed 8 luglio 1999.
Alla stregua di tale cronologia, doveva rilevarsi la tardività dell’atto di contestazione degli addebiti, recante la data del 3.12.1999 (in quanto reso oltre il termine perentorio - centoventi giorni dalla data di pubblicazione della sentenza o quaranta giorni da quella della sua notificazione all’amministrazione - fissato dall’art. 7, comma 6, d.lgs n. 449/1992).
Il detto ritardo, già inficiante il provvedimento sanzionatorio del 24.7.2000, non poteva non ritenersi caratterizzare –ad avviso del Tar- anche il successivo provvedimento applicativo della sanzione della destituzione dal servizio, adottato in data 31.7.2001, dal momento che all’ordinanza cautelare del Tar n. 2313/2000, che aveva sancito la sospensione degli effetti del provvedimento originario sulla scorta di diversi (rispetto a quelli relativi alla tardività della contestazione evidenziati) profili di illegittimità, non poteva riconoscersi alcun effetto rinnovatorio del termine ormai irreversibilmente consumato: la citata ordinanza cautelare, aveva carattere sospensivo tout court, non rivestiva alcun contenuto propulsivo tale da imporre (e così fondare su di una base legittimante autonoma rispetto a quella normativa, temporalmente circoscritta nei termini evidenziati) la riedizione del potere amministrativo esercitato con il provvedimento originario.
Il (secondo) provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare della destituzione è stato, pertanto, annullato con assorbimento delle altre censure.
Il Tar ha invece dichiarato inammissibile, la domanda di condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno, siccome proposta con semplici memorie (depositate, in data 15.10.2010, agli atti dei giudizi introdotti con i ricorsi riuniti) e non nella forma, (processualmente appropriata trattandosi di domanda nuova) dei motivi aggiunti.
Avverso la sentenza in epigrafe l’amministrazione originaria resistente in primo grado ha proposto un articolato appello riepilogando l’andamento infraprocedimentale e facendo presente che le condotte accertate rendevano necessaria l’irrogazione della sanzione disciplinare.
L’appellato ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
All’adunanza camerale del 26 luglio 2011 la Sezione con la ordinanza n. 03289/2011
ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “ritenuto che l’appello cautelare in epigrafe non può essere accolto, ostando a ciò perlomeno – nella presente fase di sommaria delibazione della fattispecie – la tardività del procedimento disciplinare che, nella specie, ha determinato l’irrogazione della sanzione disciplinare per cui è causa ”;
Alla odierna pubblica udienza del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza dell’appello.
1.1. Quest’ultimo non muove infatti significative censure alla affermata tardività dell’avvio del procedimento disciplinare in pregiudizio dell’appellato.
2. L'art. 7, del D.Lgs. n. 449 del 1992 così dispone: L'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, in stato di arresto o di fermo o che si trovi, comunque, in stato di custodia cautelare, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
Fuori dei casi previsti nel comma 1, l'appartenente ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro, su proposta del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
In caso di mancata convalida dell'arresto o del fermo, e nei casi di cui al Capo V - Titolo I - Libro IV del codice di procedura penale, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà e con riserva di riesame del caso quando sul provvedimento penale si è formato il giudicato.
I relativi provvedimenti sono adottati dal Ministro, su proposta del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
Se il procedimento penale è definito con sentenza la quale dichiari che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti.
Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione.
Se il procedimento penale si conclude con sentenza di proscioglimento o di assoluzione per motivi diversi da quelli contemplati nel comma 5, la sospensione cautelare può essere mantenuta qualora venga iniziato o ripreso il procedimento disciplinare.
Il comma 6 della citata disposizione, quindi, scolpisce la seguente regola :"Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". Di recente la Sezione ha affermato che (Cons. Stato Sez. IV, 13-05-2011, n. 2942)” in riferimento alla decorrenza del termine, tale norma deve necessariamente essere interpretata in modo tale da garantire che l'azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, che suggeriscono di individuare il dies a quo del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l'esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l'Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio.”
Con riferimento al caso di specie, il giudice di prime cure ha rilevato che la contestazione ha avuto luogo ben oltre i termini (40 giorni dalla notifica, ma anche, a tutto concedere, 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza) dovendosi, pertanto, considerare intempestiva, secondo noto orientamento giurisprudenziale (Consiglio Stato, sez. IV, n. 3827/2007): la sentenza infatti era stata depositata il 2 giugno 1999 ed era stata notificata all’ Amministrazione intimata nei giorni 1 ed 8 luglio 1999, mentre l’atto di contestazione degli addebiti, recava la data del 3.12.1999.
2.1. Non v’è dubbio, pertanto, che ci si trovi al cospetto di un avvio del procedimento disciplinare ritardato rispetto al termine perentorio fissato nella detta disposizione.
2.2. A questo punto, avuto riguardo al concreto dipanarsi dell’azione amministrativa(come rammentato l’Amministrazione emise successivamente un nuovo procedimento avente stesso oggetto del primo -decreto n. 0191418 del 31.7.2001- parimenti gravato) il Collegio deve dare risposta a due –in parte connessi- quesiti.
Il primo di essi, riposa nella interpretazione da fornire in ordine al termine scolpito nella surriportata disposizione: occorre interrogarsi, quindi, sulla natura perentoria o meno del medesimo.
Il secondo, concerne le conseguenze discendenti dall’ eventuale giudizio di perentorietà del detto termine, e sulla possibilità che la eventuale violazione del medesimo possa essere successivamente “sanata” dall’Amministrazione mercè la emanazione di un (ulteriore) provvedimento che abbia lo stesso oggetto del primo.
2.2. 1. Quanto al primo profilo, non è dubitabile ad avviso del Collegio che il termine per l’inizio dell’azione disciplinare sia di natura perentoria, come anche in generale stabilito dalla condivisibile giurisprudenza per tutti i termini aventi tale natura (ex aliis: Consiglio di Stato sez. IV
21/05/2013 n. 2738).
La ratio della perentorietà del termine è quella di evitare la protrazione di rapporti di impiego con soggetti “eterni giudicabili” e, ovviamente, essa presidia anche la citata disposizione.
2.2.2. Quanto al secondo profilo, la natura perentoria del termine implica che la lesione al bene giuridico sotteso alla detta perentorietà, è immediata; si consuma istantaneamente; non è suscettibile di essere emendata dall’ Amministrazione.
Ritenere il contrario, comporterebbe una inammissibile smentita sostanziale della detta natura perentoria, ed implicherebbe anche una incomprensibile aporia sistematica: l’Amministrazione, soccombente in un giudizio che abbia dichiarato la inosservanza del detto termine annullando per tal ragione la sanzione, ne uscirebbe in sostanza vittoriosa se potesse ad nutum riesercitare il potere sanzionatorio, come se questo non si fosse giammai consumato.
Di converso, il destinatario del provvedimento risultato vittorioso sarebbe esposto alla intrapresa di una nuova azione disciplinare e, di conseguenza, la pronuncia giudiziale accertativa dell’avvenuto sforamento del termine (e, prima ancora, la stessa previsione legislativa del termine de quo) sarebbe inutiliter data.
2.3 Così non può essere, ovviamente e, pertanto, sotto tale assorbente profilo, il petitum appellatorio va integralmente disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
3. La natura della controversia, e la particolarità delle questioni esaminate consente ed impone la integrale compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
N. 09592/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01762/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1762 del 2011, proposto da ****************, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
previa adozione di misure cautelari,
del Decreto del Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 20.12.10, notificato in pari data, con il quale il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha destituito dal servizio "l'assistente della Polizia di Stato *****************, nato a Roma, il 1°.9.1963, …, a decorrere dalla data di notifica del presente provvedimento", nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, ivi inclusi la Deliberazione n. 27/2010 C.P.D. del 25.11.10 del Consiglio Provinciale di Disciplina, nonché l'istruttoria disciplinare, ai sensi dell'art. 19, D.P.R. n. 737/81, lettera di contestazione degli addebiti Cat.B1a n. 240/2010, della Questura di Roma, Commissariato di P.S. Distaccato "Civitavecchia", notificata in data 9.09.2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2014 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente - Assistente della Polizia di Stato, all’epoca dei fatti in servizio presso la Questura di Roma -, ha rappresentato di essere stato sottoposto ad un controllo il giorno 24.03.10, mentre era sospeso dal servizio, da parte di personale della Polizia Stradale di Roma, mentre era a bordo dell'autovettura Mercedes classe A. A seguito della richiesta degli operanti, egli ha mostrato la fotocopia del primo tesserino ottenuto entrando nella Polizia di Stato, che portava con sé quale proprio portafortuna. Sottoposto a perquisizione personale, estesa al veicolo indicato, il ricorrente ha volontariamente mostrato un dissuasore elettrico (non funzionante).
In tale circostanza, la fotocopia del tesserino indicato ed il dissuasore sono stati sottoposti a sequestro ed il 9.09.10 è stata notificata all’interessato la lettera di contestazione degli addebiti datata 7.09.2010, con la quale sono state contestate asserite mancanze disciplinari di cui all'art. 7, commi 2, 4, 6 del D.P.R. n. 737/81.
Successivamente, il Furlanetto si è assentato dal lavoro a causa di una malattia dal 17 al 28 novembre 2010 e dal 29 novembre al 13 dicembre 2010. La seduta conclusiva del Consiglio Provinciale di Disciplina è stata fissata il 25.11.10, giorno in cui il Furlanetto era "in malattia". Proprio in tale data, un'autoambulanza ha raggiunto la residenza dell’interessato al fine di prelevarlo e trasportarlo presso la sede destinata alla seduta del Consiglio Provinciale di Disciplina. Ma, il Furlanetto, impossibilitato a spostarsi, ha rifiutato il trasferimento, mentre, la seduta si è svolta, in violazione dell'art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 737/81.
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, la parte ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo i seguenti motivi di ricorso.
I) - DIFETTO DEI PRESUPPOSTI PER LO SVOLGIMENTO DELL'ISTRUTTORIA DISCIPLINARE AI SENSI DELL'ART. 19 DEL D.P.R. 737/81; CONTRADDITTORIETÀ PROCEDIMENTALE RISPETTO ALLA PREFIGURATA SEQUELA; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI FATTI IN SEDE DI CONTROLLO DI POLIZIA.
L'art. 19 del D.P.R. 737/81 prevede "l'istruttoria per l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione", stabilendo che la stessa "deve svolgersi attraverso le seguenti fasi: il capo dell'ufficio o il comandante del reparto che abbia notizia di un'infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento della pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all'autorità centrale competente a infliggere la sanzione; se invece appartiene al restante personale, informa il questore della provincia in cui lo stesso presta servizio. Le predette autorità, ove ritengano che l'infrazione comporti l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga a servizio diverso da quello dell'inquisito, e che rivesta qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell'incolpato. Per il funzionario istruttore valgono le norme sulla astensione e sulla ricusazione dei componenti i consigli di disciplina. Egli provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all'art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito ...".
Nel caso di specie, il procedimento disciplinare è stato avviato a seguito: - dell’asserita falsificazione e utilizzazione (all'atto di controllo descritto) di una tessera di riconoscimento della Polizia di Stato, al fine di comprovare la sua appartenenza ed il pieno esercizio delle proprie funzioni ad altro personale operante, in violazione dell'art. 7, comma 2, del D.P.R. 737/81, e dell'omessa dichiarazione di essere privo della tessera di riconoscimento, perché sospeso dal servizio; - della detenzione di un'arma propria atta ad offendere, in violazione dell'art. 7, comma 4, del D.P.R. 737/81; - della persistenza di riprovevole condotta, ritenuta violativa dell'art. 7, comma 4, del D.P.R. 737/81.
A parere del ricorrente, però, tali infrazioni non sarebbero state commesse, perché il Furlanetto non ha mostrato la copia del suo primo tesserino, né aveva l'intento di attestare la sua appartenenza alla Polizia di Stato, posto che la copia in questione era custodita, unitamente ai documenti di identità, quale portafortuna. Del resto, è chiaro che una fotocopia non possa essere mostrata al fine che è stato addebitato al ricorrente.
Per quanto concerne la seconda imputazione, il ricorrente ha affermato di custodire (all'interno della propria autovettura) non una pistola elettrica, ma un dissuasore elettrico inutilizzabile, detenuto dalla consorte quale mezzo di autodifesa, trasportato solo al fine di affidarlo ad un apposito centro per la riparazione. Il dissuasore elettrico, che non è classificabile quale arma, è utilizzato e legalmente venduto quale mezzo di autodifesa, senza alcuna necessità di licenza, al fine di allontanare l'eventuale aggressore grazie all'effetto momentaneo di stordimento ed alla sensazione di smarrimento e fastidio muscolare.
Pertanto, a parere del ricorrente, risulterebbe infondata anche la terza delle contestazioni indicate, posto che, confutati i fatti descritti, non sussisterebbe la persistenza di una ‘riprovevole condotta’.
Sarebbe, invece, irrilevante, sempre a parere dell’interessato, il possesso della placca metallica di dotazione personale, risultata originale ma denunciata dall'incolpato come smarrita e mai rinvenuta.
II) - ELUSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA; VIOLAZIONE DELL'ART. 20, COMMA 1, D.P.R. N. 737/81; VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 24 E 32, COST.; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCEDIMENTO e DELL'ORDINAMENTO COMUNITARIO AUDI ET ALTERAM PARTEM; VIOLAZIONE DELL'ART. 117 COST..
Il Consiglio Provinciale di Disciplina, omettendo di considerare l’assenza per malattia del ricorrente ed il suo diritto costituzionale alla salute, ha svolto la propria attività non consentendo all’interessato di partecipare alla seduta fissata per la trattazione del procedimento disciplinare, malgrado l'Assistente Capo della Polizia di Stato, Luana Martucci, difensore del ricorrente, avesse si fosse opposta al prosieguo della seduta ed avesse fatto verbalizzare la condizione del Furlanetto e la richiesta di proroga.
In tal modo, è stata compromessa la possibilità dell’incolpato di difendersi, con conseguente violazione dell'art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 737/81, e del principio del giusto procedimento, del principio comunitario "audi et alteram partem" e dell'art. 117, primo comma, Cost..
Evidenziate le censure mosse avverso il provvedimento impugnato, il ricorrente ha avanzato una richiesta istruttoria finalizzata all’acquisizione degli elementi di prova consistenti nell’asserita "tessera di riconoscimento" e nella "pistola elettrica", che sono stati sottoposti a sequestro, al fine di una precisa ricostruzione dei fatti da valutare per decidere la controversia.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
A sostegno delle proprie ragioni, l’Amministrazione ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza delle censure contenute nel ricorso.
Con ordinanza del 24 marzo 2011 n. 1072 il TAR ha respinto la domanda cautelare proposta dal ricorrente.
All’udienza del 17 luglio 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio ritiene che le censure di parte ricorrente siano infondate e debbano essere respinte.
Dall’esame degli atti di causa, emerge che il 24 marzo 2010, l'Assistente P.S. Furlanetto Roberto è stato sottoposto ad un controllo da parte di personale della Polizia Stradale di Roma, mentre era a bordo della propria autovettura. In tale occasione, egli si è qualificato quale agente della Polizia di Stato, esibendo una tessera di riconoscimento P.S. del ruolo Agenti/Assistenti unitamente alla placca distintiva.
All’esito dell’esame del documento indicato, sono emerse anomalie inerenti alla citata tessera quali, in particolare, il supporto cartaceo non era conforme allo standard richiesto (in quanto la tessera è risultata frutto di una scansione e di una operazione di plastificazione); il timbro non era corrispondente alle caratteristiche usuali; i caratteri non erano conformi a quelli generalmente utilizzati ed erano assenti i sistema di sicurezza usualmente utilizzati in tema di documenti di riconoscimento.
Ciò risulta indirettamente confermato dal fatto che l’originale della tessera era stato precedentemente ritirato a seguito dell’adozione del decreto del 3 novembre 2009, con il quale l’Amministrazione aveva irrogato nei confronti del Furlanetto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.
Per quanto concerne, poi, la placca distintiva, il Furlanetto ne aveva denunciato lo smarrimento in data 19 settembre 2006, salvo, poi, esibirla in occasione del citato controllo del 24 marzo 2010.
A ciò va aggiunto che a seguito del descritto controllo, l’interessato è stato sottoposto a perquisizione personale estesa al veicolo, nel corso della quale è stata rinvenuta (vicino al sedile anteriore destro) una pistola elettrica sprovvista di marchio della casa produttrice.
I fatti descritti hanno comportato l’avvio di un procedimento penale (per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 della legge n. 110/1975) e di un procedimento disciplinare a carico del Furlanetto, nell’ambito del quale, con provvedimento del 7 settembre 2010, è stato nominato il funzionario istruttore, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, che, in pari data, ha formulato a carico dell'incolpato la contestazione degli addebiti in relazione alla fattispecie prevista dall'art. 7, nn. 2, 4 e 6, del d.P.R. 737/81.
Il 18 marzo 2010, il dipendente, dopo aver ottenuto l'accesso agli atti ed una proroga per fornire le proprie giustificazioni, ha prodotto una memoria difensiva.
All’esito dell’istruttoria, il Questore di Roma ha deferito il Furlanetto al Consiglio Provinciale di Disciplina, il quale, in data 11 novembre 2010, accertato che non erano stati rispettati i termini previsti per la notifica al dipendente, al fine di garantire l'esercizio del diritto alla difesa, ha rinviato la seduta.
Riunitosi nuovamente il 25 novembre 2010, il citato Organo ha constatato l'assenza dell'incolpato, il quale aveva comunicato la propria assenza in quanto in congedo straordinario per malattia.
Al riguardo, come correttamente rilevato dalla difesa erariale, va considerato che il funzionario sanitario della Polizia di Stato ha attestato che l’incolpato era stato visitato presso la propria abitazione e, seppure affetto dalla patologia comunicata, era in condizione di deambulare e si era rifiutato di utilizzare l'ambulanza che gli era stata messa a disposizione per essere accompagnato presso gli uffici del Consiglio Provinciale di Disciplina.
Preso atto di ciò e della presenza del difensore dell'incolpato, il Consiglio Provinciale di Disciplina ha correttamente svolto la trattazione orale e – eseguiti gli adempimenti di cui all'art. 20 del d.P.R. 737/81 ed ascoltato il difensore (che ha, tra l’altro, evidenziato l’assenza dell’assistito, ritenuta giustificata dallo stato di malattia) -, ha giudicato il Furlanetto disciplinarmente responsabile ed ha proposto nei suoi confronti l'applicazione della sanzione della destituzione.
Con Decreto del Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 20 dicembre 2010, notificato in pari data, il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha condiviso tale proposta ed ha, conseguentemente, irrogato la sanzione della destituzione.
2. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene inverosimile la tesi del ricorrente secondo la quale, in occasione del descritto controllo di polizia del 24.03.10, egli avrebbe esibito la semplice fotocopia del tesserino, custodita come un ‘portafortuna’.
E’ evidente, in realtà, che il ‘tesserino’ in questione è stato esibito quale documento di riconoscimento per evitare di ammettere che l’originale della tessera era stato precedentemente ritirato a seguito dell’adozione del decreto del 3 novembre 2009, con il quale l’Amministrazione aveva irrogato nei confronti del Furlanetto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.
Altrettanto reprensibile risulta la circostanza avente ad oggetto la placca distintiva della Polizia di Stato, che il Furlanetto aveva denunciato come smarrita (sin dal 19 settembre 2006) e che, invece, è stata esibita in occasione del citato controllo del 24 marzo 2010: segno evidente che, o non era mai stata smarrita, ovvero l’interessato aveva omesso di dichiarare il rinvenimento.
Non meno significativo è il possesso, da parte del Furlanetto, della pistola elettrica sprovvista di marchio della casa produttrice (rinvenuta a seguito della perquisizione dell’auto dell’interessato), che ha comportato l’avvio di un procedimento penale nei suoi confronti per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 della legge n. 110/1975, posto che il ricorrente non ha neanche contestato quanto affermato dall’Amministrazione resistente circa il fatto che i dissuasori elettrici sono considerati armi comuni (delle quali è vietato il porto), contemplati nella legge n. 155/2005 con la quale è stato modificato l'art. 28 TULPS, prevedendo l’obbligo di chiedere ed ottenere una specifica licenza per detenerli.
Tali circostanze emergono e sono documentate in atti e, quindi, va disattesa l’istanza istruttoria di parte ricorrente tesa ad ottenere l’acquisizione della "tessera di riconoscimento" e della "pistola elettrica".
Ad ogni modo, a prescindere dalla rilevanza penale delle circostanze indicate, non risulta irrazionale l’aver contestato ad un appartenente alle Forze dell’ordine di aver assunto comportamenti reprensibili consistenti, oltre che nel porto di un dissuasore elettrico, nella violazione di precisi doveri assunti con il giuramento, quali, in particolare, l’aver esibito all’atto di un controllo di P.S. un tesserino contraffatto (in assenza dell’originale precedentemente ritirato a seguito dell’irrogazione di una sanzione disciplinare) e di una placca metallica (precedentemente dichiarata smarrita dall’interessato), con il fine di dimostrare l'appartenenza alla Polizia di Stato e il pieno esercizio delle sue funzioni, malgrado fosse sospeso dal servizio per motivi disciplinari.
3. Pur a voler prescindere dai precedenti disciplinari del ricorrente (tre, richiami scritti, undici pene pecuniarie e quattro sospensioni disciplinari) il Collegio osserva che la sanzione irrogata appare giustificata dalla gravità dei fatti addebitati al ricorrente e che, comunque, l’individuazione della pena disciplinare da irrogare nel caso concreto spetta a chi dispone del potere/dovere disciplinare, competendo al giudice amministrativo esclusivamente la verifica circa la presenza di errori manifesti o di vizi macroscopici che possono inficiare il procedimento o il provvedimento disciplinare.
In sostanza, in materia di sanzioni disciplinari, il principio di proporzionalità non può consentire al giudice amministrativo di sostituirsi alla valutazione dell'Amministrazione, essendo possibile solo verificare che l'atto sia sorretto da adeguata motivazione e basato su fatti e circostanze tali da indurre la medesima Amministrazione a considerarli incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 2012, n. 1993).
Nel caso di specie, da una parte, il procedimento disciplinare non risulta inficiato da errori o vizi manifesti o macroscopici, e, dall’altra, il provvedimento di destituzione non può ritenersi viziato sotto il profilo della proporzionalità, perché risulta congruamente motivato, basato sull’esame delle circostanze del caso concreto e sulla scelta (come detto, insindacabile) di ritenere le condotte poste in essere dal Furlanetto inconciliabili con le funzioni di un operatore di polizia, pregiudizievoli per il servizio e tali da rendere incompatibile la permanenza dell’interessato nella Polizia di Stato.
4. Altrettanto infondata risulta la censura con la quale il ricorrente ha contestato che il Consiglio Provinciale di Disciplina abbia dato seguito alla trattazione orale del procedimento disciplinare omettendo di considerare le precarie condizioni di salute del Furlanetto, violando, in tal modo, il suo diritto alla difesa.
L'art. 20 del d.P.R. n. 737/81, infatti, dispone che il Consiglio Provinciale di Disciplina avverte l'inquisito che "se non si presenterà, nè darà notizia di essere legittimamente impedito, si procederà in sua assenza".
Nella fattispecie, come sopra rilevato, l’Amministrazione aveva appurato che le condizioni di salute del Furlanetto non gli avrebbero impedito di partecipare alla seduta del Consiglio Provinciale di Disciplina (già in precedenza rinviata proprio per garantire all’interessato il diritto di difesa) e, quindi, correttamente, il procedimento disciplinare si è svolto e concluso alla sola presenza del difensore dell'incolpato.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo respinge;
- condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, che si liquidano in complessivi 2.500,00 (duemilacinquecento/00) euro, compresi gli onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Taglienti, Presidente FF
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Rita Tricarico, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01458/2014REG.PROV.COLL.
N. 05369/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5369 del 2011, proposto da:
Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
*****************, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Avagliano, con domicilio eletto presso Fabio Moneta in Roma, via Carlo Poma, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sezione Staccata di SALERNO - SEZIONE I n. 13466/2010, concernente irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Domenico Ielpo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’ Avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tar della Campania – sede di Salerno - ha deciso – previa riunione- due ricorsi proposti dall’odierna parte appellata Signor *************.
Con il primo ricorso (n. 3809 del 2000), corredato da motivi aggiunti, l’odierno appellato aveva gravato il decreto n. 002477/10915 del 24.7.2000 del Vice Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, recante l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, nonché degli atti connessi, presupposti e consequenziali, ivi compresi l’atto di contestazione degli addebiti del 3.12.1999 e la deliberazione del 23.6.2000 con la quale il Consiglio di Disciplina aveva proposto di irrogare al predetto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
Con il secondo mezzo, (ricorso n. 2600 del 2001) l’odierno appellato aveva gravato il decreto n. 0191418 del 31.7.2001, con il quale il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 13.10.1995.
Erano state prospettate dall’ odierno appellato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
L’adito Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato improcedibile il primo ricorso, in quanto “superato” dalla successiva determinazione avente identico contenuto dispositivo, ed ha concentrato l’esame su quest’ultima.
Ha in proposito ripercorso il risalente contenzioso e le principali tappe infraprocedimentali che lo avevano contraddistinto ed ha rammentato che l’odierno appellato in data 13.10.1995 era stato sospeso dal servizio in quanto sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 323 c.p., in relazione a fatti asseritamente commessi mentre prestava servizio presso la Casa Circondariale di Salerno – Fuorni.
Il Tribunale Penale di Salerno, con sentenza della III Sezione n. 592 del 23.11.1998, lo aveva assolto perché i fatti ascrittigli non erano più previsti dalla legge come reato.
Notificata la citata sentenza all’Amministrazione Penitenziaria, questa non ne aveva disposto la riammissione in servizio, pur non essendo stato iniziato il procedimento disciplinare nei termini previsti dalle vigenti disposizioni: invece, solo con atto del 3.12.1999, era stata effettuata nei suoi confronti la contestazione degli addebiti.
Egli aveva conseguentemente gravato la prima determinazione destitutiva nell’ambito del ricorso di primo grado n. 3809 del 2000 ed aveva ottenuto dal Tar tutela cautelare(ordinanza cautelare n. 2313 del 6.12.2000): l’appello proposto dall’Amministrazione innanzi al Consiglio di Stato era stato dichiarato irricevibile(l’ordinanza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 2951 del 22.5.2001).
Egli aveva agito per l’ottemperanza alla detta ordinanza cautelare ed aveva ottenuto la reintegrazione del ricorrente (conseguita solo per effetto dell’ordinanza del Tar n. 770 del 21.6.2001, disponente l’esecuzione della precedente ordinanza cautelare n. 2313/2000).
Senonchè l’Amministrazione il giorno successivo alla reintegrazione del medesimo aveva revocato il provvedimento sanzionatorio originario e disposto nuovamente la propria destituzione: il provvedimento di destituzione originariamente impugnato era stato infatti revocato dall’amministrazione intimata con il decreto n. 0191418 del 31.7.2001: anche quest’ultimo tuttavia era stato impugnato con l’autonomo ricorso n. 2600/2001 in quanto esso aveva disposto nuovamente la destituzione dell’originario ricorrente.
Ciò premesso, il Tar ha posto in luce che i fatti contestati con entrambi i provvedimenti destituivi coincidevano con quelli per i quali il suddetto era stato sottoposto a processo penale per il reato di cui all’art. 323 c.p., conclusosi con la sentenza di assoluzione n. 592 del 23.11.1998 pronunciata dal Tribunale Penale di Salerno non essendo gli stessi fatti più previsti dalla legge come reato: essi, sul diverso piano della valutazione disciplinare, erano stati ritenuti dall’amministrazione intimata indicativi “della mancanza del senso dell’onore e del senso morale e del dovere”, mal coniugantisi con “il doveroso rispetto delle norme che ogni appartenente ad un Corpo dello Stato deve sempre dimostrare” e fonte di “pregiudizio per il rapporto di fiducia e di affidabilità sul quale inderogabilmente deve essere improntato il servizio”.
In particolare, i fatti addebitati (atto di contestazione degli addebiti del 3.12.1999) riposavano nell’avere l’appellato “in concorso con altre persone in numero superiore a cinque, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di agente di Polizia Penitenziaria durante il servizio prestato presso la Casa Circondariale di Salerno, abusando dei poteri e comunque violando i doveri inerenti il suo ufficio, procurare vantaggi, non patrimoniali, a vari detenuti introducendo direttamente o comunque favorendo l’introduzione all’interno della citata Casa Circondariale di generi alimentari e altri generi voluttuari proibiti, di telefonini cellulari, batterie e accessori per la ricarica delle stesse, utilizzati dai detenuti nonché la fuoriuscita di telefoni cellulari ed accessori dalla Casa Circondariale di Salerno dopo ogni utilizzazione ai fini di garantirne l’occultamento e la possibilità di ricarica”.
Il primo giudice ha poi rammentato che già nella pronuncia cautelare n. 2313 del 6.12.2000, era stato rilevato che “i fatti contestati al ricorrente sono espressamente ricompresi in fattispecie di illecito disciplinare comportanti sanzione diversa rispetto a quella inflitta (artt. 2, 3 e 5 d.lgs n. 449/1992)” e che non appariva “rispettato, anche in relazione al conseguente obbligo di esternazione, il principio di graduazione e proporzionalità”.
Tuttavia il primo ricorso doveva essere dichiarato improcedibile in quanto il provvedimento ivi gravato era stato sostituito da altro provvedimento, avente identico contenuto.
Quanto a quest’ultimo,il primo giudice ha affermato la fondatezza della censura intesa a lamentare la violazione nella quale era incorsa l’Amministrazione nel dare avvio al procedimento disciplinare, dei termini di cui all’art. 7, comma 6, d.lgs n. 449/1992, ai sensi del quale “quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione”.
Ciò in quanto, la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale Penale di Salerno nei confronti dell’odierno appellato (sentenza della Terza Sezione n. 592 del 23.11.1998), all’esito del processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti poi scrutinati sotto il profilo disciplinare, era stata depositata il 2 giugno 1999 ed era stata notificata all’ Amministrazione intimata nei giorni 1 ed 8 luglio 1999.
Alla stregua di tale cronologia, doveva rilevarsi la tardività dell’atto di contestazione degli addebiti, recante la data del 3.12.1999 (in quanto reso oltre il termine perentorio - centoventi giorni dalla data di pubblicazione della sentenza o quaranta giorni da quella della sua notificazione all’amministrazione - fissato dall’art. 7, comma 6, d.lgs n. 449/1992).
Il detto ritardo, già inficiante il provvedimento sanzionatorio del 24.7.2000, non poteva non ritenersi caratterizzare –ad avviso del Tar- anche il successivo provvedimento applicativo della sanzione della destituzione dal servizio, adottato in data 31.7.2001, dal momento che all’ordinanza cautelare del Tar n. 2313/2000, che aveva sancito la sospensione degli effetti del provvedimento originario sulla scorta di diversi (rispetto a quelli relativi alla tardività della contestazione evidenziati) profili di illegittimità, non poteva riconoscersi alcun effetto rinnovatorio del termine ormai irreversibilmente consumato: la citata ordinanza cautelare, aveva carattere sospensivo tout court, non rivestiva alcun contenuto propulsivo tale da imporre (e così fondare su di una base legittimante autonoma rispetto a quella normativa, temporalmente circoscritta nei termini evidenziati) la riedizione del potere amministrativo esercitato con il provvedimento originario.
Il (secondo) provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare della destituzione è stato, pertanto, annullato con assorbimento delle altre censure.
Il Tar ha invece dichiarato inammissibile, la domanda di condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno, siccome proposta con semplici memorie (depositate, in data 15.10.2010, agli atti dei giudizi introdotti con i ricorsi riuniti) e non nella forma, (processualmente appropriata trattandosi di domanda nuova) dei motivi aggiunti.
Avverso la sentenza in epigrafe l’amministrazione originaria resistente in primo grado ha proposto un articolato appello riepilogando l’andamento infraprocedimentale e facendo presente che le condotte accertate rendevano necessaria l’irrogazione della sanzione disciplinare.
L’appellato ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
All’adunanza camerale del 26 luglio 2011 la Sezione con la ordinanza n. 03289/2011
ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “ritenuto che l’appello cautelare in epigrafe non può essere accolto, ostando a ciò perlomeno – nella presente fase di sommaria delibazione della fattispecie – la tardività del procedimento disciplinare che, nella specie, ha determinato l’irrogazione della sanzione disciplinare per cui è causa ”;
Alla odierna pubblica udienza del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza dell’appello.
1.1. Quest’ultimo non muove infatti significative censure alla affermata tardività dell’avvio del procedimento disciplinare in pregiudizio dell’appellato.
2. L'art. 7, del D.Lgs. n. 449 del 1992 così dispone: L'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, in stato di arresto o di fermo o che si trovi, comunque, in stato di custodia cautelare, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
Fuori dei casi previsti nel comma 1, l'appartenente ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro, su proposta del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
In caso di mancata convalida dell'arresto o del fermo, e nei casi di cui al Capo V - Titolo I - Libro IV del codice di procedura penale, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà e con riserva di riesame del caso quando sul provvedimento penale si è formato il giudicato.
I relativi provvedimenti sono adottati dal Ministro, su proposta del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
Se il procedimento penale è definito con sentenza la quale dichiari che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti.
Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione.
Se il procedimento penale si conclude con sentenza di proscioglimento o di assoluzione per motivi diversi da quelli contemplati nel comma 5, la sospensione cautelare può essere mantenuta qualora venga iniziato o ripreso il procedimento disciplinare.
Il comma 6 della citata disposizione, quindi, scolpisce la seguente regola :"Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". Di recente la Sezione ha affermato che (Cons. Stato Sez. IV, 13-05-2011, n. 2942)” in riferimento alla decorrenza del termine, tale norma deve necessariamente essere interpretata in modo tale da garantire che l'azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, che suggeriscono di individuare il dies a quo del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l'esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l'Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio.”
Con riferimento al caso di specie, il giudice di prime cure ha rilevato che la contestazione ha avuto luogo ben oltre i termini (40 giorni dalla notifica, ma anche, a tutto concedere, 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza) dovendosi, pertanto, considerare intempestiva, secondo noto orientamento giurisprudenziale (Consiglio Stato, sez. IV, n. 3827/2007): la sentenza infatti era stata depositata il 2 giugno 1999 ed era stata notificata all’ Amministrazione intimata nei giorni 1 ed 8 luglio 1999, mentre l’atto di contestazione degli addebiti, recava la data del 3.12.1999.
2.1. Non v’è dubbio, pertanto, che ci si trovi al cospetto di un avvio del procedimento disciplinare ritardato rispetto al termine perentorio fissato nella detta disposizione.
2.2. A questo punto, avuto riguardo al concreto dipanarsi dell’azione amministrativa(come rammentato l’Amministrazione emise successivamente un nuovo procedimento avente stesso oggetto del primo -decreto n. 0191418 del 31.7.2001- parimenti gravato) il Collegio deve dare risposta a due –in parte connessi- quesiti.
Il primo di essi, riposa nella interpretazione da fornire in ordine al termine scolpito nella surriportata disposizione: occorre interrogarsi, quindi, sulla natura perentoria o meno del medesimo.
Il secondo, concerne le conseguenze discendenti dall’ eventuale giudizio di perentorietà del detto termine, e sulla possibilità che la eventuale violazione del medesimo possa essere successivamente “sanata” dall’Amministrazione mercè la emanazione di un (ulteriore) provvedimento che abbia lo stesso oggetto del primo.
2.2. 1. Quanto al primo profilo, non è dubitabile ad avviso del Collegio che il termine per l’inizio dell’azione disciplinare sia di natura perentoria, come anche in generale stabilito dalla condivisibile giurisprudenza per tutti i termini aventi tale natura (ex aliis: Consiglio di Stato sez. IV
21/05/2013 n. 2738).
La ratio della perentorietà del termine è quella di evitare la protrazione di rapporti di impiego con soggetti “eterni giudicabili” e, ovviamente, essa presidia anche la citata disposizione.
2.2.2. Quanto al secondo profilo, la natura perentoria del termine implica che la lesione al bene giuridico sotteso alla detta perentorietà, è immediata; si consuma istantaneamente; non è suscettibile di essere emendata dall’ Amministrazione.
Ritenere il contrario, comporterebbe una inammissibile smentita sostanziale della detta natura perentoria, ed implicherebbe anche una incomprensibile aporia sistematica: l’Amministrazione, soccombente in un giudizio che abbia dichiarato la inosservanza del detto termine annullando per tal ragione la sanzione, ne uscirebbe in sostanza vittoriosa se potesse ad nutum riesercitare il potere sanzionatorio, come se questo non si fosse giammai consumato.
Di converso, il destinatario del provvedimento risultato vittorioso sarebbe esposto alla intrapresa di una nuova azione disciplinare e, di conseguenza, la pronuncia giudiziale accertativa dell’avvenuto sforamento del termine (e, prima ancora, la stessa previsione legislativa del termine de quo) sarebbe inutiliter data.
2.3 Così non può essere, ovviamente e, pertanto, sotto tale assorbente profilo, il petitum appellatorio va integralmente disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
3. La natura della controversia, e la particolarità delle questioni esaminate consente ed impone la integrale compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
N. 09592/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01762/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1762 del 2011, proposto da ****************, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
previa adozione di misure cautelari,
del Decreto del Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 20.12.10, notificato in pari data, con il quale il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha destituito dal servizio "l'assistente della Polizia di Stato *****************, nato a Roma, il 1°.9.1963, …, a decorrere dalla data di notifica del presente provvedimento", nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, ivi inclusi la Deliberazione n. 27/2010 C.P.D. del 25.11.10 del Consiglio Provinciale di Disciplina, nonché l'istruttoria disciplinare, ai sensi dell'art. 19, D.P.R. n. 737/81, lettera di contestazione degli addebiti Cat.B1a n. 240/2010, della Questura di Roma, Commissariato di P.S. Distaccato "Civitavecchia", notificata in data 9.09.2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2014 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente - Assistente della Polizia di Stato, all’epoca dei fatti in servizio presso la Questura di Roma -, ha rappresentato di essere stato sottoposto ad un controllo il giorno 24.03.10, mentre era sospeso dal servizio, da parte di personale della Polizia Stradale di Roma, mentre era a bordo dell'autovettura Mercedes classe A. A seguito della richiesta degli operanti, egli ha mostrato la fotocopia del primo tesserino ottenuto entrando nella Polizia di Stato, che portava con sé quale proprio portafortuna. Sottoposto a perquisizione personale, estesa al veicolo indicato, il ricorrente ha volontariamente mostrato un dissuasore elettrico (non funzionante).
In tale circostanza, la fotocopia del tesserino indicato ed il dissuasore sono stati sottoposti a sequestro ed il 9.09.10 è stata notificata all’interessato la lettera di contestazione degli addebiti datata 7.09.2010, con la quale sono state contestate asserite mancanze disciplinari di cui all'art. 7, commi 2, 4, 6 del D.P.R. n. 737/81.
Successivamente, il Furlanetto si è assentato dal lavoro a causa di una malattia dal 17 al 28 novembre 2010 e dal 29 novembre al 13 dicembre 2010. La seduta conclusiva del Consiglio Provinciale di Disciplina è stata fissata il 25.11.10, giorno in cui il Furlanetto era "in malattia". Proprio in tale data, un'autoambulanza ha raggiunto la residenza dell’interessato al fine di prelevarlo e trasportarlo presso la sede destinata alla seduta del Consiglio Provinciale di Disciplina. Ma, il Furlanetto, impossibilitato a spostarsi, ha rifiutato il trasferimento, mentre, la seduta si è svolta, in violazione dell'art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 737/81.
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, la parte ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo i seguenti motivi di ricorso.
I) - DIFETTO DEI PRESUPPOSTI PER LO SVOLGIMENTO DELL'ISTRUTTORIA DISCIPLINARE AI SENSI DELL'ART. 19 DEL D.P.R. 737/81; CONTRADDITTORIETÀ PROCEDIMENTALE RISPETTO ALLA PREFIGURATA SEQUELA; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI FATTI IN SEDE DI CONTROLLO DI POLIZIA.
L'art. 19 del D.P.R. 737/81 prevede "l'istruttoria per l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione", stabilendo che la stessa "deve svolgersi attraverso le seguenti fasi: il capo dell'ufficio o il comandante del reparto che abbia notizia di un'infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento della pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all'autorità centrale competente a infliggere la sanzione; se invece appartiene al restante personale, informa il questore della provincia in cui lo stesso presta servizio. Le predette autorità, ove ritengano che l'infrazione comporti l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga a servizio diverso da quello dell'inquisito, e che rivesta qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell'incolpato. Per il funzionario istruttore valgono le norme sulla astensione e sulla ricusazione dei componenti i consigli di disciplina. Egli provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all'art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito ...".
Nel caso di specie, il procedimento disciplinare è stato avviato a seguito: - dell’asserita falsificazione e utilizzazione (all'atto di controllo descritto) di una tessera di riconoscimento della Polizia di Stato, al fine di comprovare la sua appartenenza ed il pieno esercizio delle proprie funzioni ad altro personale operante, in violazione dell'art. 7, comma 2, del D.P.R. 737/81, e dell'omessa dichiarazione di essere privo della tessera di riconoscimento, perché sospeso dal servizio; - della detenzione di un'arma propria atta ad offendere, in violazione dell'art. 7, comma 4, del D.P.R. 737/81; - della persistenza di riprovevole condotta, ritenuta violativa dell'art. 7, comma 4, del D.P.R. 737/81.
A parere del ricorrente, però, tali infrazioni non sarebbero state commesse, perché il Furlanetto non ha mostrato la copia del suo primo tesserino, né aveva l'intento di attestare la sua appartenenza alla Polizia di Stato, posto che la copia in questione era custodita, unitamente ai documenti di identità, quale portafortuna. Del resto, è chiaro che una fotocopia non possa essere mostrata al fine che è stato addebitato al ricorrente.
Per quanto concerne la seconda imputazione, il ricorrente ha affermato di custodire (all'interno della propria autovettura) non una pistola elettrica, ma un dissuasore elettrico inutilizzabile, detenuto dalla consorte quale mezzo di autodifesa, trasportato solo al fine di affidarlo ad un apposito centro per la riparazione. Il dissuasore elettrico, che non è classificabile quale arma, è utilizzato e legalmente venduto quale mezzo di autodifesa, senza alcuna necessità di licenza, al fine di allontanare l'eventuale aggressore grazie all'effetto momentaneo di stordimento ed alla sensazione di smarrimento e fastidio muscolare.
Pertanto, a parere del ricorrente, risulterebbe infondata anche la terza delle contestazioni indicate, posto che, confutati i fatti descritti, non sussisterebbe la persistenza di una ‘riprovevole condotta’.
Sarebbe, invece, irrilevante, sempre a parere dell’interessato, il possesso della placca metallica di dotazione personale, risultata originale ma denunciata dall'incolpato come smarrita e mai rinvenuta.
II) - ELUSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA; VIOLAZIONE DELL'ART. 20, COMMA 1, D.P.R. N. 737/81; VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 24 E 32, COST.; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCEDIMENTO e DELL'ORDINAMENTO COMUNITARIO AUDI ET ALTERAM PARTEM; VIOLAZIONE DELL'ART. 117 COST..
Il Consiglio Provinciale di Disciplina, omettendo di considerare l’assenza per malattia del ricorrente ed il suo diritto costituzionale alla salute, ha svolto la propria attività non consentendo all’interessato di partecipare alla seduta fissata per la trattazione del procedimento disciplinare, malgrado l'Assistente Capo della Polizia di Stato, Luana Martucci, difensore del ricorrente, avesse si fosse opposta al prosieguo della seduta ed avesse fatto verbalizzare la condizione del Furlanetto e la richiesta di proroga.
In tal modo, è stata compromessa la possibilità dell’incolpato di difendersi, con conseguente violazione dell'art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 737/81, e del principio del giusto procedimento, del principio comunitario "audi et alteram partem" e dell'art. 117, primo comma, Cost..
Evidenziate le censure mosse avverso il provvedimento impugnato, il ricorrente ha avanzato una richiesta istruttoria finalizzata all’acquisizione degli elementi di prova consistenti nell’asserita "tessera di riconoscimento" e nella "pistola elettrica", che sono stati sottoposti a sequestro, al fine di una precisa ricostruzione dei fatti da valutare per decidere la controversia.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
A sostegno delle proprie ragioni, l’Amministrazione ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza delle censure contenute nel ricorso.
Con ordinanza del 24 marzo 2011 n. 1072 il TAR ha respinto la domanda cautelare proposta dal ricorrente.
All’udienza del 17 luglio 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio ritiene che le censure di parte ricorrente siano infondate e debbano essere respinte.
Dall’esame degli atti di causa, emerge che il 24 marzo 2010, l'Assistente P.S. Furlanetto Roberto è stato sottoposto ad un controllo da parte di personale della Polizia Stradale di Roma, mentre era a bordo della propria autovettura. In tale occasione, egli si è qualificato quale agente della Polizia di Stato, esibendo una tessera di riconoscimento P.S. del ruolo Agenti/Assistenti unitamente alla placca distintiva.
All’esito dell’esame del documento indicato, sono emerse anomalie inerenti alla citata tessera quali, in particolare, il supporto cartaceo non era conforme allo standard richiesto (in quanto la tessera è risultata frutto di una scansione e di una operazione di plastificazione); il timbro non era corrispondente alle caratteristiche usuali; i caratteri non erano conformi a quelli generalmente utilizzati ed erano assenti i sistema di sicurezza usualmente utilizzati in tema di documenti di riconoscimento.
Ciò risulta indirettamente confermato dal fatto che l’originale della tessera era stato precedentemente ritirato a seguito dell’adozione del decreto del 3 novembre 2009, con il quale l’Amministrazione aveva irrogato nei confronti del Furlanetto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.
Per quanto concerne, poi, la placca distintiva, il Furlanetto ne aveva denunciato lo smarrimento in data 19 settembre 2006, salvo, poi, esibirla in occasione del citato controllo del 24 marzo 2010.
A ciò va aggiunto che a seguito del descritto controllo, l’interessato è stato sottoposto a perquisizione personale estesa al veicolo, nel corso della quale è stata rinvenuta (vicino al sedile anteriore destro) una pistola elettrica sprovvista di marchio della casa produttrice.
I fatti descritti hanno comportato l’avvio di un procedimento penale (per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 della legge n. 110/1975) e di un procedimento disciplinare a carico del Furlanetto, nell’ambito del quale, con provvedimento del 7 settembre 2010, è stato nominato il funzionario istruttore, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, che, in pari data, ha formulato a carico dell'incolpato la contestazione degli addebiti in relazione alla fattispecie prevista dall'art. 7, nn. 2, 4 e 6, del d.P.R. 737/81.
Il 18 marzo 2010, il dipendente, dopo aver ottenuto l'accesso agli atti ed una proroga per fornire le proprie giustificazioni, ha prodotto una memoria difensiva.
All’esito dell’istruttoria, il Questore di Roma ha deferito il Furlanetto al Consiglio Provinciale di Disciplina, il quale, in data 11 novembre 2010, accertato che non erano stati rispettati i termini previsti per la notifica al dipendente, al fine di garantire l'esercizio del diritto alla difesa, ha rinviato la seduta.
Riunitosi nuovamente il 25 novembre 2010, il citato Organo ha constatato l'assenza dell'incolpato, il quale aveva comunicato la propria assenza in quanto in congedo straordinario per malattia.
Al riguardo, come correttamente rilevato dalla difesa erariale, va considerato che il funzionario sanitario della Polizia di Stato ha attestato che l’incolpato era stato visitato presso la propria abitazione e, seppure affetto dalla patologia comunicata, era in condizione di deambulare e si era rifiutato di utilizzare l'ambulanza che gli era stata messa a disposizione per essere accompagnato presso gli uffici del Consiglio Provinciale di Disciplina.
Preso atto di ciò e della presenza del difensore dell'incolpato, il Consiglio Provinciale di Disciplina ha correttamente svolto la trattazione orale e – eseguiti gli adempimenti di cui all'art. 20 del d.P.R. 737/81 ed ascoltato il difensore (che ha, tra l’altro, evidenziato l’assenza dell’assistito, ritenuta giustificata dallo stato di malattia) -, ha giudicato il Furlanetto disciplinarmente responsabile ed ha proposto nei suoi confronti l'applicazione della sanzione della destituzione.
Con Decreto del Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 20 dicembre 2010, notificato in pari data, il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha condiviso tale proposta ed ha, conseguentemente, irrogato la sanzione della destituzione.
2. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene inverosimile la tesi del ricorrente secondo la quale, in occasione del descritto controllo di polizia del 24.03.10, egli avrebbe esibito la semplice fotocopia del tesserino, custodita come un ‘portafortuna’.
E’ evidente, in realtà, che il ‘tesserino’ in questione è stato esibito quale documento di riconoscimento per evitare di ammettere che l’originale della tessera era stato precedentemente ritirato a seguito dell’adozione del decreto del 3 novembre 2009, con il quale l’Amministrazione aveva irrogato nei confronti del Furlanetto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.
Altrettanto reprensibile risulta la circostanza avente ad oggetto la placca distintiva della Polizia di Stato, che il Furlanetto aveva denunciato come smarrita (sin dal 19 settembre 2006) e che, invece, è stata esibita in occasione del citato controllo del 24 marzo 2010: segno evidente che, o non era mai stata smarrita, ovvero l’interessato aveva omesso di dichiarare il rinvenimento.
Non meno significativo è il possesso, da parte del Furlanetto, della pistola elettrica sprovvista di marchio della casa produttrice (rinvenuta a seguito della perquisizione dell’auto dell’interessato), che ha comportato l’avvio di un procedimento penale nei suoi confronti per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 della legge n. 110/1975, posto che il ricorrente non ha neanche contestato quanto affermato dall’Amministrazione resistente circa il fatto che i dissuasori elettrici sono considerati armi comuni (delle quali è vietato il porto), contemplati nella legge n. 155/2005 con la quale è stato modificato l'art. 28 TULPS, prevedendo l’obbligo di chiedere ed ottenere una specifica licenza per detenerli.
Tali circostanze emergono e sono documentate in atti e, quindi, va disattesa l’istanza istruttoria di parte ricorrente tesa ad ottenere l’acquisizione della "tessera di riconoscimento" e della "pistola elettrica".
Ad ogni modo, a prescindere dalla rilevanza penale delle circostanze indicate, non risulta irrazionale l’aver contestato ad un appartenente alle Forze dell’ordine di aver assunto comportamenti reprensibili consistenti, oltre che nel porto di un dissuasore elettrico, nella violazione di precisi doveri assunti con il giuramento, quali, in particolare, l’aver esibito all’atto di un controllo di P.S. un tesserino contraffatto (in assenza dell’originale precedentemente ritirato a seguito dell’irrogazione di una sanzione disciplinare) e di una placca metallica (precedentemente dichiarata smarrita dall’interessato), con il fine di dimostrare l'appartenenza alla Polizia di Stato e il pieno esercizio delle sue funzioni, malgrado fosse sospeso dal servizio per motivi disciplinari.
3. Pur a voler prescindere dai precedenti disciplinari del ricorrente (tre, richiami scritti, undici pene pecuniarie e quattro sospensioni disciplinari) il Collegio osserva che la sanzione irrogata appare giustificata dalla gravità dei fatti addebitati al ricorrente e che, comunque, l’individuazione della pena disciplinare da irrogare nel caso concreto spetta a chi dispone del potere/dovere disciplinare, competendo al giudice amministrativo esclusivamente la verifica circa la presenza di errori manifesti o di vizi macroscopici che possono inficiare il procedimento o il provvedimento disciplinare.
In sostanza, in materia di sanzioni disciplinari, il principio di proporzionalità non può consentire al giudice amministrativo di sostituirsi alla valutazione dell'Amministrazione, essendo possibile solo verificare che l'atto sia sorretto da adeguata motivazione e basato su fatti e circostanze tali da indurre la medesima Amministrazione a considerarli incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 2012, n. 1993).
Nel caso di specie, da una parte, il procedimento disciplinare non risulta inficiato da errori o vizi manifesti o macroscopici, e, dall’altra, il provvedimento di destituzione non può ritenersi viziato sotto il profilo della proporzionalità, perché risulta congruamente motivato, basato sull’esame delle circostanze del caso concreto e sulla scelta (come detto, insindacabile) di ritenere le condotte poste in essere dal Furlanetto inconciliabili con le funzioni di un operatore di polizia, pregiudizievoli per il servizio e tali da rendere incompatibile la permanenza dell’interessato nella Polizia di Stato.
4. Altrettanto infondata risulta la censura con la quale il ricorrente ha contestato che il Consiglio Provinciale di Disciplina abbia dato seguito alla trattazione orale del procedimento disciplinare omettendo di considerare le precarie condizioni di salute del Furlanetto, violando, in tal modo, il suo diritto alla difesa.
L'art. 20 del d.P.R. n. 737/81, infatti, dispone che il Consiglio Provinciale di Disciplina avverte l'inquisito che "se non si presenterà, nè darà notizia di essere legittimamente impedito, si procederà in sua assenza".
Nella fattispecie, come sopra rilevato, l’Amministrazione aveva appurato che le condizioni di salute del Furlanetto non gli avrebbero impedito di partecipare alla seduta del Consiglio Provinciale di Disciplina (già in precedenza rinviata proprio per garantire all’interessato il diritto di difesa) e, quindi, correttamente, il procedimento disciplinare si è svolto e concluso alla sola presenza del difensore dell'incolpato.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo respinge;
- condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, che si liquidano in complessivi 2.500,00 (duemilacinquecento/00) euro, compresi gli onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Taglienti, Presidente FF
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Rita Tricarico, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
Messaggio da militare37 »
Grazie a tutti delle risposte. A volte capita che magari ci si capisce poco o ci si fraintende ma la cosa importante e' sempre quella di chiarirsi e darsi una mano a vicenda, per muoverci in questo mare di carte che ci circonda. Vi terrò informati se passo a ruolo civile o meno.
grazie ancora
grazie ancora
Re: esame del giudicato penale dopo essere stati riformati
nabboni ha scritto:Cerco di essere più elementare. Quello che io ritengo plausibile e giusto come il collega, non significa che sarà ritenuto plausibile e giusto dall'Amministrazione, sono due cose ben distinte e quindi non misto proprio contraddicendo. Tra le tante, cito solo qualche recente sentenza, giusto per non inondare la discussione, per rendere l'idea di come si può comportare l'Amministrazione ed anche, purtroppo il giudice amminsitrativo:
N. 01458/2014REG.PROV.COLL.
N. 05369/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5369 del 2011, proposto da:
Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
*****************, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Avagliano, con domicilio eletto presso Fabio Moneta in Roma, via Carlo Poma, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sezione Staccata di SALERNO - SEZIONE I n. 13466/2010, concernente irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Domenico Ielpo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’ Avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tar della Campania – sede di Salerno - ha deciso – previa riunione- due ricorsi proposti dall’odierna parte appellata Signor *************.
Con il primo ricorso (n. 3809 del 2000), corredato da motivi aggiunti, l’odierno appellato aveva gravato il decreto n. 002477/10915 del 24.7.2000 del Vice Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, recante l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, nonché degli atti connessi, presupposti e consequenziali, ivi compresi l’atto di contestazione degli addebiti del 3.12.1999 e la deliberazione del 23.6.2000 con la quale il Consiglio di Disciplina aveva proposto di irrogare al predetto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
Con il secondo mezzo, (ricorso n. 2600 del 2001) l’odierno appellato aveva gravato il decreto n. 0191418 del 31.7.2001, con il quale il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 13.10.1995.
Erano state prospettate dall’ odierno appellato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
L’adito Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato improcedibile il primo ricorso, in quanto “superato” dalla successiva determinazione avente identico contenuto dispositivo, ed ha concentrato l’esame su quest’ultima.
Ha in proposito ripercorso il risalente contenzioso e le principali tappe infraprocedimentali che lo avevano contraddistinto ed ha rammentato che l’odierno appellato in data 13.10.1995 era stato sospeso dal servizio in quanto sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 323 c.p., in relazione a fatti asseritamente commessi mentre prestava servizio presso la Casa Circondariale di Salerno – Fuorni.
Il Tribunale Penale di Salerno, con sentenza della III Sezione n. 592 del 23.11.1998, lo aveva assolto perché i fatti ascrittigli non erano più previsti dalla legge come reato.
Notificata la citata sentenza all’Amministrazione Penitenziaria, questa non ne aveva disposto la riammissione in servizio, pur non essendo stato iniziato il procedimento disciplinare nei termini previsti dalle vigenti disposizioni: invece, solo con atto del 3.12.1999, era stata effettuata nei suoi confronti la contestazione degli addebiti.
Egli aveva conseguentemente gravato la prima determinazione destitutiva nell’ambito del ricorso di primo grado n. 3809 del 2000 ed aveva ottenuto dal Tar tutela cautelare(ordinanza cautelare n. 2313 del 6.12.2000): l’appello proposto dall’Amministrazione innanzi al Consiglio di Stato era stato dichiarato irricevibile(l’ordinanza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 2951 del 22.5.2001).
Egli aveva agito per l’ottemperanza alla detta ordinanza cautelare ed aveva ottenuto la reintegrazione del ricorrente (conseguita solo per effetto dell’ordinanza del Tar n. 770 del 21.6.2001, disponente l’esecuzione della precedente ordinanza cautelare n. 2313/2000).
Senonchè l’Amministrazione il giorno successivo alla reintegrazione del medesimo aveva revocato il provvedimento sanzionatorio originario e disposto nuovamente la propria destituzione: il provvedimento di destituzione originariamente impugnato era stato infatti revocato dall’amministrazione intimata con il decreto n. 0191418 del 31.7.2001: anche quest’ultimo tuttavia era stato impugnato con l’autonomo ricorso n. 2600/2001 in quanto esso aveva disposto nuovamente la destituzione dell’originario ricorrente.
Ciò premesso, il Tar ha posto in luce che i fatti contestati con entrambi i provvedimenti destituivi coincidevano con quelli per i quali il suddetto era stato sottoposto a processo penale per il reato di cui all’art. 323 c.p., conclusosi con la sentenza di assoluzione n. 592 del 23.11.1998 pronunciata dal Tribunale Penale di Salerno non essendo gli stessi fatti più previsti dalla legge come reato: essi, sul diverso piano della valutazione disciplinare, erano stati ritenuti dall’amministrazione intimata indicativi “della mancanza del senso dell’onore e del senso morale e del dovere”, mal coniugantisi con “il doveroso rispetto delle norme che ogni appartenente ad un Corpo dello Stato deve sempre dimostrare” e fonte di “pregiudizio per il rapporto di fiducia e di affidabilità sul quale inderogabilmente deve essere improntato il servizio”.
In particolare, i fatti addebitati (atto di contestazione degli addebiti del 3.12.1999) riposavano nell’avere l’appellato “in concorso con altre persone in numero superiore a cinque, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di agente di Polizia Penitenziaria durante il servizio prestato presso la Casa Circondariale di Salerno, abusando dei poteri e comunque violando i doveri inerenti il suo ufficio, procurare vantaggi, non patrimoniali, a vari detenuti introducendo direttamente o comunque favorendo l’introduzione all’interno della citata Casa Circondariale di generi alimentari e altri generi voluttuari proibiti, di telefonini cellulari, batterie e accessori per la ricarica delle stesse, utilizzati dai detenuti nonché la fuoriuscita di telefoni cellulari ed accessori dalla Casa Circondariale di Salerno dopo ogni utilizzazione ai fini di garantirne l’occultamento e la possibilità di ricarica”.
Il primo giudice ha poi rammentato che già nella pronuncia cautelare n. 2313 del 6.12.2000, era stato rilevato che “i fatti contestati al ricorrente sono espressamente ricompresi in fattispecie di illecito disciplinare comportanti sanzione diversa rispetto a quella inflitta (artt. 2, 3 e 5 d.lgs n. 449/1992)” e che non appariva “rispettato, anche in relazione al conseguente obbligo di esternazione, il principio di graduazione e proporzionalità”.
Tuttavia il primo ricorso doveva essere dichiarato improcedibile in quanto il provvedimento ivi gravato era stato sostituito da altro provvedimento, avente identico contenuto.
Quanto a quest’ultimo,il primo giudice ha affermato la fondatezza della censura intesa a lamentare la violazione nella quale era incorsa l’Amministrazione nel dare avvio al procedimento disciplinare, dei termini di cui all’art. 7, comma 6, d.lgs n. 449/1992, ai sensi del quale “quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione”.
Ciò in quanto, la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale Penale di Salerno nei confronti dell’odierno appellato (sentenza della Terza Sezione n. 592 del 23.11.1998), all’esito del processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti poi scrutinati sotto il profilo disciplinare, era stata depositata il 2 giugno 1999 ed era stata notificata all’ Amministrazione intimata nei giorni 1 ed 8 luglio 1999.
Alla stregua di tale cronologia, doveva rilevarsi la tardività dell’atto di contestazione degli addebiti, recante la data del 3.12.1999 (in quanto reso oltre il termine perentorio - centoventi giorni dalla data di pubblicazione della sentenza o quaranta giorni da quella della sua notificazione all’amministrazione - fissato dall’art. 7, comma 6, d.lgs n. 449/1992).
Il detto ritardo, già inficiante il provvedimento sanzionatorio del 24.7.2000, non poteva non ritenersi caratterizzare –ad avviso del Tar- anche il successivo provvedimento applicativo della sanzione della destituzione dal servizio, adottato in data 31.7.2001, dal momento che all’ordinanza cautelare del Tar n. 2313/2000, che aveva sancito la sospensione degli effetti del provvedimento originario sulla scorta di diversi (rispetto a quelli relativi alla tardività della contestazione evidenziati) profili di illegittimità, non poteva riconoscersi alcun effetto rinnovatorio del termine ormai irreversibilmente consumato: la citata ordinanza cautelare, aveva carattere sospensivo tout court, non rivestiva alcun contenuto propulsivo tale da imporre (e così fondare su di una base legittimante autonoma rispetto a quella normativa, temporalmente circoscritta nei termini evidenziati) la riedizione del potere amministrativo esercitato con il provvedimento originario.
Il (secondo) provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare della destituzione è stato, pertanto, annullato con assorbimento delle altre censure.
Il Tar ha invece dichiarato inammissibile, la domanda di condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno, siccome proposta con semplici memorie (depositate, in data 15.10.2010, agli atti dei giudizi introdotti con i ricorsi riuniti) e non nella forma, (processualmente appropriata trattandosi di domanda nuova) dei motivi aggiunti.
Avverso la sentenza in epigrafe l’amministrazione originaria resistente in primo grado ha proposto un articolato appello riepilogando l’andamento infraprocedimentale e facendo presente che le condotte accertate rendevano necessaria l’irrogazione della sanzione disciplinare.
L’appellato ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
All’adunanza camerale del 26 luglio 2011 la Sezione con la ordinanza n. 03289/2011
ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “ritenuto che l’appello cautelare in epigrafe non può essere accolto, ostando a ciò perlomeno – nella presente fase di sommaria delibazione della fattispecie – la tardività del procedimento disciplinare che, nella specie, ha determinato l’irrogazione della sanzione disciplinare per cui è causa ”;
Alla odierna pubblica udienza del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza dell’appello.
1.1. Quest’ultimo non muove infatti significative censure alla affermata tardività dell’avvio del procedimento disciplinare in pregiudizio dell’appellato.
2. L'art. 7, del D.Lgs. n. 449 del 1992 così dispone: L'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, in stato di arresto o di fermo o che si trovi, comunque, in stato di custodia cautelare, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
Fuori dei casi previsti nel comma 1, l'appartenente ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro, su proposta del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
In caso di mancata convalida dell'arresto o del fermo, e nei casi di cui al Capo V - Titolo I - Libro IV del codice di procedura penale, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà e con riserva di riesame del caso quando sul provvedimento penale si è formato il giudicato.
I relativi provvedimenti sono adottati dal Ministro, su proposta del Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria.
Se il procedimento penale è definito con sentenza la quale dichiari che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti.
Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione.
Se il procedimento penale si conclude con sentenza di proscioglimento o di assoluzione per motivi diversi da quelli contemplati nel comma 5, la sospensione cautelare può essere mantenuta qualora venga iniziato o ripreso il procedimento disciplinare.
Il comma 6 della citata disposizione, quindi, scolpisce la seguente regola :"Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". Di recente la Sezione ha affermato che (Cons. Stato Sez. IV, 13-05-2011, n. 2942)” in riferimento alla decorrenza del termine, tale norma deve necessariamente essere interpretata in modo tale da garantire che l'azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, che suggeriscono di individuare il dies a quo del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l'esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l'Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio.”
Con riferimento al caso di specie, il giudice di prime cure ha rilevato che la contestazione ha avuto luogo ben oltre i termini (40 giorni dalla notifica, ma anche, a tutto concedere, 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza) dovendosi, pertanto, considerare intempestiva, secondo noto orientamento giurisprudenziale (Consiglio Stato, sez. IV, n. 3827/2007): la sentenza infatti era stata depositata il 2 giugno 1999 ed era stata notificata all’ Amministrazione intimata nei giorni 1 ed 8 luglio 1999, mentre l’atto di contestazione degli addebiti, recava la data del 3.12.1999.
2.1. Non v’è dubbio, pertanto, che ci si trovi al cospetto di un avvio del procedimento disciplinare ritardato rispetto al termine perentorio fissato nella detta disposizione.
2.2. A questo punto, avuto riguardo al concreto dipanarsi dell’azione amministrativa(come rammentato l’Amministrazione emise successivamente un nuovo procedimento avente stesso oggetto del primo -decreto n. 0191418 del 31.7.2001- parimenti gravato) il Collegio deve dare risposta a due –in parte connessi- quesiti.
Il primo di essi, riposa nella interpretazione da fornire in ordine al termine scolpito nella surriportata disposizione: occorre interrogarsi, quindi, sulla natura perentoria o meno del medesimo.
Il secondo, concerne le conseguenze discendenti dall’ eventuale giudizio di perentorietà del detto termine, e sulla possibilità che la eventuale violazione del medesimo possa essere successivamente “sanata” dall’Amministrazione mercè la emanazione di un (ulteriore) provvedimento che abbia lo stesso oggetto del primo.
2.2. 1. Quanto al primo profilo, non è dubitabile ad avviso del Collegio che il termine per l’inizio dell’azione disciplinare sia di natura perentoria, come anche in generale stabilito dalla condivisibile giurisprudenza per tutti i termini aventi tale natura (ex aliis: Consiglio di Stato sez. IV
21/05/2013 n. 2738).
La ratio della perentorietà del termine è quella di evitare la protrazione di rapporti di impiego con soggetti “eterni giudicabili” e, ovviamente, essa presidia anche la citata disposizione.
2.2.2. Quanto al secondo profilo, la natura perentoria del termine implica che la lesione al bene giuridico sotteso alla detta perentorietà, è immediata; si consuma istantaneamente; non è suscettibile di essere emendata dall’ Amministrazione.
Ritenere il contrario, comporterebbe una inammissibile smentita sostanziale della detta natura perentoria, ed implicherebbe anche una incomprensibile aporia sistematica: l’Amministrazione, soccombente in un giudizio che abbia dichiarato la inosservanza del detto termine annullando per tal ragione la sanzione, ne uscirebbe in sostanza vittoriosa se potesse ad nutum riesercitare il potere sanzionatorio, come se questo non si fosse giammai consumato.
Di converso, il destinatario del provvedimento risultato vittorioso sarebbe esposto alla intrapresa di una nuova azione disciplinare e, di conseguenza, la pronuncia giudiziale accertativa dell’avvenuto sforamento del termine (e, prima ancora, la stessa previsione legislativa del termine de quo) sarebbe inutiliter data.
2.3 Così non può essere, ovviamente e, pertanto, sotto tale assorbente profilo, il petitum appellatorio va integralmente disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
3. La natura della controversia, e la particolarità delle questioni esaminate consente ed impone la integrale compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
N. 09592/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01762/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1762 del 2011, proposto da ****************, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
previa adozione di misure cautelari,
del Decreto del Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 20.12.10, notificato in pari data, con il quale il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha destituito dal servizio "l'assistente della Polizia di Stato *****************, nato a Roma, il 1°.9.1963, …, a decorrere dalla data di notifica del presente provvedimento", nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, ivi inclusi la Deliberazione n. 27/2010 C.P.D. del 25.11.10 del Consiglio Provinciale di Disciplina, nonché l'istruttoria disciplinare, ai sensi dell'art. 19, D.P.R. n. 737/81, lettera di contestazione degli addebiti Cat.B1a n. 240/2010, della Questura di Roma, Commissariato di P.S. Distaccato "Civitavecchia", notificata in data 9.09.2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2014 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente - Assistente della Polizia di Stato, all’epoca dei fatti in servizio presso la Questura di Roma -, ha rappresentato di essere stato sottoposto ad un controllo il giorno 24.03.10, mentre era sospeso dal servizio, da parte di personale della Polizia Stradale di Roma, mentre era a bordo dell'autovettura Mercedes classe A. A seguito della richiesta degli operanti, egli ha mostrato la fotocopia del primo tesserino ottenuto entrando nella Polizia di Stato, che portava con sé quale proprio portafortuna. Sottoposto a perquisizione personale, estesa al veicolo indicato, il ricorrente ha volontariamente mostrato un dissuasore elettrico (non funzionante).
In tale circostanza, la fotocopia del tesserino indicato ed il dissuasore sono stati sottoposti a sequestro ed il 9.09.10 è stata notificata all’interessato la lettera di contestazione degli addebiti datata 7.09.2010, con la quale sono state contestate asserite mancanze disciplinari di cui all'art. 7, commi 2, 4, 6 del D.P.R. n. 737/81.
Successivamente, il Furlanetto si è assentato dal lavoro a causa di una malattia dal 17 al 28 novembre 2010 e dal 29 novembre al 13 dicembre 2010. La seduta conclusiva del Consiglio Provinciale di Disciplina è stata fissata il 25.11.10, giorno in cui il Furlanetto era "in malattia". Proprio in tale data, un'autoambulanza ha raggiunto la residenza dell’interessato al fine di prelevarlo e trasportarlo presso la sede destinata alla seduta del Consiglio Provinciale di Disciplina. Ma, il Furlanetto, impossibilitato a spostarsi, ha rifiutato il trasferimento, mentre, la seduta si è svolta, in violazione dell'art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 737/81.
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, la parte ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo i seguenti motivi di ricorso.
I) - DIFETTO DEI PRESUPPOSTI PER LO SVOLGIMENTO DELL'ISTRUTTORIA DISCIPLINARE AI SENSI DELL'ART. 19 DEL D.P.R. 737/81; CONTRADDITTORIETÀ PROCEDIMENTALE RISPETTO ALLA PREFIGURATA SEQUELA; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI FATTI IN SEDE DI CONTROLLO DI POLIZIA.
L'art. 19 del D.P.R. 737/81 prevede "l'istruttoria per l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione", stabilendo che la stessa "deve svolgersi attraverso le seguenti fasi: il capo dell'ufficio o il comandante del reparto che abbia notizia di un'infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento della pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all'autorità centrale competente a infliggere la sanzione; se invece appartiene al restante personale, informa il questore della provincia in cui lo stesso presta servizio. Le predette autorità, ove ritengano che l'infrazione comporti l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga a servizio diverso da quello dell'inquisito, e che rivesta qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell'incolpato. Per il funzionario istruttore valgono le norme sulla astensione e sulla ricusazione dei componenti i consigli di disciplina. Egli provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all'art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito ...".
Nel caso di specie, il procedimento disciplinare è stato avviato a seguito: - dell’asserita falsificazione e utilizzazione (all'atto di controllo descritto) di una tessera di riconoscimento della Polizia di Stato, al fine di comprovare la sua appartenenza ed il pieno esercizio delle proprie funzioni ad altro personale operante, in violazione dell'art. 7, comma 2, del D.P.R. 737/81, e dell'omessa dichiarazione di essere privo della tessera di riconoscimento, perché sospeso dal servizio; - della detenzione di un'arma propria atta ad offendere, in violazione dell'art. 7, comma 4, del D.P.R. 737/81; - della persistenza di riprovevole condotta, ritenuta violativa dell'art. 7, comma 4, del D.P.R. 737/81.
A parere del ricorrente, però, tali infrazioni non sarebbero state commesse, perché il Furlanetto non ha mostrato la copia del suo primo tesserino, né aveva l'intento di attestare la sua appartenenza alla Polizia di Stato, posto che la copia in questione era custodita, unitamente ai documenti di identità, quale portafortuna. Del resto, è chiaro che una fotocopia non possa essere mostrata al fine che è stato addebitato al ricorrente.
Per quanto concerne la seconda imputazione, il ricorrente ha affermato di custodire (all'interno della propria autovettura) non una pistola elettrica, ma un dissuasore elettrico inutilizzabile, detenuto dalla consorte quale mezzo di autodifesa, trasportato solo al fine di affidarlo ad un apposito centro per la riparazione. Il dissuasore elettrico, che non è classificabile quale arma, è utilizzato e legalmente venduto quale mezzo di autodifesa, senza alcuna necessità di licenza, al fine di allontanare l'eventuale aggressore grazie all'effetto momentaneo di stordimento ed alla sensazione di smarrimento e fastidio muscolare.
Pertanto, a parere del ricorrente, risulterebbe infondata anche la terza delle contestazioni indicate, posto che, confutati i fatti descritti, non sussisterebbe la persistenza di una ‘riprovevole condotta’.
Sarebbe, invece, irrilevante, sempre a parere dell’interessato, il possesso della placca metallica di dotazione personale, risultata originale ma denunciata dall'incolpato come smarrita e mai rinvenuta.
II) - ELUSIONE DEL DIRITTO DI DIFESA; VIOLAZIONE DELL'ART. 20, COMMA 1, D.P.R. N. 737/81; VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 24 E 32, COST.; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCEDIMENTO e DELL'ORDINAMENTO COMUNITARIO AUDI ET ALTERAM PARTEM; VIOLAZIONE DELL'ART. 117 COST..
Il Consiglio Provinciale di Disciplina, omettendo di considerare l’assenza per malattia del ricorrente ed il suo diritto costituzionale alla salute, ha svolto la propria attività non consentendo all’interessato di partecipare alla seduta fissata per la trattazione del procedimento disciplinare, malgrado l'Assistente Capo della Polizia di Stato, Luana Martucci, difensore del ricorrente, avesse si fosse opposta al prosieguo della seduta ed avesse fatto verbalizzare la condizione del Furlanetto e la richiesta di proroga.
In tal modo, è stata compromessa la possibilità dell’incolpato di difendersi, con conseguente violazione dell'art. 20, comma 1, del D.P.R. n. 737/81, e del principio del giusto procedimento, del principio comunitario "audi et alteram partem" e dell'art. 117, primo comma, Cost..
Evidenziate le censure mosse avverso il provvedimento impugnato, il ricorrente ha avanzato una richiesta istruttoria finalizzata all’acquisizione degli elementi di prova consistenti nell’asserita "tessera di riconoscimento" e nella "pistola elettrica", che sono stati sottoposti a sequestro, al fine di una precisa ricostruzione dei fatti da valutare per decidere la controversia.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
A sostegno delle proprie ragioni, l’Amministrazione ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza delle censure contenute nel ricorso.
Con ordinanza del 24 marzo 2011 n. 1072 il TAR ha respinto la domanda cautelare proposta dal ricorrente.
All’udienza del 17 luglio 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio ritiene che le censure di parte ricorrente siano infondate e debbano essere respinte.
Dall’esame degli atti di causa, emerge che il 24 marzo 2010, l'Assistente P.S. Furlanetto Roberto è stato sottoposto ad un controllo da parte di personale della Polizia Stradale di Roma, mentre era a bordo della propria autovettura. In tale occasione, egli si è qualificato quale agente della Polizia di Stato, esibendo una tessera di riconoscimento P.S. del ruolo Agenti/Assistenti unitamente alla placca distintiva.
All’esito dell’esame del documento indicato, sono emerse anomalie inerenti alla citata tessera quali, in particolare, il supporto cartaceo non era conforme allo standard richiesto (in quanto la tessera è risultata frutto di una scansione e di una operazione di plastificazione); il timbro non era corrispondente alle caratteristiche usuali; i caratteri non erano conformi a quelli generalmente utilizzati ed erano assenti i sistema di sicurezza usualmente utilizzati in tema di documenti di riconoscimento.
Ciò risulta indirettamente confermato dal fatto che l’originale della tessera era stato precedentemente ritirato a seguito dell’adozione del decreto del 3 novembre 2009, con il quale l’Amministrazione aveva irrogato nei confronti del Furlanetto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.
Per quanto concerne, poi, la placca distintiva, il Furlanetto ne aveva denunciato lo smarrimento in data 19 settembre 2006, salvo, poi, esibirla in occasione del citato controllo del 24 marzo 2010.
A ciò va aggiunto che a seguito del descritto controllo, l’interessato è stato sottoposto a perquisizione personale estesa al veicolo, nel corso della quale è stata rinvenuta (vicino al sedile anteriore destro) una pistola elettrica sprovvista di marchio della casa produttrice.
I fatti descritti hanno comportato l’avvio di un procedimento penale (per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 della legge n. 110/1975) e di un procedimento disciplinare a carico del Furlanetto, nell’ambito del quale, con provvedimento del 7 settembre 2010, è stato nominato il funzionario istruttore, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, che, in pari data, ha formulato a carico dell'incolpato la contestazione degli addebiti in relazione alla fattispecie prevista dall'art. 7, nn. 2, 4 e 6, del d.P.R. 737/81.
Il 18 marzo 2010, il dipendente, dopo aver ottenuto l'accesso agli atti ed una proroga per fornire le proprie giustificazioni, ha prodotto una memoria difensiva.
All’esito dell’istruttoria, il Questore di Roma ha deferito il Furlanetto al Consiglio Provinciale di Disciplina, il quale, in data 11 novembre 2010, accertato che non erano stati rispettati i termini previsti per la notifica al dipendente, al fine di garantire l'esercizio del diritto alla difesa, ha rinviato la seduta.
Riunitosi nuovamente il 25 novembre 2010, il citato Organo ha constatato l'assenza dell'incolpato, il quale aveva comunicato la propria assenza in quanto in congedo straordinario per malattia.
Al riguardo, come correttamente rilevato dalla difesa erariale, va considerato che il funzionario sanitario della Polizia di Stato ha attestato che l’incolpato era stato visitato presso la propria abitazione e, seppure affetto dalla patologia comunicata, era in condizione di deambulare e si era rifiutato di utilizzare l'ambulanza che gli era stata messa a disposizione per essere accompagnato presso gli uffici del Consiglio Provinciale di Disciplina.
Preso atto di ciò e della presenza del difensore dell'incolpato, il Consiglio Provinciale di Disciplina ha correttamente svolto la trattazione orale e – eseguiti gli adempimenti di cui all'art. 20 del d.P.R. 737/81 ed ascoltato il difensore (che ha, tra l’altro, evidenziato l’assenza dell’assistito, ritenuta giustificata dallo stato di malattia) -, ha giudicato il Furlanetto disciplinarmente responsabile ed ha proposto nei suoi confronti l'applicazione della sanzione della destituzione.
Con Decreto del Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 20 dicembre 2010, notificato in pari data, il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha condiviso tale proposta ed ha, conseguentemente, irrogato la sanzione della destituzione.
2. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene inverosimile la tesi del ricorrente secondo la quale, in occasione del descritto controllo di polizia del 24.03.10, egli avrebbe esibito la semplice fotocopia del tesserino, custodita come un ‘portafortuna’.
E’ evidente, in realtà, che il ‘tesserino’ in questione è stato esibito quale documento di riconoscimento per evitare di ammettere che l’originale della tessera era stato precedentemente ritirato a seguito dell’adozione del decreto del 3 novembre 2009, con il quale l’Amministrazione aveva irrogato nei confronti del Furlanetto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi.
Altrettanto reprensibile risulta la circostanza avente ad oggetto la placca distintiva della Polizia di Stato, che il Furlanetto aveva denunciato come smarrita (sin dal 19 settembre 2006) e che, invece, è stata esibita in occasione del citato controllo del 24 marzo 2010: segno evidente che, o non era mai stata smarrita, ovvero l’interessato aveva omesso di dichiarare il rinvenimento.
Non meno significativo è il possesso, da parte del Furlanetto, della pistola elettrica sprovvista di marchio della casa produttrice (rinvenuta a seguito della perquisizione dell’auto dell’interessato), che ha comportato l’avvio di un procedimento penale nei suoi confronti per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 della legge n. 110/1975, posto che il ricorrente non ha neanche contestato quanto affermato dall’Amministrazione resistente circa il fatto che i dissuasori elettrici sono considerati armi comuni (delle quali è vietato il porto), contemplati nella legge n. 155/2005 con la quale è stato modificato l'art. 28 TULPS, prevedendo l’obbligo di chiedere ed ottenere una specifica licenza per detenerli.
Tali circostanze emergono e sono documentate in atti e, quindi, va disattesa l’istanza istruttoria di parte ricorrente tesa ad ottenere l’acquisizione della "tessera di riconoscimento" e della "pistola elettrica".
Ad ogni modo, a prescindere dalla rilevanza penale delle circostanze indicate, non risulta irrazionale l’aver contestato ad un appartenente alle Forze dell’ordine di aver assunto comportamenti reprensibili consistenti, oltre che nel porto di un dissuasore elettrico, nella violazione di precisi doveri assunti con il giuramento, quali, in particolare, l’aver esibito all’atto di un controllo di P.S. un tesserino contraffatto (in assenza dell’originale precedentemente ritirato a seguito dell’irrogazione di una sanzione disciplinare) e di una placca metallica (precedentemente dichiarata smarrita dall’interessato), con il fine di dimostrare l'appartenenza alla Polizia di Stato e il pieno esercizio delle sue funzioni, malgrado fosse sospeso dal servizio per motivi disciplinari.
3. Pur a voler prescindere dai precedenti disciplinari del ricorrente (tre, richiami scritti, undici pene pecuniarie e quattro sospensioni disciplinari) il Collegio osserva che la sanzione irrogata appare giustificata dalla gravità dei fatti addebitati al ricorrente e che, comunque, l’individuazione della pena disciplinare da irrogare nel caso concreto spetta a chi dispone del potere/dovere disciplinare, competendo al giudice amministrativo esclusivamente la verifica circa la presenza di errori manifesti o di vizi macroscopici che possono inficiare il procedimento o il provvedimento disciplinare.
In sostanza, in materia di sanzioni disciplinari, il principio di proporzionalità non può consentire al giudice amministrativo di sostituirsi alla valutazione dell'Amministrazione, essendo possibile solo verificare che l'atto sia sorretto da adeguata motivazione e basato su fatti e circostanze tali da indurre la medesima Amministrazione a considerarli incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 2012, n. 1993).
Nel caso di specie, da una parte, il procedimento disciplinare non risulta inficiato da errori o vizi manifesti o macroscopici, e, dall’altra, il provvedimento di destituzione non può ritenersi viziato sotto il profilo della proporzionalità, perché risulta congruamente motivato, basato sull’esame delle circostanze del caso concreto e sulla scelta (come detto, insindacabile) di ritenere le condotte poste in essere dal Furlanetto inconciliabili con le funzioni di un operatore di polizia, pregiudizievoli per il servizio e tali da rendere incompatibile la permanenza dell’interessato nella Polizia di Stato.
4. Altrettanto infondata risulta la censura con la quale il ricorrente ha contestato che il Consiglio Provinciale di Disciplina abbia dato seguito alla trattazione orale del procedimento disciplinare omettendo di considerare le precarie condizioni di salute del Furlanetto, violando, in tal modo, il suo diritto alla difesa.
L'art. 20 del d.P.R. n. 737/81, infatti, dispone che il Consiglio Provinciale di Disciplina avverte l'inquisito che "se non si presenterà, nè darà notizia di essere legittimamente impedito, si procederà in sua assenza".
Nella fattispecie, come sopra rilevato, l’Amministrazione aveva appurato che le condizioni di salute del Furlanetto non gli avrebbero impedito di partecipare alla seduta del Consiglio Provinciale di Disciplina (già in precedenza rinviata proprio per garantire all’interessato il diritto di difesa) e, quindi, correttamente, il procedimento disciplinare si è svolto e concluso alla sola presenza del difensore dell'incolpato.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo respinge;
- condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, che si liquidano in complessivi 2.500,00 (duemilacinquecento/00) euro, compresi gli onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Taglienti, Presidente FF
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Rita Tricarico, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Cercherò di essere ancora più elementare di te:
l'art. 323 del c.p. è notoriamente un reato contro la pubblica amministrazione quindi, a prescindere dallo sviluppo della storia, è lecito attendersi la sospensione cautelare dal servizio ed un futuro provvedimento destitutivo; ripeto e sottolineo: "a prescindere dallo sviluppo della storia".
i reati "minori", seppur mal si conciliano con lo status militare di chi vi incorre, non producono l'effetto immediato della sospensione cautelare dal servizio né, tantomeno, un provvedimento conclusivo di tipo destitutivo .
Se hai qualche esempio concreto che possa contraddirmi, sarò ben lieto di venirne a conoscenza (esempi concreti che abbiano attinenza con quanto dibattuto e cioè: qualcuno che sia stato sospeso precauzionalmente e poi destituito, oppure, destituito senza aver sofferto una precedente sospensione facoltativa, per un reato della natura, o similare, del medesimo tenore, in cui è incorso il collega "militare37".
Saluti.
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