REPUBBLICA ITALIANA. 154/2020
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
Agostino CHIAPPINIELLO Presidente
Enrico TORRI Consigliere
Fernanda FRAIOLI Consigliere
Fabio Gaetano GALEFFI Consigliere
Donatella SCANDURRA Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio pensionistico, iscritto al n. 54531/PM del registro di segreteria,
proposto dall'INPS, ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE (codice fiscale 80078750587), con sede a Roma, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e
disgiuntamente, dagli avv.ti Giuseppina Giannico (codice fiscale
GNNGPP70B67D883T; posta elettronica certificata:
avv.giuseppina.giannico@postacert.inps.gov.it), Antonella Patteri (codice
fiscale PTTNNIL0E49D665K; posta elettronica certificata:
avv.antonellapatteri@postacert.inps.gov.it), Sergio Preden (codice fiscale
PRDSRG72LI6H50IO; posta elettronica certificata:
avv.sergio.preden@postacert.inps.gov.it) e Luigi Caliulo (codice fiscale
CLLLGU54B09H703F; posta elettronica certificata:
avv.luigi.caliulo@postacert.inps.gov.it), come da procura speciale in calce
all’atto di appello e presso gli stessi elettivamente domiciliato in Roma, alla via
Cesare Beccaria n. 29, negli uffici dell'Avvocatura centrale dell'Istituto (fax n.
0695066536)
nei confronti di xxxxxxxxxx
rappresentati e difesi dall'avv. Xxxx che indica per le comunicazioni e tutte le con
domicilio eletto presso il suo studio in, in virtù di procura in calce alla memoria di costituzione in giudizio
avverso
la sentenza n. 898/2018 della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei
conti per la Puglia, depositata il 27 dicembre 2018, notificata il 24 gennaio
2019;
VISTO l’atto di appello;
VISTI tutti gli altri atti e documenti di causa;
UDITI, all’udienza dell’11 giugno 2020, il relatore cons. Donatella Scandurra,
l’avv. Giuseppina Giannico per l’Inps e l’avv. Xxxxx per gli appellati.
Ritenuto in
FATTO
Con sentenza n. 898/2018, depositata il 21 dicembre 2018, la Sezione
giurisdizionale regionale per la Puglia accoglieva parzialmente il ricorso in
primo grado proposto dagli odierni appellati, tutti ex sottoufficiali della Marina
Militare, collocati a riposo tra il 2012 e il 2017, riconoscendo loro il diritto al
ricalcolo, alla riliquidazione e al pagamento del trattamento pensionistico con
attribuzione dell'aliquota di rendimento del 44 per cento, di cui all’art. 54 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, oltre
interessi e rivalutazione monetaria sulle somme arretrate, in luogo
dell’aliquota, meno favorevole, riconosciuta loro dall’ente previdenziale, pari xxx
Con atto, depositato l’8 aprile 2019, l’Inps presentava appello, facendo
presente che tutti gli appellati erano titolari di trattamento pensionistico
liquidato con il sistema di calcolo cd. misto e con un’anzianità contributiva alla
data del 31.12.1995 inferiore ai 18 anni
(superiore ai 15 anni MIO INSERIMENTO)
Nel merito l’Inps censurava la violazione dell'art. 54 del d.P.R. n. 1092/73 e
dell'art. 1, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, sostenendo che il
menzionato art. 54 troverebbe esclusiva applicazione nell’ipotesi in cui
l’interessato sia cessato dal servizio permanente con un’anzianità di servizio
compresa fra i 15 ed i 20 anni. A sostegno della propria posizione richiamava
il tenore letterale dell’art. 54 che prevederebbe un eccezionale beneficio al
militare che abbia maturato la minima anzianità utile per la pensione (15 anni
nell'ipotesi di cessazione dal servizio permanente effettivo per cause diverse
dalla domanda, decadenza o perdita del grado), assicurandogli un trattamento
pensionistico parametrato a quello che avrebbe ottenuto solo dopo 20 anni di
servizio. Ulteriori argomenti di ordine esegetico – la norma sarebbe chiarissima
nella sua parte dispositiva - e sistematico, con riferimento, in particolare, al
sopravvenuto disposto, di cui all’art. 1, comma 12, delle legge n. 335/95, che,
nel prevedere che la quota retributiva sia “corrispondente” alle “anzianità
acquisite” anteriormente al 31 dicembre 1995, imporrebbe di parametrare tale
quota ad un'anzianità reale, e non certo a quella meramente fittizia scaturente
dall'applicazione della eccezionale previsione del “15 vale 20”, di cui al primo
comma dell'art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973. In conclusione, l’Istituto chiedeva
la riforma della sentenza di primo grado, anche se conforme a precedente di
questa Sezione (la sent. n. 422/2018).
Si costituivano in giudizio gli odierni appellati in data 27 gennaio 2020,
chiedendo che il gravame venisse respinto per violazione e/o falsa applicazione
dell'art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, sostanzialmente reiterando le argomentazioni
logico-giuridiche vittoriosamente prospettate in prime cure e poste a
fondamento della successiva e copiosa giurisprudenza d’appello.
Con ulteriore memoria difensiva, parte appellata confermava la piena ed
irrevocabile disponibilità all’introito della causa in decisione, formulando le
seguenti conclusioni: rigettare l'appello in quanto infondato e, per l'effetto,
confermare integralmente la sentenza di primo grado; con vittoria di spese.
All’odierna udienza le parti si sono riportate alle conclusioni in atti.
Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
Considerato in
DIRITTO
La questione sottoposta all'attenzione della Corte verte sull'applicazione
dell'art. 54, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 1092/73, a mente del quale: “La pensione
spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di
venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile …. La
percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio
utile oltre il ventesimo”.
Nei casi di specie, il trattamento pensionistico, riconosciuto agli odierni
appellati, rientra nel sistema di calcolo pensionistico c.d. misto, in base al quale
il trattamento di pensione è la risultante della sommatoria tra:
✓ la c.d. “parte retributiva” ovvero il riconoscimento (dalla data di
arruolamento fino al 31.12.1995) della maturazione di un’aliquota da
moltiplicare per ogni anno di servizio prestato, la cui risultante viene ad
essere applicata sull'ultima retribuzione percepita (la c.d. quota "A")
mentre quanto maturato dal 01.01.1993 al 31.12.1995 viene ad essere
applicato sulla media delle retribuzioni percepite dal 1993 con
riferimento alla media degli ultimi dieci anni (la c.d. quota "B");
✓ la c.d. “parte contributiva” ovvero il riconoscimento, dalla data del
01.01.1996 e sino al congedo, della maturazione di un montante
contributivo, calcolato in base ai contributi versati, il quale, sottoposto
ad un coefficiente variabile ogni tre anni, viene a generare l'importo
pensionistico della c.d. quota "C"; la somma delle tre quote
("A"+"B"+"C") viene a determinare l'importo che l'interessato arriva a
percepire come trattamento pensionistico.
Nei casi in esame, l’Istituto, nel calcolare il trattamento pensionistico, ha
disatteso quanto previsto dall'art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, applicando, per il
calcolo del relativo trattamento pensionistico, non la prevista aliquota del 44
per cento, bensì la minore aliquota prevista per il personale civile, di cui all'art.
44 del medesimo d.P.R. n. 1092/73, a mente del quale “La pensione spettante
al personale civile con l'anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al
35 per cento della base pensionabile”.
Secondo l’Inps, la disciplina di cui all’art. 54 sarebbe qualificabile come
speciale e l’aliquota del 44 per cento si applicherebbe soltanto a coloro che
siano cessati dal servizio con un’anzianità contributiva compresa tra i quindici
e i venti anni; questo assetto risulterebbe aderente al dato letterale e coerente
con la natura speciale della disposizione, che, attribuendo un beneficio ad una
limitata categoria di soggetti (quelli cessati con un’anzianità compresa tra 15 e
20 anni), non sarebbe applicabile oltre i casi espressamente previsti, cioè a
coloro collocati in pensione con anzianità complessive più elevate di 20 anni;
inoltre, sempre secondo la prospettazione dell’Istituto previdenziale, la
disposizione, introdotta allorché vigeva il sistema retributivo puro, avrebbe
avuto una funzione perequativa per quei militari che, per motivi indipendenti
dalla propria volontà, fossero stati costretti ad abbandonare il servizio senza
aver raggiunto i vent’anni di servizio.
Tale soluzione interpretativa non può essere condivisa.
In senso favorevole all’applicabilità dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 al
personale militare non avente, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità
contributiva di almeno 18 anni, depone ora il consolidato orientamento delle
sezioni centrali d’appello, espresso in plurime occasioni (sez. I appello
422/2018, 30/2020, 65/2020, 91/2020 e 92/2020; sez. II appello 61/2019,
197/2019, 205/2019, 208/2019, 308/2019 e 310/2019; sez. III appello
228/2017, 266/2019 e 267/2019).
Va innanzitutto evidenziato che l’art. 44 del d.P.R. n. 1092/1973, essendo
inserito nel Capo I (rubricato “Personale civile”), del Titolo III (relativo al
“Trattamento di quiescenza normale”), è destinato ad operare esclusivamente
nei confronti del personale civile.
Nei confronti del personale militare, invece, opera la speciale disciplina
contenuta nel successivo Capo II (intitolato “Personale militare”) all’interno
del quale è contenuto, per l’appunto, l’art. 54.
Ritiene il Collegio che la disciplina di cui l’articolo 54 (della cui vigenza non
è dato dubitare stante anche il richiamo contenuto nell'art. 1867, comma 2, del
D.Lgs. n. 66/2010 - Codice Militare), non sia affatto connotata dal carattere
della specialità, in quanto l’art. 54 definisce i criteri di calcolo della pensione
normale per tutti i militari, prescindendo dalle cause di cessazione dal servizio
ed è applicabile, indistintamente, a tutto il personale militare e a tutti coloro
che abbiano maturato la minima anzianità di servizio di 15 anni per accedere
alla pensione, stabilita dal precedente art. 52, comma 1, del d.P.R. n.
1092/1973.
E’ da ritenersi, quindi, maggiormente aderente ad un corretto criterio
ermeneutico, letterale e sistematico, un’interpretazione dell'articolo 54, nel
senso che l'aliquota del 44 per cento, prevista dal primo comma, va applicata a
coloro che, alla data del 31 dicembre 1995 possiedono un'anzianità contributiva
compresa tra i 15 ed i 20 anni. Il secondo comma che prevede che spetti al
militare l'aliquota dell’1,80 per cento per ogni anno di servizio oltre il
ventesimo e disciplina, pertanto, l'ipotesi in cui il soggetto cessi dal servizio
con anzianità maggiore di 20 anni, chiarisce, infatti, che la disposizione del
comma 1 non può considerarsi limitata a coloro che cessino con un massimo
di 20 anni di servizio.
Le argomentazioni svolte dall’Istituto Previdenziale non consentono di
superare l’indirizzo giurisprudenziale che si va affermando in sede di appello
sul tema.
Deve infatti escludersi che la disciplina di cui all’art. 54 sia qualificabile come
speciale, in quanto contribuisce a definire gli ordinari criteri di calcolo della
pensione per la generalità dei militari. A ciò consegue che è improprio far
riferimento a rigidità applicative tipiche della disciplina che fa eccezione a regole generali.
Inoltre, non è corretto l’impianto argomentativo dell’Inps, secondo cui
l’aliquota del 44 per cento, sarebbe la risultante della somma di due
componenti: il 35 per cento, derivante dall’applicazione dell’aliquota annua del
2,33 per cento fino a 15 anni, ed il 9 per cento, derivante dall’applicazione
dell’aliquota al 1,8 per cento per i successivi 5 anni. Cosicché, dopo il
ventesimo anno l'aliquota continuerebbe ad essere quella dell’1,8 per cento sino
al conseguimento dell'80 per cento, aliquota massima conseguibile.
In definitiva, ritiene il Collegio che la soluzione interpretativa accolta dal
giudice territoriale con la sentenza qui impugnata sia corretta e che la sentenza
di primo grado vada confermata.
L'appello dell’Inps va, pertanto, rigettato.
Sono fatti salvi gli effetti dell'eccepita prescrizione quinquennale sui ratei
pregressi. Per quanto riguarda, in particolare, ilxxxx la pensione decorre
dal xxxxed è stata liquidata con provvedimento del xxxx: nei cinque
anni successivi non risultano atti interruttivi in quanto la prima richiesta risulta
avanzata all'lNPS in data 09.02.2018. Di conseguenza per l’appellato xxxxx
devono ritenersi prescritte le differenze dei ratei pensionistici
maturate anteriormente al xxx.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
Rigetta nei termini indicati in motivazione l’appello dell’INPS e, per l’effetto,
conferma, la sentenza impugnata Liquida le spese in favore degli appellati in complessivi 1.500,00 euro
(millecinquecento/00) a carico dell’Inps.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, all'esito della camera di consiglio dell’11 giugno 2020.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
(Donatella Scandurra)
IL PRESIDENTE
(Agostino Chiappiniello)