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avt8
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destituzione

Messaggio da avt8 »

Per eventuali iscritti con problemi relativi a procedimenti penali ecc. ecc-
Leggete che in caso di destituzione non si prende la pensione neanche con 32 anni di servizio-

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE

composta dai magistrati:

Stefano IMPERIALI Presidente

Angela SILVERI Consigliere relatore

Mario NISPI LANDI Consigliere

Luigi CIRILLO Consigliere

Daniela ACANFORA Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sull’appello proposto dal sig. GIACOMEL Alessandro, rappresentato e difeso dall’Avv. Mario Ettore Verino presso il cui studio in Roma, Via Lima n. 15, ha eletto domicilio

contro

il Ministero dell’Interno, non costituitosi in giudizio

avverso

la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto n. 101/08 del 29 gennaio 2008.

Visto l’appello, iscritto al n. 34803 del registro generale.

Esaminati gli atti e i documenti di causa.

Uditi nella pubblica udienza del 5 novembre 2015 il relatore, Consigliere Angela Silveri, e l’Avv. Domenico Bonaiuti (delegato dall’Avv. Mario Ettore Verino) per l’appellante.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. GIACOMEL Alessandro, nato il 28 giugno 1955 già sovrintendente della Polizia di Stato destituito dal servizio con decorrenza 24 aprile 2001, con istanza del 6 febbraio 2003 chiedeva che gli fosse corrisposta la pensione ordinaria avendo maturato 32 anni e 2 mesi utili di servizio, di cui 23 di servizio effettivo. Con nota del 14 luglio 2003 il Ministero dell’Interno respingeva l’istanza in quanto il richiedente, alla data dell’avvenuta destituzione , non aveva raggiunto i 55 anni di età e i 35 anni di anzianità contributiva. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi alla Sezione giurisdizionale per il Veneto che respingeva il ricorso con la sentenza n. 101/2008 del 29 gennaio 2008. Il primo giudice ha evidenziato che nella specie faceva difetto sia l’anzianità di servizio prevista dalla legge n. 449 del 1997, sia l’età anagrafica di anni 52 fissata nella tabella B allegata al decreto legislativo n. 165 del 1997 nel testo sostituito dall’art. 59, comma 12, della legge n. 449 del 1997.

La sentenza è stata impugnata dall’interessato con appello ritualmente notificato e depositato in termini, nel quale si deduce violazione dell’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 1092 del 1973 nonché dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale. L’appellante rammenta che il comma 3 dell’art. 52 riconosce il diritto alla pensione al personale militare cessato dal servizio per perdita del grado qualora abbia compiuto 20 anni di servizio effettivo; sostiene che tale norma ha carattere di specialità e che, quindi, non è stata abrogata dalle norme successivamente intervenute – quali il d.lgs. n. 165 del 1997 - che disciplinano le ipotesi di pensione di anzianità; sarebbe, quindi, illogica l’equiparazione dell’impugnata sentenza tra il caso della destituzione dal servizio e quello della cessazione dal servizio per anzianità. La specialità della norma risiederebbe nella circostanza che il 3° comma dell’art. 52 disciplinava, esclusivamente, le ipotesi della decadenza e della perdita del grado, mentre la disciplina generale è recata dai commi 1 e 2 dello stesso art. 52.

In subordine, l’appellante deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 59, commi 6 e 12, della legge n. 449 del 1997, dell’art. 2, comma 23, della legge n. 335 del 1995, dell’art. 1, commi 97 e 99, della legge n. 662 del 1996 e del d.lgs. n. 165 del 1997 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, trattandosi di norme che «portano all’assurda ed ingiusta conseguenza di negare ogni trattamento pensionistico al dipendente cessato dal servizio per destituzione ». Rammenta che la Corte costituzionale, con numerose sentenze (nn. 3/66, 78/1967, 112/68, 25/72, 83/79, 288/1983 ecc.), ha statuito che anche in caso di condanna penale deve essere riconosciuto al dipendente il diritto a conseguire il trattamento pensionistico, quale retribuzione differita.

L’appellante ha chiesto, conclusivamente, che sia riconosciuto il diritto alla pensione ordinaria, con interessi e rivalutazione monetaria, previa (occorrendo) dichiarazione della non manifesta infondatezza delle eccepita questione di legittimità costituzionale.

Con memoria depositata il 26 ottobre 2015 l’appellante ha ulteriormente illustrato i motivi di gravame.

Il Ministero dell’Interno, cui è stato ritualmente notificato il decreto di fissazione d’udienza, non si è costituito in giudizio.

All’udienza del 5 novembre 2015 l’Avv. Domenico Bonaiuti si è riportato ai motivi di gravame chiedendone l’accoglimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Trattasi di accertare se – diversamente da quanto affermato dal primo giudice – sussista il diritto a pensione dell’appellante (già sovrintendente della Polizia di Stato) cessato dal servizio per destituzione , con decorrenza 24 aprile 2001, all’età di 45 anni.

1.a L’appellante ha, innanzitutto, dedotto violazione dell’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 1092 del 1973, nonché dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, osservando sostanzialmente che la norma disciplinerebbe, esclusivamente, le ipotesi di pensione per decadenza o per perdita del grado e che quindi la norma stessa, in ragione del suo carattere di specialità, non sarebbe stata abrogata dalle disposizioni successivamente intervenute – quali il d.lgs. n. 165 del 1997 - che disciplinano le ipotesi di pensione di anzianità.

L’assunto è privo di fondamento con riguardo ad entrambe le affermazioni ivi contenute.

E’, invero, sufficiente una piana lettura dell’art. 52 per intendere – senza che necessitino operazioni ermenuetiche suppletive – che il comma 3 si riferisce a tutte le ipotesi di cessazione dal servizio anticipata rispetto a quella derivante dal raggiungimento dei limiti di età, disciplinata dal comma 2. Dispone, testualmente, il menzionato comma 3: «l’ufficiale, il sottufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado, hanno diritto alla pensione normale se hanno compiuto almeno venti anni di servizio effettivo».

In sostanza, diversamente da quanto addotto dall’appellante, l’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 1092 del 1973 accomunava – agli effetti pensionistici - la «perdita del grado» (comminata, come è noto, in ipotesi di gravi violazioni degli obblighi di servizio) agli altri casi di cessazione anticipata. Da ciò discende l’insussistenza della connotazione di «specialità», da cui lo stesso appellante inferisce la vigenza della disposizione anche successivamente all’entrata in vigore delle norme di riforma generale riguardanti la pensione di anzianità; disposizione che, quindi, a suo dire, continuerebbe a trovare applicazione per l’ipotesi – quale quella di specie – di cessazione dal servizio per destituzione .

In realtà, in assenza del presupposto della «specialità», deve affermarsi che la riforma generale delle pensioni rechi nuove e uniformi regole per tutte le ipotesi di cessazione anticipata dal servizio, tutte rientranti nella dizione onnicomprensiva di «pensione di anzianità».

Pertanto, come affermato dal primo giudice, la posizione del GIACOMEL non è disciplinata dall’art. 52, comma 3, del D.P.R. 1092 del 1973, ma è soggetta alle disposizioni richiamate nell’impugnata sentenza; e, quindi, mancando i requisiti di anzianità anagrafica e di servizio previsti dalle nuove disposizioni, sulla cui ricorrenza l’appellante non ha dedotto alcun motivo di gravame, va escluso che sussistano i presupposti dell’invocato diritto a pensione.

1.b Deve, infine, rilevarsi la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale che è stata posta dall’appellante con riguardo a tutte le nuove norme pensionistiche per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.

Sul punto è sufficiente evidenziare la palese diversità tra le disposizioni che – prima dei noti interventi della Corte costituzionale in materia - escludevano il diritto a pensione in ipotesi di cessazione dal servizio per condanna penale o per motivi disciplinari e quelle ora all’esame che non prevedono alcuna esclusione del diritto a pensione ma, più semplicemente, subordinano tale diritto agli stessi requisiti di anzianità anagrafica e di servizio prescritti per l’ipotesi di cessazione a domanda.

In siffatto scenario normativo non si vede come possa parlarsi di una qualche discriminazione, dovendo piuttosto affermarsi che proprio in continuità con quanto previsto dal D.P.R. n. 1092 del 1973 e, quindi, per uniformità di trattamento, le cessazioni anticipate dal servizio rientrano nell’unico genus delle pensioni di anzianità. Diversamente, secondo quanto preteso dall’appellante e in totale contrasto con le motivazioni che hanno ispirato le pronunce di incostituzionalità, un provvedimento punitivo che incide sullo stato di servizio verrebbe ad avere effetti premianti per la quiescenza.

2. L’appello è, pertanto, integralmente infondato e da respingere.

Poiché l’amministrazione appellata non si è costituita in giudizio, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale

RESPINGE

l'appello, iscritto al n. 34803, proposto dal sig. GIACOMEL Alessandro avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto n. 101/2008 del 29 gennaio 2008.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 5 novembre 2015.

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

(Angela SILVERI) (Stefano IMPERIALI)

F.to Angela SILVERI F.to Luciano CALAMARO

Depositata in Segreteria il 25/01/2016

IL DIRIGENTE

(dott.ssa Daniela D’Amaro)

F.to Daniela D’Amaro


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