decreto definitivo di pensione

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yerri63

decreto definitivo di pensione

Messaggio da yerri63 »

mi rivolgo hai vari colleghi e non del forum,in data 06.11.2012 o ricevuto dalla sede INPS il decreto definitivo di pensione con la sorpresa che devo restituire la somma di euro 6.690,l'istituto sopra citato a provveduto alla trattenuta come da normative vigenti,chiedo un urgente consiglio come mi devo comportare.Si precisa che sono stato riformato in data 12.12.2009 senza causa di servizio.resto in attesa di una risposta in merito grazie


salvo 63
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Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da salvo 63 »

in attesa che ti risponda un esperto o chi ha avuto esperienza, in merito all’argomento posso dirti che l’inpdap ultimamente sta facendo acqua da tutte le parti, un mio collega della pol/pen è andato in pensione dieci anni fa con una pensione diretta definitiva dal suo primo giorno di pensione quindi presumo che i conti dovevano essere esatti visto che si tratta di “pensione diretta definitiva” ebbene anche lui ha avuto l’amara sorpresa di trovarsi a restituire una somma di circa € 9000 perché a loro dire in questi anni ha avuto più di quello che doveva avere, so per certo che si è rivolto ad un legale e non ha restituito un centesimo, ora io mi chiedo e vi chiedo ma e mai possibile che un ‘ istituzione come l’impdap può permettersi di sbagliare e poi comodamente accorgersene dopo anni e chiedere di restituire le somme come se la colpa è nostra e chi è preposto a questi servizi ha sbagliato veramente,e sta ancora seduto in una scrivania con i riscaldamenti accesi d’ inverno e il condizionatore d’estate? Io penso che una forma di tutela debba esserci tutto questo è ingiusto, vergognoso e per niente professionale.
Ti auguro buona fortuna, salvo 63
yerri63

Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da yerri63 »

MI RIVOLGO AL CARO SALVO 63,I SIGNORI DELL'INPDAP MI ANNO RISPOSTO CHE IL DECRETO LO INVIANO IL C.N.A CHE FA IL CALCOLO,IL LORO COMPITO E QUELLO DI FARE IL CONGUAGLIO GENERALE DI QUELLO CHE TI ANNO CORRISPOSTO E DI LA CHE FANNO LA IL DARE AVERE,RESTA IL FATTO CHE IL PENSIONATO SI TROVA A SBORSARE DELLE SOMME CHE NON A CHIESTO LUI DI AVERE IN FORMA PROVVISORIA,PER METTERE LUCE A QUESTA ANNOSA VICENDEA CHE STA COLPENDO VARI COLLEGHI SUL LASTRICO ESSENDO CHE LìNPDAP EFFETTUA SUBITO LA TRATTENUTA SENZA INTERPELLARTI COME E SUCCESSO CON IL MIO CASO,SPERO CHE POSSO FAR VALERE I MIEI DIRITTI D'AVENTI AD UN GIUDICE CHE DECIDERA SE I CONTI SONO IN REGOLA ,PERCHè IL SOTTOSCRITTO NON RIESCE A DECIFRARE IL CALCOLO DEL C.N.A.,SO SOLO CHE ALLA FINE DEL CONTEGGIO DICE CHE O PERCEPITO SOMME CHE NON COMPETEVANO E PERTANTO SONO DA RESTITUIRE ALL'ORGANO CHE STA EROGANDO LA PENSIONE,RESTO SEMPRE IN ATTESA CHE TROVI UNO O PIù EX COLLEGHI E ABBIANO AVUTO LA STESSA MIA DISAVVENTURA E CONFRONTARCI SUL DA FARSI.GRAZIE
salvo 63
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Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da salvo 63 »

Per quello che ho potuto capire l’inpdap ha passato la palla al CNA, come se la sua competenza è quella di fare copia incolla del decreto, applicando le dovute trattenute per poi conguagliare tutto il periodo,ammettendo per ipotesi che l’ipdap abbia ragione, il CNA che ti ha dato inizialmente una pensione provvisoria doveva darti molto meno rispetto alla definitiva, per cui la questione a chi va fatta? Resta di fatto come tu giustamente dici un addebito a tuo carico, spero per te e per tutti noi interessati o no “al momento” di trovare una via d’uscita, tienici al corrente è molto importante grazie.
Salvo 63
fox62
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Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da fox62 »

Ciao yerriy63, il tuo problema è comune a quello di molti altri colleghi. L'importante è che quando sei andato in pensione, tù non abbia firmato alcuna dichiarazione che ti impegnava nel caso avresti percepito cifre superiori a quelle che ti spettavano di restituirle in sede di conguaglio. Se cerchi nel motore di ricerca del forum trovi tantssimi casi simili al tuo. Penso che pet risolvrela questione a tuo favore devi fare ricorso alla competente sede Regionale della Corte dei Conti. In bocca al lupo per tutto.
vilos
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Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da vilos »

Scansione.pdf
A chiunque possa interessare allego copia di una sentenza della Corte dei Conti della Sicilia in merito all'indebito pensionistico.
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
denicolamichele
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Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da denicolamichele »

app. "s" in congedo per riforma in data 26 marzo 2012, percepisco regolarmente la pensione dall'inps inpdap e gia liquidato il tfs, in merito al decreto definitivo in attesa di invio dal cna, leggendo i vari post in merito al decreto definitivo dal quale si evince che in alcuni casi si debba restituire eventuali somme indebitamente ricevute, tenendo conto che al sottoscrito e' stata fatta firmare una liberatoria a restituire eventuale somma, chiedo cortesemente sapere su quale voce e' stata chiesta la restituzione e se qualcuno ha fatto ricorso in merito. grazie
yerri63

Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da yerri63 »

al caro denicolamichele,nel tuo caso non ti devi aspettare nessun decreto definitivo ,perchè la tua pensione è già definitiva essendo stato riformato in Marzo 2012 , in merito alle dichiarazioni che si firmano all'atto del congedo non vul dire nulla c'è una tempistica da rispettare per ghiedere di restituire l'eventuale somma eccedente che ti sia stata erogata,a titolo di informazione c'è l'ultima sentenza della corete dei conti in materia di indebito percepito e data 12.02.2012,con la quale stabilisce che non va restituito nulla se la pubblica amministrazione ti richiede dopo oltre un anno l'indebito.nel mio caso sto inpiantando un ricorso ala corete dei conti per far valere i miei diritti.ti saluto
Henry6.3

Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da Henry6.3 »

Sarebbe utile conoscere la voce principale per la quale si è verificata la discordanza a conguaglio negativo, tra la pens. provvisoria e la definitiva. Concordo con la responsabilità amministrativa esclusiva di chi ha all'epoca emesso atto dispositivo di pensione provvisora, quindi nostra amministrazione non certo altri Enti.
Il guaio principale veniva compiuto quando, in epoca scorsa i vari Servizi amministrativi Legionali, poi C.N.A. aggiornavano mai appunto atti dispositivi stipendiali, che una volta presi per calcolo pensione provvisoria, contenendo errori generavano in via definitiva, conguaglio a debito, molte volte per4 fortuna a credito.
agostinodon

Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da agostinodon »

Caro Collega yerri63, stai tranquillo.
1. L'Inps ( ex Inpdap ), può trattenere ulteriore addebito sulla Pensione per recuperare somme percepite in più.
2. Non ti lasciare prendere dal panico per questo problema, per sapere informazioni da chicchessia che non
risolvono il tuo problema. Tempo prezioso perso.
3. Con la lettera che l'Inps ti inviato, vai subito dall'Avv. e presenta Ricorso alla Corte dei Conti.
4. Stai sereno, che la causa è vinta. Un caro saluto.
panorama
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Re: decreto definitivo di pensione

Messaggio da panorama »

Sentenza della Corte Costituzionale n. 208/2014 del 16/07/2014
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art. 204 del dPR 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato)
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1) - dirigente superiore della Polizia di Stato collocato a riposo a far data dal 1° luglio 1995, aveva impugnato il decreto del Ministero dell’interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, registrato dalla Corte dei conti in data 22 febbraio 2001, con il quale era stato rideterminato, in senso peggiorativo, il trattamento pensionistico già attribuitogli in via definitiva con precedente decreto del 4 febbraio 1998, n. 1266, registrato dalla Corte dei conti il 3 agosto 1998.

2) - Sostenendo che il secondo decreto si fondava su una diversa interpretazione dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 1996, n. 341 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico di ufficiali delle Forze armate e di polizia) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 agosto 1996, n. 427 – di cui non contestava la correttezza, aveva chiesto che fosse dichiarata l’irripetibilità delle somme percepite in eccesso rispetto alla liquidazione operata dal secondo decreto e l’annullamento dello stesso, atteso che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 ammetterebbe la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza solo nei casi ivi previsti, tra cui non è annoverato l’errore di diritto.

Il resto leggetelo qui sotto.
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SENTENZA N. 208

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Sabino CASSESE Presidente
- Giuseppe TESAURO Giudice
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso dalla Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, nel procedimento vertente tra Pisani Giovanni, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), quale successore ex lege dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), ed altri, con ordinanza del 13 febbraio 2012, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 13 febbraio 2012 depositata il 20 aprile 2012, la Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico anche nel caso di errore di diritto.

1.1.– Il rimettente riferisce che l’appellante nel giudizio principale, dirigente superiore della Polizia di Stato collocato a riposo a far data dal 1° luglio 1995, aveva impugnato il decreto del Ministero dell’interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, registrato dalla Corte dei conti in data 22 febbraio 2001, con il quale era stato rideterminato, in senso peggiorativo, il trattamento pensionistico già attribuitogli in via definitiva con precedente decreto del 4 febbraio 1998, n. 1266, registrato dalla Corte dei conti il 3 agosto 1998. Sostenendo che il secondo decreto si fondava su una diversa interpretazione dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 1996, n. 341 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico di ufficiali delle Forze armate e di polizia) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 agosto 1996, n. 427 – di cui non contestava la correttezza, aveva chiesto che fosse dichiarata l’irripetibilità delle somme percepite in eccesso rispetto alla liquidazione operata dal secondo decreto e l’annullamento dello stesso, atteso che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 ammetterebbe la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza solo nei casi ivi previsti, tra cui non è annoverato l’errore di diritto. La sentenza impugnata aveva riconosciuto l’irripetibilità di quanto indebitamente percepito, ritenendo, tuttavia, legittimo il secondo decreto in virtù del generale potere della pubblica amministrazione di annullare d’ufficio i propri atti. In sede di impugnazione, nel ribadire la richiesta di annullamento l’appellante aveva lamentato l’erronea interpretazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto inapplicabile al caso di errore di diritto, ed escluso che il decreto pensionistico n. 1274 del 1999 potesse essere qualificato come atto di annullamento d’ufficio. Si era costituito in giudizio l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), non contestando che nella fattispecie si trattasse di errore di diritto, ma sostenendo il legittimo esercizio del generale potere di annullamento d’ufficio spettante all’amministrazione.

1.2.– Il rimettente sostiene che, come peraltro non contestato dalle parti, la rideterminazione del trattamento pensionistico sia dipesa da un precedente errore interpretativo dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 341 del 1996.

A suo avviso la disciplina dettata dagli artt. 203 e seguenti del d.P.R. n. 1092 del 1973 risponderebbe all’esigenza di trovare un punto di equilibrio tra la necessità, riconducibile ai principi espressi dall’art. 97 Cost., di porre rimedio all’attribuzione di un trattamento di quiescenza superiore a quello dovuto e quella di tutelare il pensionato, che destina le prestazioni pensionistiche, anche se parzialmente indebite, al soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia.

Tale disciplina, tuttavia, sarebbe il frutto di un’evoluzione normativa che originariamente attribuiva alla Corte dei conti la funzione «paragiurisdizionale» di liquidare il trattamento pensionistico – sulla base delle conclusioni del Procuratore generale e ad opera di una pronuncia collegiale in camera di consiglio – e, quindi, giustificava una disciplina della revocazione che escludesse l’errore di diritto. Tale esclusione, viceversa, rappresenterebbe una grave lacuna dal momento in cui la liquidazione del trattamento pensionistico è stata sottratta all’organo giurisdizionale ed attribuita all’amministrazione, il cui provvedimento ha continuato ad essere modificabile o revocabile solo in casi tassativamente indicati, tra cui non rientrerebbe l’errore di diritto.

Peraltro, il rimettente evidenzia che – al di fuori del caso in cui il provvedimento di liquidazione sia modificato in ragione dell’illegittimità rilevata dalla Corte dei conti nell’esercizio del controllo successivo – la giurisprudenza delle sezioni d’appello della Corte dei conti sarebbe univoca nell’escludere che il generale regime di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi illegittimi sia applicabile a quello definitivo di liquidazione del trattamento di quiescenza – in ciò corroborata da una pronuncia della medesima Corte a sezioni riunite in funzione nomofilattica – in ragione del principio di prevalenza dell’interesse alla stabilità e certezza del rapporto pensionistico.

In simile contesto – nonostante sia consapevole del precedente rappresentato dalla sentenza di questa Corte n. 91 del 1984, che ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale di analogo tenore – il giudice a quo ritiene di sollevarla nuovamente.

Preliminarmente, il rimettente sostiene di non poter dar luogo ad un’interpretazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 che elida i profili di illegittimità di cui lo stesso sarebbe affetto. Ciò, in particolare, potrebbe avvenire escludendo la tassatività dell’elencazione contenuta nella disposizione censurata. Essa, tuttavia, risulterebbe alla stregua del diritto vivente e del tenore letterale della disposizione censurata, che impedirebbero un’interpretazione adeguatrice, come indirettamente confermato dal precedente rappresentato dalla sentenza n. 91 del 1984.

Dunque, ad avviso del giudice a quo, il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza potrebbe essere modificato o revocato solo per i motivi indicati dall’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973, che, in ragione della sua specialità, impedirebbe l’annullamento d’ufficio secondo il regime generale degli atti amministrativi.

Sulla base di tale premessa, il rimettente ritiene che la disposizione censurata differenzi ingiustificatamente – in violazione dell’art. 3 Cost. – la situazione in cui il provvedimento sia affetto da un errore di percezione di un dato di fatto della realtà o di calcolo da quella in cui esso sia caduto sulla norma da applicare o sulla sua interpretazione, posto che costituirebbe valore dell’ordinamento giuridico un’azione amministrativa non solo corretta e conforme al canone del buon andamento, ma anche e soprattutto conforme a legge. L’esigenza di una disciplina uniforme delle due situazioni deriverebbe anche dal fatto che l’art. 166 della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), ha assoggettato i provvedimenti definitivi sul trattamento di quiescenza non più al controllo preventivo della Corte dei conti, ma a quello successivo, facendo venir meno ogni ragione di assimilazione della modifica o revoca previste dall’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 alla revocazione delle pronunce giurisdizionali, per la quale l’errore di diritto non assumerebbe rilievo perché destinato ad essere dedotto nei vari gradi di giudizio, senza che si possano reintrodurre tematiche proprie del giudizio già svolto. D’altra parte, la tutela del pensionato sarebbe già sufficientemente assicurata dall’irripetibilità delle somme indebitamente percepite, sancita dall’art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, ormai presumibilmente impiegate per il soddisfacimento dei suoi bisogni e di quelli della sua famiglia, argomento che non potrebbe valere in proiezione futura per gli importi illegittimamente attribuiti ma non ancora percepiti.

Ad avviso del rimettente, inoltre, la norma censurata violerebbe anche l’art. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. in quanto il trattamento pensionistico del lavoratore, quale retribuzione differita, dovrebbe essere proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato mentre l’esclusione dell’errore di diritto dai motivi che consentono la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, sancendone la sostanziale intangibilità anche nel caso in cui sia illegittimo, altererebbe detto rapporto di adeguatezza e proporzionalità. Ciò, peraltro, non sarebbe coerente con i principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica espressi dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che ridefinirebbe il sistema previdenziale, commisurando il trattamento di quiescenza alla contribuzione e stabilizzando la spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo ed allo sviluppo del sistema previdenziale medesimo.

Infine, secondo il giudice a quo, l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 contrasterebbe con l’art. 97 Cost. Infatti, non consentendo di intervenire sul provvedimento definitivo di pensione illegittimo al fine di emendarlo dell’errore di diritto che lo affligge, ne impedirebbe la reductio ad legitimitatem con l’effetto di consolidare per il futuro ed in perpetuo l’indebito arricchimento del percipiente. Ciò in contrasto con il principio di buon andamento e legalità dell’azione amministrativa, cui dovrebbe adeguarsi anche la disciplina del trattamento pensionistico.

1.3.– Quanto alla rilevanza, il rimettente evidenzia che la mancata previsione dell’errore di diritto nel novero dei motivi di revoca o di modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza determinerebbe l’illegittimità del decreto del Ministero dell’interno – Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, di rideterminazione della pensione, con conseguente accoglimento dell’appello e ripristino di quella originariamente liquidata.

2.– Con atto depositato il 18 settembre 2012 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Richiamando un orientamento giurisprudenziale della Corte dei conti, l’intervenuto sostiene che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 contribuirebbe a definire un sistema di garanzie a favore del pensionato, la cui ratio andrebbe individuata nell’intenzione del legislatore di attuare il principio della tendenziale immodificabilità della pensione al fine di favorire la stabilità e la certezza del rapporto pensionistico e di evitare i riflessi negativi che l’attribuzione di una potestà di annullamento dell’amministrazione senza limiti oggettivi e temporali avrebbe sulla vita sociale e di relazione del dipendente collocato a riposo, che, magari in ragione dell’importo non elevato, destina le somme percepite alla soddisfazione dei bisogni alimentari propri e della propria famiglia. In sostanza, l’esigenza perseguita corrisponderebbe a quella riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale, che, in ragione della natura di retribuzione differita del trattamento di quiescenza, avrebbe affermato l’intangibilità relativa del diritto alla pensione che si sia acquisito ed il diritto del pensionato a vedersi assicurata un’esistenza libera e dignitosa ed alla sicurezza giuridica, pur nella discrezionalità del legislatore di stabilire modalità e criteri, anche quantitativi, della disciplina in materia.

Sulla base di tali considerazioni il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la disciplina dettata dalla norma, di stretta interpretazione in quanto deroga alla tendenziale immodificabilità della pensione, corrisponderebbe ai principi costituzionali richiamati, con conseguente manifesta infondatezza – o, addirittura, inammissibilità – della questione sollevata, così come già ritenuto da questa Corte con riferimento a quella, analoga, decisa con la sentenza n. 91 del 1984.

3.– Con atto depositato il 23 luglio 2012 si è costituito in giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) – successore ex lege dell’INPDAP nel giudizio a quo – aderendo ai motivi di illegittimità costituzionale prospettati dal giudice rimettente.

Con memoria depositata il 19 maggio 2014, l’INPS ha evidenziato la possibilità di interpretare l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 nel senso che esso non impedisca all’amministrazione l’esercizio del potere di annullamento in autotutela del provvedimento pensionistico definitivo affetto da errore di diritto, così come riconosciuto da un orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte dei conti, oltre che in alcune pronunce di primo grado, anche, a suo dire, in sede d’appello. Ad avviso dell’intervenuto, tale conclusione priverebbe di rilevanza la questione di legittimità costituzionale prospettata dal rimettente.

In punto di non manifesta infondatezza, l’INPS riproduce sostanzialmente le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione, sottolineando la differenza tra la disposizione censurata e l’art. 162 del medesimo d.P.R. n. 1092 del 1973 – che disciplina la liquidazione provvisoria del trattamento di quiescenza, suscettibile di modifica o revoca da parte del provvedimento definitivo, con conseguente conguaglio a beneficio o a danno del pensionato – ed il rischio che l’amministrazione, per non commettere errori inemendabili, dilati i tempi di adozione dei provvedimenti interinali, con conseguente riverbero negativo su efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

Considerato in diritto

1.– La Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico anche nel caso di errore di diritto.

Secondo il giudice a quo, l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 – frutto di un’evoluzione normativa che originariamente attribuiva alla Corte dei conti la funzione «paragiurisdizionale» di liquidare la pensione e, quindi, giustificava una disciplina analoga a quella della revocazione – impedirebbe di modificare o revocare il provvedimento pensionistico definitivo in presenza di errore di diritto.

Sulla base di tale premessa, il rimettente ritiene che la disposizione censurata differenzi ingiustificatamente – in violazione dell’art. 3 Cost. – la situazione in cui il provvedimento sia affetto da un errore di percezione di un dato di fatto della realtà o di calcolo da quella in cui l’errore riguardi la norma da applicare o la sua interpretazione.

Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma censurata violerebbe anche gli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in quanto il trattamento di quiescenza del lavoratore, quale retribuzione differita, dovrebbe essere proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, mentre l’esclusione dell’errore di diritto dai motivi che consentono la revoca o la modifica del provvedimento pensionistico definitivo, sancendone la sostanziale intangibilità anche nel caso in cui sia illegittimo, altererebbe il rapporto di adeguatezza e proporzionalità al lavoro prestato.

Infine, secondo il rimettente, l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 contrasterebbe con l’art. 97 Cost., in quanto, non consentendo di intervenire sul provvedimento definitivo di pensione illegittimo al fine di emendarlo dell’errore di diritto che lo affligge, ne impedirebbe la reductio ad legitimitatem, con l’effetto di consolidare per il futuro l’indebito arricchimento del percipiente, in contrasto con il principio di buon andamento e legalità dell’azione amministrativa, cui dovrebbe adeguarsi anche la disciplina del trattamento pensionistico.

2.– L’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 dispone che la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza da parte dell’ufficio che l’ha emesso «può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l’ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi».

Il rimettente interpreta la disposizione nel senso che il provvedimento definitivo di pensione non possa essere modificato o revocato per errore di diritto, non ricompreso nell’elencazione tassativa contenuta nell’art. 204 né altrimenti rilevante in ragione del potere di annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo spettante all’amministrazione in autotutela, in applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», nonché, più in generale, dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Il presupposto ermeneutico da cui muove il giudice a quo è conforme all’interpretazione delle sezioni riunite della Corte dei conti (sentenza n. 15/2011/QM), a cui si sono uniformate in modo costante le sezioni d’appello della medesima Corte. Tale interpretazione «costituisce, pertanto, “diritto vivente”, del quale si deve accertare la compatibilità con i parametri costituzionali evocati» (sentenza n. 338 del 2011).

3.– Ai fini della decisione è opportuno ricordare per sommi capi le modalità di determinazione del trattamento di quiescenza e la giurisprudenza della Corte dei conti in materia.

La liquidazione della pensione avviene attraverso due stadi, il primo provvisorio, secondo quanto disposto dall’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il secondo definitivo.

La liquidazione provvisoria consiste nella corresponsione al pensionato di un trattamento determinato in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell’amministrazione, con riserva di conguaglio in caso di divergenza rispetto alla liquidazione definitiva. Quest’ultima, invece, conclude la fase interinale intercorrente tra il provvedimento provvisorio e quello definitivo finalizzata a conferire alla pensione speciali garanzie di certezza a tutela sia dell’Erario sia del dipendente cessato dal servizio. A seguito delle opportune verifiche degli elementi di fatto e di diritto viene consolidata, se del caso attraverso una rideterminazione, la spettanza e la misura della pensione in modo da assicurare una certezza rafforzata al rapporto vitalizio che ne deriva.

La duplice fase liquidatoria risponde all’esigenza di assicurare al pubblico dipendente collocato a riposo un reddito nel periodo immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione dello stipendio ed, al contempo, di consentire una valutazione ponderata degli elementi di fatto e della portata della normativa da applicare per la liquidazione pensionistica. Necessitando quest’ultima valutazione di un congruo lasso temporale, la liquidazione provvisoria assicura la continuità nella percezione del reddito che, nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo o principale mezzo di sostentamento.

Chiamate a pronunciarsi su una questione di massima circa la possibilità di modificare in sede di liquidazione pensionistica definitiva l’interpretazione di diritto già data in occasione di quella provvisoria, le sezioni riunite della Corte dei conti (sentenza n. 7/2011/QM) hanno escluso che le garanzie del provvedimento definitivo predisposte dagli artt. 203 e seguenti del d.P.R. n. 1092 del 1973 – inclusa l’inibizione alla revoca per errore di diritto – operino fino all’adozione di quest’ultimo. In quella sede le sezioni riunite hanno affermato che la dialettica tra interessi contrapposti – quello alla certezza del diritto, su cui si fonda l’affidamento del pensionato, e quello alla correttezza e legittimità dell’azione amministrativa – deve essere risolta a favore del secondo, anche in considerazione del fatto che l’attribuzione pensionistica viene espressamente definita provvisoria dall’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e che l’amministrazione deve avere un congruo lasso temporale per individuare correttamente la normativa da applicare. Poiché la determinazione del trattamento pensionistico finale avviene attraverso il fisiologico passaggio per una fase interinale, «l’adozione del provvedimento definitivo di pensione, con connessa possibilità di variazioni e conguagli, segna il momento più significativo e valorizzabile dell’affidamento riposto dal dipendente collocato a riposo nella correttezza della procedura di determinazione della giusta pensione, essendo non solo ragionevole, ma anche del tutto attendibile ritenere che l’Amministrazione disponga, in tale occasione, di tutti gli elementi necessari per superare la fase di provvisorietà e per fissare […] le coordinate che identificano il trattamento di quiescenza» (Corte dei conti - sezioni riunite, sentenza n. 7/2007/QM).

Ai fini dello scrutinio delle questioni proposte è bene sottolineare come è solo nella fase di liquidazione definitiva che – secondo il diritto vivente precedentemente richiamato, formatosi anche sulla base della sentenza di questa Corte n. 91 del 1984 – opera il principio, espresso dalla norma della cui legittimità costituzionale dubita il rimettente, dell’intangibilità del trattamento pensionistico frutto di errore di diritto.

4.– È alla luce delle esposte premesse che si deve esaminare il merito della questione proposta dal giudice a quo.

4.1.– Anzitutto, essa non è fondata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., profili di censura scrutinabili congiuntamente.

Nel sollevare la descritta questione di legittimità costituzionale, il rimettente richiama quale tertium comparationis la disciplina dell’errore di fatto e dell’errore di calcolo, per i quali lo stesso art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 prevede la possibilità di revoca o modifica del provvedimento pensionistico definitivo.

Le situazioni, tuttavia, non sono comparabili: mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma.

Secondo il costante orientamento di questa Corte «si ha violazione dell’art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche, essendo insindacabile in tali casi la discrezionalità del legislatore» (sentenze n. 340 del 2004 e, nello stesso senso, n. 108 del 2006).

A ben vedere, mentre i tertia comparationis richiamati dal rimettente non sono equiparabili alla fattispecie in esame, sussiste al contrario una sostanziale omogeneità tra l’ipotesi dell’errore di fatto e quella dell’errore di calcolo. Si tratta di situazioni che hanno in comune un tratto di semplice e concreta rilevabilità, tale da escludere o da rendere particolarmente difficile l’insorgere di affidamenti da parte dei destinatari del provvedimento che ne sia affetto.

Al contrario, la percezione dell’errore di diritto non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione. Peraltro, l’autorità preposta alla liquidazione provvisoria e definitiva dispone fin dall’origine degli elementi necessari a svolgere le operazioni attinenti all’applicazione della legge. Così, se la fase interinale – suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del decreto pensionistico definitivo – serve ad assicurare la continuità della prestazione retributiva, rimanendo impregiudicata la possibilità per l’amministrazione di correggere eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva, quest’ultima possibilità, quanto all’errore di diritto, non trova giustificazione dopo la fine del periodo interinale che caratterizza funzionalmente l’articolazione del procedimento in un sistema binario.

Viene dunque in rilievo il principio dell’affidamento: non solo l’esclusione dell’errore di diritto dalle ipotesi di revoca non trasmoda in un regolamento irrazionale ed arbitrario delle correlate situazioni sostanziali dello Stato e del pensionato, ma essa è funzionale all’esigenza di garantire la sicurezza giuridica, con particolare riguardo alle aspettative del dipendente collocato a riposo.

Nella particolare ipotesi in esame, il fluire del tempo e la disponibilità di mezzi e spazi temporali adeguati ad assicurare la legittimità della prestazione pensionistica costituiscono idonei elementi diversificatori della fattispecie stessa, atteso che la demarcazione temporale consegue come effetto naturale alla struttura e all’articolazione complessiva del procedimento di liquidazione.

Dunque, la determinazione definitiva del trattamento di quiescenza costituisce il momento dal quale la tutela dell’affidamento del pensionato nella stabilità del vitalizio percepito assume prevalente rilevanza nell’ambito dei valori tutelati dall’ordinamento in subiecta materia.

D’altra parte, già in precedenza questa Corte, su analoga questione, aveva osservato che il «principio di eguaglianza, in questo come in ogni altro incontro, è colorito dalle disposizioni costituzionali operanti nel settore in cui quel principio è invocato e la violazione del medesimo è lamentata» (sentenza n. 91 del 1984).

Le considerazioni svolte servono altresì a scrutinare le censure formulate in riferimento all’art. 97 Cost.
Il mero ripristino della legalità dell’azione amministrativa – ancorché finalizzato a conseguire minori oneri finanziari per l’Erario – non può prevalere sulla tutela della situazione del pensionato con modalità temporali illimitate.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, «la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione non può essere invocata se non per l’arbitrarietà e la manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata, combinandosi, sotto questo profilo, con il riferimento all’art. 3 Cost. ed implicando lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza sulla legge censurata (sentenze n. 243 del 2005, n. 63 e n. 306 del 1995; n. 250 del 1993)» (ordinanze n. 100 e n. 47 del 2013).

L’esclusione della rilevanza dell’errore di diritto dai casi consentiti di modifica o revoca del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non è irragionevole o arbitraria, essendo volta – come detto – a soddisfare esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento le quali, già cedevoli nella fase interinale precedente alla liquidazione definitiva, prevalgono successivamente, per effetto di un diverso bilanciamento con l’interesse antagonista del ripristino della legittimità dell’azione amministrativa. Ciò nell’esercizio del potere di scelta del legislatore nel regolare la dialettica di interessi parimenti meritevoli di protezione (sentenze n. 257 del 2010 e n. 34 del 1999; ordinanza n. 105 del 2010).

A tali considerazioni – ed al di là del fatto che l’esigenza di correggere l’errore di diritto viene già adeguatamente garantita nella precedente e non breve fase liquidatoria interinale – si deve aggiungere che il diritto alla pensione costituisce una situazione soggettiva di natura patrimoniale, imprescrittibile, assistita da speciali garanzie di certezza e stabilità e da una particolare tutela da parte dell’ordinamento (sentenza n. 116 del 2013), anche in ragione della condizione di oggettiva debolezza in cui il titolare viene a trovarsi, sia nell’ambito del rapporto obbligatorio che si instaura con l’amministrazione sia nella particolare fase della vita in cui l’uscita dall’attività lavorativa e l’età comportano un difficile adattamento al nuovo stato.

4.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non è fondata neppure in riferimento agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita» (sentenza n. 116 del 2013). Di conseguenza «dagli articoli 36 e 38 discende il principio che, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, il trattamento di quiescenza, che della retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore e alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. Tuttavia, i ricordati principi di proporzionalità e di adeguatezza […] lasciano alla discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare correttivi di dettaglio che – senza intaccare i suddetti criteri con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico – siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione» (sentenza n. 441 del 1993), operando un «bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa» (ordinanze n. 202 del 2006 e n. 531 del 2002).

La regola contenuta nell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 è espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore in modo conforme ai principi testé ricordati.

Essa, infatti, non sottrae il calcolo pensionistico al criterio normativamente previsto, sia esso contributivo o retributivo, ma prevede – entro il perimetro delle soluzioni costituzionalmente consentite – un correttivo in nome dell’esigenza di salvaguardare maggiormente, una volta conclusa la fase di liquidazione interinale, la certezza del diritto e il legittimo affidamento che su di essa si fonda.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2014.
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Re: decreto definitivo di pensione

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L'INPS fa appello alla PRIMA SEZIONE CENTRALE della Corte dei Conti e lo perde.
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1) - Con l’impugnata sentenza sono state dichiarate irripetibili le somme trattenute al pensionato appellato, ex sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri, pari a euro 5.576,57, con obbligo di restituzione della sorte capitale e spese compensate.

2) - La materia del contendere riguarda un indebito pensionistico scaturito dal conguaglio tra trattamento pensionistico provvisorio e definitivo, nel periodo intertemporale compreso fra il 31 marzo 1996 e il 22 ottobre 2010.

3) - La comunicazione dell’indebito al pensionato avveniva in data 2 marzo 2011, da parte dell’INPDAP – sede di TORINO.

(mediamente, indicati in tre anni dalle SS.RR.) Rif.: - (Sent. n.2/QM/2012) (sentenza n. 7/2011/QM)

4) - Nel caso all’esame e da quanto emerge agli atti di causa si ritiene che bene abbia fatto il giudice unico di prime cure ad accogliere il ricorso del pensionato, ex Carabiniere , sig. A.. Cataldo, dopo aver vagliato, nel merito, sia, dal lato dell’amministrazione, la presenza del vano trascorrere di un lasso di tempo assai significativo (15 anni) senza che l’amministrazione medesima si fosse avveduta di propri errori, nella liquidazione del trattamento pensionistico, evidentemente, convinta della correttezza del proprio operato e, sia, dal lato del pensionato, l’affidamento in perfetta buona fede.

Leggete il resto qui sotto.
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PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 1094 22/09/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 1094 2014 PENSIONI 22/09/2014


Sent. n.1094/2014 A

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello

Composta dai sig.ri Magistrati
dott.ssa Piera Maggi Presidente
dott. Nicola Leone Consigliere
dott.ssa Rita Loreto Consigliere
dott.ssa Emma Rosati Consigliere relatore
dott.ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
Ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio pensionistico d’appello iscritto al n. 44257 del registro di Segreteria, proposto dall’INPS, quale successore ex lege dell’INPDAP, ai sensi dell’art.21, comma 1 del DL 6 dicembre 2011, n.201, convertito in L. n.214 del 22 dicembre 2012, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria MORRONE, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cesare Beccaria, n.29, AVVERSO la sentenza n.85/2012, depositata il 16 maggio 2012, del Giudice unico presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione PIEMONTE contro il signor A.. Cataldo, residente a TORINO, Via …..

Uditi, nella pubblica udienza dell’8 luglio 2014, il relatore Consigliere dott.ssa Emma ROSATI nonchè l’avv. Piera MESSINA, su delega dell’avv. M. MORRONE, per l’INPS; non rappresentata parte appellata.

Visti tutti gli atti introduttivi, le memorie e gli altri atti e documenti di causa;

Ritenuto in FATTO

Con l’impugnata sentenza sono state dichiarate irripetibili le somme trattenute al pensionato appellato, sig. C. A., ex sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri, pari a euro 5.576,57, con obbligo di restituzione della sorte capitale e spese compensate.

La materia del contendere riguarda un indebito pensionistico scaturito dal conguaglio tra trattamento pensionistico provvisorio e definitivo, nel periodo intertemporale compreso fra il 31 marzo 1996 e il 22 ottobre 2010. La comunicazione dell’indebito al pensionato avveniva in data 2 marzo 2011, da parte dell’INPDAP – sede di TORINO.

Con atto d’appello, depositato il 9 ottobre 2012, l’INPS si è gravato avverso l’epigrafata sentenza, deducendo in diritto: Violazione e falsa applicazione degli articoli 162 e 206 DPR n.1092/1973 e dell’art.2033 c.c.; Violazione e falsa applicazione delle norme in materia di riparto di giurisdizione con riferimento alla domanda di rivalsa e integrazione del contraddittorio; Conclusivamente, l’Ente previdenziale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, ritenendo corretta e dovuta l’azione restitutoria intrapresa dall’INPS, nei confronti dell’odierno appellato. In subordine, ha chiesto l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice, nella parte in cui ha denegato l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero DIFESA al fine della richiesta di rivalsa, perchè – previa integrazione del contraddittorio – si condanni direttamente l’Ente datore di lavoro del pensionato (Ministero DIFESA).

Nel corso dell’odierna udienza pubblica, l’avv. Piera MESSINA, per l’INPS, ha richiamato l’atto di appello scritto, riportandosi ad esso e ne ha chiesto l’accoglimento.

Considerato in DIRITTO

L’appello all’esame non è meritevole di accoglimento.

Questo Collegio, infatti, ritiene condivisibili e fa proprie le argomentazioni di diritto svolte recentemente dalle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti, in sede di questione di massima (Sent. n.2/QM/2012), le quali si sono espresse, nella materia che ci occupa, nel senso di ribadire – anzitutto - quanto già avevano affermato nella sentenza n. 7/2011/QM, per cui lo spirare dei termini regolamentari di settore, per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto–dovere di procedere, in sede di conguaglio (nel passaggio dal trattamento pensionistico provvisorio a quello definitivo) al recupero delle somme, eventualmente erogate indebitamente, a titolo di trattamento provvisorio, ma che si debba avere particolare attenzione, nel rapporto pubblica amministrazione-cittadino pensionato, non solo alla situazione giuridica di ‘potere’ della PA, ma anche a quella contrapposta situazione giuridica, in capo al pensionato, di ‘legittimo affidamento’ (fondato sull’assenza di dolo e sulla buona fede del percettore, oltre che sul trascorrere vano di un notevole lasso di tempo, senza che il provvedimento definitivo venga adottato), che merita puntuale ed adeguata tutela.

In considerazione di ciò deve ritenersi che il diritto–dovere dell’amministrazione di procedere, in sede di conguaglio fra trattamento di pensione provvisoria e trattamento di pensione definitiva, al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio, anche dopo la scadenza dei termini regolamentari di settore (mediamente, indicati in tre anni dalle SS.RR.) per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, può (e deve) essere ritenuto recessivo rispetto alla situazione di ‘legittimo affidamento’ del cittadino-pensionato, consolidatasi attraverso un lungo decorso del tempo e quindi comportante una ragionevole persuasione di avere titolo a quel trattamento pensionistico, a causa della sua stabilità e ripetizione uguale, in un notevole lasso di tempo.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato si era espressa precedentemente sui principi discendenti dal decorrere vano dei tempi per l’emanazione del provvedimento amministrativo definitivo e l’affidamento in buona fede del privato cittadino, sottolineando come, in sintesi, il tempo sia funzione dell’affidamento, inteso quale situazione giuridica protetta dal protrarsi di esso, oltre ogni ragionevole limite d’incertezza. (Cfr., Cons. di Stato, sez.V, sent. n.1224 del 28 febbraio 2002 nonché, precedentemente, Cons. di Stato, ad. Plenaria, dec. n.20 del 12 dicembre 1992).

Giova ricordare altresì che il principio del legittimo affidamento ha trovato una applicazione molto estesa, anche nell’ambito della giurisprudenza europea, quale principio generale comune a tutti gli stati membri, che assume una valenza tale, da spiegare i propri effetti anche negli ordinamenti interni, nazionali. A conferma di questo, anche nell’ordinamento italiano si può ricordare come la Corte di Cassazione ha, recentemente, affermato la sussistenza del principio “nemo venire contra factum proprium”, che determina, appunto, anche nell’ambito dell’ordinamento nazionale, la rilevanza del principio del ‘legittimo affidamento’ quale espressione delle clausole generali di correttezza e buona fede, che comprenderebbe in esso – come hanno sottolineato le stesse Sezioni Riunite – l’inerzia nell’esercizio del proprio diritto, tale da ingenerare un legittimo affidamento nella controparte (cfr. Cassazione n. 9924/2009).

Proprio alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza europea, nel nostro ordinamento italiano, in forza del rinvio ad essi operato dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, il legittimo affidamento è stato ‘normativizzato’ e deve ritenersi sussistente “allorché l’individuo si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’Amministrazione gli ha dato aspettative fondate” (Corte giust. Eu., 19 maggio 1983, C 289/81), “che trova il suo fondamento nell’ambito del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche soggettive”.(Cfr., in terminis, Corte giust., 19 settembre 2000, C 177/99, 181/99, Ampafrance and Sanofi ; Corte giust., 18 gennaio 2001, C 83/99, Commission/Spain, citate in SS.RR., n.2/QM/2012).

Tanto premesso, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Riunite di questa Corte, il principio normativo di affidamento consta di tre elementi costitutivi, e precisamente:

a) il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque con riferimento al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche;

b) la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione (così, ad esempio, non sarà ravvisabile alcun affidamento nella ipotesi in cui il rateo della pensione provvisoria sia addirittura maggiore rispetto al rateo dello stipendio che l’interessato percepiva in servizio);

c) le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, sì che possa escludersi che l’amministrazione fosse già in possesso, ab origine, degli elementi necessari alla determinazione del trattamento pensionistico.

Ciò significa che l’affidamento del percettore in buona fede che può legittimare, nel ricorso anche delle altre circostanze, l’irripetibilità dell’indebito da parte dell’amministrazione, non si configura, in capo al pensionato, in maniera “automatica” e “presuntiva” alla scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, ma si configura con il protrarsi del tempo, sulla base di una serie di elementi, oggettivi e soggettivi, fra cui “anche” la scadenza del predetto termine procedimentale per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione previsto dalla legge o dai regolamenti di attuazione.

Nel caso all’esame e da quanto emerge agli atti di causa si ritiene che bene abbia fatto il giudice unico di prime cure ad accogliere il ricorso del pensionato, ex Carabiniere , sig. A.. Cataldo, dopo aver vagliato, nel merito, sia, dal lato dell’amministrazione, la presenza del vano trascorrere di un lasso di tempo assai significativo (15 anni) senza che l’amministrazione medesima si fosse avveduta di propri errori, nella liquidazione del trattamento pensionistico, evidentemente, convinta della correttezza del proprio operato e, sia, dal lato del pensionato, l’affidamento in perfetta buona fede.

Un riesame nel merito della dedotta questione è precluso a questo giudice d’appello delle pensioni, mentre, va dato atto - sotto un profilo di puro diritto - che il giudice unico di prime cure abbia raggiunto il suo convincimento, attraverso ragionamenti giuridicamente ineccepibili, privi di censura ed abbia esaustivamente motivato tutte le questioni controverse.

L’appello dell’INPS, perciò, va rigettato.

E’ appena il caso di osservare che sulla domanda subordinata concernente l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero DIFESA, in relazione ad una condanna diretta del medesimo Dicastero, a titolo di ‘rivalsa’, non v’è luogo a provvedere in questo giudizio d’appello, trattandosi di azione che esula dalla materia del contendere di questo giudizio d’appello medesimo, precisandosi – altresì - che nessuna ipotesi di litisconsorzio necessario, ex art. 102 cpc, è ravvisabile in ambito amministrativo-contabile, anche perché diversità di petitum e di causa petendi caratterizzano – nel caso all’esame - l’eventuale ‘azione finalizzata alla rivalsa’ da quella di ‘ripetizione dell’indebito’ – qui all’esame; la possibilità di rivalsa nei confronti del Ministero della DIFESA è comunque sempre possibile – impregiudicata rimanendo la giurisdizione di questa Corte dei conti, che non è qui in discussione - riguardando autonomamente le due parti pubbliche (INPS e MINISTERO DIFESA) e potrà essere, eventualmente, validamente esperita in separato giudizio.

Reputa il Collegio che le spese legali del presente grado di giudizio debbano essere compensate tra le parti, atteso il complesso iter interpretativo, che ha caratterizzato la materia in esame.

Nulla per le spese di giustizia.

P. Q. M.

la Corte dei conti - Sezione I giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette

RIGETTA

l’appello dell’INPS, e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza in ordine alla irripetibilità delle somme indebite e conferma il conseguente obbligo di restituzione da parte dell’INPS di quanto trattenuto cautelativamente o comunque già recuperato, senza che sia dovuta sulla somma in restituzione alcuna somma ulteriore, accessoria.

Spese legali compensate.
Nulla per le spese di giustizia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014.
Il Consigliere estensore Il Presidente
(f.to dott.ssa Emma ROSATI) (f.to dott.ssa Piera MAGGI)



Depositata in Segreteria

il 22/09/2014

IL DIRIGENTE
f.to Massimo Biagi
STANCHISSIMO

Re: decreto definitivo di pensione

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Bella sentenza.
panorama
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Re: decreto definitivo di pensione

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Ricorso ACCOLTO
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1) - recupero somma a titolo di presunto trattamento fine servizio indebitamente percepito.

2) - liquidato £. 143.771,88 a titolo di trattamento di fine servizio sulla base del prospetto di liquidazione elaborato dal Comando regionale dei Carabinieri del Lazio contenente un errore nella trascrizione dell’importo della retribuzione utile complessiva, indicata nella misura di €. 59.925,93 anziché €. 35.201,00.

3) - il ricorrente agisce in giudizio per contestare la procedura di recupero a suo carico delle somme non dovute – pari a € 74.174,78 - già corrisposte sul trattamento di fine servizio, chiedendo l’accertamento del diritto a trattenere le somme in questione e la condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme eventualmente già recuperate (con interessi e rivalutazione monetaria).

4) - La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la natura perentoria o meramente ordinataria del termine annuale prescritto dall’art. 30 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032 per procedere alla rettifica della somma liquidata a titolo di indennità di buonuscita.

IL TAR LAZIO dichiara:

5) - Il ricorso va pertanto accolto con conseguente dichiarazione del diritto del ricorrente a trattenere le somme indebitamente percepite, il cui recupero è già stato sospeso con la richiamata pronuncia cautelare.

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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201412251 2014-12-04


N. 12251/2014 REG.PROV.COLL.
N. 07941/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7941 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. Jessica Quatrale, Alfredo Zaza D'Aulisio, con domicilio eletto presso Francesco Cardarelli in Roma, via G. Pierluigi Da Palestrina, 47;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Istituto Nazionale Previdenza Sociale (Inps) - Gestione ex Inpdap, rappresentato e difeso dall'avv. Dario Marinuzzi, con domicilio eletto presso Dario Marinuzzi in Roma, via Cesare Beccaria,29; Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Istituto Nazionale Previdenza Sociale (Inps) - ex Inpdap - Sede Provinciale di Latina;

per l'annullamento
della nota INPS del 20.5.2013, per il recupero somma a titolo di presunto trattamento fine servizio indebitamente percepito.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri e di Istituto Nazionale Previdenza Sociale (Inps) - Gestione ex Inpdap;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2014 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Il Luogotenente dei Carabinieri ricorrente premette di essere stato collocato in congedo assoluto e che l’I.N.P.S., ex gestione l'I.N.P.D.A.P., con mandato del 24.8.2008 ha liquidato £. 143.771,88 a titolo di trattamento di fine servizio sulla base del prospetto di liquidazione elaborato dal Comando regionale dei Carabinieri del Lazio contenente un errore nella trascrizione dell’importo della retribuzione utile complessiva, indicata nella misura di €. 59.925,93 anziché €. 35.201,00.

Con il ricorso in esame, proposto anche come impugnazione della nota del 20.5.2013 con cui l’I.N.P.S. ha comunicato la rettifica del prospetto di liquidazione e del corrispondente mandato, il ricorrente agisce in giudizio per contestare la procedura di recupero a suo carico delle somme non dovute – pari a € 74.174,78 - già corrisposte sul trattamento di fine servizio, chiedendo l’accertamento del diritto a trattenere le somme in questione e la condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme eventualmente già recuperate (con interessi e rivalutazione monetaria).

Il ricorso è affidato alle seguenti censure:

1) Violazione dell’art. 30 D.P.R. n. 1032 del 1973 - Eccesso di potere; 2) Violazione degli artt. 7 e 10 della L. n. 241 del 1990.

Si è costituita in giudizio, per resistere, l’Amministrazione della Difesa senza produrre scritti difensivi.

Si è costituita in giudizio l’INPS con memoria scritta.

Con ordinanza n. 3909 del 2.10.2013 è stata accolta l'istanza cautelare di sospensiva.

All'udienza pubblica del 1.10.2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la natura perentoria o meramente ordinataria del termine annuale prescritto dall’art. 30 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032 per procedere alla rettifica della somma liquidata a titolo di indennità di buonuscita.

Secondo un orientamento risalente tale termine avrebbe carattere perentorio in quanto “posto evidentemente nell'interesse dei percipienti le somme”, per esigenze di certezza e tutela di aspettative ingenerate dall'Amministrazione. In tale prospettiva, decorso il termine predetto, l'Amministrazione decade dal potere di revocare, modificare o rettificare i provvedimenti di liquidazione e, conseguentemente, dal potere di recuperare le somme erroneamente liquidate a causa dell'errore commesso (Cons. Stato, Sez. IV, 17 aprile 1998, n. 649; Sez. V, 4 aprile 2000, n. 1945; Sez. IV 27 dicembre 2006 n. 7925; T.A.R. Lazio, Sez. III, 27.10.2008 n. 9173; T.A.R. Liguria Sez. II, 20-02-2006, n. 153; T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 28-10-2010, n. 4467; Da tale orientamento si scosta solo una decisione più recente del giudice d’appello (Cons. Stato, sez. VI 26 giugno 2012 n. 3748) e, in assenza di un mutamento di giurisprudenza, non vale all’INPS invocare che la corrente interpretazione dell’art. 30 D.P.R. n. 1032 del 1973 finisca per configgere con i principi generali in materia di recupero dell’indebito, con il regime temporale generale della prescrizione, oltre che con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza sancito dall’art. 3 dato che finirebbe per attribuire ad una determinata categoria di pubblici dipendenti un privilegio ingiustificato rispetto alle restante categorie lavorative, che si trovano in identiche condizioni, e con un aggravio enorme per la generalità dei cittadini dato l'Amministrazione perderebbe il potere di recuperare emolumenti anche per fatto ad essa imputabile, compreso il mero errore materiale, anche in caso di enormi differenza nel quantum (si pensi al caso dell’aggiunta di uno zero alla cifra dovuta).

L’interpretazione tradizionale della disposizione in contestazione è infatti stata ribadita, anche di recente, da numerose pronunce, sicchè il Collegio ritiene di non potersi discostare, anche al fine di evitare disparità di trattamento giurisdizionale, dal pacifico orientamento in materia (vedi, da ultimo, T.A.R. Lazio Sez. III ter, 07-07-2014, n. 7171; T.A.R. Piemonte Sez. II, 06-06-2014, n. 1010; Cons. Stato Sez. VI, 30-05-2014, n. 2812).

Il ricorso va pertanto accolto con conseguente dichiarazione del diritto del ricorrente a trattenere le somme indebitamente percepite, il cui recupero è già stato sospeso con la richiamata pronuncia cautelare.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in epigrafe.
Condanna le Amministrazioni resistenti a rifondere al ricorrente le spese di giudizio nella misura complessiva di Euro 2.000 di cui 1000 a carico dell’INPS e 1000 a carico del Ministero della Difesa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
Domenico Landi, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2014
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Re: decreto definitivo di pensione

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Ricorso ACCOLTO
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1) - nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);

2) - Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);

3) - illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;

4) - irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;

FATTO:

5) - Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 ......, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri,

6) - con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione

7) - A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B.. avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’anzianità contributiva, al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili.

8) - Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (.....)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

9) - Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

10) Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.

11) - Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.

12) - Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B.. sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.

13) - Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B.. ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribadendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo.

DIRITTO:

14) - Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B.. secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.

15) - Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B.. era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale.
- ) - Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.

16) - Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.

17) - Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte,.......

18) - La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.

19) - La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.

20) - Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.

21) - Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".

22) - Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt.203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).

23) - Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato;
- ) - risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.


N.B.: rileggi sopra i n. 20, 22 e 23.

Per completezza dei fatti leggete il tutto qui sotto.
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PIEMONTE SENTENZA 15 29/02/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 15 2016 PENSIONI 29/02/2016



SENT. N. 15/16

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, quale giudice unico ai sensi dell’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come modificato dall’articolo 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19818 proposto da B. Antonio, nato a OMISSIS e residente a OMISSIS (CN), via ………, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Sciolla (C.F. SCLLSN66M31F351J), Sergio Viale (C.F. VLISRG66A15L219Q) e Chiara Forneris (C.F. FRNCHR87D50L219H) del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei primi in Torino, Corso Montevecchio n. 68, come da procura a margine del ricorso

CONTRO

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - con sede in Roma, via Ciro Il Grande n. 21 (C.F. 80078750587), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giorgio Ruta (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia Sanguineti (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Avvocatura dell’Istituto, giusta Procura generale alle liti rilasciata per atto a ministero del notaio Paolo Castellini rep. 80974, Rogito 21569 del 21.7.2015 e con loro elettivamente domiciliato in Torino, via dell’Arcivescovado n. 9;

MINISTERO della DIFESA, in persona del Ministro, legale rappresentante pro-tempore;

ARMA DEI CARABINIERI, in persona del legale rappresentante pro-tempore

“per l’annullamento

- della nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);

- del Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);

nonchè per l’accertamento

- dell’illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;

- dell’irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;

nonchè infine per la condanna

dell’INPS all’erogazione al ricorrente della pensione annua lorda pari ad euro 17.681,38 ed alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente a far data dal febbraio 2015, maggiorate con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, e con ogni ulteriore e conseguenziale statuizione di legge”.

VISTI gli atti e i documenti di causa;

UDITI all’udienza del 28 gennaio 2016 l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS;

RILEVATO in
FATTO

Con ricorso ritualmente notificato alle Amministrazioni convenute e depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 24 settembre 2015 il signor Antonio B., già Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 e titolare della pensione iscrizione n. 10291853, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nonché la pronuncia di irripetibilità della somma di euro 3.000,83, richiesta in restituzione dall’INPS, con nota in data 22.12.2014, a titolo di preteso indebito formatosi sulla pensione in godimento; invoca conseguentemente la condanna dell’INPS alla corresponsione a proprio favore della pensione annua lorda sulla base della precedente liquidazione di cui al decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 278 del 26 maggio 2009, pari ad euro 17.681,38, e alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente, a far data dal febbraio 2015, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.

Risulta in atti che a decorrere dal 4.6.2004, data di collocamento del signor B.. in congedo assoluto, il Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva a conferire e liquidare al medesimo il trattamento provvisorio di quiescenza iscrizione n. 10291853.

Successivamente, con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione di euro 15.060,86, a decorrere dal 4.6.2004, adeguato ad euro 15.104,60 a decorrere dal 1.1.2005.

A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B.. avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’anzianità contributiva, al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili. La pensione ordinaria annua lorda veniva quindi commisurata nella somma di euro 17.625,74 a decorrere dal 4.6.2004, adeguata ad euro 17.681,38 a decorrere dal 1.1.2005.

Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (docc. 6 e 7 – comunicazione del 22/09/2009 e del 28/06/2010)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.

In punto di diritto il ricorrente contesta, nell’ambito del primo motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 nonché dei principi di proporzionalità, ragionevolezza ed imparzialità oltre al travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti.

Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.

Nell’ambito della citata disciplina il legislatore avrebbe individuato in tre anni il limite temporale entro il quale la Pubblica Amministrazione può modificare il provvedimento di liquidazione definitivo della pensione a seguito di proprio errore; possibilità che sarebbe preclusa una volta superato il predetto termine.

Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B.. sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.

Tale tipologia di errore rientrerebbe esattamente tra quelle descritte dall’art. 204 lett. a) e b) del D.P.R. n. 1092/1973 in quanto sarebbe causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti e riguarderebbe il calcolo e l’ammontare della pensione: la modifica dell’importo pensionistico sarebbe infatti giustificato dal preteso errore consistente nel non aver tenuto conto che l’interessato aveva meno di 15 anni utili di anzianità al 31.12.1992 ovvero di un elemento già riscontrato in precedenza.

Secondo la tesi difensiva del ricorrente, quindi, una volta rilevato il decorso del termine, andrebbe disposto “il necessario annullamento del decreto n. 66 ed il riconoscimento del diritto del ricorrente a veder disciplinato il proprio trattamento pensionistico, anche per il futuro, in base al solo decreto n. 278 del 26/05/2009, con una pensione annua, “da durare a vita”, pari a euro 17.681,38”, con conseguente richiesta di restituzione di quanto indebitamente trattenuto.

Con un secondo motivo di ricorso il signor B.. rileva che, anche in relazione al merito del preteso errore addotto dall’Amministrazione, i provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi in quanto adottati in violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 1092/1973, che prevede l’ arrotondamento delle frazioni di anno e stabilisce espressamente che la frazione superiore a sei mesi debba essere computata come anno intero.

Precisa il ricorrente che, seppur la disposizione risulti implicitamente abrogata dall’art. 59 L. n. 449/1997, gli effetti debbano ritenersi operare esclusivamente per le anzianità contributive maturate a partire dal 1.1.1998 e non possa essere applicata al computo degli anni di anzianità fino al 31.12.1992: la disposizione non potrebbe quindi valere per il ricorrente, che avrebbe maturato anteriormente al 31.12.1992 un’anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni, con frazione del 14° anno superiore a sei mesi.

Sussisterebbe quindi pienamente il diritto del signor B.. a vedersi riconosciuti 15 anni di anzianità contributiva al 31.12.1992.

Con un terzo motivo di ricorso il signor B.. contesta una violazione dell’art. 206 D.P.R. n. 1092/1973 secondo il quale sarebbe possibile il recupero delle somme corrisposte indebitamente nella sola ipotesi, tassativa, di accertamento di un fatto doloso del pensionato che abbia cagionato la modifica del trattamento pensionistico; circostanza ritenuta insussistente nella fattispecie.

La difesa del ricorrente evidenzia altresì che l’irripetibilità della somma percepita dal ricorrente conseguirebbe, oltre che dalle norme sopra richiamate, anche dalla tutela del legittimo affidamento.

Richiama a tal fine la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo ai principi enunciati dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con la sentenza n. 2/QM/2012. Sarebbe infatti evidente la posizione di legittimo affidamento ingeneratosi nel ricorrente in merito all’ammontare della propria pensione, come individuata in via definitiva nel 2009.

In via di subordine, per la denegata ipotesi in cui dovessero considerarsi ripetibili le somme erogate al ricorrente, la difesa eccepisce la parziale prescrizione del credito vantato dall’INPS, con riguardo alle somme percepite in data anteriore al 31.12.2004 ovvero, in base all’atto di recupero, nel periodo 4.9.2004 -31.12.2004. In ultimo, il ricorrente contesta i conteggi effettuati dall’INPS in relazione alla quantificazione dell’indebito chiedendo che, in caso di mancato accoglimento delle doglianze relative all’illegittimità della modifica della liquidazione definitiva ed all’irripetibilità totale delle somme richieste, la condanna alla restituzione delle somme non dovute sia limitata- sulla base dei conteggi effettuati e depositati dallo stesso ricorrente- all’importo di euro 1.106,12, maggiorati con interessi legali e rivalutazione.

Con memoria difensiva depositata presso la Sezione in data 15 gennaio 2016 si è costituito in giudizio l’INPS chiedendo, in via principale, di rigettare integralmente il ricorso e, in subordine, in ipotesi di pronuncia di irripetibilità delle somme indebitamente percepite da parte ricorrente, di ritenere e dichiarare il diritto dell’Istituto previdenziale ad ottenerne la rifusione da parte del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, con conseguente condanna di quest’ultimo a corrispondere all’INPS la somma equivalente a quanto erogato dall’Istituto in eccedenza sul trattamento di quiescenza del ricorrente dal 1.1.2006.
In punto di diritto la difesa dell’INPS argomenta in ordine al preteso “diritto/dovere dell’Istituto di ripetere, ex art. 2033 c.c. e 162 del D.P.R. n. 1092/1973, le somme indebitamente percepite a titolo di trattamento provvisorio di quiescenza”.

Secondo la prospettazione difensiva dell’Istituto previdenziale, ai sensi dell’art. 162 citato, l’azione di ripetizione di quanto indebitamente percepito dal pensionato sul trattamento provvisorio di quiescenza, come accertato e determinato per effetto dell’avvenuta comunicazione, da parte dell’Amministrazione Statale ex datrice di lavoro, del provvedimento di liquidazione del trattamento definitivo, si configurerebbe come atto dovuto, con il limite rappresentato dalle sole modalità di detto recupero, che non dovrebbero essere eccessivamente gravose; l’INPS richiama a supporto della propria tesi la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo alla pronuncia n. 2/QM/2012.

Rileva altresì la difesa dell’Istituto la circostanza che, in tutti i casi in cui il provvedimento di pensione sia stato emesso e riliquidato dall’Amministrazione ex datrice di lavoro, quest’ultima dovrebbe ritenersi il principale interlocutore processuale in quanto ordinatore primario della spesa, avendo proceduto direttamente al calcolo e alla quantificazione dell’ammontare del detto trattamento. Secondo tale prospettazione il fondamento normativo dell’azione di “rivalsa” che l’Istituto intende esperire nei confronti del Dicastero si rinverrebbe quindi nelle disposizioni che disciplinano il procedimento di liquidazione della pensione di cui al D.P.R. n. 1092/1973 e, ove necessario, richiamando in via analogica i principi espressi nell’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 536/1986 e, prima ancora, nell’art. 30, comma 4, del D.L. 28.2.1983 n. 55, convertito nella Legge n. 131/1983.

Richiamando l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi sostenuta la difesa dell’INPS evidenzia inoltre che i principi derivanti da tali disposizioni, tenuto conto della sopravvenuta omogeneizzazione a livello legislativo dei sistemi pensionistici dei dipendenti pubblici, dovrebbero ritenersi avere valenza generale per cui dovrebbero ritenersi applicabili a tutta la gamma di pensioni amministrate dall’INPS (Gestione ex INPDAP). In ordine alla predetta domanda, anche in linea con il più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, non dovrebbe quindi dubitarsi in ordine alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti. L’INPS insiste quindi per l’accoglimento delle rassegnate conclusioni.

Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B.. ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribadendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo. Pertanto il signor B.. vanterebbe il diritto alla reintegrazione della pensione annua lorda di euro 17.681,38, come individuata nel decreto n. 278 del 26.5.2009.

Il ricorrente ha rammentato altresì che nella denegata ipotesi in cui si ritenesse sussistente l’indebito generato sulla pensione il recupero delle somme sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 206 d.p.r. n. 1092/1973. Secondo la prospettazione difensiva l’indebito sarebbe irripetibile anche applicando i principi individuati dalla giurisprudenza per il recupero dei conguagli tra pensione provvisoria e definitiva; da ciò l’illegittimità della trattenuta effettuata dall’INPS e l’obbligo di restituzione maggiorato di interessi e rivalutazione.

All’udienza in data 28 gennaio 2016 sono comparsi l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS. Nessuno è comparso per il Ministero della Difesa e per l’Arma dei Carabinieri.

L’Avv. Alessandro Sciolla ha illustrato i motivi di ricorso replicando alla memoria INPS e sottolineando che la fattispecie in esame riguarderebbe ipotesi di indebito derivante da riliquidazione di una pensione definitiva e non di indebito formatosi per differenza tra liquidazione di trattamento di quiescenza provvisorio e pensione definitiva. Ha altresì evidenziato che tale riliquidazione è dovuta ad errore nel computo o, comunque, ad errore di diritto e sarebbe avvenuta oltre il termine triennale non essendo imputabile a comportamento doloso del ricorrente. Ha infine rilevato che la riliquidazione effettuata nel 2014 è stata disposta d’ufficio e non su istanza del ricorrente insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.

L’Avv. Giorgio Ruta, in rappresentanza dell’INPS, ha richiamato la memoria sottolineando che alcun errore sarebbe comunque imputabile all’Istituto previdenziale, il quale è organo esecutore delle determinazioni dell’Amministrazione datrice di lavoro. Ha inoltre depositato le ordinanze n. 41/2015 e n. 56/2015 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria in relazione alla domanda di rivalsa, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.

Ritenuto in
DIRITTO

Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B.. secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.

Va preliminarmente rilevato che - secondo quanto chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile –il processo pensionistico pubblico celebrato dinanzi alla Corte dei conti, seppur introdotto mediante ricorso avverso atti o comportamenti della pubblica amministrazione, costituisce espressione di un giudizio sul rapporto anziché sull’atto; questa Corte non conosce, quindi, della legittimità di un atto al fine di eventualmente disporne l'annullamento, bensì valuta, in termini sostanziali, del concreto rapporto pensionistico dedotto in giudizio. Ne consegue che, ancorché il ricorso venga strutturato come impugnazione di atti del Ministero della Difesa e dell’INPS (peraltro di natura paritetica), lo stesso ha per oggetto il rapporto obbligatorio di quiescenza in essere tra le parti nella sua globalità e non il mero sindacato sulla legittimità degli atti posti a suo fondamento (in tal senso ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur. Puglia, n. 1596/2013; Corte dei conti, Sez. Giur. Liguria, n. 95/2014; Corte dei Conti, Sez. Giur. Trentino, n. 15/2014).

Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B.. era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale. Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.

Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.

In particolare, l’articolo 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Al successivo articolo 204 si legge che “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.

Infine, ai sensi dell’articolo 205, primo comma, “Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti”.

Sulla base del predetto quadro normativo questo Giudice è chiamato valutare se la fattispecie in esame rientri nelle ipotesi in cui sia assentita la modifica del trattamento di pensione definitivo, in virtù della disciplina contenuta nelle predette disposizioni di legge.

Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte, nell’affrontare la questione della modificabilità del trattamento di quiescenza definitivo per la pensionistica di guerra, hanno preso in esame, incidentalmente ma puntualmente, la disciplina vigente per la pensionistica ordinaria, delineandone i profili di coincidenza e di differenziazione con quella oggetto di scrutinio diretto.

In tale occasione, le Sezioni Riunite hanno precisato che la normativa speciale, di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n. 1092 del 1973, ispirata ad un favor nei confronti del pensionato, delinea una casistica compiuta e chiusa dei casi nei quali il provvedimento pensionistico definitivo può essere annullato d'ufficio, dovendosi ritenere che, al di fuori di essa, non sia ammissibile alcuna altra forma di autotutela; secondo tale prospettiva la disciplina in esame è da considerare addirittura più favorevole rispetto a quella della pensionistica di guerra, in quanto, a differenza di quest'ultima, prevede termini precisi entro i quali la "revoca" della pensione può essere disposta.

La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.

La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.

Il Giudice delle Leggi ha posto in chiara evidenza come le diverse ragioni dell'amministrazione e del pensionato trovino equilibrato componimento nella normativa che disciplina la liquidazione della pensione, articolandola in una duplice fase, la prima di liquidazione provvisoria, la seconda di liquidazione definitiva.

Secondo la sentenza citata, tale duplice fase liquidatoria "risponde all'esigenza di assicurare al pubblico dipendente collocato a riposo un reddito nel periodo immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione dello stipendio ed, al contempo, di consentire una valutazione ponderata degli elementi di fatto e della portata della normativa da applicare per la liquidazione pensionistica. Necessitando quest'ultima valutazione di un congruo lasso temporale, la liquidazione provvisoria assicura la continuità nella percezione del reddito che, nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo o principale mezzo di sostentamento" (Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

In sostanza, secondo la Corte costituzionale, la fase interinale costituisce un passaggio fisiologico e necessario nel percorso verso la liquidazione definitiva, poiché essa "suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti dall' art. 2 della L. n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di settore per l'adozione del decreto pensionistico definitivo - serve ad assicurare la continuità della prestazione retributiva, rimanendo impregiudicata la possibilità per l'amministrazione di correggere eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva"(Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

La Consulta individua quindi una differenziazione netta tra la fase che intercorre tra la liquidazione provvisoria e l’emissione del provvedimento di riconoscimento di pensione definitiva– nell’ambito della quale l'amministrazione conserva ampi margini di revoca o modifica del trattamento pensionistico qualora lo riconosca affetto da errori di qualsiasi genere- e la fase successiva alla liquidazione definitiva, in cui la situazione cambia radicalmente, individuandosi tassativamente i limiti e i termini di modificabilità del provvedimento dettati dalla normativa di settore.

A questo riguardo, la Corte costituzionale ha anche esaminato le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, richiamate dal giudice rimettente quale tertium comparationis con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; in tale contesto, nel valutare le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo in rapporto all’errore di diritto, la Corte Costituzionale ha quindi precisato che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione” (Corte costituzionale, sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

Poste tali premesse, occorre verificare la natura dell’errore che ha condotto l’Amministrazione a modificare il trattamento definitivo di cui al decreto n. 278/2009, in ordine al quale era peraltro già intervenuto il pronunciamento di questa stessa Sezione (sent. n. 231/2009) che, proprio a fronte dell’adozione del predetto atto, aveva dichiarato la parziale cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso illo tempore proposto dal signor B... Nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente afferma che la modifica in pejus del proprio trattamento dovrebbe rientrare nella ipotesi di cui ai capi a) e b) dell’art. 204 del T.U. n. 1092/1973 “sia perché è stato causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti (il decreto n. 278 del 26/5/2009 riportava espressamente il computo dell’anzianità al 31/12/1992 in 14 anni, 7 mesi e 2 giorni – cfr. pag. 1 doc. 5 tabella “serie dei servizi quota 2”) sia perché l’errore riguarda il calcolo e l’ammontare della pensione” (pag. 6 ricorso); secondo quanto precisato dalla difesa del ricorrente nel corso dell’udienza di discussione in data 28.1.2016 l’errore di cui trattasi potrebbe comunque qualificarsi come errore di diritto. In entrambe le ipotesi, secondo la tesi attorea, il decreto definitivo di pensione n. 278/2009 non sarebbe più stato modificabile, quantomeno per essere intervenuto oltre i termini di legge.

Orbene, nella vicenda in esame si osserva che la riliquidazione del trattamento pensionistico ordinario del ricorrente, avvenuta con il decreto n. 66 del 24 gennaio 2014 impugnato, appare determinata da una diversa interpretazione dell’art. 40 del d.p.r. n. 1092/1973 in relazione all’art. 59 c. 1 della l. n. 449/1997 con riferimento agli arrotondamenti di frazioni di anno ai fini della determinazione dell’anzianità contributiva: nell’ambito della liquidazione della pensione ordinaria di cui al decreto n. 278 del 26 maggio 2009 l’anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni al 31.12.1992 (già riconosciuta nel prospetto riepilogativo dei servizi utili al trattamento di quiescenza emesso il 11.3.2004 del Comando Regionale Carabinieri di Piemonte e Valle d’Aosta) era stata oggetto di arrotondamento a 15 anni (in forza della disposizione di cui al citato art. 40) mentre nel successivo decreto n. 66/2014 è prevalsa l’interpretazione secondo la quale tale arrotondamento non potesse più ritenersi ammesso, dovendo considerarsi la norma implicitamente abrogata anche con riguardo ai servizi svolti antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 59 L. n. 449/1997.

Per quanto emergente dagli atti di causa l'intervento si appalesa quindi mirato a eliminare un preteso errore di diritto che, secondo costante giurisprudenza, non può ritenersi rientrare tra i casi che consentono interventi modificativi del trattamento pensionistico definitivo.

Ciò in quanto, secondo quanto affermato recentemente dalla Corte Costituzionale, "L'esclusione della rilevanza dell'errore di diritto dai casi consentiti di modifica o revoca del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non è irragionevole o arbitraria, essendo volta - come detto - a soddisfare esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento le quali, già cedevoli nella fase interinale precedente alla liquidazione definitiva, prevalgono successivamente, per effetto di un diverso bilanciamento con l'interesse antagonista del ripristino della legittimità dell'azione amministrativa" (Corte Cost. sent. n. 208/2014).

Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.

Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".

Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt.203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).

Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato; risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.

Atteso quanto sopra, ritenute assorbite le diverse censure prospettate da parte ricorrente, anche in forza del criterio della ragione più liquida (cfr. Cass., Sez. VI, n. 12002/2014), consegue che il signor B.. ha diritto ad aver ripristinato l'originario trattamento pensionistico ordinario disposto con Decreto n. 278 del 26.5.2009.

Sulle maggiori somme da corrispondere in relazione ai singoli ratei vanno riconosciuti interessi e rivalutazione secondo il criterio dell'assorbimento.

Va altresì restituita da parte dell’INPS al ricorrente la somma recuperata in seguito all’adozione della nota INPS- Direzione Provinciale di Cuneo del 22.12.2014, in applicazione del Decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri.

In considerazione della circostanza che, in ordine al predetto recupero, l'Amministrazione ha agito in carenza di potere perché in violazione del divieto di riforma del provvedimento di liquidazione definitivo oltre il termine triennale di cui all’art.205 d.p.r. n. 1092/1973 e, conseguentemente, la restituzione della somma non è dipesa da un indebito pensionistico, anche sulle somme restituite vanno corrisposti al ricorrente gli accessori di legge (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia, n. 521/2015).

Non può invece ritenersi correttamente proposta né, quindi, esaminata nel merito la domanda di rivalsa avanzata dall'INPS - Gestione ex INPDAP nei confronti del Ministero della Difesa- Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, tesa alla rifusione della somma ritenuta irripetibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di affermare che, per il giudizio di rivalsa che l'Istituto intende promuovere nei confronti dell'Amministrazione, non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario con l'Amministrazione stessa, nell'ambito del giudizio sulla ripetibilità nei confronti del pensionato e che non sia, quindi, necessaria la contestualità, considerata l'autonomia delle due diverse pretese azionate e la conseguente autonomia dei relativi giudizi (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur I d'Appello, sent. n. 459 del 20.3.2014, sent. n. 418 del 14.3.2014, sent. n. 340 del 28.2.2014).

E’ stato osservato, in proposito, che la domanda subordinata di rivalsa proposta dall'Ente previdenziale introduce una controversia diversa - sia per petitum, che per causa petendi - rispetto alla domanda di irripetibilità del pensionato, ben potendo la predetta domanda essere proposta anche in autonomo giudizio (ex plurimis Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d'Appello n. 764/2012, id. n. 766/2012; Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Veneto n. 42/2013, n. 47/2013).

E’ stato altresì rilevato che la trattazione congiunta alla domanda proposta dal ricorrente, della pretesa di rivalsa avanzata dall’INPS nei confronti del Ministero, ordinatore primario di spesa, espone a dilatare ingiustificatamente ed eccessivamente i tempi di durata e di definizione del processo da contenersi, invece, nei limiti del principio di ragionevolezza, presidiato da norma di rango costituzionale (art. 111, c. 2, Cost.) con conseguente rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio formulata dall'I.N.P.S nelle ipotesi in cui l’Amministrazione datrice di lavoro non sia stata contestualmente evocata in giudizio dallo stesso ricorrente.

Questa Sezione, sulla base di analoghe argomentazioni, ha escluso l’accoglibilità della predetta domanda anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ordinatrice primaria di spesa risultasse già evocata in giudizio dal ricorrente, contestualmente all’INPS (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014; id. n. 142/2014).

La Sezione ha avuto modo di affermare, in proposito, che la domanda, avanzata dall’I.N.P.S. in subordine, di condanna diretta dell’Amministrazione datrice di lavoro, debba ritenersi esulare dal giudizio incardinato dal ricorrente con diverso petitum, facendo rilevare in proposito che “… le attribuzioni di ordinatore principale e secondario di spesa costituiscono una mera ripartizione di competenza di apparati della pubblica amministrazione comunque costituenti nel loro complesso la figura di obbligato passivo (v. C. conti, sez. III, 4 luglio 2001, n. 175/A). Né ai fini del giudizio rileva l’eventuale responsabilità di chi ha concretamente operato, trattandosi soltanto di accertare in questa sede se sussiste o meno il diritto vantato dal ricorrente” (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014).

Si richiama, sul punto l’orientamento espresso dalle Sezioni Centrali d’appello (I^ Sez. Giur. Centr. App. n. 767/2012/A e n. 109/2013) in cui è ribadito “il carattere organizzatorio ed interno della questione relativa all’incidenza finale degli oneri derivanti da una pronuncia di irripetibilità dell’indebito e ciò per la struttura sostanzialmente unitaria dell’Amministrazione e l’estraneità ad un giudizio a tal fine incardinato, della domanda relativa all’individuazione del soggetto cui devono essere addossati da ultimo gli oneri economici risultanti dalla corresponsione delle somme risultate non dovute (e dichiarate, come nella specie, anche se solo in parte, irripetibili) (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, n. 36/2014; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).

In relazione alla medesima domanda di rivalsa appare peraltro dirimente e preliminare ad ogni considerazione di merito il mancato rispetto delle norme circa l’instaurazione del contraddittorio (cfr. Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).

Come evidenziato dalla giurisprudenza contabile in fattispecie analoghe, la pretesa avanzata in via subordinata dall’INPS “non può configurarsi come domanda riconvenzionale, posto che essa non è stata proposta nei confronti dell’attore del presente giudizio, ma nei confronti di altro soggetto convenuto dall’attore e senza le forme che garantiscono il rispetto del principio del contraddittorio” (cfr. Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014; Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015).

Anche volendo ammettersi, quindi, la proponibilità di una domanda trasversale di rivalsa nell’ambito del processo pensionistico avanti alla Corte dei conti, come formulata nel caso di specie dall’Istituto Previdenziale, reputa questo Giudice che la stessa dovrebbe comunque soggiacere all'onere di garantire la corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti convenute nelle ipotesi che le stesse spieghino reciprocamente autonome domande (sugli aspetti processuali si fa rinvio alla sentenza di questa Sezione n. 29/2013 che richiama le pronunce delle SS.RR. della Corte dei conti, nn. 2/QM/2002 e 4/QM/2004).
Si rileva appena che la preclusione all’esame nel merito della domanda riconvenzionale nel presente processo non esclude la proponibilità della stessa nell’ambito di un autonomo giudizio.

Quanto alla regolamentazione delle spese, si osserva preliminarmente che risulta applicabile, ratione temporis, alla fattispecie, la modificazione dell’art. 92 c.p.c. introdotta dall’art. 13 d.l. n. 132 in data 12.9.2014, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162. Tenuto conto dei richiamati recenti interventi giurisprudenziali sulla questione concernente la “revoca”, per errore, della pensione definitiva si reputano sussistenti i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione, deduzione

ACCOGLIE

il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, dichiara il diritto del signor B.. Antonio a vedere ripristinato il trattamento pensionistico disposto con decreto n. 278 del 26 maggio 2009 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri nonché all’integrale restituzione al medesimo delle somme indebitamente trattenute in forza della nota INPS- Direzione Provinciale di cuneo in data 22.12.2014 ed alla corresponsione, su quanto dovuto in esecuzione della presente sentenza, della maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, c.3 c.p.c., tenuto conto dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002.

Spese compensate.

Ai sensi dell’art. 429 c.p.c. fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione

Così deciso in Torino il 28 gennaio 2016.

Il GIUDICE
(F.to dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta)


Depositata in Segreteria il 29 Febbraio 2016


Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio Cinque)
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