Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Liquidazione pensione privileggiata.

Leggete questa vicenda del collega, Appuntato CC. il quale ha fatto ricorso:

CONTRO:
- I.N.P.D.A.P. - sede Provinciale di Sondrio (ora I.N.P.S., così come previsto dal comma, art. 21 del Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201);

- Comando Generale Arma dei Carabinieri.

AVVERSO il provvedimento dell’I.N.P.D.A.P., sede provinciale di Sondrio del 27 settembre 2011.

PER l’annullamento del provvedimento avversato e conseguente liquidazione della pensione privilegiata ex art. 67, 1° comma del D.P.R. n. 1092/1973 o in subordine della pensione ex art. 52 del D.P.R. n. 109271973, nonché la liquidazione dei ratei mensili maturati dalla data del congedo fino alla decisione, maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle somme rivalutate, a decorrere dalla data di ogni trattenuta mensile fino all’effettivo soddisfo.

N.B.: possibile che bisogna fare sempre ricorsi per ottenere dei giusti diritti?

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ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA Sentenza 301 2012 Pensioni 24-05-2012

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SENT. N. 301/2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott. Eugenio Madeo
nella pubblica udienza del 15 maggio 2012 ha pronunciato

SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 27332 del registro di segreteria, presentato dalla Sig. F. C. …OMISSIS…, non rappresentato e difeso nel presente giudizio.

CONTRO:
- I.N.P.D.A.P. - sede Provinciale di Sondrio (ora I.N.P.S., così come previsto dal comma, art. 21 del Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201);

- Comando Generale Arma dei Carabinieri.

AVVERSO il provvedimento dell’I.N.P.D.A.P., sede provinciale di Sondrio del 27 settembre 2011.
PER l’annullamento del provvedimento avversato e conseguente liquidazione della pensione privilegiata ex art. 67, 1° comma del D.P.R. n. 1092/1973 o in subordine della pensione ex art. 52 del D.P.R. n. 109271973, nonché la liquidazione dei ratei mensili maturati dalla data del congedo fino alla decisione, maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle somme rivalutate, a decorrere dalla data di ogni trattenuta mensile fino all’effettivo soddisfo.

VISTI: il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038; il decreto legge 15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19; la legge 21 luglio 2000, n. 205 e, in particolare, gli artt. 5, 9 e 10; il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, artt. 60 e 74.

UDITE le parti costituite e comparse come da verbale di udienza.
ESAMINATI gli atti e i documenti della causa.
Ritenuto in

FATTO
Con ricorso presentato in data 13 gennaio 2012, notificato al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e all’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.), sede Provinciale di Sondrio in pari data, ovvero il 13 gennaio 2012, il Sig. F. C., ex appartenente all’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo dal 19 maggio 2011 chiede l’annullamento del provvedimento emesso dall’I.N.P.D.A.P., sede Provinciale di Sondrio, in data 27 settembre 2011, con cui si attesta l’impossibilità di definire la pensione di inabilità del ricorrente in assenza del verbale, redatto dalla competente commissione medica, con cui è riconosciuta l’invalidità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro di quest’ultimo.

In particolare, il Sig. F. C. dal 1985 in poi fino alla data del suo collocamento in congedo in data 19 maggio 2011 per il superamento del limite massimo di aspettativa consentito nel quinquennio, ha patito diversi problemi di salute ed è stato anche sottoposto a diversi interventi chirurgici riguardanti le articolazioni delle ginocchia che lo hanno portato a diversi e prolungati periodi di assenza dal servizio.

Dal 2004 a seguire, diverse sono state le Commissioni Mediche che hanno visitato il Sig. F. C. e nello specifico:
- in data 15 aprile 2004 la Commissione Medica di Padova che ha affermato tra le altre cose che il ricorrente è “… permanentemente non idoneo in modo parziale, controindicati gli incarichi che comportino aumentato stress dell’apparato locomotore inferiore …”;

- in data 7 gennaio 2009 la Commissione Medica di Milano a seguito di intervento chirurgico subito nel 2008 giudica il ricorrente idoneo al servizio;

- in data 3 marzo 2010 la Commissione Medica 1° di Milano ha attestato, tra l’altro, che il Sig. F. C. è affetto da “… pregresso intervento di stabilizzazione cicatrice meniscale con radiofrequenze e shaving loggia anteriore ginocchio dx, documentati – idoneo al servizio in forma parziale; rientra con le medesime controindicazioni …”;

- in data 5 maggio 2010 la Commissione Medica 2° di Milano ha stabilito, tra le altre cose, che “… l’App. C. è confermato permanentemente non idoneo al servizio militare e d’istituto in modo parziale per l’infermità n. 2) del giudizio diagnostico, già
giudicata d.c.s. con decreto n. 942 del 28.9.2005 del direttore di amministrazione del c.g.a.; le controindicazioni impartite dalla ex-commissione medica di 2° ist. dell’E.I. in Padova, con verbale Mod. ML/BS n. 125 del 15.4.2004, sono così riformulate: controindicati i servizi che comportano la postura assisa prolungata …”.

Tanto premesso è opportuno ricordare anche che in data 28 settembre 2005, successivamente alla visita fatta presso la Commissione Medica di Padova il 15 aprile 2004, il Comando Generale dei Carabinieri – Direzione di amministrazione – Sez. equo indennizzo – pos. n. 60367/A, sulla posizione del Sig. F. C., decideva: “ai sensi dell’art. 14 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001 n. 461 il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità: esiti di distorsione ginocchio sn trattata con ricostruzione artroscopica con tendine quadricipitale in antica ricostruzione L.C.A.”.

Ancora, da ultimo, in data 6 luglio 2010, il Ministero della Difesa – Dipartimento di medicina legale di Milano – 1° Commissione Medica – con verbale Mod. BL/B n. 1033, ha stabilito, con riguardo al ricorrente, tra l’altro che: “… l’ascrivibilità della menomazione complessiva conseguente a tutte le infermità (escluse quelle non riconosciute dipendenti da causa di servizio) corrisponde alla tab. A categoria 8° …”

Ciò posto, in definitiva, il ricorrente chiede l’adozione di un provvedimento che gli consenta di ottenere dall’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) la liquidazione della pensione privilegiata ex art. 67, 1° comma del D.P.R. n. 1092/1973 ed in subordine della pensione ex art. 52 del D.P.R. n. 109271973, nonché la liquidazione dei ratei mensili maturati dalla data del congedo fino alla decisione, maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle somme rivalutate, a decorrere dalla data di ogni trattenuta mensile fino all’effettivo soddisfo. Al riguardo, invoca, in particolare, l’eccesso di potere, violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e 67 del D.P.R. n. 1092/1973, avendo maturato ben oltre 12 anni di servizio effettivo e ben 28 anni contributivi utili a pensione, nonché l’erroneità e l’illegittimità del provvedimento dell’I.N.P.D.A.P. del 27 settembre 2011, nel punto in cui chiede, per la definizione della pensione di inabilità, l’esibizione di un verbale della C.M.O. competente che attesti l’invalidità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro del ricorrente;

l’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) si è costituito in giudizio con memoria depositata il 2 marzo 2012, chiedendo nel merito il rigetto del ricorso per infondatezza. In subordine, in caso di accoglimento del ricorso, dichiarare non dovuti gli interessi e la rivalutazione o, in via di ulteriore subordine, escluderne il cumulo. In particolare, l’Istituto afferma di non aver ricevuto dall’Ente datore di lavoro il verbale medico, dal quale si possa evincere che il ricorrente non ha riacquistato l’idoneità allo scadere del periodo massimo di aspettativa per infermità temporanea, necessario per dare seguito alla domanda di pensione del Sig. F. C.

L’Arma dei Carabinieri non si costituita in giudizio.

Questo Giudice con ordinanza n. 37 del 12 marzo 2012, ha rigettato la richiesta di applicazione di misura cautelare richiesta dal Signor F. C.

All’udienza, sentite le parti presenti, si è data lettura del dispositivo di cui si illustrano i motivi in fatto e in diritto.
Considerato in

DIRITTO
Nel merito la domanda è fondata per i motivi di seguito indicati.

La richiesta di parte attorea trova la sua disciplina positiva nell’art. 67 e segg. del D.P.R. 1092 del 1973, che attesta il diritto a pensione privilegiata, per i militari, al verificarsi di una menomazione dell’integrità personale, che abbia carattere invalidante e non sia suscettibile di miglioramento, che sia dipendente da causa di servizio e che sia ascrivibile ad una delle categorie della tabella A, annessa al D.P.R. n.834 del 1981.

Risulta, pertanto evidente come l'art. 67 del T.U. 1092/3, espressamente riferito al trattamento di privilegio dei militari, indichi in modo esaustivo tutti i presupposti al verificarsi dei quali va riconosciuta la pensione privilegiata in favore dei dipendenti militari dello Stato. Tra i requisiti richiesti non è menzionato quello della inidoneità assoluta a qualsiasi proficuo lavoro, come invece richiesta dall’I.N.P.D.A.P. con il provvedimento avversato. Tale esclusione è certamente dettata dal particolare “status” rivestito dal militare presupponente l'assoluta integrità psicofisica. Pertanto, non rimanendo alcuno spazio per una interpretazione di una norma eccezionale (in quanto riferita ad una particolare specie di dipendenti) quale è l'art. 67, del T.U. n.1092/1973, integrante il disposto di cui all'art. 64 del medesimo D.P.R., deve concludersi nel senso che il trattamento privilegiato dei militari non è subordinato alla circostanza che l'infermità sofferta abbia determinato l'inidoneità assoluta al servizio del soggetto interessato.

Nel caso di specie, trattandosi di ex appartenente all’Arma dei Carabinieri, non vi sono dubbi sul fatto che, ai fini della attribuzione della pensione privilegiata, trovano applicazione non già le disposizioni di cui all'art. 64 del d.P.R. n. 1092/1973, che prevedono la necessaria sussistenza del requisito della “inidoneità al servizio”, bensì le disposizioni di cui all'art. 67, che stabiliscono invece il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata per infermità dipendenti da causa di servizio a prescindere dalla sussistenza del predetto requisito della “inidoneità al servizio”, e cioè, anche se le stesse infermità non ne abbiano determinato l'inidoneità al servizio d’istituto.

Ancora, sul presupposto che l’infermità non è stata giudicata suscettibile di miglioramento, come infatti si rileva a chiare lettere da quanto anche recentemente affermato dalla Commissione Medica 2° di Milano in data 5 maggio 2010, la quale dichiara appunto che l’App. F. C. è “permanentemente non idoneo al servizio militare e d’istituto in modo parziale”, non è, quindi, applicabile il disposto del successivo art. 68, del T.U. n.1092/1973 che prevede che se le infermità o le lesioni, ascrivibili ad una delle categorie della tabella A, sono ritenute suscettibili di miglioramento, spetta un assegno rinnovabile di misura uguale alla pensione e di durata da 2 a 6 anni in relazione al tempo necessario per il miglioramento (dal 1° gennaio 1979 l'assegno rinnovabile è concesso sino ad un massimo di quattro annualità, ex art. 5, co.1, della legge 26 gennaio 1980, n.9).

Di conseguenza, è accertato il diritto del ricorrente a pensione di privilegio a decorrere dalla data del congedo 19 maggio 2011, per le infermità ascrivibili nel complesso alla tabella A cat. 8, cosi come indicato in data 6 luglio 2010, dal Ministero della Difesa – Dipartimento di medicina legale di Milano – 1° Commissione Medica – con verbale Mod. BL/B n. 1033.

Sulle somme arretrate dovute spettano interessi legali e rivalutazione monetaria, ex artt. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., da calcolarsi dalla scadenza di ogni singolo rateo e sino al pagamento della sorte capitale, emolumenti da liquidarsi cumulativamente, secondo i principi espressi nella citata sentenza n. 10/2002/QM, delle Sezioni Riunite di questo Istituto, nel senso di una possibile integrazione degli interessi legali ove l'indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi (c.d. principio del cumulo parziale).

Le spese in giudizio sono compensate, attesa la complessità della materia.
P. Q. M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia
nella sua composizione di Giudice unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:

ACCOGLIE
1. nei termini di cui in motivazione il ricorso in epigrafe e per l’effetto accerta il diritto del ricorrente a pensione di privilegio a decorrere dalla data del congedo 19 maggio 2011;

2. condanna l’Amministrazione al pagamento delle somme arretrate dovute con interessi legali e rivalutazione monetaria da calcolarsi dalla scadenza di ogni singolo rateo e sino al pagamento della sorte capitale, emolumenti da liquidarsi cumulativamente nel senso di una possibile integrazione degli interessi legali ove l'indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi;

3. compensa le spese.
Così deciso in Milano il 15 maggio 2012.
IL GIUDICE
(Eugenio Madeo)

Depositata in Segreteria il 24/05/2012
IL DIRIGENTE


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per notizia.

Interdipendenza

l’Ufficio Medico Legale del Ministero della Salute ha ritenuto che l’infermità “Distimia con note d’ansia situazionali” sia da ritenere interdipendente con l’infermità pensionata “Ipoacusia bilaterale neurosensoriale con voc. a mt 2,5 bilateralmente”.

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Sezione Esito Numero Anno Materia Pubblicazione
PUGLIA SENTENZA 1708 2012 PENSIONI 12/12/2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALEREGIONALE PER LA PUGLIA
IL GIUDICE UNICO PER LE PENSIONI
Dott.ssa Giuseppina Mignemi ha pronunciato la seguente

SENTENZA N° 1708/2012

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 27830/PM del registro di segreteria, promosso
ad istanza di
V. V., nato a Omissis il Omissis ed ivi residente in via A. Boito, n. 51, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso dall’Avv. Antonio Salvia e Daniele Oliviero, e presso il loro studio elettivamente domiciliato in Potenza, al Viale Marconi n. 219;

contro
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro-tempore;

avverso
il decreto n. 117 del 28.2.2006 del Ministero della Difesa, che ha rigettato la domanda del 26.10.1998 con cui il ricorrente chiedeva l’interdipendenza tra l’infermità “Distimia con note d’ansia situazionali” e l’infermità “Ipoacusia percettiva bilaterale a carattere zonale”, già riconosciuta dipendente da causa di servizio;

ESAMINATI: il ricorso e gli altri atti e documenti di causa;
VISTI il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19; la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205;
UDITE, all’udienza del 6 dicembre 2012, le parti presenti per come risulta dal verbale di udienza;

FATTO

Il Ministero della Difesa, con decreto n. 222 del 7.8.1990, riconosceva all’odierno ricorrente la pensione privilegiata ordinaria tabellare di 8^ categoria, a decorrere dal 20.5.1986 a vita, per l’infermità “Ipoacusia bilaterale neurosensoriale con VOC a mt 2,5 bilateralmente”.

Con domanda del 26.10.1998, l’istante richiedeva il riconoscimento dell’interdipendenza dell’infermità innanzi indicata con l’infermità “Distimia con note d’ansia situazionali”.

L’Ospedale Militare di Bari, in data 7.4.2003, sottoponeva a visita medica il ricorrente diagnosticandogli “1) Distimia con note d’ansia situazionali, 2) Ipoacusia bilaterale neurosensoriale con voc. a mt. 2,5 bil. (già riconosciuta dipendente da causa di servizio”; riconosceva l’interdipendenza delle due patologie ascrivendo, per cumulo, le due infermità alla 7^ categoria della Tabella A, a vita, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla domanda di interdipendenza.

Il Comitato di verifica per le cause di servizio, nell’adunanza n. 199/2005 del 27.6.2005, tuttavia, non riteneva interdipendenti le due infermità suddette e, sulla base di detto parere, il Ministero della Difesa, con decreto n. 117 del 28.2.2006, respingeva la domanda di interdipendenza.

Avverso tale provvedimento e per vedersi riconosciuta la pensione privilegiata tabellare commisurata anche alla patologia ritenuta interdipendente, con atto depositato in data 13.12.2006, proponeva ricorso V. V..

Con ordinanza n. 179 del 2012, questo Giudice, ritenuto che non fosse possibile esprimere un sicuro giudizio in ordine alla interdipendenza delle predette patologie ed eventualmente alla categoria cui ascriverle, attesa la natura eminentemente tecnica della questione, sottoponeva all’Ufficio Medico Legale del Ministero della Salute i seguenti quesiti: “1. indicare, alla luce di tutta la documentazione disponibile, compresa quella di parte, se la patologia “Distimia con note d’ansia situazionali” possa ritenersi interdipendente dalla patologia “Ipoacusia bilaterale neurosensoriale con voc. a mt 2,5 bilateralmente”; 2. in caso affermativo, specificare la classificazione complessiva ai fini della P.P.O.”, fissando per la prosecuzione l’udienza del 6 dicembre 2012.

In data 10 luglio 2012, l’Ufficio Medico Legale del Ministero della Salute depositava il richiesto parere.
Con memoria del 25 luglio 2012, si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa chiedendo il rigetto del ricorso ed in subordine, in caso di accoglimento, il riconoscimento degli accessori secondo i criteri di cui alla sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, 6/QM/2008.

All’udienza del 6 dicembre 2012, la causa veniva posta in decisione.

DIRITTO

L’odierno ricorrente, con il ricorso in epigrafe indicato, lamenta il mancato accoglimento dell’istanza volta ad ottenere la pensione privilegiata tabellare anche per la patologia “Distimia con note d’ansia situazionali”, asseritamente interdipendente dalla patologia “Ipoacusia percettiva bilaterale a carattere zonale”, per la quale già percepisce la pensione privilegiata.

Preliminarmente, va evidenziato che il giudizio pensionistico innanzi alla Corte dei Conti non ha struttura impugnatoria e non è preordinato all’annullamento degli atti adottati dall’Amministrazione in relazione al rapporto pensionistico dedotto in giudizio.

Esso si sostanzia, piuttosto, in una cognizione piena sul rapporto pensionistico, nel cui ambito il Giudice è munito di giurisdizione esclusiva sul rapporto, in quanto tale estesa a tutte le questioni inerenti l’ane il quantum della pensione, rimanendo esclusa ogni incidenza in ordine ad eventuali vizi di legittimità di atti amministrativi, il cui potere di annullamento resta di competenza del Giudice amministrativo (Corte dei Conti, Sez. Puglia, sent. n. 181 del 30.4.2010).

Per quanto premesso, non rilevano, di per sé, eventuali vizi di motivazione o del procedimento che ha condotto al decreto di diniego del trattamento privilegiato, ma piuttosto andrà valutato se il ricorrente sia effettivamente titolare del diritto fatto valere in giudizio.

Il ricorso alla Corte dei Conti verte, infatti, non già sulla legittimità/illegittimità di un atto dell’amministrazione, ma sull’esistenza/inesistenza dei fatti che determinano, a norma di legge, il sorgere del diritto ad un trattamento pensionistico.

Non si tratta, quindi, di decidere dell’annullamento di un atto amministrativo, ma di dichiarare se sussistano o meno le condizioni per il riconoscimento della pretesa pensionistica.

Nel merito, poi, va rilevato che, ai sensi dell’art. 67, primo comma, del T.U. approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, al militare le cui infermità o lesioni, dipendenti da fatti di servizio, siano ascrivibili ad una delle categorie della tabella A annessa al D.P.R. 23.12. 1978 n. 915, come sostituita con quella annessa al D.P.R. 30/12/1981 n. 834, ha diritto alla pensione privilegiata, se la menomazione non sia suscettibile con il tempo di miglioramento.

La norma è applicabile anche ai militari in servizio di leva (Corte dei Conti, Sez. Giur. Sicilia, sent. n. 2002 del 2010 e n. 1979 del 2010; Corte dei Conti, Sez. Giur. Campania, sent. n. 1839 del 2010; Corte dei Conti, Sez. Giur. Lazio, sent. n. 1384 del 2010).

A norma dell’art. 70 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nei casi di aggravamento delle infermità o delle lesioni per le quali sia già stato attribuito il trattamento privilegiato, l’invalido può far valere i suoi maggiori diritti chiedendone la revisione senza limiti di tempo. In tal caso, la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda oppure, qualora risulti più favorevole, dalla data della visita medica ed è corrisposta con deduzione delle quote di pensione già riscosse dall’interessato dopo la decorrenza stabilita.

Nel caso di specie, con parere, logicamente e congruamente motivato, depositato il 10.7.2012, l’Ufficio Medico Legale del Ministero della Salute ha ritenuto che l’infermità “Distimia con note d’ansia situazionali” sia da ritenere interdipendente con l’infermità pensionata “Ipoacusia bilaterale neurosensoriale con voc. a mt 2,5 bilateralmente”, valutandola meritevole di iscrizione alla 7^ categoria tabella A e valutando il complesso delle due infermità distimica e ipoacusica ascrivibile alla 6^ categoria tabella A, secondo le leggi vigenti.

Deve, quindi, essere riconosciuto il diritto del ricorrente alla pensione privilegiata tabellare di 6^ categoria, tabella A per le patologie “Distimia con note d’ansia situazionali” e “Ipoacusia bilaterale neurosensoriale con voc. a mt 2,5 bilateralmente”, ritenute interdipendenti, a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda e, quindi, dall’1.11.1998.

Con riferimento alla domanda di interessi e rivalutazione sui ratei arretrati spettanti, con sentenza n. 6/QM del 24 novembre 2008 le Sezioni Riunite, rivisitando quanto già statuito con precedente sentenza n. 10/QM del 2002, hanno evidenziato la necessità di ricondurre ad unità gli orientamenti giurisprudenziali in materia di interessi legali e rivalutazione monetaria su crediti pensionistici e di contestualizzare il diritto in parola in relazione alle specifiche esigenze e realtà storiche che hanno portato alla sua affermazione.

Sulla scorta delle suddette pronunce di questa Corte (si vedano da ultimo Corte dei Conti, Sez. II d’Appello, sent. n. 529 dell’8.10.2012 e Sez. III d’Appello, sent. n. 369 del 25.5.2012), va, di conseguenza, affermato che:

1) il richiamo all’art. 429, comma 3, c.p.c. - nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui agli artt. 16, comma 6, della legge n. 412/1991; 22, comma 36, della legge n. 724/1994 e 45, comma 6, della legge n. 448/1998 -involge tutte le pensioni su cui giudica la Corte dei Conti (ordinarie, militari tabellari e di guerra), successivamente all’entrata in vigore dell’art. 5, comma 2, della legge n. 205/2000;

2) l’estensione del modificato art. 429, comma 3, c.p.c., “opera anche per i giudizi in corso, dalla data di entrata in vigore della legge n. 205/2000 (10/8/2000), nel senso che le disposizioni del precitato art. 429 c.p.c. si applicano ai ratei scaduti dopo tale data, mentre per i ratei maturati prima continuano a trovare applicazione i principi affermati da queste Sezioni Riunite con le sentenze SS.RR. n. 525-A/1987, n. 84-C/1990, n. 97-C/1993, n. 17-QM/1995 e n. 4-QM/1998”;

3) all'estensione alle pensioni militari tabellari e di guerra dell'art. 429, comma 3, c.p.c. non può essere riconosciuto effetto retroattivo, “stante la profonda trasformazione recata ai relativi crediti dalle cennate disposizioni speciali, per ciò che attiene anche all'automatico riconoscimento della rivalutazione monetaria e all'esonero della prova del maggior danno".

Pertanto, il ricorso deve essere accolto e va riconosciuto il diritto del ricorrente alla pensione privilegiata tabellare di 6^ categoria, tabella A, a decorrere dall’1.11.1998.

Per l’effetto, l’Amministrazione va condannata al pagamento dei ratei ritenuti spettanti, scomputate le quote di pensione già riscosse, maggiorati di interessi legali e rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo i criteri di cui alla sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti n. 6/2008/QM, a far data dalla scadenza dei singoli ratei di spettanza sino all’effettivo soddisfo.

Attesa la complessità della fattispecie, sussistono giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
La Corte dei Conti -Sezione Giurisdizionale Regionale per la Puglia, in composizione monocratica con funzioni di Giudice Unico per le Pensioni, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Spese compensate.
Così deciso in Bari, il 6 dicembre 2012.
IL GIUDICE
F.to Dott.ssa Giuseppina Mignemi

Depositata in Segreteria il 12/12/2012

Il Funzionario di Cancelleria
F.to (dott. Pasquale ARBORE)
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1) - La ricorrente ha adito questo Tribunale ai sensi dell’art. 112 cod. proc. amm., per l’ottemperanza della sentenza n. 22/2010 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana della Corte dei Conti in epigrafe indicata, con cui è stato affermato il diritto della predetta al trattamento privilegiato indiretto a decorrere dall’8 giugno 1995, in relazione all’infermità causa del decesso del sig. G. L.; con condanna dell’INPDAP a corrispondere il trattamento suddetto con interessi e rivalutazione monetaria.

2) - Espone che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, e della liquidazione del complessivo importo, l’Istituto ha operato una decurtazione sul rateo della pensione, chiarendo, con successiva nota del 17.5.2011, che tale decurtazione sarebbe da ricondurre ad una erronea applicazione dell’art. 40 del R.D.L. n. 680/1938 con relativo accertamento di un debito della ricorrente nei confronti dell’Istituto.

Il TAR di Palermo chiarisce:

3) - il Presidente del Collegio ha posto la questione, rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per appartenere la stessa alla sfera di attribuzioni della Corte dei Conti

4) - l’esecuzione delle sentenze delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti sono competenti le Sezioni medesime, mentre per l'esecuzione delle sentenze emesse dalle Sezioni centrali d'appello provvedono queste ultime, con significativa innovazione rispetto al pregresso sistema di riparto di giurisdizione in materia di esecuzione del giudicato (v. Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2668).

5) - Poiché per l’attuazione delle sentenze della Corte dei Conti è stato specificamente introdotto dal menzionato art. 10 della l. n. 205/2000 il rimedio dell’ottemperanza esperibile dinanzi allo stesso giudice contabile, non può per esse operare la disciplina contenuta negli artt. 112 e ss. del codice del processo amministrativo.

Il resto leggetelo qui sotto.

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10/05/2013 201301059 Sentenza 1


. 01059/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02254/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2254 del 2012, proposto da:
D. D. R., rappresentata e difesa dagli avv.ti Katia Gloria e Pietro Maria Mela, con domicilio eletto in Palermo, Corso Finocchiaro Aprile n. 165, presso lo studio dell’avv. Valerie Phillis Vaccarella;

contro
l’INPS – Gestione ex INPDAP, sede centrale;
l’INPS – Gestione ex INPDAP, sede di Enna;
in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento
del giudicato formatosi sulla sentenza n. 22/2010, resa inter partes dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, in data 11/1/2010;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il primo referendario dott. Maria Cappellano;
Udito alla camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013 il difensore di parte ricorrente, presente come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
A. – Con ricorso notificato il 29 novembre 2012 e depositato il successivo 5 dicembre, la ricorrente ha adito questo Tribunale ai sensi dell’art. 112 cod. proc. amm., per l’ottemperanza della sentenza n. 22/2010 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana della Corte dei Conti in epigrafe indicata, con cui è stato affermato il diritto della predetta al trattamento privilegiato indiretto a decorrere dall’8 giugno 1995, in relazione all’infermità causa del decesso del sig. G. L.; con condanna dell’INPDAP a corrispondere il trattamento suddetto con interessi e rivalutazione monetaria.

Espone che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, e della liquidazione del complessivo importo, l’Istituto ha operato una decurtazione sul rateo della pensione, chiarendo, con successiva nota del 17.5.2011, che tale decurtazione sarebbe da ricondurre ad una erronea applicazione dell’art. 40 del R.D.L. n. 680/1938 con relativo accertamento di un debito della ricorrente nei confronti dell’Istituto.

La ricorrente contesta, quindi, la nota esplicativa, ritenendola formata in violazione del citato art. 40, nonché in elusione del giudicato, chiedendo ordinarsi all’I.N.P.S. (subentrato alla gestione INPDAP) di darvi compiuta esecuzione, con declaratoria di nullità degli atti adottati in elusione dello stesso.

B. – Nessuno si è costituito in giudizio per l’I.N.P.S..

C. – Alla camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013, presente il difensore di parte ricorrente, il Presidente del Collegio ha posto la questione, rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per appartenere la stessa alla sfera di attribuzioni della Corte dei Conti (v. verbale d’udienza); quindi, il ricorso è stato posto in decisione.

D. – Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sussistendo la giurisdizione della Corte dei Conti.

L’art. 10, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Esecuzione di sentenze non sospese dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti) stabilisce che: “2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel giudizio innanzi alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti per l'esecuzione delle sentenze emesse dalle sezioni medesime e non sospese dalle sezioni giurisdizionali centrali d'appello della Corte dei conti; per l'esecuzione delle sentenze emesse da queste ultime provvedono le stesse sezioni giurisdizionali centrali d'appello della Corte dei conti.”.

Il comma 1 della medesima disposizione aggiunge(va) all’art. 33 della l. n. 1034/1971 un comma, a mente del quale “Per l'esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato il tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato di cui all'articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni”.

In base a tale disposizione, pertanto, per l’esecuzione delle sentenze delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti sono competenti le Sezioni medesime, mentre per l'esecuzione delle sentenze emesse dalle Sezioni centrali d'appello provvedono queste ultime, con significativa innovazione rispetto al pregresso sistema di riparto di giurisdizione in materia di esecuzione del giudicato (v. Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2668).

Conferma del mantenimento del nuovo sistema di riparto si rinviene nell’art. 112, comma 2, cod. proc. amm., il quale stabilisce che “L’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione… - oltre che delle sentenze e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; dei giudicati (o atti ad essi equiparati) del giudice ordinario; dei lodi arbitrali esecutivi inoppugnabili (lettere a, b, c, e) – anche “delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione” (lettera d).

Poiché per l’attuazione delle sentenze della Corte dei Conti è stato specificamente introdotto dal menzionato art. 10 della l. n. 205/2000 il rimedio dell’ottemperanza esperibile dinanzi allo stesso giudice contabile, non può per esse operare la disciplina contenuta negli artt. 112 e ss. del codice del processo amministrativo.

Conseguentemente, sono valide le stesse considerazioni in tema di riparto di giurisdizione svolte dalla giurisprudenza amministrativa prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (v., in tal senso, Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2); coerentemente, del resto, con la scelta di fondo del legislatore della l. n. 205/2000 di radicare la competenza sul giudizio di ottemperanza, involgente ampi ed incisivi poteri giurisdizionali, in capo al giudice specializzato in materia, onde rafforzare l’effettività della relativa tutela.

Per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione.

Conseguentemente, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice contabile, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, in caso di proposizione della stessa davanti al predetto giudice entro i termini di legge, in applicazione dell’art. 11, comma 2, cod. proc. amm..

E. – Nulla deve statuirsi sulle spese di giudizio, atteso che l’amministrazione intimata non si è costituita.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Aurora Lento, Consigliere
Maria Cappellano, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/05/2013
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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1) - il Comando Regione Carabinieri Liguria e il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rispettivamente con nota n. 45 del 21/2/2006 e nota del 15/3/2006, ritenevano che, avendo l'interessato alla data dell'ultimo giorno di servizio (26/1/2003) un'anzianità di anni 30, mesi 1 e giorni 2, l'applicazione della sanzione della perdita di grado dalla data del congedo avesse determinato la mancata maturazione dei requisiti stabiliti dalla legge 449/1997, ovvero dall'art. 6 del D. Lgs. 165/1997 come modificato dall'art. 59, comma 12 della stessa legge n. 449, per l'affermazione del diritto alla pensione normale.

2) - Anche il precedente giurisprudenziale citato nella memoria depositata dall’appellante in data 12 aprile 2012 (Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale 18 maggio 2011, n. 237), non è pertinente al caso di specie, in quanto con essa è stato riconosciuto il diritto a pensione a militare riammesso formalmente in servizio e che ha prestato un nuovo servizio, oggetto di computo, dopo la perdita del grado per rimozione, che il Giudice ha ritenuto valido ai fini del conseguimento del diritto a pensione. Trattasi quindi di ulteriore e diverso servizio effettivamente prestato, non di servizio prestato prima della perdita del grado e quindi disciplinato dal menzionato art. 37. E la medesima Sezione seconda giurisdizionale, con sentenza 22 dicembre 2011 n. 732 (così come, peraltro, tra le altre, Sezione giurisdizionale Lazio 21 febbraio 2011 n. 314), lungi dal ritenere abrogata tale norma di legge, l’ha, al contrario, per altro verso applicata ai fini del decidere.

Appello del Maresciallo Aiutante S. UPS CC. Respinto.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE

TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 5 2013 PENSIONI 09/01/2013

Sent. 5/2013


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte dei conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
composta dai seguenti magistrati:
Dott. Angelo De Marco Presidente
Dott. Fulvio Longavita Consigliere
D.ssa Marta Tonolo Consigliere
Dott. Bruno Tridico Consigliere relatore
D.ssa Francesca Padula Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sull’appello in materia di pensioni proposto avverso la sentenza 23 aprile 2008 n. 268 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Liguria da S. C., rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Bava

contro
il Ministero della difesa e l’INPDAP.

Visto l’atto di appello, iscritto al n. 32810 del registro di segreteria;
Esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 28 novembre 2012, con l’assistenza della segretaria Elisabetta Barrella, il Giudice relatore, dott. Bruno Tridico e l’avv. Bava per l’appellante.

Esposizione del fatto
Con l’impugnata sentenza, la Sezione giurisdizionale per la regione Liguria ha respinto il ricorso proposto dal sig. S. C., volto a ottenere il ripristino della pensione, revocata dal 1° gennaio 2003 con conseguente accertamento di indebita percezione di euro 62.411,38.

Il Ministero della Difesa, con decreto n. 2734 del 30/9/2003, disponeva, a decorrere dal 27/1/2003, la cessazione dal servizio permanente per infermità del Signor S. C., Maresciallo Aiutante S. UPS CC, ed il suo collocamento in congedo assoluto. Tale provvedimento veniva adottato in conformità del parere della C.M.O. di Torino in data 27/1/2003. Al predetto veniva corrisposto trattamento pensionistico provvisorio.
A seguito della sentenza di condanna in data 11/2/2004 del Tribunale Militare di Torino, la Commissione di disciplina riteneva il S. C. “non meritevole di conservare il grado”. Con decreto n. 437 datato 24 dicembre 2004, il Ministero della Difesa disponeva nei confronti del M.llo S. C. la perdita di grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi dell'art. 60 n. 6 della legge 31 luglio 1954, n. 599.

Con successivo decreto del Ministero della Difesa, n. 48 del 4 febbraio 2005, rilevato che nel precedente decreto n. 437 la decorrenza indicata era dalla data del provvedimento e non dalla data di collocamento in congedo per riforma, nonché la mancata indicazione degli articoli n. 61 e 37 della legge n. 599/1954, si provvedeva alla correzione degli errori materiali dello stesso decreto n. 437, disponendo l'applicazione della sanzione della perdita di grado ai sensi dell'art. 60, n. 6 e del combinato disposto degli articoli 61 e 37 della legge 31 luglio 1954, n. 599, e a decorrere dalla data del 28 gennaio 2003.

Con l'ultimo decreto n. 108/III-7/2005 datato 23 marzo 2005, il Ministero della Difesa disponeva la correzione del precedente decreto n. 48 nel senso che la sanzione della perdita di grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi agli art. 60, n. 6 e del combinato disposto degli artt. 61 e 37 della legge n. 599/1954, veniva disposta a decorrere dal 27 gennaio 2003.

A seguito dei predetti provvedimenti, il Comando Regione Carabinieri Liguria e il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rispettivamente con nota n. 45 del 21/2/2006 e nota del 15/3/2006, ritenevano che, avendo l'interessato alla data dell'ultimo giorno di servizio (26/1/2003) un'anzianità di anni 30, mesi 1 e giorni 2, l'applicazione della sanzione della perdita di grado dalla data del congedo avesse determinato la mancata maturazione dei requisiti stabiliti dalla legge 449/1997, ovvero dall'art. 6 del D. Lgs. 165/1997 come modificato dall'art. 59, comma 12 della stessa legge n. 449, per l'affermazione del diritto alla pensione normale.

Con nota prot. n. 12788 del 10/5/2006, l'I.N.P.D.A.P. sede di Omissis comunicava al Signor S. C. l'avvio del procedimento di accertamento di indebito pari ad € 62.411,38 a seguito della revoca del diritto a pensione dall'1/9/2003.

L’impugnata sentenza ha confermato l’insussistenza del diritto a pensione, ritenendo l’interessato cessato dal servizio non per infermità, ma per perdita di grado, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1, comma 32, legge n. 335/95.

Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. S. C., ritenendo che l’art. 37 della legge n. 599/54, preclusiva del diritto a pensione invocato, facesse parte di un regime pensionistico “chiuso” e che, quindi, sarebbe stato implicitamente abrogato dall’art. 254 del d.P.R. n. 1092/73, come peraltro incidentalmente affermato dalla Corte costituzionale in sentenza n. 557/89. Con successiva memoria, nell’insistere per la riforma della gravata sentenza, ha ribadito la prevalenza dell’art. 1, comma 32 l. 335/95 rispetto alle norme previgenti, compreso il citato art. 37, invocando a sostegno la sentenza n. 237/2011 della Seconda Sezione d’appello di questa Corte, e comunque l’abrogazione operata con il menzionato art. 254.
All’odierna pubblica udienza, dopo l’esposizione introduttiva del Giudice relatore, l’avv. Bava ha ribadito quanto già esposto in atti scritti, concludendo per la riforma della sentenza impugnata, il riconoscimento del diritto a pensione e la restituzione di quanto trattenuto e/o recuperato.

La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

Nel caso in esame, l’Amministrazione ha applicato il quadro normativo risultante dagli artt. 37, 60 e 61 della legge 31 luglio 1954, n. 599.

La perdita del grado (che, com’è noto, determina il venir meno dello stato di sottufficiale – art. 1 l. n. 599/54 – e la cessazione dal servizio permanente – art. 26, comma primo, lett. g) -) per rimozione è una sanzione disciplinare di stato (art. 63, lett. d) ). L’art. 60, comma primo, prevede che il grado si perda, tra le varie cause ivi elencate, per “rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina”. Normalmente decorrente dalla data del decreto ministeriale (art. 61, comma secondo), “qualora ricorra l’applicazione del secondo comma dell’art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”. E il menzionato art. 37, comma secondo, prevede espressamente che, “Qualora il procedimento [disciplinare] si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.

Applicando tale principi al caso di specie, essendo intervenuta perdita del grado, non pare possa revocarsi in dubbio che la cessazione debba ritenersi avvenuta “per tale causa” e a decorrere dal 27 gennaio 2003.

Di conseguenza, qualora sia questo il quadro normativo da applicare alla fattispecie, non sussisterebbe il diritto a pensione e legittimo sarebbe il recupero operato dall’INPDAP, posto che l’anzianità di servizio maturata (anni 30, mesi 1 e giorni 2) sarebbe inferiore a quella prescritta dal regime pensionistico di riferimento recato dalla legge n. 449/97, ovvero dall’art. 6 d.lgs. n. 165/97 come modificato dall’art. 59, comma 12 della medesima legge n. 449/97. Né potrebbe applicarsi l’art. 1, comma 32 della legge 8 agosto 1995, n. 335, che subordina l’applicabilità delle disposizioni ad essa previgenti in materia di requisiti di accesso e decorrenza delle pensioni di anzianità alla cessazione dal servizio, tra l’altro, per invalidità derivanti o meno da cause di servizio.

Questa Sezione ritiene corretta l’applicazione del suddetto quadro normativo da parte dell’Amministrazione.

L’interessato tenta di avversare tale interpretazione invocando l’abrogazione, ad opera dell’art. 254 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, di tutte le norme relative al trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato vigenti alla data del 21 dicembre 1973, salve quelle ivi richiamate. Ad avviso dell’appellante, quindi, anche l’art. 37 della legge n. 599/54 non sarebbe più vigente nel nostro ordinamento e non potrebbe quindi invocarsi per la negazione del contestato diritto a pensione.

Segnatamente, si assume che una disposizione, quale il menzionato art. 37, utilizzata per incidere sul requisito pensionistico non può non ritenersi abrogata, quantomeno per i suoi effetti previdenziali.

In altri termini, secondo la tesi dell’appellante qualsiasi norma avente effetti in materia di pensione sarebbe abrogata, quantomeno per tali effetti, ad opera del menzionato art. 254.

Non è chi non veda che una simile interpretazione vada ben oltre il dato normativo.

Invero, il d.P.R. n. 1092/73, nel dettare le norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, ha indubbiamente abrogato le diverse, previgenti, discipline in materia di trattamento di quiescenza, ma non le norme che intervengono, in ragione di specifiche esigenze giustificate dalle peculiarità dei regimi in cui operano, a regolare particolari situazioni sotto diversi profili, ivi compresi i riflessi pensionistici. Ciò non significa che trattasi di “norme relative al trattamento di quiescenza”, ma solo di norme aventi molteplici effetti, non solo previdenziali.

Ciò vale anche per l’art. 37 della legge n. 599/54, che non è una norma relativa al trattamento di quiescenza, bensì una norma che regola principalmente lo status di sottufficiale e la sua cessazione dal servizio permanente (e, precisamente, causa e tempo della cessazione dal servizio). La norma ha, evidentemente, riflessi anche sul trattamento di quiescenza, ma ciò non equivale a dire che trattasi di norma relativa al trattamento di quiescenza.

E che, nonostante l’entrata in vigore del d.P.R. n. 1092/73, non sia intervenuta abrogazione dell’art. 37, trova inequivocabile conferma nel d.lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, che ha confermato la permanenza in vigore dell’intero provvedimento – indirettamente replicando a C.cost. 20 dicembre 1989, n. 557, che aveva, come correttamente fatto notare dall’appellante, incidentalmente affermato l’abrogazione della legge n. 599/54 - . Il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, all’art. 867, peraltro, ripropone la norma con nuova formulazione, e l’art. 923, comma 5, prevede espressamente che “Il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi riguardi si verifica una delle predette cause [ tra le quali l’infermità, ex comma 1 lett. b) ], anche se si trova sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa”. Solo con l’entrata in vigore dell’art. 2268 d.lgs. n. 66/2010 si è determinata l’abrogazione (espressa) della legge n. 599/54, con la conseguente modifica dell’all. 1 d.lgs.n. 179/2009 ed eliminazione della voce relativa alla legge n. 599/54 per effetto del d.lgs. 13 dicembre 2010, n. 213.

Né si comprende per quale motivo, qualora intervenga perdita del grado, la cessazione dal servizio non debba intendersi intervenuta per tale causa anche ai fini pensionistici: è evidente che, in tale circostanza, vengono meno le ragioni che hanno indotto il legislatore, nei casi di cessazione dal servizio per invalidità, a derogare espressamente, con il citato art. 1, comma 32, l. n. 335/95, alla nuova disciplina in materia di requisiti di accesso e decorrenza dei trattamenti pensionistici. Opera quindi, in presenza di perdita del grado, una sostituzione ope legis, coerente con la valenza latamente sanzionatoria del più volte menzionato art. 37, di tale causa con qualsiasi altro motivo di cessazione, anche temporalmente antecedente, come nel caso di specie.

Quanto sopra esposto consente anche superare l’obiezione di parte appellante, in merito al fatto che l’art. 37 faceva parte di un sistema pensionistico sostituito esplicitamente da altro regime che, all’art. 52 del d.P.R. n. 1092/73, disciplinando ex novo la situazione, non replicava la disciplina recata dall’art. 37. Il principio di rilevanza del titolo della perdita di grado agli effetti pensionistici, mai abrogato, trova invece esplicita conferma nel menzionato art. 923 d.lgs. n. 66/2010.

Anche il precedente giurisprudenziale citato nella memoria depositata dall’appellante in data 12 aprile 2012 (Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale 18 maggio 2011, n. 237), non è pertinente al caso di specie, in quanto con essa è stato riconosciuto il diritto a pensione a militare riammesso formalmente in servizio e che ha prestato un nuovo servizio, oggetto di computo, dopo la perdita del grado per rimozione, che il Giudice ha ritenuto valido ai fini del conseguimento del diritto a pensione. Trattasi quindi di ulteriore e diverso servizio effettivamente prestato, non di servizio prestato prima della perdita del grado e quindi disciplinato dal menzionato art. 37. E la medesima Sezione seconda giurisdizionale, con sentenza 22 dicembre 2011 n. 732 (così come, peraltro, tra le altre, Sezione giurisdizionale Lazio 21 febbraio 2011 n. 314), lungi dal ritenere abrogata tale norma di legge, l’ha, al contrario, per altro verso applicata ai fini del decidere.

L’appello quindi deve essere respinto in quanto giuridicamente infondato.

Non è luogo a provvedere sulle spese di giustizia, mentre le spese legali possono essere compensate, in considerazione della complessità delle questioni trattate.

Per questi motivi
La Corte dei conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello

definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
RESPINGE
l’appello proposto.

Nulla per le spese di giustizia.
Spese legali compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 28 novembre 2012.
L'estensore Il Presidente
F.to Bruno Tridico F.to Angelo De Marco

Pubblicata mediante deposito in segreteria il giorno 09/01/2013

IL DIRIGENTE
F.to Dott. Michele Lorenzelli
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Sentenza della Corte dei Conti Sardegna.

1) - Il ricorrente, ex militare della Guardia di Finanza, è stato collocato in congedo assoluto in data 18/11/2001 per infermità.

2) - Con decreto del Comandante del Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria della Guardia di Finanza del 24/02/2005, registrato alla Corte dei conti il 04/10/2005, gli è stata concessa in via definitiva la pensione ordinaria sulla base di un servizio di complessivi anni 31, mesi 4 e giorni 21.

3) - Con determinazione del 03/08/2011, il Comandante Interregionale dell’Italia Centrale della Guardia di Finanza, ad esito di un procedimento disciplinare per fatti commessi dall’interessato, per i quali, con sentenza penale passata in giudicato, era stato condannato per il reato di OMISSIS e si era visto applicare la prescrizione per il reato di OMISSIS, ha disposto la rimozione dal grado del ricorrente, con decorrenza dal 03/11/2001, così intendendosi modificata la causa di cessazione dal servizio.

4) - Con decreto del Comandante del Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria della Guardia di Finanza del 21/12/2011 è stato revocato il trattamento di quiescenza attribuito con il decreto n. …. ed è stato disposto il recupero, a cura della competente sede dell’INPDAP, delle somme già corrisposte “per effetto dell’art. 206 del D.P.R. 1092/1973”.

5) - Conseguentemente, il Direttore dell’INPS, gestione ex INPDAP, sede di Oristano, con nota prot. n. ….. del 08/02/2012, ha notificato al OMISSIS il decreto di revoca della pensione e l’accertamento di un debito di euro 275.428,06 a suo carico per somme riscosse indebitamente a titolo di trattamento di quiescenza dal 18/02/2002 al 31/01/2012.

6) - In sostanza, la revoca del trattamento di quiescenza è stata disposta perché, essendo stata modificata retroattivamente l’originaria causa della cessazione dal servizio dell’interessato da infermità a perdita del grado , i requisiti anagrafici e contributivi posseduti al momento della cessazione non erano più idonei a far maturare il diritto a pensione.

La Corte dei Conti precisa:

7) - Va innanzi tutto precisato che, secondo giurisprudenza pacifica, il provvedimento con il quale è stata applicata al ricorrente la sanzione disciplinare della perdita del grado non è sindacabile da questa Corte nemmeno in via incidentale, trattandosi di atto inerente al rapporto di pubblico impiego e quindi sottratto alla giurisdizione del giudice contabile, il quale deve limitarsi a delibarne gli effetti sul diritto al trattamento di quiescenza.

8) - Ad avviso della Sezione, la soluzione del caso deve prendere le mosse dai principi di diritto enunciati dalle Sezioni riunite di questa Corte con sentenza n. 15/2011/QM del 21/11/2011.

9) - Secondo le SSRR, non esiste in capo all’amministrazione un generale potere di autoannullamento dei provvedimenti concessivi della pensione, in quanto la materia è espressamente regolata da disciplina speciale, contenuta (per quanto riguarda la pensionistica ordinaria) negli artt. 203 e sgg. del d.P.R. n. 1092/1973.

10) - Tale normativa, ispirata ad un evidente favor nei confronti del pensionato, delinea un insieme compiuto e chiuso dei casi nei quali il provvedimento pensionistico può essere annullato d’ufficio (l’uso del termine “revoca” è chiaramente improprio, secondo la citata sentenza), dovendosi ritenere che al di fuori di essi non sia consentita alcuna altra forma di autotutela. La disciplina in questione, sempre secondo la citata sentenza, è da considerare addirittura più favorevole rispetto a quella della pensionistica di guerra, in quanto, a differenza di quest’ultima, prevede termini precisi entro i quali la “revoca” della pensione può essere disposta.


11) - Fatte queste premesse, va detto che l’art. 204 del cit. d.P.R. n. 1092/1973 prevede che il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza possa essere revocato o modificato quando:

a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;

b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità;

c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento;

d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi.

12) - Appare di tutta evidenza che la revoca della pensione disposta con il decreto della Guardia di Finanza n. … del 21/12/2011 non rientra in alcuna delle ipotesi contemplate nella citata disposizione, come del resto riconosciuto dalla stessa amministrazione nella memoria difensiva di costituzione in giudizio (“l’originario decreto di pensione ordinaria […] non è stato modificato per alcuno dei motivi prescritti dall’art. 204 del D.P.R. 1092/73, bensì per mutata causa di cessazione dal servizio con decorrenza retroattiva”).

13) - Conseguentemente, il ricorso va ritenuto fondato, dovendosi giungere alla conclusione che il sopravvenuto provvedimento disciplinare di perdita del grado abbia inciso esclusivamente su profili attinenti allo status giuridico del militare, ma che non possa esplicare effetti sul provvedimento di liquidazione definitiva della pensione per le ragioni indicate nella citata sentenza delle SSRR di questa Corte (in terminis, Sezione Campania, n. 2640 del 07/12/2010 già cit.).

Ricorso ACCOLTO.

Per completezza vi rimando alla lettura della sentenza qui sotto nel caso serva a qualcuno.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SARDEGNA SENTENZA 182 2013 PENSIONI 05/06/2013


Sent. n.182/2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
pronuncia la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22807 del registro di Segreteria, proposto da
G. F., nato a …. il ……, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea PETTINAU ed Elena PETTINAU, presso lo studio dei quali in Cagliari, piazza Gramsci 18 è elettivamente domiciliato

RICORRENTE
contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), gestione ex INPDAP, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro DOA e Mariantonietta PIRAS
e
Comando della Guardia di Finanza, Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria

RESISTENTI
Uditi, nella pubblica udienza del 28 maggio 2013, l’avv. Andrea PETTINAU per il ricorrente, l’avv. Alessandro DOA per l’INPS e il Tenente A. G. per la Guardia di Finanza, i quali hanno confermato le rispettive conclusioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso proposto a ministero degli avvocati Andrea PETTINAU ed Elena PETTINAU, il sig. G. F., ex militare della Guardia di finanza, ha vocato in giudizio l’INPS gestione ex INPDAP e il Comando della Guardia di Finanza, Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria, chiedendo che, in accoglimento del ricorso, questa Corte:

“accerti e dichiari la inefficacia ed irrilevanza dei provvedimenti qui contestati ai fini del diritto al trattamento pensionistico, che andrà conseguentemente confermato in capo al ricorrente sin dal momento del collocamento in congedo.

In via meramente subordinata, dichiarare la irripetibilità delle somme erogate dall’Istituto a titolo di pensione dal 18/02/2002 al 31/01/2012. Spese secondo giustizia”.

Contestualmente al ricorso, è stata proposta istanza cautelare per la sospensione del provvedimento impugnato con il quale era stata disposta la revoca della pensione.

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) si è costituito in giudizio a ministero degli avvocati Alessandro DOA e Mariantonietta PIRAS, i quali, con memoria difensiva depositata il 25/06/2012, hanno concluso nei seguenti termini: “- rigettare la richiesta diretta ad ottenere la sospensione dei provvedimenti impugnati, per difetto dei presupposti di legge.

- nel merito, rigettare il ricorso ovvero dichiarare che non sussiste responsabilità dell’Istituto Previdenziale;

- in ogni caso con vittoria di spese e di onorari”.

La Guardia di Finanza, Comando Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria si è costituita in giudizio con memoria difensiva a firma del Capo Ufficio Amministrazione Tenente Colonnello P. B., depositata il 25/05/2012, con la quale sono state formulate conclusioni di rigetto del ricorso perché manifestamente infondato.

La Sezione, con ordinanza n. 126/2012 del 26/06/2012 ha accolto l’istanza di provvedimento cautelare, disponendo che, nelle more della definizione della causa di merito, l’INPS, gestione ex INPDAP provvedesse al ripristino della pensione revocata.

Con note conclusive depositate per l’udienza del 28/05/2013, l’avv. Andrea PETTINAU ha insistito per l’accoglimento del ricorso, concludendo perché la Corte “accerti e dichiari l’inefficacia ed irrilevanza dei provvedimenti contestati col ricorso ai fini del diritto al trattamento pensionistico, che andrà conseguentemente confermato in capo al ricorrente sin dal momento del collocamento in congedo e con dichiarazione di irripetibilità delle somme erogate dall’Istituto a titolo di pensione dal 18/02/2001 al 31/01/2012. Con vittoria di spese e onorari con distrazione delle stesse a favore del sottoscritto avvocato che dichiara di aver anticipato le spese e di non aver riscosso onorari ex art. 93 c.p.c.”.

La causa è stata decisa come da dispositivo letto in udienza, per le motivazioni di seguito esposte in

DIRITTO
Il ricorrente, ex militare della Guardia di Finanza, è stato collocato in congedo assoluto in data 18/11/2001 per infermità.

Con decreto del Comandante del Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria della Guardia di Finanza n. … del 24/02/2005, registrato alla Corte dei conti il 04/10/2005, gli è stata concessa in via definitiva la pensione ordinaria sulla base di un servizio di complessivi anni 31, mesi 4 e giorni 21.

Con foglio n. …….. del 05/09/2008, il Comando Generale della Guardia di Finanza ha autorizzato il pagamento in via provvisoria, in favore del OMISSIS, della pensione privilegiata nella misura del decimo della pensione normale.

Con determinazione n. …… del 03/08/2011, il Comandante Interregionale dell’Italia Centrale della Guardia di Finanza, ad esito di un procedimento disciplinare per fatti commessi dall’interessato, per i quali il OMISSIS, con sentenza penale passata in giudicato, era stato condannato per il reato di OMISSIS e si era visto applicare la prescrizione per il reato di OMISSIS, ha disposto la rimozione dal grado del ricorrente, con decorrenza dal 03/11/2001, così intendendosi modificata la causa di cessazione dal servizio.
Con decreto del Comandante del Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria della Guardia di Finanza n. …. del 21/12/2011 è stato revocato il trattamento di quiescenza attribuito con il decreto n. …. ed è stato disposto il recupero, a cura della competente sede dell’INPDAP, delle somme già corrisposte “per effetto dell’art. 206 del D.P.R. 1092/1973”.

Conseguentemente, il Direttore dell’INPS, gestione ex INPDAP, sede di Oristano, con nota prot. n. ….. del 08/02/2012, ha notificato al OMISSIS il decreto di revoca della pensione e l’accertamento di un debito di euro 275.428,06 a suo carico per somme riscosse indebitamente a titolo di trattamento di quiescenza dal 18/02/2002 al 31/01/2012.

In sostanza, la revoca del trattamento di quiescenza è stata disposta perché, essendo stata modificata retroattivamente l’originaria causa della cessazione dal servizio dell’interessato da infermità a perdita del grado , i requisiti anagrafici e contributivi posseduti al momento della cessazione non erano più idonei a far maturare il diritto a pensione.

Il ricorrente deduce: 1) che la norma cui ha fatto riferimento la Guardia di Finanza per disporre la modificazione retroattiva della causa di cessazione dal servizio (l’art. 923 del d. l.vo n. 66/2010), in quanto entrata in vigore successivamente all’acquisizione del diritto a pensione, non sarebbe applicabile nella fattispecie; 2) che comunque tale norma non avrebbe riflessi sul trattamento di quiescenza; 3) che il diritto a pensione si sarebbe “cristallizzato” al momento del collocamento in congedo e non potrebbe avere incidenza su di esso l’esito successivo di un procedimento disciplinare; 4) che comunque sarebbe stato riconosciuto il suo diritto alla pensione privilegiata di 5^ cat. e che tale trattamento di quiescenza non è condizionato alla maturazione di un’anzianità minima di servizio; 5) che in ogni caso, in via subordinata, le somme percepite non sarebbero ripetibili, se non nel caso di dolo, ex art. 206 d.P.R. n. 1092/1973.

Va innanzi tutto precisato che, secondo giurisprudenza pacifica, il provvedimento con il quale è stata applicata al ricorrente la sanzione disciplinare della perdita del grado non è sindacabile da questa Corte nemmeno in via incidentale, trattandosi di atto inerente al rapporto di pubblico impiego e quindi sottratto alla giurisdizione del giudice contabile, il quale deve limitarsi a delibarne gli effetti sul diritto al trattamento di quiescenza.

Ne consegue che non può essere sindacata la decisione della Guardia di Finanza di fare applicazione dell’art. 923 del d. l.vo 15/03/2010, n. 66, così come non può essere messo in discussione che, per effetto del suddetto provvedimento, la causa di cessazione dal servizio dell’interessato è stata modificata retroattivamente nella perdita del grado , ai sensi della suddetta disposizione.

Peraltro, ad abundantiam, va osservato che anche la normativa precedente (v. il combinato disposto degli artt. 10, comma 1 l. n. 189/1959 e 37 l. n. 599/1954) prevedeva analoga disciplina.

Ancora, va puntualizzato che, contrariamente a quanto affermato dalla parte ricorrente, l’interessato, per quanto consta, non è titolare di pensione privilegiata, non risultando in atti che il relativo procedimento si sia concluso con l’emissione del provvedimento di concessione di tale trattamento.

Infatti, il ricorrente ha fatto riferimento (v. memoria difensiva depositata il 07/06/2012 per la discussione dell’istanza cautelare) a due pareri della CMO di Messina del 17/12/2001 e della CMO di Firenze del 29/02/2008 che, come è noto, sono atti endoprocedimentali i quali non possono essere confusi con il provvedimento di concessione della pensione. Né, va soggiunto, la parte ha proposto alcuna domanda volta all’accertamento del relativo diritto, evidentemente partendo dall’assunto (erroneo, per le ragioni viste) che lo stesso fosse stato già riconosciuto.

Ciò detto, la questione di diritto che interessa la presente controversia è nota ed ha dato origine a soluzioni differenti nella giurisprudenza di questa Corte (a titolo esemplificativo, in senso favorevole alla tesi di parte ricorrente, sia pure con motivazioni non sempre coincidenti, v. Sezione Sicilia, n. 2443 del 08/08/2012; Sezione Campania, n. 2640 del 07/12/2010; Sezione Emilia Romagna, n. 1876 del 06/12/2010; contra, Sezione Lombardia, n. 552 del 12/10/2010; Sezione Friuli-Venezia Giulia, n. 65 del 14/04/2010; Sezione Liguria, n. 268 del 23/04/2008).

Ad avviso della Sezione, la soluzione del caso deve prendere le mosse dai principi di diritto enunciati dalle Sezioni riunite di questa Corte con sentenza n. 15/2011/QM del 21/11/2011.

Con detta sentenza, le SSRR hanno esaminato in via diretta la problematica dei poteri dell’amministrazione in tema di autotutela riguardante i provvedimenti concessivi delle pensioni di guerra.

Nell’occasione, peraltro, le stesse SSRR hanno preso in esame, incidentalmente, ma comunque in maniera approfondita, la disciplina vigente in analoga materia per la pensionistica ordinaria, delineandone i profili di coincidenza e di differenziazione con quella oggetto di scrutinio diretto.

Secondo le SSRR, non esiste in capo all’amministrazione un generale potere di autoannullamento dei provvedimenti concessivi della pensione, in quanto la materia è espressamente regolata da disciplina speciale, contenuta (per quanto riguarda la pensionistica ordinaria) negli artt. 203 e sgg. del d.P.R. n. 1092/1973.

Tale normativa, ispirata ad un evidente favor nei confronti del pensionato, delinea un insieme compiuto e chiuso dei casi nei quali il provvedimento pensionistico può essere annullato d’ufficio (l’uso del termine “revoca” è chiaramente improprio, secondo la citata sentenza), dovendosi ritenere che al di fuori di essi non sia consentita alcuna altra forma di autotutela. La disciplina in questione, sempre secondo la citata sentenza, è da considerare addirittura più favorevole rispetto a quella della pensionistica di guerra, in quanto, a differenza di quest’ultima, prevede termini precisi entro i quali la “revoca” della pensione può essere disposta.

Su detta normativa, sempre facendo riferimento alle motivazioni della sentenza delle SSRR, non ha inciso la normativa sopravvenuta (segnatamente gli artt. 1, comma 136 della legge 30/12/2004, n. 311 e 21 nonies della legge 07/08/1990, n. 241, aggiunto dalla legge 11/02/2005, n. 15), trattandosi di norme a carattere generale che, in assenza di espressa disposizione al riguardo, non possono avere valenza abrogativa di norme speciali preesistenti, in forza del principio secondo cui lex posterior generalis non derogat priori speciali (l’affermazione delle SSRR si riferisce alla normativa speciale in tema di pensioni di guerra, ma le argomentazioni svolte appaiono sicuramente utilizzabili anche con riguardo alla tematica qui in discussione).

Fatte queste premesse, va detto che l’art. 204 del cit. d.P.R. n. 1092/1973 prevede che il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza possa essere revocato o modificato quando:

a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;

b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità;

c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento;

d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi.

Appare di tutta evidenza che la revoca della pensione disposta con il decreto della Guardia di Finanza n. … del 21/12/2011 non rientra in alcuna delle ipotesi contemplate nella citata disposizione, come del resto riconosciuto dalla stessa amministrazione nella memoria difensiva di costituzione in giudizio (“l’originario decreto di pensione ordinaria […] non è stato modificato per alcuno dei motivi prescritti dall’art. 204 del D.P.R. 1092/73, bensì per mutata causa di cessazione dal servizio con decorrenza retroattiva”).

Alla luce di tale considerazione, non ha rilievo l’argomento proposto dalla difesa dell’INPS in dibattimento, secondo cui il termine per l’emanazione del provvedimento di revoca sarebbe stato da ritenere necessariamente sospeso per tutto il periodo occorrente alla conclusione del procedimento disciplinare, che a sua volta doveva attendere la conclusione del procedimento penale. Trattandosi di revoca disposta al di fuori dei casi indicati nella norma, non può farsi ovviamente alcun discorso di termini (a proposito dei quali, peraltro, va detto incidentalmente, l’art. 205 del d.P.R. n. 1092/1973 non prevede alcuna ipotesi di sospensione della decorrenza).

Conseguentemente, il ricorso va ritenuto fondato, dovendosi giungere alla conclusione che il sopravvenuto provvedimento disciplinare di perdita del grado abbia inciso esclusivamente su profili attinenti allo status giuridico del militare, ma che non possa esplicare effetti sul provvedimento di liquidazione definitiva della pensione per le ragioni indicate nella citata sentenza delle SSRR di questa Corte (in terminis, Sezione Campania, n. 2640 del 07/12/2010 già cit.).

Pertanto, va dichiarato il diritto del ricorrente a mantenere il trattamento pensionistico originariamente concessogli con il decreto n. …. del 24/02/2005 del Comandante della Guardia di Finanza, Comando Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria. Stante l’accoglimento della domanda principale, resta assorbito l’esame dei motivi di doglianza relativi alla irripetibilità dei ratei di pensione riscossi sino alla revoca della pensione.

Sui ratei non erogati per effetto di tale revoca spettano al ricorrente gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi, con decorrenza dalla scadenza dei ratei stessi e sino al pagamento.

Le spese del giudizio vanno poste a carico della Guardia di Finanza, dovendosi tenere conto che nella fattispecie l’INPS ha agito come ordinatore secondario della spesa, eseguendo il provvedimento di revoca della pensione adottato dall’amministrazione di provenienza del pensionato.

Dette spese vanno liquidate in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario, nella misura indicata in dispositivo, quantificata tenendo conto della complessità e del valore della causa.

PER QUESTI MOTIVI

il ricorso di G. F. è accolto.

Per l’effetto, è dichiarato il diritto del ricorrente a mantenere la pensione concessagli con decreto n. ….. del 24/02/2005 del Comandante della Guardia di Finanza, Comando Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Calabria.

Sulle somme arretrate dovute al ricorrente spettano al medesimo gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi, con decorrenza dalla scadenza dei singoli ratei non corrisposti per effetto del provvedimento di revoca della pensione e sino al pagamento.

La Guardia di Finanza è condannata al pagamento, in favore del difensore del ricorrente, avv. Andrea PETTINAU, dichiaratosi antistatario, delle spese di assistenza legale, che si liquidano nella complessiva somma di euro duemila al netto degli oneri di legge.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di trenta giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 28 maggio 2013.
Il Giudice unico
f.to Antonio Marco CANU

Depositata in Segreteria il 05 giugno 2013.
Il Dirigente
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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perdita del grado.

1) - Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza.

2) - il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il Personale Militare ha disposto, a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari nei confronti del ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della legge 31 luglio 1954, n. 599.

3) - il ricorrente veniva posto in congedo assoluto, a decorrere dal 13.09.2006, siccome riconosciuto "non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto. Da porre in congedo assoluto. Non idoneo nella riserva. E' non idoneo ad essere impiegato nelle corrispondenti aree del personale civile del Ministero della Difesa..." e da tale data il ricorrente ha percepito la pensione con la quale ha provveduto a sostenere il proprio nucleo familiare.

4) - il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha revocato, tramite l’I.N.P.D.A.P., il beneficio del trattamento pensionistico allo stesso corrisposto in virtù di congedo per riforma, in quanto alla data del 19.09.2006, ossia dalla data di effettività della perdita del grado per rimozione, il ricorrente non avrebbe avuto i requisiti contributivi e di anzianità per percepire tale trattamento.

5) - Dunque la perdita del grado decorre dal 13 settembre 2006, data in cui l’appellato ha cessato dal servizio permanente siccome riconosciuto non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto.

Ricorso perso alla Corte dei Conti.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE

EMILIA ROMAGNA SENTENZA 117 2013 PENSIONI 25/07/2013



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER l’EMILIA-ROMAGNA
in composizione monocratica, in persona del Consigliere dott. Marco Pieroni,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio instaurato con il ricorso n. 43523, depositato l’8 ottobre 2012, presentato dal signor R. A., nato il Omissis a Omissis (Omissis) e residente a Omissis (Omissis), difeso dall’avv. Fiore Tartaglia avverso il provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri Centro Nazionale Amministrativo datato Omissis prot. n.Omissis. avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza", il provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri Centro Nazionale Amministrativo — datato Omissis prot. n. Omissis di prot. avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza. 2° SOLLECITO", nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente ivi compreso l'atto di recupero, il Decreto n. Omissis con cui il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il Personale Militare;

uditi nell’udienza pubblica del 16 aprile 2013, con l’assistenza del Segretario signora Laura Cannas, l’avv. Pierpaolo De Vizio su delega dell’avv. Angelo Fiore Tartaglia per il ricorrente e l’avv. Mariateresa Nasso in rappresentanza dell’INPS ex INPDAP di Omissis; assente il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, il Ministero dell’economia e delle finanze nonché il Ministero della difesa;

visti gli atti di causa;
FATTO
1. Con il ricorso in epigrafe l’interessato chiede l’annullamento: del provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo — datato Omissis prot. n. Omissis di prot. avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza"; del provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo datato Omissis prot. n. Omissis di prot. avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza. 2° SOLLECITO", nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente ivi compreso l'atto di recupero; del Decreto n. Omissis con cui il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il Personale Militare ha disposto, a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari nei confronti del ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della legge 31 luglio 1954, n. 599; della nota n. Omissis datata Omissis de l'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri di Omissis , con cui il Comando disponeva che l'INPDAP di Omissis procedesse alla "sospensione del trattamento pensionistico provvisorio" erogato a favore del ricorrente; della lettera n. Omissis del 17.08.2010 con cui l'INPDAP di Omissis informava l'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei. Carabinieri ed il ricorrente di aver "sospeso i relativi pagamenti di pensione a favore dell'interessato a decorrere dal 01 settembre 2010", per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la pensione ordinaria quella privilegiata dalla data del provvedimento di riforma con conseguente condanna delle intimate Amministrazioni a corrispondere al ricorrente il relativo trattamento pensionistico.

2. Risulta dagli atti che l'odierno ricorrente è un ex Maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, nei cui confronti il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il Personale Militare mediante atto datato 27.11.2009, ha disposto, a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599 a seguito di sentenza n. Omissis del 27.10.2008, divenuta irrevocabile il 21.12.2008, con la quale il Tribunale di Omissis aveva applicato, ex art. 444 c.p.p., nei confronti del ricorrente la pena sospesa di anni 2 (due) in ordine ai reati di "tentata concussione in concorso".

Mediante decreto ministeriale n. Omissis del 5 aprile 2007, il ricorrente veniva posto in congedo assoluto, a decorrere dal 13.09.2006, siccome riconosciuto "non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto. Da porre in congedo assoluto. Non idoneo nella riserva. E' non idoneo ad essere impiegato nelle corrispondenti aree del personale civile del Ministero della Difesa..." e da tale data il ricorrente ha percepito la pensione con la quale ha provveduto a sostenere il proprio nucleo familiare.

Il Centro Nazionale Amministrativo del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in relazione a quanto precede, ha provveduto ad erogare in favore del ricorrente: dal 13 settembre 2006 al 13 dicembre 2006, tre mesi di assegni interi ai sensi dell'art. 29 della legge n. 599/1954, per un totale di euro 7.329,53; dal 14 dicembre 2006 al 31 dicembre 2008 il trattamento economico di quiescenza a titolo provvisorio, per un totale di Euro 40.125,17.

Il ricorrente risulta percettore di pensione privilegiata.

Mediante gli atti impugnati nel presente ricorso il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha revocato, tramite l’I.N.P.D.A.P., il beneficio del trattamento pensionistico allo stesso corrisposto in virtù di congedo per riforma, in quanto alla data del 19.09.2006, ossia dalla data di effettività della perdita del grado per rimozione, il ricorrente non avrebbe avuto i requisiti contributivi e di anzianità per percepire tale trattamento.

3. Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente eccepisce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21-bis della legge n. 241 del 1990, violazione di tutti i principi in tema di diritti previdenziali acquisiti, violazione del principio del divieto di reformatio in pejus, violazione del principio dell’irretroattività, con richiesta di concessione del provvedimento di sospensione dei provvedimenti impugnati, in specie quello di ripetizione delle somme asseritamente indebitamente percepite.

In particolare, ritiene il ricorrente che: a) la sanzione non può incidere retroattivamente ed in pejus sui diritti previdenziali acquisiti dal pensionato: questo perché i requisiti per l’accesso alla pensione sono cristallizzati al momento del collocamento in congedo, come anche riconosciuto dalla sentenza n. 1876 del 2010 di questa medesima Sezione giurisdizionale, sia pure in diversa composizione; sicché deriverebbe che il militare a cui venga irrogata la sanzione disciplinare di stato della perdita del rado conserva comunque il diritto al trattamento pensionistico maturato qualora già ritenuto in possesso dei necessari requisiti contributivi.

Inoltre, con la sentenza n. 2640 del 2010, la Sezione giurisdizionale per la Regione Campania considerato che, ai sensi dell’art. 204 del D.P.R. n.1092/1973, la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di pensione può aver luogo (con carattere di tassatività) quando vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti o vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi, ha ritenuto che il sopravvenuto provvedimento di perdita del grado per rimozione non rientra in nessuna delle ipotesi sopra indicate, e non appare quindi idoneo a mutare il titolo giuridico del già avvenuto collocamento a riposo e correlativa liquidazione del trattamento pensionistico definitivo, incidendo, esclusivamente sui residui profili attinenti lo status giuridico militare. La difesa del ricorrente ha anche richiamato la pronuncia della Corte dei conti, Sez. giur. della Regione Siciliana n. 2443 del 2012 secondo cui “la sanzione disciplinare non possa incidere retroattivamente ed in pejus sui diritti previdenziali acquisiti dal pensionato; questo perché i requisiti per l’accesso alla pensione sono cristallizzati al momento del collocamento in congedo.

Inoltre, la sanzione disciplinare incide ordinariamente sul servizio poiché ha come finalità la sanzione di comportamenti del dipendente in servizio al fine di ristabilire la fisiologicità del rapporto di servizio tra amministrazione e dipendente. Il provvedimento intervenuto, per fictio iuris nello stesso momento in cui il ricorrente era stato collocato in congedo per infermità, così facendo, incide in una situazione giuridica già consolidata per fatto stesso dell’amministrazione”.

Il ricorrente ha poi concluso chiedendo la irripetibilità delle somme erroneamente corrisposte al pensionato e percepite in buona fede, concorrendo, nella specie, i presupposti cui alla sentenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 7QM/2007.

4. Con comparsa di costituzione del 21.11.2012, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri si è costituito in giudizio.

5. In particolare l’INPS, ex INPDAP, con la memoria deposita in data 5 aprile 2013, ritiene che il ricorso debba essere rigettato poiché nella specie trova applicazione la legge n. 1168 del 1961, applicabile ratione temporis al ricorrente e poi trasfusa nel d.lgs. n. 66 del 2010 (artt. 12, 22, 34 e 35. Secondo l’INPS, dalla lettera di tali norme emerge che quando il procedimento penale o disciplinare cui è sottoposto il militare si conclude con sentenza o con provvedimento disciplinare che comporti la perdita del grado (così come nel caso di specie), la cessazione del militare dal servizio continuativo, anche se avvenuta per altra causa di cui al citato art. 34 (nel caso di specie per infermità), si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta (nel caso di specie il 13.09.2006).

La ratio della norma risiede, ad avviso dell’INPS, nella volontà di evitare che si possano eludere gli effetti sfavorevoli di un giudizio penale o disciplinare anticipando la cessazione dal servizio per altra causa (Cons Stato, Sez. IV, sent. n. 07734/2010).

Quanto al richiamo effettuato dalla controparte all’art. 21-bis della legge n. 241 del 1990, l’Inps ha osservato che la materia delle sanzioni disciplinari militari è regolamentata da apposita normativa e trattandosi di disciplina speciale non trova applicazione la normativa generale del procedimento amministrativo e con essa l’art. 21-bis richiamato (Tar Liguria Sez. II, sent. n. 640/2011).

Inoltre secondo l’INPS non verrebbe in gioco l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 in quanto nel caso di specie non viene in rilievo un’ipotesi di revoca o modifica di precedente provvedimento bensì l’ipotesi del travolgimento, in radice, delle condizioni legittimanti del riconoscimento del trattamento pensionistico, in esito ad un provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare. Di qui l’applicabilità nella specie della disciplina generale di cui all’art. 2033 cod. civ. in materia di recupero d’indebito. Né sarebbe corretto parlare di buona fede o di affidamento dell’accipiens dato che egli era ben avveduto dell’avvio del procedimento penale a suo carico con le conseguenze che da tale procedimento avrebbero potuto derivare a suo carico.

6. Questo giudice con ordinanza n. 8/13/M ha accolto l’istanza cautelare formulata dall’interessato e ha concesso la sospensione del provvedimento impugnato.

7. Vista ed esaminata la memoria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, depositata in data 4 aprile 2013;

DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe l’interessato chiede l’annullamento: del provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo — datato omissis prot. n. omissis di prot. avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza"; del provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri — Centro Nazionale Amministrativo datato omissis prot. n. omissis di prot. avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza. 2° SOLLECITO", nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente ivi compreso l'atto di recupero; del Decreto n. omissis con cui il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il Personale Militare ha disposto, a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari nei confronti del ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della legge 31 luglio 1954, n. 599; della nota n. omissis datata 03.08.2010 de l'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri di omissis, con cui il Comando disponeva che l'INPDAP di Omissis procedesse alla "sospensione del trattamento pensionistico provvisorio" erogato a favore del ricorrente; della lettera n. omissis del omissis con cui l'INPDAP di Omissis informava l'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei. Carabinieri ed il ricorrente di aver "sospeso i relativi pagamenti di pensione a favore dell'interessato a decorrere dal 01 settembre 2010", per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la pensione ordinaria quella privilegiata dalla data del provvedimento di riforma con conseguente condanna delle intimate Amministrazioni a corrispondere al ricorrente il relativo trattamento pensionistico.

2. Prima di affrontare la questione nel merito occorre ricordare il quadro normativo di riferimento.

Nella specie, ratione temporis, trova applicazione la legge 18 ottobre 1961, n. 1168 “Norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri”. Il provvedimento è stato poi abrogato dall'art. 2268, comma 1, n. 493, e sussunto nel d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, con la decorrenza prevista dall'art. 2272, comma 1 del medesimo d.lgs. n. 66/2010. In particolare, l’art. 12 di detta legge prevede che “il militare di truppa dell'Arma dei carabinieri cessa dal servizio continuativo al compimento del cinquantaduesimo anno di età se appuntato e del quarantottesimo anno di età se carabiniere scelto o carabiniere. Anche prima del raggiungimento del limite di età il personale di cui al comma precedente può cessare dal servizio continuativo per una delle seguenti cause: […] f) perdita del grado . Il successivo art. 22, stabilisce che “ qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado , la cessazione del militare dal servizio continuativo si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”. Segue l’art. 34, in base al quale il militare di truppa dell'Arma dei carabinieri incorre nella perdita del grado per una delle seguenti cause: […] 6) rimozione per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità dell'Arma o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio della Commissione di disciplina; 7) condanna: a) nei casi in cui ai sensi della legge penale militare, importa la pena accessoria della rimozione; b) per delitto non colposo, tranne che si tratti dei delitti di cui agli artt. 396 e 399 del Codice penale comune, quando la condanna importi la interdizione temporanea dei pubblici uffici, oppure una delle altre pene accessorie previste dai numeri 2 e 5 del primo comma dell'art. 19 di detto Codice penale”. Infine l’art. 35 prevede che “qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 22, la perdita del grado per le cause indicate ai numeri 6) e 7) dell'art. 34 decorre dalla data in cui il militare ha cessato dal servizio continuativo”.

L’art. 37 della legge 31 luglio 1954, n. 599 “Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica” prevede che “il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado , la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”. Il successivo art. 60 prevede che “il grado si perde per una delle seguenti cause: […]6) rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina”. Anche la legge citata è stato abrogata, escluso l’art. 32, dall'art. 2268, comma 1, n. 400), d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, come modificato dal n. 3) della lettera p) del comma 1 dell’art. 9, d.lgs. 24 febbraio 2012, n. 20.

3. In via preliminare, va osservato quanto all’eccepita violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21-bis della legge n. 241 del 1990, che la materia delle sanzioni disciplinari militari è regolamentata da apposita normativa e trattandosi di disciplina speciale; sicché non trova applicazione la normativa generale del procedimento amministrativo e con essa l’art. 21-bis richiamato evocato dal ricorrente.

4. Nel merito il ricorso non è fondato e pertanto deve essere rigettato.

4.1. Con decreto n. omissis il direttore generale per il personale militare ha disposto nei riguardi del signor R. A. “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6, della legge n. 599 del 1954 con la seguente motivazione: Maresciallo “A” s. UPS in congedo, all’epoca dei fatti in servizio presso la Sezione anticrimine dei Carabinieri omissis , abusando della sua qualità e dei suoi poteri funzionali in concorso con altro militare, rappresentava ad un amministratore unico di una società che era in atto un’indagine in realtà inesistente, chiedendo ingenti somme di denaro al fine di evitare le conseguenze delle relative investigazioni, tentativo che non riusciva nell’intento per cause non dipendenti dalla sua volontà. Tale condotta è da ritenersi biasimevole sotto l’aspetto disciplinare in quanto contraria ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, anche se ora in congedo, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed ai doveri di correttezza di esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei carabinieri, nonché altamente lesiva del prestigio dell’Istituzione. I fatti disciplinarmente accertati sono di rilevanza tale da richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato”.

Quindi il ricorrente è un ex Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, nei cui confronti il Ministero della difesa – Direzione generale per il personale militare, mediante atto datato omissis , ha disposto, a far data dal 13.9.2006 la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinare del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6, della legge 31 luglio 1954, n. 599, a seguito di sentenza n. omissis del 27 ottobre 2008, divenuta irrevocabile il 21.12.2008, con la quale il Tribunale di omissis aveva applicato ex art. 444 c.p.p. nei confronti del ricorrente la pena sospesa di anni due in ordine ai reati di tentata concussione in concorso.

Orbene, alla luce di tali disposizioni deve ritenersi che in base alle norme citate la perdita del grado per accertata violazione del giuramento, da parte del finanziere decorre “dalla data in cui il militare ha cessato dal servizio continuativo”.

Dunque la perdita del grado decorre dal 13 settembre 2006, data in cui l’appellato ha cessato dal servizio permanente siccome riconosciuto non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto.

4.2. In questo contesto s’impone l’esame del profilo relativo alla retroattività della norma, laddove si determina il travolgimento di un diritto a pensione già riconosciuto; invero, detto esito non si ritiene in contrasto con alcuno dei principi evocati dal ricorrente, ivi incluso quello della cd. cristallizzazione del rapporto pensionistico, di cui non è dato cogliere il fondamento giuridico di riferimento, in quanto il provvedimento impugnato è pienamente coerente con l’impianto sanzionatorio previsto dalla disciplina prima ricordata, che, a sua volta, è in armonia con il principio di legalità (artt. 25, secondo comma, 28 e 97 Cost.); diversamente opinando, si vanificherebbe proprio la portata sanzionatoria della disciplina ricordata in quanto i fatti da cui ha avuto origine la sentenza di patteggiamento (art. 444 c.p.p.) prima e la perdita del grado poi a carico dell’interessato, sono comunque antecedenti all’accertamento del sua infermità permanente; ciò peraltro non comporta la perdita del servizio contributivo maturato dall’interessato pari ad anni 26, mesi 8 e giorni 7.

5. Neppure ha fondamento la pretesa a trattenere le somme indebitamente riscosse siccome percepite in buona fede.

Infatti, coglie nel segno la tesi dell’INPS circa l’insussistenza nella specie della peculiare disciplina di cui agli artt. 204 e 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto nel caso in esame non viene in rilievo un’ipotesi di revoca o modifica di precedente provvedimento bensì l’ipotesi del travolgimento, in radice, delle condizioni legittimanti del riconoscimento del trattamento pensionistico, in esito ad un provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare.

Di qui l’applicabilità nella specie della disciplina generale di cui all’art. 2033 cod. civ. in materia di recupero d’indebito.

In ogni caso sulle somme indebitamente percepite non scattano gli interessi, se non dal giorno della domanda (art. 2033 c.c.), in quanto l’accipiens può ritenersi in buona fede tenuto conto dell’orientamento, favorevole alla tesi del ricorrente, espresso in materia da questa Sezione giurisdizionale, sia pure in diversa composizione, sentenza n. 1876 del 2010.

6. Nel peculiare andamento del processo e alla luce delle questioni dedotte questo giudice ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.
la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-Romagna in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando
respinge
il ricorso in epigrafe.
Gli interessi sulle somme da restituire in quanto indebitamente percepite dal ricorrente scattano dalla data della domanda formulata dall’Amministrazione.
Spese compensate.
Così deciso in Bologna, nell’udienza pubblica del 16 – 30 aprile 2013.
Il Giudice unico
(Marco Pieroni)

(f.to Marco Pieroni)

Depositata in Segreteria il giorno 25/07/2013

Il Direttore di Segreteria
(f.to dott.ssa Nicoletta Natalucci)
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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1) - la Sig.ra, ex dipendente del Ministero della Giustizia, da tempo in quiescenza, aveva proposto, chiedendo il riconoscimento del suo diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento, sulla base dei miglioramenti retributivi ottenuti, dopo il suo collocamento a riposo, dai pari grado in attività di servizio.

2) - Il ricorso, fondato essenzialmente sul riferimento al precedente rappresentato dalla sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia n. 71 del 2005, è stato respinto, avendo il Giudice rilevato la non sussistenza del preteso diritto all’adeguamento automatico e costante della dinamica pensionistica a quella retributiva , come stabilito da giurisprudenza costante di questa Corte (vengono in proposito richiamate SS.RR., sent. n. 11/QM/1999 e Sez. III, sent. 17/2006) oltre che della Corte Costituzionale, con particolare riferimento alle sentenze n. 226/93 e n. 30/2004.

La Corte dei Conti: TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO precisa:

3) - L’assunto su cui si fonda la sentenza del giudice pugliese, alla quale ha fatto ancora riferimento l’odierna appellante, che l’aveva già posto a supporto del ricorso introduttivo, è stato del resto scrutinato da questa stessa Sezione Terza centrale d’appello con la sentenza n. 174/06 del 3 marzo/5 aprile 2006, con la quale detta sentenza è stata annullata, siccome giuridicamente errata.

Il resto x completezza potete leggerli qui sotto x capire le motivazioni.
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TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 777 02/12/2013
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 777 2013 PENSIONI 02/12/2013


777/2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello

composta dai seguenti Magistrati :
dott. Angelo De Marco Presidente relatore
dott.ssa Marta Tonolo Consigliere
dott. Leonardo Venturini Consigliere
dott. Bruno Domenico Tridico Consigliere
dott.ssa Maria Nicoletta Quarato Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al n. 38060 del registro di Segreteria, proposto dalla Sig.ra M. A. M., rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Bartoli ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Carso, n. 34, contro il Ministero della Giustizia e contro l’INPDAP, per la riforma della sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio n. 98/10, depositata il 25 gennaio 2010.

Visto l'atto d'appello;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 29 novembre 2013, con l'assistenza della sig.ra Lucia Bianco, il relatore, dott. Angelo De Marco, l’avvocato Salvatore Bartoli per l’appellante, la dott.ssa Sara Messina, funzionaria delegata a rappresentare il Ministero della Giustizia, nonché la dott.ssa Maria Carmela Viola, in rappresentanza dell’INPS - Gestione dipendenti pubblici.

Ritenuto in
FATTO

Con l’impugnata sentenza il Giudice unico presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio si è pronunciato sul ricorso che la Sig.ra M. A. M., ex dipendente del Ministero della Giustizia, da tempo in quiescenza, aveva proposto, chiedendo il riconoscimento del suo diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento, sulla base dei miglioramenti retributivi ottenuti, dopo il suo collocamento a riposo, dai pari grado in attività di servizio, con interessi e rivalutazione monetaria.

Il ricorso, fondato essenzialmente sul riferimento al precedente rappresentato dalla sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia n. 71 del 2005, è stato respinto, avendo il Giudice rilevato la non sussistenza del preteso diritto all’adeguamento automatico e costante della dinamica pensionistica a quella retributiva , come stabilito da giurisprudenza costante di questa Corte (vengono in proposito richiamate SS.RR., sent. n. 11/QM/1999 e Sez. III, sent. 17/2006) oltre che della Corte Costituzionale, con particolare riferimento alle sentenze n. 226/93 e n. 30/2004.

Avverso la sentenza ha proposto appello la Sig.ra M….., riproponendo sostanzialmente gli argomenti già svolti in primo grado ed assumendo, in particolare, l’esistenza nell’ordinamento di un ineludibile principio generale di automatica riliquidazione delle pensioni in relazione ai miglioramenti stipendiali attribuiti al personale in servizio, indispensabile per mantenere quella “stretta connessione” tra l’ultima busta paga e la pensione , sancita dagli articoli 43 e 53 del TU 1092/1973, che resterebbe lettera morta in assenza di tale costante adeguamento.

A sostegno delle proprie tesi l’appellante cita ancora la sentenza della Sezione Puglia n. 71/05, nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 501 del 1988.

All’odierna pubblica udienza, dopo l’esposizione del relatore, l’avvocato Salvatore Bartoli si è riportato all’atto scritto, concludendo per l’accoglimento dell’appello e, in ipotesi di diverso orientamento del Collegio, per l’esenzione dalle spese, risultando la problematica controversa al momento della proposizione del gravame; la dott.ssa Messina per il Ministero e la dott.ssa Viola per l’INPS si sono riportate alle memorie difensive depositate, concludendo in conformità.

La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

Considerato in
DIRITTO

L’appello è infondato, per le ragioni che sono state illustrate dal Giudice di prime cure e alle quali l’appellante non ha contrapposto argomentazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle - già considerate ed adeguatamente valutate - svolte nel ricorso introduttivo, suscettibili di scalfire la correttezza della decisione assunta.

Non esiste infatti nell’ordinamento un principio generale di valenza costituzionale di automatica e costante riliquidazione delle pensioni in relazione ai miglioramenti stipendiali attribuiti al personale in servizio, né è in potere del Giudice disporre, nell’esercizio della funzione giurisdizionale attribuitagli, l’adeguamento della dinamica pensionistica a quella retributiva , in attuazione diretta ed in supplenza del legislatore di principi costituzionali scaturenti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione.

L’assunto su cui si fonda la sentenza del giudice pugliese, alla quale ha fatto ancora riferimento l’odierna appellante, che l’aveva già posto a supporto del ricorso introduttivo, è stato del resto scrutinato da questa stessa Sezione Terza centrale d’appello con la sentenza n. 174/06 del 3 marzo/5 aprile 2006, con la quale detta sentenza è stata annullata, siccome giuridicamente errata.

Rilevava quel Collegio d’appello nella citata sentenza che “se è vero che il legislatore deve, nel rispetto dei principi costituzionali di cui agli articoli 36 e 38 della Costituzione (aventi contenuto programmatico e non precettivo come ritiene il primo giudice) garantire la tendenziale conservazione, nel tempo, del valore reale della pensione , inizialmente parametrato al lavoro prestato ed è in particolare tenuto a far si che i trattamenti previdenziali siano adeguati alle esigenze di vita dei pensionati è pur vero, tuttavia, che egli a tal fine possiede ampi margini di discrezionalità nel cui contesto può avvalersi di diversi strumenti perequativi, i quali devono essere articolati in modo da essere coerenti anche con valori costituzionali di segno opposto quali l’esigenza del rispetto dei principi di equilibrio della finanza pubblica (art. 81 della Costituzione)”.

Questo Collegio non ha motivo di discostarsi da tale iter argomentativo, che corrisponde d’altra parte ad un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, costituente anzi ius receptum, dopo ripetuti interventi della Corte Costituzionale, tra i quali particolarmente significativo è quello di cui alla sentenza n. 30 del 13/23 gennaio 2004, citato dall’Amministrazione resistente, che ne riporta nella memoria difensiva ampi stralci.

A tali considerazioni consegue, pertanto, la reiezione dell’appello e la piena, integrale conferma della sentenza impugnata

Non vi è luogo a provvedere sulle spese di giudizio, stante il principio di gratuità operante nei giudizi pensionistici; va invece pronunciata condanna dell’appellante alla refusione delle spese di difesa, liquidate in dispositivo, tenuto conto degli esigui margini di opinabilità della questione controversa ed in considerazione, altresì, del già intervenuto annullamento - al momento della proposizione dell’appello, in data 28 maggio 2010 - della sentenza della Sezione Puglia n. 71/05, ancora richiamata (benchè annullata in appello) a sostegno del proposto gravame.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Terza Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando, respinge l’appello e conferma, per l’effetto, l’impugnata sentenza n. 98/10 del 25 gennaio 2010.

Non luogo a provvedere per le spese di giudizio; spese legali a carico dell’appellante, a favore delle Amministrazioni convenute, liquidate nel complessivo e forfetario importo di euro 800,00 (ottocento/00).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 novembre 2013.

IL PRESIDENTE ESTENSORE
F.TO Angelo De Marco

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL GIORNO 2/12/2013

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F.TO DOTT.SSA ANNA MARIA GUIDI
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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diritto ai benefici di cui all’art. 1 della legge n. 1746 del 1962 ( benefici combattentistici ).

Il Ministero della Difesa perde l'Appello presso la Corte dei Conti della SEZIONE I GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
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La Corte dei Conti d'Appello spiega quanto segue:

1) - Nonostante ciò il Ministero della Difesa ha opposto il diniego dei benefici combattentistici con la nota del 07 aprile 2009 indirizzata all’INPDAP, in ragione dell’assenza “di una normativa che preveda espressamente l’attribuzione di campagne di guerra al personale militare in servizio per conto dell’ONU in zona d’intervento, destinatario della legge 11 dicembre 1962, n. 1746”.

2) - Ritiene questa Sezione destituita di fondamento la tesi del Ministero della Difesa, ribadita nell’appello, poiché è del tutto evidente che l’estensione dei benefici combattentistici ai militari impegnati nelle missioni ONU ha la sua fonte nel chiaro disposto della legge 11 dicembre 1962, n. 1746, per il quale il servizio prestato dal militare in zone d’intervento per conto dell’ONU, come ha chiarito la giurisprudenza, è da ritenersi equiparato, agli effetti pensionistici, al servizio di guerra (Sez. IV, n. 80554 del 16.11.1992; id. Piemonte, n. 234 del 20.11.2009).

3) - Del resto ha opportunamente evidenziato il primo giudice che il Ministero non è stato in grado di chiarire quali siano, ai fini pensionistici, “i benefici previsti dalle norme in favore dei combattenti” se non quelli previsti dalla normativa vigente: benefici , dunque, da individuare nel computo delle campagne di guerra secondo la disciplina prevista dal citato art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390, e dall’art. 18 del t.u. 1092 del 1973.

Il resto leggetelo qui sotto.
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PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 845 16/10/2013


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 845 2013 PENSIONI 16/10/2013


845/2013/A

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE I GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai magistrati
Piera MAGGI Presidente
Mauro OREFICE Consigliere
Rita LORETO Consigliere
Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere
Massimo DI STEFANO Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sull’appello iscritto al numero di R.G. 42973, proposto dal Ministero della difesa;

contro V. G., rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Maria Moscioni ;

per la riforma della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, 16 novembre 2011, n. 242 ;

Visti gli atti e documenti di causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 7 giugno 2013, il Consigliere relatore dott. Massimo Di Stefano, il dott. Massimo Sabatano per il Ministero della difesa, e il dott. Vincenzo Bove per l’Inps.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

IL Ministero della Difesa ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe con la quale il primo giudice ha riconosciuto al Sig. V. G. Aiutante dell’Esercito Italiano, collocato nella riserva a decorre dall’1 agosto 1997, il diritto ai benefici di cui all’art. 1 della legge n. 1746 del 1962 , in relazione al periodo di servizio prestato dal 22 giugno 1993 al 24 giugno 1994, in zona d’intervento ONU e precisamente nello Squadrone Elicotteri ITALIA – UNIFIL in Naqoura (Libano) dove – si legge nella prima sentenza – era stato trasferito d’autorità.

Il Ministero appellante ha sostenuto che tali benefici non spettavano da un lato per la mancanza di una specifica norma che li disciplini in concreto e dall’altro perché il beneficio era escluso per il personale non dirigente, che non gode di un sistema di progressione per scatti e classi.

Con memoria depositata il 10 maggio 2012 si è costituito l’appellato, che ha sostenuto l’infondatezza dell’avverso appello, rappresentando che il limite quinquennale, previsto dall’art. 5 comma 1 del d. lgs. 165/97, della computabilità degli aumenti del periodo di servizio era previsto in relazione a tassative ipotesi, tra le quali non rientrava la citata legge n. 1746/42.

All’udienza del 7 giugno 2013 il dott. Sabatano ha insistito per l’accoglimento dell’atto d’appello. Il Dott. Vincenzo Bove ha dichiarato di non avere richieste conclusive per l’Istituto previdenziale, che nella fattispecie aveva svolto il ruolo di semplice ordinatore secondario di spesa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’articolo unico della legge 11 dicembre 1962 n. 1746 dispone che: “al personale militare che, per conto dell’O.N.U., abbia prestato o presti servizio in zone d’intervento, sono estesi i benefici previsti dalle norme in favore dei combattenti. Le zone d’intervento sono indicate con apposite disposizioni dello Stato Maggiore della difesa”.

In punto di fatto è incontestato che, come risulta dal foglio matricolare allegato del Sig. V. G., egli, alla data del 23.06.1993 si trovava in zona di intervento nel Libano per conto dell’ONU. Tale annotazione contiene il riferimento alla legge 11 dicembre 1962 n. 1746, e alla determinazione n. 111/1055/1208 in data 10 luglio 1992.

Nonostante ciò il Ministero della Difesa ha opposto il diniego dei benefici combattentistici con la nota del 07 aprile 2009 indirizzata all’INPDAP, in ragione dell’assenza “di una normativa che preveda espressamente l’attribuzione di campagne di guerra al personale militare in servizio per conto dell’ONU in zona d’intervento, destinatario della legge 11 dicembre 1962, n. 1746”.

Ritiene questa Sezione destituita di fondamento la tesi del Ministero della Difesa, ribadita nell’appello, poiché è del tutto evidente che l’estensione dei benefici combattentistici ai militari impegnati nelle missioni ONU ha la sua fonte nel chiaro disposto della legge 11 dicembre 1962, n. 1746, per il quale il servizio prestato dal militare in zone d’intervento per conto dell’ONU, come ha chiarito la giurisprudenza, è da ritenersi equiparato, agli effetti pensionistici, al servizio di guerra (Sez. IV, n. 80554 del 16.11.1992; id. Piemonte, n. 234 del 20.11.2009).

Del resto ha opportunamente evidenziato il primo giudice che il Ministero non è stato in grado di chiarire quali siano, ai fini pensionistici, “i benefici previsti dalle norme in favore dei combattenti” se non quelli previsti dalla normativa vigente: benefici , dunque, da individuare nel computo delle campagne di guerra secondo la disciplina prevista dal citato art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390, e dall’art. 18 del t.u. 1092 del 1973.

Condivisibile è altresì l’affermazione del primo giudice che non ha ravvisato ragioni per limitare ai soli benefici stipendiali l’estensione dei benefici in questione ( disposta dalla citata legge n. 1746 del 1962) ai militari inviati in zone d’intervento ONU. La legge citata estende, infatti, i benefici combattentistici tout court, sicché non vi è ragione di limitarli solo a quelli stipendiali, laddove invece le norme (art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390, e dall’art. 18 del t.u. 1092 del 1973) verso le quali opera l’implicito rinvio prevedono anche benefici pensionistici.

Né ha fondamento la tesi del Ministero della Difesa che detti benefici sarebbero preclusi a favore del personale non dirigenziale, per effetto del congelamento, al 31.12.1986, della progressione temporale legata all’anzianità di servizio (art. 1, comma 3, L. n. 468 del 01.01.1987), atteso che nessuna limitazione di questo genere è contenuta nella legge n. 1746 del 1962.

Per le esposte considerazioni va rigettato l’appello del Ministero della Difesa e integralmente confermata la sentenza di prime cure.

Le spese legali seguono, come di regola, la soccombenza, e vengono liquidate, per questo grado di giudizio, in via equitativa, in € 500,00

P.Q.M.

La Corte dei Conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, respinge l’appello.

Condanna l’appellante al rimborso delle spese legali a favore dell’appellato nell’importo di € 500,00.

Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio 7 giugno 2013.

L’estensore Il Presidente
F.to dott. Massimo Di Stefano F.to dott.ssa Piera Maggi


Depositata in segreteria il 16 ottobre 2013

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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1) - il sig. OMISSIS ha esposto di avere prestato servizio a favore del Ministero della Difesa, nell’Arma dell’Aeronautica Militare, nel periodo dal 25/9/1977 al 26/4/1998 e di essersi congedato con il grado di Colonnello senza avere maturato il diritto a pensione, con diritto alla costituzione di posizione assicurativa presso l’INPS ai sensi dell’art. 124 del DPR n. 1092/73.

2) - Il ricorrente ha osservato di aver presentato, in data 8/6/2000, domanda di ricongiunzione ex art. 2 della legge n. 29/1979 all’INPS Fondo di Volo e di avere chiesto all’Ente previdenziale in data 25/10/2010, quale dipendente di Minerva Airlines, l’accredito delle maggiorazioni contributive di un terzo per il servizio di volo prestato presso il Ministero della Difesa, senza ottenere alcun riscontro.

Sentenza della Corte dei Conti un po' complessa e, pertanto, vi invito ha leggere tutto il contesto.
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VENETO SENTENZA 416 10/12/2013

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 416 2013 PENSIONI 10/12/2013



N°416/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL VENETO

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28003 del registro di Segreteria proposto da A. A. (C.F. ..….) nato a ….., residente a …… , rappresentato e difeso dall’avv. …… del Foro di Padova, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. …. in Mestre-Venezia, via Carducci n.4;

contro
- il MINISTERO DELLA DIFESA in persona del legale rappresentante pro tempore;

- l’INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Guadagnino, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale dell’INPS di Venezia;

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2013, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Cristina Guarino, uditi l’avv. A. P. per il ricorrente e l’avv. Angelo Guadagnino per l’INPS;
Esaminati gli atti e i documenti di causa;

Ritenuto in
FATTO

1.1. Con ricorso depositato in data 14/3/2011, previamente notificato al Ministero della Difesa e all’INPS, il sig. OMISSIS ha esposto di avere prestato servizio a favore del Ministero della Difesa, nell’Arma dell’Aeronautica Militare, nel periodo dal 25/9/1977 al 26/4/1998 e di essersi congedato con il grado di Colonnello senza avere maturato il diritto a pensione, con diritto alla costituzione di posizione assicurativa presso l’INPS ai sensi dell’art. 124 del DPR n. 1092/73.

Il ricorrente ha osservato di aver presentato, in data 8/6/2000, domanda di ricongiunzione ex art. 2 della legge n. 29/1979 all’INPS Fondo di Volo e di avere chiesto all’Ente previdenziale in data 25/10/2010, quale dipendente di Minerva Airlines, l’accredito delle maggiorazioni contributive di un terzo per il servizio di volo prestato presso il Ministero della Difesa, senza ottenere alcun riscontro.

Con l’odierno gravame, il sig. OMISSIS ha chiesto l’accertamento, ai sensi dell’art. 124 del DPR n. 1092/1973, del diritto al computo del ricordato periodo di servizio svolto presso il Ministero della Difesa con le maggiorazioni previste per il servizio di aeronavigazione prestato in sede di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS nonché, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 29/1979, in sede di ricongiunzione presso il Fondo di Previdenza per il personale di volo con il ricalcolo dell’onere di ricongiunzione richiesto dall’INPS, con la detrazione degli interessi ai sensi dell’art. 2, II c. della legge n. 29/1979 e la conseguente condanna dell’Ente previdenziale a provvedere alla riliquidazione dell’onere ed alla restituzione delle maggiori somme nel frattempo eventualmente versate, maggiorate di interessi legali e rivalutazione monetaria dai singoli esborsi al saldo; nonché spese, diritti ed onorari rifusi.

Parte attrice ha affermato l’applicabilità in fattispecie dell’art. 124 del DPR 1092/73, rimarcando come il Legislatore nell’individuazione del periodo da considerare, ai fini della costituzione della posizione assicurativa INPS, non abbia fatto riferimento al “servizio effettivamente prestato”, ma abbia utilizzato una formula più generica ed ampia, in forza della quale si deve fare riferimento al complessivo servizio che assume rilevanza ai fini pensionistici, con esclusione soltanto di quei periodi (come ad es. l'aspettativa per motivi di salute) non computabili nell'anzianità di servizio.

Parte attrice ha osservato sul punto come l'aumento nel computo dei servizi sia disciplinato nel T.U. n. 1092/1973, Capo III all'interno del Titolo II, che riguarda servizi computabili ai fini di quiescenza e che avendo l'art. 40 dello stesso T.U. distinto il servizio “effettivo” dal servizio “utile”, se nell'art. 124 il Legislatore avesse voluto considerare soltanto il servizio “effettivo” l'avrebbe detto espressamente, come avvenuto nell'art. 128 del medesimo DPR.

Il ricorrente ha poi affermato che la finalità dell'istituto della posizione assicurativa è quello di trasferire nell'assicurazione generale obbligatoria il complessivo “patrimonio previdenziale”, che il dipendente pubblico ha acquisito nel corso dell'attività svolta e che avrebbe potuto utilizzare se avesse maturato il diritto a pensione nell’Amministrazione della Difesa;
ha rimarcato come non sia ostativa, ai fini del maggior accreditamento, la mancata compilazione da parte del Ministero della Difesa del modello relativo alla quantificazione dei contributi;
ha richiamato la normativa di cui alla legge n. 322/1958 ed osservato di aver richiesto la ricongiunzione dei servizi presso l’INPS ai sensi dell’art. 2 della L. 29/79, disposizione la quale prevede la ricongiunzione “di tutti i periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e figurativa”.

Sotto tale profilo ha rilevato come l’art. 2, 2° comma, della legge n. 29/1979 stabilisca che “La gestione o le gestioni interessate trasferiscono a quella in cui opera la ricongiunzione l’ammontare dei contributi di loro pertinenza maggiorati dell’interesse composto al tasso annuo del 4,50%” e che l’INPS ritiene invece che “la trasmigrazione dei contributi dallo Stato per la costituzione della posizione assicurativa nell’Ago sia gratuita e perciò non suscettibile di maturare interessi”. Il ricorrente ha concluso chiedendo l’accertamento del proprio diritto al computo del periodo di servizio prestato presso il Ministero della Difesa, secondo le maggiorazioni previste dall’art. 20 del DPR n. 1092/1973, in sede di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS e di ricongiunzione, con tutte le conseguenze di legge.

Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 18/4/2011, chiedendo il rigetto del ricorso ed eccependo la prescrizione quinquennale; in particolare l’Amministrazione ha osservato di avere provveduto alla costituzione della posizione assicurativa a favore del ricorrente, ai sensi degli artt. 87 e 124 del DPR n. 1092/1973, prendendo in considerazione solo il servizio “effettivo” e non anche quello “utile”, in conformità alla normativa vigente ed alle circolari applicative del Ministero dell’Economia e delle Finanze- Ragioneria Generale dello Stato (n. 76 del 1960 e n. 21 del 1981).

L’Amministrazione ha rilevato che gli aumenti di servizio, anche se rilevanti ai fini della misura della pensione, non producono alcun effetto sul periodo di servizio da prendere a base per la costituzione della posizione assicurativa;
ha evidenziato la disparità di trattamento che si verrebbe a creare, altrimenti, tra i militari in servizio permanente o continuativo ed i militari volontari dell’Esercito e dell’Aeronautica e come “le maggiorazioni del servizio a fini pensionistici connesse all’espletamento di specifici compiti operativi sono a carico dell’Erario quale riconoscimento del legislatore per una categoria di personale soggetto a particolari disagi, si comprende come la decisione di rinunciare ad appartenere all’organizzazione militare giustifichi il venir meno di detto trattamento di favore. Il beneficio, peraltro, trova una sua giustificazione con la maturazione del diritto a pensione corrisposto dal polo previdenziale pubblico (INPDAP) e non anche dal polo previdenziale privato (INPS)”. Il Ministero della Difesa ha poi richiamato, nella memoria difensiva, la consolidata giurisprudenza di questa Corte, concludendo per la reiezione del ricorso.

L’INPS si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 28/11/2013, affermando che la questione controversa è stata risolta dalle recenti pronunce delle Sezioni Riunite n. 8/2011/Q.M. e n. 11/2011/Q.M., chiedendo il rigetto della domanda di maggior accredito contributivo, osservando che ai sensi della legge n. 322/58 tale accredito può avvenire solo a fronte del corrispondente versamento della contribuzione da parte del Ministero della Difesa mentre nel caso in esame l’Amministrazione non ha provveduto ad inviare alcuna richiesta di integrazione della contribuzione, per ottenere l’accredito anche del periodo di aumento di valutazione spettante per il Servizio Volo;
ha eccepito il difetto di giurisdizione di questa Corte, in quanto spettante al Giudice Ordinario, in relazione alla domanda di ricongiunzione presso l’INPS, richiamando in proposito la giurisprudenza della Corte regolatrice della Giurisdizione (Cass. SS.UU. n. 193/2001, n. 10455/2008) secondo la quale “Si crea un collegamento inscindibile fra ricongiunzione di periodi assicurativi e liquidazione di un’unica pensione commisurata all’importo dei contributi ricongiunti, con la conseguenza che al giudice deputato a conoscere del diritto e della misura di quest’unica pensione compete anche la giurisdizione in tema di ricongiunzione”. In via subordinata ha eccepito l’improponibilità della domanda di ricongiunzione, in quanto non preceduta da previa istanza amministrativa;
nel merito ha chiesto la reiezione delle domande per infondatezza.

Parte ricorrente ha depositato una memoria integrativa in data 29/11/2013, nella quale ha confutato le conclusioni cui sono giunte le Sezioni Riunite di questa Corte nella recente decisione n. 8/2011/Q.M., in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 124 del DPR 1092/1973, evidenziando che il Codice dell’Ordinamento Militare, emanato con d.lgs. n. 66 del 15.03.2010, ha disposto - all’art. 1861 comma 1 - che “la costituzione della posizione assicurativa per il militare in servizio permanente è effettuata ai sensi dell’art. 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092”, e che nell’assumere tale norma “il Legislatore non poteva non essere a conoscenza dell’interpretazione quasi unanime, letterale e costituzionalmente orientata che dell’art. 124 ha dato la prevalente giurisprudenza, già invocata in ricorso, e non v’è dubbio quindi che l’averne confermato il disposto, senza modifica o precisazione alcuna, significa avere avallato il diritto vivente”.

Parte attrice ha sottolineato come l’equiparazione del termine servizio “prestato” con servizio “effettivo” vanificherebbe la ratio dei benefici di cui agli artt. 18 e ss. del TU, in modo irragionevole, sul presupposto dell’identità tra le mansioni lavorative prestate dal militare cessato dal servizio senza diritto a pensione e quelle prestate dal militare cessato con diritto a pensione, con la conseguente irrazionalità della disposizione, ove interpretata nel senso che i suddetti benefici siano diversamente considerati ed addirittura esclusi, a seconda dell’ordinamento previdenziale nel quale nasce il diritto a pensione;
sul punto ha richiamato i principi posti dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 113/2001 e n. 347/1997, nonché in alcune recenti decisioni della Sezione Giurisdizionale per il Lazio, ed ha concluso per l’accoglimento del ricorso in forza del diritto del lavoratore all’integrità della posizione assicurativa - prevista dall’art. 2 della legge n. 29/1979 - con la disapplicazione del principio di diritto statuito nella decisione n. 8/2011/Q.M. in relazione all’art. 124 del DPR n. 1092/1973. In via subordinata ha sollevato eccezione di costituzionalità dell’art. 124 citato, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione “nella parte in cui prevede che si fa luogo alla costituzione della posizione assicurativa nell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti presso l’INPS per il periodo di servizio prestato in relazione ai periodi che danno luogo ad aumenti nel computo dei servizi di cui agli artt. 18-28 del DPR 29/12/1973 n. 1092, anziché per il periodo di servizio utile”. Ad ulteriore sostegno della propria tesi ha richiamato l’art. 3, comma 3 del DLgs n. 164/1997, sottolineando come nel Fondo di Volo esistano ipotesi di aumento dell’efficacia della contribuzione simili a quelle previste per la disciplina militare, trattandosi di attività di lavoro di tipo usurante;
ha poi rimarcato come l’art. 21 del D.L. n. 201 del 6/12/2011, con l’intento di armonizzare il sistema, abbia disposto la successione dell’INPS in tutti i rapporti attivi e passivi dell’INPDAP, con conseguente irrazionalità della discriminazione dei servizi resi;
sotto questo profilo parte ricorrente ha affermato che tali innovazioni legislative dovrebbero far rivedere l’orientamento giurisprudenziale culminato nella decisione delle Sezioni Riunite n. 8/2011/Q.M. perché il mutamento di regime del militare non può più giustificare alcun tipo di differenziazione. In relazione alle dedotte circostanze il ricorrente ha chiesto che il periodo in questione sia riconosciuto, con le maggiorazioni richieste, in sede di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS nonché in sede di ricongiunzione, determinando l’onere di ricongiunzione con la detrazione degli interessi ex art. 2, 2° comma della legge n. 29/1979, con conseguente condanna dell’INPS alla restituzione al ricorrente delle maggiori somme versate, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.

All’udienza del 10 dicembre 2013 uditi i difensori delle parti che si riportavano alle conclusioni in atti, la causa, ai sensi dell’art. 429 c.p.c. come novellato dall’art. 53, comma 2 del Decreto Legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008, è stata quindi decisa come da dispositivo letto in udienza e riportato in calce alla presente decisione.

Considerato in
DIRITTO

2.1. Con l’odierno gravame il ricorrente ha chiesto che venga accertato il diritto:
1) a vedersi computare, in sede di costituzione della posizione assicurativa ex art. 124 D.P.R. n. 1092/1973, il periodo di servizio prestato alle dipendenze dell’Amministrazione Militare con le maggiorazioni previste dall’art. 20 del D.P.R. n. 1092/1973;
2) ad ottenere il riconoscimento di tali maggiorazioni nell’ambito della ricongiunzione dei periodi assicurativi operata, ai sensi art. 2 della legge n. 29/1979, presso il Fondo di previdenza per il personale di volo istituito presso l’I.N.P.S.;
3) a vedersi rideterminare l’onere della ricongiunzione, con detrazione degli interessi, ai sensi dell’art. 2, 2° comma L. n. 29/1979 e conseguente condanna dell’INPS alla restituzione delle maggiori somme nel frattempo eventualmente versate, maggiorate di interessi legali e rivalutazione monetaria. Le domande attoree sono da ritenersi inammissibili ed infondate per le ragioni che di seguito si espongono.

Si deve in primo luogo affermare l’infondatezza della pretesa attrice volta ad ottenere il riconoscimento, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., delle maggiorazioni di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 1092/1973, maturate nell’ambito del servizio di volo prestato alle dipendenze del Ministero della Difesa.

Com’ è noto in merito all’interpretazione dell’art. 124 del D.P.R. n. 1092/1973 (disposizione applicabile alla fattispecie in esame, ratione temporis) la giurisprudenza della Corte dei conti si era pronunciata in modo difforme, sia nel senso di ritenere l’espressione “servizio prestato”, contenuta nel primo comma dell’art. 124 cit., come “servizio utile” ai fini pensionistici (sul punto cfr. le decisioni Prima Sezione Centrale d’Appello n. 164/2008, n. 142/2006; Seconda Sezione Centrale n. 225/1999) sia, al contrario, affermando che tale locuzione fosse indicativa del servizio “effettivamente prestato”, escludendosi, pertanto, la valutazione delle maggiorazioni previste dal capo III del D.P.R. n. 1092/1973 ovvero da leggi speciali (Prima Sezione Centrale Sez. n. 235/2009; Seconda Sezione Centrale n. 165/2011; n. 426/2010).

Il richiamato contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Riunite - cui la questione è stata sottoposta dalla Terza Sezione d’Appello (con ordinanza n. 2 del 17.2.2011) - nella decisione n. 8/2011/Q.M. nella quale è stato definitivamente statuito che “ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato> ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>.

Il Giudice della nomofilachia ha rimarcato come non sia condivisibile l’affermazione secondo cui l’identificazione del “servizio prestato” di cui all’art. 124 cit. con il “servizio utile”, menzionato dal precedente art. 40, sarebbe in linea con la finalità dell’istituto della posizione assicurativa, diretta a trasferire nell’assicurazione generale obbligatoria il complessivo “patrimonio previdenziale” che il dipendente pubblico ha acquisito nel corso dell’attività svolta e che avrebbe potuto legittimamente utilizzare se avesse maturato il diritto a pensione.

Sul punto le Sezioni Riunite hanno infatti osservato che ”il servizio <utile> cui fa riferimento l’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 – comprensivo delle maggiorazioni riconosciute per particolari servizi - non è un servizio rilevante a tutti gli effetti pensionistici in sostituzione di quello <effettivo>, come avverrebbe se si trattasse appunto di un intangibile <patrimonio previdenziale>; espressione – quest’ultima – che, pur suggestiva, non ha una valenza di diritto positivo, conseguendone che non è concetto sempre e comunque utilizzabile”.

Ad avviso del Supremo Collegio, per comprendere il significato dell’espressione “servizio prestato” contenuta nell’art. 124 del D.P.R. n. 1092/1973, è necessario far riferimento all’articolo unico della legge n. 322 del 2.4.1958, espressamente abrogato solo dall’art. 12, comma 12-undecies, del D.L. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010: norma che ai fini della costituzione della posizione assicurativa, faceva espresso riferimento al “corrispondente periodo di iscrizione” presso “forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti”, senza prevedere alcuna maggiorazione in relazione all’espletamento di particolari servizi.

Le Sezioni Riunite, nella ricordata decisione n. 8/2011/Q.M., hanno rilevato come l’art. 124 citato non abbia modificato tale criterio, poiché nel richiamo al “servizio prestato” non sono menzionate le maggiorazioni del computo dei periodi di servizio di cui al capo III dello stesso D.P.R., con la conclusione secondo cui ai fini dell’art. 124 del D.P.R. n. 1092/1973 viene in rilievo l’art. 8 dello stesso D.P.R., “per il quale il computo dei <servizi prestati> dai militari si effettua dalla data di assunzione del servizio sino a quella di cessazione del servizio stesso, senza tener conto dei periodi in aspettativa per motivi privati ovvero in licenza senza assegni concessa a domanda ovvero in qualità di richiamati senza assegni, senza considerare il periodo trascorso in detenzione per condanna penale, computando infine in ragione della metà il tempo trascorso dal militare durante la sospensione dall’impiego o dal servizio”.

I principi contenuti nella sentenza n. 8/2011/Q.M. sono stati ribaditi anche nella decisione n. 11/2011/Q.M., nella quale le Sezioni Riunite - chiamate a pronunciarsi in merito alla possibilità di computare, nell’ambito della costituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., la maggiorazione del quinto del servizio prestato con percezione dell’indennità di istituto ai sensi dell’ art. 3, u.c., della legge n. 284/1977 – hanno statuito che “all’ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo senza aver maturato i requisiti di accesso al trattamento pensionistico normale, non spetta, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS previsto dall’art. 124 del D.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’aumento del quinto del periodo di servizio prestato con percezione dell’indennità di istituto, previsto dall’art. 3 della legge n. 284 del 27.5.1977”.

Parte attrice, preso atto della citata decisione n. 8/2011/Q.M., ha chiesto a questo Giudicante di discostarsi dall’applicazione dei ricordati principi di diritto e di rimettere la questione alle Sezioni Riunite.

Osserva questo Giudicante come l’art.1, comma 7, del d.l. n.453, del 15 novembre 1993, convertito nella legge n.19, del 14 gennaio 1994, abbia previsto che:
“Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali ovvero su richiesta del procuratore generale”; la successiva disposizione di cui all’art. 42, comma 2, della legge n.69, del 18 giugno 2009 ha poi previsto che “Il presidente della Corte può disporre che le Sezioni Riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza.
Se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio”.
Come evidenziato dallo stesso Giudice della nomofilachia, nella sentenza n. 3/2011/Q.M. :“La disposizione normativa citata, come già ampiamente chiarito da queste SS.RR. si inserisce nel contesto dei poteri e delle attribuzioni che erano già assegnati alle Sezioni Riunite, per cui essa non solo non ha inteso conferire a quest’Organo una nuova attribuzione (quella relativa all’esame del merito della controversia), ma deve essere interpretata nell’unico significato possibile e costituzionalmente orientato, nel senso cioè che la rimessione del giudizio, in caso di non condivisione, in tanto sia ammissibile, in quanto diretta, a seguito di motivazione congruamente esplicitata nell’ordinanza di deferimento, al riesame e ad un’eventuale diversa pronuncia sulla sola questione di diritto” (così SS.RR. sent. n. 3/2011/Q.M., del 26 gennaio – 28 febbraio 2011).
Le Sezioni Riunite hanno, altresì, precisato come la rimessione sul punto di diritto controverso sia intestato alle sole Sezioni d’ Appello della Corte dei conti (cfr. decisioni SS.RR. n. 8/2010/Q.M., n. 10/2011/Q.M.).

Ciò premesso, rileva questo Giudicante di condividere il principio di diritto, formulato dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 8/2011/Q.M., in ordine all’equiparazione tra “servizio prestato” e “servizio effettivo” (principio ribadito anche nella decisione n.11/2011/QM), né sussistono i presupposti che possano giustificare - ai sensi dell’art. 42, co. 2, della legge n. 69/2009 - una nuova rimessione della questione di diritto alle Sezioni Riunite.

Sono poi da ritenersi infondate le censure di costituzionalità, formulate da parte attrice, dell’art. 124 del DPR n. 1092/1973, in relazione agli artt. 36 e 38 della Costituzione.

In particolare appare inconferente il richiamo attoreo alle statuizioni contenute nella sentenza n. 113/2001 della Corte Costituzionale (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del combinato disposto del quinto comma dell’art. 124 del D.P.R. n. 1092/1973 e dell’art. 40 della legge n. 1646/1962).

Si osserva come le Sezioni Riunite, nella decisione n. 8/2011/Q.M., abbiano sottolineato come tale declaratoria di incostituzionalità abbia riguardato le sole disposizioni attinenti ai “servizi computabili a domanda”, rispondendo le stesse alle finalità di “incentivare l’accesso nella pubblica amministrazione di personale idoneo per preparazione e cultura” ed “evitare la penalizzazione dei lavoratori che abbiano dovuto ritardare l’inizio della loro attività onde acquisire il titolo necessario per essere ammessi all’impiego”, e come si tratti pertanto di fattispecie ben diversa da quella in esame.

Né può ritenersi sussistere una violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza nella prospettata differenza di trattamento tra i militari che cessano dal servizio avendo conseguito il diritto a pensione - a favore dei quali il “servizio utile” di cui all’art. 40 del D.P.R. n. 1092 del 1973 viene considerato nel calcolo della misura del trattamento pensionistico (art. 54 del D.P.R.) - e quelli invece che non hanno conseguito il diritto a pensione, a favore dei quali la costituzione della posizione assicurativa INPS considera il solo ”servizio effettivo”.

Giova sul punto ricordare come, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte Costituzionale, il Legislatore, entro i confini della ragionevolezza e dell’ adeguatezza del trattamento economico possa differenziare i regimi previdenziali, determinando, in ragione della peculiarità delle situazioni, gli elementi da considerare ai fini della determinazione dei rispettivi trattamenti di pensione (cfr. Corte Cost. n. 316/2010; n. 457/1998). Nella fattispecie in esame la differenzazione non appare irrazionale, in quanto conseguenza di “uno dei vari mutamenti di regime cui era soggetto, e in parte lo è ancora, il militare passato dal regime pensionistico< pubblico> a quello <privato>.

Basti considerare, sul punto, le varie e rilevanti diversità tra un sistema pensionistico di tipo retributivo, quale quello a suo tempo delineato dal D.P.R. n. 1092/1973 e uno invece di tipo contributivo, quale quello vigente presso l’Assicurazione Generale Obbligatoria gestita dall’INPS” (cfr. SS.RR. n. 8/2011/QM).

Sono poi da ritenersi inconferenti le osservazioni attoree in ordine al rilievo dell’intervenuta successione dell’INPS al soppresso INPDAP, infatti la norma di cui all’art. 21 del D.L. n. 201 del 6/12/2011 ha disposto la successione dell’INPS in tutti i rapporti attivi e passivi dell’INPDAP, effettuando una razionalizzazione organizzativa del sistema senza che ciò impinga sui diversi regimi pensionistici e sulla diversa regolamentazione fra pensioni private e pensioni gravanti sulle finanze pubbliche.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 124 del D.P.R. n. 1092/1973 prospettata dal ricorrente deve ritenersi manifestamente infondata e la domanda attorea, volta ad ottenere la valorizzazione, nell’ambito della costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, del diritto alla maggiorazione prevista dall’art. 20 del D.P.R. n. 1092/1973, è da respingersi alla luce del chiaro dettato dell’art. 124 del DPR n. 1092/1973.

2.2. Sono poi da ritenersi inammissibili, per difetto di giurisdizione di questa Corte, le domande proposte dal ricorrente volte ad ottenere il riconoscimento delle maggiorazioni previste dall’art. 20 del D.P.R. n. 1092/1973 ai fini della ricongiunzione ex art. 2 della legge n. 29/1979, nonché alla rideterminazione dell’onere di ricongiunzione, con la conseguente condanna dell’INPS alla restituzione delle maggiori somme eventualmente versate (domanda quest’ultima collegata – nella prospettazione attorea - al preteso obbligo del Ministero della Difesa di trasferire la contribuzione maggiorata dell’interesse al tasso annuo del 4,5%).

Com’è noto l’ambito della cognizione della Corte dei conti afferisce, ai sensi degli artt. 13 e 62 del R.D. n. 1214/1934, alle controversie relative alla sussistenza del diritto, alla misura ed alla decorrenza dei trattamenti di pensione a carico totale o parziale dello Stato mentre le ricordate domande del ricorrente sono rivolte, quale iscritto al Fondo di previdenza per il personale di volo, nei confronti dell’INPS (presso cui è istituito il Fondo ai sensi della legge n. 859/1965).

Si rileva sul punto come, in virtù del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, le pretese giudiziali in materia di ricongiunzione siano devolute al Giudice deputato a conoscere del diritto e della misura dell’unica pensione da erogarsi all’atto del collocamento a riposo (Cass. SS.UU. n. 14897/2010; n. 10455/2008; n. 193/2001), nel caso in esame l’INPS.

Non può poi operarsi alcuna analogia rispetto all’ambito di giurisdizione riconosciuto alla Corte dei conti in relazione al Fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato.

Infatti la giurisdizione pensionistica per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato si fonda, in forza di consolidata giurisprudenza, in ragione del fatto che la legge n. 488/1999 (soppressiva del Fondo pensioni del personale delle Ferrovie dello Stato ed istitutiva un apposito Fondo presso l’I.N.P.S.), non ha introdotto alcuna modifica alla disciplina della liquidazione delle pensioni contenuta nel D.P.R. n. 1092/1973, né al concorso finanziario dello Stato, che, ai sensi dell’art. 210, ultimo comma, del D.P.R. n. 1092/1973, partecipa alla copertura del fabbisogno con un contributo da stabilire, per ogni esercizio finanziario, in misura pari alla differenza fra le spese e le entrate del Fondo stesso.

Completamente diversa appare, invece, la regolamentazione per il Fondo del personale di volo, per il quale l’art. 55 della richiamata legge n. 859/1965 (avente ad oggetto “norme di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea”) ha previsto espressamente, in relazione ai provvedimenti dell’INPS concernenti i provvedimenti degli iscritti al Fondo del personale di volo, il ricorso “all’Autorità Giudiziaria” ordinaria.

In ordine alle sopra esposte considerazioni devono essere dichiarate inammissibili, per difetto di giurisdizione, le domande del ricorrente dirette al riconoscimento, in sede di ricongiunzione, delle maggiorazioni previste dall’art. 20 del D.P.R. n. 1092/1973, nonché alla rideterminazione dell’onere di ricongiunzione ed alla condanna dell’I.N.P.S. alla restituzione delle eventuali maggiori somme versate. Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 59 della legge n. 69/2009 - che dispone “il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica, altresì, se esistente il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione”, si individua quale giudice provvisto di giurisdizione, su tali domande, il Giudice Ordinario.

Tenuto conto della complessità della controversia nonché dei contrasti giurisprudenziali, si ravvisano i presupposti per disporre, ai sensi dell’art. 92, co. 2, c.p.c. l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione inammissibili e reiette, respinge la domanda diretta al riconoscimento, ai fini della costituzione della posizione assicurativa ex art. 124 del DPR n. 1092/1973 delle maggiorazioni previste dall’art. 20 del DPR n. 1092/1973 relative al periodo di servizio prestato alle dipendenze del Ministero della Difesa;

Dichiara inammissibili, per difetto di giurisdizione, le domande dirette al riconoscimento, in sede di ricongiunzione presso l’INPS, delle maggiorazioni previste dall’art. 20 del DPR n. 1092/1973 nonché alla rideterminazione dell’onere di ricongiunzione ed alla condanna dell’INPS alla restituzione delle eventuali maggiori somme versate indicando, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 59 della legge n. 69/2009, quale giudice provvisto di giurisdizione su tali domande il Giudice Ordinario.

- Compensa le spese fra le parti del giudizio;
- Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Venezia nella pubblica udienza del 10 dicembre 2013.
Il Giudice Unico delle Pensioni
F.to Dott.ssa Stefania Fusaro

Depositata in Segreteria il 10/12/2013

Il Direttore della Segreteria

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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inclusione nella base pensionabile (quota “A”) dell’indennità cosiddetta di “supercampagna”.

Domanda ACCOLTA dalla Corte dei Conti.
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SICILIA SENTENZA 23 07/01/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA SENTENZA 23 2014 PENSIONI 07/01/2014


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
Il Giudice Unico delle Pensioni
Adriana Parlato
ha pronunciato la seguente

Sentenza n. 23/2014
sul ricorso in materia pensionistica iscritto al n. 48228 del registro pensionistico, depositato il 18 luglio 2007, proposto da S. S. nato a omissis il omissis

contro
- il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore;
Visti il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205, ed in particolare gli artt. 5 e 9;

Esaminati gli atti ed i documenti del fascicolo processuale;
Assenti le parti all’udienza del 19 dicembre 2013;

Premesso in
Fatto

Con l’atto introduttivo del presente giudizio, il signor S., sottufficiale dell’esercito in congedo, ha domandato il riconoscimento del diritto alla maggiorazione del 18 per cento dell’assegno funzionale e all’inclusione dello stesso nella base di calcolo sei scatti stipendiali, nonché il diritto alla valutabilità dell’indennità di impiego operativo di supercampagna anche nella quota “A” della pensione, lamentando l’illegittimità sotto tali profili, del decreto n 889 del 6 novembre 2002, con il quale il Ministero della Difesa gli aveva attribuito il trattamento di quiescenza definitivo.

In esito all’udienza del 16 marzo, con ordinanza il G.U n. 173/2013. chiedeva al Ministero della Difesa documentati chiarimenti in merito alla posizione pensionistica del ricorrente, forniti con la nota del 16 giugno 2013

All’udienza del 19 dicembre 2013, assenti le parti, la causa veniva posta in decisione e, al termine della camera di consiglio, il G.U. dava lettura del dispositivo della presente sentenza.

Considerato in
diritto

1. La domanda riguardante la maggiorazione del 18 per cento dell’assegno funzionale non è meritevole di accoglimento.

L’emolumento in questione, introdotto dall’art. 1 comma 9 del decreto legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito nella legge 14 novembre 1987, n. 468, infatti, non è ricompreso nell’elenco tassativo dei benefici che devono essere assoggettati all’incremento indicati nel comma dell’art. 16 della legge n. 177/1976, né può essere ricondotto alla previsione del comma successivo, il quale dispone che “agli stessi fini nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabili, possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne prevede espressamente la valutazione nella base pensionabile”, poiché le relative norme istitutive, successive alla legge n. 177/1976, non ne hanno espressamente dichiarata la qualità di componente della base pensionabile.

In conclusione, conformemente all’orientamento espresso dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella recente sentenza n. 9/2011/QM, va esclusa la suscettibilità alla maggiorazione del 18 per cento di un beneficio pensionabile qualora non sia soddisfatta, come nel caso di specie, nessuna delle due condizioni alternativamente previste dal primo e dal secondo comma dell’art. 53, comma 1, del d.p.r. n. 1092/1973 (cfr. anche, ex multis, la pronuncia della Sezione d’appello per la Regione siciliana n. 338 del 2 novembre 2011).

2. Non è fondata neppure l’istanza volta al riconoscimento dei sei scatti di anzianità previsti dall'art. 1, comma 15-bis della legge n. 468 del 1987 e successive modifiche, su una base di calcolo comprensiva anche dell’assegno funzionale, poiché il beneficio dei sei scatti va calcolato, così come espressamente previsto dall'art. 11 della legge 8 agosto 1990 n. 231, su una base pensionabile costituita esclusivamente dall'ultimo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità e dagli scatti gerarchici (cfr. la sentenza n. 2058/ 2010 di questa Sezione, confermata dalla locale sezione d’appello con la pronuncia n. 131/A/2012).

3. La doglianza riguardante la mancata inclusione nella base pensionabile (quota “A”) dell’indennità cosiddetta di “supercampagna” è, invece, meritevole di accoglimento per le argomentazioni di seguito esposte.

Preliminarmente, non deve osservarsi che non è condivisibile la tesi di parte convenuta, contenuta nella relazione depositata il 12 giugno 2013, secondo la cui, ai sensi della circolare n. 1000/360/96 del 5 settembre 2005 della Direzione Generale, i provvedimenti pensionistici già registrati alla Corte dei Conti non sono suscettibili di alcuna modifica, giusta gli artt. 204 e 205 del D.P.R.. n. 1092/1973: le citate disposizioni normative, infatti, in quanto dettate per tutelare il pensionato, parte debole del rapporto previdenziale, trovano applicazione esclusivamente in ipotesi di modifica in peius del trattamento pensionistico e non anche per l’eliminazione di eventuali illegittimità, con rideterminazione migliorativa dello stesso.

Ciò posto, le indennità operative, il cui processo per la loro integrale pensionabilità è stato portato a compimento con la legge n. 78/1983, sono state riconosciute utili a pensione e, sebbene non possano essere incluse nella base pensionabile ai fini della maggiorazione del 18 per cento, in assenza di un’esplicita previsione, devono concorrere a formare la suddetta base pensionabile, così come stabilito dal decreto legislativo n. 504/1992.

Per quanto sopra esposto, deve essere riconosciuto il diritto dell’istante alla riliquidazione della pensione in godimento con l’inclusione della maggiorazione dell’indennità operativa di supercampagna, che dovrà essere conteggiata in quota “A” nella misura corrispondente agli anni di servizio prestati alle dipendenze degli enti di cui all’art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 360/1996 fino alla data del 31 dicembre 1992 e nella quota “B” nella misura corrispondente agli importi effettivamente percepiti dopo il 31 dicembre 1992 e fino al collocamento in quiescenza (cfr. in senso conforme, da ultimo, le pronunce n. 916/2011e n. 1231/2012 di questa Sezione).

4. Sulle maggiori differenze pensionistiche spettanti in forza della presente decisione, a far data dal momento di maturazione delle stesse e fino al soddisfo, va riconosciuto il diritto dell’attore agli interessi legali rilevati anno per anno, integrati per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura dall’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice i.s.t.a.t. relativo all’anno di riferimento (ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ., cfr. la sentenza n. 10/2002/QM delle Sezioni Riunite)

5. La complessità delle questioni dibattute e l’esito della lite giustifica la compensazione delle spese del giudizio fra le parti.

P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, in composizione monocratica, in funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:

- rigetta le domande contenute nel ricorso indicato in epigrafe volte all’incremento del 18 per cento dell’assegno funzionale e computo dello stesso al fine dell’attribuzione dei sei scatti ;

- riconosce del diritto dell’istante alla riliquidazione della pensione in godimento con l’inclusione della maggiorazione pari all’1,75% dell’indennità operativa di base che dovrà essere conteggiata in quota “A” nella misura corrispondente agli anni di servizio prestati alle dipendenze degli enti di cui all’art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 360/1996 fino alla data del 31 dicembre 1992 e nella quota “B” nella misura corrispondente agli importi effettivamente percepiti dopo il 31 dicembre 1992 e fino al collocamento in quiescenza;

- sulle maggiori differenze pensionistiche spettanti in forza della presente decisione, a far data dal momento di maturazione delle stesse e fino al soddisfo, va riconosciuto il diritto dell’attore agli interessi legali rilevati anno per anno, integrati per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura dall’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice i.s.t.a.t. relativo all’anno di riferimento (ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ.);

Spese compensate.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 19 dicembre 2013
Il Giudice
F.to Adriana Parlato

Depositata in Segreteria nei modi di legge

Palermo, 19 Dicembre 2013.

Pubblicata il 07 Gennaio 2014.

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F.to Piera Maria Tiziana Ficalora
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Quanto qui sotto abbraccia 2 argomenti se può servire a qualcuno.
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Corte dei Conti Puglia di Bari

1) - L’INPS, costituito in giudizio in data 20.12.2013, dopo aver rappresentato che l’indebito di €. 10.144,31 si riferisce quanto ad €. 6.232,77 al recupero di metà dell’equo indennizzo già corrisposto e per €. 3.911,54 al conguaglio tra pensione provvisoria e pensione definitiva, ha dedotto che il recupero dell’indebito di pecunia pubblica, su stipendi e pensioni, si caratterizza per la sua doverosità in termini assoluti ai sensi dell’art. 2033 c.c. e, nello specifico, a mente dell’art. 162, comma 8, del DPR 1092/1973 e che, anche alla luce dei principi fissati dalla recente sentenza delle Sezioni Riunite (n. 2/QM/2012), il recupero sarebbe del tutto legittimo;

2) - la domanda del sig. L. G., tesa alla dichiarazione di irripetibilità dell’indebito pensionistico, è solo parzialmente fondata.

3) - Invero, la parte di indebito concernente la metà dell’equo indennizzo a suo tempo ricevuto dal ricorrente è pacificamente ripetibile dall’Istituto di previdenza. Invero, l’art. 144 del D.P.R. 29.12.1973 n. 1092 espressamente stabilisce che, “nel caso in cui il dipendente al quale sia stato liquidato l’equo indennizzo ottenga successivamente, per la stessa causa, la pensione privilegiata , la metà dell’ammontare dell’indennizzo liquidato sarà recuperata mediante trattenute mensili sulla pensione di importo pari ad un decimo dell’ammontare di questa”.

4) - Nella specie, poiché la pensione privilegiata è stata concessa al ricorrente in via definitiva, seppure con decorrenza dalla cessazione dal servizio, solo con il decreto n. 322/32/M del 20.12.2007, è evidente che prima dell’emanazione di tale provvedimento non poteva disporsi alcun recupero dell’equo indennizzo.

Il resto leggetelo qui sotto.
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PUGLIA SENTENZA 517 04/07/2014

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PUGLIA SENTENZA 517 2014 PENSIONI 04/07/2014


Sent. 517/2014


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico
Consigliere dott. Pasquale Daddabbo
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31474/PM del Registro di Segreteria, proposto dal sig. L. G. D., elettivamente domiciliato in Taranto al p.le Dante n. 26 presso lo studio legale dell’avv. Olga Perugini che lo rappresenta e difende contro

il Ministero della Difesa e
l’INPS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonio Bove e Ilaria De Leonardis, elettivamente domiciliati presso la sede INPS - gestione ex INPDAP di Bari, via Oberdan n. 40.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Vista la legge n. 205/2000;
Uditi, nella pubblica udienza del 30 maggio 2014, l’avv. Olga Perugini per il ricorrente e l’avv. Ilaria de Leonardis per l’INPS; non comparso il Ministero della Difesa.

FATTO

Con ricorso notificato tra il 13 e il 14 novembre 2012, depositato presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti in data 30.11.2012, il sig. L. G. D. - già sottufficiale della Marina Militare, cessato dal servizio a domanda dal 31.12.1994 - ha impugnato il decreto del Ministero della Difesa n. 322/2/M del 20.12.2007 - di concessione dell’assegno privilegiato ordinario dal 31.12.1994 e la pensione privilegiata ordinaria dall’1.1.2001 - la nota prot. n. 14175/08 del 26.6.2008 dell’INPDAP di OMISSIS - con cui, a seguito dell’applicazione del suddetto Decreto ministeriale ed al conguaglio effettuato con gli acconti di pensione corrisposti in via provvisoria, è stato accertato un credito erariale di €. 10.144,31 e sono state disposte due ritenuta cautelative mensili, una di €. 488,94 dall’1.7.2008 al 28.2.2009 e l’altra di €. 479,44 dall’1.7.2008 al 31.7.2009 – ed il provvedimento dell’ufficio provinciale di OMISSIS dell’INPDAP prot. 14175/08 del 21.7.2008 con cui sono state rideterminate le ritenute mensili della somma residua di €. 9.175,86 nell’importo di €. 95,89 ed €. 57,04 mensili dall’1.8.2008 al 31.7.2013.

Il ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento di recupero di che trattasi invocando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in materia pensionistica, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, deve ritenersi operante il principio della non ripetibilità delle somme percepite indebitamente in buona fede; ha altresì sostenuto il legittimo affidamento ingenerato dall’aver percepito per un lungo periodo di tempo la pensione provvisoria; ha concluso chiedendo la declaratoria del diritto all’irripetibilità delle somme percepite oltre alla restituzione di tutte le somme già trattenute, con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Il Ministero della Difesa, costituito in giudizio con memoria depositata in data 10.12.2013 - dopo aver evidenziato che il ricorrente, pur avendo impugnato anche il decreto di concessione della pensione definitiva, non ha indicato motivi di censura avverso tale provvedimento - ha dedotto l’infondatezza del ricorso evidenziando l’obbligo legale di procedere al recupero in caso di indebito scaturito dal conguaglio tra pensione provvisoria e trattamento definitivo evidenziando che la giuridica differenza tra tali trattamenti esclude qualsiasi richiamo alla buona fede; inoltre, ha dedotto l’applicabilità, nella specie, dell’art. 162 TU 1092/1973, che prevede, in sintonia con quanto previsto dall’art. 2033 cc, la doverosità del recupero delle somme indebitamente corrisposte sul trattamento di pensione provvisoria ed ha richiamato giurisprudenza di questa Corte secondo cui il legittimo affidamento nella spettanza delle somme in via definitiva debba essere adeguatamente provato dal ricorrente stesso.

L’INPS, costituito in giudizio con memoria depositata in data 20.12.2013, dopo aver rappresentato che l’indebito di €. 10.144,31 si riferisce quanto ad €. 6.232,77 al recupero di metà dell’equo indennizzo già corrisposto e per €. 3.911,54 al conguaglio tra pensione provvisoria e pensione definitiva, ha dedotto che il recupero dell’indebito di pecunia pubblica, su stipendi e pensioni, si caratterizza per la sua doverosità in termini assoluti ai sensi dell’art. 2033 c.c. e, nello specifico, a mente dell’art. 162, comma 8, del DPR 1092/1973 e che, anche alla luce dei principi fissati dalla recente sentenza delle Sezioni Riunite (n. 2/QM/2012), il recupero sarebbe del tutto legittimo; ha chiesto il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
Con ordinanza n. 255/2013 del 20-23.12.2013 questa Sezione ha disposto alle amministrazioni convenute di depositare copia integrale del fascicolo amministrativo previdenziale del ricorrente.

A seguito di quanto prodotto dall’INPS con nota depositata in data 9.5.2014 e dal Ministero della Difesa con nota depositata in data 11.3.2014, è emerso che: 1) la pensione provvisoria è stata erogata dal 31.12.1994 al 31.12.1997 dalla Direzione di Commissariato di Taranto della Marina Militare, dall’1.1.1998 al 30.6.2001 dalla Direzione di Commissariato di Roma e dall’1.7.2001 dall’INPDAP 2) che l’unica comunicazione concernente una rettifica del trattamento provvisorio, proveniente da Maricentro Taranto ed indirizzata per conoscenza al ricorrente, è datata 3.2.1998, 3) con decreto n. 322/2/M del 20.12.2007 è stata concessa la pensione privilegiata definitiva 4) la Marina Militare con comunicazioni del 15 e 16 maggio 2008 ha trasmesso all’Istituto il prospetto riepilogativo degli acconti di pensione corrisposti per il periodo dal 31.12.1994 al 30.6.2001, 5) in applicazione del citato decreto ministeriale n. 322/2/M del 20.12.2007, con nota INPDAP del 20.6.2008 è stato accertato l’indebito pensionistico di €. 10.144,31, scaturito, come emerge dai prospetti contabili esibiti dall’Istituto di previdenza, quanto ad €. 3.911,54 dal conguaglio tra pensione provvisoria e quella definitiva e quanto ad €. 6.232,77 dal recupero di metà di equo indennizzo.
All’udienza del 30 maggio 2014, il difensore del ricorrente ed il legale dell’INPS hanno insistito per le conclusioni dei rispettivi atti scritti; il giudizio, non comparso il Ministero della Difesa, è stato definito, come da dispositivo, letto nella stessa udienza, di seguito trascritto fissandosi, ai sensi dell’art. 429, primo comma, c.p.c., come mod. dall’art. 53, secondo comma, del D.L. 112/2008 conv. in legge dalla L. 133/2008, il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente, già sottufficiale della Marina Militare, cessato dal servizio a domanda dal 31.12.1994 ed entrato in pari data in ausiliaria ed a partire dall’1.1.2001 nella riserva, contesta la legittimità della nota dell’INPS (in data 20.6.2008) con cui è stato comunicato, a suo carico, un debito pensionistico di €. 10.144,31. Egli ha anche impugnato il decreto ministeriale di concessione della pensione definitiva ed il provvedimento INPDAP di OMISSIS del 21.7.2008, di conferma dell’indebito pensionistico e di rimodulazione delle ritenute mensili.

Richiamato quanto emerso dagli atti di causa e riportato nella parte in fatto,
la domanda del sig. L. G., tesa alla dichiarazione di irripetibilità dell’indebito pensionistico, è solo parzialmente fondata.

Invero, la parte di indebito concernente la metà dell’equo indennizzo a suo tempo ricevuto dal ricorrente è pacificamente ripetibile dall’Istituto di previdenza. Invero, l’art. 144 del D.P.R. 29.12.1973 n. 1092 espressamente stabilisce che, “nel caso in cui il dipendente al quale sia stato liquidato l’equo indennizzo ottenga successivamente, per la stessa causa, la pensione privilegiata , la metà dell’ammontare dell’indennizzo liquidato sarà recuperata mediante trattenute mensili sulla pensione di importo pari ad un decimo dell’ammontare di questa”.

Nella specie, poiché la pensione privilegiata è stata concessa al ricorrente in via definitiva, seppure con decorrenza dalla cessazione dal servizio, solo con il decreto n. 322/32/M del 20.12.2007, è evidente che prima dell’emanazione di tale provvedimento non poteva disporsi alcun recupero dell’equo indennizzo.
L’altra parte dell’indebito, ammontante ad €. 3.911,54, si riferisce al conguaglio tra pensione provvisoria e trattamento definitivo.

Nella sentenza n. 2 del 2 luglio 2012 le Sezioni Riunite, riconsiderando quanto ritenuto nella decisione n. 7/2007/QM del 7 agosto 2007, hanno osservato che il potere-dovere dell’Amministrazione previdenziale di rettificare, nella liquidazione definitiva della pensione , il/i provvedimento/i liquidativo/i della pensione in via provvisoria e di procedere, a conguaglio, al recupero delle somme indebitamente erogate al pensionato a titolo provvisorio, permane anche dopo il superamento dei termini procedimentali di cui art. 2 della legge 7.8.1990 n. 241 e relativi regolamenti attuativi.

Ponendo in risalto il sempre maggior rilievo che il principio del legittimo affidamento ha progressivamente assunto nell’ordinamento nazionale e comunitario le Sezioni Riunite, in tale ultima pronuncia, hanno, peraltro, affermato “che nel rapporto Pubblica amministrazione-cittadino (in specie: cittadino pensionato), alla situazione giuridica di potere dell’Amministrazione si contrappone, in capo al pensionato, la situazione giuridica di legittimo affidamento, fondato sull’assenza di dolo e sulla buona fede del percipiente, oltre che sul lungo decorso del tempo” e che pertanto “deve ritenersi che il diritto–dovere (recte: potere) dell’Amministrazione di procedere, in sede di conguaglio fra trattamento di pensione provvisoria e trattamento di pensione definitiva, al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio, anche dopo la scadenza dei termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, può essere attenuato dalla situazione di legittimo affidamento del privato consolidatasi attraverso un lungo decorso del tempo, e cioè, la plausibile convinzione, da parte del pensionato, di avere titolo ad un vantaggio conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il beneficiario stesso della sua stabilità”.

Le Sezione Riunite hanno, anche, osservato che il legittimo affidamento è stato identificato come una situazione di vantaggio assicurata ad un privato da uno specifico e concreto atto o comportamento dell’autorità amministrativa, che non può essere in seguito rimossa, salvo che ciò non sia strettamente necessario per la tutela dell’interesse pubblico e fermo restando, in ogni caso, l’indennizzo della posizione acquisita (cfr. Corte giust., 3 maggio 1978, C 112/77, Topfer/Commissione, cit.).

Hanno, dunque, risolto la questione di massima concernente l’indebito pensionistico nei seguenti termini:
“lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’Amministrazione del diritto–dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria”.

“Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione , le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’Amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.

Nella specie, dall’esame della sequenza dei fatti come sopra ricostruiti, deve ritenersi che si sia di certo ingenerato un legittimo affidamento da parte del ricorrente nella percezione di somme a titolo di pensione provvisoria, consolidatosi negli anni.

Emerge, invero, che il ricorrente sin dal 31.12.1994 ha continuato a percepire un trattamento provvisorio e che il trattamento definitivo gli è stato erogato soltanto con il rateo di luglio 2008, dopo oltre tredici anni dalla cessazione dal servizio, e, in ogni caso, dopo circa dieci anni dall’ultima comunicazione riguardante la rettifica dell’ammontare della pensione provvisoria corrisposta dall’amministrazione della Marina Militare (nota del 3.2.1998).

Orbene, considerato che non risultano comportamenti colposi al ricorrente imputabili, che nei lunghi intervalli di tempo testé indicati non è intervenuto alcun atto idoneo a ingenerare dubbi sulla correttezza della liquidazione della pensione provvisoria e che l’amministrazione era in possesso di tutti gli elementi necessari sia al relativo conteggio che alla determinazione del trattamento definitivo, non può che concludersi che nella specie si sia ingenerato il legittimo affidamento del ricorrente nella stabilità della pensione percepita fino all’avvenuta comunicazione del credito erariale.

Alla luce delle suesposte considerazioni l’indebito di €. 3.911,54 è da ritenersi irripetibile.

In adesione all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Sez. III centrale di appello sent. n. 000113 del 13/03/2001, Sez. I centrale di appello sent. n. 000376 del 30/10/2007, n. 251 del 14.5.2012) - secondo cui l’irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte a soggetti in buona fede che non consegue ad inadempimento o a ritardato adempimento di un'obbligazione, non inerendo ad un debito, non può produrre interessi corrispettivi o moratori né, tanto meno, può essere suscettibile di rivalutazione - le somme trattenute in via cautelare dall’Istituto di previdenza devono essere restituite nel solo ammontare della sorte capitale.

Il provvedimento definitivo di pensione , pur essendo stato impugnato dal ricorrente, non è stato oggetto di censure specifiche, sicché non vi sono elementi per dubitare della sua legittimità.

In considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso e degli oscillamenti giurisprudenziali in materia di indebito pensionistico, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.

PER QUESTI MOTIVI

la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando in merito al ricorso n. 31474 proposto dal sig. L. G. D.:

dichiara l’irripetibilità delle somme indebitamente erogate al ricorrente, oggetto del provvedimento di recupero dell’INDPAP – sede di OMISSIS, prot. n. 14175/08 del 20 giugno 2008, nei limiti dell’importo di €.3.911,54;

condanna l’INPS alla restituzione di quanto, relativamente a tale importo, è stato trattenuto a seguito del suddetto provvedimento, senza aggravio di interessi e rivalutazione monetaria;

rigetta le altre domande;

dispone la compensazione delle spese legali tra le parti.

Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.

Così deciso, in Bari, all'esito della pubblica udienza del 30 maggio 2014.
IL GIUDICE
F.to (Pasquale Daddabbo)

Depositata in Segreteria il 04/07/2014

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Se può essere d'aiuto a qualche collega in pensione
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1) - perequazione del trattamento pensionistico in godimento sulla base dei miglioramenti economici conferiti al personale di pari qualifica in attività di servizio.

2) - l’odierna causa ripropone la questione della vigenza nell’ordinamento del principio di automatico collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del personale in servizio.

3) - Condividendo l’orientamento della Corte di Cassazione, rivendica questo Giudice a sé il compito di interpretare in modo autonomo ed indipendente le norme costituzionali in materia pensionistica ...;

4) - Come è noto, nella Costituzione italiana non esiste una previsione espressa della applicazione diretta dei diritti costituzionali nei rapporti intersoggettivi ......;

5) - Nel quadro della giurisprudenza costituzionale, non solo non è dato rinvenire alcuna affermazione in contrasto con la c.d. drittwirkung dei giudici, ma plurime sono addirittura le pronunzie a quella applicazione diffusa dei precetti costituzionali danno invece impulso.

6) - Per le ragioni sopra esposte non può condividersi l’orientamento seguito dalla Sezione III giurisdizionale centrale di appello, indicato dalla parte convenuta nella sua memoria.

Ricorso della Corte dei Conti Puglia ACCOLTO

Per comprendere l'argomento e i motivi, v'invito ha leggere il tutto qui sotto.
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PUGLIA SENTENZA 486 16/06/2014


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PUGLIA SENTENZA 486 2014 PENSIONI 16/06/2014


Sent. 486/2014

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PUGLIA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
( Art. 5 L. 205/2000 )

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso, iscritto al n 28751 del registro di segreteria, proposto dai Sigg.ri MAIORANO Roberto, BARAMATO Fiore, CICERELLO Nicola, CIURLIA Antonio, MINGIONE Luigi, SCARCIGLIA Rosario, ROLLO Cosima,Lina Cesaria, DE CARLO Mario, DELL’AQUILA Leonardo Ciro,CALVANO Ruggiero, RICCI Giuseppe Antonio, PUTALIVO Giuseppe, QUARTA Romano, RIZZO Guglielmo, RIA Giuseppe, CURSANO Emilio, LAFORNARA Domenico, ACCOGLI Antonio, PANDELLI Donato, GIANNONE Carmelo, DE VINCENZO Francesca, RIGNANESE Pasquale, BISCEGLIA Matteo, PROVENZANO Cosimo, COLETTA Fernando Antonio, D’EREDITA Vito, PETROSILLO GIUSEPPE, RENNA Donato, BALLI Emanuele, VITULANO Raffaele, LAMONACA Alberto, GRIPPA Cataldo, CATINO Luigi, MIMMO Michele – tutti rapp.ti e difesi dall’avv. Rocco Capuzzi , giusta mandato in atti;

contro
I.N.P.S. – Gestione Ex I.N.P.D.A.P. , in persona del legale rappresentante p.t.;

Ministero degli Interni, in persona del Ministro p.t.;

Comando generale dell’Arma dei Carabinieri

Comando Generale della Guardia di Finanza

per l’accertamento
del diritto alla perequazione del trattamento pensionistico.

Uditi alla pubblica udienza del 13 maggio 2014 l’avv. Marcella Mattia, per l’I.N.P.S. – Gestione Ex I.N.P.D.A.P. , il quale si riporta alla memoria depositata chiedendone l’accoglimento; il Mar. Donato Pascazio, in rappresentanza del Comando Generale della Guardia di Finanza, il quale conclude in senso conforme agli scritti depositati

Visto il ricorso, in epigrafe;
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;

Considerato in

FATTO E DIRITTO

I ricorrenti hanno chiesto con il ricorso in epigrafe la perequazione del trattamento pensionistico in godimento sulla base dei miglioramenti economici conferiti al personale di pari qualifica in attività di servizio.

In via pregiudiziale deve pronunciarsi questo Giudice sulla eccezione di estinzione sollevata dall’Istituto di previdenza sul presupposto che i ricorrenti avrebbero dovuto riassumere il giudizio interrotto a seguito della soppressione dell’I.N.P.D.A.P. nel termine perentorio previsto dall’art. 305 c.p.c., in quanto finalità della estinzione è quella di tutelare la parte che subisce l’evento interruttivo e non già quella di far venire meno ogni tutela per la controparte, siccome si verificherebbe nella fattispecie all’esame in cui l’evento interruttivo non si riferisce al ricorrente.

Deve parimenti respingersi l’eccezione di nullità sollevata per genericità ed infondatezza della domanda, in quanto la mancata indicazione della amministrazione di appartenenza non costituisce requisito di validità della domanda giudiziaria.

Tanto premesso, l’odierna causa ripropone la questione della vigenza nell’ordinamento del principio di automatico collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del personale in servizio.

Il suddetto principio non è, in effetti, contenuto in alcuna espressa disposizione legislativa che lo sancisca in termini generali, ma viene di volta in volta invocato quando si ponga per una categoria di pubblici dipendenti la necessità di uno speciale adeguamento del trattamento di quiescenza, in relazione ad una dinamica salariale del personale in servizio che venga a discostarsi in misura notevole dai valori economici precedentemente attribuiti e sui quali veniva calcolato il trattamento di quiescenza.

La Corte costituzionale ( sent. n. 409 del 1995 ) ha avuto occasione di affermare che i modi attraverso i quali perseguire l’obiettivo dell’aggiornamento delle pensioni dei pubblici dipendenti possono essere, in via di principio, o la riliquidazione ( allineamento delle pensioni al trattamento di attività di servizio di volta in volta disposto con apposita legge ) o la c.d. “ perequazione automatica “ consistente in un meccanismo normativamente predeterminato, che adegui periodicamente i trattamenti di quiescenza agli aumenti retributivi intervenuti mediamente nell’ambito delle categorie del lavoro dipendente.

E’ certo, comunque, che solo in casi particolari il legislatore ha ritenuto di agganciare automaticamente la pensione allo stipendio , dettando apposite disposizioni ( cfr. art. 2, comma 2°, L. 27 ottobre 1973 n. 629, recante nuove disposizioni per le pensioni privilegiate ordinarie in favore dei superstiti dei caduti nell’adempimento del dovere, appartenenti ai Corpi di Polizia ).

Va in proposito ricordato che la Sezione III Giurisdizionale Pensioni Civili, con decisione n. 49970 del 12 maggio 1982, si era in origine espressa nel senso che l’articolo 11 della L. 24 maggio 1951 n. 392 avesse introdotto nell’ordinamento il principio dell’ adeguamento permanente delle pensioni del personale di magistratura alle retribuzioni dei pari grado in servizio, senza bisogno di appositi provvedimenti legislativi.

Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, ritenuto che detta norma non avesse valore di disposizione a carattere generale intesa a tale automatico e permanente adeguamento pensionistico, con ordinanza n. 104 del 24 giugno 1985 avevano investito la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della normativa nel frattempo intervenuta, che non prevedeva criteri atti a garantire trattamenti pensionistici proporzionati alla quantità e qualità del lavoro prestato.

Con sentenza n. 501 del 21 aprile/5 maggio 1988 la Corte costituzionale, preso atto del cospicuo divario che, per il personale di magistratura, si era verificato tra pensioni e retribuzioni a seguito della L. 6 agosto 1984 n. 425 dopo avere affermato “ l’esigenza di un costante adeguamento “ dei due trattamenti, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 3 comma 1 e 6 della L. 17 aprile 1985 n.141 nella parte in cui avevano disposto rivalutazioni percentuali invece di assicurare l’ adeguamento attraverso una apposita riliquidazione, con decorrenza 1° gennaio 1988, delle pensioni dei soggetti esclusi dai nuovi stipendi perché collocati in quiescenza anteriormente al 1° luglio 1983.

A seguito dei detta sentenza, alcuni magistrati, avendo già beneficiato della riliquidazione sulla base del trattamento spettante in applicazione della L. n.425/1984, chiesero l’ulteriore adeguamento automatico della loro pensione, come sopra liquidata, alle successive variazioni del trattamento di attività ottenute dai pari grado alle date del 1° gennaio 1989 e 1° gennaio 19990, nonché il riconoscimento del diritto all’ adeguamento permanente in relazione ad ulteriori aumenti futuri, per effetto del meccanismo di incremento costante previsto dall’articolo 2 della L. 19 febbraio 1981 n. 27.

La giurisprudenza di questa Corte ( SS.RR.14 novembre 1988 n. 76/c ; Sezione del controllo 17 novembre 1988 n. 2021; Sezione III Giurisdizionale Pensioni Civili, nn. 62911, 62912 e 62913 del 20 marzo 1989 ) si pronunciò inizialmente in senso favorevole ai ricorrenti.

Secondo tale giurisprudenza si era sostanzialmente instaurato un meccanismo di aggancio automatico e perenne tra pensioni e stipendi dei magistrati.

Successivamente, però, la stessa Sezione III Giurisdizionale Pensioni Civili, con ordinanza del 21 maggio 1990, constatata l’esistenza di un vuoto legislativo che legittimasse tale principio, denunciava l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’articolo 2 della L. 19 febbraio 1981.

La Corte costituzionale, non condividendo la prospettata questione di legittimità costituzionale, con ordinanza n. 95 dell’11/16 febbraio 1991 ne dichiarava la manifesta inammissibilità, rilevando che “ una sentenza atta ad innestare nella normativa pensionistica n meccanismo di adeguamento periodico concepito per il personale di servizio “, comportando varietà di scelte e molteplicità di implicazioni, sarebbe stato il risultato di attività “ certamente estranea al sindacato di costituzionalità e viceversa propria del legislatore”.

Il legislatore interveniva qualche mese dopo, con la L. 8 agosto 1991 n. 265, sottoposta, come è noto al vaglio della Corte costituzionale in più riprese e sotto diversi profili di incostituzionalità.

Con sentenza n. 42 del 28 gennaio/10 febbraio 1993 la Corte costituzionale affermava che “ il legislatore, nell’escludere dalla riliquidazione delle pensioni l’applicabilità del meccanismo di adeguamento aveva esercitato una discrezionalità sua propria “, volendo limitare gli effetti dello stesso nell’ambito esclusivo del trattamento stipendiale per il quale era stato concepito.

Nel ribadire che esula dai limiti del controllo di legittimità l’operazione additiva consistente in una mera trasposizione dell’istituto nel settore pensionistico ( dichiarando, quindi, inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale ) la Corte osservava tuttavia che “ la radicale opzione nel senso di cristallizzare la riliquidazione alle misure stipendiali dal 1° luglio 1983, senza alcun conto, neppure parziale, degli adeguamenti, né prima né dopo “ non può non prospettarsi come fattore di nuove e ulteriori divaricazioni tra pensioni e stipendi, rappresentando l’ipotesi che nel medio periodo l’andamento delle retribuzioni finirà per discostarsi dalle pensioni “ ben al di là di quel ragionevole rapporto di corrispondenza, sia pure tendenziale ed imperfetto “ a suo tempo richiesto dalla stessa Corte ai sensi degli articoli 3 e 36 della Costituzione, con la ovvia conseguenza che le considerazioni svolte nella sentenza n, 501 del 1988 a proposito dell’omesso calcolo delle anzianità pregresse ben potrebbero alla mancata previsione di un qualsivoglia meccanismo di raccordo tra variazioni retributive indotte dagli aumenti del pubblico impiego e computo delle pensioni, così determinando l’esigenza di un riesame della questione di costituzionalità ( 2un riesame della questione di costituzionalità si sarebbe reso necessario ove nel futuro la divaricazione fra stipendi e pensioni si discostasse da un ragionevole rapporto di corrispondenza “ ).

Successivamente, con sentenza n. 409 del 20/27 luglio 1995, la Corte costituzionale dichiarava ancora una volta non fondate o manifestamente infondate alcune questioni sollevate dalla sezione Giurisdizionale Sicilia e dalla Sezione Giurisdizionale Lazio, e pur riaffermando il principio costituzionale di proporzionalità ed adeguatezza della pensione, da garantire non soltanto con riferimento al momento del collocamento a riposo ma anche in prosieguo, in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta, rilevava che all’attualità ( e, quindi, nel 1995 ) tutto ciò appare assicurato dai meccanismi perequativi e rivalutativi esistenti, ribadendo che spetta al legislatore ragionevolmente soddisfare nel tempo detta esigenza ed escludendo che questo comporti inderogabilmente un costante e periodico allineamento delle pensioni al corrispondente trattamento di attività di servizio.

Inoltre, con ordinanza n.531 del 6/18 dicembre 2002, la Corte costituzionale interveniva nuovamente sul tema, investita dalla Sezione Giurisdizionale Regionale Puglia, riaffermando i suddetti principi e, in particolare, che spetta al legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’articolo 38 della Costituzione - con riguardo al “ bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa…con il limite comunque di assicurare “ la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona “ ( sentenza n. 457 del 1998 )” e aggiungendo qualcosa di più: e cioè, che “ l’esigenza di adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita è assicurata attraverso il meccanismo della perequazione automatica del trattamento pensionistico ( attualmente disciplinato dal d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 “…. )”.

Tale meccanismo di adeguamento al costo della vita è stato considerato dalla Corte costituzionale, con sentenza n.30 del 13/23 gennaio 2004, emessa su rimessione della Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale, idoneo ad assicurare il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione, e la sua validità è stata ribadita con la recente ordinanza n. 383 dell’1/14 dicembre 2004, nella quale è stata respinta la questione di legittimità costituzionale – sollevata dalla sezione Giurisdizionale Regionale Calabria - della mancata previsione, ad opera della L. 141 del 1985, della riliquidazione del trattamento pensionistico dei pubblici dipendenti collocati a riposo, a far data dal 1° gennaio 1988.

Sulla base di quanto sopra, la giurisprudenza costante della Corte dei conti è nel senso della inesistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di un principio di adeguamento automatico delle pensioni alle retribuzioni ( cfr., ad es., Sez. Reg. Lombardia 20 novembre 2002 n. 1906 ) .

Ciò premesso, deve precisarsi che la costruzione giurisprudenziale della inesistenza di un principio costituzionale che garantisca il costante adeguamento delle pensioni al successivo trattamento economico dell’attività di servizio risente dell’influenza esercitata in subjecta materia dalle decisioni emesse dalla Corte costituzionale, che appartengono alla tipologia delle decisoni di rigetto.

Tale tipo di decisioni non pone particolari problemi, a differenza delle decisioni interpretative di rigetto, contraddistinte dall’inserimento nel dispositivo delle parole “ nei sensi in motivazione “, formula con la quale si intende esprimere il carattere condizionale della sentenza e la portata di “ doppia pronuncia “ che essa assume.

In relazione a queste ultime, infatti, si è acceso recentemente il conflitto fra la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale in ordine al problema della loro efficacia.

Hanno affermato, infatti, le Sezioni Unite penali, con la sentenza del 17 maggio 2004 n. 23016, il seguente principio di diritto: “ Le decisoni interpretative di rigetto della Corte costituzionale non hanno efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimità costituzionale di norme, e pertanto determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione “.

L’occasione è stata offerta dalla interpretazione – contrastata da molti giudici di merito e dalla stessa Cassazione - secondo cui l’articolo 303, comma 2°, del c.p.p. non è in contrasto con il dettato costituzionale. Si tratta della norma secondo cui, in caso di regresso del processo, per l’imputato detenuto ricominciano a decorrere i termini della fase della custodia cautelare. Norma che la Consulta ha ritenuto costituzionale con la sentenza n. 292 del 1998, che è interpretativa di rigetto, come le successive ordinanze, con le quali è stata dichiarata la infondatezza ( n. 429/1999 ) o la inammissibilità ( n. 243/2003, n. 335/2003, n.59/2004 ) delle medesime questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di merito.

Osservano le Sezioni Unite penali, nella sentenza n. 23016/2004 cit., che “ L’autonomia e l’indipendenza del giudice nell’interpretazione della legge sono presidiate, a loro, volta dalla garanzia apprestata dalla specifica previsione dell’articolo 101, comma 2, Costituzione, dalla quale direttamente deriva la rigida tutela di un tale potere da possibili interferenze e condizionamenti esterni…” e che “…l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione ad ogni giudice non riguarda soltanto le operazioni ermeneutiche aventi ad oggetto leggi ordinarie ed atti con forza di legge, ma si estende al contenuto e alla portata delle disposizioni costituzionali, che si inseriscono nell’ordinamento come norme-principio, conformando i lineamenti del sistema e ponendosi quali imprescindibili parametri di riferimento nell’interpretazione delle disposizioni che lo costituiscono “.

Condividendo l’orientamento della Corte di Cassazione, rivendica questo Giudice a sé il compito di interpretare in modo autonomo ed indipendente le norme costituzionali in materia pensionistica ( artt. 36 e 38 ) - a maggior ragione , come nel caso in esame , in presenza di una interpretazione della Corte costituzionale espressa attraverso decisioni ( mere ) di rigetto, che non vincolano il giudice - giungendo ad affermare la vigenza nel nostro ordinamento di un principio di collegamento delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni del settore pubblico sulla base della applicazione diretta degli artt. 36 e 38 della Costituzione.

Come è noto, nella Costituzione italiana non esiste una previsione espressa della applicazione diretta dei diritti costituzionali nei rapporti intersoggettivi, corrispondente al § 3 dell’art. 1 della legge fondamentale ( Grundgesetz ) della Repubblica federale tedesca del 1949 , anche se questa efficacia diretta orizzontale - la c.d. drittwirkung – è stata ormai riconosciuta dalla Corte costituzionale ( ad es., nelle sentt. 122/1970 e 88/1979 in tema di diritto alla salute, considerato suscettibile di fondare direttamente la pretesa del lavoratore di ottenere il risarcimento del danno determinato dalle condizioni di lavoro nell’impresa; nelle sent. 156/1971 e 177/1984, in tema di diritto del lavoratore ad una retribuzione minima, ex art. 36 cost. ), nonché dalla Corte dei Cassazione ( in tema di contratti: n.10511/1999; in tema di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo: n. 4083/1996 e n.500/1999; in tema di risarcimento del danno alla persona: n.7713/2000 , n.8828/2003 e 233/2003; in tema di sequestro penale: n. 3572/1995; in tema di diritto alla salute: n. 3870/1994) e dalla dottrina.

Nel quadro della giurisprudenza costituzionale, non solo non è dato rinvenire alcuna affermazione in contrasto con la c.d. drittwirkung dei giudici, ma plurime sono addirittura le pronunzie a quella applicazione diffusa dei precetti costituzionali danno invece impulso.

La posizione della Corte nei riguardi dell’istituto in esame si esprime in particolare : a) dando l’istituto stesso per presupposto e facendovi richiamo come dato complementare di disciplina di determinate materie ( n.333/1991 ); b) esortando anzi i giudici a farne applicazione ( n. 34/1973 ); c) rimarcandone addirittura la necessità in determinati contesti normativi ( n.184/1986 ); d) rimovendo, infine, ostacoli, frapposti dal legislatore ordinario, alla sua operatività ( n. 313/1990 )

Un principio equivalente a quello della c.d. drittwirkung è peraltro ricavabile per implicito dall’incipit dell’articolo 2 della Costituzione italiana, per cui “ la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo “ ( cfr., Cass. 20 aprile 1994 n.3775 ).

Staccandosi dal piano puramente concettuale, ci si accorge che l’utilizzo della applicazione diretta ( cfr., di recente, Corte cost. n. 512/2002 ) presuppone una concezione della Costituzione vista non soltanto in posizione di difesa nei riguardi di interventi positivi del legislatore ma come atto normativo idoneo a soddisfare in modo diretto, senza la necessaria intermediazione legislativa, la domanda di giustizia che proviene dalla società.

La Corte costituzionale, data la natura di retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico, ha costantemente affermato il principio della proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore della sua famiglia, nel pieno rispetto dell’art. 36 Cost. ( sentenze n. 243 del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980 e n. 124 del 1968 ) e tuttavia ha altrettanto costantemente affermato che non esiste un principio costituzionale che possa garantire l’ adeguamento costante delle pensioni agli stipendi, spettando alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost. sulla base di un “ ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti (…) compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per farvi fronte ai relativi impegni di spesa “ ( sentenza n. 119 del 1991 ) - nello stesso senso, cfr. ordinanza n. 531 del 2002 e sentenze n. 457 del 1998 e n. 226 del 1993 - ma con il limite, comunque, di assicurare “ la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona “ ( sentenza n. 457 del 1998 ).

La stessa Corte costituzionale ha, comunque, affermato che l’eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due trattamenti può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia ( sentenze n. 409 del 1995 e n. 226 del 1993 ) .

Nella presente situazione delle pensioni del settore pubblico, pertanto, sembra non si possa individuare più l’esercizio di una discrezionalità legislativa nell’attuare – sia pur variamente – l’ adeguamento costante tra i due tronconi del trattamento retributivo ( quello di attività e quello pensionistico ) ma che si debba parlare di una completa negazione di quel principio di “ solidarietà “ tra lavoratori e pensionati, cui si deve affiancare una solidarietà più ampia dell’intera collettività, come argomenta la sentenza costituzionale n. 226/1993; si tratta di principi che - aggiunge la sentenza –se non richiedono una rigorosa corrispondenza tra contribuzioni e prestazioni previdenziali esigono però un limite di ragionevolezza nel legiferare che sembra nella specie del tutto obliterato, non essendoci più alcuna commisurazione delle pensioni agli stipendi.

Né può essere dimenticato che se è vero – come la Corte costituzionale ha più volte rilevato – che il legislatore deve farsi carico della non illimitatezza delle risorse finanziarie, è anche vero che dalla natura retributiva del trattamento di quiescenza sembrano derivare conseguenze non trascurabili ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione.

Per le ragioni sopra esposte non può condividersi l’orientamento seguito dalla Sezione III giurisdizionale centrale di appello, indicato dalla parte convenuta nella sua memoria.

In applicazione, quindi, degli articoli 36 e 38 della Costituzione ritiene questo Giudice, per le considerazioni sopra espresse, che debba essere affermato il diritto dei ricorrenti alla perequazione del trattamento pensionistico, con aggancio ai miglioramenti economici concessi al personale di pari qualifica ed anzianità in attività di servizio.

Sulle somme in tal senso dovute spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge.

Sussistono gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio, in considerazione della natura della controversia.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso n° 28751 e, per lo effetto, accerta il diritto dei ricorrenti alla perequazione della pensione, con collegamento al trattamento stipendiale dei dipendenti di pari anzianità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nella misura di legge, nei sensi in motivazione.

Spese di giudizio compensate.
Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del tredici maggio duemilaquattordici.
IL GIUDICE
F.to ( V. Raeli )

Depositata in Segreteria il 16/06/2014

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malattie a lunga latenza o meno, ricorso ACCOLTO
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1) - ricorso avverso le note del Ministero della Difesa in data 5.5.2011 e 21.3.2012, e pedissequo decreto del 28/01/2011, reiettivi dell’istanza di riliquidazione della pensione privilegiata ordinaria.

2) - ex OMISSIS dei Carabinieri in congedo dal 25.03.1997 e titolare di pensione privilegiata ordinaria di 6^ ctg. a vita, concessa con DM del 09.12.2004 – si duole del diniego opposto dal Ministero della Difesa con il decreto impugnato, in ordine alla domanda presentata in data 28.10.2008, per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle ulteriori infermità
- ) - ”Esiti di colectomia per K colon”,

- ) - “Esiti intervento chirurgico aorta addominale”,

- ) - “Esiti intervento chirurgico cataratta occhio sx e dx”,

e per il riconoscimento dell’aggravamento delle infermità già pensionate, ai fini di rivalutazione della pensione in godimento.

3) - Chiede, l’accoglimento del ricorso con il riconoscimento del proprio diritto alla riliquidazione della pensione nella migliore misura di 1^ ctg, (in subordine 2^ ctg.) derivante dal riconoscimento delle nuove infermità e dell’aggravamento di quelle già pensionate

4) - A base del predetto diniego il Ministero ha opposto l’intempestività della domanda, ai sensi dell’art. 169 DPR n. 1092/73, in quanto, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 323/2008, le infermità riscontrate non rientrerebbero tra quelle a lunga latenza, senza peraltro pronunciarsi sull’aggravamento delle infermità già pensionate.

5) - Risulta dagli atti che, a seguito della visita collegiale presso la CMO di Roma in data 17.06.2009, le infermità già pensionate sono state assegnate, nel complesso, a 3^ ctg. a vita, elevata alla 1^ ctg. a vita qualora le infermità di nuovo riscontro siano riconosciute dipendenti da c.s.

6) - Il Ministero della Difesa ha chiesto il rigetto del ricorso, ..., e osservando che la domanda del 25.10.08 era stata prodotta oltre il termine quinquennale dal collocamento in congedo del militare, eccependo altresì il difetto di giurisdizione di questa Corte in relazione alla domanda di riconoscimento di equo indennizzo.

LA CORTE DEI CONTI precisa:

7) - Osserva, al riguardo, questo Giudice che nel ricorso non è contenuta alcuna richiesta di riconoscimento del diritto ad equo indennizzo, bensì la sola doglianza relativa al mancato riconoscimento della rivalutazione della pensione privilegiata in godimento, a causa della pronuncia di inammissibilità della domanda del 2008, relativa alle nuove infermità.

8) - Ciò posto, osserva ancora questo giudice che, ai sensi dell’art. 169 DPR n. 1092/73, la domanda per conseguire trattamento privilegiato non è ammessa se il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione dal servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o lesioni contratte.

9) - La Corte Costituzionale, con sentenza n. 323/2008, ha dichiarato l’illegittimità del predetto articolo nella parte in cui non prevede che, laddove la malattia insorga dopo cinque anni dalla cessazione dal servizio, il termine quinquennale di decadenza decorra dalla manifestazione della malattia stessa, e ciò per scongiurare una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che hanno contratto malattie a normale decorso e coloro che hanno contratto patologie a lunga latenza.

10) - Al riguardo, la tesi dell’Amministrazione – secondo cui le infermità in questione non sarebbero a lunga latenza, e che perciò la domanda dell’interessato va dichiarata intempestiva, alla luce del previgente (non emendato) art. 169 citato – non può essere condivisa, e ciò per due ordini di motivi.

11) - In ogni caso, ..... non può condividersi la tesi dell’Amministrazione secondo cui, nella fattispecie, le infermità dedotte ........ non rientrino tra quelle a lungo decorso, per evidenti ragioni che possono agevolmente dedursi dalla comune esperienza, oltre che dalla scienza medica.

- ) - Il carcinoma del colon, infatti, come tutte le infermità tumorali, ha natura degenerativa e si manifesta dopo un periodo di latenza la cui durata può variare da una forma di tumore all’altra, ma che sicuramente esclude ogni manifestazione istantanea della patologia.

- ) - Così dicasi per l’aneurisma addominale, che consiste in una dilatazione dell’aorta nel tratto addominale, ed il cui lento decorso è dimostrato dalla circostanza, comunemente riconosciuta dalla scienza medica, che tale patologia è presente nelle persone ultrasessantenni ed è asintomatica. Da studi in materia, infatti, è stata riscontrata un'alta percentuale di persone inconsapevoli di essere portatori di tale patologia.

- ) - Quanto alla cataratta, essa è il risultato di un processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino. Questo processo, legato a fenomeni di ossidazione delle proteine che lo costituiscono, è il risultato di un fenomeno biochimico che si verifica con l'aumentare dell'età, dunque a carattere progressivo e latente.

12) - Di conseguenza, nella specie, poiché dette infermità si sono manifestate, rispettivamente, nel 2004 e nel 2005 (come risulta in atti), la domanda del ricorrente, presentata il 25.10.2008, risulta tempestiva, ai sensi dell’art. 169 DPR n. 1092/73, come emendato dalla sentenza n. 323/2008 della Corte Costituzionale, dovendosi fissare la decorrenza del quinquennio di decadenza da tali predette date.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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LAZIO SENTENZA 22 08/01/2014


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO SENTENZA 22 2014 PENSIONI 08/01/2014



Sent 22/2014

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO

in composizione monocratica
nella persona del Consigliere Maria Teresa Docimo,
in funzione di Giudice Unico delle pensioni

ha pronunciato la seguente

SENTENZA PARZIALE

Sul ricorso iscritto al n. 72127/M del registro di Segreteria, presentato da C. F., elettivamente domiciliato a Roma, in via Tagliamento n. 76, presso lo studio dell’avv. Fausto Tersitano, che lo rappresenta e difende nel presente giudizio, avverso le note del Ministero della Difesa in data 5.5.2011 e 21.3.2012, e pedissequo decreto del 28/01/2011, reiettivi dell’istanza di riliquidazione della pensione privilegiata ordinaria.

Alla pubblica udienza del 4 dicembre 2013 è presente il dott. Michele Grisolia per il Ministero della Difesa, che chiede il rigetto del ricorso.

Esaminati gli atti.

F A T T O E D I R I T T O

Con il ricorso in epigrafe il sig. F. C. – ex OMISSIS dei Carabinieri in congedo dal 25.03.1997 e titolare di pensione privilegiata ordinaria di 6^ ctg. a vita per le infermità “spondiloartrosi diffusa del rachide”, “coxartrosi bilaterale” “bronchite cronica” e poliartromialgia reumatica”, concessa con DM del 09.12.2004 – si duole del diniego opposto dal Ministero della Difesa con il decreto impugnato, in ordine alla domanda presentata in data 28.10.2008, per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle ulteriori infermità “”Esiti di colectomia per K colon”, “Esiti intervento chirurgico aorta addominale”, “Esiti intervento chirurgico cataratta occhio sx e dx”, e per il riconoscimento dell’aggravamento delle infermità già pensionate, ai fini di rivalutazione della pensione in godimento.

Chiede, conclusivamente, l’accoglimento del ricorso con il riconoscimento del proprio diritto alla riliquidazione della pensione nella migliore misura di 1^ ctg, (in subordine 2^ ctg.) derivante dal riconoscimento delle nuove infermità e dell’aggravamento di quelle già pensionate, con interessi e rivalutazione e vittoria di spese.

A base del predetto diniego il Ministero ha opposto l’intempestività della domanda, ai sensi dell’art. 169 DPR n. 1092/73, in quanto, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 323/2008, le infermità riscontrate non rientrerebbero tra quelle a lunga latenza, senza peraltro pronunciarsi sull’aggravamento delle infermità già pensionate.

Risulta dagli atti che, a seguito della visita collegiale presso la CMO di Roma in data 17.06.2009, le infermità già pensionate sono state assegnate, nel complesso, a 3^ ctg. a vita, elevata alla 1^ ctg. a vita qualora le infermità di nuovo riscontro siano riconosciute dipendenti da c.s.

All’odierna pubblica udienza il rappresentante del Ministero della Difesa ha chiesto il rigetto del ricorso, richiamandosi alla memoria scritta depositata all’odierna udienza, e osservando che la domanda del 25.10.08 era stata prodotta oltre il termine quinquennale dal collocamento in congedo del militare, eccependo altresì il difetto di giurisdizione di questa Corte in relazione alla domanda di riconoscimento di equo indennizzo.

Osserva, al riguardo, questo Giudice che nel ricorso non è contenuta alcuna richiesta di riconoscimento del diritto ad equo indennizzo, bensì la sola doglianza relativa al mancato riconoscimento della rivalutazione della pensione privilegiata in godimento, a causa della pronuncia di inammissibilità della domanda del 2008, relativa alle nuove infermità.

Va, altresì osservato – al fine di circoscrivere esattamente l’oggetto del ricorso - che il diniego impugnato comprende anche, implicitamente, il mancato aggravamento e/o rivalutazione delle infermità già pensionate con 6^ ctg. a vita, ritenute ascrivibili nel complesso alla 3^ ctg. a vita dalla CMO nella predetta visita di riferimento.

Ciò posto, osserva ancora questo giudice che, ai sensi dell’art. 169 DPR n. 1092/73, la domanda per conseguire trattamento privilegiato non è ammessa se il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione dal servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o lesioni contratte.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 323/2008, ha dichiarato l’illegittimità del predetto articolo nella parte in cui non prevede che, laddove la malattia insorga dopo cinque anni dalla cessazione dal servizio, il termine quinquennale di decadenza decorra dalla manifestazione della malattia stessa, e ciò per scongiurare una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che hanno contratto malattie a normale decorso e coloro che hanno contratto patologie a lunga latenza.

Al riguardo, la tesi dell’Amministrazione – secondo cui le infermità in questione non sarebbero a lunga latenza, e che perciò la domanda dell’interessato va dichiarata intempestiva, alla luce del previgente (non emendato) art. 169 citato – non può essere condivisa, e ciò per due ordini di motivi.

In primo luogo, sulla base di quanto disposto nella pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 323/2008, ove è affermato che “con riferimento ai casi nei quali la malattia insorga allorché siano già decorsi cinque anni dalla cessazione dal servizio – ferma restando la disciplina attuale per le altre ipotesi (vale a dire quelle in cui la malattia insorga entro i cinque anni dal servizio) – occorre che la norma impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che, in tale ipotesi (vale a dire insorgenza della malattia dopo i cinque anni) il termine quinquennale di decadenza per l’inoltro della domanda di accertamento (…) decorra dalla manifestazione della malattia stessa”(v. ultima parte del ‘considerato’ e conforme dispositivo), fermo restando ogni rigoroso accertamento sulla dipendenza dal servizio dell’infermità medesima.

Tale formulazione del giudizio di costituzionalità, dunque, sembra postulare la necessità della diversa decorrenza del termine di decadenza sulla base della sola manifestazione di infermità dopo il quinquennio dalla cessazione dal servizio, fermo restando ogni necessario approfondimento sulla dipendenza.

In ogni caso, anche a voler riconoscere che la suddetta pronuncia di incostituzionalità postuli una previa disamina sulla natura stessa delle infermità, ai fini di stabilirne la lunghezza del decorso, latente o meno, non può condividersi la tesi dell’Amministrazione secondo cui, nella fattispecie, le infermità dedotte – vale a dire il carcinoma del colon, l’aneurisma addominale e la cataratta agli occhi – non rientrino tra quelle a lungo decorso, per evidenti ragioni che possono agevolmente dedursi dalla comune esperienza, oltre che dalla scienza medica.

Il carcinoma del colon, infatti, come tutte le infermità tumorali, ha natura degenerativa e si manifesta dopo un periodo di latenza la cui durata può variare da una forma di tumore all’altra, ma che sicuramente esclude ogni manifestazione istantanea della patologia.

Così dicasi per l’aneurisma addominale, che consiste in una dilatazione dell’aorta nel tratto addominale, ed il cui lento decorso è dimostrato dalla circostanza, comunemente riconosciuta dalla scienza medica, che tale patologia è presente nelle persone ultrasessantenni ed è asintomatica. Da studi in materia, infatti, è stata riscontrata un'alta percentuale di persone inconsapevoli di essere portatori di tale patologia.

Quanto alla cataratta, essa è il risultato di un processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino. Questo processo, legato a fenomeni di ossidazione delle proteine che lo costituiscono, è il risultato di un fenomeno biochimico che si verifica con l'aumentare dell'età, dunque a carattere progressivo e latente.

Di conseguenza, nella specie, poiché dette infermità si sono manifestate, rispettivamente, nel 2004 e nel 2005 (come risulta in atti), la domanda del ricorrente, presentata il 25.10.2008, risulta tempestiva, ai sensi dell’art. 169 DPR n. 1092/73, come emendato dalla sentenza n. 323/2008 della Corte Costituzionale, dovendosi fissare la decorrenza del quinquennio di decadenza da tali predette date.

Il ricorso è pertanto giuridicamente fondato e, come tale, va accolto, allo stato degli atti, limitatamente alla pronuncia di intempestività della domanda.

Poiché, peraltro, oggetto del ricorso è anche il riconoscimento del sostanziale diritto alla migliore misura della pensione, sulla base del riconoscimento delle nuove infermità e dell’aggravamento di quelle già pensionate, con separata ordinanza si è disposta l’acquisizione del verbale del Comitato di verifica, di cui agli artt. 10, 12 e 14 del DPR n. 461/2001, nonché del nuovo decreto che l’Amministrazione emetterà in sostituzione di quello impugnato, a seguito della presente pronuncia parziale di accoglimento, per pronunciarsi sul merito della domanda di pensione privilegiata ordinaria, sia sotto il profilo delle nuove infermità che sotto quello dell’aggravamento di quelle già pensionate, tenuto conto dei termini di cui al predetto Regolamento n. 461/2001, affinchè questo giudice possa pronunciarsi sul complessivo diritto pensionistico reclamato con il ricorso.

Sussistono apprezzabili motivi per compensare le spese.

P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la regione Lazio, definitivamente pronunciando su parte del ricorso

ACCOGLIE PARZIALMENTE

Il ricorso n. 72127/M presentato da C. F. e, per l’effetto, dichiara la tempestività della domanda di riliquidazione della pensione privilegiata ordinaria. Dispone, con separata ordinanza, gli incombenti procedurali indispensabili da parte dell’Amministrazione per la definitiva pronuncia sul merito della richiesta del ricorrente.

Rinvia alla definitiva pronuncia ogni statuizione sulle spese di giudizio. Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2013.
IL GIUDICE
f.to Maria Teresa DOCIMO

Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 08/01/2014

P. Il Direttore
f.to Domenica LAGANA’
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Quando il lavoro fa male alla salute e da diritto alla pensione privilegiata
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Lavoro usurante quello che ha compromesso l'esistenza di un sovrintendente della Polizia di Stato.

I giudici contabili gli riconoscono la pensione privilegiata per la patologia cardiaca causata dallo stress subìto.
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Corte dei Conti PUGLIA SENTENZA 563 28/07/2014

1) - si nega il riconoscimento di dipendenza da causa di servizio per l'infermità " pregresso infarto del miocardio in soggetto gia sottoposto a p.t.c.a. + stent e ipertensione arteriosa" e del relativo trattamento pensionistico privilegiato

2) - I giudici contabili hanno ammesso che le mansioni svolte dal poliziotto “possano essere considerate assimilabili ad un fattore di rischio cronico agente in modo continuo, intenso, in grado di assumere un particolare significato di “noxa patogena”, tale da poter assurgere a vero e proprio lavoro “usurante” per l’attività cardiaca, perché determinante uno squilibrio nell’organismo a causa dell’interessamento e coinvolgimento del muscolo cardiaco rispetto ad altri distretti dell’organismo.

3) - Il servizio svolto aveva assunto un “quantum” stressogeno di notevole rilevanza medico-legale in grado di favorire concausalmente in un soggetto l’insorgenza più rapida della cardiopatia ischemica manifestatasi sotto forma di angina pectoris”.
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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I poliziotti rischiano l'infarto

Le mansioni del poliziotto sono altamente stressanti ed in grado di favorire l'insorgenza di un infarto. Non e' richiesta l'inidoneità al servizio per il riconoscimento del trattamento privilegiato.

La Corte dei Conti nella sentenza del 9 aprile 2014 ha riconosciuto ad un poliziotto il trattamento pensionistico privilegiato per infermità dipendente da "cardiopatia ischemica acuta infarto infero laterale" in quanto tale patologia scaturisce da una molteplicità di fattori quali la familiarità, l'obesità, l'iperlipedemia, il diabete mellito, l'ipertensione arteriosa, ma anche da particolari condizioni di stress psico-fisico.

Lo stretto rapporto tra lo stess psico-fisico e l'innesco di meccanismi fisiopatologici per avere un'incidenza nel determinismo delle patologie cardiache deve essere continuo, intenso, fonte di patema per l'individuo e tale da assurgere a fattore usurante per il muscolo cardiaco e per la funzione circolatoria.

Tali circostanze sono state riconosciute dalla Corte dei Conti nelle rituali attività svolte dal Poliziotto in quanto caratterizzate da forti responsabilità decisionali con conseguente tensione psitica costante ed intensa.

La Corte dei Conti ha, quindi, considerato l'attività svolta dal Poliziotto ascrivibile ad un fattore di rischio cronico ed intenso sul cuore riconoscendo, pertanto, una concausalità nell'insorgenza dell'infarto del miocardio.
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CALABRIA SENTENZA 93 14/04/2014
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