Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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La qui sotto sentenza della CdC Sez. 3^ n. 2/2019, spiega tutto sulla prescrizione 5 o 10 anni dei ratei pensione ed Altro.

Interessante per come spiegata.

Da leggere tutta.
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Sezione TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 2 Pubblicazione 07/01/2019

Sent. 2/2019

Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di appello

Composta dai Sigg.ri magistrati:
Dott. Antonio Galeota Presidente f.f. rel.
Dott. ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
Dott. Marco Smiroldo Consigliere
Dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
Dott. Giovanni Comite Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso in appello in materia pensionistica N. 50588 proposto dal MEF, Direzione Generale servizi del Tesoro rappresentato e difeso dal funzionario delegato dott.ssa Antonella Giammichele, elettivamente domiciliato in Roma, via Casilina n. 3 contro xxx, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Lippi e Simonetta Marchetti, elettivamente domiciliato in primo grado nello studio di quest’ultima in Roma, via Paolo Emilio n. 71

avverso

la sentenza della Sezione giurisdizionale Lazio n. 59/2016 del 12.2.2016;

uditi, nella camera di Consiglio del giorno 7 novembre 2018 con l’assistenza del Segretario Sig.ra Maria Elisabetta Sfrecola il relatore, dott. Antonio Galeota e la dott.ssa Giammichele per il MEF.

FATTO

Con la impugnata sentenza la Sezione Lazio di questa Corte ha accolto il ricorso del sig. xxxx, con il quale l’interessato chiedeva di sentire dichiarare il suo diritto alla corresponsione dell’indennità integrativa speciale (d’ora in poi IIS) e della tredicesima mensilità in misura intera, ex tunc, dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico sul trattamento economico tabellare (iscrizione n.4083965), oltre interessi e rivalutazione dal giorno del dovuto e fino al soddisfo.

La Sezione territoriale riteneva fondata la richiesta di corresponsione di IIS sulla pensione tabellare anche nel caso di percezione di una pensione all’estero - di cui peraltro non è stata fornito alcun riscontro – attesa la sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1991 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 99 del DPR n. 1092 del 1973 (peraltro già abrogato dall’art. 2 della legge n. 82 del 1985 però solo a partire dalla entrata in vigore della stessa legge) nella parte ove non consentiva la liquidazione della IIS a quanti riscuotessero pensioni all’estero.

Quanto all’eccepita prescrizione quinquennale, rilevava la Sezione Lazio che con la citata sentenza della Corte costituzionale è intervenuto un atto interruttivo della prescrizione stessa, in relazione al quale, attesa l’inottemperanza dell’Amministrazione, va applicato il normale termine della prescrizione decennale, concludendo, quindi, nel senso dell’accoglimento del ricorso con interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge, da ogni singola scadenza fino al soddisfo.

Ha impugnato la sentenza il MEF, per non avere il GUP riconosciuto la sussistenza della prescrizione quinquennale, ritualmente eccepita dall’amministrazione; in subordine, anche a voler ritenere efficace, ai fini interruttivi del termine prescrizionale, la sentenza della Corte costituzionale, parimenti andava considerata la prescrizione quinquennale e non già quella decennale. In ulteriore subordine, anche in presenza di un atto interruttivo, esso non può avere altro effetto che quello di interrompere la prescrizione e fungere da dies a quo di un ulteriore termine prescrizionale il quale, peraltro, non può essere diverso da quello previsto dall’art. 2948 c.c.. Da quanto detto deriva, per il MEF, che il GUP non ha correttamente applicato il termine prescrizionale che, quindi, va fatto decorrere dalla sola data dell’istanza amministrativa del 12.11.2013, risultando, quindi, prescritte tutte le rate relative al periodo precedente al 12.11.2008, come correttamente fatto dalla amministrazione, che ha corrisposto con rata 4/2016, un importo pari a 32.605,07 €, con rata continuativa di € 861,96, coma da nota 25739 del 18.2.2016, comunicando che la stessa amministrazione stava provvedendo alla liquidazione degli interessi.

In secondo luogo, il MEF impugna la sentenza in epigrafe anche nella parte in cui, in forma asseritamente generica, statuisce su interessi e rivalutazione. L’amministrazione chiede che venga specificata la non spettanza della rivalutazione sulla suddetta pensione in quanto non compatibile con la natura risarcitoria della stessa, di tal che, a giudizio del MEF, sulla pensione competono solo gli interessi legali. Comunque, anche a voler ritenere applicabile alle pensioni tabellari l’art. 429, c. 3 cpc, esso va fatto decorrere dall’entrata in vigore della l. 205/2000 (SS.RR. 6/2008/QM).

Con ordinanza 30/2016 questa Sezione rigettava l’istanza di sospensiva interposta dalla amministrazione.

Nella odierna pubblica udienza la dott.ssa Giammichele si è riportata a quanto espresso in appello.

DIRITTO

L’appello del MEF è da accogliere con le puntualizzazioni che seguono.

L’appellante, con la prima doglianza, si grava, con articolati motivi, della illegittimità della sentenza impugnata per la violazione dell’articolo 2948 cod. civ., avendo in fattispecie il giudice di prime cure ritenuta applicabile la prescrizione decennale in luogo di quella quinquennale.

Osserva il Collegio che in materia di prescrizione dei ratei pensionistici opera l’articolo 2 del regio decreto legge 19 gennaio 1939, n.295, come modificato dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1985, n. 428 secondo cui: “...Le rate di stipendio e di assegni equivalenti, le rate di pensione e gli assegni indicati nel D.L.Lgt. 2 agosto 1917, n. 1278, dovuti dallo Stato, si prescrivono con il decorso di cinque anni. Il termine di prescrizione quinquennale si applica anche alle rate e differenze arretrate degli emolumenti indicati nel comma precedente spettanti ai destinatari o loro aventi causa e decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere."

A seguito dell’intervento del Giudice delle leggi (sentenza n. 50/1981), il legislatore ha previsto anche per i beneficiari di trattamenti di quiescenza erogati dallo Stato la disciplina della prescrizione quinquennale, estendendola, altresì, alle “... rate e differenze arretrate di rate di stipendio o assegni equivalenti e di pensione...” (comma 2°), mentre il termine decennale di prescrizione è stato riservato soltanto “... alle indennità una volta tanto che tengono luogo di pensione…” e alle “... indennità di licenziamento...” (comma 3°).

Il termine quinquennale di prescrizione si riferisce indistintamente a tutte le pensioni a prescindere dalla loro natura, sia essa retributiva (pensioni ordinarie dirette, di privilegio e di riversibilità) o risarcitoria/indennitaria (pensioni dirette e di riversibilità di guerra e privilegiate tabellari) nonché ai ratei di indennità integrativa speciale, trattandosi di componente accessoria al trattamento di quiescenza che segue la disciplina di quest’ultimo.

L’assoggettamento alla prescrizione quinquennale, previsto dal citato articolo 2, opera inoltre, non solo per i ratei di pensione liquidi ed esigibili, ma anche per quelli non ancora tali e, quindi, non ancora ammessi a pagamento (né a disposizione del creditore), come da giurisprudenza consolidata di questa Corte (ex multis, v. SSRR 16/QM/2003; 2^ Sez. App. sentt. n. 541/2012, n. 684/2012, n.303/2014, n.765/2014; Sez. 3^ App. n. 283/2012, nn. 852, 845 e 822/2011, 328/2016), avallato altresì dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 234 del 27 giugno 2008.

Pertanto, atteso che la suddetta norma speciale sulla prescrizione quinquennale dei ratei (articolo 2 r.d.l. 295 del 1939) non subordina il decorso della prescrizione all’avvenuta liquidazione delle somme da parte dell’ufficio, la sentenza impugnata va riformata in parte qua e l’appello interposto dal MEF va accolto sul punto, anche in relazione alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, che va ancorato alla data del 12.11.2013, risultando, quindi, prescritte tutte le rate relative al periodo precedente al 12.11.2008, come correttamente fatto dalla amministrazione, che ha corrisposto con rata 4/2016, un importo pari a 32.605,07 €, con rata continuativa di € 861,96, coma da nota 25739 del 18.2.2016, comunicando che la stessa amministrazione stava provvedendo alla liquidazione degli interessi.

Quanto al motivo di appello che espone una asserita carenza motivazionale della sentenza di primo grado in ordine al cumulo tra interessi e rivalutazione (denegato, in via principale, dalla amministrazione, o, in subordine, eventualmente disciplinato ai sensi della sentenza nomofilattica delle SS.RR. di questa Corte n. 6/2008/QM), il Collegio non ha motivo di discostarsi da un consolidato indirizzo giurisprudenziale che, sulla scorta della sentenza or ora menzionata, ha, sì, consolidato l’applicabilità dell’art. 429, comma 3, c.p.c. in materia di trattamento pensionistico di guerra e tabellare, ma con esclusivo riferimento, anche per i giudizi in corso, ai ratei scaduti dopo la data di entrata in vigore dell’art. 5, l. n. 205/2000, di cui è stata riconosciuta la portata innovativa per tali tipologie di pensioni. Per il periodo precedente, la rivalutazione può essere, invece, riconosciuta solo nei limiti dell’art. 1224, comma 2, c.c., spettando al pensionato fornire la prova del maggior danno da ritardato pagamento, che, da una osservazione mera (ed estrinseca, quanto alle funzioni di questa Sezione di appello) degli atti di causa, non appare essere stata fornita.

In sostanza, in applicazione della richiamata sentenza dell’Organo nomofilattico n. 6/QM/2008, si appalesa la fondatezza della richiesta dell’appellante, seppure avanzata in via dubitativa e subordinata alla pagina 7 dell’atto di appello, volta a far dichiarare la (riconosciuta) rivalutazione monetaria dei ratei pensionistici, nella parte eccedente gli interessi, dal 10 agosto 2000 all’effettivo soddisfo.

In tal senso l’appello del Ministero della Difesa va accolto anche con riferimento al secondo motivo di gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono determinate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Sezione Terza centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza o eccezione reiette, accoglie l’appello del MEF n. 50588 avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale Lazio n. 59/2016 del 12.2.2016 contro il sig. xxx e la riforma nel senso e nei limiti di cui in motivazione.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono determinate in euro 800,00.
Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 7 novembre 2018.
IL PRESIDENTE F.F.
(F.to Antonio Galeota)


Depositata in Segreteria il 7 Gennaio 2019


Il Dirigente
F.to Dott. Salvatore Antonio Sardella


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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Anche questa sentenza della CdC Sez. 1^ d'Appello n. 65/2019 tratta l'argomento della prescrizione Accogliendo l'appello del Ministero dell'Interno e relativo alla pensione privilegiata di un collega della PolStato.

prescrizione in 5 anni, come ratei e atti interruttivi.
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Allego 2 sentenze della CdC Sez. 3^ d'Appello proveniente da sentenze della CdC Veneto, la n. 149 e 150 per i motivi di cui al post.

In entrambe le sentenze si legge:

1) - Il terzo motivo d’appello, concernente la prescrizione del diritto alla ripetizione dei ratei deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione.

2) - In giurisprudenza è pacifico che per il recupero degli indebiti oggettivi, ex art. 2033 c.c., da parte della P.A., la prescrizione è quella ordinaria decennale, ex art.2946 c.c. (cfr. ex pluribus, Corte dei conti, Sezione III, sent. n.62696, del 12 gennaio 1989, Sezione II, sent. n. 228, del 10 luglio 2002, Sezione Veneto, sent. n.508, del 22 maggio 2006, Sezione I d’App., sent. n.302/2008/A, del 09 luglio 2008, Cass. Sezione Lavoro, sent. n.2111, del 10 marzo 1997, Sez. Trib., sent. n.10665, del 07 luglio 2003, Tar Liguria, sent. n.146, del 12 febbraio 2004).

3) - Quest’ultima decorre, in via di principio, dal giorno del pagamento delle maggiori rate o assegni non dovuti, integrante il requisito della liquidità ed esigibilità del credito (Sez. II n. 1022 del 2015 e 702 del 2017; Sez. III n. 10 del 2017) purché coincidente con il momento in cui <<…il diritto (al recupero) può essere fatto valere>>, così come statuito dall’art. 2935 c.c.

4) - Ciò significa che <<l’exordium praescriptionis>>, ossia il dies a quo della sua decorrenza, può essere impedito dal ricorrere di un’impossibilità legale che si frapponga all’esercizio del diritto da parte del suo titolare, ossia da parte dell’INPS.
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ricorso per revocazione inammissibile.

- appartenente al Corpo di polizia penitenziaria

- richiama l’art. art. 202, comma 1, lett. f del decreto legislativo n. 174/2016, l’art. 395 n. 4 cpc, l’art. 112 cpc.;

La CdC d'appello precisa:

1) - Si osserva preliminarmente che, ai sensi dell’art. 202 cgc le decisioni della Corte dei conti possono essere impugnate per revocazione – tra l’altro – quando vi sia stato errore di fatto.
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Sezione PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 223 Pubblicazione 09/10/2019

223/19

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai magistrati:
Agostino CHIAPPINIELLO Presidente
Enrico TORRI Consigliere relatore
Elena TOMASSINI Consigliere
Rossella CASSANETI Consigliere
Giuseppina MIGNEMI Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso per revocazione iscritto al n. 54237 del registro di segreteria proposto da C. A. , rappresentato e difeso dagli avv.ti Paolo Bonaiuti e Susanna Chiabotto, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, via Riccardo Grazioli Lante n. 16.

Contro
Ministero della Giustizia, non costituito

Avverso
la sentenza della Corte dei conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d' Appello n. XX/XXXX, depositata il XX XXXX XXXX, non notificata.

Uditi nella pubblica udienza del 30 settembre 2019, il relatore Cons. Enrico Torri e, su delega scritta degli avv.ti Paolo Bonaiuti e Susanna Chiabotto, l’avv. Andrea Musacchio, che ha concluso come in atti.
Visti gli atti e i documenti di causa.

FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe questa Sezione Centrale d’Appello ha dichiarato inammissibile l’appello promosso dal sig. C. A. avverso la sentenza n. XX/XXXX depositata il XX XXXXX XXXX della Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Veneto con cui il giudice di primo grado ha respinto - su conforme parere negativo della CMO di Padova e di due pareri dell’ULM presso il Ministero della Salute - il ricorso dell’interessato, quale appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, già titolare di assegno rinnovabile per quattro anni, volto al riconoscimento della pensione privilegiata per l’infermità duodenite bulbare.

In particolare, in sede di appello il sig. C. lamentava il difetto di istruttoria, la mancata acquisizione dell’intero fascicolo amministrativo da parte del giudice di prime cure, che inoltre si sarebbe limitato ad uniformarsi al parere del CTU, non facendo comprendere quale sia stato l’iter motivazionale che lo abbia condotto ad aderire alle tesi di quest’ultimo.

Con la sentenza di cui si chiede la revocazione il Collegio - dopo aver premesso che il vizio motivazionale che può dare ingresso all’esame del giudice di appello deve sostanziarsi nella radicale carenza di motivazione, ossia in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, fra di loro inconciliabili o comunque incomprensibili, sempre che i vizi emergano dalla sentenza in sé, esclusa una verifica da parte del giudice sulla adeguatezza della motivazione in raffronto con le risultanze probatorie – ha ritenuto che nel caso di specie non sussistesse tale vizio; ciò in quanto dalla lettura della sentenza gravata emerge che il primo giudice ha esposto esaustivamente le ragioni della propria adesione ai giudizi negativi espressi sulla dipendenza dalla causa di servizio delle infermità lamentate dall’appellante dall’ULM presso il Ministero della Salute; mentre, con riferimento al presunto difetto di istruttoria da parte del giudice di primo grado, lo stesso Collegio di appello ha osservato che il medesimo ha invece esperito approfondita istruttoria acquisendo due pareri da parte dell’organo tecnico ed ha deciso sulla base della completa valutazione degli atti del fascicolo di causa, né l’appellante indica, in modo specifico, quali atti di quest’ultimo il giudice avrebbe omesso di prendere in considerazione ovvero quali ulteriore documentazione avrebbe dovuto richiedere all’amministrazione; infine, a fronte di critiche solo generiche mosse alla CTU dall’appellante, il primo giudice non era tenuto a prenderle in considerazione, in modo analitico. Sulla base di quanto precede, la sentenza di appello ha concluso per l’insussistenza del lamentato vizio motivazionale della sentenza impugnata, ritenendo che il gravame, mirando ad un sostanziale riesame nel merito della controversia, vada dichiarato inammissibile, visto che l’appello in materia pensionistica è consentito per soli motivi di diritto.

Con il ricorso all’esame, il sig. C. lamenta l’errore di fatto revocatorio della sentenza in epigrafe; richiama l’art. art. 202, comma 1, lett. f del decreto legislativo n. 174/2016, l’art. 395 n. 4 cpc, l’art. 112 cpc.; in sostanza si contesta la mancata doverosa acquisizione del fascicolo amministrativo (art. 74 del rd n. 1038/1933), con conseguente alterazione delle garanzie del contraddittorio; la mancata indicazione del collegio medico adito per verificare ipotesi di incompatibilità; il mancato esame di atti puntualmente indicati; erronea valutazione di non cronicizzazione dell’affezione, argomentata anche sotto il profilo di una persistente gastrite che avrebbe dovuto condurre all’ascrizione a 8^ cat. tab. A.

Il Ministero della Giustizia non si è costituito.

DIRITTO

L’appello è inammissibile.

Si osserva preliminarmente che, ai sensi dell’art. 202 cgc le decisioni della Corte dei conti possono essere impugnate per revocazione – tra l’altro – quando vi sia stato errore di fatto.

Tale mezzo di impugnazione richiede, per la sua ammissibilità, la deduzione e la sussistenza di specifici vizi della sentenza e non può essere fondato su profili di censura diversi da quelli tassativamente indicati dalla norma.

Al riguardo si osserva, sul piano generale, che l’errore di fatto sussiste solo quando la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non ha costituito un punto controverso su cui la sentenza ha pronunciato.

Siffatto genere di errore deve avere il carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive e, tantomeno, di particolari indagini ermeneutiche, e non è comunque ravvisabile nelle ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio (Cass. civ., sez. I, 30 marzo 1998, n. 3317; Cass. civ., sez. II, 23 giugno 1999, n. 6388 ).

In sostanza, l’errore di fatto consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente rilevabile che abbia indotto il Giudice ad assumere la decisione per effetto della rappresentazione di un determinato fatto o di una certa situazione in maniera divergente da quella che risulta incontestabilmente dagli atti e dai documenti processuali; sempre che tale rappresentazione sia la conseguenza di una mera supposizione e non di un giudizio, quale sarebbe certamente l’apprezzamento o il vizio di ragionamento in ordine ad un fatto.

Nel caso di specie, la parte ricorrente ha dedotto quale motivo di revocazione elementi non riconducibili ad errore di fatto (nei termini suesposti), ma ha invece contestano un presunto vizio motivazionale (carenza di motivazione) della sentenza di primo grado che il giudice di appello non avrebbe colto.

In realtà la sentenza di appello, come risultato di attività valutativa del Collegio, ha correttamente dato atto che il giudice di primo grado ha svolto adeguata istruttoria acquisendo due pareri da parte dell’organo tecnico; le cui valutazioni – peraltro rese previo contraddittorio con il ricorrente e “secondo scienza medica” – l’odierno ricorrente intende contestare sulla base di considerazioni che non possono essere introdotte in sede di impugnazione revocatoria, ove in via generale non vi è spazio né per profili di mero merito amministrativo (censure sui componenti del Collegio medico legale e sull’esperto), né per censure che attengono a quell’operazione logico-giuridica in cui sostanzia il giudizio; a fortiori allorché si tratti di questioni di fatto ex art. 170 cgc., inammissibili in sede di appello pensionistico, ampiamente delibate in sede di merito.

Per quanto suesposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese di difesa non essendosi costituito il Ministero della Giustizia e per le spese di giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.

Nulla per le spese di difesa e di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 settembre 2019.
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE
(F.to Cons. Enrico Torri) (F.to Pres. Agostino Chiappiniello)


Depositata il 9 ottobre 2019


La Dirigente
F.to Sebastiano Alvise Rota
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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INPS perde l'Appello,

1) - la ricorrente, vedova di S.R., dipendente dell’Università omissis , deceduto in servizio ( vds. sentenza CdC Lombardia n. 111/2018 pubblicata il 23/05/2018). N.B.: " è stato accertato un debito in seguito a revisione amministrativo -contabile, in applicazione dei limiti di cumulabilità dei redditi previsti dalla Tabella F allegata alla legge 8 agosto 1995, n.335, a decorrere dall’ 1.11.2010 ".

2) - Somme indebito per cumulo limitato dei redditi del beneficiario del trattamento di pensione indiretto e di reversibilità.

3) - La vedova si era opposta all’ingiunzione, contestando la sussistenza dell’indebito, anche in ragione del richiamo all’art. 204 del T.U. n. 1092 del 1973 e ai principi di buona fede e legittimo affidamento.

4) - La vedova ha osservato che la domanda di pensione di reversibilità era stata presentata su modello predisposto dall’INPDAP nel quale era precisato che la D. era già titolare di altro trattamento pensionistico diretto e del reddito complessivo di euro 34.232,00, cosicchè da subito l’Ente previdenziale era in grado di calcolare e determinare l’esatto importo del trattamento di reversibilità.

La CdC d'Appello precisa:

5) - E’ indubbio ed incontestato che L. E. D., nel momento in cui ha presentato la domanda per ottenere il trattamento pensionistico di reversibilità del marito (9 novembre 2010), ha comunicato all’Ente previdenziale la sua situazione personale di pensionata e i redditi percepiti nell’anno precedente mettendo, quindi, l’I.N.P.S. nelle condizioni di liquidare il trattamento pensionistico nella misura prevista per il caso del cumulo con altri redditi (art. 1, co. 41 della legge 8 agosto 1995, n. 335 in relazione alla Tab. F, allegata alla legge).
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Sezione TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA

Anno 2020 Numero 77 Pubblicazione 21/04/2020

SENT. 77.2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dott.ssa Chiara Bersani Presidente f.f.
dott.ssa Giuseppina Maio Consigliere
dott.ssa Cristiana Rondoni Consigliere
dott. Giancarlo Astegiano Consigliere relatore
dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di appello iscritto al n. 54016 del Registro di ruolo generale, promosso dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – I.N.P.S. – (C.F. 80078750587), rappresentato e difeso nel presente giudizio, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli avvocati Maria Passarelli, Luigi Caliulo, Filippo Mangiapane e Lidia Carcavallo, presso i quali è domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria, n. 29
- appellante -

contro
L. E. D. (C.F. xxxxxxxxxxxxxxxx), rappresentata e difesa nel presente giudizio dall’avv. Rosa Maffei presso la quale è domiciliata in Roma, via Nizza n. 66 (pec: rosamaffei@ordineavvocatiroma.org);
- appellata -

per la riforma della sentenza n. 111/2018 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Lombardia, resa in data 26 marzo - 23 maggio 2018, non notificata.

Visti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi, nella pubblica udienza del 6 novembre 2019 il consigliere relatore Giancarlo Astegiano, che ha sinteticamente illustrato i fatti di causa, l’avv. Sergio Preden, delegato dall’avv. Luigi Caliulo, in rappresentanza dell’I.N.P.S. e l’avv. Rosa Maffei in rappresentanza di L. E. D..

Ritenuto in
FATTO

1. Con sentenza n. 111, resa in data 26 marzo – 28 maggio 2018, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Lombardia ha accolto la domanda di annullamento dell’ingiunzione di pagamento I.N.P.S., in data 16 aprile 2014, proposta da E. L. D. ed ha dichiarato irripetibile l’indebito pensionistico pari ad euro 41.501,14, condannando l’Amministrazione alla restituzione delle somme già recuperate, maggiorate di interessi al tasso legale a partire dalla proposizione della domanda giudiziale.

Dopo aver rilevato che in data 9 novembre 2010 L. E. D., a seguito del decesso in servizio del marito S. R., aveva presentato domanda di pensione indiretta, per il tramite del datore di lavoro del defunto, il giudice di primo grado ha messo in luce che l’I.N.P.S., con provvedimento in data 19 novembre 2010, aveva liquidato la pensione in misura annua pari ad euro 26.250,86. Successivamente, con provvedimento del 28 aprile 2014, il trattamento pensionistico indiretto era stato riliquidato in euro 17.116,56 anni, in seguito ad una verifica effettuata dall’Ente previdenziale su alcune posizioni per accertare l’osservanza della disciplina che prevede il cumulo limitato dei redditi del beneficiario del trattamento di pensione indiretto e di reversibilità. A seguito della riliquidazione, l’I.N.P.S. aveva agito per il recupero di euro 41.501,14 e L. E. D. si era opposta all’ingiunzione, contestando la sussistenza dell’indebito, anche in ragione del richiamo all’art. 204 del T.U. n. 1092 del 1973 e ai principi di buona fede e legittimo affidamento.

Il giudice di primo grado, dopo aver richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza contabile in materia di ripetizione dell’indebito pensionistico, ha affermato che l’istituto previdenziale era in possesso di tutti gli elementi necessari per quantificare il trattamento pensionistico sin dal momento della presentazione della domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità ed ha concluso ritenendo irripetibile l’indebito in ragione dell’intervallo temporale trascorso fra la liquidazione del trattamento provvisorio e quello definitivo, dell’indicazione nel provvedimento provvisorio della specificazione che si trattava del sessanta per cento della pensione diretta e della buona fede della percipiente.

2. L’I.N.P.S. ha interposto appello nei confronti della citata sentenza n. 111 del 2018, con atto in data 27 settembre 2018, notificato il 9 ottobre 2018 e depositato in data 15 ottobre 2018.

Dopo un’analitica ricostruzione dei fatti che avevano caratterizzato il contenzioso, l’appellante ha formulato le censure alla sentenza impugnata con un unico articolato motivo con il quale ha denunciato la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 41 della legge n. 335/1995 e della Tab. F annessa alla medesima legge, oltre che degli artt. 86, 197 e 208 del D.P.R. 1092/73, nonché dei principi generali in materia di indebito oggettivo ex artt. 2033 c.c.”.

L’appellante ha asserito che la questione decisa dal giudice di primo grado non rientrava nella previsione degli artt.162 e 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e che, pertanto, era improprio il richiamo ai principi enunciati dalla sentenza sez. riun. Corte conti n. 2 del 2012.

Dopo aver osservato che l’applicazione dell’art. 1, co. 41 della legge n. 335 del 1995 richiedeva accertamenti complessi e che in base agli artt. 86, co. 4, 197, co. 7 e 208 del D.P.R. n. 1092 del 1973 era onere della D. comunicare annualmente all’I.N.P.S. la propria situazione reddituale, così da consentire all’istituto previdenziale di eventualmente adeguare il trattamento pensionistico di reversibilità alle regole normative, l’appellante ha asserito che l’omissione dell’appellata impediva di ravvisare una situazione di buona fede e di legittimo affidamento, anche perché non vi era alcun obbligo in capo all’I.N.P.S. di effettuare verifiche d’ufficio.

Ha osservato, quindi, che legittimamente, tempestivamente e doverosamente l’istituto previdenziale aveva azionato il recupero dell’indebito, con provvedimento in data 16 aprile 2014, in base ai principi di ripetizione dell’indebito oggettivo risultanti dall’art. 2033 cod. civ.

Ha concluso chiedendo di annullare o riformare la citata sentenza n. 111 del 2018 e per l’effetto ritenere e dichiarare la ripetibilità dell’indebito erariale pari a euro 41.501,14, con vittoria di spese e competenze di lite di entrambi i gradi di giudizio.

3. Con atto depositato in data 17 settembre 2019, L. E. D. si è costituita in giudizio contestando le ragioni dell’appello proposto dall’I.N.P.S. Ha osservato che la domanda di pensione di reversibilità era stata presentata su modello predisposto dall’INPDAP nel quale era precisato che la D. era già titolare di altro trattamento pensionistico diretto e del reddito complessivo di euro 34.232,00, cosicchè da subito l’Ente previdenziale era in grado di calcolare e determinare l’esatto importo del trattamento di reversibilità. Ha richiamato, quindi, il contenuto della sentenza impugnata e l’applicazione dei principi di buona fede e legittimo affidamento ed ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile e, comunque, infondato il ricorso in appello dell’I.N.P.S., con condanna dell’Istituto previdenziale al pagamento delle spese di giudizio, da distrarsi in favore del difensore antistatario.

4. All’odierna udienza, udita la relazione, gli avvocati delle parti hanno richiamato i rispettivi atti e confermato le conclusioni assunte, rispettivamente, nell’atto di citazione in appello e nella memoria difensiva.

Esaurita la discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

Considerato in
DIRITTO

1. Con un unico articolato motivo, l’I.N.P.S. ha sostenuto l’ingiustizia della sentenza impugnata, lamentando che il giudice di primo grado avrebbe applicato in modo erroneo sia la disciplina legislativa che i principi giurisprudenziali che regolano la formazione e la ripetizione dell’indebito pensionistico.

1.1. Il giudice di primo grado, dopo aver richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza contabile in materia di ripetizione dell’indebito pensionistico, ha affermato che l’istituto previdenziale era in possesso di tutti gli elementi necessari per quantificare il trattamento pensionistico sin dal momento della presentazione della domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità da parte di L. E. D. e, quindi, ha ritenuto irripetibile l’indebito in ragione dell’intervallo temporale trascorso fra la liquidazione del trattamento provvisorio e quello definitivo, dell’indicazione nel provvedimento provvisorio della specificazione che si trattava del sessanta per cento della pensione diretta e della buona fede della percipiente.

1.2. Con unico motivo di appello, l’I.N.P.S. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 41 della legge n. 335 del 1995, nonché della Tab. F annessa alla legge, degli artt. 86, 197 e 208 del D.P.R. n. 1092 del 1973, nonché dei principi generali in materia di indebito oggettivo, così come risultanti dall’art. 2033 cod. civ. Dopo aver rilevato che la questione decisa dal giudice di primo grado non rientrava nella previsione degli artt. 162 e 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e che, pertanto, era improprio il richiamo ai principi enunciati dalla sentenza sez. riun. Corte conti n. 2 del 2012., l’Ente previdenziale ha rilevato che sarebbe stato onere della D. comunicare annualmente all’I.N.P.S. la propria situazione reddituale e che l’omissione dell’appellata impediva di ravvisare una situazione di buona fede e di legittimo affidamento, anche perché non era ravvisabile alcun obbligo in capo all’I.N.P.S. di effettuare verifiche d’ufficio.

Ha osservato, quindi, che legittimamente, tempestivamente e doverosamente l’istituto previdenziale aveva azionato il recupero dell’indebito, con provvedimento in data 16 aprile 2014, in base ai principi di ripetizione dell’indebito oggettivo risultanti dall’art. 2033 cod. civ.

1.3. L. E. D. ha osservato che la domanda di pensione di reversibilità era stata presentata su modello predisposto dall’INPDAP nel quale era precisato che la D. era già titolare di altro trattamento pensionistico diretto e del reddito complessivo di euro 34.232,00, cosicchè da subito l’Ente previdenziale era in grado di calcolare e determinare l’esatto importo del trattamento di reversibilità. Ha richiamato, quindi, il contenuto della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto applicabili i principi di buona fede e legittimo affidamento.

2. La disciplina dell’indebito risultante dagli artt. 2033 e segg. cod. civ. è integrata nella materia previdenziale, pubblica e privata, da norme specifiche che tendono a contemperare le regole generali con le specificità di settore, tenendo conto sia della particolare posizione del pensionato che delle esigenze finanziarie pubbliche.

Peraltro, la disciplina positiva diverge parzialmente fra settore pubblico e privato e la Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibili alcune questioni di legittimità che si fondavano sulla diversa disciplina, ha osservato che è compito del legislatore “ricomporre il quadro della regolazione della materia, secondo linee coerenti ed omogenee per il settore pensionistico ormai gestito da un unico ente” (Corte cost, 23 giugno 2017, n. 148).

In linea generale, la nozione di indebito nella materia pensionistica presuppone la non spettanza delle somme erogate dall’Ente previdenziale e, solitamente, è conseguenza della revoca o della modifica di un trattamento in godimento in favore del pensionato. Il legislatore ha disciplinato la materia con disposizioni che prevedono la non ripetibilità delle somme erogate unicamente al ricorrere di specifici presupposti (ad esempio, nel caso di revoca o modifica del provvedimento definitivo di riconoscimento del trattamento di pensione: art. 206 d.p.r. 29 dicembre 1973, n. 1092, recante “Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”) e la giurisprudenza ha individuato alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela nelle quali opera il principio della non ripetibilità dell’indebito in base al principio della buona fede o dell’affidamento qualificato (Corte conti, sez. riun. 2 luglio 2012, n. 2/QM; id, 25 luglio 2008, n.4/QM).

3. L’appello proposto dall’I.N.P.S. non è fondato perché in relazione alla procedura di recupero attivata dall’Ente previdenziale risultano applicabili, come ritenuto dal giudice di primo grado, le regole generali sulla ripetizione dell’indebito contemperate dalla peculiare situazione di legittimo affidamento e buona fede nella quale si è venuta a trovare L. E. D..

In proposito occorre sottolineare che il giudice di primo grado ha fondato la decisione di irripetibilità delle somme percepite dalla pensionata sulla situazione di buona fede ed affidamento che si era venuta a creare in capo alla percipiente con valutazione di fatto che non può essere contestata in questa sede.

I richiami normativi effettuati dall’ente previdenziale nel motivo di appello non colgono nel segno e non sono idonei a superare la peculiare e particolare situazione di affidamento e buona fede accertata dal giudice di primo grado con un percorso motivazionale che, in quanto tale, non è sindacabile dal giudice di appello che potrebbe intervenire unicamente in assenza di motivazione o in presenza di motivazione solo apparente, circostanze che non ricorrono nel caso di specie.

Peraltro, le circostanze di fatto richiamate nella sentenza oggetto del presente giudizio non sono contestate dalle parti. E’ indubbio ed incontestato che L. E. D., nel momento in cui ha presentato la domanda per ottenere il trattamento pensionistico di reversibilità del marito (9 novembre 2010), ha comunicato all’Ente previdenziale la sua situazione personale di pensionata e i redditi percepiti nell’anno precedente mettendo, quindi, l’I.N.P.S. nelle condizioni di liquidare il trattamento pensionistico nella misura prevista per il caso del cumulo con altri redditi (art. 1, co. 41 della legge 8 agosto 1995, n. 335 in relazione alla Tab. F, allegata alla legge).

In conclusione, in assenza di una specifica disciplina normativa derogatoria al citato art. 2033 cod. civ., e dovendosi confermare il principio di diritto in base al quale il giudice di prime cure ha deciso – che l’avvenuta dichiarazione dei redditi percepiti quale pensionata, in seno alla domanda di pensione di riversibilità, integri l’obbligo della “comunicazione” del reddito medesimo da parte della richiedente, e, pertanto, un elemento in base al quale si basa il legittimo affidamento, - nel caso di specie sussistono quelle circostanze di affidamento qualificato e buona fede che impongono la dichiarazione di irripetibilità dell’indebito, così come ritenuto dal giudice di primo grado.

4. – Per quanto precede, definitivamente pronunciando, la Sezione respinge l’appello proposto dall’I.N.P.S. avverso la sentenza n. 111 del 2018 della Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia.

In ragione della particolarità della questione sussistono valide ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

la Corte dei conti - III Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando,

respinge l’appello, iscritto al R.G. n. 54016, proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – I.N.P.S. nei confronti della sentenza n. 111/2018, in data 26 marzo – 23 maggio 2018, della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia

Compensa le spese di giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 6 novembre 2019.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE f.f.
Giancarlo Astegiano Chiara Bersani
f.to f.to


Depositato in Segreteria il 21.04.2020


Il Dirigente
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La CdC sez. 1^ d’Appello n. 99/2020 dichiara inammissibile l'appello dell’INPS e conferma la sentenza impugnata in rif. alla sentenza della CdC Puglia n. 115/2019.

Ripetizione di indebito pensionistico.

I fatti erano:

1) - In particolare, l’Istituto afferma di avere avviato, a seguito della circolare INPS n. 210 del 31.12.2015, una verifica sulla perequazione delle pensioni concesse a titolari di più di una pensione a carico della gestione dipendenti pubblici, per il periodo dall'1.01.2012 al 31.12.2015. Nel caso di specie si è avveduto che la perequazione della ricorrente non fosse allineata ai parametri delineati dall’art. 34 della legge n. 448 del 1998 in caso di cumulo di pensioni.

2) - Ragion per cui ha accertato conguagli negativi per perequazione sulla pensione di reversibilità, pari a € 250,78 nel 2012, € 252,23 nel 2013, € 303,66 nel 2014, per un totale di € 806,67 (il conguaglio negativo accertato per l'anno 2015, pari a € 313,11, non è stato inizialmente recuperato stante la sospensione inizialmente disposta dalla legge di stabilità 2016, n. 208 del 28.12.2015 per tale anno).
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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CdC sezione 2^ d'Appello rigetta l'appello proposto dall'INPS

1) - La fattispecie riguarda un provvedimento di accertamento d’indebito pensionistico adottato in conseguenza della riliquidazione della pensione definitiva risalente al 2014 e relativamente ad una cessazione risalente al 2008.

2) - L’amministrazione fa riferimento in primo luogo all’art. 162 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 che espressamente prevede l’obbligo di procedere a conguaglio nel caso di pensione definitiva ed al rilievo secondo cui grava sul pensionato l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto all’irripetibilità dell’indebito, i quali non si limitano al solo decorso del tempo, ma al concreto affidamento sulla bontà della liquidazione.

Il Giudice precisa:

3) - L’Istituto, con l’atto d’appello, non contesta alcuno degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, ma si limita a contestare la mancanza di prova sui fatti costitutivi dell’irripetibilità e ad affermare l’inadeguatezza della motivazione.
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CdC sez. 3^ d'Appello n. 34/2021 su cds personale in servizio ai fini della PPO. Inps perde.

1) - accertamento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità quale “presupposto” del diritto alla pensione privilegiata”.
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La CdC sez. 3^ d’Appello n. 360 in rif. alla CdC Lazio n. 39/2018, rigetta l’appello dell’INPS in riferimento all’indebito pensionistico
- Nelle more del giudizio xx era deceduto ed il giudizio era stato riassunto da uno degli eredi:

in DIRITTO si legge

“ L’articolo 1, comma 263, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, come sostituito dall’articolo 38, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recita: “Il recupero non si estende agli eredi del pensionato, salvo che si accerti il dolo del pensionato medesimo”; tale norma, il cui contenuto è stato ripreso dall’articolo 38, comma 10, della legge 24 dicembre 2001, n. 448, è stata interpretata dalla giurisprudenza contabile (ex multis questa sezione n. 102 del 2019; prima sezione centrale d’appello n. 424 del 2012; seconda sezione centrale d’appello n. 736 del 2016; terza sezione centrale d’appello n. 495 del 2017) di immediata applicazione a tutte le fattispecie di recupero di indebito nei confronti degli eredi del pensionato perché non si combina né fa sistema con nessun’altra norma del medesimo articolo, né con quella del requisito economico (commi 260 e 261), né con quella della salvezza dei recuperi in corso (comma 264), essendo anche indipendente dalla data di percezione o da quella di adozione del provvedimento di recupero; in altri termini, tale norma non è legata ad un particolare contesto temporale ed opera, con l’eccezione della particolare fattispecie regolata dalla sentenza n. 18/2017/QM delle sezioni riunite di questa Corte, per tutte le azioni di recupero intraprese nei confronti degli eredi del pensionato successivamente all’1/1/1996.
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La CdC sez. d’Appello per la Sicilia n. 92 in Rif. alla CdC Sicilia n. 847/2021, ANNULLA la citata sentenza, la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal ricorrente finalizzato al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio quale presupposto necessario per poter ottenere successivamente l’attribuzione della pensione privilegiata, poiché ancora in servizio, rinviando il giudizio alla Sezione di primo grado in diversa composizione per una nuova pronuncia.

Il motivo è questo

1) - Ricorso in appello in materia pensionistica, proposto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 171 del C.G.C., dall’Ufficio di Procura Generale presso la Sezione Giurisdizionale d'Appello della Corte dei Conti per la Regione Siciliana nei confronti di:

Omissis, difeso ……. ;

Ministero della Giustizia- Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria- Direzione Generale del Personale, in persona del dirigente generale pro tempore;

I.N.P.S.- Gestione ex I.N.P.D.A.P., difeso OMISSIS…..,

per ottenere l’annullamento della sentenza n. 847/2021, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana in data 19.7.2021;

Alle fine la CdC d’Appello precisa:

Il Collegio Giudicante reputa conclusivamente che, in accoglimento dell’appello proposto nell’interesse della legge dall’Ufficio di Procura Generale, la sentenza n. 847/2021, con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal omissis, debba essere annullata; conseguentemente, il giudizio va rinviato alla Sezione di primo grado, affinchè, in diversa composizione, si pronunzi sulla questione concernente la dipendenza da causa di servizio della patologia lamentata dal omissis, quale presupposto per la successiva spettanza al medesimo della pensione privilegiata.

E, conclude così:

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, in accoglimento dell’appello proposto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 171 del C.G.C., dall’Ufficio di Procura Generale:
annulla la sentenza n.847/2021, emessa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana in data 19.7.2021; rinvia la causa alla medesima Sezione, affinchè, in diversa composizione, si pronunzi, nel merito, sulle richieste contenute nel ricorso originariamente inoltrato da omissis.
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CdC sez. 1^ d’Appello n. 25 (pubb. il 02/02/2024) in Rif. alla CdC Calabria n. 251/2021, Accoglie l’appello della ricorrente PolPen, su spettanza PPO. dal collocamento in quiescenza Marzo 2011 (rispetto alla diversa decorrenza riconosciuta dall’Ente solo dal 1 aprile 2015). Ora con la sentenza definitiva spettano gli ARRETRATI da ricalcolare.

N.B.: L’interessata ha inoltrato domanda amministrativa PPO al Ministero in data 16 APRILE 2011 e inviato una Diffida con PEC all’INPS in data 23/11/2020 e pertanto l’INPS ha fatto partire la prescrizione quinquennale dalla data della diffida.

P.S.: Cmq. per meglio comprendere il tutto, leggete direttamente dall’allegato.
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Corte dei Conti, giusto sapere

Le Sezioni riunite hanno puntualizzato i criteri di distinzione tra i motivi di diritto e quelli di fatto.

In particolare, con due successivi pronunciamenti (sentenze n. 10/QM/1998 e n. 10/QM/2000), il supremo organo di nomofilachia ha precisato che:

a) i motivi di diritto devono investire la portata dispositiva di una norma giuridica e/ o il suo ambito applicativo a fattispecie astratte, dalle quali consegue in via immediata la regola di diritto applicabile alla fattispecie concreta;

b) rientrano nei motivi di diritto i vizi che comportino la nullità della sentenza o del processo, trattandosi di violazione di regole giuridiche;

c) il vizio di difetto di motivazione su questioni di fatto è deducibile in appello soltanto ove la sentenza impugnata manchi in modo assoluto di motivazione o abbia motivazione apparente.
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