Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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interessante sentenza Positiva verso il ricorrente (recupero somme).

1) - Il ricorrente, a fondamento del ricorso, deduceva che nel settore previdenziale, diversamente dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, troverebbe applicazione il diverso principio, proprio di tale sottosistema, che escluderebbe la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente quale minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente, invocava i principi enunciati nella sentenza SS.RR. 07.08.2007 n°7, evidenziando che il D.M. 603/1993 (regolamento recante disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 L. 241/1990 nell’ambito dell’Amministrazione della Difesa) aveva fissato in 330 gg. il termine entro il quale deve essere emesso il provvedimento definitivo di pensione, scaduto il quale l’Amministrazione non potrebbe più operare il recupero erariale, donde l’irripetibilità, nella specie, delle somme erogate in eccedenza al ricorrente.

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PUGLIA SENTENZA 28 27/01/2016


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PUGLIA SENTENZA 28 2016 PENSIONI 27/01/2016


Sent. 28/2016


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico
Consigliere dott. Pasquale Daddabbo

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 32334/PM del Registro di Segreteria, proposto dal sig. M. C., nato a OMISSIS e residente in OMISSIS (TA) alla via OMISSIS, elettivamente domiciliato in Taranto alla via Acclavio n. 2, presso lo studio legale dell’avv. Martino Margiotta che lo rappresenta e difende,

contro

Ministero della Difesa e
INPS (gestione ex I.N.P.D.A.P.), rappresentato e difeso dall’avv. Marcella Mattia, giusta procura ad lites per atto del notaio Palo Castellini, rep. n. 80974 del 21.7.2015, elettivamente domiciliata presso gli Uffici dell’Avvocatura INPS, in Bari alla via Putignani n. 108

avverso
il provvedimento prot. n°……/08 del 21.10.2008 dell’ I.N.P.D.A.P.– Ufficio Prov.le di Taranto, con il quale si comunica il recupero della somma di €. 35.095,66, sulla pensione n. ……..

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;

Vista la legge n. 205/2000;

Uditi, nella pubblica udienza del 19 gennaio 2016, l’avv. Martino Margiotta per il ricorrente e l’avv. Marcella Mattia per l’INPS; non comparso il Ministero della Difesa.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 07-09.02.2009 e depositato in Segreteria il 09.03.2009, il sig. M. C., sottufficiale della Marina Militare collocato nella categoria dell’ausiliaria dal 29.12.1994, patrocinato dall’avv. Mariantonietta Belmonte, premettendo di aver percepito, dal mese di dicembre 1994, il trattamento pensionistico “senza ricevere, fino al mese di ottobre 2008, alcuna comunicazione in relazione ad eventuali variazioni del medesimo trattamento”, impugnava, innanzi a questa Sezione giurisdizionale regionale, l’atto prot. n° 24923/08 del 21.10.2008 dell’ I.N.P.D.A.P. – Ufficio Prov.le di Taranto, con il quale l’Istituto gli aveva comunicato di aver accertato a suo carico, sulla pensione iscrizione n°….., un debito di €.35.095,66, per maggiori somme corrisposte dal 29.12.1994 al 30.06.2001 derivante dal conguaglio tra la pensione definitiva, liquidata con Decreto n.209/2/M in data 27.6.2008, e quella provvisoria, e ne aveva disposto il recupero, in via cautelativa, mediante ritenuta mensile di €.408,09 sul suddetto trattamento pensionistico, dal 01.11.2008 al 30.12.2015.

Il ricorrente, a fondamento del ricorso, deduceva che nel settore previdenziale, diversamente dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, troverebbe applicazione il diverso principio, proprio di tale sottosistema, che escluderebbe la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente quale minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente, invocava i principi enunciati nella sentenza SS.RR. 07.08.2007 n°7, evidenziando che il D.M. 603/1993 (regolamento recante disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 L. 241/1990 nell’ambito dell’Amministrazione della Difesa) aveva fissato in 330 gg. il termine entro il quale deve essere emesso il provvedimento definitivo di pensione, scaduto il quale l’Amministrazione non potrebbe più operare il recupero erariale, donde l’irripetibilità, nella specie, delle somme erogate in eccedenza al ricorrente; concludeva chiedendo che, previa sospensione dell’atto impugnato, la Sezione dichiarasse che nulla doveva il ricorrente a titolo di restituzione di indebito, per i motivi innanzi dedotti, e condannasse l’I.N.P.D.A.P. , in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla restituzione delle somme nelle more trattenute a detto titolo, in aggiunta alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge, con vittoria di spese e competenze, e con distrazione in favore del procuratore costituito dichiaratosi anticipatario.

L’I.N.P.D.A.P. - Direzione Provinciale di Taranto, costituito in giudizio con memoria del 30.04.2009, deduceva che il recupero nei confronti del pensionato delle somme indebitamente corrisposte costituiva atto vincolato per l’ amministrazione che difetterebbe, in tale ambito, di ogni margine di discrezionalità, per cui sarebbe applicabile il principio civilistico di cui all’art. 2033 cod.civ.; invocava la sentenza delle SS.RR. 1/1999 e, con riferimento alla sentenza SS.RR. n°7/2007, evidenziava l’intervenuta proroga, per effetto dell’art. 25 D.L. 248/2007 conv. in L. 31/2008, per l’anno 2008, e dell’art. 41, sesto comma, D.L. 207/2008, per gli anni successivi al 2008, del divieto di estensione, nei confronti di terzi estranei alla controversia, delle decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato o, comunque, divenute esecutive, di cui all’art. 1, comma 132 della L. 311/2004, e concludeva chiedendo il rigetto della domanda di sospensione e di merito.

Il Ministero della Difesa, costituito in giudizio con memoria del 07.05.2009, premesso che, con D.M. 209/2/M del 27.06.2008, già debitamente registrato dalla Corte dei Conti – Sezione di Controllo, in data 30.04.2009, con registro n°13 foglio 81, aveva liquidato il trattamento pensionistico definitivo e che era emerso un debito per differenze con il trattamento pensionistico provvisorio che l’I.N.P.D.A.P. stava provvedendo a recuperare, deduceva la mancanza dei requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris e, nel merito, evidenziava la doverosità dell’azione di recupero delle somme indebitamente percepite dall’accipiens sui ratei di trattamento provvisorio, ai sensi dell’art. 162 D.P.R. 1092/1973; formulava osservazioni critiche nei confronti della sentenza SS.RR. n°7/Q.M./2007 concludendo per il rigetto della domanda cautelare e della domanda di merito proposte dal ricorrente.

Con ordinanza n°103/2009 del 13.05 – 22.05.2009, la Sezione, in composizione collegiale, respingeva l’istanza incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, proposta dal ricorrente con il ricorso introduttivo.

Con sentenza n. 562/2010, depositata il 20 settembre 2010, questa Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Puglia, in diversa composizione monocratica - constatato che con l’atto introduttivo del giudizio non era stato impugnato il provvedimento di liquidazione della pensione definitiva dal quale era scaturito l’indebito - ha estromesso il Ministero della Difesa e ha respinto il ricorso ritenendo applicabile alla vicenda in questione (indebito scaturente dal conguaglio del trattamento provvisorio con quello definitivo) la disposizione di cui all’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973 che - contrariamente a quanto previsto dall’art. 206 dello stesso Testo Unico per una diversa fattispecie – non contempla la rilevanza della buona fede soggettiva dell’interessato.

Il pensionato, sig. M. C., patrocinato dall’avv. Martino Margiotta, ha impugnato la predetta sentenza n. 562/2010 di questa Sezione e la Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello con sentenza n. 119/2015, depositata in data 9.3.2015, rilevato preliminarmente che il giudizio non riguarda il provvedimento di determinazione del trattamento pensionistico definitivo emesso dal Ministero della Difesa e dal quale è scaturito l’indebito per cui è causa, ed evidenziato che le Sezioni riunite, con la sentenza n. 2/QM del 2012, hanno riaffermato il principio (in verità da tempo presente nella giurisprudenza della Corte) in base al quale il potere-dovere dell’amministrazione di procedere al recupero, stabilito dalla legge, può essere attenuato dalla situazione di legittimo affidamento del privato, consolidatasi attraverso un lungo decorso del tempo, precisando però che si richiedono a tal fine:
a) il decorso del tempo;
b) la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione (così, ad esempio, non sarà ravvisabile alcun affidamento nell’ipotesi in cui il rateo della pensione provvisoria sia addirittura maggiore rispetto al rateo dello stipendio che l’interessato percepiva in servizio);
c) l’individuazione delle ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, in modo tale che possa escludersi che l’amministrazione fosse già in possesso, ab origine, degli elementi necessari alla determinazione del trattamento pensionistico, ha ritenuto che il primo giudice non aveva svolto un tale accertamento sulla sussistenza dei presupposti del legittimo affidamento ed ha accolto in tal senso l’appello proposto dal M…. “disponendo il rinvio degli atti al primo giudice perché, in diversa composizione, provveda all’accertamento di fatto della sussistenza delle condizioni per l’affermazione del legittimo affidamento del percettore delle somme indebite delle quali si chiede la dichiarazione di irripetibilità”.

Il sig. M. C., sempre rappresentato e difeso dall’avv. Martino Margiotta, con ricorso notificato in data 4.6.2015 e depositato presso questa Sezione Giurisdizionale in data 5.6.2015, dopo aver ripercorso l’iter processuale che ha portato al rinvio della causa presso questo giudice di primo grado, ha dedotto la sussistenza nella specie dei presupposti del legittimo affidamento nella spettanza delle somme percepite a titolo di pensione provvisoria osservando che:
1) erano trascorsi ben 14 anni tra l’erogazione del trattamento provvisorio decorrente dal 29.12.1994 e la comunicazione della nota di contestazione dell’indebito nonché la notifica del decreto definitivo ministeriale n. 209/M dl 27.6.2008;
2) il trattamento provvisorio è stato determinato sulla base del calcolo pari all’80% dell’ultimo trattamento retributivo, sicché il percipiente, secondo i canoni dell’ordinaria diligenza, non aveva avuto contezza dell’indebito;
3) l’amministrazione già alla data della erogazione del trattamento provvisorio era in possesso di tutti gli elementi per determinare il trattamento pensionistico definitivo. Ritenendo, quindi, sussistenti i presupposti per l’irripetibilità dell’indebito, il ricorrente ha chiesto di dichiarare che le somme di cui l’INPDAP ha chiesto il recupero non dovevano essere richieste e trattenute con conseguente esclusione che l’INPS possa disporre ulteriori trattenute e condanna dell’Istituto di previdenza alla restituzione delle somme già trattenute con aggiunta di interessi e rivalutazione ed al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

L’Istituto di previdenza, costituito in questo grado di giudizio con memoria depositata in data 1.7.2015, dopo aver rappresentato che nel caso di specie l’Istituto aveva svolto soltanto il ruolo di ordinatore secondario di spesa dando applicazione ai successivi decreti del Ministero della Difesa, ha sostenuto ancora che il recupero dell’indebito di pecunia pubblica su stipendi e pensioni si caratterizza per la sua doverosità in termini assoluti ai sensi dell’art. 2033 c.c. e, nello specifico, a mente dell’art. 162, comma 8, del DPR 1092/1973, che lo stesso risulta del tutto legittimo poiché l’Amministrazione non decade dal dovere di provvedere sulla pensione definitiva anche scaduto il termine così detto regolamentare ai sensi della legge 241/1990, mancando in proposito una espressa normativa di sanzione di decadenza, ed ha, pertanto, chiesto il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

In esecuzione dell’ordinanza istruttoria pronunciata all’udienza del 27.10.2015 la Direzione Generale della Previdenza Militare del Ministero della Difesa e l’INPS hanno depositato rispettivamente in data 23.12.2015 e 5.11.2015 la documentazione concernente la pensione provvisoria e definitiva del ricorrente e le varie comunicazioni intercorse tra amministrazione della Difesa, istituto di previdenza e ricorrente circa tali trattamenti.

All’esito dell’istruttoria e dagli atti di causa è emerso, quindi, che:
1) nel maggio del 1995 l’Ufficio Amministrativo del Distaccamento della Marina Militare di Venezia trasmetteva a Maricentro Taranto il prospetto della pensione provvisoria del ricorrente;
2) la pensione provvisoria è stata erogata dal 29.12.1994 al 31.12.1997 da enti soppressi facenti capo alla Direzione di Commissariato della Marina Militare di Taranto, dall’1.1.1998 al 30.6.2001 dalla Direzione di Commissariato di Roma che, con nota ricevuta dall’INPDAP in data 6.4.2001, ha trasferito a tale ente previdenziale il pagamento del trattamento provvisorio a partire dall’1.7.2001;
3) con decreto del Ministero della Difesa n. 209/2/M del 27.6.2008, trasmesso all’INPDAP in data 28.7.2008 è stata liquidata la pensione definitiva;
4) con nota del 6.8.2008 la Direzione di Commissariato della Marina Militare di Roma ha trasmesso all’INPDAP il prospetto delle somme erogate a titolo di pensione provvisoria nel periodo dal 1.11998 al 30.6.2001 e con nota del 12.9.2008 la Direzione di Commissariato della Marina Militare di Taranto ha trasmesso all’INPDAP il prospetto delle somme erogate a titolo di pensione provvisoria nel periodo dal 29.12.1994 al 31.12.1997;
5) non risultano comunicazioni al ricorrente circa l’erogazione del trattamento di pensione definitiva fino all’ ottobre del 2008 allorquando gli è stato trasmesso il provvedimento di recupero dell’INPDAP, oggetto di impugnazione, ed il decreto ministeriale n. 209/2/M del 27.6.2008.

All’udienza del 19 gennaio 2016, il difensore del ricorrente ed il legale dell’INPS hanno insistito per le argomentazioni e le conclusioni dei rispettivi atti scritti ed il giudizio è stato definito, come da dispositivo, letto nella stessa udienza, di seguito trascritto. Ai sensi dell’art. 429 cpc, è stato fissato il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il presente giudizio costituisce la prosecuzione di quello già instaurato con ricorso depositato il 9.3.2009, respinto con sentenza n. 562/2010 di questa Sezione, annullata con sentenza n. 119/2015 della Sezione Centrale Terza di appello, che ha disposto il rinvio a questo giudice in diversa composizione.

Il ricorrente, già sottufficiale della Marina Militare, cessato dal servizio a decorrere dal 29.12.1994, contesta la legittimità della nota dell’INPDAP in data 21.10.2008 (successivamente l’INPDAP ha emanato il provvedimento di pari contenuto prot. 24923 dell’11.11.2008) con cui è stato comunicato, a suo carico, un indebito pensionistico di €. 35.095,66 per somme in più corrisposte dal 29.12.1994 al 30.6.2001.

Richiamato quanto emerso dagli atti di causa, riportato nella parte in fatto, evidenziato altresì che dai tabulati contabili rappresentativi dell’indebito, forniti dall’INPDAP, emerge che, contrariamente a quanto indicato nella comunicazione di indebito, quest’ultimo si riferisce a tutto il periodo di percezione della pensione provvisoria e non soltanto a quello in cui tale pensione è stata amministrata dal Ministero della Difesa (29.12.1994-30.6.2001), e rilevato, infine, che la differenza tra trattamento provvisorio e quello definitivo è dovuta, come chiarito dal Ministero della Difesa, ad erronei computi di alcune indennità (assegno funzionale, indennità di ausiliaria ed operativa) ed alla circostanza che la pensione provvisoria è stata liquidata in unica quota mente per quella definitiva si è correttamente distinta la quota A dalla quota B, reputa questo giudice che la domanda del sig. M. C., tesa alla dichiarazione di irripetibilità del predetto indebito, sia fondata.

L’esame demandato a questo giudice dalla Sezione centrale, di verifica dei presupposti del legittimo affidamento del pensionato, non può che portare ad un esito positivo.

Nella sentenza n. 2 del 2 luglio 2012 le Sezioni Riunite hanno affermato che “lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’Amministrazione del diritto-dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria”.

“Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’Amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.

Nella specie, dall’esame della sequenza dei fatti come sopra ricostruiti, deve ritenersi che si sia di certo ingenerato un legittimo affidamento da parte del ricorrente nella percezione di somme a titolo di pensione provvisoria, consolidatosi negli anni.

Emerge, invero, che il ricorrente dal dicembre 1994 ha percepito un trattamento provvisorio, inferiore sì al trattamento di attività ma non molto superiore, su base annua e soprattutto mensile, a quello liquidato in via definitiva solo quattordici anni dopo. Il maggior importo si riferisce a differenti computi di varie indennità per le quali l’amministrazione aveva fin dall’inizio tutti gli elementi per operare correttamente.

Viceversa, trattandosi di importi singolarmente non significativi, non può ritenersi che l’interessato, usando l’ordinaria diligenza, potesse accorgersi degli errori di calcolo della pensione provvisoria.

In definitiva, considerato che non risultano comportamenti colposi imputabili al ricorrente circa l’erronea liquidazione della pensione provvisoria, che nel lungo intervallo di tempo testé indicato non è intervenuto alcun atto idoneo a ingenerare dubbi sulla correttezza della liquidazione della pensione provvisoria, che l’amministrazione era in possesso di tutti gli elementi necessari ad una corretta liquidazione della pensione già al momento di determinazione del trattamento provvisorio e che, infine, gli errori contenuti nel provvedimento di liquidazione provvisoria non apparivano facilmente riconoscibili dal pensionato stesso, non può che concludersi che nella specie si sia ingenerato il legittimo affidamento del ricorrente nella stabilità della pensione percepita fino all’avvenuta comunicazione del credito erariale.

Alla luce delle suesposte considerazioni l’indebito di €. 35.095,66 è da ritenersi irripetibile.

In adesione all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Sez. III centrale di appello sent. n. 000113 del 13/03/2001, Sez. I centrale di appello sent. n. 000376 del 30/10/2007, n. 251 del 14.5.2012) - secondo cui l’irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte a soggetti in buona fede che non consegue ad inadempimento o a ritardato adempimento di un'obbligazione, non inerendo ad un debito, non può produrre interessi corrispettivi o moratori né, tanto meno, può essere suscettibile di rivalutazione - la somma già trattenuta dall’INPS in esecuzione della comunicazione di indebito impugnata deve essere restituita nel solo ammontare della sorte capitale.

Considerata la peculiarità della controversia e degli oscillamenti giurisprudenziali sul tema della ripetibilità dell’indebito pensionistico all’epoca della proposizione del ricorso originario, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

PER QUESTI MOTIVI

la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso n. 32334 proposto dal sig. M. C. e per l’effetto dichiara l’irripetibilità della somma di €. 35.095,66, indebitamente erogata al ricorrente, oggetto del provvedimento di recupero dell’INPDAP di Taranto, prot. n. 24923 del 21.10.2008, con diritto alla restituzione di quanto è stato trattenuto a seguito del suddetto provvedimento, senza aggravio di interessi e rivalutazione monetaria.

Spese compensate.

Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.
Così deciso, in Bari, all'esito della pubblica udienza del 19 gennaio 2016.
IL GIUDICE
F.to (Pasquale Daddabbo)


Depositata in Segreteria il 27/01/2016

Il Funzionario di Cancelleria
F.to (dott. Pasquale ARBORE)


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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Accolto.

illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo.
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1) - irripetibilità della somma, richiesta in restituzione dall’INPS, con nota in data 22.12.2014, a titolo di preteso indebito formatosi sulla pensione in godimento

2) - Risulta in atti che a decorrere dal 4.6.2004, data di collocamento ... in congedo assoluto, il Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva a conferire e liquidare al medesimo il trattamento provvisorio di quiescenza.

3) - Successivamente, con decreto di pensione ordinaria del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione di euro 15.060,86, a decorrere dal 4.6.2004 ....

4) - A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor … avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto .. del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’ anzianità contributiva , al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili. La pensione ordinaria annua lorda veniva quindi commisurata nella somma di euro 17.625,74 a decorrere dal 4.6.2004, adeguata ad euro 17.681,38 a decorrere dal 1.1.2005.

5) - Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto ... del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

6) - In punto di diritto il ricorrente contesta, nell’ambito del primo motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973

7) - Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973. ( tre anni il limite temporale )

8) - La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione. (Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

Cmq, leggete il tutto qui sotto.
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PIEMONTE SENTENZA 15 29/02/2016


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 15 2016 PENSIONI 29/02/2016


SENT. N. 15/16


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE

in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, quale giudice unico ai sensi dell’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come modificato dall’articolo 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19818 proposto da B. A. OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Sciolla (C.F. SCLLSN66M31F351J), Sergio Viale (C.F. VLISRG66A15L219Q) e Chiara Forneris (C.F. FRNCHR87D50L219H) del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei primi in Torino, Corso Montevecchio n. 68, come da procura a margine del ricorso

CONTRO
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - con sede in Roma, via Ciro Il Grande n. 21 (C.F. 80078750587), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giorgio Ruta (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia Sanguineti (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Avvocatura dell’Istituto, giusta Procura generale alle liti rilasciata per atto a ministero del notaio Paolo Castellini rep. 80974, Rogito 21569 del 21.7.2015 e con loro elettivamente domiciliato in Torino, via dell’Arcivescovado n. 9;

MINISTERO della DIFESA, in persona del Ministro, legale rappresentante pro-tempore;

ARMA DEI CARABINIERI, in persona del legale rappresentante pro-tempore

“per l’annullamento

- della nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);

- del Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);

nonchè per l’accertamento

- dell’illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;

- dell’irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;

nonchè infine per la condanna

dell’INPS all’erogazione al ricorrente della pensione annua lorda pari ad euro 17.681,38 ed alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente a far data dal febbraio 2015, maggiorate con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, e con ogni ulteriore e conseguenziale statuizione di legge”.

VISTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI all’udienza del 28 gennaio 2016 l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS;

RILEVATO in
FATTO

Con ricorso ritualmente notificato alle Amministrazioni convenute e depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 24 settembre 2015 il signor A. B., già Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 e titolare della pensione iscrizione n. 10291853, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nonché la pronuncia di irripetibilità della somma di euro 3.000,83, richiesta in restituzione dall’INPS, con nota in data 22.12.2014, a titolo di preteso indebito formatosi sulla pensione in godimento;
invoca conseguentemente la condanna dell’INPS alla corresponsione a proprio favore della pensione annua lorda sulla base della precedente liquidazione di cui al decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 278 del 26 maggio 2009, pari ad euro 17.681,38, e alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente, a far data dal febbraio 2015, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.

Risulta in atti che a decorrere dal 4.6.2004, data di collocamento del signor B… in congedo assoluto, il Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva a conferire e liquidare al medesimo il trattamento provvisorio di quiescenza iscrizione n. 10291853.

Successivamente, con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione di euro 15.060,86, a decorrere dal 4.6.2004, adeguato ad euro 15.104,60 a decorrere dal 1.1.2005.

A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B… avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’ anzianità contributiva , al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili. La pensione ordinaria annua lorda veniva quindi commisurata nella somma di euro 17.625,74 a decorrere dal 4.6.2004, adeguata ad euro 17.681,38 a decorrere dal 1.1.2005.

Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (docc. 6 e 7 – comunicazione del 22/09/2009 e del 28/06/2010)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.

Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.

In punto di diritto il ricorrente contesta, nell’ambito del primo motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 nonché dei principi di proporzionalità, ragionevolezza ed imparzialità oltre al travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti.

Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.

Nell’ambito della citata disciplina il legislatore avrebbe individuato in tre anni il limite temporale entro il quale la Pubblica Amministrazione può modificare il provvedimento di liquidazione definitivo della pensione a seguito di proprio errore; possibilità che sarebbe preclusa una volta superato il predetto termine.

Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B… sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.

Tale tipologia di errore rientrerebbe esattamente tra quelle descritte dall’art. 204 lett. a) e b) del D.P.R. n. 1092/1973 in quanto sarebbe causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti e riguarderebbe il calcolo e l’ammontare della pensione: la modifica dell’importo pensionistico sarebbe infatti giustificato dal preteso errore consistente nel non aver tenuto conto che l’interessato aveva meno di 15 anni utili di anzianità al 31.12.1992 ovvero di un elemento già riscontrato in precedenza.

Secondo la tesi difensiva del ricorrente, quindi, una volta rilevato il decorso del termine, andrebbe disposto “il necessario annullamento del decreto n. 66 ed il riconoscimento del diritto del ricorrente a veder disciplinato il proprio trattamento pensionistico, anche per il futuro, in base al solo decreto n. 278 del 26/05/2009, con una pensione annua, “da durare a vita”, pari a euro 17.681,38”, con conseguente richiesta di restituzione di quanto indebitamente trattenuto.

Con un secondo motivo di ricorso il signor B… rileva che, anche in relazione al merito del preteso errore addotto dall’Amministrazione, i provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi in quanto adottati in violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 1092/1973, che prevede l’arrotondamento delle frazioni di anno e stabilisce espressamente che la frazione superiore a sei mesi debba essere computata come anno intero.

Precisa il ricorrente che, seppur la disposizione risulti implicitamente abrogata dall’art. 59 L. n. 449/1997, gli effetti debbano ritenersi operare esclusivamente per le anzianità contributive maturate a partire dal 1.1.1998 e non possa essere applicata al computo degli anni di anzianità fino al 31.12.1992: la disposizione non potrebbe quindi valere per il ricorrente, che avrebbe maturato anteriormente al 31.12.1992 un’ anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni, con frazione del 14° anno superiore a sei mesi.

Sussisterebbe quindi pienamente il diritto del signor B… a vedersi riconosciuti 15 anni di anzianità contributiva al 31.12.1992.

Con un terzo motivo di ricorso il signor B… contesta una violazione dell’art. 206 D.P.R. n. 1092/1973 secondo il quale sarebbe possibile il recupero delle somme corrisposte indebitamente nella sola ipotesi, tassativa, di accertamento di un fatto doloso del pensionato che abbia cagionato la modifica del trattamento pensionistico; circostanza ritenuta insussistente nella fattispecie.

La difesa del ricorrente evidenzia altresì che l’irripetibilità della somma percepita dal ricorrente conseguirebbe, oltre che dalle norme sopra richiamate, anche dalla tutela del legittimo affidamento.

Richiama a tal fine la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo ai principi enunciati dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con la sentenza n. 2/QM/2012. Sarebbe infatti evidente la posizione di legittimo affidamento ingeneratosi nel ricorrente in merito all’ammontare della propria pensione, come individuata in via definitiva nel 2009.

In via di subordine, per la denegata ipotesi in cui dovessero considerarsi ripetibili le somme erogate al ricorrente, la difesa eccepisce la parziale prescrizione del credito vantato dall’INPS, con riguardo alle somme percepite in data anteriore al 31.12.2004 ovvero, in base all’atto di recupero, nel periodo 4.9.2004 -31.12.2004. In ultimo, il ricorrente contesta i conteggi effettuati dall’INPS in relazione alla quantificazione dell’indebito chiedendo che, in caso di mancato accoglimento delle doglianze relative all’illegittimità della modifica della liquidazione definitiva ed all’irripetibilità totale delle somme richieste, la condanna alla restituzione delle somme non dovute sia limitata- sulla base dei conteggi effettuati e depositati dallo stesso ricorrente- all’importo di euro 1.106,12, maggiorati con interessi legali e rivalutazione.

Con memoria difensiva depositata presso la Sezione in data 15 gennaio 2016 si è costituito in giudizio l’INPS chiedendo, in via principale, di rigettare integralmente il ricorso e, in subordine, in ipotesi di pronuncia di irripetibilità delle somme indebitamente percepite da parte ricorrente, di ritenere e dichiarare il diritto dell’Istituto previdenziale ad ottenerne la rifusione da parte del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, con conseguente condanna di quest’ultimo a corrispondere all’INPS la somma equivalente a quanto erogato dall’Istituto in eccedenza sul trattamento di quiescenza del ricorrente dal 1.1.2006.

In punto di diritto la difesa dell’INPS argomenta in ordine al preteso “diritto/dovere dell’Istituto di ripetere, ex art. 2033 c.c. e 162 del D.P.R. n. 1092/1973, le somme indebitamente percepite a titolo di trattamento provvisorio di quiescenza”.

Secondo la prospettazione difensiva dell’Istituto previdenziale, ai sensi dell’art. 162 citato, l’azione di ripetizione di quanto indebitamente percepito dal pensionato sul trattamento provvisorio di quiescenza, come accertato e determinato per effetto dell’avvenuta comunicazione, da parte dell’Amministrazione Statale ex datrice di lavoro, del provvedimento di liquidazione del trattamento definitivo, si configurerebbe come atto dovuto, con il limite rappresentato dalle sole modalità di detto recupero, che non dovrebbero essere eccessivamente gravose; l’INPS richiama a supporto della propria tesi la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo alla pronuncia n. 2/QM/2012.

Rileva altresì la difesa dell’Istituto la circostanza che, in tutti i casi in cui il provvedimento di pensione sia stato emesso e riliquidato dall’Amministrazione ex datrice di lavoro, quest’ultima dovrebbe ritenersi il principale interlocutore processuale in quanto ordinatore primario della spesa, avendo proceduto direttamente al calcolo e alla quantificazione dell’ammontare del detto trattamento. Secondo tale prospettazione il fondamento normativo dell’azione di “rivalsa” che l’Istituto intende esperire nei confronti del Dicastero si rinverrebbe quindi nelle disposizioni che disciplinano il procedimento di liquidazione della pensione di cui al D.P.R. n. 1092/1973 e, ove necessario, richiamando in via analogica i principi espressi nell’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 536/1986 e, prima ancora, nell’art. 30, comma 4, del D.L. 28.2.1983 n. 55, convertito nella Legge n. 131/1983.

Richiamando l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi sostenuta la difesa dell’INPS evidenzia inoltre che i principi derivanti da tali disposizioni, tenuto conto della sopravvenuta omogeneizzazione a livello legislativo dei sistemi pensionistici dei dipendenti pubblici, dovrebbero ritenersi avere valenza generale per cui dovrebbero ritenersi applicabili a tutta la gamma di pensioni amministrate dall’INPS (Gestione ex INPDAP). In ordine alla predetta domanda, anche in linea con il più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, non dovrebbe quindi dubitarsi in ordine alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti. L’INPS insiste quindi per l’accoglimento delle rassegnate conclusioni.

Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B… ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribandendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo. Pertanto il signor B… vanterebbe il diritto alla reintegrazione della pensione annua lorda di euro 17.681,38, come individuata nel decreto n. 278 del 26.5.2009.

Il ricorrente ha rammentato altresì che nella denegata ipotesi in cui si ritenesse sussistente l’indebito generato sulla pensione il recupero delle somme sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 206 d.p.r. n. 1092/1973. Secondo la prospettazione difensiva l’indebito sarebbe irripetibile anche applicando i principi individuati dalla giurisprudenza per il recupero dei conguagli tra pensione provvisoria e definitiva; da ciò l’illegittimità della trattenuta effettuata dall’INPS e l’obbligo di restituzione maggiorato di interessi e rivalutazione.

All’udienza in data 28 gennaio 2016 sono comparsi l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS. Nessuno è comparso per il Ministero della Difesa e per l’Arma dei Carabinieri.

L’Avv. Alessandro Sciolla ha illustrato i motivi di ricorso replicando alla memoria INPS e sottolineando che la fattispecie in esame riguarderebbe ipotesi di indebito derivante da riliquidazione di una pensione definitiva e non di indebito formatosi per differenza tra liquidazione di trattamento di quiescenza provvisorio e pensione definitiva. Ha altresì evidenziato che tale riliquidazione è dovuta ad errore nel computo o, comunque, ad errore di diritto e sarebbe avvenuta oltre il termine triennale non essendo imputabile a comportamento doloso del ricorrente. Ha infine rilevato che la riliquidazione effettuata nel 2014 è stata disposta d’ufficio e non su istanza del ricorrente insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.

L’Avv. Giorgio Ruta, in rappresentanza dell’INPS, ha richiamato la memoria sottolineando che alcun errore sarebbe comunque imputabile all’Istituto previdenziale, il quale è organo esecutore delle determinazioni dell’Amministrazione datrice di lavoro. Ha inoltre depositato le ordinanze n. 41/2015 e n. 56/2015 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria in relazione alla domanda di rivalsa, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.

Ritenuto in
DIRITTO

Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B… secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.

Va preliminarmente rilevato che - secondo quanto chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile –il processo pensionistico pubblico celebrato dinanzi alla Corte dei conti, seppur introdotto mediante ricorso avverso atti o comportamenti della pubblica amministrazione, costituisce espressione di un giudizio sul rapporto anziché sull’atto; questa Corte non conosce, quindi, della legittimità di un atto al fine di eventualmente disporne l'annullamento, bensì valuta, in termini sostanziali, del concreto rapporto pensionistico dedotto in giudizio. Ne consegue che, ancorché il ricorso venga strutturato come impugnazione di atti del Ministero della Difesa e dell’INPS (peraltro di natura paritetica), lo stesso ha per oggetto il rapporto obbligatorio di quiescenza in essere tra le parti nella sua globalità e non il mero sindacato sulla legittimità degli atti posti a suo fondamento (in tal senso ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur. Puglia, n. 1596/2013; Corte dei conti, Sez. Giur. Liguria, n. 95/2014; Corte dei Conti, Sez. Giur. Trentino, n. 15/2014).

Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B… era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale. Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.

Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.

In particolare, l’articolo 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Al successivo articolo 204 si legge che “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando:
a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;
b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità;
c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento;
d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”. Infine, ai sensi dell’articolo 205, primo comma, “Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti”.

Sulla base del predetto quadro normativo questo Giudice è chiamato valutare se la fattispecie in esame rientri nelle ipotesi in cui sia assentita la modifica del trattamento di pensione definitivo, in virtù della disciplina contenuta nelle predette disposizioni di legge.

Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte, nell’affrontare la questione della modificabilità del trattamento di quiescenza definitivo per la pensionistica di guerra, hanno preso in esame, incidentalmente ma puntualmente, la disciplina vigente per la pensionistica ordinaria, delineandone i profili di coincidenza e di differenziazione con quella oggetto di scrutinio diretto.

In tale occasione, le Sezioni Riunite hanno precisato che la normativa speciale, di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n. 1092 del 1973, ispirata ad un favor nei confronti del pensionato, delinea una casistica compiuta e chiusa dei casi nei quali il provvedimento pensionistico definitivo può essere annullato d'ufficio, dovendosi ritenere che, al di fuori di essa, non sia ammissibile alcuna altra forma di autotutela; secondo tale prospettiva la disciplina in esame è da considerare addirittura più favorevole rispetto a quella della pensionistica di guerra, in quanto, a differenza di quest'ultima, prevede termini precisi entro i quali la "revoca" della pensione può essere disposta.

La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.

La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.

Il Giudice delle Leggi ha posto in chiara evidenza come le diverse ragioni dell'amministrazione e del pensionato trovino equilibrato componimento nella normativa che disciplina la liquidazione della pensione, articolandola in una duplice fase, la prima di liquidazione provvisoria, la seconda di liquidazione definitiva.

Secondo la sentenza citata, tale duplice fase liquidatoria "risponde all'esigenza di assicurare al pubblico dipendente collocato a riposo un reddito nel periodo immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione dello stipendio ed, al contempo, di consentire una valutazione ponderata degli elementi di fatto e della portata della normativa da applicare per la liquidazione pensionistica. Necessitando quest'ultima valutazione di un congruo lasso temporale, la liquidazione provvisoria assicura la continuità nella percezione del reddito che, nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo o principale mezzo di sostentamento" (Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

In sostanza, secondo la Corte costituzionale, la fase interinale costituisce un passaggio fisiologico e necessario nel percorso verso la liquidazione definitiva, poiché essa "suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti dall' art. 2 della L. n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di settore per l'adozione del decreto pensionistico definitivo - serve ad assicurare la continuità della prestazione retributiva, rimanendo impregiudicata la possibilità per l'amministrazione di correggere eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva"(Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

La Consulta individua quindi una differenziazione netta tra la fase che intercorre tra la liquidazione provvisoria e l’emissione del provvedimento di riconoscimento di pensione definitiva– nell’ambito della quale l'amministrazione conserva ampi margini di revoca o modifica del trattamento pensionistico qualora lo riconosca affetto da errori di qualsiasi genere- e la fase successiva alla liquidazione definitiva, in cui la situazione cambia radicalmente, individuandosi tassativamente i limiti e i termini di modificabilità del provvedimento dettati dalla normativa di settore.

A questo riguardo, la Corte costituzionale ha anche esaminato le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, richiamate dal giudice rimettente quale tertium comparationis con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; in tale contesto, nel valutare le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo in rapporto all’errore di diritto, la Corte Costituzionale ha quindi precisato che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione” (Corte costituzionale, sent. n. 208 del 16 luglio 2014).

Poste tali premesse, occorre verificare la natura dell’errore che ha condotto l’Amministrazione a modificare il trattamento definitivo di cui al decreto n. 278/2009, in ordine al quale era peraltro già intervenuto il pronunciamento di questa stessa Sezione (sent. n. 231/2009) che, proprio a fronte dell’adozione del predetto atto, aveva dichiarato la parziale cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso illo tempore proposto dal signor B…. Nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente afferma che la modifica in pejus del proprio trattamento dovrebbe rientrare nella ipotesi di cui ai capi a) e b) dell’art. 204 del T.U. n. 1092/1973 “sia perché è stato causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti (il decreto n. 278 del 26/5/2009 riportava espressamente il computo dell’ anzianità al 31/12/1992 in 14 anni, 7 mesi e 2 giorni – cfr. pag. 1 doc. 5 tabella “serie dei servizi quota 2”) sia perché l’errore riguarda il calcolo e l’ammontare della pensione” (pag. 6 ricorso); secondo quanto precisato dalla difesa del ricorrente nel corso dell’udienza di discussione in data 28.1.2016 l’errore di cui trattasi potrebbe comunque qualificarsi come errore di diritto. In entrambe le ipotesi, secondo la tesi attorea, il decreto definitivo di pensione n. 278/2009 non sarebbe più stato modificabile, quantomeno per essere intervenuto oltre i termini di legge.

Orbene, nella vicenda in esame si osserva che la riliquidazione del trattamento pensionistico ordinario del ricorrente, avvenuta con il decreto n. 66 del 24 gennaio 2014 impugnato, appare determinata da una diversa interpretazione dell’art. 40 del d.p.r. n. 1092/1973 in relazione all’art. 59 c. 1 della l. n. 449/1997 con riferimento agli arrotondamenti di frazioni di anno ai fini della determinazione dell’ anzianità contributiva : nell’ambito della liquidazione della pensione ordinaria di cui al decreto n. 278 del 26 maggio 2009 l’ anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni al 31.12.1992 (già riconosciuta nel prospetto riepilogativo dei servizi utili al trattamento di quiescenza emesso il 11.3.2004 del Comando Regionale Carabinieri di Piemonte e Valle d’Aosta) era stata oggetto di arrotondamento a 15 anni (in forza della disposizione di cui al citato art. 40) mentre nel successivo decreto n. 66/2014 è prevalsa l’interpretazione secondo la quale tale arrotondamento non potesse più ritenersi ammesso, dovendo considerarsi la norma implicitamente abrogata anche con riguardo ai servizi svolti antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 59 L. n. 449/1997.

Per quanto emergente dagli atti di causa l'intervento si appalesa quindi mirato a eliminare un preteso errore di diritto che, secondo costante giurisprudenza, non può ritenersi rientrare tra i casi che consentono interventi modificativi del trattamento pensionistico definitivo.

Ciò in quanto, secondo quanto affermato recentemente dalla Corte Costituzionale, "L'esclusione della rilevanza dell'errore di diritto dai casi consentiti di modifica o revoca del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non è irragionevole o arbitraria, essendo volta - come detto - a soddisfare esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento le quali, già cedevoli nella fase interinale precedente alla liquidazione definitiva, prevalgono successivamente, per effetto di un diverso bilanciamento con l'interesse antagonista del ripristino della legittimità dell'azione amministrativa" (Corte Cost. sent. n. 208/2014).

Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.

Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".

Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt. 203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).

Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato; risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.

Atteso quanto sopra, ritenute assorbite le diverse censure prospettate da parte ricorrente, anche in forza del criterio della ragione più liquida (cfr. Cass., Sez. VI, n. 12002/2014), consegue che il signor B… ha diritto ad aver ripristinato l'originario trattamento pensionistico ordinario disposto con Decreto n. 278 del 26.5.2009. Sulle maggiori somme da corrispondere in relazione ai singoli ratei vanno riconosciuti interessi e rivalutazione secondo il criterio dell'assorbimento.

Va altresì restituita da parte dell’INPS al ricorrente la somma recuperata in seguito all’adozione della nota INPS- Direzione Provinciale di Cuneo del 22.12.2014, in applicazione del Decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri.

In considerazione della circostanza che, in ordine al predetto recupero, l'Amministrazione ha agito in carenza di potere perché in violazione del divieto di riforma del provvedimento di liquidazione definitivo oltre il termine triennale di cui all’art.205 d.p.r. n. 1092/1973 e, conseguentemente, la restituzione della somma non è dipesa da un indebito pensionistico, anche sulle somme restituite vanno corrisposti al ricorrente gli accessori di legge (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia, n. 521/2015).

Non può invece ritenersi correttamente proposta né, quindi, esaminata nel merito la domanda di rivalsa avanzata dall'INPS - Gestione ex INPDAP nei confronti del Ministero della Difesa- Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, tesa alla rifusione della somma ritenuta irripetibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di affermare che, per il giudizio di rivalsa che l'Istituto intende promuovere nei confronti dell'Amministrazione, non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario con l'Amministrazione stessa, nell'ambito del giudizio sulla ripetibilità nei confronti del pensionato e che non sia, quindi, necessaria la contestualità, considerata l'autonomia delle due diverse pretese azionate e la conseguente autonomia dei relativi giudizi (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur I d'Appello, sent. n. 459 del 20.3.2014, sent. n. 418 del 14.3.2014, sent. n. 340 del 28.2.2014).

E’ stato osservato, in proposito, che la domanda subordinata di rivalsa proposta dall'Ente previdenziale introduce una controversia diversa - sia per petitum, che per causa petendi - rispetto alla domanda di irripetibilità del pensionato, ben potendo la predetta domanda essere proposta anche in autonomo giudizio (ex plurimis Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d'Appello n. 764/2012, id. n. 766/2012; Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Veneto n. 42/2013, n. 47/2013).

E’ stato altresì rilevato che la trattazione congiunta alla domanda proposta dal ricorrente, della pretesa di rivalsa avanzata dall’INPS nei confronti del Ministero, ordinatore primario di spesa, espone a dilatare ingiustificatamente ed eccessivamente i tempi di durata e di definizione del processo da contenersi, invece, nei limiti del principio di ragionevolezza, presidiato da norma di rango costituzionale (art. 111, c. 2, Cost.) con conseguente rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio formulata dall'I.N.P.S nelle ipotesi in cui l’Amministrazione datrice di lavoro non sia stata contestualmente evocata in giudizio dallo stesso ricorrente.

Questa Sezione, sulla base di analoghe argomentazioni, ha escluso l’accoglibilità della predetta domanda anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ordinatrice primaria di spesa risultasse già evocata in giudizio dal ricorrente, contestualmente all’INPS (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014; id. n. 142/2014).

La Sezione ha avuto modo di affermare, in proposito, che la domanda, avanzata dall’I.N.P.S. in subordine, di condanna diretta dell’Amministrazione datrice di lavoro, debba ritenersi esulare dal giudizio incardinato dal ricorrente con diverso petitum, facendo rilevare in proposito che “… le attribuzioni di ordinatore principale e secondario di spesa costituiscono una mera ripartizione di competenza di apparati della pubblica amministrazione comunque costituenti nel loro complesso la figura di obbligato passivo (v. C. conti, sez. III, 4 luglio 2001, n. 175/A). Né ai fini del giudizio rileva l’eventuale responsabilità di chi ha concretamente operato, trattandosi soltanto di accertare in questa sede se sussiste o meno il diritto vantato dal ricorrente” (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014).

Si richiama, sul punto l’orientamento espresso dalle Sezioni Centrali d’appello (I^ Sez. Giur. Centr. App. n. 767/2012/A e n. 109/2013) in cui è ribadito “il carattere organizzatorio ed interno della questione relativa all’incidenza finale degli oneri derivanti da una pronuncia di irripetibilità dell’indebito e ciò per la struttura sostanzialmente unitaria dell’Amministrazione e l’estraneità ad un giudizio a tal fine incardinato, della domanda relativa all’individuazione del soggetto cui devono essere addossati da ultimo gli oneri economici risultanti dalla corresponsione delle somme risultate non dovute (e dichiarate, come nella specie, anche se solo in parte, irripetibili) (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, n. 36/2014; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).

In relazione alla medesima domanda di rivalsa appare peraltro dirimente e preliminare ad ogni considerazione di merito il mancato rispetto delle norme circa l’instaurazione del contraddittorio (cfr. Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).

Come evidenziato dalla giurisprudenza contabile in fattispecie analoghe, la pretesa avanzata in via subordinata dall’INPS “non può configurarsi come domanda riconvenzionale, posto che essa non è stata proposta nei confronti dell’attore del presente giudizio, ma nei confronti di altro soggetto convenuto dall’attore e senza le forme che garantiscono il rispetto del principio del contraddittorio” (cfr. Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014; Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015).

Anche volendo ammettersi, quindi, la proponibilità di una domanda trasversale di rivalsa nell’ambito del processo pensionistico avanti alla Corte dei conti, come formulata nel caso di specie dall’Istituto Previdenziale, reputa questo Giudice che la stessa dovrebbe comunque soggiacere all'onere di garantire la corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti convenute nelle ipotesi che le stesse spieghino reciprocamente autonome domande (sugli aspetti processuali si fa rinvio alla sentenza di questa Sezione n. 29/2013 che richiama le pronunce delle SS.RR. della Corte dei conti, nn. 2/QM/2002 e 4/QM/2004).

Si rileva appena che la preclusione all’esame nel merito della domanda riconvenzionale nel presente processo non esclude la proponibilità della stessa nell’ambito di un autonomo giudizio.

Quanto alla regolamentazione delle spese, si osserva preliminarmente che risulta applicabile, ratione temporis, alla fattispecie, la modificazione dell’art. 92 c.p.c. introdotta dall’art. 13 d.l. n. 132 in data 12.9.2014, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162. Tenuto conto dei richiamati recenti interventi giurisprudenziali sulla questione concernente la “revoca”, per errore, della pensione definitiva si reputano sussistenti i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione, deduzione
ACCOGLIE

il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, dichiara il diritto del signor B. A. a vedere ripristinato il trattamento pensionistico disposto con decreto n. 278 del 26 maggio 2009 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri nonché all’integrale restituzione al medesimo delle somme indebitamente trattenute in forza della nota INPS- Direzione Provinciale di cuneo in data 22.12.2014 ed alla corresponsione, su quanto dovuto in esecuzione della presente sentenza, della maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, c.3 c.p.c., tenuto conto dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002.

Spese compensate.

Ai sensi dell’art. 429 c.p.c. fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione
Così deciso in Torino il 28 gennaio 2016.

Il GIUDICE
(F.to dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta)


Depositata in Segreteria il 29 Febbraio 2016


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complimenti a panorama, non ti sfugge niente. questi ci provano sempre, ma quasi mai a favore dei dipendenti, complimenti anche al collega che non ha mollato
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Ringraziando l'amico Panorama che spulciando le banche dati , visitabili da chiunque , dei vari organi di giustizia ci tiene costantemente informati su queste questioni che a qualcuno potrebbero interessare detto questo non capisco il perchè dell'accanimento dell'INPS su queste cose in quanto al 99% questo tipo di ricorsi li stà perdendo tutti visto e considerato che oramai cè una letteratura consolidata della materia questi continuano a far intraprendere la strada del ricorso ai poveri cristi a cui capita una cosa del genere facendo spendere soldi in avvocati facendo muovere un apparato , la Corte dei Conti che secondo me ha cose ben più importanti di cui occuparsi , , che ha i suoi costi il tutto poi alla fine perdere restituire quanto tolto e pagarsi anche le spese processuali di solito questi errori vengono generati da chi fà i conteggi ma dico non è più semplice andare alla fonte e tirargli le orecchie e farglieli tirare fuori a chi ha sbagliato i soldi ? no è molto più semplice aggredire il povero pensionato la quale sola colpa è quella di aver preso la pensione pensando che alla fine nulla sarebbe cambiato invece ......
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il problema e che visto i costi una piccola percentuale fa ricorso e lo vince, il resto purtroppo per i più svariati problemi non lo fa e loro hanno ottenuto lo scopo. purtroppo in italia i dirigenti non rispondono quasi mai del loro operato anche se palesemente in contrasto alle varie normative e spesso sono indottrinati a farlo. chi ne subisce le conseguenze sono tutte le persone a cui vengono tolti o negati i lori diritti e soldi.
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Attenzione perché può capitare ciò che è successo.

Cmq. ottima valutazione e giudizio della Corte dei Conti in favore del ricorrente. ACCOLTO.
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1) - conferito al ricorrente ..., già dipendente del Ministero della Giustizia, la pensione ordinaria diretta di inabilità .... a decorrere dal 25 giugno 2008, con contestuale rigetto della domanda di pensione di privilegio presentata dal predetto “in quanto il quadro morboso ‘glaucoma bilaterale’ non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, come da parere del Comitato di Verifica del 06.10.2008. Tale quadro morboso, che ha determinato la risoluzione del rapporto d’impiego, risulta preponderante rispetto alla patologia ‘depressione maggiore persistente…’ riconosciuta dipendente da causa di servizio con sentenza n. 175/10 del Tribunale di Forlì – Sezione Lavoro”.
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EMILIA ROMAGNA SENTENZA 117 21/09/2015


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
EMILIA ROMAGNA SENTENZA 117 2015 PENSIONI 21/09/2015



REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
la
Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale
per l'Emilia-Romagna

in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, in persona del Consigliere dott. Francesco Maria Pagliara

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio instaurato con il ricorso n. 43965/PC R.G. proposto da V. R. V. , nato il Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Naldi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bologna in via Barberia n. 22-22/2°, contro l’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Gestione ex INPDAP (ora Gestione Dipendenti Pubblici) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, avverso la determinazione n. OMISSIS, senza data, della Sede INPS di Omissis;

Uditi nella pubblica udienza del 22 luglio 2015, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Maria Cassadonte, l’avv. Donato Catena, su delega dell’avv. Paolo Naldi, per il ricorrente e l’avv. Riccardo Salvo per l’INPS – Gestione Dipendenti Pubblici;

Visti gli atti di causa;

Ritenuto in
FATTO

Con la determinazione n. OMISSIS richiamata in epigrafe, trasmessa all’interessato con nota del 30 gennaio 2013, la Sede INPS – Gestione ex INPDAP (ora Gestione Dipendenti Pubblici) di Omissis ha conferito al ricorrente sig. V. R. V. , già dipendente del Ministero della Giustizia, la pensione ordinaria diretta di inabilità (iscrizione n. OMISSIS) a decorrere dal 25 giugno 2008, con contestuale rigetto della domanda di pensione di privilegio presentata dal predetto “in quanto il quadro morboso ‘glaucoma bilaterale’ non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, come da parere del Comitato di Verifica del 06.10.2008. Tale quadro morboso, che ha determinato la risoluzione del rapporto d’impiego, risulta preponderante rispetto alla patologia ‘depressione maggiore persistente…’ riconosciuta dipendente da causa di servizio con sentenza n. 175/10 del Tribunale di Forlì – Sezione Lavoro”.

Con la stessa determinazione sono stati, inoltre, confermati gli importi di pensione in godimento già attribuiti con precedente determinazione (n. OMISSIS) del 21 giugno 2011.

Risulta in atti che il 17 ottobre 2007, a seguito di istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità “Depressione maggiore” e “Glaucoma bilaterale”, il sig. V. R., all’epoca in servizio presso il Tribunale di Omissis con la qualifica di cancelliere, era sottoposto a visita medico collegiale presso la Commissione Medica di Verifica di Forlì-Cesena, che con verbale n. 162/CS in pari data, formulato il giudizio diagnostico di “A) Depressione maggiore; B) Glaucoma bilaterale chirurgicamente trattato a destra, in compenso farmacologico a sinistra”, esprimeva il seguente giudizio medico-legale: “Il sig. V. R. V. per le infermità di cui al giudizio diagnostico: 1) E’ inidoneo alle mansioni proprie della qualifica di appartenenza, idoneo alle mansioni che non comportino l’applicazione della visione da vicino se non per periodi di assai limitata durata temporale, da escludere l’utilizzo di videoterminale ”. Inoltre, giudicava le infermità in diagnosi rispettivamente ascrivibili, ai fini di equo indennizzo, alla 6^ e alla 7^ categoria di Tab. A, e nel complesso alla 5^ categoria di Tab. A.

La stessa Commissione, con nota n. 151890 del 7 maggio 2008, ad integrazione del suddetto verbale comunicava all’Amministrazione che “l’idoneità…è da intendersi ‘assoluta e permanente’ in relazione alla figura professionale di appartenenza” (v. P.D.G. del 9 luglio 2008).

Il Ministero della Giustizia provvedeva, quindi, a far comunicare al sig. V. R. che “qualora non avesse espresso il proprio consenso all’inquadramento nella figura professionale di area inferiore, ai sensi dell’art. 3 del C.C.N.L., integrativo del C.C.N.L. sottoscritto il 16.2.1999, vincolante dal 17.5.2001, si sarebbe proceduto nei suoi confronti alla dispensa dal servizio ai sensi dell’art. 129 del D.P.R. 3/57, senza ulteriori accertamenti sanitari (così come stabilito dall’art. 7, comma 2, del Decreto del Ministero del Tesoro 8.5.1997 n. 187)”.

Non avendo l’interessato presentato alcuna istanza di inquadramento, con P.D.G. in data 9 luglio 2008 della Direzione Generale del Personale e della Formazione del Ministero della Giustizia così si disponeva: “Il rapporto di lavoro relativo al sig. V. R. V. …attualmente cancelliere – posizione economica C2, in servizio presso il Tribunale di Omissis, fatto salvo il diritto al trattamento di quiescenza e previdenza che possa spettargli a norma delle vigenti disposizioni, è risolto per accertata permanente ed assoluta inidoneità alla propria figura professionale, ai sensi degli artt. 129 D.P.R. 3/1957 e 15 del D.P.R. 29/10/2001, n. 461 a decorrere dal 25.6.2008, giorno successivo a quello fino al quale il dipendente ha prestato servizio, a seguito del verbale n. 162 in data 17.10.2007 con il quale la Commissione Medica di Verifica di Forlì-Cesena, nell’ambito della procedura per il riconoscimento dell’infermità dipendente da causa di servizio, ha espresso nei confronti del sig. V. R. il seguente giudizio:

‘E’ non idoneo alle mansioni proprie della qualifica di appartenenza. Idoneo alle mansioni che non comportino l’applicazione della visione da vicino se non periodi di assai limitata durata temporale. Da escludere l’utilizzo di videoterminale ’”.

In prosieguo, il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, nell’adunanza n. 571/2008 del 6 ottobre 2008, esprimeva il seguente parere:
1) “l’infermità ‘Depressione maggiore’ non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto trattasi di forma di nevrosi, costituita da alterazioni patologiche relativamente stabili del tono dell’umore che, in quanto tali, non sono adeguate alle circostanze e all’ambiente;
l’affezione pertanto non è in alcun modo influenzabile dagli eventi esterni, e quindi neppure dagli invocati fatti di servizio, che non possono aver assunto alcun ruolo causale né concausale efficiente e determinante”;
2) “l’infermità ‘Glaucoma bilaterale chirurgicamente trattato a destra, in compenso farmacologico a sinistra’ non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, trattandosi di affezione oculare caratterizzata da neuropatia ottica che trova come principale fattore di rischio un eccessivo tono intraoculare che a sua volta dipende da fattori anatomici, è da escludere, nel caso, il servizio prestato come possibile causa o concausa efficiente e determinante”.

Da qui il P.D.G. n. 8971 in data 30 marzo 2009, con il quale la già citata Direzione Generale del Personale e della Formazione del Ministero della Giustizia, in conformità al suindicato parere del C.V.C.S., negava la dipendenza da causa di servizio delle infermità “1) Depressione maggiore; 2) Glaucoma bilaterale chirurgicamente trattato a destra, in compenso farmacologico a sinistra” di cui al verbale n. 162/CS datato 17 ottobre 2007 della C.M.V. di Forlì-Cesena.

Avverso il suindicato provvedimento l’interessato adiva il Tribunale di Forlì – Sezione Lavoro con ricorso depositato il 19 ottobre 2009, chiedendo il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio in relazione sia alla “depressione maggiore” che al “glaucoma”.

La causa, “istruita con l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e con espletamento di CTU medico-legale sulla persona del ricorrente”, era decisa con sentenza n. 175/10 del 18 ottobre - 16 dicembre 2010, con la quale il Giudice del Lavoro, condividendo le conclusioni cui era pervenuto il Consulente Tecnico d’Ufficio dott. Carlo M., definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dal sig. V. R. nei confronti del Ministero della Giustizia, “ogni diversa e contraria istanza disattesa e respinta”, dichiarava “la dipendenza da causa di servizio della malattia depressiva”.

A seguito di tale pronuncia, il sig. V. R. presentava all’allora INPDAP istanza di pensione privilegiata per la patologia depressiva dichiarata dipendente da causa di servizio.

Con nota del 28 marzo 2011 la Sede interprovinciale di Omissis del predetto Istituto chiedeva alla Commissione Medica di Verifica Regionale di Bologna di sottoporre l’interessato a visita medico collegiale, affinché venisse accertato che la patologia che aveva determinato il collocamento a riposo fosse “preponderante ai fini della concessione della pensione di Privilegio”.

Il 30 giugno 2011 il sig. V. R. era dunque sottoposto ad accertamento sanitario da parte della suindicata Commissione Medica, che con verbale n. 1535 in pari data, riepilogate le infermità già giudicate ai fini della dipendenza da causa di servizio – “1) Malattia depressiva; 2) “Glaucoma bilaterale chirurgicamente trattato a destra, in compenso farmacologico a sinistra” -, e formulato il giudizio diagnostico di “1) Depressione maggiore persistente in trattamento farmacologico; 2) Già accertato glaucoma”, si esprimeva nei seguenti termini: “Il V. R. V. cancelliere per le infermità di cui al giudizio diagnostico: 1) E’ non idoneo alla data del collocamento a riposo per l’infermità dipendente da Causa di Servizio di cui al punto 1 del riepilogo”. Inoltre, ai fini di pensione privilegiata, la predetta Commissione giudicava l’infermità dipendente da causa di servizio ascrivibile alla 6^ categoria di Tab. A rinnovabile per anni quattro più assegno di superinvalidità Tabella E lett. N.

Seguiva la determinazione n. OMISSIS della Sede INPS – Gestione ex INPDAP (ora Gestione Dipendenti Pubblici) di Omissis.

Nel proposto ricorso – corredato da varia documentazione e depositato presso la Segreteria della Sezione il 25 giugno 2014 -, riepilogata la vicenda di causa, è stata eccepita l’illegittimità della suddetta determinazione per “violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione, per contraddittorietà e nelle altre forme che saranno ritenute”.

Al riguardo, si è rilevato che la motivazione del gravato provvedimento “si riduce al richiamo del parere espresso in data 6.10.2008 dal Comitato di verifica per le cause di servizio in materia di riconoscimento dell’equo indennizzo, parere superato e posto nel nulla dalla successiva sentenza del Tribunale di Forlì che, diversamente da quanto ritenuto nel predetto parere, ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio della patologia ‘depressione maggiore’ che aveva concorso in modo preponderante nel determinare la risoluzione del rapporto di lavoro del ricorrente”, mentre “nessun riferimento viene invece operato nella determinazione di cui si contesta la legittimità, al giudizio espresso dalla competente Commissione medica di verifica, interpellata dall’INPDAP, con verbale BL/B n. 1535 del 30.6.2011 in base al quale risulta accertato che il ricorrente è da ritenersi non idoneo alla data del collocamento a riposo per l’infermità dipendente da causa di servizio ‘depressione maggiore persistente in trattamento farmacologico’”.

Si è sostenuto che in base al suddetto giudizio è evidente che “la inidoneità che ha causato la risoluzione del rapporto di lavoro del ricorrente trova la sua causa preponderante nella patologia depressiva e quindi nella infermità di cui è stata accertata la dipendenza da causa di servizio”; ciò a conferma del giudizio già espresso dal CTU nominato dal Tribunale di Forlì, per il quale “…la patologia depressiva si è automantenuta aggravandosi nel tempo, diventando cronica ed irreversibile fino alla risoluzione del contratto di lavoro”.

Contestata, sul punto, l’apoditticità dell’affermazione contenuta nella impugnata determinazione, secondo cui sarebbe stato “il quadro morboso glaucoma bilaterale” ad aver determinato la risoluzione del rapporto di impiego e “tale quadro morboso risulta preponderante rispetto alla patologia ‘depressione maggiore persistente…’ riconosciuta dipendente da causa di servizio”, si è poi evidenziato che, come emerso dalla richiamata CTU, la “depressione maggiore” non solo ha costituito la ragione della risoluzione del rapporto di lavoro, ma è stata anche concausa della manifestazione del glaucoma; ciò in quanto, a causa della depressione, il ricorrente è stato costretto a sottoporsi a terapia con triciclici, “farmaci in grado di portare ad evidenza clinica il glaucoma”.

Pertanto – si dedotto -, anche se il Tribunale di Forlì ha ritenuto che l’uso dei farmaci antidepressivi non possa costituire una “concausa efficiente e determinante” per consentire di riconoscere dipendente da causa di servizio anche il glaucoma, è indubbio che “esiste interdipendenza tra le due patologie in quanto la seconda è insorta (con determinati tempi e modalità) a causa della prima”.

Si è ribadita l’assoluta genericità e contraddittorietà della motivazione addotta dall’ex INPDAP al fine di respingere la domanda di pensione privilegiata presentata dal ricorrente, assumendosi, conclusivamente, essere indubbio che “la inidoneità del ricorrente alla data del collocamento a riposo è stata determinata in modo perlomeno preponderante dalla patologia ‘depressione maggiore’ riconosciuta dipendente da causa o concausa di servizio”, con conseguente riconoscimento in favore del ricorrente medesimo, ai sensi dell’art. 64 del d.P.R. n. 1092/1973, di pensione privilegiata a decorrere dalla data di collocamento a riposo, con riferimento alla 6^ categoria di Tab. A o a quella maggiore o a quella maggiore che verrà ritenuta di giustizia e con gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle differenze di pensione maturate e non riscosse, dalla mora al saldo.

Si è chiesto, quindi, che questa Corte, “previo annullamento e/o disapplicazione in parte qua del provvedimento impugnato e previo ogni opportuno accertamento”, voglia: 1) Accertare e dichiarare che il ricorrente ha diritto a percepire a decorrere dalla data di collocamento a riposo la pensione privilegiata con riferimento alla VI^ categoria tabella A, o quella maggiore di giustizia, nella misura di legge, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria nella misura di legge se dovuta, sulle differenze spettanti e non corrisposte, e con l’assunzione di ogni opportuno provvedimento” 2) Con vittoria di spese e competenze legali.

L’INPS – Gestione Dipendenti Pubblici si è costituito in giudizio con memoria depositata il 15 aprile 2015 a mezzo dei propri avvocati Mariateresa Nasso e Riccardo Salvo.

In detta memoria si è evidenziato, in punto di fatto, che il trattamento pensionistico di cui è in godimento il ricorrente è stato conferito in applicazione del provvedimento di collocamento a riposo del Ministero della Giustizia datato 30 luglio 2008 (recte: 9 luglio 2008 – n.d.r.) che riconosceva la patologia “glaucoma” quale causa preponderante di cessazione dal servizio, nonché sulla base di quanto statuito dal M.E.F. - Comitato di Verifica per le Cause di Servizio nel verbale del 6 ottobre 2008, ove veniva accertata la non dipendenza da causa di servizio della patologia “glaucoma bilaterale” e della patologia “depressione maggiore”.

Si è sostenuto che, nella specie, nessuna censura può essere mossa all’Ente Previdenziale, ribadendosi, con richiamo all’art. 64 del d.P.R. n. 1092/1973, che la causa preponderante di cessazione dal servizio del ricorrente è correlata alla patologia “glaucoma bilaterale” riconosciuta non dipendente da causa di servizio, e non già alla “malattia depressiva” riconosciuta dipendente da causa di servizio con la sentenza del Tribunale di Forlì n. 175/2010.

In via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso con obbligo di procedere al ricalcolo del trattamento pensionistico con la liquidazione di interessi legali e rivalutazione monetaria, è stata evidenziata l’esistenza, dal 1° gennaio 1992, del divieto di cumulo di detti accessori.

Sempre in via subordinata, è stata eccepita l’intervenuta prescrizione delle somme che dovessero essere riconosciute dovute anteriormente al quinquennio decorrente dalla data della domanda.

In via istruttoria, qualora fosse disposta consulenza tecnica d’ufficio, è stato nominato quale CTP il dott. Giuseppe F. dell’ufficio medico legale dell’INPS o altro medico dell’Istituto all’uopo delegato, richiamandosi, altresì, quanto previsto dall’art. 10, comma 6-bis, del d.l. n. 203 del 2005 convertito, con modificazioni dalla legge n. 248 del 2005: “Nei procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie previdenziali ed assistenziali, nel caso in cui il giudice nomini un consulente tecnico d'ufficio, alle indagini assiste un medico legale dell'ente, su richiesta, del consulente nominato dal giudice, il quale provvede ad inviare, entro 15 giorni antecedenti l'inizio delle operazioni peritali, anche in via telematica, apposita comunicazione al direttore della sede provinciale dell'INPS competente o a suo delegato. Alla relazione peritale è allegato, a pena di nullità, il riscontro di ricevuta della predetta comunicazione.

L'eccezione di nullità è rilevabile anche d'ufficio dal giudice. Il medico legale dell'ente è autorizzato a partecipare alle operazioni peritali in deroga al comma primo dell'articolo 201 del codice di procedura civile. Al predetto componente competono le facoltà indicate nel secondo comma dell'articolo 194 del codice di procedura civile…(omissis)”.

Conclusivamente, si è chiesto di volere: 1) in via principale dichiarare il ricorso infondato e come tale respingerlo integralmente; in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione delle somme che dovessero essere riconosciute dovute al ricorrente anteriormente al quinquennio decorrente dalla data di notifica del ricorso giudiziario. Con vittoria di spese e compensi.

A seguito dell’ordinanza a verbale emessa nella pubblica udienza del 17 giugno 2015, in data 25 giugno 2015 l’avv. Paolo Naldi, difensore del ricorrente, ha depositato la domanda di pensione privilegiata (datata 21 dicembre 2010) del sig. V. R. presentata il 13 gennaio 2011 – tramite Patronato - alla Sede di Omissis dell’allora INPDAP.

All’odierna udienza pubblica l’avv. Donato Catena, per il ricorrente su delega dell’avv. Paolo Naldi, ribadita la dipendenza da causa di servizio dell’infermità depressiva e richiamato, inoltre, il giudizio di inidoneità espresso nel verbale giugno 2011 della Commissione Medica di Verifica di Bologna, ha sostenuto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio richiesto, insistendo per l’accoglimento del ricorso. L’avv. Riccardo Salvo, per l’INPS – Gestione Dipendenti Pubblici, esclusa la possibilità di conciliazione della lite ex art. 420 c.p.c., ha confermato le conclusioni rassegnate nella memoria di costituzione.

La causa è quindi passata in decisione, con conseguente lettura del dispositivo e fissazione del termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza ai sensi dell’ultima parte dell’art. 429, comma 1, secondo capoverso, c.p.c., come sostituito dall’art. 53 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133.

Considerato in
DIRITTO

La controversia dedotta nel presente giudizio concerne la richiesta del ricorrente, ex dipendente del Ministero della Giustizia, volta ad ottenere il riconoscimento della pensione di privilegio per la forma depressiva da cui lo stesso è affetto, diagnosticata dalla Commissione Medica di Verifica di Bologna come “Depressione maggiore persistente in trattamento farmacologico”.

Al riguardo, occorre ricordare che ai sensi dell’art. 64, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973 il dipendente statale ha diritto alla pensione privilegiata qualora per infermità o lesioni dipendenti da fatti di servizio abbia subito menomazioni dell'integrità personale ascrivibili a una delle categorie della tabella A annessa alla legge 18 marzo 1968, n. 313, e dette menomazioni lo abbiano reso inabile al servizio.

Venendo al caso che occupa, va anzitutto rilevato che, ai sensi della determinazione n. OMISSIS della Sede INPS – Gestione ex INPDAP (ora Gestione Dipendenti Pubblici) di Omissis, il diniego del richiesto trattamento privilegiato risulta motivato dalla considerazione che il quadro morboso “Glaucoma bilaterale chirurgicamente trattato a destra, in compenso farmacologico a sinistra” - non riconoscibile come dipendente da fatti di servizio giusta il parere del Comitato di Verifica del 6 ottobre 2008 - “ha determinato la risoluzione del rapporto di impiego” e “risulta preponderante rispetto alla patologia ‘depressione maggiore persistente…’ riconosciuta dipendente da causa di servizio con sentenza n. 175/10 del Tribunale di Forlì – Sezione Lavoro”.

Della suddetta infermità depressiva non è, dunque, in contestazione la dipendenza da causa di servizio, ma solo il grado di incidenza sulla inabilità del ricorrente al servizio stesso.

E invero, a seguito della domanda di pensione privilegiata presentata dal sig. V. R. per la “malattia depressiva”, l’allora INPDAP, ritenendo necessario sottoporre il sunnominato a visita medico collegiale presso la Commissione Medica di Verifica di Bologna affinché venisse accertato che la patologia che aveva determinato il collocamento a riposo fosse “preponderante ai fini della concessione della pensione di privilegio”, con nota del 28 marzo 2011 interpellava a tal fine la predetta Commissione.

Ebbene, la Commissione medesima, con il verbale n. 1535 del 30 giugno 2011 richiamato in narrativa, formulato il giudizio diagnostico di “1) Depressione maggiore persistente in trattamento farmacologico; 2) Già accertato glaucoma”, giudicava il sig. V. R. “non idoneo” alla data del collocamento a riposo per l’infermità dipendente da causa di servizio di cui al punto 1 del “Riepilogo delle infermità/lesioni già giudicate ai fini della dipendenza da causa di servizio”, ossia per la “Malattia depressiva” [v. Riepilogo: 1) “Malattia depressiva; 2) “Glaucoma bilaterale chirurgicamente trattato a destra, in compenso farmacologico a sinistra”].

Alla stregua di tale giudizio dell’organo tecnico – reso nell’ambito del procedimento attivato dall’Istituto previdenziale a seguito della domanda di pensione privilegiata presentata dal ricorrente nel gennaio 2011, e necessariamente formulato a posteriori rispetto alla data di risoluzione del rapporto di lavoro del 25 giugno 2008 – l’infermità depressiva, per la sua natura ed entità, deve, quindi, ritenersi atta a determinare di per sé l’inidoneità al servizio a detta data (25 giugno 2008), a prescindere dall’infermità oculare, restando così superato e assorbito il precedente giudizio di inidoneità di cui al verbale n. 162/CS in data 17 ottobre 2007 della C.M.V. di Forlì-Cesena richiamato nel provvedimento di dispensa (P.D.G. del 9 luglio 2008).

Ne discende che, secondo quanto accertato nella competente sede medica (v.m.c. del 30 giugno 2011 presso la C.M.V. di Bologna), l’infermità “depressione maggiore” va considerata non solo dipendente da causa di servizio, ma anche tale da rendere il ricorrente inidoneo al servizio stesso alla data della sua cessazione, con conseguente realizzarsi, nella fattispecie, dell’ulteriore presupposto dell’inabilità di cui all’art. 64, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973; detta infermità, inoltre, diagnosticata nella visita collegiale di riferimento del 30 giugno 2011 quale “Depressione maggiore persistente in trattamento farmacologico”, risulta ascrivibile alla 6^ categoria di tabella A, come indicato dalla Commissione Medica di Verifica di Bologna.

Dal che deriva il riconoscimento del diritto del ricorrente ad ottenere la pensione diretta di privilegio, nella misura che sarà liquidata nella competente sede amministrativa in conformità a quanto stabilito dall’art. 65 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092. Ciò con una duplice precisazione: a) che la decorrenza economica della suddetta pensione va individuata, ai sensi dell’art. 191, comma 3, dello stesso d.P.R. n. 1092/1973, nel primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della relativa domanda alla Sede INPDAP di Omissis, in quanto prodotta il 13 gennaio 2011, ossia oltre due anni dopo la cessazione dal servizio; b) nel caso di specie - tenuto conto della riconosciuta decorrenza economica, nonché delle date di trasmissione al sig. V. R. del provvedimento impugnato (nota in data 30 gennaio 2013 della Sede INPS – Gestione ex INPDAP di Omissis) e di notifica del ricorso all’INPS (17 giugno 2014) - non è maturata alcuna prescrizione, sicché la relativa eccezione formulata dalla difesa dell’Istituto previdenziale va disattesa siccome infondata.

Inoltre, in conformità all’ormai definito indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (v. Sezioni Riunite, sentenza n. 10/2002/QM), sulle somme dovute in forza della presente sentenza va riconosciuto al ricorrente il diritto al “maggior importo” tra interessi e rivalutazione ex art. 429, comma 3, cod. proc. civ., tenuto conto delle percentuali di interessi legali e dell’indice ISTAT ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ. rilevati anno per anno: tale importo va calcolato a decorrere da ogni singola scadenza debitoria e fino all’effettivo soddisfo.

Nei sensi e nei limiti delle considerazioni che precedono il ricorso de quo deve giudicarsi fondato e, come tale, meritevole di accoglimento.

La natura e i descritti profili della vicenda controversa legittimano l’integrale compensazione tra le parti delle spese legali. Non vi è luogo, invece, a provvedere sulle spese di giustizia, avuto riguardo al principio di gratuità operante nei giudizi pensionistici.

P.Q.M.

la Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-Romagna in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, definitivamente pronunciando

ACCOGLIE

il ricorso in epigrafe nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto
- riconosce e dichiara il diritto del ricorrente ad ottenere, con decorrenza economica dal 1° febbraio 2011, pensione privilegiata ordinaria a vita, da calcolarsi in conformità a quanto stabilito dall’art. 65 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, per l’infermità “depressione maggiore” dichiarata dipendente da causa di servizio ed ascrivibile alla 6^ (sesta) categoria di Tabella A;

- riconosce inoltre, sulle somme accordate in forza della odierna pronuncia, il diritto agli accessori da calcolarsi nei modi indicati in motivazione.

Spese legali compensate. Nulla per le spese di giustizia.
Il Giudice, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 nr. 196,
DISPONE
Che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi della parte privata e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Bologna il 22 luglio 2015.
Il giudice
(Francesco Maria Pagliara)
f.to Francesco Maria Pagliara

Depositata in Segreteria il 21/09/2015

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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1) - La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».

Qui sotto la sentenza della Corte Costituzione.
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SENTENZA N. 174
ANNO 2016


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, nel procedimento vertente tra S.P. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sulla domanda di S.P., coniuge superstite di un titolare di pensione diretta, che ha chiesto il riconoscimento del diritto di percepire la pensione di reversibilità, senza la decurtazione percentuale sancita dalla disposizione impugnata, e la conseguente condanna dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a rideterminare l’importo della pensione, con interessi e rivalutazione monetaria.

In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia che la disposizione censurata si applica ratione temporis alla vicenda controversa e non si presta a un’interpretazione compatibile con il dettato costituzionale: la parte ricorrente nel giudizio principale ha sposato un uomo, che ha superato i settant’anni, il divario di età tra i coniugi è superiore a vent’anni e, pertanto, ricorrono i presupposti per procedere alla decurtazione di legge.

1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, il giudice a quo disattende, in primo luogo, gli argomenti della parte intervenuta, volti a equiparare il matrimonio alla convivenza more uxorio, che, nel caso di specie, aveva preceduto il matrimonio.

Il giudice rimettente assume che la disciplina impugnata contrasti con l’art. 29 Cost., in quanto le decurtazioni previste dalla legge pregiudicano la possibilità di condurre una vita dignitosa dopo la morte del coniuge e violano così la libertà di compiere scelte personali in àmbito familiare.

Inoltre, la misura restrittiva adottata dal legislatore si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo: le decurtazioni previste sarebbero innanzitutto irragionevoli, perché legate a fattori futuri, incerti, estranei alle regole dell’istituto della pensione di reversibilità (la durata del matrimonio, l’età del coniuge pensionato). In secondo luogo, esse sarebbero lesive dell’eguaglianza tra i coniugi, discriminando arbitrariamente – quanto alla garanzia di continuità del sostentamento – il coniuge superstite, «apoditticamente individuato nel più giovane».

Ad avviso del giudice rimettente, la disciplina in esame, destinata a tradursi in una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, lederebbe anche i princìpi consacrati dagli artt. 36 e 38 della Carta fondamentale.

Essa, difatti, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, “retribuzione differita”, che, nel necessario bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie, deve essere proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un dignitoso sostentamento.

2.– Con memoria del 6 agosto 2014, si è costituito in giudizio l’INPS, limitandosi a chiedere di dichiarare inammissibile o, in subordine, infondata la questione di legittimità costituzionale e riservandosi di meglio articolare in séguito deduzioni e difese.

3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria depositata il 16 settembre 2014, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.

La difesa dello Stato reputa la questione inammissibile, per difetto di chiarezza e di univocità della prospettazione: la disposizione riguarderebbe tutti i trattamenti pensionistici, pubblici e privati, e, pertanto, non sarebbe intelligibile la censura di violazione dell’art. 3 Cost., soprattutto in considerazione della peculiarità della fattispecie e della finalità di reprimere gli abusi ai danni delle persone anziane.

La questione sarebbe comunque infondata, poiché la libertà di sposarsi non può ritenersi condizionata dalla possibilità di beneficiare del trattamento di reversibilità.

Sarebbero prive di pregio anche le censure di violazione degli artt. 36 e 38 Cost.. Sarebbe conforme ai princìpi costituzionali una disciplina suscettibile di incidere su trattamenti pensionistici del tutto eventuali, come la pensione di reversibilità, in forza di una disciplina dell’ammontare di tali trattamenti, rispettosa del canone di ragionevolezza.

Peraltro, l’accoglimento della questione di costituzionalità produrrebbe effetti negativi per la finanza, secondo quanto si evince dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011.

4.– In prossimità dell’udienza, l’INPS ha depositato una memoria illustrativa e ha ribadito, con argomentazioni più approfondite, le conclusioni già svolte.

L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, addebitando al giudice rimettente di non avere adeguatamente chiarito se l’applicazione letterale della norma sia davvero in conflitto con i precetti costituzionali evocati e se una pronuncia di accoglimento sia effettivamente idonea a «ripristinare il bene della vita» richiesto dalla parte ricorrente.

La norma impugnata – argomenta l’INPS – è successiva al matrimonio della ricorrente, che, pertanto, non ha visto pregiudicata la sua libertà di autodeterminazione.

Ad avviso dell’INPS, il giudice rimettente non ha specificato come la riduzione del trattamento pensionistico, nel caso di specie, comprometta il diritto a condurre un’esistenza libera e dignitosa.

L’INPS sostiene che il giudice rimettente abbia sollevato la questione di legittimità costituzionale «a tutela non tanto dell’interesse specifico presuntivamente leso dal provvedimento di liquidazione della pensione, ma con il fine di far valere un generale principio di intangibilità del quantum delle pensioni ai superstiti a beneficio della generalità dei potenziali percettori delle prestazioni».

La questione di legittimità costituzionale, inoltre, sarebbe manifestamente infondata: le censure si appunterebbero contro una disciplina adottata in una grave congiuntura di crisi finanziaria, al precipuo scopo di conseguire l’equilibrio di bilancio, costituzionalmente imposto (art. 81 Cost.).

Peraltro, il giudice a quo non avrebbe tenuto conto dell’evoluzione dell’istituto della pensione di reversibilità, che ha perso la connotazione alimentare e assistenziale, per acquisire la valenza di trattamento integrativo del reddito da lavoro o da pensione del familiare superstite.

Contro la fondatezza della questione deporrebbe la diversità delle norme già dichiarate incostituzionali rispetto alla disciplina sottoposta all’odierno vaglio della Corte, che non elimina in radice la pensione di reversibilità, ma riduce progressivamente l’aliquota e prevede taluni correttivi a fronte di situazioni meritevoli di tutela (la presenza di figli minori, studenti o inabili).

L’esigenza di considerare la durata del matrimonio, alla stregua di quel che avviene per la pensione di reversibilità attribuita al coniuge divorziato, non vanificherebbe la funzione solidaristica, insita nella pensione di reversibilità.

Quanto al trattamento deteriore del coniuge superstite più giovane rispetto al privilegio accordato al coniuge superstite più anziano, l’INPS nega che le due fattispecie possano essere poste a raffronto e osserva che, nell’ipotesi marginale di sopravvivenza del coniuge più anziano, questi non potrebbe giovarsi per lungo tempo di tale posizione di favore.

La disposizione impugnata, approvata allo scopo di salvaguardare la tenuta dei conti pubblici e di razionalizzare l’assetto normativo delle pensioni di reversibilità, non limiterebbe in alcun modo la libertà di matrimonio, ma si prefiggerebbe di tutelarla da propositi venali e fraudolenti.

Pertanto, la disciplina in esame, espressione del principio di solidarietà coniugale, non istituirebbe arbitrarie disparità di trattamento e sarebbe immune dai vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente.

5.– All’udienza pubblica del 31 maggio 2016, le parti hanno ribadito le conclusioni già rassegnate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– L’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, dubita della legittimità costituzionale di tale normativa, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione.

Il giudice rimettente ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza.

La disciplina del trattamento di reversibilità, introdotta nel 2011, stabilirebbe decurtazioni «irrazionali e irragionevoli», «collegate a meri fattori futuri, incerti e sicuramente estranei alle regole proprie dell’istituto “pensione di reversibilità” quali la durata del matrimonio e l’età del coniuge pensionato, in assoluto e relativamente a quella dell’altro coniuge».

Inoltre, la disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte sarebbe lesiva del principio di eguaglianza tra i coniugi, «operando nei confronti del coniuge superstite (apoditticamente individuato nel più giovane) un palese “vulnus” del suo diritto a quella garanzia di continuità nel sostentamento ai superstiti, riconosciuta dalla Corte nella sentenza n. 286/1987».

Il giudice rimettente ritiene che la disposizione impugnata confligga con l’art. 29 Cost.: sarebbe limitata «la libertà dell’individuo ad operare le scelte più intime e personali della propria esistenza», in virtù dell’introduzione di «elementi esterni fortemente incidenti sulla sua capacità di determinazione familiare».

In particolare, l’individuo sarebbe posto di fronte all’alternativa «di formare un nucleo familiare secondo la più ampia accezione di libertà oppure non accedervi nella consapevolezza che a quel nucleo non potrà, di fronte all’evento morte, assicurare una vita dignitosa a causa delle decurtazioni volute dalla disciplina in esame».

Il giudice rimettente prospetta anche la violazione degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.: la decurtazione imposta dalla legge, suscettibile di configurare una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, che si caratterizza come “retribuzione differita”, pur nell’indispensabile bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie.

La disposizione censurata contrasterebbe con i princìpi che sanciscono la proporzione del trattamento pensionistico alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e l’idoneità a garantire al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un altrettanto dignitoso sostentamento.

2.– La questione, posta dalla Corte dei conti, si sottrae alle eccezioni di inammissibilità, formulate in via preliminare dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dalla difesa dello Stato.

2.1.– Quanto al difetto di rilevanza, eccepito dall’INPS, è la stessa difesa dell’ente previdenziale a riconoscere che la disposizione impugnata si applica al caso di specie, in quanto riguarda pensioni di reversibilità che decorrono dal 1° gennaio 2012 e il diritto della ricorrente è sorto in data successiva.

L’applicabilità della disposizione al giudizio principale è sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato più incisivo sul concreto pregiudizio ai princìpi costituzionali coinvolti.

La questione di costituzionalità non può dirsi irrilevante, sul presupposto che, nella vicenda specifica, l’applicazione della disposizione impugnata non abbia messo a repentaglio la libertà matrimoniale, poiché il matrimonio è stato celebrato prima dell’entrata in vigore della legge del 2011, o non pregiudichi l’adeguatezza della tutela previdenziale accordata al coniuge superstite, già provvisto di mezzi sufficienti.

Tali valutazioni esulano dal sindacato sulla rilevanza richiesto a questa Corte.

2.2.– Anche le eccezioni mosse dall’Avvocatura generale dello Stato, relative alla carente illustrazione della non manifesta infondatezza, devono essere disattese.

Il giudice rimettente si sofferma, con argomentazioni esaustive, sulle ragioni del contrasto della disciplina censurata con il principio di eguaglianza e con il canone di ragionevolezza. È ininfluente che la disciplina riguardi tutti i trattamenti pensionistici e si riprometta di contrastare taluni abusi, in quanto il giudice a quo coglie la violazione del principio di eguaglianza e del canone di ragionevolezza sotto profili differenti.

3.– La questione è fondata.

3.1.– L’ordinamento configura la pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 286 del 1987, punto 3.2. del Considerato in diritto).

In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa.

3.2.– Nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico.

Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento (sentenza n. 777 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto) e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge (sentenze n. 18 del 1998, punto 5. del Considerato in diritto, e n. 926 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto).

Il perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte, assume queste precise caratteristiche, avallate da plurimi princìpi costituzionali (sentenze n. 419 del 1999, punto 2.1. del Considerato in diritto, e n. 70 del 1999, punto 3. del Considerato in diritto).

Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).

In un àmbito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili, i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza rivestono un ruolo cruciale nell’orientare l’intervento del legislatore. Quest’ultimo, vincolato a garantire un’adeguata tutela previdenziale, per un verso non deve interferire con le determinazioni dei singoli che, anche in età avanzata, ricercano una piena realizzazione della propria sfera affettiva e, per altro verso, è chiamato a realizzare un equilibrato contemperamento di molteplici fattori rilevanti, allo scopo di garantire l’assetto del sistema previdenziale globalmente inteso.

Nel contesto di tali fattori, alla direttrice già tracciata dalla disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che riduce percentualmente l’ammontare del trattamento di reversibilità nell’ipotesi di concorso di più beneficiari e di cumulo dei redditi, si potrebbe affiancare il complementare criterio selettivo dell’età del coniuge beneficiario, sperimentato in altri ordinamenti, anche allo scopo di contenimento delle erogazioni previdenziali, come si evince dalle note informative sintetiche elaborate, nel corso del dibattito parlamentare, dall’Ufficio legislazione straniera del Servizio Biblioteca della Camera dei deputati (XVI Legislatura, Atto Camera n. 1847 e abb.).

4.– Nonostante i temperamenti che il sistema previdenziale predispone, la disposizione impugnata si rivela disarmonica rispetto ai princìpi costituzionali enunciati.

4.1.– L’art. 18, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 si inquadra in una manovra di stabilizzazione finanziaria che include svariati provvedimenti di contenimento della spesa previdenziale, come il progressivo innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato, le modifiche del meccanismo di indicizzazione delle pensioni, il contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici più cospicui, le misure di riduzione del contenzioso in materia di invalidità civile mediante forme di accertamento tecnico preventivo obbligatorio.

La disposizione, adottata sotto l’incalzare di una «particolare congiuntura economica internazionale», che ha precluso l’esame più approfondito delle «spesso assai delicate e complesse questioni poste dall’articolato» (parere espresso il 14 luglio 2011 dalla I Commissione permanente della Camera, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), mutua numerosi elementi da un disegno di legge già in discussione al Parlamento (XVI Legislatura, Atto Camera n. 4150, proposta di legge presentata l’8 marzo 2011).

Il disegno di legge escludeva il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di età avanzata di uno dei coniugi (settant’anni), di elevata differenza di età tra i coniugi, superiore a vent’anni, e di durata del matrimonio inferiore a tre anni. Nella relazione di accompagnamento, si stigmatizzava come “malcostume” l’attribuzione delle pensioni di reversibilità «a persone che non ne avrebbero, sul piano morale, diritto» e si poneva in risalto l’obiettivo di arginare il fenomeno dei matrimoni “di comodo”.

La disposizione censurata nell’odierno giudizio di costituzionalità tempera l’assolutezza della previsione di tale disegno di legge con alcuni correttivi: la pensione di reversibilità non è eliminata in radice, ma è ridotta in una misura modulata del «10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10». La riduzione non opera quando vi siano figli minori, studenti o inabili.

4.2.– La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili.

Si tratta di una presunzione di frode alla legge, connotata in termini assoluti, che preclude ogni prova contraria. La sua ampia valenza lascia trasparire l’intrinseca irragionevolezza della disposizione impugnata. Pur di accentuare la repressione di illeciti, già sanzionati dall’ordinamento con previsioni mirate (sentenze n. 245 del 2011, punto 3.1. del Considerato in diritto, e n. 123 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto), si enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.

Si tratta, a ben vedere, di un presupposto di valore, sotteso anche a precedenti discipline restrittive, fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di matrimonio durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età (sentenza n. 123 del 1990) o di matrimonio celebrato dopo il sessantacinquesimo anno di età, a fronte di una differenza di età superiore a vent’anni (sentenza n. 587 del 1988).

4.3.– Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la disposizione in esame introduce una regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost. e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell’ormai riscontrato allungamento dell’aspettativa di vita.

La disposizione opera a danno del solo coniuge superstite più giovane e si applica esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo a restrizioni «a mero fondamento naturalistico» (sentenza n. 587 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto), che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto estranee «all’essenza e ai fini del vincolo coniugale», con peculiare riguardo all’età avanzata del contraente e alla durata del matrimonio (sentenza n. 110 del 1999, punto 2. del Considerato in diritto).

L’esclusione dell’operatività delle norme che, in presenza di figli, limitano l’erogazione della pensione di reversibilità, non attenua i profili di contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza. Difatti, essa non è valsa a fugare i dubbi di legittimità costituzionale in altri casi già scrutinati da questa Corte, con riguardo alla disciplina delle pensioni erogate alle vedove di guerra (sentenze n. 162 del 1994 e n. 450 del 1991), che condizionava il diritto alla durata annuale del matrimonio o alla presenza di prole, ancorché postuma.

Il vulnus ai diritti previdenziali del coniuge superstite appare ancor più evidente in una normativa che subordina tali diritti alla circostanza, del tutto accidentale ed eccentrica rispetto alla primaria finalità di protezione del coniuge, che vi siano figli minori, studenti o inabili all’epoca del sorgere del diritto del coniuge. Per i figli, peraltro, la disciplina delle pensioni di reversibilità appresta una tutela autonoma, che interagisce con la normativa indirizzata ai coniugi ai limitati effetti della già citata disciplina del “cumulo”. Questo dato serve a confermare l’equilibrato intento solidaristico che ha, già da qualche tempo, ispirato il legislatore.

Neppure la peculiarità del meccanismo congegnato nel 2011, che commisura l’ammontare della pensione di reversibilità alla durata del matrimonio, senza escludere in radice il diritto a beneficiare di tale prestazione, rappresenta un significativo elemento di discontinuità tra la misura censurata e le disposizioni già dichiarate incostituzionali da questa Corte, dapprima sulla scorta di un’analisi puntuale della disparità di trattamento tra le diverse categorie dei beneficiari (sentenze n. 15 del 1980 e n. 139 del 1979) e, nell’evoluzione successiva, sul presupposto della «ingiustificata irrazionalità» di discipline restrittive ancorate a elementi di matrice naturalistica (sentenza n. 587 del 1988, battistrada di una giurisprudenza costante, rappresentata dalle sentenze n. 447 del 2001, n. 187 del 2000, n. 110 del 1999, n. 162 del 1994, n. 1 del 1992, n. 450 e n. 189 del 1991, e n. 123 del 1990).

Quando la durata del matrimonio sia inferiore all’anno, la correlazione tra l’ammontare della pensione di reversibilità e la durata del matrimonio azzera il trattamento previdenziale: il meccanismo di riduzione, concepito in termini graduali dal legislatore, si risolve in una esclusione pura e semplice del diritto, che non differisce dalle ipotesi sottoposte alla disamina di questa Corte nelle pronunce appena ricordate.

L’antitesi con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza non è meno stridente, quando la durata del matrimonio valga a proporzionare il trattamento di reversibilità corrisposto al coniuge, e non a disconoscerlo del tutto. La pregnanza del vincolo di solidarietà coniugale, fondamento della pensione di reversibilità, è graduata in rapporto all’elemento, contingente ed estrinseco, della durata del matrimonio.

Peraltro, il nesso tra durata del matrimonio e ammontare della pensione di reversibilità non si correla a una previsione generale e astratta, eventualmente incentrata su un requisito minimo di convivenza, valido per tutte le ipotesi.

Tale nesso, articolato nei termini singolari di un progressivo incremento dell’importo della pensione al protrarsi del matrimonio, riguarda la sola ipotesi in cui il matrimonio sia scelto da chi ha già compiuto i settant’anni di età e la differenza di età tra i coniugi travalichi i vent’anni.

Il rilievo peculiare della durata del matrimonio, nella sola ipotesi regolata dalla disciplina in esame, ne palesa – da altra e ugualmente pregnante angolazione – il contrasto già segnalato con l’art. 3 Cost.

Non può essere invocata, in chiave comparativa, la disciplina dell’attribuzione della pensione di reversibilità ai coniugi divorziati (art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e successive modificazioni).

In tale fattispecie, la durata non rileva in senso assoluto e astratto, ma come ragionevole criterio per suddividere la pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare del diritto all’assegno divorzile a carico del coniuge scomparso, e altri coniugi superstiti. La durata del matrimonio, infatti, non si riverbera sull’ammontare della pensione di reversibilità, complessivamente attribuito, ma viene in rilievo soltanto nella ripartizione dell’intero tra una pluralità di aventi diritto.

5.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.

Sono assorbite le censure incentrate sulla violazione dell’art. 29 Cost. e, in particolare, sulla limitazione della libertà di contrarre matrimonio.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2016.
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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da leggere attentamente.

La Corte dei Conti 1^ Sez. d'Appello da ragione ad un Ufficiale


1) - presentava in primo grado ricorso per vedere affermato il proprio diritto all’applicazione di una base pensionabile, non inferiore a €25.410,60, che gli era stata già concessa col previo Decreto di pensione privilegiata ordinaria, n…/2008, revocato dal Decreto n…/2011 – quest’ultimo, contestato in quella sede di prime cure – nonché all’attribuzione del beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, previsti dall’art. 6-bis DL 16 settembre 1987, n.379.

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PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 612 21/12/2015
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 612 2015 RESPONSABILITA 21/12/2015


Sent. n.612/2015 A

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello

Composta dai sig.ri Magistrati
dott.ssa Piera Maggi Presidente
dott. Nicola Leone Consigliere
dott.ssa Emma Rosati Consigliere relatore
dott.ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
dott.ssa Fernanda Fraioli Consigliere

Ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio pensionistico d’appello iscritto al n. 46975 del registro di Segreteria, proposto dal sig. G.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Olindo CAZZOLLA, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Val Pellice, n.51, AVVERSO la sentenza n.482/2013, depositata il 25 giugno 2013, del Giudice unico presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione LAZIO, contro l’INPS e il Ministero ECONMIA e FINANZE/GUARDIA DI FINANZA.

Uditi, nella pubblica udienza del 23 giugno 2015, il relatore Consigliere dott.ssa Emma ROSATI, nonchè l’avv. O. CAZZOLLA, per l’appellante, il funzionario, avv. Maria Carmela VIOLA, per delega del Direttore centrale, dott. Antonello CRUDO – per l’INPS, nonché il Capitano, dott.ssa Ilaria M. - per delega del Comandante del Centro Informatico Amministrativo Nazionale della GUARDIA DI FINANZA – per il Ministero Economia e Finanza/Guardia di Finanza.

Visti tutti gli atti introduttivi, le memorie e gli altri atti e documenti di causa;

Ritenuto in FATTO

Il sig. B. presentava in primo grado ricorso per vedere affermato il proprio diritto all’applicazione di una base pensionabile, non inferiore a €25.410,60, che gli era stata già concessa col previo Decreto di pensione privilegiata ordinaria, n…/2008, revocato dal Decreto n…/2011 – quest’ultimo, contestato in quella sede di prime cure – nonché all’attribuzione del beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, previsti dall’art. 6-bis DL 16 settembre 1987, n.379.

Con la sentenza qui impugnata veniva respinta la domanda del B., atteso che il primo Giudice ha ritenuto che all’interessato non spettasse il beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, in quanto la sua cessazione dal servizio era stata modificata come avvenuta per ‘rimozione del grado’ e non per inabilità assoluta (infermità) e non rientrava perciò fra quelle previste dall’art.6 bis, DL n.387/1987.

Risulta dalla nota n../15 del 22 giugno 2015 della Guardia di Finanza (più avanti richiamata), che il sig. B., arruolato nel Corpo il 5 novembre 1975, era stato posto in congedo assoluto per infermità, con godimento di pensione privilegiata ordinaria di seconda categoria, a decorrere dal 5 dicembre 1997; tale causa di cessazione dal servizio permanente venne successivamente modificata ex tunc in ‘perdita del grado per rimozione’ (per effetto del DM sanzionatorio in data 16 marzo 2006), con provvedimento pensionistico n… in data 12 aprile 2011, che escludeva dal computo delle voci stipendiali i sei scatti aggiuntivi.

Parte appellante si è gravata avverso detta sentenza, ritenendola censurabile per insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa punti decisivi della controversia nonché per falsa ed erronea applicazione di norme di diritto ed ha chiesto conclusivamente l’annullamento del decreto di PPO n.. del 12 aprile 2011 e che sia riconosciuto il suo diritto all’applicazione di una base pensionabile non inferiore ad €25.410,60, già concessa col previo Decreto di PPO n… del 4 dicembre 2008, revocato con Decreto n…/2011 nonché all’attribuzione del beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, previsti ex art.6-bis DL n.379/1987.

Con memoria di costituzione del 16 giugno 2015, l’INPS ha resistito all’avversa domanda, anzitutto eccependo la propria assenza di legittimazione passiva per essere l’Ente previdenziale mero ordinatore secondario della spesa e comunque affermando nel merito l’infondatezza del gravame, atteso che la particolare cessazione del rapporto di lavoro del B. non era contemplata tra quelle che legittimano l’attribuzione del beneficio, attesa la rimozione del grado avvenuta il 16 marzo 2006. Ha concluso chiedendo l’inammissibilità dell’appello o comunque il rigetto per infondatezza.

Con nota del 22 giugno 2015, depositata all’odierna P.U. in limine litis l’amministrazione della Guardia di Finanza ha dedotto che il sig. B., con un provvedimento disciplinare del 16 marzo 2006, era stato sanzionato con il provvedimento della perdita del grado per rimozione, con effetto retroattivo, a decorrere dal 5 dicembre 1997, a seguito della chiusura della vicenda penale a suo carico, che si concludeva con la prescrizione dei reati ascritti, con sentenza della Suprema Corte di cassazione del 22 marzo 2005, n…. Per motivo di ciò alla data del 12 aprile 2011 emanava nuovo Decreto di PPO, con decorrenza retroattiva dal 5 dicembre 1997.

L’appellante ha depositato in data 9 febbraio 2015, 1) una comparsa conclusionale, in cui – facendo riferimento anche a principi generali del diritto comunitario e a normative CEDU – ha sottolineato l’illegittimità del nuovo provvedimento pensionistico peggiorativo; 2) una nota di produzione di atti e documenti in originale, in cui risulta, a) dal certificato generale del Casellario Giudiziale, alla data del 28 gennaio 2015, che il sig. B. non risulta avere mai subìto condanne e b) dal certificato rilasciato dalla Procura della Repubblica di Roma, che, alla stessa data, risultano assenti carichi pendenti nei confronti del medesimo.

In data 11 giugno 2015, l’appellante ha depositato ulteriore memoria in cui richiamando l’esatta interpretazione dell’art.6-bis DL n.387 del 21 settembre 1987 ha chiesto l’accoglimento dell’appello e il riconoscimento del proprio diritto al primitivo trattamento pensionistico per infermità, con applicazione degli scatti aggiuntivi, la condanna dell’amministrazione a pagare le somme differenziali, con interessi e rivalutazione e il risarcimento dei danni non patrimoniali, da liquidarsi equitativamente in €1.000,00.

All’odierna pubblica udienza, l’avv. CAZZOLLA, per l’appellante, si è riportato all’atto d’appello scritto ed ha rappresentato che il dott. B. fu collocato in quiescenza con il grado di OMISSIS per inabilità dipendente da causa di servizio, con seconda categoria di pensione privilegiata ordinaria; in appello ha chiesto l’applicazione di una norma (art. 6-bis DL n.387/1987) che si applica al personale non dirigente della polizia e delle forze dell’ordine (compresa la Guardia di Finanza), per via dell’ inabilità assoluta sopravvenuta, comportante la pensione con i sei scatti aggiuntivi, sia ai fini della base pensionabile che della buona uscita. Essendo egli andato in pensione per inabilità assoluta, rientra nelle prospettazioni normative de quibus. Ha concluso perciò per l’accoglimento dell’appello.

La dott.ssa VIOLA, per l’INPS, si è riportata alle deduzioni scritte.

La dott.ssa M., per il Ministero Economia e Finanze/GUARDIA di FINANZA, si è costituita oggi, alla pubblica odierna udienza, con la Memoria, già citata più sopra (n../15 del 22 giugno 2015). Ritiene la sentenza congrua. La pensione è per rimozione del grado; il B. si considera in congedo non per inabilità assoluta ma per rimozione del grado. Ha chiesto conclusivamente il rigetto dell’appello.

Considerato in DIRITTO

Il beneficio dei sei scatti aggiuntivi, introdotto dall’art.6 del DL n.387/1987, convertito nella L. n.472/1987, consiste in una maggiorazione della base pensionabile, introdotta per la prima volta in sede di conversione del citato decreto-legge, che spetta ai dipendenti, non dirigenti, cessati dal servizio in epoca successiva alla data di entrata in vigore della stessa legge n.472/1987, ossia a decorrere dal 21 novembre 1987; la causa di cessazione dal servizio che consente la fruizione di detto beneficio è contemplata normativamente fra le seguenti: raggiungimento limite d’età; inabilità sopravvenuta permanente; decesso.

L’odierno appellante risulta pensionato per invalidità assoluta, dovuta ad infermità, a decorrere dal 5 dicembre 1997 (DM in data 30 luglio 1998); il successivo provvedimento di PPO definitiva data al 4 dicembre 2008 (provvedimento n.132957).

Tanto premesso, al B. era senz’altro applicabile l’art. 6-bis del DL n.387/1987, avendo assommati in sé tutti i requisiti richiesti dalla citata normativa, vale a dire, la qualifica non dirigenziale, l’ inabilità assoluta al servizio per infermità nonché il possesso dei suddetti requisiti alla data di entrata in vigore della legge n.472/1987 di conversione del DL n.387/1987.

La vicenda successiva all’emanazione del provvedimento pensionistico definitivo e che ha comportato la revoca di detto provvedimento e l’emanazione del successivo provvedimento di pensione , alla data del 12 aprile 2011, non comprensivo dei miglioramenti economici di cui al più volte citato DL n.387/1987, è vicenda che vede la sua causa nella celebrazione di un processo penale a carico del B., processo che si conclude irrevocabilmente con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati a lui ascritti (Cass. n.. in data 22 marzo 2005); dal procedimento penale scaturì, nella sede amministrativa, un procedimento disciplinare, conclusosi con il DM sanzionatorio in data 16 marzo 2006, della perdita del grado per rimozione.

Il Collegio deve subito rilevare che il sig. B. non ha subito alcuna sentenza irrevocabile di condanna e ciò è testimoniato pure, non solo dal tenore della sentenza di prescrizione dei reati della Corte di cassazione ma anche dalle successive ricerche ed attestazioni, in atti, di cui si è presa carico la difesa del sig. B., che inequivocabilmente testimoniano che a suo carico non vi è stata nessuna condanna, né risultano in atto carichi penali pendenti.

Tanto rappresentato, anzitutto per criteri di giustizia sostanziale, questo Collegio ritiene che le doglianze di parte appellante siano condivisibili, atteso che non può essere attribuito un emolumento economico peggiorativo (nella fattispecie, una pensione definitiva privilegiata inferiore, rispetto ad una, superiore, già precedentemente erogata, per un lungo lasso di tempo) ad un dipendente pubblico che non abbia riportato una sentenza penale irrevocabile di condanna.

E quanto accaduto al B. appare tanto più ingiusto – a prescindere dalle varie pronunce in sede europea, citate dalla difesa di parte impugnante, che, pure, hanno il loro pregio – in quanto si è voluta unire alla sanzione amministrativa della perdita del grado per rimozione, un’ ulteriore sanzione economica, punitiva di peggioramento del trattamento pensionistico, per di più con effetto retroattivo, a fronte della sua incensuratezza, penalisticamente accertata.

E’ peraltro solo appena il caso di precisare che nel nuovo testo dell’articolo relativo alla perdita del grado (art. 923, D.Lgs. n. 66/2010) è stato significativamente tolto l’inciso “ad ogni effetto”, presente nel precedente testo, cosicchè può ben ritenersi che una così grave conseguenza, quale la perdita del grado, non possa considerarsi allo stato operante. (Cfr., conforme, Sez. I^ appello, n. 48/2015).

Si aggiunga che il lungo lasso temporale intercorso fra il pensionamento per inabilità assoluta permanente, che data al 5 dicembre 1997 (DM 30 luglio 1998) e il decreto peggiorativo di PPO (DM 12 aprile 2011) fanno propendere per l’emersione di un sicuro affidamento da parte del B. sulla stabilità del trattamento pensionistico attribuito e sulla sua certezza nel tempo, cui il pensionato ha evidentemente riposto fiducia per le proprie necessità di vita.

Giova, infatti, ricordare che il principio normativo del legittimo affidamento ha trovato una applicazione molto estesa, anche nell’ambito della stessa giurisprudenza europea, quale principio generale comune a tutti gli stati membri, che assume una valenza tale, da spiegare i propri effetti anche negli ordinamenti interni, nazionali. A conferma di questo, anche nell’ordinamento italiano si può ricordare come la Corte di Cassazione ha, recentemente, affermato la sussistenza del principio “nemo venire contra factum proprium”, che determina, appunto - anche nell’ambito dell’ordinamento nazionale - la rilevanza del principio del ‘legittimo affidamento’, quale espressione delle clausole generali di correttezza e buona fede, che comprende in esso, l’inerzia nell’esercizio del proprio diritto, tale da ingenerare un legittimo affidamento nella controparte (cfr. Cassazione n. 9924/2009).

Proprio alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza europea, nel nostro ordinamento italiano, in forza del rinvio a detti principi, operato dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, il legittimo affidamento è stato ‘normativizzato’ e deve ritenersi sussistente “allorché l’individuo si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’Amministrazione gli ha dato aspettative fondate” (Corte giust. Eu., 19 maggio 1983, C 289/81), “che trova il suo fondamento nell’ambito del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche soggettive”.(Cfr., in terminis, Corte giust., 19 settembre 2000, C 177/99, 181/99, Ampafrance and Sanofi ; Corte giust., 18 gennaio 2001, C 83/99, Commission/Spain, citate in SS.RR., n.2/QM/2012).

Per tutti i motivi esposti, ritiene perciò il Collegio che l’appello all’esame sia meritevole di accoglimento.

Le spese legali del presente grado di giudizio vanno equamente liquidate, in totale, in € 1.000,00, in favore di parte appellante.

Nulla per le spese di giustizia.

P. Q. M.

la Corte dei conti - Sezione I giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette
ACCOGLIE
l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata.

Spese legali di giudizio a favore di parte appellante, per €1.000,00.

Nulla per le spese di giustizia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015.
Il Consigliere estensore Il Presidente
(f.to dott.ssa Emma ROSATI)(f.to dott.ssa Piera MAGGI)



Depositata in Segreteria
il 21 DIC. 2015


IL DIRIGENTE
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Uddite uddite per notizia, ma cosa sta succedendo?
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1) - Il sig. G. M., carabiniere in congedo dal 4.1.2010, transitato nella categoria dell’Ausiliaria, lamenta la mancata concessione della pensione privilegiata per l’ infermità “Ulcera Duodenale”, già indennizzata con D.M. n.240/CC del 9.3.1992;

2) - Con verbale mod. AB n. 304 del 14.5.1975 della CMO di Catanzaro gli veniva diagnosticata l’infermità “ulcera duodenale”, ritenuta “dipendente da causa di servizio” e con successivo verbale mod. n. 2245 del 20.7.1988 della CMO di Catanzaro l’infermità veniva ascritta alla catg 6 tab.A minima; con decreto n.240/CC veniva concesso l’equo indennizzo, previo parere del Comitato delle pensioni privilegiate ordinarie n. 1741/90 del 24.11.1990.

3) - Con decreto n.160 del 7.8.2013 il Ministero della Difesa respingeva la domanda di pensione di privilegio sulla base degli esiti del Comitato di verifica per le cause di servizio nel verbale n.8509/13 del 23.5.2013 con la motivazione “ l’infermità da cui è affetto l’interessato, è stata giudicata non dipendente da causa di servizio e pertanto manca il fondamento giuridico per poter far luogo al trattamento pensionistico privilegiato”, in contrasto con i precedenti pareri delle CMO e del CPPO in sede di riconoscimento dell’equo indennizzo.
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CALABRIA SENTENZA 230 05/10/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
CALABRIA SENTENZA 230 2016 RESPONSABILITA 05/10/2016



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
Il Giudice unico delle Pensioni consigliere Anna BOMBINO

ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 230/2016

Sul ricorso in materia di pensioni militari iscritto al n.20604 del registro di Segreteria, proposto da G. M. (CF:MLAGTN50AO31754T), nato il Omissis a Omissis e residente a Omissis Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Combariati ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Omissis alla via Poerio n.16;

contro il Ministero della Difesa in persona del Ministro pro-tempore,

avverso il D.M. n.160 del 7.8.2013 negatorio del trattamento di pensione privilegiata;

Uditi alla pubblica udienza del 4 ottobre 2016 il relatore dott. Anna Bombino, l’avv. Luigi Combariati per il ricorrente; assente il Ministero resistente;

FATTO

Il sig. G. M., carabiniere in congedo dal 4.1.2010, transitato nella categoria dell’Ausiliaria, lamenta la mancata concessione della pensione privilegiata per l’ infermità “Ulcera Duodenale”, già indennizzata con D.M. n.240/CC del 9.3.1992;

Esponeva il ricorrente che durante il servizio ultratrentennale aveva svolto servizio informativo nell’intera provincia di Catanzaro effettuando lunghe trasferte e sottoponendosi a disagi e prolungate assenze dalla sede di servizio.

Con verbale mod. AB n. 304 del 14.5.1975 della CMO di Catanzaro gli veniva diagnosticata l’infermità “ulcera duodenale”, ritenuta “dipendente da causa di servizio” e con successivo verbale mod. n. 2245 del 20.7.1988 della CMO di Catanzaro l’infermità veniva ascritta alla catg 6 tab.A minima; con decreto n.240/CC veniva concesso l’equo indennizzo, previo parere del Comitato delle pensioni privilegiate ordinarie n. 1741/90 del 24.11.1990.

A seguito dell’istanza del 29.11.2010, la CMO 2° del Dipartimento di medicina legale di Messina, con verbale modello BL/B n.1291 del 10.11.2011 confermava l’infermità “Ulcera duodenale cicatriziale EGDS accertata”, con iscrizione alla 6° ctg tab.A a vita, non suscettibile di miglioramento.

Con decreto n.160 del 7.8.2013 il Ministero della Difesa respingeva la domanda di pensione di privilegio sulla base degli esiti del Comitato di verifica per le cause di servizio nel verbale n.8509/13 del 23.5.2013 con la motivazione “ l’infermità da cui è affetto l’interessato, è stata giudicata non dipendente da causa di servizio e pertanto manca il fondamento giuridico per poter far luogo al trattamento pensionistico privilegiato”, in contrasto con i precedenti pareri delle CMO e del CPPO in sede di riconoscimento dell’equo indennizzo.

Si opponeva con l’odierno ricorso al decreto del Ministero della Difesa di rigetto della domanda di pensione di privilegio, evidenziando il comportamento contraddittorio e palesemente illegittimo dello stesso circa il mancato riconoscimento della dipendenza dell’infermità de qua da causa di servizio e sostenendo il proprio diritto alla pensione privilegiata, in considerazione dell’avvenuta insorgenza della malattia durante il servizio militare, circostanza quest’ultima che – ad avviso dell’attore- dimostrerebbe la ricollegabilità dell’affezione medesima con il servizio prestato, come già riconosciuto in sede di concessione dell’equo indennizzo.

Con memoria del 4.8.2015 si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa chiedendo il rigetto del gravame ed eccependo in via subordinata la prescrizione quinquennale per i ratei pensionistici precedentemente maturati, con vittoria delle spese.

Alla precedente udienza dibattimentale del 30 ottobre 2015 questo Giudicante rilevava sotto il profilo della dipendenza da causa di servizio l’esistenza di pareri contrastanti espressi dagli organi medico-legali (CMO e CPPO), per cui interpellava l’ULM presso il Ministero della Salute affinchè accertasse in base alla documentazione disponibile, la sussistenza della dipendenza dell’infermità da causa di servizio e la relativa classifica, con riferimento alla data di visita presso la CMO di Messina del 10.11.2011.

Con verbale n. I.2.CB/2016/119664 del 5 luglio 2016, l’ULM esprimeva il parere che l’infermità “ulcera duodenale” “Non sia dipendente da causa di servizio, né concausa efficiente e determinante di servizio”.

Alla pubblica udienza del 4 ottobre 2016, nessuno intervenuto in rappresentanza del resistente Ministero, l’avv. Combierati si è richiamato agli scritti in atti chiedendo l’accoglimento del ricorso.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va respinto.

Ai sensi dell’art. 64 e ss. Del T.U. 1092/1973, il diritto alla pensione privilegiata consegue ad una menomazione dell’integrità personale, che abbia carattere invalidante e che sia dipendente da causa di servizio, tale dipendenza sussiste solo quando i fatti di servizio siano stati causa ovvero concausa efficiente e determinante della menomazione stessa.

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato in linea generale che il diritto a pensione privilegiata non è legato al mero manifestarsi di una malattia invalidante durante la prestazione lavorativa, ma alla provata sussistenza anche di un concreto nesso etiologico tra le situazioni cui il soggetto sia stato esposto per poter assolvere agli obblighi di servizio ed il conclamarsi dell’infermità. Al fine del riconoscimento del diritto a pensione di privilegio occorre quindi accertare se l’attività di servizio svolta abbia facilitato, con rapporto causale incidente , l’insorgenza della malattia, ovvero aggravato o accelerato il decorso della stessa, acquisendo il valore di conditio sine qua non, per cui diversamente il fatto patologico non si sarebbe verificato, o avrebbe avuto, se già esistente, una diversa evoluzione (cfr sez IV pensioni militari n.69831/1986; n.77757/92; sez. Sardegna n.418/89).

E’ stato pure escluso che costituisca concausa efficiente e determinante, ai fini del riconoscimento del nesso di causalità tra il servizio e l’infermità denunciata, il servizio che sia stato definito, sotto il profilo medico-legale, come fattore scatenante; tale espressione indica solo l’occasione temporale che ha determinato il manifestarsi di una infermità, la cui etiopatogenesi sia da ricercare in agenti generativi estranei al servizio e che si sarebbe normalmente manifestata anche al di fuori di esso (sez. III civili n.60943/87; Sez. VI militari n.81014/93).

Tanto premesso, va rilevato come l’infermità del G. M. sia stata diagnosticata sin dal 1975 (trascorsi pochi anni dall’inizio del servizio militare) e ritenuta dal CPPO (24.11.1990) meritevole di VII categoria della tabella A (senza esprimersi sulla dipendenza da causa di servizio), ai fini della concessione dell’equo indennizzo.

La CMO di Messina nella visita del 10.11.2011 ha confermato la diagnosi di “ulcera bulbare cicatriziale EGDS accertata”, su cui il Comitato di verifica per le cause di servizio (Adunanza n.230/2013 del 23.5.2013) ha espresso parere che l’affezione non fosse dipendente da causa di servizio.

Tale parere è concorde con quanto riconosciuto dall’ULM, interpellato da questo Giudicante, che nel verbale del 5.7.2013, ha escluso il nesso causale tra l’infermità e il servizio prestato dall’ex militare.

Lo stesso organo ha fondato il proprio convincimento sulla attenta disamina della documentazione in atti, sui rapporti informativi del servizio svolto dall’istante, sulla stessa consulenza di parte del dott. Cardile il quale ha richiamato quale fattore concausale “…lo stress psico-fisico prolungato…”, senza peraltro indicare fatti o episodi di particolare disagio e/ o sofferenza fisica o psicologica se non il frequente spostamento nel territorio della provincia di competenza, stante la specificità dei compiti ed incarichi ad esso assegnati (servizio informativo).

L’organo, con l’ assistenza dello specialista gastroenterologo, ha espressamente evidenziato “In tale affezione di natura peptica, ad andamento cronico e recidivante, infatti, la prevalente attuale dottrina, oltre alla presenza di fattori endogeno costituzionali (la secrezione cloridro-peptica, le capacità di difesa della mucosa dalle secrezioni stesse), ammette un ruolo patogenetico da parte di alcuni principali fattori esogeni, rappresentati, in particolare, dall’Helicobacter Pylori (organismo saprofita che vive nel muco gastrico, frequente causa di infiammazione locale) e dai farmaci anti-infiammatori steroidei e non steroidei. Al contrario, gli studi controllati, finora effettuati con risultati contraddittori, non sono riusciti a stabile un preciso rapporto tra comparsa di malattia peptica e stress”.

Viene pertanto a decadere l’asserita contraddizione in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione della Difesa nel riconoscere (1992) al dipendente il beneficio dell’equo indennizzo sulla base dei verbali delle CMO e dello stesso CPPO che hanno riconosciuto la dipendenza da causa di servizio dell’infermità conclamata (1975), e negando il beneficio pensionistico in adesione al parere del Comitato di verifica per le cause di servizio ( v. n. 8509/2013) per esclusione del suddetto nesso di dipendenza causale tra infermità e servizio, atteso che –come rilevato dalla resistente- il CPPO (v. n. 5127/91) aveva espressamente declinato la valutazione in merito alla sussistenza del nesso causale o concausale tra l’ infermità “ulcera duodenale” e il servizio svolto dal militare, valutazione effettuata invece dal CVCS (v.n.8509/2013), in sede di procedura per la concessione della pensione privilegiata, sulle cui conclusioni è concorde il parere dell’ULM.

Il ricorrente del resto non ha mai fornito da parte sua la dimostrazione della fondatezza delle sue pretese pensionistiche, essendosi limitato a ripercorrere le varie fasi del servizio militare nell’Arma ( consulenza dott. Cardile) senza suffragare con elementi certi e sicuri l’insorgenza della affezione gastrica, conclamata sin dal 1975 (ed equamente indennizzata), in correlazione causale o concausale agli incarichi di servizio allo stesso affidati, ponendo in dubbio la validità e consistenza scientifica dei pareri espressi dagli organi a ciò deputati (CVCS e ULM).

Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato.

In conclusione, il provvedimento impugnato va tenuto esente da qualsiasi censura ed il gravame deve essere respinto.

Per quanto riguarda la regolazione delle spese nulla è a provvedere per le spese di giudizio, operando per le cause previdenziali il principio di gratuità posto dall’art. 10 della legge n.533/1973.

Sussistono, invece, giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese legali, data la natura della causa e le concrete caratteristiche della vicenda.

P.Q.M.

Il giudice unico delle pensioni presso la Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la regione Calabria, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,

RESPINGE

Il ricorso in epigrafe.
Nulla per le spese di giustizia.
Spese legali compensate.
Così deciso in Catanzaro, il 4 ottobre 2016
Il GUP
f.to Anna Bombino

Depositata in segreteria il 4/10/2016

Il responsabile delle segreterie pensioni
f.to Gaetanina Manno
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Messaggio da christian71 »

Non ho parole!!!... Veramente!!!... Non so che dire!!!...
Ora i Ministeri, pur di fregarci, si contraddicono anche da soli...

Grazie Panorama... ;-) ...
Christian

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Messaggio da Briscola »

Salve a tutti, a mio parere il Ministero della Difesa, non pote a chiedere il parere al C.V.C.S. in quant era gia' stato emesso C.P.P.O. Il légale Il ricorso e' esperto in tale materia?????????
Buona serata.
Briscola.
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Messaggio da Zenmonk »

Ci sarà sicuramente una circolare che prevede il riesame delle pratiche non già valutate dal cvcs; l'interpretazione datane è restrittiva, ma se ci pensate bene in effetti le competenze del cppo erano diverse da quelle del cvcs, in primo luogo perché sulla dipendenza decidevano le CMO e quindi il cppo aveva funzioni praticamente notarili...
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Messaggio da christian71 »

E l'equo indennizzo già percepito per la "SI" dipendenza da causa di servizio riconosciuta a tutti gli effetti a suo tempo???... Dovrà restituirlo???... Teoricamente si!!!... Sarebbe una somma ricevuta indebitamente, giusto!?!?!...

Cose da non credere!!!...

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