Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Messaggio da panorama »

pugliese, grazie per la tua approvazione ma, in questo forum a volte s'incontrano persone che ancora oggi non hanno capito il senso di altruismo (personalmente non ci guadagno nulla, anzi ci rimetto di tempo, di usura P.C. e di consumo energetico) e quindi a volte in mp. ricevo rimproveri, nonostante anche questi ultimi trovano l'utilità della mia prestazione.


naturopata
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI Sent. 20/2018

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA

in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico

Consigliere dott. Pasquale Daddabbo

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 33571 del registro di segreteria, proposto dal sig. XX, nato a XXX - C.F.: X, rappresentato e difeso dall'Avv. Pierpaolo DE VIZIO, entrambi elettivamente domiciliati in Roma al Viale delle Medaglie d’Oro n. 266, presso e nello studio dell’Avv. Angelo Fiore Tartaglia

Contro

il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.,

il Comando Generale della Guardia di Finanza - Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Piemonte e

l’INPS, rappresentato e difeso dall’avv. Marcella Mattia, giusta procura ad lites per atto del notaio Palo Castellini, rep. n. 80974 del 21.7.2015, elettivamente domiciliata presso la sede INPS, in Bari alla via Putignani n. 108,

avverso

la comunicazione ricevuta in data 19.6.2017 con cui l’INPS ha informato il ricorrente che, in applicazione della sentenza n. 107/2017 dell’11.04.2017 della Prima Sezione Giurisdizionale d’Appello della Corte dei Conti, a decorrere dal 01.07.2017, è stata disposta la sospensione dei pagamenti sulla pensione recante n. 11096896 ed è stato accertato il debito per somme corrisposte e non più dovute per il periodo dal 1.05.2013 al 30.06.2017, pari ad €. 134.636,49,

per l’accertamento e la declaratoria del diritto del ricorrente a percepire la pensione ordinaria, a lui spettante in forza del provvedimento di congedo per riforma, oltre alla corresponsione degli interessi maturati in virtù del trattamento pensionistico, nonché ogni altro trattamento economico pensionistico connesso, dalla data del provvedimento di riforma.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;

Visti il D. Lgs. n. 174/2016;

Uditi, nella pubblica udienza del 19 dicembre 2017, l’avv. Pierpaolo De Vizio per il ricorrente, l’avv. Giuseppe Borrelli per l’INPS ed il Luogotenente Donato Pascazio per il Comando della Guardia di Finanza.

FATTO

Antonio Galante, già Brigadiere della Guardia di Finanza, in data 20.9.2006 veniva sospeso precauzionalmente dal servizio perché imputato per i reati di concorso in associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio.

In data 22 settembre 2008, in esito ad apposita istanza, veniva sottoposto a visita e giudicato dalla Commissione Medica Ospedaliera 1^ di Milano non idoneo permanentemente al servizio militare e d’istituto in modo assoluto e da collocare in congedo.

Quindi, il Re.T.L.A Piemonte corrispondeva al militare, in applicazione dell’art. 29 della L. n. 599 del 31.7.1954, gli assegni interi di attività dal 22.9.2008 al 21.12.2008 e la pensione ordinaria provvisoria dal 22.12.2008 al 30.6.2009, data di trasferimento della partita pensionistica all’INPS di Bari.

In data 28.5.2010, il Tribunale di Milano condannava, ex art. 444 cpc, il Galante alla pena (sospesa) di due anni di reclusione.

Il procedimento disciplinare, avviato a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, veniva esitato dal Comando Interregionale per l’Italia Nord-Occidentale, in data 24 gennaio 2012, con l’irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.

Conseguentemente, veniva modificata la causa della cessazione dal servizio da “cessazione dal servizio permanente per infermità” a “cessazione dal servizio permanente per perdita del grado”.

Il Re.T.L.A. Piemonte, tenuto conto del mutamento del titolo di cessazione dal servizio, constatava l’insussistenza dei requisiti di età ed anzianità contributiva e, conseguentemente, comunicava al X l’avvio del procedimento di revoca del trattamento di quiescenza e di ripetizione delle somme indebitamente percepite, invitando l’Istituto previdenziale a sospendere l’erogazione degli acconti di pensione provvisoria.

Il Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Piemonte della Guardia di Finanza, con nota n. 223253/13 del 12.7.2013, intimava al X il rimborso di euro 29.204,49, (derivato da somme indebitamente percepite a titolo di assegni interi di attività relativi a tre mensilità, con decorrenza dal 22.9.2008 al 21.12.2008, ex art. 29 della Legge n. 599/1954; acconti pensione erogati ai sensi dell’art. 52, comma 1, del DPR 1092/1973 per il periodo dal 22.12.2008 al 30.6.2009; importi liquidati per la licenza non fruita) mentre INPS, con nota n. 900 del 24.7.2013, gli intimava la rifusione dell’importo di euro 121.933,24, derivato da somme indebitamente percepite a titolo di ratei pensionistici per infermità per il periodo dall’1.7.2009 al 30.4.2013.

Il X proponeva, pertanto, ricorso alla Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale Regionale per la Puglia per l’annullamento del provvedimento di revoca e sospensione della pensione e per la dichiarazione della sussistenza del diritto a percepire il trattamento pensionistico per infermità, concesso prima del provvedimento della perdita del grado per rimozione, con conseguenziale declaratoria del diritto a percepire i ratei maturati dal maggio 2013, aumentati di interessi e rivalutazione.

Con sentenza n. 606 del 2014 questa Sezione, in diversa composizione, accoglieva il ricorso proposto da sig. XX relativo alla irripetibilità dell’indebito pensionistico senza tuttavia pronunziarsi sul diritto al ripristino del trattamento di quiescenza.

Con ricorso per ottemperanza del 16.1.2015, il X chiedeva l’esecuzione del giudicato ed il ripristino del trattamento pensionistico con il pagamento dei ratei pensionistici non riscossi dal 1° maggio 2013, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché la condanna in solido delle amministrazioni convenute per il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato.

Con sentenza n. 463 del 2015, questa Sezione, in diversa composizione, dichiarava l’obbligo del Re.T.L.A. Piemonte della Guardia di Finanza di dare esecuzione alla sentenza n. 606/2014 dichiarando il diritto al ripristino del trattamento di quiescenza per infermità con condanna dell’INPS al pagamento dei ratei arretrati con decorrenza dalla rata di maggio 2013, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge e sino all’effettivo soddisfo.

A seguito di appello, sia del Ministero delle Finanze che dell’INPS, la Sez. 1^ centrale di Appello, con sentenza n. 107 dell’11.4.2017, per quel che rileva in questa sede, “escluso che l’esigenza di convertire il giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione, con riguardo al ripristino della pensione di infermità, sia derivata da imprescindibili esigenze connesse alla esecuzione della sentenza n. 606 del 2014”, considerato che “la trasformazione del giudizio di ottemperanza in un giudizio di cognizione, lungi dal rispondere a meritorie esigenze di economia processuale, risulta integrare un ingiustificato stravolgimento della tipica funzione degli strumenti processuali previsti dall’ordinamento” ed osservando che “il ricorrente, stante l’omessa pronuncia della sentenza n. 606/2014 sul punto, volendo far valere le proprie ragioni sulla spettanza del diritto, avrebbe dovuto proporre appello ovvero proporre un nuovo autonomo ricorso di cognizione (Cass. civile, Sez. II, sent. n. 2855 del 12.2.2016) e, per altro verso, il Giudice territoriale non poteva surrettiziamente trasformare un giudizio di ottemperanza in un giudizio di cognizione volto a rimediare alla omessa pronuncia, adoperando impropriamente, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, un rimedio, quale quello della conversione, preordinato ad altri fini”, ha, tra l’altro, accolto l’appello dell’INPS in relazione al ripristino della pensione per infermità.

L’INPS, con comunicazione notificata al Galante in data 19.06.2017, ha disposto, in esecuzione della sentenza n. 107/2017 della sezione di appello, la sospensione dei pagamenti sulla pensione recante n. 11096896 ed ha accertato il debito per somme corrisposte e non più dovute per il periodo dal 1.05.2013 al 30.06.2017 ammontanti ad Euro 134.636,49.

Con ricorso depositato in data 31.7.2017 il X ha impugnato la suddetta comunicazione dell’INPS, unitamente alla disposta interruzione dei pagamenti della pensione a partire dal mese di maggio 2013, chiedendo l’annullamento della stessa e la declaratoria del diritto a percepire la pensione ordinaria, a lui spettante in forza del provvedimento di congedo per riforma, oltre alla corresponsione degli interessi maturati in virtù del trattamento pensionistico di privilegio, nonché ogni altro trattamento economico pensionistico connesso, dalla data del provvedimento di riforma con conseguente condanna delle intimate Amministrazioni a corrispondere al ricorrente il relativo trattamento pensionistico ordinario, nonché ogni altro trattamento economico pensionistico connesso, con interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme maturate e non corrisposte e vittoria di spese di lite.

A fondamento del ricorso il difensore del X ha dedotto:

- l’impossibilità della sussistenza di una decorrenza retroattiva della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione irrogata al ricorrente oltre che avuto riguardo al chiaro disposto dell’art. 21 bis della Legge nr. 241/90 ma anche al legittimo affidamento dell’interessato in ordine alla spettanza del trattamento pensionistico, che risulterebbe violato laddove l’Amministrazione rimettesse in discussione il titolo dello stesso;

- che il collocamento in congedo assoluto, nel caso di specie avvenuto per infermità ai sensi dell’art. 29 della Legge n. 599/1954 con decorrenza 22.09.2008 prevale sulla sanzione disciplinare successiva;

Ha invocato, in proposito il contenuto delle sentenze della Corte dei Conti: Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello, nr. 48/2015 A del 13.01.2015, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello, nr. 789/2015 del 27.10.2015, nr. 256/2016 del 01.12.2015, nr. 706/2016 del 21.06.2016, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello n. 463/2016.

Ha anche richiamato la sentenza n. 1741/2013 della Sezione Terza del Consiglio di Stato, secondo cui se l’Amministrazione abbia ritenuto, nell’esercizio del suo potere discrezionale, di avvalersi ancora delle prestazioni lavorative del dipendente, la destituzione non può essere fatta decorrere dalla data di inizio della sospensione cautelare ma deve decorrere dalla data di adozione del provvedimento di destituzione.

Ha, infine, contestato l’assunto dell’Amministrazione - secondo il quale il ricorrente in forza del provvedimento di perdita del grado per rimozione avrebbe perso il diritto al trattamento pensionistico ordinario in quanto non avrebbe maturato i requisiti minimi contributivi previsti dall’art. 59 della Legge n. 449/1997 - sostenendo che al ricorrente si applica l’articolo 1 comma 27 lettera b) della Legge n. 335/1995 esteso ai militari in forza del D.Lgs. n. 165/1997, nonché l’art. 11 comma 16 della Legge n. 537/1993, norme speciali non espressamente né implicitamente abrogate dalla L. n. 449/1997 (e dalla Legge 537/93).

Il Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Piemonte della Guardia di Finanza, costituito in giudizio con memoria datata 18.9.2017, allegando che la revoca del diritto al trattamento pensionistico provvisorio, originariamente acquisito dal signor X in forza dell'art. 52, comma 1° del D.P.R. 1092/1973 (cessazione dal servizio per infermità) per aver raggiunto l'anzianità contributiva ivi prevista (almeno 15 anni di servizio utile, di cui 12 di servizio effettivo), si è resa necessaria a seguito della modifica della causa di cessazione dal servizio di cui al provvedimento emesso dal Comando Interregionale dell'Italia Nord Occidentale della Guardia di Finanza in ossequio a quanto disposto dall'art. 867, 5° comma, del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66. In proposito ha dedotto che la legge n. 335/1995, nel disciplinare "ex-novo" le ipotesi di accesso al diritto alla pensione, all'art. 1, comma 32, ha fatto salva l'applicazione delle previgenti disposizioni nei soli casi di cessazione dal servizio per invalidità (derivante o meno da causa di servizio), intendendosi abrogate le altre fattispecie di accesso ai trattamenti pensionistici, tra cui quella determinata dalla perdita del grado "per rimozione" (art. 53, 3° comma) che, al pari della cessazione per invalidità, richiedeva nella norma abrogata un'anzianità contributiva utile a pensione pari almeno a 20 anni di servizio effettivo.

In ordine ai motivi di ricorso il predetto Comando della Guardia di Finanza ha eccepito, preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva in merito al recupero delle somme riguardante i ratei di pensione per un totale di Euro 134.636,49, erogati esclusivamente dall'I.N.P.S. nel periodo intercorrente dal 01/05/2013 al 30/06/2017. Ha richiamato gli artt. 20 e 37 della L. n. 599/1954, e gli artt. 867, comma 5° e 923, comma 5°, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ed ha dedotto che in applicazione di tali disposizioni e della determina di perdita del grado del 24 gennaio 2012, sancita in conseguenza della citata sentenza emessa da Tribunale di Milano in data 28 maggio 2010, divenuta irrevocabile dal 4 marzo 2011, l’Amministrazione ha revocato la pensione concessa in origine per infermità. Ha dedotto, ancora, che non sussiste la violazione dell’art. 21-bis della legge 241 del 1990 in quanto la materia delle sanzioni disciplinari militari è regolamentata da apposita normativa a carattere speciale. Infine ha dedotto che non può sostenersi il legittimo affidamento del pensionato in quanto “la pendenza del procedimento disciplinare, per fatti gravi, già all'atto della cessazione dal servizio, doveva far considerare all'interessato la possibilità del sopravvenire di provvedimenti incidenti sulla sua posizione di Stato e conseguentemente, in senso negativo, sul diritto al trattamento di pensione”.

In base alle deduzioni sopra sintetizzate il Comando della Guardia di Finanza ha chiesto il rigetto del ricorso.

L’INPS, costituito in giudizio con memoria depositata in data 13.10.2017, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso deducendo che la domanda di accertamento del diritto a pensione per infermità proposta dal Galante è stata già oggetto di altro giudizio definito con sentenza nr. 606/2014, passata in giudicato.

L’Istituto previdenziale ha eccepito altresì la carenza di legittimazione passiva quale ordinatore secondario di spesa evidenziando che la competenza alla liquidazione dei trattamenti del personale della Guardia di Finanza è stata acquisita dall'Istituto solo per i pensionamenti decorrenti dall'1.1.2010 e nella fattispecie il pensionamento è avvenuto in data 22.9.2008.

Nel merito l’INPS, richiamando una favorevole pronuncia della sezione terza di appello, ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

In subordine l’INPS ha chiesto di essere garantito e manlevato dal Ministero della Finanze, effettivo liquidatore della posizione pensionistica del ricorrente, da ogni e qualsiasi effetto pregiudizievole eventualmente scaturente dal presente giudizio a suo carico ed ha spiegato azione di regresso nei confronti del medesimo Ministero per la restituzione di quanto l'Istituto sia condannato a pagare al ricorrente, con interessi e rivalutazione dal giorno del pagamento a quello del soddisfo.

Nella Camera di Consiglio del 17.10.2017 il difensore del ricorrente, nel rinunciare all’istanza di sospensiva, ha chiesto l’anticipo dell’udienza di discussione del merito e con ordinanza resa a verbale è stata disposta l’acquisizione della seguente documentazione istruttoria:

- copia dei provvedimenti di sospensione dal servizio disposti nei confronti del ricorrente;

- copia della sentenza penale emessa dal Tribunale di Milano in data 28.05.2010

- copia del verdetto di “non meritevolezza” al grado formulato dalla commissione di disciplina.

Acquisita la documentazione istruttoria di cui sopra, il difensore del ricorrente in data 6.12.2017 ha depositato memoria difensiva con cui nel richiamare la sentenza della Sezione Terza di appello n. 463/2016 che aveva riformato quella di primo grado invocata dalla Guardia di Finanza e che in ordine alla non applicabilità dell’art. 21-bis della legge 241/1990 ha comunque interpretato l’art. 37 della L. n. 599 del 1954 nel senso che la rimozione del grado non può retroagire se al momento della cessazione del servizio per infermità non era stato avviato il procedimento disciplinare, ha dedotto che l’amministrazione della Finanza ha totalmente ignorato che il ricorrente dopo la sospensione precauzionale dall'impiego, in data 20.12.2006, era stato riammesso in servizio fino alla data del congedo. La difesa del ricorrente, ribadendo le argomentazioni difensive contenute nello scritto introduttivo, ha confermato le conclusioni ivi rassegnate.

All’udienza del 19.12.2017, l’avv. Pierpaolo De Vizio per il ricorrente si è riportato al contenuto ed alle conclusioni degli atti scritti insistendo per l’accoglimento del ricorso. Il Luogotenente Donato Pascazio per la Guardia di Finanza e l’avv. Giuseppe Borrelli per l’INPS si sono a loro volta riportati alle memorie in atti insistendo per il rigetto del gravame. Il giudizio è stato definito, come da dispositivo, letto nella stessa udienza, di seguito trascritto.

DIRITTO

Il giudizio all’odierno esame verte sul diritto o meno per il sig. X, ex sottufficiale della Guardia di Finanza, di mantenere la pensione ordinaria liquidata all’atto della cessazione dal servizio per infermità, nonostante la causa di cessazione, a seguito di successivo provvedimento di stato, sia stata mutata per perdita del grado. La revoca del trattamento a suo tempo concesso per accertata infermità viene, infatti, motivata dalla Guardia di Finanza, per il fatto che il ricorrente, successivamente incorso nella perdita del grado a decorrere retroattivamente dalla cessazione dal servizio, a tale data non era in possesso dei requisiti minimi contributivi ed anagrafici per la pensione di anzianità.

Preliminarmente deve esser disattesa l’eccezione di precedente giudicato sollevata dall’INPS.

Come chiarito nella parte in fatto la questione circa il diritto a conservare il trattamento di pensione originariamente concesso a seguito della cessazione per infermità non è stata mai delibata in sede giurisdizionale nonostante il sig. X l’avesse già sollevata nell’ambito del giudizio definito con la sentenza n. 604/2014.

In tale evenienza, come anche chiarito dalla sentenza n. 107/2017 della sezione di appello, non può essersi formato alcun giudicato circa una questione la cui delibazione è stata omessa nel precedente giudizio e pertanto la stessa uò essere validamente riproposta in un successivo giudizio.

Ciò premesso sotto il profilo processuale occorre puntualizzare in punto di fatto che:

- il sig. X, già Brigadiere della Guardia di Finanza, a seguito dell’applicazione della custodia cautelare in carcere (poi agli arresti domiciliari) per fatti di rilevanza penale, è stato sospeso precauzionalmente dal servizio, a mente dell’art. 20, comma 2, della legge n. 599/1954, dal 20 settembre 2006 al 19 dicembre 2006 ed è stato riammesso in servizio dal 20 dicembre 2006;

- il X è cessato dal servizio permanente per infermità e collocato in congedo assoluto a decorrere dal 22 settembre 2008;

- con sentenza in data 28.5.2010 (irrevocabile dal 4.3.2011) il GUP del Tribunale di Milano ha dichiarato ex art. 129 cpp il non luogo a procedere per alcuni fatti indicati nei capi di imputazione per i reati di concorso in associazione a delinquere e di rivelazione di notizie d’ufficio (art. 326, co. 1 e 3 cp) ed ha applicato, ex art. 444 cpp, per altri fatti riguardanti i predetti reati ed anche il reato di corruzione (art. 319 cp) la pena complessiva di due anni di reclusione con declaratoria di sospensione condizionale della stessa;

- a seguito di inchiesta formale avviata in data 30.6.2011 dal Comandante Regionale Piemonte della Guardia di Finanza, la Commissione di Disciplina con verbale del 18.11.2011 esprimeva il giudizio che il Brigadiere in congedo assoluto per riforma, XX, non è meritevole di conservare il grado ed il Comandante Interregionale dell’Italia Nord Occidentale della Guardia di Finanza con provvedimento del 24.1.2012 determinava la perdita del grado per rimozione a decorrere dal 22 settembre 2008 intendendosi così modificata la causa di cessazione dal servizio.

Ciò puntualizzato in punto di fatto la questione dirimente ai fini del presente giudizio riguarda, quindi, la rilevanza, anche a fini pensionistici, della sanzione di stato della perdita del grado e la retroattività della stessa.

Circa la normativa applicabile al caso di specie occorre evidenziare che pur se il provvedimento di stato richiama l’art. 867, co. 5, del D. Lgs. n. 66 del 2010 l’applicazione di tale codice dell’ordinamento militare agli appartenenti al corpo della Guardia di Finanza è stato escluso dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Questa, proprio in un caso analogo a quello all’esame odierno in cui il sottufficiale era cessato dal servizio per infermità e poi era stato interessato da un provvedimento di perdita del grado con effetto retroattivo, si è espressa nel senso che nel sistema normativo della Guardia di Finanza, in relazione a quanto previsto dell’art. 1, c. 2 e dell’art. 2136 del COM (D. Lgs. n. 66/2010), vige tuttora la legge n. 260/1957 nella sua interezza, con tutte le sparse norme alle quale effettua un rinvio recettizio, compresa quindi la l. 599/1994 osservando poi che fin quando il legislatore, con le cautele del caso, vorrà estendere tutti gli istituti della disciplina militare pure alla GDF, restano ferme le norme disciplinari tuttora vigenti per detto Corpo e non altrimenti in modo espresso eterointegrate o rese compatibili con quelle del COM e, di conseguenza, senza possibilità di applicazioni analogiche fuori contesto, in particolar modo laddove già l’ordinamento di settore sia autosufficiente e, a più forte ragione, qualora si vogliano estendere in via analogica disposizioni sanzionatorie non specificamente previste in modo retroattivo a fatti da lungo tempo definiti ad altro titolo (cfr. sentenza Sez. IV^, sent. n. 1279 del 2017).

Ciò premesso deve, peraltro osservarsi che la disciplina contenuta nella legge 599/1954 e nel COM (D. Lgs. n. 66/2010) è sostanzialmente simile.

L’art. 37 della legge 599/1954 stabilisce che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.

Tale disposizione risulta riproposta dall’art. 867, comma 5, del D. Lgs. n. 66/2010 a mente del quale “La perdita del grado decorre dalla data di cessazione dal servizio, ovvero, ai soli fini giuridici, dalla data di applicazione della sospensione precauzionale, se sotto tale data, risulta pendente un procedimento penale o disciplinare che si conclude successivamente con la perdita del grado…”.

In entrambi i testi normativi la retroattività degli effetti del provvedimento di stato si collega alla pendenza di un procedimento penale o di uno disciplinare all’epoca della cessazione per infermità, successivamente conclusosi con la perdita del grado.

A mente dell’art. 60 della legge 599/1954 la perdita del grado è conseguente, per quel che interessa in questa sede, alla condanna in sede penale per delitto non colposo, tranne che si tratti dei delitti di cui agli artt. 396 e 399 del Codice penale comune, quando la condanna importi l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle altre pene accessorie previste ai nn. 2 e 5 del primo comma dell'art. 19 di detto Codice penale.

La suddetta disposizione è stata poi puntualmente riprodotta nell’art. 866, 1° comma, del d.lgs. n. 66 del 2010, statuente che “…la condanna per delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all’art. 19, comma 1, nn. 2) e 6) del c.p. (…)” era a comportare “La perdita del grado, senza giudizio disciplinare…” (norma dichiarata incostituzionale dalla Consulta, unitamente agli artt. 867, 3° comma, e 923, 1° comma, con sent. n. 268, del 15 dicembre 2016, nella parte in cui non prevedevano l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita di grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici).

Nelle disposizioni su richiamate (così come identicamente in quelle contenute nel Codice dell’ordinamento militare, ma non di rilievo per l’ipotesi a processo) vengono espressamente individuati i casi e i presupposti condizionanti la retroattività, della perdita del grado per rimozione, al momento in cui si è verificata la diversa causa di cessazione dal servizio. E invero a tali fini è necessario, in termini imprescindibili, che il sottufficiale all’atto della cessazione dal servizio permanente sia sottoposto “…a procedimento penale o disciplinare”; tale condizione necessaria non era tuttavia sufficiente, atteso che era altresì indispensabile che il procedimento si fosse concluso “…con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado…”.

In sostanza, le disposizioni disciplinari della legge n. 599 del 1954 (come anche quelle contenute nel d.lgs. n. 66 del 2010) prevedevano che potessero retroagire le sole conseguenze di un procedimento penale o disciplinare già in essere alla data del congedo per infermità, non quelle derivanti da un procedimento successivamente instaurato. Invero, ove il procedimento, penale o disciplinare, pendente all’atto della cessazione dal servizio permanente si concludeva con la perdita del grado per rimozione, la stessa proprio perché riconducibile a un procedimento già aperto all’atto del congedo, doveva retroagire a tale momento. Cosicché, la causa del congedo era l’effetto immediato e diretto della perdita del grado per rimozione, con novazione del titolo della cessazione dal servizio, da congedo assoluto per infermità a perdita del grado.

Nel caso di specie il Brigadiere X all’epoca del collocamento in congedo per infermità, avvenuto con decorrenza settembre 2008, non era sottoposto a procedimento disciplinare e nei suoi confronti non emerge nemmeno con certezza che fosse stata già esercitata l’azione penale.

Il GIP del Tribunale penale di Milano applicava, a mente dell’art. 444 c.p.p., la pena complessiva di anni due di reclusione (in tale sede sospesa) in ordine ai reati ascrittigli.

In tale sentenza non è stata adottata alcuna interdizione temporanea dai pubblici uffici e nessuna altra pena accessoria siccome prevista ai nn. 2 e 5 del 1° comma, dell’art. 19 del c.p.

La perdita del grado è discesa, pertanto, dal procedimento disciplinare avviato nel corso del 2011, successivamente alla cessazione dal servizio permanente, e conclusosi con la determina del 2012 di rimozione, retroattiva al settembre 2008: per cui, la fattispecie di causa non era a rientrare in quella astratta delineata dal legislatore (a qualsiasi disciplina regolamentare si fosse fatto riferimento).

Inoltre non può non evidenziarsi che l’art 117 del d.P.R. n. 3, del 10 gennaio 1957, pur stabilendo che “…il procedimento disciplinare non poteva esser promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso” non ea di ostacolo all’inizio del procedimento disciplinare posto che l’interpretazione di tale norma già all’epoca della sospensione precauzionale dal servizio era nel senso che il divieto di iniziare il procedimento disciplinare sussistesse solo nell’ipotesi in cui fosse stata già avviata l’azione penale (cfr. da ultimo CdS Ad. Pl. sent. n.1/2009).

Sicchè all’Amministrazione di appartenenza del dipendente non era impedito di attivare già all’epoca degli arresti il procedimento disciplinare, da sospendere nel momento in cui avrebbe acquisito contezza dell’esercizio dell’azione penale a carico del X.

Senonché l’amministrazione non solo non ha iniziato alcun procedimento disciplinare nell’immediatezza dei fatti di rilevanza penale che hanno determinato la misura cautelare personale a carico del ricorrente ma lo ha persino riammesso in servizio al termine della misura cautelare e mantenuto tale per circa altri due anni fino alla cassazione per infermità.

Alla luce di tale circostanze deve ritenersi che non possa darsi corso, ai meri fini di quiescenza, alla retroattività della perdita del grado per rimozione alla data del settembre 2008, poiché non ricorrenti a tale epoca i due requisiti (sottoposizione del Sottufficiale “…a procedimento penale o disciplinare” e conclusione degli stessi “…con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado…”) previsti dalla disciplina sora esposta, come interpretata dalla condisa giurisprudenza delle Sezioni Centrali di Appello (nello stesso senso si veda: Corte dei conti, Sez. 3^ di app., n. 527 del 8 novembre 2017, n. 463, del 03 ottobre 2016, Sez. 2^ centr., n. 1371, del 21 dicembre 2016, n. 706, del 06 luglio 2016, id. nn. 256, 257, 258, 259 del 10 marzo 2016, n. 789).

Alla luce di quanto fin qui considerato va riconosciuto il diritto del sig. XX alla conservazione del trattamento di pensione ordinario liquidato a seguito della cessazione dal servizio per infermità.

Deve dichiarsi, di conseguenza, che l’importo richiesto in restituzione dall’INPS con riguardo ai ratei pensionistici erogati dall’1.5.2013 al 30.6.2017, per l’importo di €. 134.636,49, non costituisce indebito pensionistico da recuperare.

Le altre eccezioni e la domanda di regresso sollevate dall’INPS devono essere disattese perché in contrasto con il diritto alla pensione per infermità riconosciuta in capo al ricorrente.

Considerata, comunque, la giurisprudenza non pienamente univoca, in ordine all’oggetto della controversia sussistono i motivi per la compensazione delle spese di lite tra le parti.

PER QUESTI MOTIVI

la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando in ordine al giudizio n. 33571:

- riconosce il diritto del sig. XX alla conservazione del trattamento di pensione ordinario liquidato a seguito della cessazione dal servizio per infermità;

- dichiara, di conseguenza, che l’importo richiesto in restituzione dall’INPS con riguardo ai ratei pensionistici erogati dall’1.5.2013 al 30.6.2017 per l’importo di €. 134.636,49 non costituisce indebito pensionistico da recuperare.

Spese compensate.

Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.

Così deciso, in Bari, all'esito della pubblica udienza del 19 dicembre 2017.

IL GIUDICE

F.to (Pasquale Daddabbo)



Il Giudice, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del D.Lgs. 30.6.2003, n.196

DISPONE

che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52 nei riguardi del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.

IL GIUDICE

F.to (Pasquale Daddabbo)

Depositata in Segreteria il 09/01/2018

Il Funzionario di Cancelleria

F.to (dott. Pasquale ARBORE)



In esecuzione del provvedimento del G.U.P., ai sensi dell’art.52, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.

Bari, 09/01/2018

Il Funzionario di Cancelleria

F.to (dott. Pasquale ARBORE)
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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personale della Guardia di Finanza,

facendo riferimento alla suindicata sentenza, ecco qui sotto alcuni brani.

------------------------------------------------------------------------------------------

1) - Circa la normativa applicabile al caso di specie occorre evidenziare che pur se il provvedimento di stato richiama l’art. 867, co. 5, del D. Lgs. n. 66 del 2010 l’applicazione di tale codice dell’ordinamento militare agli appartenenti al corpo della Guardia di Finanza è stato escluso dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

2) - Questa, proprio in un caso analogo a quello all’esame odierno in cui il sottufficiale era cessato dal servizio per infermità e poi era stato interessato da un provvedimento di perdita del grado con effetto retroattivo, si è espressa nel senso che nel sistema normativo della Guardia di Finanza, in relazione a quanto previsto dell’art. 1, c. 2 e dell’art. 2136 del COM (D. Lgs. n. 66/2010), vige tuttora la legge n. 260/1957 nella sua interezza, con tutte le sparse norme alle quale effettua un rinvio recettizio, compresa quindi la l. 599/1994 osservando poi che fin quando il legislatore, con le cautele del caso, vorrà estendere tutti gli istituti della disciplina militare pure alla GDF, restano ferme le norme disciplinari tuttora vigenti per detto Corpo e non altrimenti in modo espresso eterointegrate o rese compatibili con quelle del COM e, di conseguenza, senza possibilità di applicazioni analogiche fuori contesto, in particolar modo laddove già l’ordinamento di settore sia autosufficiente e, a più forte ragione, qualora si vogliano estendere in via analogica disposizioni sanzionatorie non specificamente previste in modo retroattivo a fatti da lungo tempo definiti ad altro titolo (cfr. sentenza Sez. IV^, sent. n. 1279 del 2017).

3) - Nel caso di specie il Brigadiere X all’epoca del collocamento in congedo per infermità, avvenuto con decorrenza settembre 2008, non era sottoposto a procedimento disciplinare e nei suoi confronti non emerge nemmeno con certezza che fosse stata già esercitata l’azione penale.

4) - Senonché l’amministrazione non solo non ha iniziato alcun procedimento disciplinare nell’immediatezza dei fatti di rilevanza penale che hanno determinato la misura cautelare personale a carico del ricorrente ma lo ha persino riammesso in servizio al termine della misura cautelare e mantenuto tale per circa altri due anni fino alla cassazione per infermità.
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Messaggio da naturopata »

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana

composta dai magistrati:

dott. GIOVANNI COPPOLA Presidente

dott. VINCENZO LO PRESTI Consigliere

dott. TOMMASO BRANCATO Consigliere-relatore

dott. VALTER DEL ROSARIO Consigliere

dott. GUIDO PETRIGNI Consigliere

ha pronunziato la seguente

SENTENZA n. 2 /A/2018

nel giudizio d’appello in materia pensionistica iscritto al n. 5767/P del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana nei confronti di:

G. D. F., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Micali ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Notarbartolo n. 49, presso lo studio dell’avvocato Rosaria Petrolà;

Ministero della difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso da sé stesso a mezzo del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo-, legalmente domiciliato in Chieti Scalo, viale Benedetto Croce n. 154;

I.N.P.S., con sede in Roma, via Ciro il Grande n. 21, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Tiziana Giovanna Norrito, elettivamente domiciliato in Palermo, via Laurana n.59;

avverso la sentenza n.70/2017, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione siciliana in data 3 ottobre 2016, depositata il 30 gennaio 2017, pubblicata in data 1 febbraio 2017;

visti tutti gli atti e documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 19 settembre 2017 il relatore, consigliere Tommaso Brancato, il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale Pino Zingale, nonché l’avvocato Grazia Dallara, delegata dall’avvocato Francesco Micali, difensore d’appellato G. D. F., e l’avvocato Tiziana Giovanna Norrito, in rappresentanza dell’I.N.P.S..

FATTO

Con sentenza n. 70/2017, il Giudice Unico delle pensioni accoglieva il ricorso proposto da G. D. F. -già appuntato de Carabinieri collocato in congedo dall’1 marzo 2006- avverso il provvedimento con il quale il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri aveva disposto, a seguito della perdita del grado come causa di cessazione del servizio, la revoca del trattamento pensionistico per carenza del requisito dell’anzianità minima, nonché avverso i provvedimenti dell’INPDAP (oggi INPS) di revoca della pensione e di recupero delle somme indebitamente corrisposte.

In particolare, il primo Giudice affermava l’illegittimità dell’interruzione dell’erogazione della pensione e della procedura di recupero dei ratei nel frattempo percepiti, per l’asserita violazione della disciplina contenuta negli artt. da 203 a 206 del DPR n. 1092/1973.

Avverso tale sentenza, preponeva appello, ai sensi dell’art. 171 del Codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, la Procura Generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana.

Con l’atto di appello, il PM esponeva i fatti in questi termini:

il Centro Nazionale Amministrativo del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con atto n. 1366 dell’11 aprile 2006, attribuiva al G. D. F., posto in congedo per riforma a decorrere dall’1 marzo 2006, il trattamento di quiescenza a titolo provvisorio a decorrere dal mese di giugno 2006, in ragione del possesso dei requisiti minimi di anzianità (almeno di 20 anni di servizio effettivo) previsti dalla normativa vigente per l’accesso al trattamento di pensione nei casi di cessazione dal servizio per inabilità fisica;

la Procura della Repubblica di Verona, in data 5 luglio 2004, esercitava l’azione penale nei confronti del menzionato militare per il reato di ricettazione;

il procedimento penale veniva definito con sentenza n. 43/2006, del 24 marzo 2006, con la quale il G. D. F. veniva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 200 di multa;

in seguito a tale condanna, l’Amministrazione, con decreto n. 222985/D-5-18 del 2 febbraio 2008, disponeva, con decorrenza dall’1 marzo 2006, la sanzione della perdita del grado per rimozione a causa di motivi disciplinari e la cessazione dal servizio permanente;

il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri applicava alla fattispecie le disposizioni dettate dall’art. 37 della legge n. 599/1954 e, in conseguenza, considerava, come titolo di cessazione dal servizio, a tutti gli effetti, “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” (susseguente al comportamento illecito tenuto dal G. D. F., accertato con sentenza penale definitiva di condanna);

l’INPDAP, con nota n. 48001/cont. del 16 ottobre 2008, comunicava all’interessato la revoca della pensione provvisoria e, successivamente, emetteva ingiunzione per il recupero dei ratei, in ragione della perdita del diritto al trattamento di pensione per carenza dell’anzianità minima di servizio.

Avverso i provvedimenti n. 222985LX/1-3PBN, datato 7 marzo 2008, del Comando dei Carabinieri di comunicazione di interruzione del trattamento pensionistico e n. 48001/cont, datato 16 ottobre 2008, dell’I.N.P.S. di revoca della pensione e di recupero dei ratei, il G. D. F. proponeva ricorso alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana chiedendone l’annullamento, in quanto ritenuti lesivi dei propri diritti a causa dell’asserita erronea valutazione degli elementi sui quali le competenti Amministrazioni avevano fondato il negativo convincimento.

Eccepiva, al riguardo, l’inefficacia retroattiva di tutti gli atti impugnati, anche alla luce dell’avvenuto collocamento a riposo per inidoneità al servizio di istituto.

Il Giudice di primo grado con sentenza n. 70/2017 del 30 gennaio 2017, accoglieva il ricorso nella considerazione dell’asserita violazione della disciplina contenuta negli artt. da 203 a 206 del DPR n. 1092/1973.

Il PM, col ricorso nell’interesse della legge in trattazione, deduceva l’errore commesso dal primo Giudice nel far riferimento agli articoli 203-206 del DPR n. 1092/1973, in quanto le disposizioni in questione concernevano i provvedimenti definitivi del trattamento di quiescenza e non erano applicabili a quelli provvisori.

La Procura Generale, pertanto, evidenziava il contrasto tra le conclusioni a cui era pervenuto il Giudice di primo grado e il sistema normativo di riferimento ed i relativi consolidati indirizzi giurisprudenziali in materia.

Al riguardo, il PM sosteneva la piena legittimità dei provvedimenti di revoca e di recupero delle somme, adottati ai sensi dell’art. 60, n. 6 e del combinato disposto degli artt. 37 e 61 della legge n. 599/1954, il cui contenuto era stato sostanzialmente riprodotto dall’art. 923 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.

In tale contesto, ad avviso della Procura appellante, al fine di accertare la sussistenza del diritto del De Francesco al trattamento di pensione era necessario far riferimento all’art. 6 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165 e all’art. 59, commi 6 e ss., della legge 27 dicembre 1997, n, 449, vigente alla data dell’1 marzo 2006 per i casi di cessazione anticipata dal servizio diversi dal collocamento in congedo per inabilità fisica (tra cui la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari).

Tali disposizioni, infatti, avevano introdotto, a partire dall’1 gennaio 1998 (data in cui terminava la fase transitoria disciplinata dall’art. 1, commi 25, 26, 27 e 29 della legge n. 335/1995), requisiti anagrafici e di anzianità di servizio più gravosi rispetto a quelli precedentemente in vigore.

In particolare, sulla base di tali disposizioni, per poter conseguire la pensione, il G. D. F. avrebbe dovuto essere in possesso alternativamente:

a) di un’anzianità di servizio utile di anni 38, a prescindere dall’età anagrafica;

b) di un’anzianità di servizio di anni 35 unitamente ad un’età di almeno 57 anni;

c) della massima anzianità contributiva prevista dall’ordinamento di appartenenza…..unitamente ad un’età di almeno 52 anni (tabella B, allagata al d.lgs. n. 165/1997, come sostituita dall’art. 59, comma 12, della legge n. 449/1997).

Il PM evidenziava che il G. D. F. non era in possesso di alcuno dei requisiti sopra specificati e, di conseguenza, non poteva fruire di alcun trattamento di pensione.

In ordine al provvedimento di recupero dei ratei, il PM ha escluso la possibilità di ipotizzare la buona fede, in quanto l’interessato era consapevole della pendenza a suo carico del procedimento penale comportante la possibilità di declaratoria di cessazione dal servizio “per perdita del grado per rimozione” (ai sensi del combinato disposto dell’art. 60, n. 6 e dell’art. 37 della legge n. 599/1954).

Concludeva, pertanto, con la richiesta di annullamento dell’impugnata sentenza n. 70/2017 e conseguente rigetto di tutti i motivi di ricorso proposto dall’appuntato G. D. F. avverso i provvedimenti dell’Amministrazione.

In data 23 febbraio 2017, la medesima Procura generale depositava una memoria, nella quale esponeva dettagliatamente, in punto di fatto e di diritto, i motivi che avrebbero legittimato, nel caso in esame, il ricorso del PM in materia pensionistica, ai sensi dell’art. 171 del codice di giustizia contabile.

Con memoria depositata il 28 luglio 2017, si costituiva il G. D. F., chiedendo la conferma dell’impugnata sentenza.

L’INPS si costituiva con atto depositato il 23 agosto 2017, chiedendo l’accoglimento dell’appello proposto dalla Procura Generale.

In data 8 settembre 2017, il Ministero della difesa proponeva intervento adesivo all’appello del Procuratore generale, richiamandone integralmente i motivi.

Insisteva sulla censura relativa all’errata applicazione degli articoli 203 e seguenti del DPR 1092 del 1973. Per il resto, richiamando la vigente normativa, concludeva sostenendo che il G. D. F., dopo la condanna penale passata in giudicato, non aveva alcun diritto alla conservazione del trattamento di quiescenza.

Alla pubblica udienza del 19 settembre 2017, le parti intervenute hanno esposto il contenuto degli atti scritti, insistendo sulle rispettive posizioni processuali.

Ritenuto in

DIRITTO

Come evidenziato nell’esposizione del fatto, il presente giudizio è stato proposto “nell’interesse della legge” -ai sensi dell’articolo 171 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile)- dalla Procura Generale avverso la sentenza n. 70/2017, con la quale il Giudice unico delle pensioni ha accolto il ricorso proposto da D. F. G., già appuntato dell’Arma dei Carabinieri, riconoscendo il diritto dello stesso al mantenimento del trattamento di pensione, revocato dalla competente Amministrazione a seguito della perdita del grado disposta per effetto della condanna penale riportata.

Preliminarmente, anche ai fini della verifica dell’effettiva ammissibilità dell’azione introduttiva del presente procedimento, appare opportuno procedere ad una sintetica ricostruzione normativa dell’istituto del “ricorso nell’interesse della legge” nello specifico ambito del processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti.

L’istituto era già previsto dal Regio Decreto n. 1038 del 1933, che all’art. 76 recitava: “…il procuratore generale può ricorrere quando sia leso l’interesse dell’erario. Quant’egli ricorra in via principale, il termine per il deposito del ricorso decorre dalla data di registrazione alla corte dei conti del decreto di concessione di pensione, assegno o indennità….”.

Questo specifico potere del Procuratore Generale, così come affermato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti nella sentenza n. 15/QM/2003, era ontologicamente connesso “…alla funzione liquidatrice della pensione originariamente attribuita all’Istituto e quindi all’esercizio, sia pure in via neutrale, di attività amministrativa da parte della Corte dei conti. Su queste funzioni istituzionali, nonché sulle ipotesi della natura del pubblico ministero in genere, suggerite dalle origini storiche del suo ufficio, si fondava la tesi che vedeva nel Procuratore Generale un sostituto processuale dell’Amministrazione, in quanto sia nella veste di controparte necessaria, sia in quella di attore principale, sia in quella di interveniente necessario, faceva valere formalmente, in nome proprio interessi sostanzialmente appartenenti alle Pubbliche Amministrazioni, nei confronti delle quali le decisioni adottate dal giudice erano destinate a dispiegare i loro effetti. Questa concezione, peraltro, era venuta meno dopo la introduzione della Costituzione repubblicana, che ha esaltato la funzione magistratuale del Pubblico Ministero ed il suo agire nell’interesse dell’ordinamento. In ogni caso, nel previgente giudizio pensionistico erano attribuiti al Procuratore Generale imprescindibili poteri istruttori e di impulso processuale, ai quali era raccordato il potere conferito dall’art. 76 del R.D. n. 1038/1933 di ricorrere in via principale. Va notato, tra l’altro, che l’art. 76 stabiliva il dies a quo per ricorrere nella data di registrazione alla Corte dei conti del decreto concessivo di pensione o di altra indennità, fatto non più verificabile, state le modifiche della funzione di controllo attribuite alla Corte dei conti….”

La successiva normativa, in particolare, l’art. 6, comma 6, del decreto legge n. 453/1993, convertito nella legge n. 19/1994, ha affermato testualmente “…..sono abrogate le disposizioni che prevedono e disciplinano le conclusioni e l’intervento del Procuratore generale nei giudizi in materia di pensioni civili, militari e di guerra, è fatto salvo il potere dello stesso di ricorrere in via principale nell’interesse della legge”.

Questa disposizione è stata oggetto di approfondito esame da parte delle Sezioni riunite di questa Corte dei conti, le quali, con la sentenza sopra richiamata n. 15/QM/2003, hanno, tra l’altro, affermato che:

a) l’art. 76 del R.D. n. 1038/1933, come tutte le altre norme del regolamento di procedura che disciplinano poteri ed attribuzioni del pubblico ministero nel processo pensionistico, è stato abrogato dall’art. 6 della legge n. 19/1994;

b) nel processo pensionistico conseguente alla riforma recata dalla legge n. 19/1994 e dalle successive modificazioni, il potere di ricorrere nell’interesse della legge è attributo al Pubblico Ministero al fine di tutelare l’interesse oggettivo alla realizzazione dell’ordinamento giuridico (interesse diverso ed quello delle parti sostanziali del processo pensionistico) e così ottenere la interpretazione uniforme della legge e impedire la violazione di principi di diritto;

c) il potere di ricorrere nell’interesse della legge è intestato al Procuratore Regionale incardinato presso la Sezione territorialmente competente a giudicare e, nei gradi successivi, al Procuratore Generale, al quale spettava, in via esclusiva, il potere di promuovere questioni di massima.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 174 del 2016, l’art. 6, comma 6, del decreto legge n. 453/93, convertito in legge n. 19/1994, è stato espressamente abrogato dall’art. 4, lettera d, dell’allegato 3 al codice medesimo.

L’art. 171 del citato decreto legislativo, in termini sostanzialmente diversi dalle precedente normativa in materia di ricorso nell’interesse della legge, ha previsto che “ … in materia pensionistica il Pubblico Ministero può ricorrere in via principale innanzi alle Sezioni giurisdizionali di appello al fine di tutelare l’interesse oggettivo alla realizzazione dell’ordinamento giuridico, impedire la violazione della legge nell’applicazione di principi di diritto e ottenerne l’interpretazione uniforme”.

Dal tenore letterale della normativa in materia di ricorso nell’interesse della legge, si desume che l’istituto, nei termini con cui è stato disciplinato dall’art. 171 c.g.c., ha assunto un contenuto innovativo rispetto al precedente regime, per ultimo disciplinato dall’art. 6, comma 6, del d.l. n. 453/1993, convertito nella legge n. 19/1994.

Fatta questa premessa di ordine generale, diverse sono le questioni che appaiono meritevoli di essere approfondite, alla luce delle prospettazioni svolte, in questo giudizio, dalla Procura Generale.

In primo luogo, giova osservare che il Pubblico Ministero, nell’ipotesi in questione, non agisce nel processo contabile a tutela di un interesse concreto, corrispondente a specifiche articolazioni della pubblica amministrazione, ma estrinseca, invece, una esigenza di tutela dell’interesse alla attuazione dalla esatta applicazione della legge, nonché alla realizzazione dell’ordinamento giuridico, rispetto al quale non appare ragionevolmente possibile individuare un titolare.

Inoltre, per tali fini, la sua presenza nel giudizio consente al Giudice di provvedere al di là della domanda e delle difese delle parti interessate (ampliando, di tal guisa, l’ambito di cognizione delimitato dalle domande e dalle eccezioni delle parti).

In queste ipotesi, infatti, il Pubblico Ministero è solo parte processuale e non sostanziale, stante la sua estraneità al rapporto pensionistico dedotto in giudizio.

Ciò premesso, come rilevato dalla Procura Generale nel proprio atto di appello, si pongono diverse questioni di carattere generale, che il Collegio giudicante deve esaminare in via preliminare.

In primo luogo, occorre stabilire a quale ufficio del PM compete la legittimazione attiva per la proposizione del ricorso nell’interesse della legge.

Al riguardo, si osserva che il tenore letterale dell’articolo 171, che indica genericamente quale titolare del potere di impugnazione il Pubblico Ministero e non più il Procuratore Generale, lascia intendere che la legittimazione attiva spetti sia al Procuratore regionale sia al Procuratore generale.

È del tutto evidente che questa conclusione va correlata con l’osservazione che -svolgendosi, adesso, il relativo processo davanti le Sezioni giurisdizionali d’Appello, indipendente dall’ufficio che propone il ricorso (Procuratore Regionale ovvero Procuratore Generale) - lo ius postulandi spetta, in ogni caso, al PM incardinato presso il Giudicante e, quindi, al solo Procuratore Generale.

Va, quindi esaminata la questione dell’ammissibilità dell’appello del Procuratore Generale avverso una sentenza pensionistica di primo grado.

In passato, la disposizione abrogata prevedeva che la possibilità di promuovere il ricorso nell’interesse della legge avverso i provvedimenti di concessione della pensione adottati dalla competente Amministrazione.

Al riguardo, si osserva che il ricorso, nei termini disciplinati dall’art. 171 C.G.C., è inserito nel Capo V della parte IV espressamente intestato “Appello”.

E, in questo senso, il ricorso nell’interesse della legge, proposto dal Procuratore Generale avverso una sentenza di primo grado, deve ritenersi pienamente ammissibile.

Nella fattispecie in esame non si pone neanche la questione dei termini temporali entro i quali il PM debba promuovere l’appello, considerato che l’impugnativa risulta presentata in data 22 febbraio 2017, subito dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, pubblicata l’1 febbraio 2017.

Resta, ancora, da affrontare l’ulteriore questione sollevata dal Procuratore Generale in ordine agli effetti processuali delle sentenze pronunciate all’esito dell’appello promosso ai sensi dell’art. 171 del c.g.c. e, cioè, se la sentenza sia destinata ad incidere sulla fattispecie concreta dedotta nel giudizio d’appello, ovvero, se invece debba limitarsi ad una mera affermazione del principio di diritto in funzione “nomofilattica”.

Questa seconda soluzione deve escludersi, considerato che la funzione nomofilattica, già attribuita alle Sezioni riunite della Corte dei conti in forza dell’art. 1, comma 7, del decreto legge n. 453 del 1993, convertito in legge n. 19 del 1994, ha trovato conferma nell’art. 11 del c.g.c..

Pertanto, questa funzione, nell’ordinamento della giustizia contabile, resta riservata alle sole Sezioni riunite della Corte dei conti.

In conseguenza, gli effetti della pronuncia resa dalla Sezione d’Appello sul ricorso nell’interesse della legge sono destinati ad operare in ordine alla fattispecie dedotta nel relativo procedimento, senza assumere valenza di principio di diritto in funzione nomofilattica.

Sotto altro profilo, sempre in ordine agli effetti della pronuncia della Sezione d’Appello sul ricorso di cui all’art. 171 c.g.c., va esclusa la possibilità di qualsiasi riferimento, in via analogica, all’istituto giuridico previsto dall’art. 363 del codice processuale civile, ove è previsto che il ricorso nell’interesse della legge può proporsi dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione solo avverso sentenze passate in giudicato in quanto, proprio perché la pronuncia non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito, la stessa non può che avere carattere nomofilattico per i casi futuri.

Il contenuto letterale dell’articolo 171, invece, non consente di ravvisare tale previsione; anzi, la disposizione precisa in maniera espressa che il ricorso nell’interesse della legge ha, tra l’altro, lo scopo di impedire la violazione della legge nell’applicazione dei principi di diritto e, ciò, non ha altro significato se non quello che la pronuncia è destinata ad operare sulla fattispecie concreta, con conseguente effetto demolitorio, ove beninteso il ricorso sia ritenuto fondato.

Fatte tali premesse di carattere preliminare, il Collegio può procedere all’esame del merito dell’appello proposto dal Procuratore Generale avverso la sentenza n. 70/2017, con la quale il Giudice unico delle pensioni ha accolto il ricorso proposto da G. D. F., già appuntato dei Carabinieri in congedo dall’1 marzo 2006 per inidoneità fisica, avverso i provvedimenti di revoca del proprio trattamento di quiescenza e di recupero delle relative somme indebitamente corrisposte, a seguito della perdita del grado disposta come conseguenza della condanna penale definitiva, riportata dallo stesso.

Come precisato nell’esposizione del fatto, il primo Giudice ha affermato l’illegittimità dell’interruzione dell’erogazione della pensione e della procedura di recupero dei ratei nel frattempo percepiti, per l’asserita violazione della disciplina contenuta negli artt. da 203 a 206 del DPR n. 1092/1973.

Con il proprio appello, il PM ha dedotto la violazione delle disposizioni di legge sopra menzionate, ritenute non applicabili alla fattispecie.

La questione all’esame del Collegio è stata trattata più volte da questa Sezione d’Appello con univoca giurisprudenza che può considerarsi consolidata.

In tale ottica, con riferimento ai fatti rappresentati nel ricorso della Procura Generale, si osserva che, nella fattispecie in esame, il provvedimento di revoca del trattamento di pensione è stato legittimamente adottato dalla competente Amministrazione con riferimento alle disposizioni di legge in vigore, applicando, in particolare, l’art. 923, comma 1, punto m), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, (codice dell’ordinamento militare), che prevede, tra le varie cause di cessazione del rapporto di impiego dei militari, la perdita del relativo “status”.

Il successivo comma 5 del citato art. 923, testualmente recita: “il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi confronti si verifica una delle predette cause, anche se si trova sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa”.

Nella fattispecie, il G. D. F. è stato collocato in quiescenza, in pendenza del procedimento penale, per inidoneità fisica ed a seguito della condanna, divenuta irrevocabile dal 24 marzo 2006, nei suoi confronti è stato adottato, come già evidenziato, il provvedimento della perdita del grado, ai sensi dell’art.861, comma 1, lettera e).

Pertanto, in base alle disposizioni di legge contenute nel sopra richiamato decreto legislativo, la cessazione dal servizio nei confronti del D. F., originariamente disposta a seguito della dichiarazione di non idoneità al servizio militare, deve ritenersi avvenuta per la perdita del grado, ai sensi del sopra menzionato dell’art. 923, comma 5, e con decorrenza dalla data dell’1 marzo 2006, giorno del collocamento a riposo, in applicazione dell’art. 867, quinto comma, del d.lgs. n. 66 del 2010.
All’intervenuta modifica del titolo di cessazione dal servizio, non più per
l’inidoneità al servizio militare, segue, come logica conseguenza, una diversa

disciplina in termini di trattamento di quiescenza.

In particolare, il Collegio osserva che la sussistenza o meno del diritto dell’appellante a fruire del trattamento di pensione va verificata alla luce del quadro normativo vigente all’epoca dell’interruzione del rapporto di lavoro, tenendo conto non più del rapporto di impiego alle dipendenze dell’Arma dei Carabinieri, di cui aveva perduto lo status, ma prendendo in considerazione il servizio svolto come dipendente statale.

In particolare, la situazione dell’odierno appellato va valutata sulla base della disciplina introdotta dall’art. 6 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165 e dell’art. 59, commi 6 e seguenti, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, norme vigenti alla data del 12 settembre 2005, per i casi di cessazione anticipata dal servizio.

Tali disposizioni, come esattamente evidenziato dall’Amministrazione, hanno introdotto, a partire dall’1 gennaio 1998 (data in cui è terminata la fase transitoria disciplinata dall’art. 1, commi 25, 26, 27 e 28 della legge n. 335 del 1995) requisiti anagrafici e contributivi per anzianità di servizio sensibilmente più gravosi rispetto a quelli previsti dalla precedente normativa.

In pratica, per poter conseguire la pensione il G. D. F. (come già sottolineato, a tutti gli effetti da ritenersi giuridicamente collocato in congedo in forza del provvedimento della “perdita del grado”) avrebbe dovuto essere in possesso alternativamente:

di un’anzianità di servizio utile di 38 anni, a prescindere dall’età anagrafica;

di un’anzianità di servizio utile di anni 35 unitamente ad un’età di almeno 57 anni;

della massima anzianità contributiva prevista dall’ordinamento di appartenenza…..unitamente ad un’età di almeno 52 anni (v. tabella B, allegata al decreto legislativo n. 147 del 1997, come sostituita dall’art. 59, comma 12, della legge n. 449 del 1997).

Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale, invece, si desume che il G. D. F., nato il Omissis, alla data dell’1 marzo 2006 (di cessazione dal servizio), si trovava, sotto il profilo anagrafico e contributivo, nella seguente situazione:

aveva un’età di appena 45 anni ed un’anzianità contributiva utile ai fini della quiescenza di 26 anni;

non era, quindi, assolutamente in possesso di alcuno dei requisiti sopra specificati e, in conseguenza, sulla base delle disposizioni di legge menzionate, non poteva fruire del trattamento di pensione anticipato.

In questi sensi si è espressa, in relazione a casi analoghi a quello oggetto del presente giudizio, la più recente giurisprudenza della Corte dei conti (ex plurimis: Sezione III Centrale Appello n. 5/2013, Sezione II Centrale Appello n. 732/2011, Sezione Appello Regione siciliana n. 311/2013, n. 155/A/2017 e n. 128/A/2017).

In relazione ai requisiti minimi anagrafici e contributivi per il diritto al pensionamento di anzianità, nella fattispecie in esame, si osserva che, per effetto della perdita del grado, si è determinata la conseguente estinzione dello “status” di militare, con la contestuale inapplicabilità della normativa speciale e agevolativa ai fini dell’acquisizione del diritto a pensione con requisiti anagrafici e contributivi inferiori rispetto a quelli fissati per i restanti pubblici dipendenti.

In altri termini, non potendosi più considerare il G. D. F., al momento dell’interruzione del servizio, in possesso dello stato giuridico di “militare”, lo stesso soggiaceva, con effetti decorrenti da quel momento, alla disciplina introdotta dalla riforma del sistema pensionistico contenuta nella legge n. 449/1997.

Infatti, solo se in possesso degli ordinari requisiti fissati dalla menzionata normativa, il medesimo avrebbe potuto vantare il diritto alla pensione.

Fatte queste premesse, il Collegio giudicante rileva l’erroneità della motivazione del primo Giudice nel capo in cui ha affermato l’applicabilità alla fattispecie delle disposizioni contenute negli artt. 203 e seguenti del D.P.R. n. 1092 del 1973.

Al riguardo il Collegio ritiene che la disciplina sopra richiamata non sia assolutamente pertinente con la situazione giuridica del G. D. F., in quanto, nel caso di specie, il trattamento di pensione era stato concesso in via provvisoria (situazione che avrebbe da sola escluso l’applicabilità degli artt. 203 e seguenti) e, in ogni caso, deve escludersi ogni ipotesi di avvenuta modifica o revoca di un trattamento di pensione per motivi di “diritto”.

La fattispecie, come già sottolineato, è soggetta alla particolare disciplina di cui all’art. 923 del Codice dell’ordinamento militare che, in quanto disposizione speciale, prevale sui principi generali in materia di modifica e revoca della pensione di cui agli artt. 203 e seguenti del menzionato DPR n. 1093/1973.

In conclusione, la condanna definitiva, riportata dall’odierno appellato nel procedimento penale, ha determinato, per espressa previsione di legge, una condizione risolutiva del rapporto di impiego, con effetti sin dalla cessazione dal servizio senza che possa configurarsi la violazione delle norme invocate dall’appellante (Sezione giurisdizionale Centrale I di Appello, sentenza n. 128 del 20 aprile 2017).

Per le esposte argomentazioni, ritenendo fondati i motivi formulati nell’appello del Procuratore Generale, il Collegio dispone l’annullamento

dell’impugnata sentenza n. 70/2017.

G. D. F. al pagamento delle spese per entrambe i gradi di giudizio, liquidate in euro 1.000,00, a favore di ciascuna delle controparti (I.N.P.S. e Ministero della difesa) costituite.

PQM

La Corte dei conti- Sezione d’Appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso nell’interesse della legge proposto dalla Procura Generale e, per l’effetto, annulla la sentenza n. 70/2017 del Giudice unico delle pensioni.

G. D. F. al pagamento delle spese per entrambe i gradi di giudizio, liquidate in euro 1.000,00, a favore di ciascuna delle controparti (I.N.P.S. e Ministero della difesa) costituite.

Così deciso, in Palermo, nelle camere di consiglio del 19 settembre e dell’8 novembre 2017.

L’Estensore Il Presidente

F.TO Dr. Tommaso Brancato F.TO Dr. Giovanni Coppola

Depositata in segreteria

Palermo,05/01/2018

Il direttore della segreteria

F.TO Dott. Fabio
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI Sent. 63/2018

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PUGLIA

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA



(art. 5 L. 205/2000 )

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio, iscritto al n. 32400 del registro di segreteria, prodotto dal Sig.re PIGNATELLI Cosimo ( n. il 23.9.1959 a Brindisi ); rapp.to e difeso dall’avv. Mariantonietta Belmonte e dall’avv. Rosa D’Ambrosio , giusta mandato in calce ricorso;

contro

Ministero della Difesa

avverso

Decreto n. 1/3/A del 20.1.2015;

per l’accertamento

del diritto a pensione privilegiata .

Udito alla pubblica udienza del 29 settembre 2017 l’avv. Mariantonietta Belmonte, unitamente all’avv. Rosa D’Ambrosio, per il ricorrente, il quale si è riportato al ricorso, chiedendone l’accoglimento;

Visto il ricorso in epigrafe;

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;

Rilevato che con il decreto impugnato è stata respinta la domanda di pensione privilegiata, sul presupposto della non dipendenza da causa di servizio delle seguenti infermità: “ Gastrite ipertrofica, duodenite bulbare-Esogastroduodenite ulcerativa; Cervicoartrosi con protusioni discali multiple da C3 a C7, artrosi articolazione acromion articolare destra con tendinosi del sovraspinoso e della cuffia dei rotatori omoltaerali ”;

Visto il giudizio espresso dalla C.M.O. di Napoli, con p.v. n. 144/95 nel senso della dipendenza da causa di servizio della infermità “ duodenite bulbare compatibile “;

Visto il giudizio espresso dalla stessa C.M.O., con successivo p.v. n. 1950 del 17.9.2001, nel senso dell’aggravamento della infermità “ gastrite ipertrofica, duodenite bulbare”, da cui la “ Esofagogastroduodenite ulcerativa”

Visto il parere della C.M.O. di Bari, che, con p.v. n. 97 del 3.10.2001, nel senso della dipendenza da causa di servizio della infermità “ Cervicoartrosi osteofitosi con discopatia C5 - C6 periartrite scapolomerale destra”;

Atteso che con il ricorso in epigrafe, il Sig.re Pignatelli Cosimo, sottufficiale fino al 31 ottobre 2014, data in cui è stato posto in congedo, ha chiesto la concessione della prensione privilegiata in relazione alle infermità per cui è causa;

Considerato che il ricorrente impugna il decreto negativo, in epigrafe indicato, il quale si fonda sul parere del Comitato di verifica, emesso nella adunanza n.238/2009 del 19.5.2009;

Atteso che la motivazione del suddetto parere, reso solo sulla base degli atti, è apparente per il carattere apodittico delle argomentazioni che sono usate, in confronto, invece, ai pareri delle CC.MM.OO. di Napoli e Bari, che appaiono esaustivi e che, quindi, non rendono necessario avvalersi di una c.t.u.;

Rilevato, altresì, che la dipendenza da causa di servizio è evincibile dal circostanziato rapporto di servizio del 1999 e dal rapporto informativo del Quartiere Generale III R.A. ove il ricorrente ha prestato servizio dal 30.12.1997 al 5.5.2008;

Ritenuto di condividere la c.t.p. del dott. Caiazzo, in data 19.1.2011 - che non è stata contestata dal Ministero della Difesa - per la sua esatta impostazione medico-legale;

Ritenuto, quindi, che il ricorso possa essere accolto per quanto concerne la dipendenza da causa di servizio delle infermità in questione, sicchè spetta al Sig.re Pignatelli Cosimo, con decorrenza dalla data della domanda , la pensione privilegiata di 7^ categoria, Tabella A, per cumulo , in quanto le infermità singolarmente ascrivibili sono ascrivibili ciascuna alla 8^ categoria e, pertanto, per cumulo, alla 7^ (8^+8^), secondo i criteri di cui al d.p.r. n.834/1981;

Ritenuto, infine, che sulle somme dovute a titolo di arretrati spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge;

Sussistendo giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, in considerazione della natura tecnica della controversia;

P.Q.M

la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, per la Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,

ACCOGLIE

il ricorso n° 32400 e, per lo effetto, accerta il diritto del ricorrente alla pensione privilegiata di 7^ categoria, Tab. A, legge vigente, a vita, con decorrenza dalla data della domanda, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge

Spese di giudizio compensate

Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del ventinove settembre duemiladiciassette.

IL GIUDICE

F.to ( V. Raeli )

Depositata in Segreteria il 23/01/2018

Il Funzionario di Cancelleria

F.to (dott. Pasquale ARBORE)
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Sentenza CdC Puglia n. 182/2018, ricorso respiunto.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA

in composizione monocratica, in persona del Giudice Unico delle Pensioni Marcello Iacubino, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 32789 del registro di segreteria, sul ricorso presentato ad istanza di:

Ten. Col. XX, nato X l’XX(C.F. X) ed ivi residente alta via XXX, rappresentalo e difeso, unitamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Martino Angelini (C.F. NGLMTN75D19L049B) e Anna Francesca Chimienti (C.F. CHMNFR74L68E986P) del Foro di Taranto, in virtù di mandato a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Martina Franca (Ta) alla Via G. Verdi n. 52 (i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni di rito ai seguenti recapiti: fax 0804303212 e PEC angelini. martino@oravta.legalmail.it e chimienti.annafrancesca@oravta.legalmail.it);

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del legale rappresentante pro tempore;

nonché contro

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE, FINANZE - Comitato di Verifica per le cause di servizio, in persona del legale rappresentante pro tempore;

nonché contro

l’I.N.P.S., in persona del rappresentante legale pro-tempore, con sede legale in Roma, via Ciro il Grande, 24 (C.F. 80078750587), rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli Avv.ti Marcella Mattia e Ilaria De Leonardis, giusta procura ad lites rilasciata con atto del Dr. Paolo Castellini, Notaio in Roma, del 21.7.2015, Rep. 80974, elettivamente domiciliata in Bari, presso l’Avvocatura Distrettuale dell’INPS, alla via Putignani n. 108;

per il riconoscimento

della dipendenza da causa di servizio ai fini della futura concessione della pensione privilegiata ordinaria.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;

Visti: la legge n. 205/2000 e il Codice di giustizia contabile approvato con d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, in particolare gli artt. 151 e ss.;

Uditi, nella pubblica udienza del 27 febbraio 2018, l’avv. Martino Angelini (presente anche l’avv. Anna Francesca Chimienti) per la parte ricorrente, il dott. Monno per il MEF e per l’I.N.P.S. l’avv.ta Marcella Mattia, come da verbale in atti.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. – Preliminarmente, il giudice osserva che vi è stata la regolare instaurazione del contraddittorio, in quanto le parti resistenti si sono regolarmente costituite.

2. – Questi, succintamente, i fatti di causa.

Con il ricorso in epigrafe il sig. X invoca il riconoscimento del proprio diritto all'accertamento ed al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, quale presupposto per la concessione della futura pensione privilegiata, da poter successivamente far valere in giudizio; con vittoria di spese.

Nel merito ha dedotto di essere affetto dalle seguenti patologie, accertate a seguito di ricovero in data 11.06.2009 presso l'Ospedale Civile SS. Annunziata di Taranto per infarto miocardico acuto, per le quali chiede il riconoscimento di dipendenza da causa di servizio: "Cardiopatia postinfartuale in soggetto sottoposto a rivascolarizzazione coronica e Cardiopatia ipertensiva".

Al riguardo premette di aver frequentato la Scuola Militare "Nunziatella" di Napoli, dal 25.09.1979 al 30.07.1982, e di aver prestato servizio quale Ufficiale CPL presso il S.A.A.M. di Firenze, dall'11.04.1985 ai 16.07.1985, e il 3° R.O.C. di Martina Franca, dal 17.07.1985 al 10.07.1988; arruolato poi quale Ufficiale in S.P.E. il 28.10.1991, ha prestato servizio dapprima al 34° G.R.A.M. di Siracusa, dal 28.10.1991 al 22.05.1995, e presso il 16° Stormo "P.F." di Martina Franca (Ta), dal 23.05.1995 all'agosto 2010.

Attualmente è in servizio presso la S.V.T.A.M. di Taranto.

Sostiene, quindi le condizioni di servizio particolarmente usuranti anche sotto il profilo psicologico e le responsabilità di ogni tipo cui è stato sottoposto, che hanno caratterizzato l'espletamento degli incarichi ricevuti, ai quali non si è mai sottratto sebbene dagli stessi notevolmente provato, come testimoniato dai Rapporti informativi che si producono e dallo stralcio dei Precedenti Sanitari desunti dai registri presso il Nucleo Sanitario dell'Infermeria di Corpo del 16° Stormo di Martina Franca.

A tal uopo veniva presentato apposita istanza d'ufficio, in data 2.0.2009, dal Comando del 16° Stormo "P F" di Martina Franca, per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle predette infermità, ai fini della concessione dell'equo indennizzo.

Tuttavia, il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio (CVCS) presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con parere n. 36350/2012 reso all'adunanza n. 114/2013 dell'8.03.2013, allegato al decreto oggi impugnato, negava la dipendenza da c.s. delle infermità patite dal ricorrente.

Con decreto del 18.07.2014 n. 1609/N, il Ministero della Difesa-Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, facendo esplicito riferimento ad un nuovo parere n. 7907/2014 del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio reso nell'adunanza n.133/2014 del 29.04.2014, che confermmava il precedente parere negativo n. 36350/2012, decretava che le patologie sofferte dal ricorrente erano riconosciute NON fossero dipendenti da causa di servizio.

Contro tale decreto e i predetti pareri il ricorrente, in data 12.11.2014, presentava ricorso al TAR competente.

Quindi, in data 09.11.2015 formulava al Ministero della Difesa la richiesta di estensione della pronuncia amministrativa sulla dipendenza da causa di servizio ai fini della concessione della pensione privilegiata ordinaria.

Con nota M D GPREV REG2016 0035595 del 3.03.2016, la Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva gli comunicava di non poter "avviare alcuna attività istruttoria per l'emissione del provvedimento di pensione privilegiata ordinaria, poiché l'istanza presentata reca la data del 0911.112015, anteriore alla presunta cessazione" invitando a formulare "una nuova domanda di pensione privilegiata ordinaria, ad avvenuta cessazione dal servizio".

2.1. – In punto di diritto, il ricorrente ritiene che, per orientamento ormai consolidato, nel caso di specie vi sia la competenza del Giudice adito. Pacifica sarebbe la competenza giurisdizionale della Corte dei Conti in materia di accertamento della dipendenza da causa di servizio quale presupposto del diritto a pensione privilegiata anche nei confronti del militare in servizio, come chiaramente statuito nell'ordinanza n. 4325/14 dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili.

3. – Con memoria depositata in data 30 settembre 2016, si è costituito il MEF, il quale ha chiesto l’estromissione del Comitato per le pensioni privilegiate, e in subordine l’infondatezza del ricorso.

In data 16.02.2017 e 16.02.2018 si sono rispettivamente costituiti l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari e l’INPS, i quali hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, la prima sulla base dell’asserito difetto di giurisdizione di questa Corte sul riconoscimento dell’equo indennizzo; la seconda per essere il ricorrente ancora in servizio. L’avvocatura ha previamente richiesto anche la sospensione del presente giudizio, ex art. 295 c.p.c., a causa della pendenza di un concomitante ricorso presso il TAR Puglia, Sez. di Lecce, avente medesimo petitum e causa petendi.

Nel merito, hanno entrambi dedotto l’infondatezza della domanda.

4. – Nell’odierna udienza, le parti presenti, in un breve intervento, hanno insistito per le rispettive conclusioni, come da verbale di udienza, in atti.

Il giudizio è stato quindi definito con sentenza – provvedendosi all’esito della camera di consiglio a dare lettura in udienza del dispositivo e a esporre le ragioni di fatto e di diritto – depositata nell’ordinario termine di legge (art. 430 c.p.c.).

5. – Il ricorso è inammissibile per mancata definizione, almeno per implicito, della pregiudiziale amministrativa stabilita dall’allora vigente art. 71, lett. b), reg. proc. C.d.c. (attualmente, comunque, confluito nell’art. 153, c.g.c.).

Va richiamata, sul punto (anche ai sensi dell’art. 9, commi 1 e 3 della l. n. 205 del 2000; v. ora l’art. 167, comma 4, ult. periodo del c.g.c.), una recente pronuncia di questa Sezione, cui questo giudice intende dare continuità (n. 346 del 10/07/2017), in cui è stato affermato che, «sebbene, invero, astrattamente sussista, nel caso di specie, la giurisdizione di questa Corte – limitatamente, si badi, al mero accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio (e con esclusione, dunque, della cognizione sull’azione di condanna al pagamento dell’equo indennizzo, di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, trattandosi di militare) – tuttavia, rimane impregiudicata ogni valutazione della Sezione circa eventuali cause di inammissibilità della domanda (in termini, Cass., SS. UU., n. 4325/2014).

Al riguardo, pur non ignorando questo giudice che il procedimento per l'accertamento delle c.d. “cause di servizio” è oramai unico sia per l'equo indennizzo che per la p.p.o. (cfr. art. 12, d.p.r. n. 461/2001), dagli atti di causa emerge che non vi è stato neanche un provvedimento implicito di diniego formatosi su una istanza di riconoscimento di tale trattamento pensionistico (del resto, il ricorrente è tuttora in servizio), nè il petitum del ricorso, coerentemente, riguarda l’unica azione di competenza di questa Corte (cfr. C. conti, sez. II App., n. 30/2017)».

I rimanenti motivi in rito e di merito restano, dunque, assorbiti.

La definizione solo in rito della causa, impregiudicata ogni ulteriore valutazione del merito, rappresenta giusto motivo per compensare le spese di lite.

PER QUESTI MOTIVI

la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra deduzione, eccezione e domanda, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Così deciso, in Bari, all’esito della pubblica udienza del 27 febbraio 2018.

IL GIUDICE

F.to (Marcello Iacubino)



Il giudice, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del D. Lgs. 30.6.2003, n. 196,

DISPONE

che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52 nei riguardi del ricorrente e degli eventuali danti ed aventi causa.

IL GIUDICE

F.to (Marcello Iacubino)



Depositata in Segreteria il 27/02/2018

Il Responsabile della Segreteria

Il Funzionario di Cancelleria

F.to (dott. Pasquale ARBORE)





In esecuzione del provvedimento del G.U.P., ai sensi dell’art. 52, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.

Bari 27/02/2018

Il Funzionario di Cancelleria

F.to (dott. Pasquale ARBORE)
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Non è respinto. È inammissibile, cioè in parole povere, non giudicabile.
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Highlander ha scritto:Non è respinto. È inammissibile, cioè in parole povere, non giudicabile.
Giochi di parole, chi riceve un'inammissibilità riceve un respingimento, anzi ancor peggio, perché è un respingimento senza essere stato giudicato.
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naturopata ha scritto:
Highlander ha scritto:Non è respinto. È inammissibile, cioè in parole povere, non giudicabile.
Giochi di parole, chi riceve un'inammissibilità riceve un respingimento, anzi ancor peggio, perché è un respingimento senza essere stato giudicato.
Ti sbagli e di grosso! Il giudice emette tali sentenza quando in sostanza ci sono vizi come dire di forma, notifica, impugnazione di atti. Qui ci sarebbe da "giudicare" chi ha studiato e compilato materialmente il ricorso.... avvocato o il diretto interessato...
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Highlander ha scritto:
naturopata ha scritto:
Highlander ha scritto:Non è respinto. È inammissibile, cioè in parole povere, non giudicabile.
Giochi di parole, chi riceve un'inammissibilità riceve un respingimento, anzi ancor peggio, perché è un respingimento senza essere stato giudicato.
Ti sbagli e di grosso! Il giudice emette tali sentenza quando in sostanza ci sono vizi come dire di forma, notifica, impugnazione di atti. Qui ci sarebbe da "giudicare" chi ha studiato e compilato materialmente il ricorso.... avvocato o il diretto interessato...
Mi sbaglio talmente di grosso che il Giudice afferma: Al riguardo, pur non ignorando questo giudice che il procedimento per l'accertamento delle c.d. “cause di servizio” è oramai unico sia per l'equo indennizzo che per la p.p.o. (cfr. art. 12, d.p.r. n. 461/2001), dagli atti di causa emerge che non vi è stato neanche un provvedimento implicito di diniego formatosi su una istanza di riconoscimento di tale trattamento pensionistico (del resto, il ricorrente è tuttora in servizio), nè il petitum del ricorso, coerentemente, riguarda l’unica azione di competenza di questa Corte (cfr. C. conti, sez. II App., n. 30/2017)».

Il Giudice sta dicendo che tu quella domanda preventiva comunque non la potevi fare perché tutt'ora in servizio e anche se l'avessi fatta, io te l'avrei respinta per questo motivo. In soldoni il colonnello è inutile che propone la domanda che gli verrà respinta dal comando, perché il Giudice gliela respingerà comunque e quindi ha come unica possibilità l'appello e quindi, in soldoni il ricorso è stato già respinto nel merito.
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Sentenza n. 33 /18







REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Innocenza Zaffina, in funzione di Giudice unico delle pensioni,

in esito all'udienza pubblica del 19 gennaio 2018

ha pronunciato la presente

SENTENZA

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 30343 del registro di segreteria, promosso ad istanza del signor M. P., C.F. Omissis, nato a Omissis (Omissis) il Omissis e residente a Omissis (PD) Omissis - Omissis, assistito, rappresentato e difeso, per mandato a margine del ricorso, dall'Avv. Gabriele de Gotzen (C.F. DGTGRL65S16L736Q - fax 041.2621753 - pec: gabriele.degotzen@venezia.pecavvocati.it) dell'Ordine di Venezia e dall'Avv. Gloria De Sabbata (C.F. DSBGLR77E47L736W - fax 041.4763441 - pec: gloria.desabbata@venezia.pecavvocati.it) dell'Ordine di Venezia ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in 30173 Venezia - Mestre (VE) - Viale Garibaldi n. 1/i; per le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento si indicano i numeri di fax 041.2621753, fax 041.4763441 e gli indirizzi di posta elettronica certificata gabriele.degotzen@venezia.pecavvocati.it, gloria.desabbata@venezia.pecavvocati.it,
contro

- INPS, Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, Gestione Dipendenti Pubblici, con sede legale in Roma, via Ciro il Grande, 24, c.f. 80078750587, in persona del legale rappresentante pro tempore, anche quale successore ex art. 21, comma 1, d.l. 06.12.2011, n. 201, conv. con modificazioni con l. 22.12.2011, n. 214, di I.N.P.D.A.P., rappresentato e difeso nel presente giudizio, dall’avvocato Filippo Doni, c.f. DNO FPP 71R13 G224G, in forza di procura ad lites rilasciata con il ministero del Notaio Paolo Castellini in Roma, rep. 80974, rogito 21569, del 21.07.2015, elettivamente domiciliato ai fini del presente giudizio presso l’Avvocatura I.N.P.S. di Venezia, Dorsoduro 3500/d, dichiarando, per le comunicazioni di Cancelleria, il numero di FAX DELLO STUDIO DEL DIFENSORE 041 2702647, e l’indirizzo di p.e.c. avv.filippo.doni@postacert.inps.gov.it, nonché l’indirizzo di p.e. filippo.doni@inps.it,

- MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore (C.F. 80234710582), con sede in 00187 Omissis (RM) - Via XX Settembre n. 8 e domicilio ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Omissis, in 30124 Omissis (Omissis) - Omissis (C.F. 94026160278),

- MINISTERO DELLA DIFESA - COMANDO FORZE OPERATIVE NORD (già COMANDO FORZE DI DIFESA INTERREGIONALE NORD), in persona del Comandante legale rappresentante pro tempore, con sede in 35123 Padova (PD) Prato della Valle n. 64,

LETTO il ricorso introduttivo;

VISTI gli atti e documenti di causa;

UDITE, all’udienza tenutasi il 19.01.2018 con l’assistenza della sig.ra Nicoletta Niero, le parti presenti per come risulta dal verbale di udienza;

FATTO

1.Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato, il sig. M. P. contestava la legittimità dell'Atto n. PD012015823542 (ID pratica: PD110201506103001), comunicato con nota protocollo n. INPS 5400.13/07/2015.0174969 del 13.07.2015, emesso dall'I.N.P.S. - Gestione Dipendenti Pubblici - Gestione Cassa Pensioni Dipendenti dello Stato - Direzione Provinciale di Padova, con il quale è stata conferita al ricorrente la pensione privilegiata diretta liquidata con il sistema misto a decorrere dal 21.03.2014 (posizione previdenziale n. 0200648455P - iscrizione n. 17384234). Veniva altresì contestata la legittimità di ogni atto e/o provvedimento, procedimentale o finale, inerente, conseguente o comunque connesso a quello come sopra indicato ed impugnato, anche non conosciuti, ivi compresa la nota protocollo n. 15595 del 14.04.2014 del Comando Forze di Difesa Interregionale Nord - Ufficio Amministrazione - Servizio Amministrativo - Trattamento Economico Personale Militare - Quiescenza con la quale è stato comunicato al ricorrente il trattamento provvisorio di pensione.

In particolare, parte ricorrente chiedeva l'accertamento, la declaratoria ed il riconoscimento del diritto alla liquidazione della pensione privilegiata diretta di cui all'iscrizione n. 17384234 con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e non fino al 31 dicembre 1995, restando computabile con il sistema contributivo la sola anzianità maturata successivamente al 1° gennaio 2012, nonché il riconoscimento del diritto alla corresponsione degli arretrati oltre ad interessi e rivalutazione su ogni singolo rateo fino all'integrale soddisfo.

Nel ricorso si ripercorreva la vicenda amministrativa che aveva dato luogo al presente giudizio.

In particolare, il ricorrente, Primo Maresciallo Luogotenente dell'Esercito in servizio permanente alle dipendenze del Reg. Mil. Centr. 8^ CMT Pens Roma, giudicato permanentemente inidoneo al servizio militare, cessava dal servizio permanente per infermità e veniva collocato in congedo assoluto a decorrere dal 21.03.2014 con decreto del Ministero della Difesa n. 2774 del 28.08.2014, in seguito ad istanza del 25.03.2014, protocollata al n. INPS.5400.25/03/2014.0083571 presentata all'I.N.P.S. - Direzione Provinciale di Padova domanda di pensione diretta di privilegio.

Nelle more del procedimento di concessione della pensione privilegiata diretta, con nota protocollo n. 15595 del 14.04.2014 il Comando Forze di Difesa Interregionale Nord - Ufficio Amministrazione - Servizio Amministrativo - Trattamento Economico Personale Militare - Quiescenza comunicava al ricorrente il trattamento provvisorio di pensione.

Successivamente, l'I.N.P.S. - Gestione Dipendenti Pubblici - Gestione Cassa Pensioni Dipendenti dello Stato - Direzione Provinciale di Padova, con Atto n. PD012014793197 (id Pratica: PD110201405143001), comunicato con nota protocollo n. INPS 5400.06/06/2014.0149303 del 06.06.2014, conferiva al ricorrente la pensione ordinaria diretta di inabilità liquidata con il sistema misto a decorrere dal 21.03.2014 (posizione previdenziale n. 0200648455P - iscrizione n. 17384234).

Successivamente, con Atto n. PD012015823542 (ID pratica: PD110201506103001), comunicato con nota protocollo n. INPS.5400.13/07/2015.0174969 del 13.07.2015, l'I.N.P.S. - Gestione Dipendenti Pubblici - Gestione Cassa Pensioni Dipendenti dello Stato ­Direzione Provinciale di Padova conferiva al ricorrente la pensione privilegiata diretta di 7° Categoria Tabella A a vita, liquidata con il sistema misto a decorrere dal 21.03.2014 (posizione previdenziale n. 0200648455P - iscrizione n. 17384234); detto provvedimento espressamente annullava e sostituiva il precedente Atto n. PD012014793197 del 23.05.2014 di concessione della pensione ordinaria diretta di inabilità.

Tanto premesso, il ricorrente agiva giudizialmente al fine di veder accertare, dichiarare e riconoscere il proprio diritto alla liquidazione della pensione privilegiata diretta di cui all'iscrizione n. 17384234 con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e non fino al 31 dicembre 1995, restando computabile con il sistema contributivo la sola anzianità maturata successivamente al 1° gennaio 2012, nonché del diritto alla corresponsione degli arretrati oltre ad interessi e rivalutazione su ogni singolo rateo fino all'integrale soddisfo.

Infine, sono state rassegnate le seguenti conclusioni: “Nel merito, in via principale, accogliere il ricorso e, per l'effetto, previa disapplicazione dell'Atto n. PD012015823542 (ID pratica: PD110201506103001) emesso dall'I.N.P.S. - Gestione Dipendenti Pubblici - Gestione Cassa Pensioni Dipendenti dello Stato -Direzione Provinciale di Padova e comunicato con nota protocollo n. INPS.5400.13/07/2015.0174969 del 13.07.2015, nonché di ogni atto e/o provvedimento, procedimentale o finale, inerente, conseguente o comunque connesso a quello come sopra indicato ed impugnato, anche non conosciuti, ivi compresa la nota protocollo n. 15595 del 14.04.2014 dei Comando Forze di Difesa Interregionale Nord - Ufficio Amministrazione - Servizio Amministrativo - Trattamento Economico Personale Militare - Quiescenza con la quale è stato comunicato (…) il trattamento provvisorio di pensione, per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi, dichiararsi e riconoscersi il diritto del Signor (…) alla liquidazione della pensione privilegiata diretta di cui all'iscrizione n. 17384234 con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e non fino al 31 dicembre 1995, restando computabile con il sistema contributivo la sola anzianità maturata successivamente al 1° gennaio 2012, e fatto comunque salvo il trattamento più favorevole, nonché il diritto del medesimo alla corresponsione degli arretrati oltre ad interessi e rivalutazione su ogni singolo rateo fino all'integrale soddisfo, con ogni conseguente statuizione nei confronti delle Amministrazioni resistenti. Spese ed onorari rifusi. Con ogni espressa riserva in rito, istruttoria e di merito.

Ai fini della normativa in tema di contributo unificato, si dichiara che il valore della presente controversia è indeterminabile e che la stessa è esente dal versamento del contributo unificato ratione materiae. Ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c., si dichiara che il valore della prestazione dedotta in giudizio è indeterminabile”.

2. L’I.N.P.S. si è costituito in giudizio, con memoria depositata in data 5 settembre 2017, rilevando in via pregiudiziale l’inammissibilità della domanda per difetto di istanza amministrativa.

Nel merito, ha affermato la correttezza della determinazione PD 012015823542, inviata al pensionato in data 13/07/2015, con cui veniva concessa all’odierno ricorrente la pensione privilegiata diretta, liquidata col sistema misto, in quanto il pensionato non avrebbe maturato il requisito dei 18 anni di anzianità contributiva, al 31/12/1995 ed ha richiamato la disciplina di cui all’art. 1, commi 12 e 13, l. 335/95, in base alla quale: «12. Per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data; b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo.

13. Per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, la pensione è interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo».

Pertanto, precisava la difesa dell’INPS, “Non ha rilievo, al fine di determinare il regime applicabile ratione temporis, l’art. 59, comma 1, lett. b), l. 27.12.1997, n. 449, citato da parte ricorrente, per il quale «Con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 1998 […]. Con effetto dalla medesima data: […] b) per la determinazione dell'anzianità contributiva ai fini sia del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto. Sono fatte salve le domande presentate ai sensi dell'articolo 3, comma 9, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 658. Sono abrogati gli articoli 24, terzo comma, 45 e 46 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092». Tale norma, ispirata alla ratio di contenere gli arrotondamenti delle anzianità contributive ai fini del diritto e della misura delle pensioni (oltre che ridurre le maggiorazioni contributive fittizie e le deroghe ai criteri di calcolo delle pensioni) viene intesa da parte ricorrente come volta ad ampliare la platea degli aventi diritto alla conservazione del regime pensionistico anteriore alla legge 335/95. Tale conclusione, oltre che contraria alla ratio legis (da una norma finalizzata a ridurre gli arrotondamenti e in generale gli incrementi figurativi di anzianità contributiva si ricava un’estensione di un regime pensionistico favorevole), non corrisponde neppure ai corretti criteri di esegesi.

L’art. 1, commi 12 e 13, cit., serve a stabilire qual è la norma applicabile ratione temporis (primo passaggio logico).

L’art. 59, comma 1, cit., serve a stabilire quale sia l’anzianità contributiva da considerare per valutare se all’assicurato spetti il diritto a pensione e per valutare a quanto ammonti la pensione spettante all’assicurato (secondo passaggio logico).

Le due operazioni sono cioè successive e non interferenti.

Esattamente pertanto I.N.P.S., dopo aver stabilito che a parte ricorrente si applichi il regime di calcolo c.d. “misto”, ha considerato ai fini del computo della pensione un’anzianità (arrotondata) di 18 anni. In tal senso, anche le istruzioni operative I.N.P.S. citate da parte ricorrente, che non riguardano certo la determinazione del regime applicabile, bensì i criteri per valutare, qualsiasi sia il regime applicabile, il diritto e la misura del trattamento di quiescenza”.

La difesa dell’Ente previdenziale ha pertanto rassegnato le seguenti conclusioni:

“PREGIUDIZIALMENTE: dichiararsi inammissibile la domanda per difetto di istanza amministrativa;

NEL MERITO: rigettarsi l’avversa domanda, in quanto infondata in fatto e in diritto.

NEL MERITO, IN VIA SUBORDINATA: in denegata ipotesi di fondatezza in diritto dell’avversa pretesa, ridursi l’eventuale condanna nei confronti di I.N.P.S per gli accessori ai soli interessi legali, salva la sola maggiore rivalutazione monetaria, ove in misura maggiore rispetto agli interessi legali.

Spese e compensi professionali integralmente rifusi, compresa la maggiorazione forfettaria 15%”.

3.Si è formalmente costituita la convenuta Amministrazione della Difesa in data 27 luglio 2017, mediante una nota inviata dal Centro Unico Stipendiale Esercito, a firma del Capo dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza e Relazioni con il Pubblico, nella quale ha evidenziato che: “(…) sebbene il ricorso in esame sia principalmente rivolto contro l’Istituto Nazionale delle Previdenza Sociale, essendo il Ministero della Difesa chiamato in causa soltanto in via incidentale - si evidenzia la bontà dell’operato posto in essere dall’Amministrazione Militare nel procedimento di determinazione della pensione in parola, in quanto conforme alle istruzioni impartite in materia dal citato ente previdenziale. In particolare, il Centro Amministrativo Esercito Italiano ha:

- applicato pedissequamente la circolare n. 21 del 29 marzo 1996 dell’ex INPDAP, che riporta: “L’attuale sistema retributivo rimane, in base al disposto del comma 13 dell’articolo 1 della Legge 335/95 per i lavoratori che, al 31 dicembre 1995, siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 18 anni (…); si precisa che tale limite di servizio deve intendersi maturato solo all’effettivo raggiungimento del diciottesimo anno di anzianità contributiva, senza che al riguardo possa operarsi alcun arrotondamento”;

- operato conseguentemente gli arrotondamenti previsti, computando per mese intero le frazioni del mese superiori a quindici giorni (in Allegato, al quadro I “servizio utile ai fini del diritto” del foglio di calcolo della pensione, sono indicati gli arrotondamenti applicati).

4. In sintesi, in base alle interpretazioni normative/disposizioni formulate dall’Istituto previdenziale, gli arrotondamenti in argomento non operano ai fini dell’inquadramento del lavoratore in un regime previdenziale anziché un altro (come richiesto dal ricorrente5), ma solo ai fini della determinazione del servizio utile per il conseguimento del diritto alla prestazione pensionistica ed l’individuazione delle aliquote di rendimento riferite alle singole quote di pensione.

5. Tanto si è ritenuto di rappresentare per doverosa ed opportuna informazione, a chiarimento della posizione dell’Amministrazione Militare quale parte citata in giudizio”.

4.All’udienza del 15 settembre 2017, la difesa della ricorrente, dopo avere meglio precisato il contenuto del ricorso, ha chiesto un termine per il deposito di note difensive in considerazione delle eccezioni sollevate dalle parti convenute, esibendo nel contempo alcune recenti sentenze di altre Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti ritenute pertinenti rispetto alla propria prospettazione in fatto e in diritto. A sua volta, l’INPS Gestione Dipendenti Pubblici, pur insistendo in particolare sull’eccezione di inammissibilità del ricorso in esame, ha ritenuto di non opporsi alla richiesta di un termine da parte della difesa di parte ricorrente e di chiedere, a propria volta, un termine per il deposito di note difensive. Analogamente, il Ten. Col. Cordaro, delegato dal Direttore del Centro Unico Stipendiale Esercito di Roma a rappresentare l’Amministrazione della Difesa nel presente giudizio, ha chiesto, a sua volta, un termine per il deposito di note difensive.

Considerato il disposto dell’art. 167, comma 2, del c.g.c., questo Giudice ha ritenuto necessario concedere, su richiesta delle parti, anche alla luce dei nuovi documenti depositati in udienza e delle precisazioni prospettate dalle parti, a garanzia del diritto di difesa, un termine per il deposito di note difensive. Pertanto, sospesa la decisione nel merito, ha rinviato la discussione della causa all’udienza del 19 gennaio 2018, h. 10,30, fissando alla parte ricorrente il termine del 29 novembre 2017 e alle parti resistenti costituite il termine del 29 dicembre 2017 per il deposito di note difensive.

5. Parte ricorrente ha depositato in data 27 novembre 2017 una memoria nella quale ha innanzitutto replicato all’eccezione di inammissibilità sollevata da INPS, evidenziando come l’art. 153 c.g.c. sanzioni con l’inammissibilità i ricorsi con i quali “si propongano domande sulle quali non si sia provveduto in sede amministrativa”, mentre nel caso di specie l’Istituto ha già provveduto in via amministrativa sia a seguito della domanda di pensione ordinaria diretta di inabilità, sia a seguito della domanda di pensione diretta di privilegio esitata nel provvedimento n. PD012015823542 del 13-07.2015 avversato con il prospettato ricorso. Lo stesso dicasi per l’Amministrazione della Difesa che ha provveduto con nota protocollo n. 15595 del 14.04.2014 del Comando Forze di Difesa Interregionale Nord alla determinazione del trattamento provvisorio di pensione. In merito, è stata richiamata giurisprudenza di questa Corte ritenuta conforme (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, sentenza n. 30 del 19.01.2017 depositata il 14.02.2017). Nel merito, sono state richiamate alcune recenti sentenze intervenute in casi analoghi di “arrotondamento” a frazioni di mese (Corte dei conti, Sez. giurisdizionale per la Regione Sardegna, sentenza n. 87 del 23.05.2017 depositata il 20.06.2017; Sez. giurisdizionale per la Regione Trentino Alto Adige, sentenza n. 14 del 14.03.2017 depositata il 05.04.2017; Sez. giurisdizionale per la Regione Liguria, sentenza n. 118 del 15.12.2016 depositata il 19.12.2016). Ha rilevato inoltre parte ricorrente che la pensione privilegiata concessa al ricorrente è stata liquidata con decorrenza dal 21.03.2014 e quindi ben prima del limite temporale del 30.04.2015 fissato (seppur con un ragionamento “non condivisibile”) dall’INPS con messaggio del 14.05.2015 n. 3305.

Quanto alle argomentazioni prospettate dall’Amministrazione della Difesa e in particolare in relazione al richiamo alla Circolare n. 21 del 29.03.1996 dell’ex Inpdap che escluderebbe la possibilità di effettuare arrotondamenti, parte ricorrente ha precisato che la citata Circolare, sebbene successiva alla legge n. 335/1995, è comunque anteriore alla legge n. 449/1997 che ha introdotto l’art. 59, co. 1, lett b), nonché alla successiva circolare INPDAP n. 14/1998 e deve pertanto ritenersi superata da questi ultimi provvedimenti.

6. Con nota del 20 dicembre 2017, il Ministero della Difesa ha ritrasmesso la memoria difensiva già acquisita agli atti e in precedenza illustrata.

7.All’udienza del 19 gennaio 2018, i difensori delle parti hanno ribadito le deduzioni difensive in atti e hanno concluso come da verbale. All’esito della discussione, la causa è trattenuta in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare rispetto all’esame del merito giova ricordare che il giudizio pensionistico, per quanto strutturato quale rimedio giurisdizionale di tipo impugnatorio, non ha ad oggetto la legittimità del provvedimento assunto dall’Amministrazione, bensì l’accertamento del diritto a pensione (impugnazione-merito), spingendosi il potere del giudice a sindacare il “rapporto” giuridico anziché il mero “atto”. Naturale corollario di tale premessa è che i vizi afferenti a presunte violazioni procedimentali o provvedimentali non assumono una rilevanza piena ed autonoma ai fini della decisione della causa a meno che non incidano, direttamente o indirettamente, in ordine all’an o al quantum del diritto a pensione (artt. 13 e 62 del R.D. n. 1214/1934).

Né il Giudice Unico delle pensioni può modificare o disapplicare, sia pure incidenter tantum, gli atti amministrativi – seppure illegittimi – compresi quelli riguardanti la posizione di status del pubblico dipendente emanati dall’Amministrazione di appartenenza (C.d.c. Sez. III n. 446/2005; Sez. I n. 160/2008; Sez. I n. 127/2008; Sez. I n. 46/2008; Sez. I n. 341/2007; id. Sez. III n. 364/2004; id. Sez. Campania n. 724/2008; Sezioni Riunite, 14 settembre 1994, n. 101/Q.M.; 13 ottobre 1999, n. 26/Q.M. e 17 maggio 2000, n. 6/QM; Sez. II Centr. App. n. 190/2015 e n. 166/2014; Sez. III Centr. App, 14 maggio 2008, n. 167; in sede di legittimità, cfr. Cass., SS.UU., 8317/2010; n. 18076/2009 e n. 12722/2005).

2. In via pregiudiziale, va esaminata l’eccezione prospettata dalla difesa dell’INPS, secondo cui la domanda del ricorrente dovrebbe dichiararsi inammissibile, per difetto di istanza amministrativa (art. 153, c.g.c.).

Al riguardo, si ritiene di condividere l’orientamento giurisprudenziale volto a dare della norma in esame una lettura non formalistica. Come evidenziato da condivisibile orientamento giurisprudenziale contabile anche a proposito dell’abrogato art. 71, lett. b, del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, la disposizione è caratterizzata da un evidente scopo deflattivo, essendo finalizzata ad evitare che la tutela giurisdizionale sia azionata prima ancora che l'amministrazione sia stata posta in grado di conoscere i presupposti del diritto alla prestazione previdenziale pretesa (Corte dei conti, Sez. II Appello, n. 849 del 2016). Non vi è, quindi, ragione per ritenere che sia applicabile solo nelle ipotesi in cui la disciplina sostanziale di settore subordini il riconoscimento di un diritto alla domanda dell’interessato (ipotesi che, a titolo esemplificativo, ricorre nelle pensioni privilegiate e nelle pensioni di riversibilità spettanti a soggetti diversi dal coniuge e dai figli minori).

Tanto premesso, ritiene questo Giudice di non poter condividere l’indirizzo giurisprudenziale che subordina l’ammissibilità del ricorso a una specifica pronuncia amministrativa di “diniego” sulla questione controversa. Viene in rilievo, così opinando, una interpretazione dell’art. 153, co. 1, lett. b), c.g.c., che non appare aderente alla lettera e alla “ratio” della norma. Quest’ultima richiede, infatti, che sulla domanda proposta con il ricorso giurisdizionale si sia «provveduto in via amministrativa» e, quindi, che si tratti di questione valutata dall’amministrazione (o dall’istituto previdenziale) nei suoi presupposti in fatto e in diritto, ma non anche che il ricorrente abbia previamente proposto una specifica domanda in sede amministrativa, cui abbia fatto seguito un altrettanto specifico provvedimento amministrativo di diniego.

Ove si aderisse a tale opzione ermeneutica si perverrebbe ad affermare – ben oltre lo scopo deflattivo della norma – che prima di adire la via giudiziaria occorra rivolgere domanda all’amministrazione anche nelle ipotesi in cui sia stato già emesso il provvedimento di liquidazione della pensione. In sostanza, non si tratterebbe più di norma diretta a perseguire l’economia processuale, bensì di disposizione volta ad aggravare la posizione del privato imponendo inutili formalismi.

In definitiva, reputa questo Giudice che l’ambito di applicazione dell’153 c.g.c. debba essere circoscritto alle domande sulle quali non sia già intervenuta una pronuncia in via amministrativa.

La norma non si riferisce invece alle ipotesi – quale quella di specie - in cui, avendo l’amministrazione già «provveduto» alla liquidazione della pensione, sia prospettata in sede giurisdizionale la lesione di un diritto che discenda direttamente dalla adozione del provvedimento impugnato (cfr. in merito all’analoga norma di cui all’art. 71, dell’abrogato codice di procedura r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, cit. Corte dei conti, Sez. II Appello, n. 849 del 2016; Sez. II n. 411 del 2013).

Alla luce di quanto sopra esposto, l’eccezione di inammissibilità del ricorso prospettata dall’INPS va rigettata.

3.Tutto quanto sopra premesso, la questione oggetto del presente giudizio attiene al diritto affermato dal ricorrente di vedersi riliquidare il trattamento pensionistico privilegiato di cui all'iscrizione n. 17384234 con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e non fino al 31 dicembre 1995, restando computabile con il sistema contributivo la sola anzianità maturata successivamente al 1° gennaio 2012, nonché il riconoscimento del diritto alla corresponsione degli arretrati oltre ad interessi e rivalutazione su ogni singolo rateo fino all'integrale soddisfo, in virtù dell’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995, in ragione del possesso di un’anzianità contributiva di 18 anni alla data del 31/12/1995, così calcolata in base all’arrotondamento (a mese) previsto dall’art. 59, comma 1, lettera b) della legge n. 449/1997, che deve operare l’Ente previdenziale.

L’I.N.P.S. ritiene, invece, inapplicabile la disciplina di cui all’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995, alla pensione del ricorrente, per l’impossibilità di operare l’arrotondamento a 18 anni dell’anzianità contributiva raggiunta al 31/12/1995, pari a 17 anni, 11 mesi e 25 giorni.

Quanto alla disciplina di cui all’art. 7 del d.lgs n. 503/1992, parte ricorrente ne eccepisce l’inconferenza, rispetto alla questione dedotta in causa, riferendosi la norma alle modalità di computo della retribuzione pensionabile.

Ciò premesso, la questione oggetto del presente giudizio concerne l’applicazione dell’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995 sul presupposto (affermato dal ricorrente e negato dall’I.N.P.S.) del raggiungimento di 18 anni di anzianità contributiva, da parte del ricorrente, alla data del 31/12/1995. A tale proposito, giova rilevare che la legge n. 335/1995, nel definire nuovi criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici attraverso la commisurazione delle pensioni alla contribuzione, ha mantenuto fermo il sistema retributivo (secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 13 della legge n. 335/1995) per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni. Ai fini del computo della predetta anzianità devono essere presi in esame tutti i periodi e servizi comunque utili a pensione, entro il 31/12/1995, ivi compresi quelli riscattabili o ricongiungibili. Quanto al calcolo dell’anzianità contributiva si rileva, poi, che l’art. 40, comma 2, del D.P.R. n. 1092/1973 prevedeva l’arrotondamento ad anno intero della frazione superiore a sei mesi. Tale norma veniva implicitamente abrogata, a decorrere dal 1/1/1998, dall’art. 59, comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997. Disposizione, quest’ultima, secondo la quale per la determinazione dell’anzianità contributiva, ai fini sia del diritto che della misura della pensione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto. Nella circolare n. 14 del 16 marzo 1998, l’I.N.P.D.A.P. (richiamata da parte ricorrente), con riferimento all’art. 59 comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997, ha chiarito (cfr. punto 6) che “dal tenore letterale della norma in esame si evince che per frazioni di anno debbano intendersi esclusivamente i mesi. Pertanto, per i trattamenti pensionistici [con riguardo, tra gli altri, agli iscritti alla gestione separata per i dipendenti dello Stato] decorrenti dal 2 gennaio 1998, siano essi di vecchiaia, anzianità, o inabilità, si applicano le disposizioni in materia di arrotondamenti così come previsti dall'art. 3 della legge 274/91”. Va precisato che il cennato art. 3 della legge 274/91 ha disposto che “il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.

Un condivisibile orientamento giurisprudenziale (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Trentino Alto Adige, Sede di Trento, sentenza n. 14/2017; Sezione Giurisdizionale Abruzzo, n. 46/2014; Sezione Giurisdizionale Sardegna, n. 93/2014; Sez. Giur. Liguria, 118/2016), pure richiamato di recente, in un’analoga fattispecie, da questa Sezione giurisdizionale (sentenza n. 14 del 7 febbraio 2018), ha ritenuto corretta l’interpretazione della norma di cui all’art. 59 comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997 che mutua il principio dell’arrotondamento a mese intero, previsto dall’art. 3 della legge 274/91, nell’interpretazione fornita dalla richiamata circolare dell’I.N.P.D.A.P. n. 14/1998. In proposito, è stato osservato che “per un verso, il Legislatore non ha mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del settore privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria, e, per altro verso, in difetto di norma direttamente disciplinante la fattispecie, è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Corte conti, Sezione Giurisdizionale Sardegna, n. 93/2014 cit.).

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, ed in applicazione dell’art. 59, comma 1, lett. b) della legge n. 449/1997, appare evidente che l’anzianità contributiva del ricorrente alla data del 31 dicembre 1995 risulta essere di complessivi 18 anni – come, peraltro, indicato nello stesso prospetto di liquidazione della pensione del 6.6.2014 dell’I.N.P.S. – in virtù dell’arrotondamento, a mese intero della frazione superiore a quindici giorni, pacificamente applicabile dall’Ente previdenziale. Infatti, come si è già detto, il servizio maturato dal ricorrente, a tale data, è di 17 anni, 11 mesi, e 25 giorni (cfr. Quadro I e Quadro II del provvedimenti concessori nei docc. 4 e 5 allegati al ricorso) che si ritiene debba essere arrotondato in 18 anni, anche ai fini della determinazione del sistema di calcolo del trattamento pensionistico.

Ne consegue la fondatezza del gravame, in quanto il ricorrente ha soddisfatto il requisito contributivo dei 18 anni al 31/12/1995, dovendo ritenersi che l’anzianità contributiva di 17 anni, 11 mesi e 25 giorni (maturata al 31/12/1995) vada arrotondata in 18 anni, con conseguente diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione privilegiata (posizione previdenziale n. 0200648455P - iscrizione n. 17384234) con il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 (e non fino al 31 dicembre 1995), restando computabile con il sistema contributivo la sola anzianità maturata successivamente al 1° gennaio 2012 (art. 24, comma 2, d.l. n. 201/2011 conv. in l. n. 214/2011), come richiesto nel ricorso, in applicazione dell’art. 1, comma 13, della legge n. 335/1995.

Sui conseguenti arretrati, cui ha diritto il ricorrente in considerazione della differenza fra i ratei dovuti in forza del calcolo secondo il sistema retributivo e le somme effettivamente corrisposte, spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c., da calcolarsi dalla scadenza dei singoli ratei fino al soddisfo, secondo i criteri di cumulo parziale indicati nelle decisioni n. 10/Q.M./2002 e n. 6/Q.M./2008 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti (cfr., ex multis, Corte conti, Prima Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, n. 63/2017).

4.Non vi è luogo a provvedere sulle spese di giudizio, in relazione al principio di gratuità posto, per le cause previdenziali, dall’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533; principio al quale la giurisprudenza di questa Corte attribuisce carattere di generalità (ex multis, Corte dei Conti, Sez. I d’App., sent. n. 76 del 10.2.2016).

Riguardo, invece, alle spese legali, tenuto conto dell’esito del giudizio, occorre fare riferimento al principio della soccombenza, e, conseguentemente, va disposta la condanna in solido dell’I.N.P.S. e del Ministero della Difesa alla rifusione, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica con funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:

1) Previo rigetto della eccezione di inammissibilità della domanda per difetto di istanza amministrativa, accoglie il ricorso del sig. M. P., nei termini di cui in motivazione.

2) Condanna l’I.N.P.S. Gestione Dipendenti Pubblici, alla corresponsione degli arretrati di pensione, spettanti al ricorrente, unitamente alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, da liquidarsi dalla scadenza dei singoli ratei fino al soddisfo, in applicazione del cumulo parziale, quale possibile integrazione degli interessi legali, ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi.

3) Condanna l’I.N.P.S. Gestione Dipendenti Pubblici e il Ministero della Difesa, in solido, alla rifusione in favore di parte ricorrente delle spese di lite, che liquida nel complessivo importo di euro 1.100,00, oltre spese forfettarie (15%), C.P.A. ed I.V.A.

Ai sensi dell’art. 167 c.g.c., fissa il deposito della sentenza nel termine di sessanta giorni.

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Appello accolto in riforma della Sentenza di I° grado con revoca della pensione

Sent. 49/2018


Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana

composta dai magistrati:

dott. GIOVANNI COPPOLA Presidente

dott. VINCENZO LO PRESTI Consigliere

dott. TOMMASO BRANCATO Consigliere

dott. VALTER DEL ROSARIO Consigliere- relatore

dott. GUIDO PETRIGNI Consigliere

ha pronunziato la seguente

SENTENZA 49/A/2018

nei giudizi d’appello in materia pensionistica iscritti ai nn. 5862/AM e 5877/AM del registro di segreteria, promossi, rispettivamente,

dal Ministero della Difesa- Direzione Generale della Previdenza Militare, in persona del competente dirigente pro tempore;

dall’I.N.P.S.- Gestione ex I.N.P.D.A.P., difeso dagli avvocati Gino Madonia, Tiziana Norrito e Luigi Caliulo, domiciliati presso l’Avvocatura regionale dell’I.N.P.S. di Palermo;

avverso G. A., nato a Omissis il Omissis, residente a Nicosia (Omissis), in via Fontana, n.2, difeso dagli avvocati Elena Pettinau e Francesco Grandinetti (con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avv. Grandinetti, in via Ricasoli, n.3, Palermo),

per ottenere la riforma della sentenza n.239/2017, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana in data 3.4.2017;

visti tutti gli atti e documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 19 dicembre 2017 il consigliere relatore dott. Valter Del Rosario, l’avv. Tiziana Norrito per l’I.N.P.S. e l’avv. Salvatore Ferrara (su delega dell’avv. Pettinau) per il sig. G. A.; non comparso alcuno per il Ministero della Difesa.

FATTO

Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale si evince che:

nei confronti del brigadiere dei carabinieri A. G. (in servizio nell’Arma dal 13.10.1976) venne promosso nell’estate dell’anno 2005, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia, un procedimento penale per il reato di “circonvenzione continuata di persone incapaci”;

in pendenza di tale procedimento penale, con decorrenza dal 28.11.2005 l’G. A. venne collocato in congedo assoluto per inabilità fisica permanente (in conformità al giudizio espresso dalla Commissione Medica presso l’ospedale militare di Palermo);

constatato che il brigadiere G. A. era in possesso del requisito minimo di anzianità (almeno quindici anni di servizio utile), previsto dalla normativa vigente per l’accesso al trattamento di quiescenza nel caso di cessazione dal servizio per inabilità fisica (requisito assai più favorevole rispetto a quelli stabiliti, in via generale, per le altre tipologie di pensionamento anticipato rispetto al limite d’età), il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo, con provvedimento n.455 del 23.5.2012, attribuì al medesimo la pensione ordinaria, calcolata sulla base di un’anzianità utile di anni 34, mesi 2 e giorni 2;

il procedimento penale, già pendente a carico dell’A.all’epoca di cessazione dal servizio per infermità, proseguì il suo corso, venendo definito, in primo grado, con la sentenza n.245/2007 del 24.11.2007, con cui il Tribunale di Nicosia, riconosciuta la sua colpevolezza per il suddetto reato, lo condannò alla pena di anni due e mesi sei di reclusione (interamente condonata per effetto di indulto), ed, in grado d’appello, con la sentenza n.272/2012, pronunziata il 12.4.2012 dalla Corte d’Appello di Caltanissetta e divenuta irrevocabile il 17.6.2012, dichiarativa dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione (pur essendo ravvisabili sufficienti elementi probatori della responsabilità penale dell’A.);

a conclusione del procedimento disciplinare instaurato a suo carico per i medesimi fatti illeciti che erano emersi nel corso del procedimento penale, all’G. A. venne inflitta, con effetti dal 28.11.2005 (stessa data in cui era cessato dal servizio per inabilità fisica), la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” e ciò in base al combinato disposto degli artt. 861, comma 1, lett. D, 867, comma 5, e 923, comma 5, del D.L.vo n.66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare), sostanzialmente analogo al combinato disposto degli artt. 60, n.6, e 37 della L. 31.7.1954, n.599, vigente all’epoca della cessazione dal servizio (v. il decreto del Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare n. 282/III-7/2013 del 31.5.2013, in cui è stata sottolineata la gravità dei fatti illeciti compiuti dall’G. A. nel periodo novembre- dicembre 2003 e la loro notevole lesività per il prestigio dell’Arma dei Carabinieri).

Ricevuta comunicazione del suddetto provvedimento ministeriale, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo- Ufficio Trattamenti di Quiescenza rilevò (v. il decreto n.788 del 4.11.2013) che nella fattispecie concernente il brigadiere G. A. era stata applicata la specifica normativa vigente in materia (ossia il combinato disposto degli artt. 861, comma 1, lett. D, 867, comma 5, e 923, comma 5, del D.L.vo n.66/2010, sostanzialmente analogo al combinato disposto degli artt. 60, n.6, e 37 della L. 31.7.1954, n.599), secondo cui:

“Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo (tra cui l’inabilità fisica assoluta), cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.

Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di una Commissione di disciplina che comporti la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta per tale causa e con la medesima decorrenza per la quale era stata disposta”.

Il predetto Centro Nazionale Amministrativo affermò, pertanto, che:

il titolo di cessazione dal servizio dell’G. A. era ufficialmente costituito, a tutti gli effetti giuridici, dal provvedimento del Ministero della Difesa, che aveva sancito a suo carico la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, anziché dal collocamento in congedo per infermità;

in tale peculiare contesto, l’G. A. (nato il Omissis) non era in possesso, con riferimento alla data (28.11.2005) in cui era stato posto in congedo, né del requisito anagrafico d’età né dell’anzianità minima di servizio utile, che erano prescritti, in linea generale, dalla normativa vigente (art. 6 del D.L.vo n.165/1997, come modificato dall’art. 59, commi 6 e ss., della L. n.449/1997) per poter fruire della pensione ordinaria in tutti i casi di collocamento a riposo anticipato rispetto ai limiti d’età (ad eccezione di quello disposto per inabilità fisica).

Conseguentemente, il Centro Nazionale Amministrativo:

dispose l’interruzione dell’erogazione (all’epoca materialmente effettuata dall’I.N.P.S.- Gestione ex I.N.P.D.A.P. di Enna) della pensione, che era stata liquidata in favore dell’G. A. con decorrenza dall’epoca in cui era stato collocato in congedo per inabilità fisica;

annullò il provvedimento n.455 del 23.5.2012 di concessione della pensione ordinaria ed attivò la procedura per il recupero dei ratei che l’G. A. aveva, nel frattempo, percepito.

Nella contestuale nota prot. n.169404HT/4-1 del 4.11.2013 (inviata all’G. A., al Ministero della Difesa ed all’I.N.P.S.) il Centro Nazionale Amministrativo sottolineò, tra l’altro, che l’G. A., ai fini del futuro raggiungimento del requisito contributivo prescritto, aveva la facoltà, ai sensi del D.L.vo n.184/1997, d’avvalersi del regime della “prosecuzione volontaria dei contributi”; in ogni caso, egli avrebbe potuto ottenere dall’I.N.P.S. le delucidazioni necessarie in ordine ai requisiti occorrenti per l’attribuzione della “pensione differita di vecchiaia, dovuta all’atto del raggiungimento del previsto limite d’età”.

* * * * *

Avverso il decreto n.788 del 4.11.2013, con cui il Centro Nazionale Amministrativo dell’Arma dei Carabinieri aveva annullato il provvedimento pensionistico n.455 del 23.5.2012, l’G. A. inoltrò ricorso alla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana, chiedendo che:

fosse riconosciuto il suo diritto a continuare a percepire la pensione ordinaria, che gli era stata, a suo tempo, attribuita per inabilità fisica al servizio, non potendo assumere rilevanza il successivo provvedimento ministeriale con cui era stato sancito il suo collocamento in congedo, a tutti gli effetti, per “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;

fosse, pertanto, dichiarata l’illegittimità sia dell’interruzione dell’erogazione della pensione sia della procedura di recupero dei ratei che erano stati da lui nel frattempo percepiti.

Ad avviso dell’G. A., infatti, nella fattispecie in esame andavano applicati i principii generali di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n.1092/1973, in materia di limiti alla modificabilità ed alla revocabilità dei decreti concessivi di pensione definitiva.

D’altro canto, i requisiti per la spettanza della pensione ordinaria si sarebbero, a suo avviso, cristallizzati nel momento in cui, nel novembre 2005, egli era stato posto in congedo per inabilità fisica.

* * * * *

Con la sentenza n.239/2017 il Giudice di primo grado ha accolto il ricorso proposto dall’G. A., affermando che:

nella fattispecie in esame erano applicabili i principii enunziati negli artt. 203, 204, 205 e 206 del D.P.R. n.1092/1973, in materia di limiti alla revocabilità ed alla modificabilità dei provvedimenti concessivi di pensione definitiva;

pertanto, considerato che l’G. A. era stato, a suo tempo, collocato in congedo assoluto per inabilità fisica, con conseguente liquidazione in suo favore del trattamento ordinario di quiescenza, il successivo provvedimento che aveva sancito a suo carico la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” non avrebbe potuto incidere retroattivamente su diritti previdenziali già acquisiti, in quanto i requisiti per l’accesso alla pensione s’erano cristallizzati al momento del collocamento in congedo per infermità.

Conclusivamente, il Giudice di primo grado ha riconosciuto il diritto dell’G. A. a percepire la pensione ordinaria, che gli era stata liquidata a seguito della cessazione dal servizio per inabilità.

* * * * *

Avverso la sentenza n.239/2017 ha proposto appello il Ministero della Difesa- Direzione Generale della Previdenza Militare, contestando le argomentazioni con le quali il Giudice di primo grado aveva accolto le pretese dell’G. A..

Ad avviso del Ministero della Difesa, infatti, il Giudice di primo grado, limitandosi sbrigativamente a ritenere applicabili i principii dettati, in linea generale, dagli artt. 203 e ss. del D.P.R. n.1092/1973, aveva ignorato le peculiari circostanze di fatto e di diritto sottoposte al suo esame e non aveva, quindi, applicato le specifiche norme disciplinanti la fattispecie concreta riguardante l’G. A., pervenendo così a statuizioni contrastanti con il quadro normativo vigente nonché difformi rispetto all’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidatosi nell’ambito delle Sezioni regionali e d’appello della Corte dei Conti.

In particolare, l’Amministrazione ha sostenuto che i provvedimenti in materia pensionistica emessi nei riguardi dell’G. A. erano stati conformi alla normativa, di volta in volta, concretamente applicabile nello specifico contesto.

In un primo tempo, infatti, rilevato che l’G. A. (nei cui confronti era, peraltro, già pendente un procedimento penale) era stato dichiarato dai competenti Organi sanitari permanentemente inabile al servizio per infermità, con decorrenza dal 28.11.2005, e risultava, altresì, in possesso dell’anzianità minima specificamente richiesta dagli artt. 28 e 29 della L. n.599/1954 per poter fruire del trattamento di quiescenza, in caso di collocamento in congedo assoluto per inabilità fisica, il Comando Generale dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo aveva liquidato in suo favore la pensione ordinaria (calcolata sulla base di un’anzianità utile di anni 34, mesi 2 e giorni 2).

Successivamente, però, essendo venuto a conoscenza che era stato, nel frattempo, emesso nei riguardi dell’G. A. il decreto del Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare n. 282/III-7/2013 del 31.5.2013 (con cui, a conclusione del procedimento disciplinare instaurato per i comportamenti illeciti da lui tenuti, oggettivamente emersi in sede di procedimento penale, al medesimo era stata inflitta, con effetti dal 28.11.2005, stessa data in cui era cessato dal servizio, la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”), il suddetto Centro Nazionale Amministrativo aveva rilevato che l’G. A. (da ritenersi ufficialmente cessato dal servizio, a tutti gli effetti, per “perdita del grado per rimozione”, anzichè per inabilità fisica) non risultava in possesso né del requisito anagrafico (almeno 53 anni d’età) né dell’anzianità minima di servizio, che erano prescritti, in linea generale, dalla normativa vigente (art. 6 del D.L.vo n.165/1997, modificato dall’art. 59 della L. n.449/1997) per poter fruire della pensione ordinaria nei casi di collocamento a riposo anticipato.

In sostanza, risultava del tutto evidente che:

all’G. A. non spettava, sin dall’origine, il trattamento pensionistico ordinario, che gli era stato attribuito (sulla scorta degli elementi di cui l’Amministrazione era, all’epoca, in possesso) con decorrenza dal collocamento in congedo;

nei suoi confronti occorreva, quindi, recuperare i ratei pensionistici nel frattempo corrisposti.

Ciò assodato, il Ministero della Difesa ha ribadito che le disposizioni contenute nell’art. 37 della L. n.599/1954 (vigente all’epoca in cui l’G. A. cessò dal servizio) sono state sostanzialmente riprodotte nell’art. 923 del D.L.vo 15.3.2010, n.66 (Codice dell’Ordinamento Militare).

In pratica, tale normativa, dopo l’elencazione delle cause che possono determinare la risoluzione del rapporto d’impiego dei militari, dispone chiaramente che: “Il militare cessa dal servizio nel momento in cui nei suoi riguardi si verifichi una delle predette cause (tra cui l’inabilità fisica permanente), anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento che sancisce la perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa e con la medesima decorrenza per la quale era stata disposta”.

Il Ministero della Difesa ha, conclusivamente, chiesto l’integrale riforma della sentenza impugnata, con conseguenziale riconoscimento della piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione nei riguardi dell’G. A..

* * * * *

Anche l’I.N.P.S.- Gestione ex I.N.P.D.A.P. (che ha provveduto alla materiale erogazione della pensione ordinaria in favore dell’G. A., dal momento in cui la relativa partita di spesa gli era stata trasferita dal Comando Generale dei Carabinieri) ha proposto appello avverso la sentenza n.239/2017, chiedendone l’integrale riforma, sulla base di motivazioni analoghe a quelle esposte nel gravame inoltrato dal Ministero della Difesa.

* * * * *

L’G. A. s’è costituito in giudizio con il patrocinio degli avvocati Pettinau e Grandinetti, chiedendo il rigetto dei gravami proposti dal Ministero della Difesa e dall’I.N.P.S..

A tal proposito, l’G. A. ha sostenuto che:

il Giudice di primo grado avrebbe correttamente applicato i principii dettati dagli artt. 203 e ss. del D.P.R. n.1092/1973, in materia di limiti alla revocabilità dei decreti concessivi di pensione definitiva;

d’altro canto, i requisiti per la spettanza della pensione si sarebbero cristallizzati nel momento in cui, nel novembre 2005, egli era stato posto in congedo per inabilità fisica;

il successivo provvedimento con cui era stata sancita a suo carico la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” non avrebbe, quindi, potuto legittimare la revoca della pensione ordinaria, già definitivamente liquidata in suo favore con il decreto n.455 del 23.5.2012.

* * * * *

Con ordinanza n.49/2017, pubblicata il 26.9.2017, questa Sezione d’Appello ha accolto le istanze con cui il Ministero della Difesa e l’I.N.P.S. avevano chiesto la sospensiva dell’esecutività della sentenza di primo grado.

All’odierna udienza, le parti presenti hanno confermato le conclusioni già formulate per iscritto.

DIRITTO

Preliminarmente, si dispone, ai sensi dell’art. 184 del D.L.vo n.174/2016 (recante il Codice della Giustizia Contabile), la riunione dei giudizi d’appello n.5862 e n.5877, promossi, rispettivamente, dal Ministero della Difesa e dall’I.N.P.S. avverso la sentenza n.239/2017.

* * * * *

Relativamente alle questioni di merito, il Collegio Giudicante reputa, in primo luogo, necessario sottolineare che risulta inammissibile dinanzi a questa Corte qualsiasi contestazione in ordine alla legittimità e/od all’efficacia, anche sotto il profilo temporale, del decreto n. 282/III-7/2013 del 31.5.2013, con cui il Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare ha disposto nei riguardi del brigadiere dei carabinieri G. A., con effetti dal 28.11.2005 (stessa data del collocamento in congedo per inabilità fisica), la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”.

Trattasi, infatti, di provvedimento concernente lo “status giuridico” del militare, con particolare riferimento al titolo di risoluzione del rapporto di pubblico impiego ed alla correlativa decorrenza, che, come tale, in base alla costante giurisprudenza, non è sindacabile dinanzi alla Corte dei Conti in funzione di giudice competente in materia pensionistica.

D’altro canto, va rammentato che tale provvedimento è stato emanato ai sensi del combinato disposto degli artt. 861, comma 1, lett. D, 867, comma 5, e 923, comma 5, del D.L.vo n.66/2010, sostanzialmente analogo al combinato disposto degli artt. 60, n.6, e 37 della L. 31.7.1954, n.599 (vigente all’epoca in cui l’G. A. cessò dal servizio).

In pratica, è stata applicata la specifica normativa secondo cui:

“Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo (tra cui l’inabilità fisica assoluta e permanente), cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.

Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di una Commissione di disciplina che comporti la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta per tale causa e con la medesima decorrenza per la quale era stata disposta”.

Ne consegue che, in questa sede, deve necessariamente prendersi atto che il titolo giuridico della cessazione dal servizio dell’G. A., avvenuta il 28.11.2005, risulta essere ufficialmente la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, avente effetti dalla medesima data del congedo, e non l’inabilità fisica permanente.

Ciò assodato, il Collegio Giudicante osserva che, in tale peculiare contesto giuridico, la sussistenza o meno del diritto dell’G. A. a fruire del trattamento pensionistico ordinario, con decorrenza dalla cessazione dal servizio, va necessariamente verificata alla luce del quadro normativo, delineato dall’art. 6 del D.L.vo 30.4.1997, n.165, e dall’art. 59, commi 6 e ss., della L. 27.12.1997, n.449, che era in vigore alla data del 28.11.2005 per tutti i casi di cessazione anticipata dal servizio (diversi dal collocamento in congedo per inabilità fisica), tra cui la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”.

Orbene, come esattamente evidenziato dal Ministero della Difesa (nell’atto d’appello) e dal Comando Generale dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo (nel decreto n.788 del 4.11.2013, con cui è stato annullato il decreto pensionistico n.455 del 23.5.2012), tali disposizioni hanno introdotto, a partire dall’1.1.1998 (data in cui è terminata la fase transitoria disciplinata dall’art. 1, commi 25, 26, 27 e 29 della L. n.335/1995), requisiti anagrafici e di anzianità di servizio notevolmente più gravosi e restrittivi rispetto a quelli precedentemente in vigore.

In pratica, in base alle predette norme, per poter conseguire la pensione ordinaria anticipata l’G. A. avrebbe dovuto essere in possesso alternativamente:

di un’anzianità di servizio utile di anni 38, a prescindere dall’età anagrafica;

di un’anzianità di servizio utile di anni 35 unitamente ad un’età di almeno 57 anni;

della massima anzianità contributiva prevista dall’ordinamento di appartenenza… unitamente ad un’età di almeno 53 anni (v. la tabella B, allegata al D.L.vo n.165/1997, come sostituita dall’art. 59, comma 12, della L. n.449/1997).

Orbene, dagli atti acquisiti al fascicolo processuale si desume che l’G. A. (nato il Omissis) alla data del 28.11.2005:

aveva un’età di appena 46 anni e 10 mesi ed un’anzianità utile ai fini di quiescenza di anni 34, mesi 2 e giorni 2 (ivi comprese le speciali maggiorazioni di servizio previste dalla legge per i militari);

non era, quindi, assolutamente in possesso di alcuno dei requisiti sopra specificati.

Conseguentemente, egli non poteva accedere, con decorrenza dalla data di cessazione dal servizio, al trattamento pensionistico ordinario anticipato d’anzianità.

In tali sensi s’è già espressa, relativamente a casi sostanzialmente analoghi a quello oggetto del presente giudizio, la consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti (v., ex plurimis, le sentenze: n.5/2013 della III^ Sez. Centrale d’Appello; n.732/2011 e n.72/2016 della II^ Sez. Centrale d’Appello; n.55/2015, n.235/2016 e n.128/2017 della I^ Sez. Centr. d’Appello; n.331/2013, n.128/2017 e n.155/2017 di questa Sezione d’Appello per la Sicilia).

Appare, dunque, evidente che non sia meritevole d’alcuna censura l’operato del Comando Generale dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo, che, essendo venuto a conoscenza dell’emissione del provvedimento del Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare n. 282/III-7/2013 del 31.5.2013, che aveva definitivamente sancito che il titolo giuridico di cessazione dal servizio dell’G. A. era costituito dalla “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, anziché dal collocamento in congedo per inabilità fisica, ha emesso il decreto n.788 del 4.11.2013, con cui ha annullato il precedente decreto pensionistico n.455 del 23.5.2012.

Sulla base di tali elementi, il Collegio Giudicante rileva, pertanto, la palese erroneità delle affermazioni con cui il Giudice di primo grado ha sostenuto che nella fattispecie in esame fossero applicabili i principii generali dettati dagli artt. 203 e ss. del D.P.R. n.1092/1973, in materia di limiti alla revocabilità dei decreti concessivi di pensione definitiva e di ripetibilità dell’indebito, in quanto l’G. A. avrebbe percepito i relativi ratei in buona fede, reputando che i requisiti per l’accesso alla pensione si fossero cristallizzati al momento del collocamento in congedo per inabilità fisica.

Infatti, non v’è dubbio che l’G. A. fosse consapevole che, essendo pendente nei suoi confronti un procedimento penale, al quale sarebbe potuto seguire (com’è effettivamente avvenuto) un procedimento disciplinare, comportante la declaratoria di cessazione dal servizio per “perdita del grado per rimozione”, sarebbero potuti venir meno, in qualsiasi momento, “ab origine” i presupposti ed i requisiti, sulla base dei quali l’Amministrazione, con riferimento all’epoca in cui egli era cessato dal servizio, gli aveva attribuito “in via provvisoria”, ossia sotto “condizione risolutiva ex lege”, la pensione ordinaria.

Conclusivamente, il Collegio Giudicante reputa che la sentenza n.239/2017 debba essere annullata e che debba, quindi, dichiararsi l’insussistenza, con riferimento alla data del 28.11.2005, del diritto dell’G. A. alla fruizione della pensione ordinaria, liquidata dal Comando Generale dei Carabinieri con il decreto n.455 del 23.5.2012.

Deve intendersi “assorbita” ogni ulteriore questione prospettata dalle parti, in quanto ritenuta da questo Giudice non rilevante per la decisione della causa.

Considerata la notevole complessità della controversia, sussistono idonei motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese relative al presente grado di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, definitivamente pronunziando, in accoglimento degli appelli proposti dal Ministero della Difesa- Direzione Generale della Previdenza Militare e dall’I.N.P.S.- Gestione ex I.N.P.D.A.P. avverso G. A., annulla la sentenza n.239/2017, emessa dalla Sezione Giurisdizionale di primo grado in data 3.4.2017, e, quindi, dichiara l’insussistenza, con riferimento alla data del 28.11.2005, del diritto dell’G. A. a fruire della pensione ordinaria, che gli era stata liquidata dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo con il decreto n.455 del 23.5.2012.

Spese compensate.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 19 dicembre 2017.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to (Valter Del Rosario) f.to (Giovanni Coppola)



Depositato in Segreteria

Palermo, 09/03/2018

Il Direttore della Segreteria

F.to (Dott. Fabio Cultrera)
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Ricorso perso.

La sentenza qui sotto pubblicata, richiama anche quella della Sardegna n. 93/2014, da me qui postata in data 14/11/2014, nonché quella n. 87/2017.
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1) - ricalcolo del proprio trattamento pensionistico con il cosiddetto sistema “retributivo” fino al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995.

2) - arruolato il 7.1.1981 e posto in quiescenza il 18.11.2017.

3) - Tale trattamento era motivato dall'Istituto per non avere il D.., alla data del 31.12.1995, maturato un'anzianità contributiva pari a 18 anni e quindi per non trovare applicazione al suo caso la norma di cui all’art. 1, comma 13 della L. 8.8.1995 n. 335.

4) - Sostiene, invece, parte ricorrente di aver maturato a detta data un servizio contributivo utile alla quiescenza di anni 17 mesi 11 e giorni 23 e di avere, pertanto, diritto a che tale periodo sia considerato pari a 18 anni, in forza dell’art. 3 della legge 274/1991, del quale chiede l'applicazione.

5) - Sulla base di tale previsione, dunque, il sig. D.. chiede che la propria anzianità contributiva sia quantificata alla suddetta data in 18 anni, dovendo arrotondarsi la quota residua di 23 giorni ad un mese intero, portando così l’anzianità contributiva al periodo richiesto dall’art. 1 comma 13 L. 1995/335 per l’applicazione del sistema retributivo anche oltre la data del 31.12.1995.

6) - Tale lettura troverebbe conferma, sempre secondo il ricorrente, nella circolare INPDAP n. 14 16/03/1998 ed in alcune pronunce delle Sezioni giurisdizionali di questa Corte (in particolare, Sezione Giurisdizionale Sardegna n. 93/2014 e n. 87/2017) che hanno ritenuto corretta l’applicazione analogica dell’art. 3 della legge 274/91 con conseguente arrotondamento a mese intero della frazione di mese superiore a quindici giorni.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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LOMBARDIA SENTENZA 54 20/03/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA SENTENZA 54 2018 PENSIONI 20/03/2018
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SENT. N. 54/2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

Primo Referendario Dott. ssa Giuseppina Veccia
in esito alla pubblica udienza del 6 febbraio 2018 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28982 del registro di Segreteria promosso da GIUSEPPE D.., nato a ….. (TP) il ……… 1963, C.F. …………., residente a Milano in via ……., assistito e rappresentato dall’Avv. Vincenzo A. Spezziga, presso lo studio del quale in Milano, Piazzetta Guastalla n. 1, FAX 031.300664, indirizzo PEC vincenzo.spezziga@como.pecavvocati.it, ha eletto domicilio;

contro
INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - sede di Roma e sede di Milano, in persona del legale rappresentante p.t.;

per
il riconoscimento del diritto del ricalcolo del proprio trattamento pensionistico con il cosiddetto sistema “retributivo” fino al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995;
,
Visti gli atti di causa;
Udite, alla pubblica udienza del 6 febbraio 2018, le parti comparse, come da verbale;

Premesso in
FATTO

Con il presente giudizio D.. Giuseppe, ex dipendente dell’Ente Centro Unico Stipendiale Esercito, arruolato il 7.1.1981 e posto in quiescenza il 18.11.2017 - ha presentato ricorso avverso la determinazione INPS - sede di Milano, prot. n.4900.24/10/2017.0421493 del 24.10.2017 con cui l'Istituto ha liquidato la pensione, intestata al medesimo ricorrente, applicandovi il sistema misto, vale a dire retributivo per la quota di pensione corrispondente alla parte di servizio prestata fino al 31.12.1995 e contributivo per la quota di pensione corrispondente alla parte di servizio prestato successivamente alla predetta data.

Tale trattamento era motivato dall'Istituto per non avere il D.., alla data del 31.12.1995, maturato un'anzianità contributiva pari a 18 anni e quindi per non trovare applicazione al suo caso la norma di cui all’art. 1, comma 13 della L. 8.8.1995 n. 335.

Sostiene, invece, parte ricorrente di aver maturato a detta data un servizio contributivo utile alla quiescenza di anni 17 mesi 11 e giorni 23 e di avere, pertanto, diritto a che tale periodo sia considerato pari a 18 anni, in forza dell’art. 3 della legge 274/1991, del quale chiede l'applicazione.

Sulla base di tale previsione, dunque, il sig. D.. chiede che la propria anzianità contributiva sia quantificata alla suddetta data in 18 anni, dovendo arrotondarsi la quota residua di 23 giorni ad un mese intero, portando così l’anzianità contributiva al periodo richiesto dall’art. 1 comma 13 L. 1995/335 per l’applicazione del sistema retributivo anche oltre la data del 31.12.1995.

Detta conclusione non sarebbe inficiata, per il ricorrente, dalla circostanza che l’art. 59, comma primo, lettera b) della legge 27 dicembre 1997, n.449 ha escluso, a partire dal 2 gennaio 1998, arrotondamenti per eccesso o per difetto della frazione di anno dell'anzianità contributiva e ciò sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, previsione che, nella prospettazione attorea, si riferirebbe esclusivamente al disposto dell’art. 40 comma secondo del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 senza alcuna incidenza, dunque, sulla possibilità di arrotondamento al mese intero della frazione di servizio superiore ai 15 giorni, previsto, ai fini pensionistici, dall’art. 3 della legge 274/1991.

Tale lettura troverebbe conferma, sempre secondo il ricorrente, nella circolare INPDAP n. 14 16/03/1998 ed in alcune pronunce delle Sezioni giurisdizionali di questa Corte (in particolare, Sezione Giurisdizionale Sardegna n. 93/2014 e n. 87/2017) che hanno ritenuto corretta l’applicazione analogica dell’art. 3 della legge 274/91 con conseguente arrotondamento a mese intero della frazione di mese superiore a quindici giorni.

Pertanto, le conclusioni del ricorso sono per il riconoscimento e la dichiarazione, nei confronti dell’INPS, del diritto del ricorrente al calcolo e alla percezione della pensione con il cosiddetto sistema “retributivo” fino alla data del 31 dicembre 2011 e non solo fino al 31 dicembre 1995, con conseguente annullamento del provvedimento adottato da INPS - sede di Milano, prot. n.4900.24/10/2017.0421493 del 24.10.2017, nella parte in cui ha liquidato la pensione del Sig. D.. Giuseppe con il sistema contributivo e non con il sistema retributivo, per la quota corrispondente al servizio prestato dal 31.12.1995 al 31.12.2011, con condanna dello stesso Istituto ad effettuare il ricalcolo della pensione secondo il criterio retributivo fino al 31.12.2011.

Con memoria depositata il 26 gennaio 2018 si è costituito l'INPS opponendo di aver dato mera applicazione alla lettera dell’art. 1, commi 12 e 13, della legge 1995 n. 335, espliciti nell'escludere dal regime retributivo puro coloro che alla data del 31/12/1995 non avessero ancora maturato 18 anni di anzianità di servizio.

Ogni altra lettura sarebbe, per l'Istituto previdenziale, impedita dall'art. 59, comma 1, lett. b) , della legge 1997 n. 449 che ha espressamente escluso l'arrotondamento per le frazioni di anno e dunque - ritiene l'Amministrazione - anche dei giorni e delle settimane che sono, come i mesi, anch'essi frazioni di anno.

Inoltre, la legge 1991 n. 274, art. 3, che prevede l’arrotondamento, essendo anteriore sia alla riforma del 1995 sia alla legge del 1997, sarebbe da ritenersi tacitamente abrogata.

In ogni caso l'interpretazione propugnata dal ricorrente avrebbe il vizio - rileva ancora l'INPS - di dovere essere esclusa in eventuale fattispecie opposta a quella in esame, in cui un ricorrente, avendo maggiore interesse a che il proprio trattamento pensionistico sia calcolato con il sistema contributivo, invochi l'applicazione delle legge secondo il testo letterale, con esclusione, dunque, di ogni arrotondamento. Per tali argomentazioni, quindi, l'INPS ha chiesto il rigetto del ricorso promosso dal sig. D.., in quanto infondato in fatto ed in diritto, con vittoria di spese ed onorari di causa.

All'udienza del 6 febbraio 2018, l’avv. Vincenzo Angelo Spezziga per la parte attrice e l'avv. Giulio Peco per l'INPS, si sono riportati alle rispettive conclusioni in atti e la causa è stata posta in decisione – provvedendosi all’esito della camera di consiglio a dare lettura in udienza del dispositivo e ad esporre le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione depositata nell’ordinario termine di legge.

Ritenuto in
DIRITTO

La questione oggetto del presente giudizio è il riconoscimento del diritto del ricorrente al ricalcolo del proprio trattamento pensionistico con il cosiddetto sistema “retributivo” fino al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995, a seguito dell'applicazione, in via analogica, della disposizione di cui all'art.3, comma 1, della L. 8 agosto 1991, n.274, c.d "arrotondamento" che così dispone: "Per le cessazioni dal servizio a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell'articolo 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965 , il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore".

Ora, di tale norma, che riguarda le pensioni degli iscritti alle (non più esistenti) casse pensioni degli Istituti di previdenza, il ricorrente chiede l'applicazione anche al proprio trattamento pensionistico. Questo giudice non ignora che fattispecie analoghe sono state già poste al vaglio di questa Corte, pronunciatasi con sentenze favorevoli all'accoglimento della tesi attorea ( in particolare, Sezione Giurisdizionale Sardegna n. 93/2014 e n. 87/2017 e, per ultimo questa sez. Lombardia con sentenza n.16/2018 ).

Tuttavia la prospettazione ivi espressa non appare condivisibile per argomentazioni che trovano fondamento nei principi generali dell'ordinamento e qui di seguito esposte.

Infatti, l’orientamento favorevole ad una persistente applicazione del c.d. arrotondamento di cui allart.3, della L.n.274/91 - pure affermato dall’INPDAP nella circolare del 1998 invocata dal ricorrente e poi ritenuto dallo stesso Istituto previdenziale superato dalle riforme del sistema pensionistico intervenute nel 2007 e nel 2011 - è stato condiviso nei precedenti giurisprudenziali citati, sulla base della considerazione che, non avendo il legislatore mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del settore privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria, ed in difetto di norma direttamente disciplinante la fattispecie, sarebbe giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria.

Tale orientamento non convince in ragione dei principi generali in materia di interpretazione delle leggi.

Prendendo, infatti, le mosse dall'art.12 preleggi, il ricorso all'analogia è consentito quando, esclusa l'interpretazione letterale, volta ad attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate, e la c.d. interpretazione logica, che mira a definire il contenuto della norma in base allo scopo che il legislatore ha inteso realizzare nell'emenarla, permangano fattispecie non previste né risolte da norme giuridiche e per le quali il giudice deve far riferimento alle regole della fattispecie simile (analogia legis).

I presupposti, dunque per l'applicazione analogica, sub specie di analogia legis risiedono, anzitutto, nel difetto di norme che regolino il caso in questione ed, in secondo luogo, nella ravvisabile somiglianza tra la fattispecie disciplinata dalla legge e quella non prevista, che consenta di applicare anche all'ipotasi non disciplinata, l'eadem ratio.

Ove, poi, il caso rimanga ancora privo di un dettato normativo, il giudice farà riferimento ai principi generali dell'ordinamento giuridico (analogia iuris).

In entrambe le ipotesi, dunque, l'applicazione analogica presuppone una lacuna normativa.

Nel caso in esame alcun vuoto normativo è ravvisabile.

Dispone, infatti, l'art. 1, commi 12 e 13 della L.335/95 che per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 del medesimo articolo che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma della quota a) calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data e dalla quota b) di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive, calcolato secondo il sistema contributivo.

Solo per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, il successivo comma 13 prevede che la pensione sia interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo.

A fronte del chiaro e compiuto disposto normativo che prevede, per l'applicazione del sistema retributivo puro, un'anzianità contributiva di "almeno 18 anni", intendendo con tale espressione un periodo contributivo certo e determinato, alcuno spazio interpretativo si apre per consentire l'applicazione di una norma che, in altro ambito (ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell'articolo 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965) permette di calcolare il complessivo servizio utile arrotondando a mese intero la frazione del mese superiore a quindici giorni.

In assenza di lacuna normativa, non vi è luogo per l'applicazione, in via analogica, della disposizione più volte richiamata.

Né tantomeno, potrebbe giungersi al risultato auspicato dal ricorrente mediante l'applicazione analogica dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, essendo evidente che non esiste alcun principio generale che imponga di superare il tenore letterale della norma ove prevede "almeno 18 anni" sostituendovi il diverso contenuto "almeno 17 anni 11 mesi e 15 giorni".

Né, inoltre, una tale lettura risponderebbe a criteri di interpretazione c.d. funzionale che, talvolta, ha indotto la giurisprudenza a forzare il tenore letterale delle norme in osservanza di principi generali dell'ordinamento nazionale o di derivazione comunitaria.

Una tale ipotesi è agevolmente rinvenibile, sempre in ambito pensionistico, nell'opera nomofilattica delle Sezioni Riunite che hanno introdotto temperamenti alla regola generale della ripetibilità dell'indebito pensionistico in ragione della tutela dell'affidamento del pensionato (cfr. SS.RR. 2/2012/QM).

Nel caso di specie, invece, alcun interesse superiore potrebbe giustificare una forzatura del chiaro ed inequivoco dettato normativo di cui ai citati commi 12 e 13 dell'art.1 , L,335/95 , atteso che la lettura auspicata dal ricorrente non risponde neanche ad un generale principio di favor del pensionato, potendo verificarsi, come correttamente evidenziato dall'Istituto resistente, un caso opposto in cui un altro pensionato, con un medesimo periodo contributivo del ricorrente, abbia maggiore interesse all'applicazione al proprio trattamento pensionistico del sistema contributivo e, dunque, certo non vorrebbe che - facendo dire al legislatore ciò che non ha detto - si applicasse al suo caso il c.d. arrotondamento.

Da escludere, infine, è anche un'applicazione estensiva allart. 3, della L. n. 274/91 che consentisse di estenderne la portata a disciplinare anche fattispecie per le quali sia ravvisabile una eadem ratio.

Tale operazione è preclusa, ad avviso di questo Giudice, dall'art. 14 delle preleggi che vieta di applicare oltre i casi ed i tempi in esse considerati le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali.

Ed il rapporto che esite tra una norma che prevede un termine certo ed un'altra che, in uno specifico ambito, ne consente una riduzione per arrotondamento, è ben riconducibile alla relazione regola-eccezione di cui al richiamato art. 14 delle preleggi. Detta conclusione, peraltro, risulta suffragata dalla circostanza che l’art. 59, comma primo, lettera b) della legge 27 dicembre 1997, n.449 ha escluso, a partire dal 2 gennaio 1998, arrotondamenti per eccesso o per difetto della frazione di anno dell'anzianità contributiva e ciò sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, a conferma di una regola generale che, nel computo dell'anzianità contributiva, non ammette se non il dato letterale.

In conclusione, per le argomentazioni sopra esposte, non avendo il ricorrente D.. maturato, alla data del 31.12.1995, un'anzianità contributiva pari ad anni 18, bensì pari ad anni 17, mesi 11 e giorni 23, non può trovare applicazione al suo caso la norma di cui all’art. 1, comma 13 della L. 8.8.1995 n. 335.

Il ricorso, pertanto, non trova accoglimento e deve essere respinto.

La particolarità della questione e l'esistenza di un non univoco orientamento giurisprudenziale costituiscono giusto motivo per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,

RESPINGE

il ricorso promosso da GIUSEPPE D.. ed indicato al n.28982 del Registro di segreteria. Spese compensate.
Così deciso in Milano, il 6 febbraio 2018.
IL GIUDICE
Giuseppina Veccia


DEPOSITO IN SEGRETERIA IL 20/03/2018
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

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Ricorso Accolto
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1) - ha chiesto il riconoscimento del diritto alla rideterminazione della propria posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., tenendo conto anche del c.d. servizio figurativo ( aumento di un quinto riconosciuto in sede di liquidazione dell’indennità una tantum ) previsto dall’art. 3 della legge n. 284/1977.

2) - Risulta dagli atti ..... che il Reparto Tecnico Logistico Amministrativo della Guardia di Finanza, con decreto n. …. dell’11 luglio 2002, ha disposto che l’I.N.P.D.A.P. versasse all’I.N.P.S. la somma di € 46.173,31 per la costituzione della posizione assicurativa dell’interessato e, quindi, tenendo conto del solo servizio effettivamente prestato, ma non anche di quello c.d. figurativo.

3) - Di qui, la domanda di riconoscimento dell’aumento di servizio utile a pensione e l’obbligo corrispondente della P.A. alla ricostituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., previa valorizzazione degli aumenti di periodi di servizio, per un totale di anni 17, mesi 4 e giorni 9.

4) - Espone, …., il dott. C.. che ha prestato servizio nella Guardia di Finanza
dal 18 maggio 1983 sino al 7 maggio 1984 e
dal 29 novembre 1984 sino al 30 luglio 1998, data di collocamento in congedo a domanda con il grado di “ Capitano “.

5) - Il Comando generale della Guardia di Finanza si è costituito in giudizio …..., eccependo sostanzialmente che le maggiorazioni di servizio figurative rilevano solo ai fini della misura della pensione o dell’indennità una tantum,
- ) - ma non ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’A.G.O., in quanto, diversamente opinando, vi sarebbe una doppia valutazione della medesima situazione.

LA CORTE DEI CONTI scrive:

6) - Il ricorrente si duole che la suddetta posizione assicurativa è stata costituita tenendo conto solo del servizio effettivamente prestato e non anche del c.d. servizio figurativo, costituito dall’aumento del quinto previsto dall’art. 3 della legge n. 284/1977.

7) - Occorre innanzi tutto puntualizzare che, seppure l’art. 124 del d.p.r. n. 1092/1973 è stato abrogato per effetto del comma 12-undecies dell’art. 12, D.L. 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122/2010, trova applicazione nel presente giudizio la previgente disciplina, in forza del principio del tempus regit actum, in considerazione della circostanza che il ricorrente è cessato dal servizio presso la Guardia di Finanza nel 1998, allorquando avrebbe dovuto essere costituita la propria posizione assicurativa, e, dunque, in epoca anteriore all’entrata in vigore della suddetta norma abrogativa.

8) - Dal tenore letterale delle norme di cui agli artt. 124 del d.p.r. n.1092/1973 e 3, ultimo comma, della L. n. 284/1977, si evince che l’unica condizione posta dal legislatore perchè l’ex militare possa beneficiare dell’aumento del quinto del periodo utile è l’avere svolto il servizio in condizioni di impiego operativo ( in tal senso, C. conti, Sez. giur. Lombardia, n. 464 del 2007 e la giurisprudenza richiamata: Id., n. 62/2004; id., n. 153/2005; Id., n. 31472005; Sez. giur. Veneto, n. 548/2006 ).

9) - Quanto esposto ha trovato, altresì, autorevole conferma nella giurisprudenza di questa Corte – sia di primo ( ex multis, Sez. giur. Lazio, n. 1729/2009 ) che di secondo grado ( cfr. Sez. III app. n. 465/2009 e n. 193/2010) – alla cui stregua è stato chiarito come “ servizio prestato “ debba intendersi “ servizio utile “ e non già “ servizio effettivo “.

10) - Deve osservarsi, infatti, che il beneficio dell’aumento di un quinto è attribuito per il solo fatto di avere prestato servizio
- ) e, in questo senso,
- ) a nulla rileva la casistica indicata nella sentenza delle Sezioni riunite
- ) allorchè si fa menzione dei diversi contenuti da attribuirsi a “ servizio utile” e “servizio effettivo”
- ) poiché lo stesso art. 40 del d.p.r. n.1092/1973 assume che il “servizio effettivo” scaturisce dalla “somma dei servizi e periodi computabili in quiescenza,
- ) considerati senza tenere conto degli aumenti ci cui al precedente Capo III”.
- ) A parte il fatto che gli aumenti di servizio di cui al Capo III sono tassativi ( e non può esservi menzione di quello in oggetto perché successivo )
- ) è la stessa norma che, successiva,
- ) prevede che il servizio prestato in quelle condizioni è “computato con l’aumento di un quinto”,
utilizzando lo stesso verbo “computare” usato nell’art. 40 per indicare i periodi di servizio effettivo.

11) - La interpretazione qui seguita è confermata dall’art. 5 del D.Lgs. n. 165 del 1997 ed è stata avvalorata dalla Sezione giurisdizionale Sardegna ( n. 814/2012 ) nonché da questa stessa Sezione giurisdizionale ( n. 627/2010 )

N.B.: lettere tutto il contesto qui sotto.
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Sezione PUGLIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI
Anno 2018 Numero 406 Pubblicazione 17/05/2018
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Sent 406/2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PUGLIA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
( ART. 5 L. 205/2000 )
*********
IL GIUDICE

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 32869 del registro di segreteria, proposto dal Sig.re C.. Giuseppe ( n. a ……. il ……. 1963 ) – rapp.to e difeso dall’avv. Antonio Savino, giusta mandato a margine del ricorso;
Visto il ricorso in epigrafe, con i relativi allegati;

contro
- Comando generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante p.t.

- I.N.P.S.- Gestione Dipendenti Pubblici;

Udito alla pubblica udienza del 6 aprile 2018 l’avv. Antonio Savino, per il ricorrente, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

Udito il Mar. Lgt. Donato Pascazio, in rappresentanza del Comando Generale della Guardia di Finanza, il quale si è riportato alla memoria depositata.

Visto il ricorso, in epigrafe indicato, depositato in data 7 ottobre 2016;

Esaminati gli atti ed i documenti tutti della causa;

Considerato in
FATTO E DIRITTO

Con ricorso in data 28 settembre 2016, il dott. C.. Giuseppe, come sopra generalizzato, ha chiesto il riconoscimento del diritto alla rideterminazione della propria posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., tenendo conto anche del c.d. servizio figurativo ( aumento di un quinto riconosciuto in sede di liquidazione dell’indennità una tantum ) previsto dall’art. 3 della legge n. 284/1977.

Risulta dagli atti depositati che il Reparto Tecnico Logistico Amministrativo della Guardia di Finanza, con decreto n. 3323 dell’11 luglio 2002, ha disposto che l’I.N.P.D.A.P. versasse all’I.N.P.S. la somma di € 46.173,31 per la costituzione della posizione assicurativa dell’interessato e, quindi, tenendo conto del solo servizio effettivamente prestato, ma non anche di quello c.d. figurativo.

Di qui, la domanda di riconoscimento dell’aumento di servizio utile a pensione e l’obbligo corrispondente della P.A. alla ricostituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., previa valorizzazione degli aumenti di periodi di servizio, per un totale di anni 17, mesi 4 e giorni 9.

Espone, infatti, il dott. C.. che ha prestato servizio nella Guardia di Finanza dal 18 maggio 1983 sino al 7 maggio 1984 e dal 29 novembre 1984 sino al 30 luglio 1998, data di collocamento in congedo a domanda con il grado di “ Capitano “.

Il Comando generale della Guardia di Finanza si è costituito in giudizio con una memoria difensiva, in data 7 novembre 2016, eccependo sostanzialmente che le maggiorazioni di servizio figurative rilevano solo ai fini della misura della pensione o dell’indennità una tantum, ma non ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’A.G.O., in quanto, diversamente opinando, vi sarebbe una doppia valutazione della medesima situazione. In subordine, la prescrizione quinquennale.

Alla odierna udienza le parti si sono riportate a quanto già dedotto.

Il ricorso è fondato.

Il ricorrente si duole che la suddetta posizione assicurativa è stata costituita tenendo conto solo del servizio effettivamente prestato e non anche del c.d. servizio figurativo, costituito dall’aumento del quinto previsto dall’art. 3 della legge n. 284/1977.

Occorre innanzi tutto puntualizzare che, seppure l’art. 124 del d.p.r. n. 1092/1973 è stato abrogato per effetto del comma 12-undecies dell’art. 12, D.L. 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122/2010, trova applicazione nel presente giudizio la previgente disciplina, in forza del principio del tempus regit actum, in considerazione della circostanza che il ricorrente è cessato dal servizio presso la Guardia di Finanza nel 1998, allorquando avrebbe dovuto essere costituita la propria posizione assicurativa, e, dunque, in epoca anteriore all’entrata in vigore della suddetta norma abrogativa.

Dal tenore letterale delle norme di cui agli artt. 124 del d.p.r. n.1092/1973 e 3, ultimo comma, della L. n. 284/1977, si evince che l’unica condizione posta dal legislatore perchè l’ex militare possa beneficiare dell’aumento del quinto del periodo utile è l’avere svolto il servizio in condizioni di impiego operativo ( in tal senso, C. conti, Sez. giur. Lombardia, n. 464 del 2007 e la giurisprudenza richiamata: Id., n. 62/2004; id., n. 153/2005; Id., n. 31472005; Sez. giur. Veneto, n. 548/2006 ).

Quanto esposto ha trovato, altresì, autorevole conferma nella giurisprudenza di questa Corte – sia di primo ( ex multis, Sez. giur. Lazio, n. 1729/2009 ) che di secondo grado ( cfr. Sez. III app. n. 465/2009 e n. 193/2010) – alla cui stregua è stato chiarito come “ servizio prestato “ debba intendersi “ servizio utile “ e non già “ servizio effettivo “.

Né a diverso convincimento conduce la lettura della sentenza delle Sezioni riunite n. 8/QM/2011, la quale appare ancorata ad una interpretazione letterale delle norme richiamate.

Deve osservarsi, infatti, che il beneficio dell’aumento di un quinto è attribuito per il solo fatto di avere prestato servizio e, in questo senso, a nulla rileva la casistica indicata nella sentenza delle Sezioni riunite allorchè si fa menzione dei diversi contenuti da attribuirsi a “ servizio utile” e “servizio effettivo” poiché lo stesso art. 40 del d.p.r. n.109271973 assume che il “servizio effettivo” scaturisce dalla “somma dei servizi e periodi computabili in quiescenza, considerati senza tenere conto degli aumenti ci cui al precedente Capo III”. A parte il fatto che gli aumenti di servizio di cui al Capo III sono tassativi ( e non può esservi menzione di quello in oggetto perché successivo ) è la stessa norma che, successiva, prevede che il servizio prestato in quelle condizioni è “computato con l’aumento di un quinto”, utilizzando lo stesso verbo “computare” usato nell’art. 40 per indicare i periodi di servizio effettivo.

La interpretazione qui seguita è confermata dall’art. 5 del D.Lgs. n. 165 del 1997 ed è stata avvalorata dalla Sezione giurisdizionale Sardegna ( n. 814/2012 ) nonché da questa stessa Sezione giurisdizionale ( n. 627/2010 )

Poiché non vi è ragione per discostarsi da siffatto orientamento giurisprudenziale, che poggia le sue solide basi sul tenore letterale dell’art. 3 della legge n. 28471977, il ricorso merita di essere accolto, con la conseguente rideterminazione della pozione assicurativa presso l’I.N.P.S. anche relativamente al periodo di c.d. servizio figurativo, per la durata complessiva di anni 17, mesi 9 e giorni 4.

Deve riconoscersi, dunque, il diritto del dott. C.. Giuseppe alla rideterminazione della posizione assicurativa sulla base dell’aumento del quinto previsto dalla legge.

Sulle somme scaturenti dal ricalcolo, devono corrispondersi gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge, nei limiti della prescrizione quinquennale.

La complessità della causa giustifica la compensazione delle spese di giudizio, che rimangono a carico delle parti.

P.Q.M.

la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Puglia, definitivamente pronunciando

ACCOGLIE

il ricorso n° 32869, nei sensi in motivazione.

Spese di giudizio compensate. .
Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del sei aprile duemiladiciotto.
F.to ( V. Raeli )


Depositata in Segreteria il 17/05/2018


Il Funzionario di Cancelleria
F.to (dott. Pasquale ARBORE)
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