Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Parentale

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Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Parentale

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Questa è una sentenza NEGATIVA del Consiglio di Stato emessa in data odierna e la metto qui nel caso possa servire a qualche collega.


N. 09562/2010 REG.SEN.
N. 10209/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10209 del 2005, proposto da:
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
M. L., G. I., rappresentati e difesi dagli avv.ti A. F. e G. A., con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via G. Ferrari n. 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 02609/2005, resa tra le parti, concernente CORRESPONSIONE SOMME RELATIVA A PERIODI DI CONGEDO PARENTALE EX ART. 32 D. LGS. n. 151/2001

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2010 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti l’avvocato dello Stato B… e l’avvocato S. per delega di A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Il T.A.R. del Piemonte, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso proposto da M. L., agente scelto P.S., e G. I., assistente P.S., teso all’accertamento del diritto alla retribuzione per i periodi di congedo parentale dagli stessi fruiti dall’8 al 9 aprile 2005 e dal 13 al 17 aprile 2005 (M….) e rispettivamente dal 22 al 29 settembre 2003 e dal 1 al 4 marzo 2005 (G….), e all’annullamento dei decreti del Questore di ……., notificati ai ricorrenti il 21 maggio 2005 (M….) e il 15 aprile 2005 (G…..), coi quali erano state bensì accolte le istanze al godimento del congedo parentale nei periodi precisati, ma era stato escluso il diritto degli istanti a percepire la correlativa retribuzione. Il T.A.R. basava la sua decisione di accoglimento sull’art. 21 d.p.r. 18 giugno 2001, n. 164, condividendone l’interpretazione prospettata dai ricorrenti. Dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello il Ministero dell’Interno, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 21, comma 1, d.p.r. 18 giugno 2002, n. 164 in relazione agli artt. 32 e 34 d. lgs. n. 26 marzo 2001, n. 151, in quanto la disciplina derogatoria a quella generale, contenuta nel citato art. 21, riguarderebbe esclusivamente la misura del trattamento economico, e non anche la durata massima del congedo parentale retribuito, nella specie già interamente fruito. Chiedeva dunque, in riforma della gravata sentenza, la reiezione dell’avversario ricorso di primo grado.
3. Costituendosi, gli appellati contestavano la fondatezza del gravame chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
4. All’udienza pubblica del 26 ottobre 2010 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è fondato e merita accoglimento.
1.1. Procedendo alla ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie sub iudice, si osserva quanto segue:
- l’art. 32 d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della l. 8 marzo 2000, n. 53), testualmente recita: “1. Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2; c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi. 2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi. …”
- il successivo art. 34, nel dettarne la disciplina del trattamento economico e normativo, statuisce: “1. Per i periodi di congedo parentale di cui all’art. 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L’indennità è calcolata secondo quanto previsto dall’articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso. 2. Si applica il comma 1 per tutto il periodo di prolungamento del congedo di cui all’articolo 33 (ossia, al prolungamento richiesto dai genitori di minore portatore di handicap in situazione di gravità accertata ex art. 4, comma 1, l. 5 febbraio 1992, n. 104; n.d.e.). 3. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 2 è dovuta un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. …”;
- l’art. 21, comma 1, d.p.r. 18 giugno 2002, n. 164 (Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 e al biennio economici 2002-2003), recita: “1. In deroga a quanto previsto dall’articolo 34 del testo unico a tutela della maternità, al personale con figli minori di tre anni che intende avvalersi del congedo parentale previsto dall’articolo 32 del medesimo testo unico, è concesso il congedo straordinario di cui all’articolo 15 del primo quadriennio normativo polizia, sino alla misura complessiva di quarantacinque giorni, anche frazionati, nell’arco del triennio e comunque entro il limite massimo annuale previsto per il medesimo istituto. …”;
- l’art. 15 d.p.r. 31 luglio 1995, n. 395 (di recepimento dell’accordo sindacale relativo al primo quadriennio normativo polizia), richiama, quanto all’istituto dei congedi straordinari, la disciplina del trattamento economico dettata dall’art. 3 l. 24 dicembre 1993, n. 537 (sostitutivo dell’art. 40 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3), come interpretato, modificato e integrato dall’art. 22 l. 23 dicembre 1994, n. 724.
1.2. Premesso che in linea di fatto è incontroverso, che nella fattispecie in esame le mogli degli odierni appellati, al momento della presentazione delle istanze di congedo da parte dei predetti, avevano già fruito di sei mesi di congedo parentale (v., sul punto, anche il preambolo dei decreti impugnati), ritiene il Collegio che la disciplina derogatoria contenuta nel citato art. 21, comma 1, d.p.r. 18 giugno 2002, n. 164, non si possa che riferire alla misura del trattamento economico, corrispondente a quello previsto per il congedo straordinario, e non già ai limiti massimi di durata del congedo retribuito, in quanto:
- l’art. 34 d. lgs. n. 151/2001, al quale la deroga espressamente si riferisce, detta la disciplina del trattamento economico e normativo del congedo parentale, mentre i relativi limiti di durata, retribuiti e non retribuiti, trovano la loro fonte di disciplina nel precedente art. 32, non espressamente derogato;
- trattandosi di previsione che deroga alla disciplina generale dell’istituto in esame, non appare ammissibile un’interpretazione estensiva oltre i limiti espressamente contemplati dalla disciplina speciale/eccezionale;
- un’eventuale eccezione ai limiti di durata del congedo parentale retribuito, dettati dall’art. 32, avrebbe senz’altro imposto una previsione espressa in tal senso, incidendo essa su elementi essenziali dell’istituto e alterando la stessa in modo radicale il sottostante assetto d’interessi economico-sociale.
1.3. Alla luce delle svolte considerazioni, non può condividersi l’interpretazione dei primi giudici, che sulla base di un’errata lettura della disposizione speciale/eccezionale dettata dal citato art. 21, comma 1, ne ha esteso la portata derogatoria alla disciplina generale dei limiti di durata del congedo parentale retribuito, sicché, in accoglimento dell’appello e in riforma della gravata sentenza, s’impone la reiezione dei ricorsi proposti in primo grado.
2. Considerata la natura della controversia, si ravvisano i presupposti di cui all’art. 92, comma 2, c.p.c. per dichiarare le spese di lite di entrambi i gradi interamente compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza respinge il ricorso proposto in primo grado.
Dichiara le spese del doppio grado interamente compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/12/2010


panorama
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Parentale

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Anche se sono articoli e argomenti diversi, la Legge è sempre la stessa, pertanto la posto qui questa senzenza del Tar Lazio per orientamento.

CONGEDI BIENNALI RETRIBUITI:
Orientarsi nelle disposizioni che riguardano la concessione dei congedi retribuiti di due anni, previsti dall’articolo 42 comma 5 del Decreto Legislativo 151/2001, a favore di alcuni lavoratori che assistono familiari con handicap grave.
Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151
"Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

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07/03/2011 201102056 Sentenza Breve Sez. 1Q

N. 02056/2011 REG.PROV.COLL.
N. 08708/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 8708 del 2010, proposto da
B. A. elettivamente domiciliata in Roma, via degli Scipioni n. 252 presso lo studio dell’avv. Ernesto Trimarco che la rappresenta e difende nel presente giudizio
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministero p.t., domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso la Sede dell’Avvocatura Generale dello Stato che ex lege lo rappresenta e difende nel presente giudizio
per l'annullamento
dei provvedimenti prot. n. OMISSIS del 03/05/10 e n. OMISSIS del 12/07/10 con cui il Ministero della Giustizia ha respinto le richieste della ricorrente di concessione del beneficio ex art. 42 bis d. lgs. n. 151/01;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella Camera di Consiglio del giorno 3 marzo 2011 il dott. Michelangelo Francavilla;
Espletate le formalità previste dall’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto di potere definire il giudizio con sentenza in forma semplificata;
Considerato che la ricorrente, agente di polizia penitenziaria, impugna i provvedimenti prot. n. OMISSIS del 03/05/10 e n. OMISSIS del 12/07/10 con cui il Ministero della Giustizia ha respinto le richieste di concessione del beneficio ex art. 42 bis d. lgs. n. 151/01;
Considerato, in diritto, che il ricorso è fondato e merita accoglimento;
Considerato che con la seconda censura, avente carattere assorbente, la ricorrente prospetta il vizio di difetto di motivazione;
Considerato che il motivo in esame è fondato in quanto i provvedimenti impugnati, in violazione di quanto prescritto dall’art. 3 l. n. 241/90, non indicano le ragioni per le quali l’amministrazione ha negato la concessione del beneficio ma si sono genericamente limitati ad evidenziare di “avere bilanciato le motivazioni addotte a sostegno con le esigenze di servizio sia della sede di servizio che di quella richiesta” (atto del 03/05/10) e di avere considerato “le esigenze di servizio” della sede di provenienza (nota del 12/07/10) senza specificare, in concreto, la natura di tali esigenze;
Considerato, poi, che il “parere negativo del Provveditorato Regionale di appartenenza”, richiamato nel provvedimento del 03/05/10, non è stato prodotto dall’amministrazione nonostante le specifiche richieste istruttorie formulate, in tal senso, dal Tribunale con ordinanze n. OMISSIS , rimaste inottemperante senza alcun giustificato motivo;
Ritenuto, ai sensi degli artt. 64 comma 4° d. lgs. n. 104/10 e 116 c.p.c., di dovere valutare il comportamento processuale dell’amministrazione in senso favorevole alla ricorrente;
Considerato che la fondatezza della censura in esame comporta l’accoglimento del ricorso (previa declaratoria di assorbimento degli ulteriori motivi proposti) e l’annullamento dell’atto impugnato facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione;
Considerato che il Ministero della Giustizia, in quanto soccombente, deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio il cui importo viene liquidato come da dispositivo;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
1) accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione;
2) condanna il Ministero della Giustizia a pagare, in favore della ricorrente, le spese del presente giudizio il cui importo si liquida in complessivi euro duemila/00, per diritti ed onorari oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del giorno 3 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Pierina Biancofiore, Consigliere
Michelangelo Francavilla, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/03/2011
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

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CARABINIERI
Recupero somme percepite nel periodo di assenza dal servizio per assistenza al figlio minore.

Ricorso del collega Accolto.

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17/10/2012 201201838 Sentenza 1


N. 01838/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01355/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1355 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Schettini, con domicilio eletto presso Mario Schettini in Salerno, c.so Garibaldi,235 c/o Maggio;

contro
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr. Salerno, domiciliata in Salerno, corso Vittorio Emanuele N.58;

per l’annullamento della comunicazione 20 maggio 2010 con la quale il Comando generale dell’Arma dei carabinieri-centro nazionale amministrativo,Ufficio trattamento economico di attività ha disposto il recupero delle somme percepite dal ricorrente nel periodo di assenza dal servizio per assistenza al figlio minore,
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2012 il dott. Antonio Onorato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Il ricorso è fondato.
L’art. 33 del D.P.R. 11-9-2007 n. 170 (di recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare (quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007) espressamente prevede che <in deroga a quanto previsto dall'articolo 34 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, al personale con figli minori di tre anni che intende avvalersi del congedo parentale previsto dall'articolo 32 del medesimo decreto legislativo, è concessa la licenza straordinaria di cui all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n. 395, sino alla misura complessiva di quarantacinque giorni, anche frazionati, nell'arco del triennio e comunque entro il limite massimo annuale previsto per il medesimo istituto. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai fini della definizione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto>.

La norma va letta in connessione al comma 1° dell'art. 15 del DPR 170 del 2007 dal quale si evince chiaramente che l'accordo sindacale ha inteso ampliare le ipotesi per le quali è consentita la concessione del congedo straordinario previsto dagli artt. 15 del DPR 395/95, 3 della L. 537 del 1993 e 37 del DPR n. 3 del 1957.

Si tratta, quindi, di una disposizione che va ad incidere su un istituto che rimane del tutto distinto dal congedo parentale previsto dall'art. 34 della L. 151 del 2001 con il quale ha in comune soltanto il presupposto della paternità o maternità (Cfr. T.A.R. Milano Lombardia sez. III 16 giugno 2011 n. 1560, T.A.R. Lazio sez. I 22 febbraio 2011 n. 1626)

Lo dimostra anche il fatto che il congedo parentale può essere fruito fino all'ottavo anno di vita del bambino mentre il congedo straordinario de quo può essere chiesto solo nei primi tre anni di vita dello stesso (sicché ben sarebbe possibile fruire del solo congedo straordinario fino al terzo anno di età e di tutto il congedo parentale dal quarto all'ottavo anno).

Inoltre, il congedo straordinario previsto dall'art. 15 del DPR 170/07, diversamente dal congedo parentale , rimane soggetto ai limiti previsti dalla disciplina di settore con riguardo alla sua durata massima che rimane di 45 giorni anche qualora ricorrano più ipotesi nelle quali ne è prevista la concessione.

Ne deriva che del tutto legittimamente il ricorrente ha fruito delle licenze per congedo straordinario e che il disposto recupero delle retribuzione è illegittimo.

L'atto impugnato deve, quindi, essere annullato..

Le spese di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono come di regola la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna l’Amministrazione intimata al pagamento in favore del ricorrente delle spese di giudizio che sono liquidate in complessivi € 1200 (milleducento). – di cui 800,00 per onorari, 200,00 per diritti e 200,00 per spese – oltre Iva, Cassa e rimborso spese forfettarie come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Onorato, Presidente, Estensore
Francesco Mele, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





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Il 17/10/2012
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

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Collega CC.

diritto del ricorrente al godimento dei benefici economici correlati all'astensione facoltativa dal servizio per congedo parentale, ai sensi della legge n. 53 del 2000 e dell’art. 58 del D.P.R. n. 164 del 2002, anche in riferimento al periodo di fruizione antecedente al 1° gennaio 2002.

1) - il Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna dettava disposizioni generali in materia, precisando che, attraverso apposite trattenute nei singoli cedolini-paga, si sarebbe provveduto al recupero di quanto percepito in eccedenza rispetto all’indennità del 30% della retribuzione spettante al personale che aveva goduto di congedo parentale.

Ricorso ACCOLTO nei sensi di cui in motivazione.

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26/04/2013 201300317 Sentenza 1


N. 00317/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00366/2004 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 366 del 2004, proposto da:
G. G., rappresentato e difeso dall'avv. Carla Rossi, con domicilio eletto presso Carla Rossi in Bologna, Strada Maggiore 31;

contro
Ministero della Difesa, Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Bologna, via Guido Reni 4;

Comando Generale Arma dei Carabinieri, Ministero della Difesa -Dir.Ne Gen.Le del Personale Militare;

per l'accertamento
del diritto del ricorrente al godimento dei benefici economici correlati all'astensione facoltativa dal servizio per congedo parentale, ai sensi della legge n. 53 del 2000 e dell’art. 58 del D.P.R. n. 164 del 2002, anche in riferimento al periodo di fruizione antecedente al 1° gennaio 2002, con ogni conseguenza di legge in ordine al relativo trattamento economico, compresi interessi legali e rivalutazione monetaria;
………………… per l’annullamento……………………………
della nota prot. …../4 – STIP. In data 5 febbraio 2002 del Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna, avente ad oggetto “Legge 8 marzo 2000 nr. 53 concernente “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità”. Applicazione al personale militare delle Forze Armate, con esclusione di quello di leva. Trattamento economico”;

della nota del Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna del 28 marzo 2003;

del diniego di restituzione in data 31.10.03 n. 700/19 del Comando Generale;

della Circolare DPGM/II/5/1/30001/I52 “in parte qua”;

di ogni altro atto presupposto e consequenziale comunque connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore il dott. Alberto Pasi;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 21 marzo 2013 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Nei periodi novembre 2000 (30 giorni) e gennaio 2001 (15 giorni) il ricorrente, Appuntato scelto della Stazione carabinieri di ……. (Ferrara), usufruiva di licenza straordinaria per astensione dal servizio ex art. 7 della legge n. 1204 del 1971. Successivamente, con nota prot. …../4 – STIP. del 5 febbraio 2002 il Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna dettava disposizioni generali in materia, precisando che, attraverso apposite trattenute nei singoli cedolini-paga, si sarebbe provveduto al recupero di quanto percepito in eccedenza rispetto all’indennità del 30% della retribuzione spettante al personale che aveva goduto di congedo parentale. Con riferimento, poi, all’istanza presentata da un militare dell’Arma, veniva chiarito che il beneficio del congedo parentale fino a 45 giorni senza decurtazioni stipendiali, previsto dal sopraggiunto art. 58 del D.P.R. n. 164 del 2002, poteva ritenersi concesso solo per le astensioni godute dal 1° gennaio 2002 in poi, sì che sarebbero rimasti fermi i recuperi disposti per i periodi precedenti (v. nota del Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna del 28 marzo 2003).

In quanto interessato da recuperi stipendiali iniziati nell’aprile 2002 e non ancora conclusisi alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 164 del 2002, il ricorrente ha adito il giudice amministrativo impugnando gli atti suindicati. Assume di avere titolo all’applicazione del più favorevole regime introdotto dall’art. 58 del D.P.R. n. 164 del 2002 – ovvero la licenza straordinaria per congedo parentale fino a 45 giorni con trattamento retributivo integrale -, in quanto detta norma si applicherebbe anche ai periodi di congedo precedenti ove ancora in corso il procedimento di recupero delle relative decurtazioni stipendiali. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di accertamento del diritto alla conservazione del trattamento retributivo intero per i periodi di godimento del congedo parentale relativi all’arco temporale novembre 2000 – febbraio 2001, con restituzione di quanto recuperato dall’amministrazione e conseguente piena reintegrazione della posizione economica, anche per effetto dell’attribuzione di interessi legali e rivalutazione monetaria.

Si è costituito in giudizio il Comando Regione Carabinieri Emilia-Romagna, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.

All’udienza del 21 marzo 2013, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

Osserva il Collegio che, quanto all’ambito di applicazione dell’art. 58, comma 1, del D.P.R. n. 164 del 2002 (“In deroga a quanto previsto dall’articolo 34 del testo unico a tutela della maternità, al personale con figli minori di tre anni che intende avvalersi del congedo parentale previsto dall’articolo 32 del medesimo testo unico, è concessa la licenza straordinaria di cui all’articolo 48 del primo quadriennio normativo Polizia, sino alla misura complessiva di quarantacinque giorni, anche frazionati, nell’arco del triennio e comunque entro il limite massimo annuale previsto per il medesimo istituto. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai fini della definizione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”), la Sezione si è già espressa nel senso della spettanza del beneficio della licenza straordinaria senza decurtazione del trattamento retributivo anche nelle ipotesi di congedi parentali fruiti prima dell’anno 2002 (v. sentt. N. 1485 del 24 febbraio 2010 e n. 3843 del 26 aprile 2010). Ciò in ragione della natura ricognitiva di detta previsione normativa (v. TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 4 febbraio 2008 n. 155), sicché il regime transitorio ivi considerato ( “…Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai fini della definizione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”) è da intendersi riferito ai rapporti pendenti, ovvero non ancora esauriti, all’epoca di subentro della disciplina di cui al D.P.R. 18 giugno 2002, n. 164 (<<Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003>>), quali i casi di congedi parentali con recuperi stipendiali ancora in corso o neppure ancora deliberati, seppur relativi a periodi anteriori all’anno 2002.

Nella fattispecie il ricorrente aveva goduto di astensioni dal servizio nell’arco temporale novembre 2000/febbraio 2001, ma alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 164 del 2002 non aveva ancora visto integralmente operate le relative decurtazioni stipendiali, con la conseguenza di avere egli titolo al beneficio del trattamento retributivo intero per i primi quarantacinque giorni di astensione per l’assistenza a figli minori di tre anni.

Trattandosi di due figlie entrambe nate il ……...99 (Doc. 5 del ricorrente) e quindi minori di tre anni al momento della fruizione del congedo, la pretesa è fondata.

Di qui l’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento dei corrispondenti atti di recupero stipendiale e con declaratoria del diritto del ricorrente alla restituzione delle relative somme incrementate di interessi legali fino al soddisfo; la rivalutazione monetaria, invece, spetterà solo nella misura di cui l’inflazione non risulti già assorbita dagli interessi legali, in applicazione del divieto di cumulo stabilito dall’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 (v., ex multis, TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 5 marzo 2010 n. 1118).

Le spese di lite possono essere compensate, a fronte della non agevole interpretazione della normativa applicata.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annullati gli atti di recupero stipendiale impugnati, dichiara il diritto del ricorrente alla restituzione delle relative somme incrementate di interessi legali (ed eventualmente rivalutazione monetaria nei limiti di cui all’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994).

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Calvo, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere, Estensore
Italo Caso, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/04/2013
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

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Anche se il ricorso riguarda un collega della PolPen, cmq., tutto il resto sul recupero delle somme potrebbe riguardare chiunque.

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1) - concessione del congedo parentale per parto plurimo con il relativo trattamento economico.

2) - circolare n. 8161 del 14 agosto 2010 del Ministero della Giustizia, dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con cui è stato ritenuto che in caso di parto gemellare la corresponsione dell’intera retribuzione per i periodi di astensione dal lavoro a titolo di congedo parentale debba essere limitata ai giorni di congedo goduto per l’assistenza di uno solo dei bambini.

3) - veniva disposto il recupero delle somme, corrisposte nella misura del 100% per i periodi di congedo parentale superiore al massimo usufruibile, con riferimento ad un solo figlio.

DIRITTO:

4) - Sono fondate le censure rivolte avverso il provvedimento di diniego del congedo straordinario per ciascun figlio nato da parto gemellare per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 1 del d. lgs. 151/2001 e dell’art. 21 del dpr n. 164/2002.

5) - Come già sostenuto in giurisprudenza, infatti, il congedo parentale spetta, nel caso di parto gemellare, per entrambi i figli ( cfr. Tar Toscana n. 775/2012; Tar Valle d’Aosta n. 24/97).

IL TAR LAZIO precisa:

6) - Conclusivamente il ricorso va accolto nei limiti sopra menzionati; va quindi disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati ( ad eccezione della parte già rettificata in autotutela dall’amministrazione resistente, per la quale va dichiarata la cessazione della materia del contendere) e della circolare in epigrafe nella parte di interesse.

Il resto potete leggerlo per completezza tutto qui sotto.

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09/09/2013 201308168 Sentenza 1Q


N. 08168/2013 REG.PROV.COLL.
N. 10575/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10575 del 2012, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Silvana Ricca, Francesco Marascio, con domicilio eletto presso Francesco Marascio in Roma, via G.B. Martini, 2;

contro
Ministero della Giustizia - Dap, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento
dei provvedimenti resi in data 25.03.2011, con cui il Ministero della Giustizia ha disposto la concessione del congedo parentale per parto plurimo con il relativo trattamento economico;

della circolare n. 8161 del 14 agosto 2010 del Ministero della Giustizia, dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con cui è stato ritenuto che in caso di parto gemellare la corresponsione dell’intera retribuzione per i periodi di astensione dal lavoro a titolo di congedo parentale debba essere limitata ai giorni di congedo goduto per l’assistenza di uno solo dei bambini;
di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e comunque consequenziale a quelli impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia - Dap;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2013 il cons. Giampiero Lo Presti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La ricorrente, dipendente del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, assegnata con la qualifica di OMISSIS alla Casa Circondariale di OMISSIS, e poi chiamata a prestare servizio in distacco presso la Scuola di formazione e aggiornamento per il personale del Corpo e dell’Amministrazione penitenziaria di OMISSIS, in data 23 ottobre dava alla luce due figli gemelli.

Nei primi tre anni di vita dei figli usufruiva di complessivi 60 giorni di congedo parentale per il figlio -OMISSIS- (di cui 45 con retribuzione piena e 10 giorni con trattamento economico pari al 30% della retribuzione), e di complessivi 42 giorni per il figlio -OMISSIS-.

Il Dipartimento dell’Amministrazione intimata, con i provvedimenti indicati in epigrafe, con una interpretazione della normativa di riferimento restrittiva e contraria rispetto alla già effettuata sua applicazione, riteneva di escludere la duplicazione del trattamento economico prevista dalla disciplina di origine convenzionale, ritenendo che la disciplina di favore prevista dall’art. 32 del D. L.vo 26 marzo 2991 n. 151 non andasse duplicata in caso di figli gemelli, uniformandosi all’indirizzo contenuto nella circolare ministeriale impugnata. Di conseguenza, veniva disposto il recupero delle somme, corrisposte nella misura del 100% per i periodi di congedo parentale superiore al massimo usufruibile, con riferimento ad un solo figlio; inoltre venivano annoverate fra i giorni goduti dalla OMISSIS -OMISSIS- a titolo di congedo parentale anche le astensioni dal lavoro dei giorni dal 31/5 al 1/6/2007 , 3/10/2007 e 28/12/2007 di cui la ricorrente ha usufruito a titolo di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D. L.vo 151/2001, computando tali giorni nel limite dei 45 che il DPR 164/2002 prevede per l’integrale retribuzione dei congedi parentali.

Con ricorso proposto davanti al Tar Sicilia Catania la OMISSIS -OMISSIS- ha impugnato i menzionati provvedimenti unitamente alla circolare ministeriale in ottemperanza alla quale sono stati adottati, spiegando le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, 1° c. D. L.vo n. 151/2001 e dell’art. 21 del DPR n. 164/2002 n. 165.
Sostiene la ricorrente la illegittimità della interpretazione operata dall’Amministrazione nel senso di ritenere fruibili da parte della lavoratrice madre solo 45 giorni di congedo parentale con retribuzione al 100% senza valutare la sussistenza del parto gemellare che raddoppia le esigenze di accudimento e di integrazione dei figli nella famiglia.

2) Eccesso di potere per ingiustizia grave e manifesta e per insufficienza e incongruità della motivazione.
Il provvedimento è comunque viziato da incongruità ed insufficienza della motivazione poiché in esso si fa riferimento a preoccupazioni di carattere finanziario che esulano dalla ratio della normativa che tutela le prerogative dei genitori lavoratori e quando già la ricorrente ha in buona fede goduto dei benefici che assume spettarle.

3) Violazione degli artt. 32 e 47 del D. L.vo n. 151/2001 e dell’art. 21 del DPR n. 164/2002.
Contesta la ricorrente l’inclusione dei giorni 31/5- 1°/5/2007, 3/10/2007 e 28/12/2007 nel numero dei giorni goduti a titolo di congedo parentale, e pertanto nel novero dei 45 giorni per i quali ha diritto a percepire l’intera retribuzione ai sensi dell’art. 21 DPR 164/2002 , in quanto in tali giorni la ricorrente si è assentata dal lavoro a titolo di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D. L.vo 151/2001, come attestato dalle relative richieste di assenza per malattia corredate da certificazione medica.

L’Amministrazione intimata, costituita in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso, ribadendo la legittimità degli atti impugnati.

Con ordinanza n. 2530 del 2012 il Tribunale, dopo avere accolto la domanda di tutela cautelare, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio, per essere competente a conoscere dell’intera controversia il Tar del Lazio in ragione dell’estensione dell’impugnazione anche alla circolare indicata sopra.

Il giudizio è stato quindi riassunto davanti a questo Tribunale, con ricorso notificato in data 3.12.2012.

Con ordinanza n. 113/2013 il Collegio ha quindi accolto la domanda di tutela cautelare, confermando la relativa determinazione già adottata dal Tar Sicilia Catania.

Le parti hanno poi depositato memorie difensive e alla pubblica udienza del giorno 23 maggio 2013 la causa è stata rimessa in decisione.

DIRITTO
Sono fondate le censure rivolte avverso il provvedimento di diniego del congedo straordinario per ciascun figlio nato da parto gemellare per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 1 del d. lgs. 151/2001 e dell’art. 21 del dpr n. 164/2002.

Come già sostenuto in giurisprudenza, infatti, il congedo parentale spetta, nel caso di parto gemellare, per entrambi i figli ( cfr. Tar Toscana n. 775/2012; Tar Valle d’Aosta n. 24/97).

L’art. 21 del DPR 164 del 2002 (contenente il recepimento dell’Accordo sindacale per le forze di polizia) statuisce che “in deroga a quanto previsto dall'articolo 34 del testo unico a tutela della maternità, al personale con figli minori di tre anni che intende avvalersi del congedo parentale previsto dall'articolo 32 del medesimo testo unico, è concesso il congedo straordinario di cui all'articolo 15 del primo quadriennio normativo polizia, sino alla misura complessiva di quarantacinque giorni, anche frazionati, nell'arco del triennio e comunque entro il limite massimo annuale previsto per il medesimo istituto”

La norma contrattuale richiamata è esplicita nello stabilire che il congedo parentale di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 151 del 2001 (Testo Unico per la tutela della maternità), mentre nelle previsioni del TU medesimo dà luogo al pagamento di un’indennità pari al 30% della retribuzione, ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n.151 del 2001, nel caso delle Forze di Polizia è qualificato come congedo straordinario, con pagamento dell’intera retribuzione. Infatti l’art. 21 DPR 164 del 2002 è chiaro nel prevedere una normativa di deroga alla disciplina di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 151 del 2001 e nello stabilire la spettanza del congedo straordinario integralmente retribuito. Ciò in tutte le ipotesi in cui il congedo parentale spetta, quindi con riferimento ad entrambi i figli, nel caso di parto gemellare.

Illegittimamente, dunque, l’Amministrazione Penitenziaria ha ritenuto di potere erogare, per il secondo gemello, il trattamento retributivo ridotto al 30%.

L’art. 34 del d.lgs. 151/2001 può trovare applicazione soltanto nelle fattispecie di cui al precedente art. 32 (cui lo stesso art. 34 rinvia ai fini dell’individuazione dei presupposti sostanziali del diritto all’astensione facoltativa) e non nella diversa e specifica fattispecie prevista dall’art. 21 del d. lgs. 164/2002 che prevede invece una diversa determinazione del trattamento economico e retributivo del congedo parentale.

L’art. 21 citato infatti , come visto, stabilisce proprio in deroga a quanto previsto dall’articolo 34 del testo unico a tutela della maternità, il diritto del personale con figli minori di tre anni, che intende avvalersi del congedo parentale previsto dall’art. 32 del medesimo testo unico, a conseguire il congedo straordinario di cui all’articolo 15 del primo quadriennio normativo polizia, sino alla misura complessiva di quarantacinque giorni, anche frazionati, nell’arco del triennio, e comunque entro il limite massimo annuale previsto per il medesimo istituto . In virtù poi del rinvio di cui all’art. 15 del dpr 31.7.1995 n. 395 la quantificazione del beneficio è rapportata alla misura del trattamento economico del congedo straordinario contenuta nell’art. 40 del dpr 3/1957, come modificata dall’art. 3 della legge n. 537/93.

E naturalmente detto trattamento non può che spettare, nella medesima intera misura prevista, per ciascun figlio minore e, quindi, nel caso di parto gemellare, per ciascuno dei figli gemelli.

Una diversa interpretazione, che volesse limitare il trattamento economico più favorevole al solo congedo goduto per uno dei due figli sarebbe infatti illogica, contraria alla lettera del dato normativo (l’art. 32 citato riferisce il congedo parentale a “ogni bambino” e non prevede deroghe per il caso di figli avuti con parto gemellare), e soprattutto tale da determinare la frustrazione della finalità perseguite di tutela della maternità.

L’istituto del congedo parentale infatti ha la funzione di garantire la presenza del genitore lavoratore accanto al figlio nei primi anni di vita, favorendone l’assistenza ai bisogni della crescita e dello sviluppo affettivo e della personalità; e la piena attuazione della finalità perseguita rimane logicamente e razionalmente legata al riconoscimento del beneficio per ciascuno dei figli.

La prevalenza della disciplina così introdotta a livello di accordo collettivo di settore, rispetto a quella generale, trova poi fondamento nella previsione di cui all’art. 1, secondo comma, del d lgs. 151/2001 che “fa salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi e ogni altra disposizione”.

La misura e la portata del beneficio può quindi essere diversamente stabilita anche a livello convenzionale: ma una volta che gli accordi collettivi prevedono per il periodo di astensione il diritto all’intero trattamento retributivo questo non può che essere riconosciuto in detta misura per ciascun figlio, e per entrambi i gemelli in caso di parto gemellare.

Il superiore assunto non è contraddetto dal fatto che, in diversi settori del pubblico impiego, come per il Comparto Scuola o per quello delle agenzie fiscali ( cui si riferisce la documentazione prodotta dall’amministrazione resistente), sia previsto per le fattispecie in esame un trattamento di minor favore rispetto a quello previsto per il comparto Polizia e Polizia Penitenziaria, essendo affidata la relativa regolamentazione alla contrattazione collettiva: l’equilibrio economico contrattuale complessivo di ciascun accordo collettivo, infatti, va valutato in sé e senza che sia possibile effettuare confronti fra accordi inerenti comparti differenti e su singoli aspetti della disciplina convenzionale al fine di ipotizzare disparità di trattamento fra i dipendenti di diverse amministrazioni pubbliche.

Il ricorso proposto avverso i provvedimenti resi in data 25.03.2011, sulla determinazione del congedo parentale e, in parte qua, avverso la circolare indicata in epigrafe sono dunque fondati alla luce di quanto fin qui esposto.

In ordine invece all’impugnazione dei medesimi provvedimenti (terzo motivo di ricorso) nella parte in cui venivano annoverate fra i giorni goduti dalla OMISSIS -OMISSIS- a titolo di congedo parentale anche le astensioni dal lavoro dei giorni dal 31/5 al 1/6/2007 , 3/10/2007 e 28/12/2007 di cui la ricorrente ha usufruito a titolo di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D. L.vo 151/2001, computando tali giorni nel limite dei 45 che il DPR 164/2002 prevede per l’integrale retribuzione dei congedi parentali, va dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Con memoria del 18 aprile 2013 infatti l’amministrazione resistente ha dichiarato di avere provveduto ad adottare provvedimenti di rettifica escludendo dal computo i giorni menzionati che, in quanto richiesti a titolo di congedo per malattia del figlio, avrebbero dovuto essere ascritti a congedo straordinario di cui all’art. 37 del dpr 3/1957.

Conclusivamente il ricorso va accolto nei limiti sopra menzionati; va quindi disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati ( ad eccezione della parte già rettificata in autotutela dall’amministrazione resistente, per la quale va dichiarata la cessazione della materia del contendere) e della circolare in epigrafe nella parte di interesse.

Le spese del giudizio vanno poste a carico dell’amministrazione soccombente e liquidate in complessivi euro 2000,00 (duemila euro) oltre accessori come per legge.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie secondo quanto indicato in parte motiva e, per l’effetto, annulla nei limiti i provvedimenti impugnati.

Condanna l’amministrazione intimata al pagamento delle spese di giudizio nella misura stabilita in parte motiva.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Giampiero Lo Presti, Consigliere, Estensore
Fabio Mattei, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 09/09/2013
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

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Quesito al Consiglio di Stato, proposto da Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, riguardante la computabilità della licenza straordinaria per congedo parentale a retribuzione intera.
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Il Consiglio di Stato scrive:

(ecco qualche brano)

1) - Appare di tutta evidenza, pertanto, che l’esercizio della funzione consultiva da parte di questo Consiglio di Stato, come richiesto dall’Amministrazione della Difesa, andrebbe a sovrapporsi su di un contenzioso ancora in fieri, rispetto al quale questo stesso Consiglio di Stato è stato anche chiamato a pronunciarsi in sede giurisdizionale.

2) - Per quanto sopra, si ritiene di esprimere il non luogo a parere, atteso che sulla questione sono pendenti molteplici contenziosi giurisdizionali (come rappresenta lo stesso Ministero nel formulare il proprio quesito).

3) - Laddove ritenuto opportuno, il Ministero potrà rivolgersi all’Avvocatura di Stato.

Per completezza cmq. leggete il tutto qui sotto.
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05/05/2014 201400001 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 12/02/2014


Numero 01433/2014 e data 05/05/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 12 febbraio 2014

NUMERO AFFARE 00001/2014

OGGETTO:
Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare.

Quesito al Consiglio di Stato, proposto da Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, riguardante la computabilità della licenza straordinaria per congedo parentale a retribuzione intera.

LA SEZIONE
Vista la relazione prot. n. M_D GMIL2 VDGM II SSS 2013/0290507 del 25 ottobre 2013, con la quale il Ministero della Difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul quesito indicato in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore estensore, consigliere Nicolò Pollari;

PREMESSO:
Il Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, ha sottoposto al Consiglio di Stato un quesito in ordine alla computabilità della “licenza straordinaria per congedo parentale” a retribuzione intera.

L'Amministrazione descrive il quadro giuridico di riferimento, soffermandosi preliminarmente sulla disciplina dell’istituto del “congedo parentale”, che è regolamentato dal Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) ed in particolare:

- dall'articolo 32 che stabilisce, tra l'altro, la durata massima dei periodi di congedo parentale fruibile singolarmente e cumulativamente dai genitori (sei mesi per ogni genitore, per un massimo di dieci ovvero - in particolari condizioni - di undici mesi cumulativi fino all' ottavo anno di vita di ciascun figlio);

- dall'articolo 34 che detta le norme per la retribuzione di tale congedo (30% della retribuzione percepita dai singoli genitori, per un periodo massimo complessivo tra entrambi di sei mesi nell'ambito dei primi tre anni di vita di ciascun figlio; nessuna retribuzione per i periodi successivi, eccettuato il caso in cui il reddito individuale del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria).

Successivamente, i provvedimenti di recepimento della concertazione, emanati nel 2002 (articolo 14 del D.P.R. 13 giugno 2002, n. 163, per il personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica - poi ridefinito dall'art. 15 del D.P.R. 11 settembre 2007, n. 171 - e articolo 58 del D.P.R. 18 giugno 2002, n. 164, per quello delle Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare), hanno stabilito che "in deroga a quanto previsto dall'articolo 34 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, al personale con figli minori di tre anni che intende avvalersi del congedo parentale previsto dall'articolo 32 del medesimo decreto legislativo, è concessa la licenza straordinaria di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n. 394, sino alla misura complessiva di quarantacinque giorni, anche frazionati, nell'arco del triennio e comunque entro il limite massimo annuale previsto per il medesimo istituto".

L'applicabilità al personale militare delle norme richiamate è, peraltro, sancita dall'art. 1493 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante "codice dell'ordinamento militare".

Siffatta deroga ha dato vita ad una controversa interpretazione da parte dei destinatari dei suddetti provvedimenti di concertazione, in quanto è stata intesa come concessiva di un beneficio ulteriore rispetto a quello previsto dalla norma generale, ritenendo che i suddetti 45 giorni a retribuzione intera, riferiti alla “licenza straordinaria per congedo parentale”, dovessero essere computati in aggiunta ai sei mesi pagati al 30%.

La Direzione Generale per il Personale Militare, fin dal 2003, ha aderito ad un’interpretazione più restrittiva del dettato della norma, sostenendo che i 45 giorni retribuiti per intero dovessero essere, comunque, ricompresi nell'ambito dei richiamati sei mesi. In pratica, è stato ritenuto che la deroga, esplicitata nei citati provvedimenti di concertazione, fosse riferita esclusivamente all'articolo 34 del decreto legislativo n. 151/2001 e che, pertanto, andasse ad apportare una miglioria al trattamento economico connesso al congedo parentale (prevedendo che una parte dello stesso, ossia 45 giorni, fosse retribuita per intero e non nei limiti di cui all’art.34), senza che ciò comportasse una estensione del computo del congedo parentale fissato in sei mesi.

La posizione dell’Amministrazione, all’atto pratico, si è tradotta nell’adozione di provvedimenti di recupero delle somme corrisposte a titolo di retribuzione intera, a seguito della fruizione, da parte di taluni militari, della licenza straordinaria per congedo parentale concessa. La linea seguita dall’Amministrazione ha, di conseguenza, determinato un rilevante contenzioso, che ha originato diverse pronunce discordanti da parte degli Organi giurisdizionali.

In particolare, il T.A.R. del Piemonte, con sentenza n. 2609 del 21 luglio 2005, ha accolto un ricorso proposto da personale della Polizia di Stato, ritenendo che
"nel caso dei ricorrenti, appartenenti al suddetto personale di Polizia, non è applicabile il tetto del «periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi», e che, pertanto, tali soggetti possono fruire di ulteriori quarantacinque giorni, anche frazionati, nell'arco del triennio del bambino, di congedo straordinario".

Tuttavia, il Consiglio di Stato, con decisione n. 9562 del 29 dicembre 2010, ha accolto l'appello proposto dal Ministero dell'Interno e, in riforma della sentenza di primo grado, ha precisato che
"... la disciplina derogatoria contenuta nel citato art. 21, comma 1, D.P.R. 18 giugno 2002, n. 164, non si possa che riferire alla misura del trattamento economico, corrispondente a quello previsto per il congedo straordinario, e non già ai limiti massimi del congedo retribuito ... ".

Successivamente, accogliendo il ricorso proposto da personale dell'Arma dei Carabinieri, il T.A.R. della Lombardia, con sentenza n. 1560 del 16 giugno 2011, allineandosi alla tesi sostenuta dal T.A.R. del Piemonte, ha affermato che la norma derogatrice del D.P.R. di concertazione è
"una disposizione che va ad incidere su un istituto che rimane del tutto distinto dal congedo parentale previsto dall'art. 34 della L. n. 151 del 2001 con il quale ha in comune soltanto il presupposto della paternità o maternità. Lo dimostra il fatto che il congedo parentale può essere fruito fino all'ottavo anno di vita del bambino, mentre il congedo straordinario può essere chiesto solo nei primi tre anni di vita dello stesso ... ".

Avverso tale sentenza è stato proposto appello, ancora pendente.

Ancora, il T.A.R. della Lombardia ha accolto analogo ricorso, presentato sempre da personale dell'Arma dei Carabinieri, con sentenza n. 1188 del 23 aprile 2012, nella quale, dopo aver riprodotto le medesime motivazioni della suddetta sentenza n. 1560/2011, ha precisato che seppur
"ben nota al Collegio la differente posizione del Consiglio di Stato ... ad avviso del Collegio si ravvisano ulteriori ragioni per ribadire il proprio orientamento". Tali ragioni si basano sul fatto che la norma derogatoria dell'art. 15 del D.P.R. n. 171/2007 richiama il congedo straordinario come istituto da utilizzare per fruire del beneficio, "il quale per la sua natura e funzione, si somma a quello «ordinario» previsto dalla disciplina generale del d. lgs. 151/2001 ..." .

Avverso tale sentenza è stato proposto appello, ancora pendente.

Infine, il T.A.R. della Campania, Sezione di Salerno, con sentenza n. 1838 del 17 ottobre 2012, ricalcando le motivazioni del T.A.R. Lombardia, ha ribadito la tesi secondo cui la disposizione dettata dal D.P.R. di concertazione non incide su un istituto che rimane del tutto distinto dal congedo parentale previsto dall'art. 34 del decreto legislativo n. 151/2001.

Nei confronti di tale sentenza non risulta presentato appello.

CONSIDERATO:
Il contenzioso venutosi a creare in ragione dell’interpretazione restrittiva seguita dall’Amministrazione con riferimento all’istituto della “licenza straordinaria per congedo parentale”, vede contrapposte, allo stato attuale, due opposti orientamenti: il primo, che si è andato progressivamente consolidando in primo grado, opposto alle tesi della Difesa, e il secondo, invero rappresentato da un’isolata pronuncia del Consiglio di Stato, chiamato successivamente a pronunciarsi in almeno due dei casi riportati nella relazione ministeriale ed ancora non espressosi.

Appare di tutta evidenza, pertanto, che l’esercizio della funzione consultiva da parte di questo Consiglio di Stato, come richiesto dall’Amministrazione della Difesa, andrebbe a sovrapporsi su di un contenzioso ancora in fieri, rispetto al quale questo stesso Consiglio di Stato è stato anche chiamato a pronunciarsi in sede giurisdizionale.

Il Collegio ha già affermato, in diversi precedenti (Sez. II, 12 novembre 2003 n. 1855/03, 13 marzo 2003 n. 82/89, 25 settembre 2002 n. 2994, 3 settembre 2008 n. 2395), che l’attività consultiva facoltativa del Consiglio di Stato (ossia appunto la risposta a quesiti giuridico-amministrativi liberamente formulati dall’Amministrazione) non è espletabile quando possa interferire su un contenzioso in atto o in fieri, perché in tal caso - nel quale l’Amministrazione può più appropriatamente ricorrere alla consulenza, riservata, dell’Avvocatura dello Stato - essa potrebbe interferire con l’attività giurisdizionale e ledere quindi i principi di terzietà del giudice e di parità delle parti, immanenti nell’ordinamento ed espressamente sanciti sia dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848, sia dall’articolo 111 della Costituzione, riformulato dall’articolo 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2.

Per quanto sopra, si ritiene di esprimere il non luogo a parere, atteso che sulla questione sono pendenti molteplici contenziosi giurisdizionali (come rappresenta lo stesso Ministero nel formulare il proprio quesito).

Laddove ritenuto opportuno, il Ministero potrà rivolgersi all’Avvocatura di Stato.

P.Q.M.

dichiara il non luogo a parere sul quesito in oggetto indicato.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Nicolo' Pollari Pietro Falcone




IL SEGRETARIO
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

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Per quanto d'interesse al personale Arma CC.

URP del C.G.A.

Domanda:
- A breve, per la prima volta, diventerò papà. In occasione dell’evento potrò fruire di qualche speciale licenza?
------------------------
Risposta:
- Tutti i benefici previsti dalla legge vigente in materia di “Tutela e sostegno della maternità e della paternità”, in ambito Arma, sono illustrati dalla Pubblicazione di questo Comando Generale n. C-14 "Compendio normativo in materia di congedi, licenze e permessi" che potrà consultare anche in area Intranet – Portale Leonardo. In tale contesto richiamiamo, in particolare, la Sua attenzione sulla parte concernente i “congedi parentali”.
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

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1) - corresponsione dell’indennità giudiziaria durante i periodi di congedo per maternità.

2) - corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, c. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria ex artt. 4 e 7 della L. n. 1204/71 (nel 1997-98 in relazione al figlio OMISSIS , nato a OMISSIS 1997 e nel 2000-01 in relazione al figlio OMISSIS, nato a OMISSIS 2000) oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.

3) - Parere del CdS "SOSPESO" e interessata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea

4) - Cmq. il Parere del CdS “NON definitivo” richiama diversi diritti e benefici dei lavoratori, quindi bisogna leggerlo attentamente per eventuali altri fattori e studi di settore.

RISERVA futura.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

PARERE INTERLOCUTORIO ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501665
- Public 2015-06-04-


Numero 01665/2015 e data 04/06/2015 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 22 aprile 2015 e del 13 maggio 2015

NUMERO AFFARE 03815/2007

OGGETTO:
Ministero della Giustizia.

Ministero della Giustizia, Direzione Generale dell’Organizzazione Giudiziaria del Personale e dei Servizi - Direzione Generale dei Magistrati del Ministero. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla dott.ssa O. M. C. E., magistrato ordinario, per l’annullamento del provvedimento in data 30 marzo 2007 con cui il Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, ha respinto l’istanza di corresponsione dell’indennità giudiziaria durante i periodi di congedo per maternità, presentata dall’interessata in data 5 marzo 2007.

LA SEZIONE
Vista la relazione firmata in data 3 ottobre 2007, trasmessa con nota n. 4436/2007 CONT./10597, pervenuta il giorno 16 successivo, dell’ Ministero della Giustizia (Direzione Generale dei Magistrati) di richiesta di parere sull’affare indicato in oggetto;

Visto il parere interlocutorio espresso nell’adunanza del 29.01.2008 dalla III Sezione (alla quale nel frattempo è succeduta questa II Sezione), trasmesso al Ministero riferente – Gabinetto – con nota del S.G. n. 1204 in data 4/03/2008;

Vista la nota ministeriale 0042978.U in data 7.4.2015, pervenuta il giorno 21 successivo;

Vista l’ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale;

Esaminati gli atti e udito il relatore, presidente Sergio Santoro;

I. I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CONTROVERSIA E LE RAGIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE.

1. Con istanza del 23 febbraio 2007 pervenuta all’Amministrazione della Giustizia il 5 marzo successivo, la dott.ssa M. C. E. O. Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di OMISSIS, chiedeva la corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, c. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria ex artt. 4 e 7 della L. n. 1204/71 (nel 1997-98 in relazione al figlio OMISSIS , nato a OMISSIS 1997 e nel 2000-01 in relazione al figlio OMISSIS, nato a OMISSIS 2000) oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.

Con nota prot. n. 9054/MGG/3913 del 30 marzo 2007 la D.G. Magistrati - comunicava all’interessata i motivi del rigetto dell’istanza.

2. Con il ricorso in esame proposto il 30 luglio 2007 l’interessata impugnava tale provvedimento chiedendo il riconoscimento del diritto all’indennità giudiziaria per i due periodi di congedo per maternità del 1997-98 e 2000-01, anteriori alla L. 311 del 2004. A sostegno del diritto alle differenze retributive ricordava, richiamando il contenuto dell’istanza, che l’art. 3, comma 1° della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo novellato dall’art. 1, c. 325 della Legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, troverebbe applicazione anche per quelle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima, rispetto alle quali non si fosse maturato il periodo di prescrizione estintiva del relativo diritto, decorrente da tale medesima data (secondo il comma 572 dell’art. 1 della L.311/2004, “La presente legge entra in vigore il 1° gennaio 2005”).

Contestava, quindi, le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza opposte dall’Amministrazione, sostenendone l’illogicità e l’infondatezza, sia con riguardo al principio generale di irretroattività delle norme di cui all’art.11 c.c. - in relazione al quale formulava (in via incidentale e subordinata) eccezione di costituzionalità della norma, in relazione agli artt. 3, c. 2 e 97 della Cost., se interpretata come non retroattiva - sia con riferimento alla ritenuta impossibilità dell’estensione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Lombardia n. 161/2007.

3. Con relazione 9 ottobre 2007 la D.G. dei Magistrati escludeva l’applicazione retroattiva della nuova disciplina, richiamando l’ordinanza con la quale la IV sez. di questo Consiglio (n. 2287/2007 del 13 aprile 2007), aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della norma invocata dalla ricorrente, nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 238/1990, che per prima aveva escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., seguita poi nello sesso senso dalla sentenza n. 407/1996 e dalle ordinanze nn. 422/1996, 106/1997, 346/2008, 272/1999.

4. Con pronuncia interlocutoria resa nell’adunanza del 29.01.2008 la Terza Sezione del Consiglio di Stato, rilevato che la IV Sezione dello stesso Consiglio aveva già sollevato in sede giurisdizionale (con ordinanza n.2278/2007 cit.) questione di costituzionalità dell’art. 3, c. 1°, L. 27/81, nel testo anteriore alla novella recata dalla L. finanziaria 2005, in relazione ai periodi di astensione per maternità anteriori al 1° gennaio 2005, riteneva opportuno sospendere l’esame del ricorso in attesa della ulteriore pronuncia della Corte Costituzionale (in applicazione dell’art. 295 c.p.c.).

A seguito della trasformazione della Terza Sezione da consultiva a giurisdizionale, disposta dal Presidente del Consiglio di Stato nel 2010, questa Seconda Sezione consultiva proseguiva la trattazione del ricorso straordinario in esame.

5. Il Ministero riferente, infine, con nota 13 aprile 2015 pervenuta nella segreteria della Sezione il 5 maggio successivo, trasmetteva a questa Sezione, in vista della conclusione del giudizio, l’ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), nella parte in cui esclude la corresponsione dell'indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, sollevata dal Consiglio di Stato con riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Erano conformi nello stesso senso le ordinanze 302/2006, 346/2008, e la sentenza 295/2012 della Corte Costituzionale, tutte negative circa la possibile invocata retroattività della novella del 2004.

6. Il ricorso è stato, quindi, riportato all’esame di questa Sezione all’odierna adunanza, nella quale il Collegio ritiene di sottoporre d’ufficio alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, anche per impedire il formarsi o il consolidarsi di una giurisprudenza nazionale che possa comportare, in ipotesi, eventuali errori di interpretazione od erronea applicazione di disposizioni del diritto dell’Unione che interessano il caso per cui è causa. Va anche premesso che tale questione è senza dubbio rilevante nel giudizio, dal momento che la sentenza della Corte Costituzionale 137/2008 cit. ha stabilito in via definitiva che la modifica recata dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, all'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, con l'ammettere il diritto all’indennità giudiziaria per il periodo di congedo per maternità, non può considerarsi retroattiva, e che conseguentemente non può applicarsi a fattispecie in cui il diritto stesso è riferito a periodi anteriori all’entrata in vigore della novella legislativa, e cioè al 1° gennaio 2005, come appunto nel caso di specie.

7. Le ragioni per le quali la Sezione ritiene di porre la questione pregiudiziale ex art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, muovono sostanzialmente dall'esigenza di completare l'interpretazione, da parte della giurisprudenza comunitaria, delle disposizioni del diritto dell'Unione e dalle altre pronunce delle Istituzioni europee in tema di tutela, sotto il profilo retributivo, della lavoratrice madre, al fine di chiarirne l'applicazione nel giudizio.

8. Come detto nelle premesse al punto I, dopo le numerose pronunce della Corte Costituzionale che hanno escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., almeno come prospettato nelle ordinanze di rimessione dai giudici “a quo”, la questione che residua ed è ancor più rilevante nel presente giudizio è se il medesimo art. 3, primo comma, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sia compatibile con il diritto comunitario, nelle varie disposizioni in cui vi si assicura la tutela della maternità e la non discriminazione tra i sessi, anche sotto il profilo retributivo riferito al lavoro dipendente.

Il trattamento deteriore che un magistrato di sesso femminile, come la ricorrente, ha subito durante il periodo di congedo obbligatorio per maternità fruito anteriormente al 1° gennaio 2005, rispetto alla generalità dei suoi colleghi, per effetto dell’art. 3, primo comma, cit. nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (si noti, l’unica applicabile al caso in esame, per effetto della giurisprudenza della Corte costituzionale sopra citata), potrebbe infatti integrare una violazione dei principi, validi per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, contenuti nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, negli artt. 157 (ex art.141 TCE), in quanto discriminazione nel trattamento retributivo fondata sul sesso, e 158 (ex art. 142 TCE), secondo cui “gli Stati membri si adoperano a mantenere l'equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito”.

9. Il principio della parità retributiva tra lavoratori di sesso maschile e femminile per lavori identici o di equivalente impegno, inizialmente rivolto a prevenire distorsioni della concorrenza all’interno del mercato comune riconducibili a casi patologici di sottoretribuzione del lavoro femminile, è poi divenuto, per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e delle intuibili implicazioni di politica sociale, un vero e proprio diritto fondamentale della persona (cfr. la direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, del 5 luglio 2006, cui in Italia è stata data attuazione soltanto con il d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5).

Il Giudice comunitario ne ha affermato l’efficacia diretta nei confronti non solo degli Stati membri ma anche dei singoli datori di lavoro, in quanto “principio fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario” (cfr. Corte di Giustizia, 10 febbraio 2000, in causa C-50/96, Deutsche Telekom, cit., e Corte di Giustizia, 26 giugno 2001, in causa C-381/99, Brunnhofer v. Bank der Österreichischen Postsparkasse AG). La giurisprudenza comunitaria ha estensivamente compreso, nella nozione di retribuzione, “il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo”. Natura retributiva è stata quindi riconosciuta, ad esempio, alle indennità di malattia pagate dal datore di lavoro od alle somme che lo stesso corrisponde, in virtù della legge o di convenzioni collettive, ad una lavoratrice durante il congedo di maternità, in quanto fondate sul rapporto di lavoro. Perché sussista una discriminazione rilevante ed incompatibile con il diritto comunitario, la verifica deve effettuarsi su ciascuna voce retributiva e non sul trattamento economico complessivamente considerato, accertando se le eventuali differenze possano considerarsi esenti o meno da qualsiasi discriminazione basata sulla diversità di sesso (cfr. Corte di Giustizia, 13 luglio 1989, in causa 171/88, Rinner-Kuehn v. FWW Spezial- Gebaeudereinigung GmbH & Co KG; 13 febbraio 1996, in causa C-342/93, Gillespie e a. v. Northern Health and Social Services Board; 27 ottobre 1998, in causa C-411/96, Boyle e a. v. Equal Opportunities Commission; 30 marzo 2004, in causa C-147/02, Alabaster v. Woolwich; 6 aprile 2000, in causa C-226/98, Jørgensen v. Foreningen af Speciall&ger e Sygesikringens Forhandlingsudvalg; 26 giugno 2001, in causa C-381/99, Brunnhofer, cit.).

10 È poi fondamentale la distinzione data dalla giurisprudenza comunitaria tra forme di discriminazione diretta ed indiretta, alla cui verifica occorre che uomo e donna si trovino in situazioni lavorative effettivamente comparabili, ad esempio sotto l’aspetto della qualificazione professionale dei lavoratori, e che possano essere ricondotte ad unico datore di lavoro in ipotesi responsabile della disuguaglianza, pur non essendo necessario che i lavoratori posti a confronto si trovino alle dipendenze di un datore di lavoro della medesima natura (Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-320/00, Lawrence e a. v. Regent Office Care Ltd, Commercial Catering Group e Mitie Security Services Ltd.; 13 gennaio 2004, in causa C-256/01, Allonby v. Accrington & Rossendale College; 27 ottobre 1993, in causa C-127/92, Pamela Mary Enderby v. Frenchay Health Authority e Secretary of State for Health). Del resto, la Corte di Giustizia ha più volte affermato che, qualora il pregiudizio arrecato a una donna sia dovuto al suo stato di gravidanza, la stessa sarà considerata oggetto di discriminazione diretta basata sul sesso, senza necessità di un termine di confronto (sentenza 8 novembre 1990, causa C-177/88, Dekker c. Stichting Vormingscentrum voor Jong Volwassenen Plus; nello stesso senso, sentenza 14 luglio 1994, causa C-32/93, Webb c. EMO Air Cargo Ltd).

11. La giurisprudenza comunitaria ha altresì fatto applicazione dei principi di parità e non discriminazione in relazione alla situazione della lavoratrice in congedo per maternità, riconoscendo innanzitutto la legittimità di una disciplina speciale a protezione della maternità per la speciale condizione della donna lavoratrice nel periodo della gestazione e del puerperio, giustificando così le specifiche misure per “garantire una sostanziale parità” della donna lavoratrice (direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 sulle pari opportunità e la parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, al ventiquattresimo Considerando, ma lo stesso principio era già espresso nell’art. 2, comma 7, della direttiva 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE).

12. Per converso, e nella stessa ottica, non sono stati ritenuti discriminatori i benefici concessi alla sola lavoratrice in relazione allo stato di maternità o comunque agli oneri connessi alla crescita del figlio, “qualora il vantaggio concesso al solo lavoratore di sesso femminile sia destinato a compensare svantaggi professionali derivanti ad un tale lavoratore in seguito all’allontanamento dal posto di lavoro che il congedo di maternità comporta”.

Tutta la citata giurisprudenza comunitaria, quindi, è univocamente orientata a far sì che lo stato di maternità non determini una condizione deteriore nel rapporto di lavoro della lavoratrice madre interessata.

Già la direttiva 76/207 disponeva che “un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE costituisce una discriminazione” (art.2, comma 7). Analoga previsione è oggi contenuta nell’art. 2, comma 3, lett. c) della direttiva n. 54 del 2006, la quale, al ventitreesimo Considerando, ricorda, inoltre, come "dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso”, della quale non sono ammesse ragioni giustificative (cfr. Corte di Giustizia, 18 novembre 2004, in causa C- 284/02, Land Brandenburg v. Sass, che ha negato che la lavoratrice madre possa subire un trattamento sfavorevole con riguardo ai requisiti necessari ad accedere ad un livello superiore della gerarchia professionale).

13. Non possono pertanto ammettersi trattamenti sfavorevoli di alcun tipo che possano anche solo indirettamente dipendere dalla circostanza che la lavoratrice ottenga o abbia ottenuto un congedo per maternità, e ciò per non incorrere in una discriminazione direttamente fondata sul sesso, nel senso inteso dalla direttiva 76/207 (v. sentenze 13 febbraio 1996, causa C342/93, Gillespie e a.; 30 marzo 2004, causa C147/02, Alabaster). Nello stesso senso, la Corte UE ha ritenuto incompatibile col diritto comunitario una disciplina che posticipava la data di entrata in servizio della lavoratrice alla fine del congedo di maternità, senza prendere in considerazione tale periodo ai fini dell’anzianità di servizio:, affermando che “un lavoratore di sesso femminile è tutelato, nel suo rapporto di lavoro, contro ogni trattamento sfavorevole motivato dalla circostanza che egli usufruisca o abbia usufruito di un congedo per maternità” e “una donna che subisca un trattamento sfavorevole a causa di un'assenza per congedo di maternità è vittima di una discriminazione che ha origine nella sua gravidanza e nel detto congedo” (Corte di Giustizia, 16 febbraio 2006, causa C-294/04, Sarkatzis Herrero v. Instituto Madrileño de la Salud p. 39). Ed ancora, è stata dichiarata incompatibile con l’art. 6, n. 1, lett. g), della direttiva 86/378, come modificata dalla direttiva 96/97, una disposizione che aveva l’effetto di interrompere l’acquisto dei diritti ad una rendita assicurativa durante i congedi obbligatori di maternità, in quanto imponeva come condizione che la lavoratrice percepisse un reddito imponibile durante tali congedi (Corte di Giustizia, 13 gennaio 2005, causa C-356/03, Mayer v. Versorgungsanstalt des Bundes und der Lander), e ritenuta altresì una diretta discriminazione la pretesa del datore di lavoro di motivare con lo stato di gravidanza della lavoratrice il diniego di reintegrazione nel posto di lavoro prima della scadenza del congedo parentale (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, in causa C-320/01, Bush v. Klinikum Neustadt GmbH & Co. Betriebs-KG; 30 aprile 1998, in causa C-136/95 Caisse Nationale d'assurance vieillesse des travailleurs salariés (CNAVTS) v. Thibault, ove si è testualmente (punto 32) affermato che “una donna che subisce un trattamento sfavorevole per quanto riguarda le sue condizioni di lavoro, nel senso che viene privata del diritto di ricevere il suo rapporto informativo annuale e, conseguentemente, di ottenere una promozione, a causa di un'assenza per maternità, è vittima di una discriminazione che ha origine nella sua gravidanza e nel suo congedo di maternità.

Un comportamento del genere costituisce una discriminazione direttamente basata sul sesso ai sensi della direttiva”.

In modo ancor più esplicito, la sentenza della Corte UE 6 marzo 2014 causa C 595/12 Loredana Napoli v. Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP) ha affermato che:

- l’art. 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento;

- l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 non si applica a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attività ai soli lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso a tale attività da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternità obbligatorio;

- le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.

A conferma, “a contrariis”, di quanto sopra riportato, la Corte di giustizia in due sentenze della Grande Sezione dell’8 marzo 2014, nelle cause C-167/12 C.D. v. S.T. e C-363/12 Z. v. A., ha anche affermato che il diritto dell’Unione europea non riconosce alla madre committente, che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, il congedo retribuito equivalente al congedo di maternità o di adozione.

14. Quanto alla determinazione dell’ammontare della retribuzione/indennità dovuta alla lavoratrice in congedo di maternità (con specifico riferimento all’art.8 della direttiva 92/85/CEE del 19 ottobre 1992), la Corte ha ritenuto che una lavoratrice gestante, con una retribuzione anteriore all’assegnazione temporanea ad altro posto composta da uno stipendio di base e da una serie di integrazioni dovute all’esercizio di specifiche funzioni essenzialmente dirette a compensare gli inconvenienti collegati a tale esercizio (per esempio lavoro notturno, lavoro domenicale, lavoro straordinario), non può esigere la conservazione dell’intera retribuzione percepita prima della temporanea assegnazione. Essa però conserva oltre allo stipendio di base il diritto a percepire le integrazioni che si ricollegano al suo status professionale, legate per esempio alla sua qualità di superiore gerarchico, alla sua anzianità e alle sue qualifiche professionali (sentenza del 1° luglio 2010, causa C-471/08, Parviainen v. Finnair Oyj). In un diverso caso in cui la ricorrente aveva richiesto di mantenere il diritto al pagamento dell’indennità per servizi di guardia, nel periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per motivi di sicurezza e salute (art. 5 n.3 della direttiva 92/85/CEE del 19 ottobre 1992), la Corte questa volta ha assimilato, ai fini del calcolo della retribuzione da corrisponderle, la posizione della lavoratrice dispensata dal lavoro (art. 5 par. 3) con quello della lavoratrice in congedo di maternità (art. 8). In entrambi i casi la Corte ha concluso che fosse compatibile con la direttiva 92/85/CEE una normativa nazionale che riconosce alla lavoratrice il diritto a una retribuzione equivalente allo stipendio medio dalla stessa percepito nel corso di un periodo di riferimento anteriore all’inizio della gravidanza o all’inizio del congedo, con l’esclusione però dell’indennità per servizi di guardia. La Corte ha però aggiunto che nessuna disposizione della direttiva 92/85/CEE impedisce agli Stati membri o, eventualmente, alle parti sociali di prevedere il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione, compresa quindi anche la suddetta indennità (sentenza 1° luglio 2010, causa C 194/08 Gassmayr v. Bundesminister für Wissenschaft und Forschung).

15. Nella Carta sociale europea (riveduta), firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, si afferma (Parte I, art. 8) che “le lavoratrici, in caso di maternità, hanno diritto ad una speciale protezione….Per garantire l'effettivo esercizio del diritto delle lavoratrici madri ad una tutela, le Parti s'impegnano…a garantire alle lavoratrici prima e dopo il parto … un congedo retribuito sia mediante adeguate prestazioni di sicurezza sociale o con fondi pubblici”. Né può infine trascurarsi la recente “Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2015 sui progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell'Unione europea nel 2013 n. 2014/2217 (INI)”, dove si afferma, tra l’altro, nel considerando B, “il principio della parità di trattamento fra donne e uomini comporta il divieto di qualunque discriminazione, diretta o indiretta, anche per quanto riguarda la maternità, la paternità e il fatto di condividere responsabilità familiari”; al punto 12 si “insiste sull'impellente necessità di ridurre i divari retributivi e pensionistici tra donne e uomini” ed al punto 13 si “deplora con la massima durezza il fatto che le donne non ricevano la stessa retribuzione nei casi in cui svolgono le stesse funzioni degli uomini o funzioni di pari valore”.

16. A conclusione dell'excursus, e sempre per ribadire la rilevanza della questione in questo giudizio, non può non farsi notare che all'indennità giudiziaria è stata implicitamente riconosciuta la natura di componente non eventuale della retribuzione del magistrato, e comunque del tutto indipendente e svincolata dal collocamento in congedo obbligatorio, e ciò per effetto dello stesso comma 325 della L. 311/2004, che l'ha appunto estesa al servizio trascorso in congedo per maternità (anche se a decorrere dal 2005).

Quanto ad un diverso profilo della rilevanza della sollevata questione di legittimità comunitaria, in relazione alla eventuale prescrizione del diritto qui azionato, si fa notare che la relativa eccezione non è mai stata proposta dall'Amministrazione in questo giudizio e dunque non può essere presa in esame, tanto meno per la verifica della rilevanza della questione comunitaria, e ciò per la preclusione derivante dagli artt. 2938 del codice civile e 112 del codice di procedura civile.

II. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE DA SOTTOPORRE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA.

17. Preliminarmente, va segnalato che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quando il Consiglio di Stato, in sede Consultiva, emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, esercita una funzione giurisdizionale ed è quindi un organo di giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (così Corte di Giustizia CE del 16 ottobre 1997, nei procedimenti riuniti da C-69/96 a C-79/96), ora art. 267 del TFUE.

Oltretutto, la funzione giustiziale del Consiglio di Stato, in sede consultiva, è stata medio tempore assimilata a quella giurisdizionale, per effetto sia dell’allineamento dei limiti del proprio sindacato giustiziale alle materie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. art. 7, comma 8, del D.lgs 2 luglio 2010, n. 104), sia della nuova formulazione degli artt. 13 e 14 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 disposta dall’art 69 della L. 18 giugno 2009, n. 69, in ordine alla possibilità di sollevare innanzi alla Corte Costituzionale incidenti di costituzionalità delle leggi e alla vincolatività dei propri pareri.

Non vi è dubbio inoltre, nonostante l’art. 267 del TFUE nel secondo paragrafo riporti testualmente "questione … sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri", che tale questione possa sollevarsi anche d'ufficio, e non soltanto su eccezione delle parti (cfr. Corte di Giustizia UE, grande sezione 15 gennaio 2013 C-416/10, Jozef Križan e A. v. Slovenská inšpekcia životného prostredia).

22. Alla luce di quanto sopra, ritiene questo Collegio di sottoporre all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), le seguenti questioni in ordine all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell'Unione:

«se l’art.11, paragrafo 1 nn.1, 2 lett. b), 3 e l’ultimo e penultimo Considerando della direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, nonché gli artt. 157 TFUE (ex art.141 TCE), paragrafi 1, 2, e 4; l’art. 158 TFUE (ex art. 142 TCE), ove prescrive che “gli Stati membri si adoperano a mantenere l'equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito”; gli artt. 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, in combinato disposto tra loro, nonché l’art. 15 ed il 23° e 24° Considerando della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, ed infine l’art.23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea 2000/C 364/01, ostino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non consenta di corrispondere l’indennità ivi prevista per i periodi di congedo obbligatorio per maternità anteriori al 1° gennaio 2005».

IV. ATTI DA TRASMETTERE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE.

23. Ai sensi della “nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali” 2011/C 160/01, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea 28 maggio 2011, è dato mandato alla Segreteria della Sezione di trasmettere, mediante plico raccomandato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cour de Justice de l’Union Européenne – Palais de la Cour de Justice, Boulevard Konrad Adenauer, Kirchberg, L - 2925 Luxeembourg), i seguenti atti:

- copia dei provvedimenti impugnati con il ricorso straordinario;
- copia del ricorso straordinario, nonché della relazione dell'Amministrazione e delle memorie prodotte dalle parti;
- copia dell'ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale;
- copia del presente parere interlocutorio;
- copia delle seguenti norme nazionali: art. 7 del codice del processo amministrativo; D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 nel testo attualmente in vigore; art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27; art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO.

24. Il presente giudizio viene sospeso ai sensi dell’art. 267 del TFUE, nelle more della definizione dell’incidente pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e ogni ulteriore pronuncia è riservata alla definizione dell’incidente medesimo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione II, rimette la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinché decida, ai sensi dell’art. 267, lett. a) e comma 2, TFUE, sul quesito sopra specificato.

Insta affinché la questione pregiudiziale di cui ai quesiti suddetti sia trattata secondo la procedura accelerata di cui all’art. 105 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 settembre 2012.

Nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sospende l’emissione del richiesto parere sul ricorso straordinario.

Ordina la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a cura della Segreteria.



IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Sergio Santoro




IL SEGRETARIO
Marisa Allega
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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Paren

Messaggio da panorama »

Se può giovare a qualcuno.

Ricorso ACCOLTO.

Cmq. questa sentenza del Tar Lazio prende in esame tutta la materia del Congedo per la tutela della “maternità” e dei benefici economici connessi, pertanto, vi consiglio di leggerla lutta, anche se riguarda quattro ricorrenti, tutte Avvocati dello Stato, poichè potreste "trovare" qualche beneficio che vi spetta di diritto.
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1) - evidenziavano di aver usufruito di periodi di astensione obbligatoria “per maternità”, ai sensi dell’art. 41 del d.p.r. n. 3/1957.

2) - normativa speciale a sostegno e tutela della maternità e paternità, riconducibile al d.lgs. n. 151/2001, il cui art. 1, nello specifico, prevede che il trattamento economico che compete alla donna in congedo obbligatorio per maternità è derogabile solo per effetto di norme di maggior favore, le ricorrenti affermavano che in tale trattamento doveva essere ricompreso l’art. 41 del T.U. n. 3/57, che assicura alla gestante “tutti gli assegni”, specie quando, come quello corrispondente al riparto in questione, hanno certamente natura retributiva, e ciò anche al fine di dare concreta attuazione al principio fondamentale di parità tra generi, ai sensi dell’art. 37 Cost. nonché delle disposizioni ultranazionali di cui all’art. 157 T.F.U.E, all’art. 23 della Carta dei Diritti Fondamentali U.E. e alla direttiva 2006/54/CE, al fine di assicurare alla lavoratrice gestante e madre una situazione di effettiva parità in materia di occupazione, lavoro e retribuzione.

3) - secondo la loro ricostruzione, era avvalorata anche dalla “ratio” della l. n. 53/2000, recante disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, come propugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Organo da cui dipende la stessa Avvocatura dello Stato, nella Circolare n. 14 del 16.11.2000, la quale - sul punto - precisa che: “le lavoratrici madri, durante tutto il periodo di astensione obbligatoria dall’impiego, in applicazione dei contratti collettivi, hanno diritto all’intera retribuzione fissa mensile, nonché al relativo trattamento accessorio.”

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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201610048, - Public 2016-10-05 -

Pubblicato il 05/10/2016

N. 10048/2016 REG.PROV.COLL.
N. 13721/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13721 del 2014, proposto da:
Lucrezia F., Verdiana F., Raffaella F., Wally F., rappresentate e difese dall'avvocato Costantino Ventura C.F. VNTCTN53A03A662M, con domicilio eletto presso Lucrezia Fiandaca in Roma, via San Liberio, 21;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Avvocatura dello Stato, rappresentati e difesi per legge dalla medesima Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di
Marina R., non costituita in giudizio;

per ottenere
in favore di ciascuna delle ricorrenti, e nelle misure che saranno rispettivamente in appresso indicate, previa concessione delle misure cautelari e previa eventuale rimessione di atti e parti dinanzi alla Corte di Giustizia e/o la Corte Costituzionale, la corresponsione delle competenze spettanti ai sensi dell'art. 21 R.D. n. 1611/1933, maturate dalle ricorrenti a titolo di onorari di causa per i periodi di astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio, oltre rivalutazione monetaria e interessi, e con vittoria di spese e rimborso del contributo unificato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Avvocatura Generale dello Stato, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 2182/2016 del 18.2.16;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 20 luglio 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con gravame avanti a questo Tribunale, ritualmente notificato (anche a un soggetto controinteressato) e depositato, le quattro ricorrenti, tutte Avvocati dello Stato con diverse decorrenze e relative classi stipendiali ivi indicate, evidenziavano di aver usufruito di periodi di astensione obbligatoria “per maternità”, ai sensi dell’art. 41 del d.p.r. n. 3/1957, con godimento dell’intero trattamento economico, compresa l’indennità di cui all’art. 2 della L. 6.8.1984 n. 425, ma con esclusione dalla partecipazione al riparto delle competenze di cui all’art. 21 del R.D. 30.10.1933 n. 1611, pur risultando in detti periodi assegnatarie di numerosi affari, con significativo aumento del carico di lavoro complessivo.

Specificavano, inoltre, di aver conosciuto – tramite corrispondenza con l’Avvocatura Generale dello Stato – i compensi goduti dai colleghi in servizio nella medesima classe stipendiale, comprensivi del suddetto “riparto”, e di aver preso atto di nota del Segretario Generale in cui si specificava che la mancata elargizione era dovuta all’applicazione dell’art. 12 del d.p.c.m. 29.2.1972 in cui era stabilito che il diritto al riparto era escluso in tutti i casi di collocamento in aspettativa e in congedo straordinario, facendo salvi solo quelli ex art. 37, 2 co., T.U. n. 3/57 cit., tra i quali non era ricompresa la “maternità”.

Riportando la disposizione di cui all’art. 21 r.d. n. 1611/1933 cit., le ricorrenti proponevano nella sostanza una domanda di accertamento, previa adozione di misure cautelari, del loro diritto ad ottenere ugualmente l’integrale riparto, evidenziandone la piena natura “retributiva”, secondo la relativa nozione “onnicomprensiva” di cui all’art. 2099 c.c., come confermata espressamente anche dal legislatore con l’art. 9 d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014 e con l’art. 157 del T.F.U.E. - dei quali era riportato il testo per la parte di interesse - nonché ai sensi della Circolare I.N.P.S. n. 6 del 16.1.14, pure riportata.

Richiamando, poi, la normativa speciale a sostegno e tutela della maternità e paternità, riconducibile al d.lgs. n. 151/2001, il cui art. 1, nello specifico, prevede che il trattamento economico che compete alla donna in congedo obbligatorio per maternità è derogabile solo per effetto di norme di maggior favore, le ricorrenti affermavano che in tale trattamento doveva essere ricompreso l’art. 41 del T.U. n. 3/57, che assicura alla gestante “tutti gli assegni”, specie quando, come quello corrispondente al riparto in questione, hanno certamente natura retributiva, e ciò anche al fine di dare concreta attuazione al principio fondamentale di parità tra generi, ai sensi dell’art. 37 Cost. nonché delle disposizioni ultranazionali di cui all’art. 157 T.F.U.E, all’art. 23 della Carta dei Diritti Fondamentali U.E. e alla direttiva 2006/54/CE, al fine di assicurare alla lavoratrice gestante e madre una situazione di effettiva parità in materia di occupazione, lavoro e retribuzione.

La stessa direttiva in questione, poi, all’art. 9, indicava tra gli esempi di discriminazione proprio l’interrompere il mantenimento o l’acquisizione dei diritti durante i periodi di congedo per maternità.

Premesso ciò, le ricorrenti precisavano che l’omessa corresponsione del “riparto” in questione era quindi dipesa da una errata interpretazione dell’art. 12 del “Regolamento per la riscossione, da parte dell’Avvocatura dello Stato, degli onorari e delle competenze di spettanza e per la relativa ripartizione” approvato con il richiamato d.p.c.m. del 29.2.1972, nella parte in cui prevedeva che “…Non si ha, inoltre, diritto a riparto per tutto il tempo trascorso in aspettativa, a disposizione, in disponibilità o in congedo straordinario, esclusi i casi previsti dall’art. 37, secondo comma del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3…”.

Per le ricorrenti, la situazione di congedo straordinario considerata dall’art. 12 quale causa di esclusione dal diritto a concorrere al riparto non poteva essere quella di astensione obbligatoria per maternità e puerperio, secondo i principi sopra richiamati, ma unicamente quella di congedo facoltativo, caratterizzato dall’essere fondato su “gravi motivi”, quindi non predeterminati dal legislatore, dall’essere assentibile “discrezionalmente” dall’Amministrazione, con conseguente posizione soggettiva di interesse legittimo dell’interessato e non di diritto soggettivo, dall’essere una forma di tutela “ulteriore” se chiesto dalla lavoratrice come misura ulteriore rispetto al congedo obbligatorio “per maternità”, dall’essere collegato a trattamento economico deteriore disposto dallo stesso legislatore, ai sensi dell’art. 40 T.U. cit.

Il congedo obbligatorio per gravidanza e puerperio, invece – illustravano le ricorrenti – “…a) è concesso solo in ipotesi di maternità e puerperio; b) costituisce un diritto irrinunciabile per la puerpera, sottratto a qualunque valutazione discrezionale da parte della P.A., alla quale è fatto espresso divieto di adibire la donna al lavoro; c) è concesso solo ‘una tantum’, in ragione dell’accertata sussistenza dei presupposti di legge e per un periodo minimo e massimo legislativamente predefinito (periodo compreso tra i due mesi antecedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi alla data del parto stesso); d) costituisce la tutela minima e irrinunciabile di ogni lavoratrice dipendente che si trovi in prossimità del parto; e) è soggetto pertanto a un trattamento economico di maggior favore rispetto a qualsivoglia forma di congedo, ivi compresa la malattia, competendo alla donna in congedo obbligatorio ‘tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario’ senza decurtazione alcuna”.

L’interpretazione dell’art. 12 come proposta dalle ricorrenti, secondo la loro ricostruzione, era avvalorata anche dalla “ratio” della l. n. 53/2000, recante disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, come propugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Organo da cui dipende la stessa Avvocatura dello Stato, nella Circolare n. 14 del 16.11.2000, la quale - sul punto - precisa che: “le lavoratrici madri, durante tutto il periodo di astensione obbligatoria dall’impiego, in applicazione dei contratti collettivi, hanno diritto all’intera retribuzione fissa mensile, nonché al relativo trattamento accessorio.”

Tali principi erano poi confermati nel richiamato d.lgs. n. 151/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), ai relativi artt. 2 e 23, comma 2, ove è presente il riferimento ai trattamenti “accessori” su precisa richiesta del Consiglio di Stato e della Commissione Lavoro pubblico e privato, trattamenti accessori tra cui devono essere ricompresi anche gli onorari e le competenze spettanti agli Avvocati e Procuratori dello Stato, che anche ai fini fiscali e contributivi vengono ritenuti redditi da lavoro dipendente.

Ogni diversa conclusione, pertanto, coincidente con l’interpretazione dell’art. 12 cit. richiamata dall’Avvocatura dello Stato, perverrebbe alla conseguenza di sanzionare, anziché tutelare, la gravidanza, parificandola illogicamente alle altre ipotesi di esclusione dal diritto a parte della retribuzione (abbandono dell’Ufficio senza giustificato motivo, destituzione, decadenza, dispensa dal servizio per scarso rendimento), certamente non assimilabili a quella in discussione.

E ciò con l’aggravante che tale esegesi tratterebbe in modo deteriore l’ipotesi di congedo obbligatorio per maternità, a cui la legge invece riserva un trattamento economico di maggior favore (“tutti gli assegni”, senza alcuna decurtazione), rispetto alle ipotesi di congedo per matrimonio o per esami, soggetti invece alla disciplina di cui all’art. 40 d.p.r. 3/57, cit. e alle relative decurtazioni.

Nel caso di specie, quindi, si profilerebbe un’ipotesi di contrasto del Regolamento, che esclude il diritto ad una parte della retribuzione durante la gravidanza, con la Legge, che invece tale diritto riconosce e assicura, differenziando e privilegiando l’ipotesi del congedo obbligatorio per maternità da ogni altra ipotesi di congedo e assenza, ivi compresa la malattia. Peraltro, aggiungevano le ricorrenti, l’interpretazione secondo la quale l’art. 12 del Regolamento si riferisce anche al congedo straordinario per gravidanza, ne comporterebbe l’inevitabile disapplicazione.

Il Regolamento, infatti, pur se avente natura “sostanzialmente” normativa, non può, per il principio di gerarchia delle fonti, porsi in contrasto con norme di rango superiore e la necessità di disapplicare la disposizione regolamentare in aperto contrasto con la norma primaria è peraltro senza alcun dubbio doverosa anche per il giudice amministrativo, vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva, ed essendo la spettanza delle competenze per cui è causa un vero e proprio diritto soggettivo, secondo soluzioni assolutamente pacifiche e convincenti alle quali è pervenuta la giurisprudenza.

La contestata interpretazione, inoltre, si poneva anche in contrasto con il diritto comunitario, ai sensi della su richiamata direttiva 2006/54/CE (artt. 9, 14 e 15).

Le ricorrenti, in subordine, evidenziavano infatti che, ove si dovesse ritenere che il riferimento contenuto dall’art. 41 T.U. n. 3/57 a “tutti gli assegni” fosse da intendersi come a “tutti gli assegni escluse le competenze di cui all’art 21 del R.D. n. 1611/33”, e il disposto di cui all’art. 23 del t.u. della maternità come riferibile a tutti “i premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice”, ma con l’esclusione degli onorari di causa, si imponeva anche un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle prefate disposizioni, ovvero, in via gradata, la rimessione di tale questione alla Corte Costituzionale e/o alla Corte di Giustizia UE, per evidente contrasto, oltre che con il principio di ragionevolezza, con i puntuali riferimenti normativi e costituzionali prima richiamati.

Le ricorrenti precisavano ulteriormente che i compensi in questione non riguardavano prestazioni di lavoro straordinario, che ovviamente non avevano potuto compiere durante il periodo di astensione obbligatoria, sebbene destinatarie di assegnazioni che avevano incrementato il carico di lavoro rendendo non irrilevante, ai fini della prestazione lavorativa, l’assenza dal servizio (come invece avviene in ipotesi di collocamento “fuori ruolo”, in cui non solo non vengono assegnati nuovi affari, ma vengono riassegnati agli altri colleghi gli affari già in carico).

Anzi, il fatto che le ricorrenti potevano essere - ed erano state - destinatarie di assegnazioni anche durante tale periodo di congedo “obbligatorio”, dimostrava non solo la ingiustificata e illogica differenza rispetto al trattamento economico dei “fuori ruolo”, ma anche l’inesistenza di un nesso di corrispettività non solo tra gli onorari e il lavoro, ma anche tra gli onorari e le assegnazioni degli affari.

Infatti, quanto alle modalità di percezione, le ricorrenti precisavano che gli onorari sono liquidati avendo riguardo alle somme effettivamente recuperate dalle Amministrazioni (spese compensate) o dai privati (spese vinte), all’esito di un complesso procedimento che può essere attivato quadrimestralmente solo dopo che il titolo su cui si fonda il recupero è divenuto “irretrattabile” (art.5 d.p.c.m. cit.).

Ciò sta a significare che il compenso percepito non dipende dal lavoro svolto dai Procuratori e dagli Avvocati dello Stato “in servizio” durante il quadrimestre - il che potrebbe eventualmente giustificare un’esclusione dal riparto – né tantomeno dall’essere o meno destinatari di assegnazioni durante quel periodo (circostanza peraltro che si era concretamente verificata per le ricorrenti) ma che le somme incassate riguardano prestazioni professionali necessariamente rese in un momento antecedente, quindi anche dalle ricorrenti stesse. Con l’aggravante che è l’Avvocatura a decidere quali titoli azionare per prima, per cui le somme incassate in un determinato quadrimestre dipendono in parte dagli adempimenti delle controparti, e dunque dal caso, e in parte dalla solerzia dell’Avvocatura nell’azionare i crediti.

Rinviata la domanda cautelare alla trattazione del merito, si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, con documentazione e una memoria orientata a confutare le ragioni delle ricorrenti nonché, in virtù del carattere di “stabilità” reale del rapporto di pubblico impiego, ad eccepire la prescrizione dei crediti ultraquinquennali dalla notificazione del ricorso o da altro atto interruttivo documentato.

In prossimità della pubblica udienza del 10.2.2016 anche le parti ricorrenti depositavano rituali memorie (le ricorrenti anche “di replica”, ove osservavano che, ad ogni modo, per la sola ricorrente F.. era rinvenibile un breve periodo precedente al quinquennio anteriore alla relativa diffida del 18.9.2014 da considerarsi interruttiva del termine) ad ulteriore sostegno delle rispettive tesi.

Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione disponeva incombenti istruttori, consistenti, per le ricorrenti, nell’integrazione del contraddittorio, anche mediante notificazione per pubblici proclami, nei confronti di tutti i Procuratori e Avvocati dello Stato nonché, per le parti pubbliche, nel deposito di un prospetto completo indicante con precisione, per il periodo in considerazione, la data di assegnazione di ciascun affare a ogni ricorrente, il tipo di affare e il relativo esito, con una dettagliata relazione sulle esatte modalità di ripartizione delle competenze di cui all’art. 21 r.d. cit. tra tutti i Procuratori e Avvocati dello Stato.

Dopo la rituale ottemperanza a tale disposizione per quanto di rispettiva incombenza, le parti depositavano ulteriori memorie in prossimità della successiva udienza pubblica (le ricorrenti anche “di replica”) e, alla data del 20.7.2016, la causa era trattenuta nuovamente in decisione.

DIRITTO

Ai fini di un chiaro approccio alla fattispecie, il Collegio ritiene opportuno richiamarne i fondamenti normativi e regolamentari.

Le norme di rango primario invocate dalle ricorrenti sono le seguenti:

a) l’art. 21, commi 1 e 2, r.d. 30.10.1933, n. 1611 (come sostituiti dall’art. 27 l. n. 103/1979 e poi modificati dall’art. 43, comma 1, n. 69/2009), secondo il quale: “L'avvocatura generale dello Stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione.

Con l'osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre 1971, numero 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello Stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse, siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione…”;

b) l’art. 41 del d.p.r. 10.1.1957, n. 3, secondo cui: “All'impiegata che si trovi in stato di gravidanza o puerperio si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri; essa ha diritto al pagamento di tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario.

Per i periodi anteriore e successivo al parto in cui, ai sensi delle norme richiamate nel precedente comma, l'impiegata ha diritto di astenersi dal lavoro, essa è considerata in congedo straordinario per maternità.

Alle ipotesi previste nel presente articolo, si applica la disposizione di cui all'ultimo comma dell'articolo 40”;

c) l’art. 1, comma 2, d.lgs. 26.3.2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), secondo il quale la disciplina di cui a tale Testo Unico si applica: “…fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione.” nonché gli artt. 16 e 20 d.lgs. cit., per i quali – rispettivamente - è sancita l’obbligatorietà del congedo, con conseguente divieto per le donne di essere adibite al lavoro per i periodi ivi indicati al comma 1, lett. a)-d), e la flessibilità, laddove è prevista per le lavoratrici “…la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.”

A queste, devono aggiungersi le norme di ordine “generale” di cui all’art. 37 Cost. nonché all’art. 2099 c.c. (sulle modalità di retribuzione del prestatore di lavoro) e all’art. 37 d.p.r. n. 3/57 cit. (sul “congedo straordinario”), a cui affiancare quelle di rango “sovranazionale”, quali l’art. 157 del TFUE, l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali della U.E. e la direttiva 2006/54/CE, laddove orientata a sancire il principio di parità di trattamento e protezione della condizione biologica della donna durante la gravidanza e la maternità e il divieto di ogni discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso (art. 4) e, più specificamente, dell’interruzione del mantenimento o dell’acquisizione di diritti durante i periodi di congedo per maternità (art. 9, par. 1, lett. f).

Va detto che ne emerge la corrispettiva qualificazione in termini di “diritto soggettivo” della relativa posizione giuridica della “lavoratrice gestante/madre”, che non è peraltro contestata dalla difesa erariale, la quale, anzi, nell’eccepire la “prescrizione” – fermo quanto sarà in prosieguo specificato sul punto – si richiama ad un istituto proprio dei diritti soggettivi.

Tant’è che l’opposizione alla richiesta delle ricorrenti è stata fondata, secondo il contenuto di note identiche del Segretario Generale in seguito alla presentazione di esplicita diffida, non sull’impedimento riconducibile a norme di rango primario bensì unicamente sulla sussistenza del richiamo alla norma di rango secondario di cui all’art. 12 del d.p.c.m. 29.2.1972 (recante “Regolamento per la riscossione, da parte dell'Avvocatura dello Stato, degli onorari e delle competenze di spettanza e per la relativa ripartizione”), che prevede – secondo la suddetta nota - il mancato “diritto” al riparto ”… tra gli altri, in tutti i casi di collocamento in aspettativa e in congedo straordinario, facendo salvi i casi di congedo straordinario ex art. 37, 2° co. del T.U. n. 3/57...” tra i quali “…non è ricompresa la maternità”.

Per completezza, la norma in questione prevede infatti che: “Non hanno diritto a partecipare al riparto, per il corrispondente periodo, coloro che sono collocati fuori ruolo. Colui che senza giustificato motivo abbandoni l'Ufficio e non ottemperi all'invito di ritornarvi, perde la quota quadrimestrale corrispondente al tempo dell'abusiva assenza. Non si ha, inoltre, diritto a riparto per tutto il tempo trascorso in aspettativa, a disposizione, in disponibilità o in congedo straordinario, esclusi i casi previsti dall'art. 37, secondo comma del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, nonché i casi dell'aspettativa per richiamo alle armi e per infermità per causa di servizio, di cui, rispettivamente, al II comma dell'art. 67 e al VII comma dell'art. 68 del testo unico predetto. Il diritto al riparto viene, altresì, meno per tutto il tempo durante il quale, per qualsiasi causa, non spetti o sia ridotto lo stipendio. Si perde il diritto di concorrere al riparto allorché sia stata comminata la destituzione o dichiarata la decadenza ovvero la dispensa per scarso rendimento; in tali casi la partecipazione al riparto predetto cessa dal momento in cui si è verificato il fatto risolutivo del rapporto d'impiego. Nel caso di collocamento a riposo, di accettazioni di dimissioni volontarie, di passaggio in altre Amministrazioni dello Stato, l'impiegato partecipa al riparto fino alla data di decorrenza del provvedimento”.

E’ senza dubbio corretta, quindi, la ricostruzione delle ricorrenti, secondo le quali l’esclusione dalla partecipazione al riparto richiesto è fondata esclusivamente sulla sussistenza di tale norma regolamentare la quale prevede comunque espressamente un’eccezione, per coloro che risultano collocati in congedo “straordinario”, tipo di congedo peraltro che compete “di diritto”, ai sensi dell’art. 37, comma 2, T.U. n. 3/57 (oltre a periodi di aspettativa per richiamo alle armi o per infermità per causa di servizio), ossia “…quando l'impiegato debba contrarre matrimonio o sostenere esami o, qualora trattisi di mutilato o invalido di guerra o per servizio, debba attendere alle cure richieste dallo stato di invalidità…”.

Il Collegio, quindi, non può fare a meno di osservare che l’ipotesi di deroga al divieto in questione opera allorquando il congedo straordinario sia definibile “di diritto”, vale a dire quando non è nella facoltà discrezionale dell’Amministrazione concederlo o meno (sul punto, già: TAR Lazio, Sez. I, 10.2.1987, n. 285, secondo cui il congedo straordinario per motivi diversi da quelli elencati nell'art. 37, comma 2, cit. inerisce alla sfera degli interessi legittimi dell'impiegato, essendo demandato dalla legge ad apprezzamenti discrezionali della p. a. e pertanto è legittimo che l'esercizio di tale potere sia ispirato al contemperamento fra le pretese del dipendente e le esigenze del servizio, con la conseguenza che il congedo di cui al comma 2 cit. esula dalla discrezionalità in questione).

Sotto tale profilo, però, al Collegio appare innegabile che anche il congedo straordinario per “maternità”, peraltro obbligatorio, rientri nelle ipotesi in cui spetta “di diritto”.

Sul punto, non può che richiamarsi il contenuto dell’art. 16 d.lgs. n. 151/01, secondo cui: E' vietato adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;

b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;

c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art. 20;

d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi

Per quanto riguarda già il T.U. n. 3/57, alla norma di cui al richiamato art. 37, deve, poi, accompagnarsi quanto previsto dai successivi artt. 40 e 41, secondo i quali “…Durante il periodo di congedo ordinario e straordinario, esclusi i giorni di cui al periodo precedente, spettano al pubblico dipendente tutti gli assegni escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale e per prestazioni di lavoro straordinario…I periodi di congedo straordinario sono utili a tutti gli altri effetti” (art. 40, comma 1 e comma 3) e “All'impiegata che si trovi in stato di gravidanza o puerperio si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri; essa ha diritto al pagamento di tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario. Per i periodi anteriore e successivo al parto in cui, ai sensi delle norme richiamate nel precedente comma, l'impiegata ha diritto di astenersi dal lavoro, essa è considerata in congedo straordinario per maternità. Alle ipotesi previste nel presente articolo, si applica la disposizione di cui all'ultimo comma dell'articolo 40” (art. 41, commi 1, 2 e 3 rubricato: Congedo straordinario per gravidanza e puerperio).

In merito, valga richiamare che la Corte dei Conti aveva già nel 1988 precisato che l’art. 41, comma 2, equipara a tutti gli effetti l'astensione facoltativa dal lavoro per maternità al congedo straordinario (Sez. Contr., 14.4.1988, n. 1933).

In sostanza, una lettura costituzionalmente orientata delle norme, in relazione agli artt. 3, 37 e 97 Cost., impone di considerare che quella per gravidanza e puerperio è un’astensione obbligatoria, equiparabile a tutte quelle in cui è previsto un congedo straordinario “di diritto”, e per tale ragione deve essere riconosciuta parità di corresponsione di emolumenti, anche se in presenza di rapporto di lavoro pubblico “non contrattualizzato”, come nel caso di specie.

Per quanto dedotto, quindi, è condivisibile la ricostruzione delle ricorrenti che nel caso di specie individuano un’ipotesi di contrasto del “Regolamento”, che esclude il diritto ad una parte della retribuzione durante la gravidanza, con la “Legge”, che invece tale diritto riconosce e assicura, differenziando e privilegiando l’ipotesi del congedo obbligatorio per maternità da ogni altra ipotesi di congedo e assenza, ivi compresa la malattia, con la conseguenza che l’art. 12 del Regolamento, riferito anche al congedo straordinario per gravidanza e puerperio laddove esclude il riparto delle competenze di cui all’art. 21 r.d. cit., deve essere disapplicato in quanto vertente su diritti soggettivi valutabili in un quadro di giurisdizione esclusiva del g.a. (v. Cons. Stato, Sez. IV, 9.12.10, n. 8654; TAR Lazio, Sez. II bis, 9.5.07, n. 4984).

Le stesse fonti sovraordinate all’ordinamento nazionale, inoltre, muovono in tal senso laddove escludono la possibilità di dare luogo a discriminazioni relative al mantenimento o all’acquisizione di “diritti” nei confronti delle lavoratrici che usufruiscono di periodi di congedo per maternità (art. 9, par. 1, lett. f), direttiva 2006/54/CE), come invece accade nel caso di specie ove il “diritto” (così definito nell’art. 12 d.p.c.m. cit.) è escluso proprio in relazione alla fruizione di periodi di congedi per maternità.

Ne consegue che l’art. 12 d.p.c.m. cit., che limita la deroga all’esclusione del riparto previsto per i Procuratori e Avvocati dello Stato al solo caso di congedo “straordinario” di cui all’art. 37, comma 2, T.U. cit. senza prevedere tra questi anche il congedo per maternità, si pone in contrasto con tutte le richiamate norme, nazionali e sovraordinate.

Per una corretta ricostruzione del quadro esegetico di fondo, quindi, è altresì evidente, a rafforzamento di quanto ora precisato, la condivisibilità delle osservazioni delle ricorrenti, secondo le quali, il congedo “straordinario” cui dovrebbe fare riferimento l’art. 12 d.p.c.m. cit. per escludere il riparto in questione sarebbe il solo congedo da definirsi “facoltativo”, in quanto legato a generici “gravi motivi”, discrezionalmente concedibile dalla p.a., senza durata minima ma solo massima, sottoposto a trattamento economico deteriore rispetto a quello “per maternità” (v. art. 40 T.U. cit.), laddove – diversamente – quest’ultimo è invece fruibile per ipotesi “predeterminata”, è irrinunciabile, è concedibile “una tantum” e per un periodo minimo predefinito per legge ed è sottoposto a trattamento economico di favore rispetto ad altre forme di congedo (art. 41, comma 1, T.U. cit.).

Tale interpretazione è stata anche avallata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui circolare n. 14/2000 richiamata dalle ricorrenti, al punto 4.1. prevede la corresponsione per tutte le “lavoratrici-madri” e per il periodo di astensione obbligatoria il diritto all’intera retribuzione fissa mensile nonché al relativo trattamento “accessorio”. E’ vero che tale circolare riguarda le lavoratrici c.d “contrattualizzate”, secondo le osservazioni in merito della difesa erariale, ma ciò non toglie che il riferimento è utile per segnalare l’attenzione della P.C.M. verso il principio di “non discriminazione” ad esso sotteso, analogo a quello invocato dalle ricorrenti.

Sul punto, poi, valga il richiamo all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 151/2001, secondo cui: “Le indennità di cui al presente testo unico corrispondono, per le pubbliche amministrazioni, ai trattamenti economici previsti, ai sensi della legislazione vigente, da disposizioni normative e contrattuali. I trattamenti economici non possono essere inferiori alle predette indennità.” nonché ai successivi art. 3, per il quale: “È vietata qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti.” e art. 23, commi 1 e 2, secondo cui: “Agli effetti della determinazione della misura dell'indennità, per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità.

Al suddetto importo va aggiunto il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice.”.

Né in senso sostanziale contrario valgono le osservazioni difensive della stessa Avvocatura dello Stato.

Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui la “ratio” della censurata disposizione di cui all’art. 12 d.p.c.m. cit. risponderebbe alla logica di riconoscere il riparto in questione ai soli legali pubblici presenti in ufficio, essa non regge a fronte dell’osservazione per la quale vi sono casi in cui è riconosciuto dal medesimo art. 12 cit. a dipendenti non presenti (che richiama le ipotesi di deroga su ricordate dell’art. 37, comma 2, T.U. cit.).

Inoltre risulta – e la circostanza è provata documentalmente dalle ricorrenti e non smentita dalla difesa erariale – che durante il periodo di astensione siano stati comunque assegnati “affari” a ciascuna di esse, con aggravio del lavoro, sia pure da espletare successivamente, e con la evidente conclusione che le stesse sono state considerate “in servizio”.

E’ vero che l’assegnazione di affari risulta, ad esempio, anche nei confronti dei Procuratori e Avvocati dello Stato durante la fruizione del loro periodo di “ferie” ma a ciò è accompagnato comunque il riparto delle c.d. “propine”, che invece è negato alle ricorrenti, con la conseguenza che il sistema alla base della corresponsione del trattamento economico appare illogico e discriminatorio anche sotto tale profilo, nei limiti di quanto lamentato nel ricorso.

A ciò si aggiunga che il riparto in questione non riguarda il lavoro straordinario – secondo una tesi pure rappresentata dalla difesa erariale – dato che lo stesso Segretario Generale, nel rispondere alle ricorrenti, lo richiama per distinguerlo dal riparto ex art. 12 d.p.c.m. cit. di cui alla fattispecie in esame (per tutte, v. nota del 9.5.12 depositata in giudizio).

Tale riparto è invece riconducibile alle elargizioni di natura “retributiva” e non accessoria, secondo quanto attestato ormai dall’art. 9 d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014, per il primo profilo, e dal punto 3 della circolare INPS n. 6 del 16.1.2014, anche per il secondo profilo.

Ne consegue che non può essere ritenuta condivisibile neanche la tesi della difesa erariale, secondo la quale le ricorrenti – in quanto dipendenti “non contrattualizzate” - comunque beneficerebbero del trattamento “di maggior favore” di cui all’art. 41 T.U. cit. e all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 151/2001 (retribuzione al 100% in luogo dell’80% come invece per le altre lavoratrici alle dipendenza della p.a.), in quanto vi è stata comunque una decurtazione - “retributiva” per quanto detto in precedenza – pari al 50% almeno fino all’entrata in vigore del richiamato art. 9 d.l. n. 90/14 cit.

Altra tesi su cui si è fondata l’Avvocatura dello Stato è quella legata al valore “sostanziale” di norma primaria riconoscibile all’art. 12 d.p.c.m. cit., in virtù dell’espressa indicazione – al fine di “farlo proprio” – del medesimo contenuta nell’art. 21 r.d. n. 1611/33 cit. che si riferisce al regolamento sull’esazione degli onorari di Procuratori e Avvocati dello Stato, con la conseguenza di definire l’art. 12 cit. quale norma speciale che prevale sulle norme invocate dalle ricorrenti, pur ammettendo la stessa difesa erariale che tale regolamento è “attuativo” in virtù del rinvio espresso.

Il Collegio osserva che la natura di regolamento “attuativo” riconosciuta al d.p.c.m. in questione conferma la sua subordinazione alle fonti primarie legislative (Cons. Stato, Sez. IV, 15.9.03, n. 5158), tra cui non possono che richiamarsi quelle sopra descritte a tutela della “maternità”.

A ciò si aggiunga che l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 151/2001, quale norma speciale successiva, ha fatto salve solo le condizioni di maggior favore previste da leggi, regolamenti, contratti collettivi e ogni altra disposizione, tra cui non rientrano quelle di cui all’art. 12 d.p.c.m. cit., di certo non “di maggior favore” nei confronti delle dipendenti in questione in congedo per “maternità”.

Come condivisibilmente osservato anche dalle ricorrenti, infine, quand’anche fosse riconoscibile al d.p.c.m. in esame il rango di “fonte primaria”, esso sarebbe comunque in contrasto con la suddetta direttiva 2006/54/CE per quanto sopra precisato, con conseguente possibilità di disapplicazione “diretta” ad opera del Giudice nazionale (Cons. Stato, Sez. IV, 24.3.04, n. 1559).

Da ultimo, in relazione a giurisprudenza ritenuta contraria a quanto prospettato dalle ricorrenti, secondo il richiamo di cui alla memoria dell’Avvocatura dello Stato per l’ultima udienza pubblica, per quel che riguarda la sentenza TAR Campania, Na, Sez. IV, 15.4.16, n. 1874, il Collegio osserva che essa si riferiva alla ben diversa ipotesi di “esonero” dal servizio ai sensi dell’art. 72 d. l. n. 112/2008, conv. in l. n. 123/2008 (poi abrogato dall’art. 24, comma 14, d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011). Anzi – osserva il Collegio – tale richiamo conferma la tesi di fondo delle ricorrenti, in quanto l’assegnazione di affari nei loro confronti (ben cospicua secondo la documentazione acquisita in giudizio in seguito alla su ricordata ordinanza istruttoria), a differenza da chi era, appunto, “in esonero”, deve far ritenere che le stesse erano state invece considerate dall’Amministrazione a tutti gli effetti “in servizio” e quindi con rapporto di lavoro in atto.

La stessa sentenza del Tar partenopeo, infatti, rileva che la quota c.d. “variabile” del trattamento economico di Procuratori e Avvocati dello Stato postula, per il suo riconoscimento, il perdurante svolgimento dello stesso, trattandosi di prestazioni periodiche temporalmente correlate allo svolgimento del rapporto medesimo, e che ai fini del riconoscimento di tale quota variabile della retribuzione è dunque necessario che vi sia, a giustificazione della percezione di somme, lo svolgimento di attività lavorativa e, dunque, l’esistenza di un “rapporto di lavoro in atto”, mentre la sospensione del rapporto per collocamento “in esonero” determina in capo al dipendente il sorgere di un nuovo “status” giuridico, connotato dal mancato svolgimento del servizio e questa peculiarità impedisce la possibilità di computare emolumenti che trovano il loro necessario presupposto proprio ed esclusivamente nella prestazione dell’attività defensionale. Nel caso di specie tale attività per le ricorrenti vi è stata, in quanto hanno indubbiamente dovuto provvedere a seguire gli affari assegnati in costanza del periodo di “maternità”, senza mutamento di alcuno “status” giuridico, fermo restando che la ripartizione di parte dei proventi richiesti si riferiva anche a periodi precedenti, ove le stesse non avevano ancora fruito del relativo congedo.

Così pure non decisiva è l’ordinanza del TAR Calabria, Rc, 17.6.16, n. 706 – peraltro non avente alcun contenuto decisorio ma un’ampia motivazione sulla ritenuta non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 9, commi 3, 4 e 6, del d.l. n. 90/14 cit., conv. in l. n. 114/14 – in quanto non si riferisce allo specifico profilo della elargizione di compensi durante il congedo “per maternità” ma al generale intervento di cui alla norma suddetta in ordine alla rideterminazione dei compensi professionali degli Avvocati dello Stato. Inoltre, quel TAR ha affrontato la problematica alla sua attenzione in senso generale, evidenziando in un passaggio argomentativo che la componente retributiva “in senso proprio” è caratterizzata da “fissità” a differenza delle altre remunerazioni di prestazioni professionali generalmente rese nell’esercizio delle funzioni istituzionalmente rimesse ad Avvocati e Procuratori dello Stato, che non rientrerebbero nel concetto di “retribuzione in senso proprio”, atteso il carattere di variabilità che ne assiste la commisurazione.

Nel caso di specie all’esame del Collegio, però, non rileva l’individuazione della retribuzione “in senso proprio”, in quanto a fondamento vi è la normativa “speciale” su richiamata sulla tutela della maternità, tra cui in particolare l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 151/01 cit. (da leggersi in correlazione con i successivo artt. 3 e 23), che fa riferimento in realtà a tutti i trattamenti economici previsti ai sensi della legislazione vigente e non alla “retribuzione in senso proprio” quale “quota fissa”, come individuabile ai sensi della normativa sul trattamento economico dei Procuratori e Avvocati dello Stato.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve trovare accoglimento, con conseguente disapplicazione dell’art. 12 del d.p.c.m. 29.2.1972 nella parte in cui prevede il mancato diritto al riparto considerando tra casi di congedo straordinario che lo esclude quello obbligatorio per “maternità”.

Deve quindi darsi luogo alla declaratoria del diritto delle ricorrenti a percepire tutte le competenze spettanti loro ai sensi dell’art. 12 in questione e maturate a titolo di onorari di causa durante i periodi di astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio, secondo la normativa vigente “pro tempore”.

In riferimento al relativo ammontare, il Collegio rileva che la difesa erariale ha eccepito la prescrizione quinquennale del credito, in quanto riferito a pretese avanzate in costanza di rapporto di pubblico impiego dotato di “stabilità reale”

In merito, il Collegio rileva che le ricorrenti hanno osservato – senza contestazione da parte delle Amministrazioni costituite - che solo per l’avv. F.. eventualmente potrebbe rilevare tale eccezione per il breve periodo anteriore al quinquiennio precedente la notifica della diffida del 18.9.2014, quale atto interruttivo (dal 9.7.2009 al 17.9.2009), ma che comunque nel caso di specie non opererebbe l’art. 2948 c.c., in quanto la determinazione quantitativa del credito “da lavoro” è riconducibile interamente all’Amministrazione, previo accertamento delle condizioni necessarie per la relativa liquidazione (Cons. Stato, n. 2232/2007).

In effetti, nel caso di specie, in base alla stessa ricostruzione delle modalità di corresponsione del riparto per cui è causa - come illustrate nell’ultima memoria dell’Avvocatura dello Stato in ottemperanza all’ordinanza collegiale sopra richiamata - emerge che, pur in presenza di rapporto “stabile”, è la stessa Amministrazione a riconoscere e determinare quantitativamente il diritto vantato e con apposito atto formale, per cui nel caso di specie opera la prescrizione ordinaria decennale (Cons. Stato, Sez. V, 5.5.16, n. 1792 e Sez. IV 21.6.07 n. 3363).

Per quanto riguarda, infine, il cumulo tra rivalutazione e interessi, deve invece ritenersi condivisibile il richiamo della difesa erariale all’art. 22, comma 36, l. n. 724/1994 che tale cumulo esclude per i rapporti di lavoro “pubblico”, sia anche non contrattualizzato (Cons. Stato, Sez. IV, 1.7.15, n. 3254).

Ne consegue che deve essere considerata solo la maggior somma derivante, prendendo come riferimento la somma dovuta al netto delle ritenute contributive e fiscali (Cons. Stato, n. 3254/15 cit.).

Per quanto riguarda la specifica domanda di condanna al pagamento delle competenze singolarmente indicate dalle ricorrenti per ciascuna di esse, desumibile dal contenuto delle conclusioni del ricorso integrate nelle ultime memorie, il Collegio – per la complessità dei relativi calcoli da eseguire in conformità a quanto sopra precisato – ritiene di fare ricorso alla disposizione di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a., demandando alle parti di pervenire alla definizione di quanto a ciascuna ricorrente spettante, salvi i rimedi di cui alla medesima disposizione in caso di mancato accordo.

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la peculiarità e novità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 12 d.p.c.m. 29.2.1972 nei limiti dell’interesse delle ricorrenti e per quanto dedotto in motivazione, dichiara il loro diritto a percepire tutte le competenze spettanti in virtù del riparto previsto nell’art. 12 cit. maturate a titolo di onorari di causa per i periodi in cui sono state collocate in astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio, secondo la normativa vigente “pro tempore”, con la maggior somma tra rivalutazione e interessi legali da calcolare al netto delle ritenute contributive e fiscali.

Dispone che l’Avvocatura dello Stato provveda alla specifica liquidazione ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., entro trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Roberta Cicchese, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ivo Correale Carmine Volpe





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Re: Corresponsione somme relativa a periodi di Congedo Parentale

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- corresponsione degli assegni previsti dal d. lgs. n. 151/2001, per assistenza ai figli minori

- avere avuto 2 gravidanze portate a termine

- congedo parentale di giorni 45
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