Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Henry6.3

Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Buon giorno, forse per limitare magre figure, alla luce del sole mi è sembrata alquanto non in linea con i tempi che viviamo, la zelante iniziativa del Gabinetto del Ministro della Difesa che con mirate circolari, che arriveranno prontamente, girate dai nostri altrettanto zelanti (quando vogliono) Uffici superiori , sul divieto, da parte del personale di iscrizione a partiti politici, ammettendo loro stessi: "...ancorché -in sé- non vietata...". .
Scatenando la giusta reazione di sindacati di Polizia e Militari, ledendo di fatto un diritto personale, individuale e che non vedo come possa andar contro allo svolgimento dei doveri Istituzionali cui siamo chiamati.
Ovvero, ogni singolo componente delle varie Armi, ha la possibilità di avere una propria vita privata, interessi e passioni compreso idee politiche precise.
Io dico se non le porto in servizio, durante le mie ore a voi che ve ne frega se sono iscritto al corso di cucito, all'oratorio comunale, all'associazione sportiva di pesca o ad una sezione di partito? Siamo nel 2010 non nel 1910.
Come sempre si tende a privilegiare la forma e non la sostanza.


panorama
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Cari colleghi tutti non so se avete letto la risposta del Comandante del Comando Interregionale CC. “Vittorio Veneto” di Padova del 28.06.2010 in risposta alla delibera n. 263 del COIR “Vittorio Veneto” ad oggetto “Iscrizione a partiti politici” ed in questi giorni esposta nell’area intranet nella sezione Coir.
Siamo rimasti ancora al solito avviso: IN VIOLAZIONE DELL’ART……… ma possibile mai che con tanti militari in CARRIERA POLITICA non sono stati in grado di far cambiare le idee agli altri politici?
Possibile che una volta dentro la politica si dimenticano dei tanti problemi che nonostante l’entrata del 2000 non si riescono a risolvere?
Che controsenso di legge italiana, da un lato la Costituzione ci da diritto di votare un partito politico mentre dall’altro la stessa legge italiana ci VIETA DI ISCRIVERCI ALTRIMENTI CI BATTOSTANO CON LA STESSA LEGGE ITALIANA.
Cari colleghi tutti che ne pensate se alle prossime elezioni nessuno di noi va a votare? Non solo alle prossime ma per tutte le altre che il governo propone, almeno penso che si accorgeranno che tra i tanti votanti NORMALI esistono altrettanto CITTADINI MILITARI con il bavaglio sul muso e che abitano in ITALIA che è un PAESE EUROPEO
Votiamo sempre e poi non ci danno la possibilità di iscriversi ai partiti politici.
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

Messaggio da panorama »

Mettere il testo di ricerca su internet “militari e iscrizioni ai partiti”, poi aprite il primo paragrafo con la data del 2.7.2010 e data una lettura al Generale dei CC, il tutto in riferimento al mio precedente intervento del C/te Interregionale CC. “Vittorio Veneto” di Padova, ci sono novità in vista da parte di qualche partito politico.
Saluti
panorama
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Posto un articolo interessante al riguardo (risale al 2005) trovato su internet

LA DIFESA AMMETTE: I MILITARI POSSONO ISCRIVERSI AI PARTITI POLITICI

(martedì 11 ottobre 2005)

Dopo la denuncia avanzata da “Il Giornale dei Carabinieri” e la successiva interrogazione parlamentare presentata il 28 Settembre dai deputati PISA, RUZZANTE, PINOTTI, LUMIA, ANGIONI, DE BRASI e DEIANA, è giunta la risposta ufficiale del ministro della Difesa Antonio Martino. I militari possono iscriversi ai partiti politici, se pur con alcune limitazioni. Finalmente, dopo 15 anni di silenzi e reticenze si fa luce su un diritto costituzionale sempre "taciuto" ai militari.
ASCOLTA
La battaglia è stata condotta negli ultimi anni dalla rivista “Il Giornale dei Carabinieri” - Osservatorio permanente per l'Arma dei Carabinieri. L'interrogazione parlamentare nasce da due delibere in contraddizione: quella del Comando Generale della Guardia di Finanza, che riconosce il diritto, e quella del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri che lo nega.
A questo punto, i parlamentari sopracitati, presentano un'interrogazione parlamentare al ministro della Difesa Antonio Martino per fare chiarezza sul caso.
I militari e gli appartenenti alle forze di polizia possono o no iscriversi ai partiti politici? Nei giorni scorsi è giunta finalmente la risposta ufficiale del ministro Martino, accolta con soddisfazione dal Giornale dei Carabinieri. Martino dichiara implicitamente che i militari hanno questo diritto: “Seppure non risulti esistere allo stato, una disposizione di legge che dia espressa e diretta applicazione all'ipotesi di divieto di iscrizione ai partiti politici, di cui all'art. 98 della Costituzione, nondimeno in perfetta linea con il valore espresso da tale indicazione dalla Carta Costituzionale, a tutela della imparzialità dei comportamenti dell'apparato militare, la legge 382/78 pone evidenti limitazioni inerenti la condizione di iscritto a partiti politici, come appare evidente sin dalla sua lettura.”Martino dunque, affermando l'esistenza di limiti per chi è nella condizione di iscritto, implicitamente dichiara che i militari possono iscriversi ai partiti politici. Questo passaggio della risposta di Martino rappresenta quindi un'importante vittoria per “Il Giornale dei Carabinieri”.DOSSIER/ IL DIRITTO DI ISCRIZIONE AI PARTITI POLITICIL'INTERROGAZIONE PARLAMENTARE
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Dal sito PSD (Partito per gli Operatori della sicurezza e della difesa)

Interrogazioni su iscrizione dei Carabinieri ai partiti politici

Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 2-00148

Atto n. 2-00148

Pubblicato il 17 dicembre 2009
Seduta n. 305

DI GIOVAN PAOLO - Al Ministro della difesa. -

Premesso che:
a quanto risulta all'interrogante, presso il personale delle Forze armate e, in particolare, presso quello dell’Arma dei carabinieri, è molto diffusa l’opinione, destituita di ogni fondamento, secondo cui i militari non avrebbero il diritto di iscriversi ai partiti politici né quello di esercitare attività politica fuori dal servizio;

al fine di cautelarsi e di avere chiarezza su tale problematica, l’8 ottobre 2009 l’appuntato scelto dei carabinieri Antonino Imbesi, effettivo al nucleo comando della compagnia carabinieri di Reggio Calabria, ha comunicato ai propri superiori di essere stato nominato responsabile provinciale di un partito politico;

con nota n. 211/3-1 del 14 ottobre 2009, il Comandante della scuola allievi carabinieri di Reggio Calabria ha risposto al predetto graduato che «ai militari in servizio è vietata qualsiasi forma di attività politica non espressamente consentita dalla legge» e che «l’iscrizione in argomento, ancorché - in sé - non vietata, è da intendersi assorbita dal divieto di esercizio di attività politica»;

detto caso, lungi dall’essere isolato o infrequente, rappresenta, a giudizio dell'interrogante, un esempio dell’atteggiamento tipico di cautela delle gerarchie militari il quale finisce in concreto per escludere il personale militare da ogni partecipazione all’attività politica;

l’articolo 49 della Costituzione sancisce il diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. La potestà di limitare - mediante legge - tale diritto, prevista dal successivo articolo 98, non è stata mai esercitata dal Parlamento nei confronti dei militari;

in base al combinato disposto degli articoli 5 e 6 della legge 11 luglio 1978, n. 382 (norme di principio sulla disciplina militare), è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative, esclusivamente ai militari che «a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l'uniforme; d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali»;

ne discende che - fuori dalle predette ipotesi - tutti i militari possono iscriversi ai partiti politici e svolgere attività politica,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo intenda adottare gli opportuni ed urgenti provvedimenti idonei ad informare debitamente il personale militare ed i superiori gerarchici riguardo al diritto dei militari di iscriversi a partiti politici e di esercitare – fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 3, della legge n. 382 del 1978 – attività politica;

se intenda dare risposta alla previsione costituzionale promuovendo iniziative normative, fatte salve le suddette ipotesi ad eccezione di cui all’articolo 5 comma 3 della legge n. 382 del 1978, che permettano la partecipazione all'attività politica ai militari professionali italiani, tanto più utile come indicazione di senso civico di fronte al ruolo giocato dall’Italia in campo internazionale (31 missioni all’estero) e che rinsaldi i legami costituzionali tra Forze armate e popolo italiano.
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-05509
presentata da
GIOVANNI PALADINI
giovedì 17 dicembre 2009, seduta n.260

PALADINI. -
Al Ministro della difesa.
- Per sapere - premesso che:

presso il personale delle forze armate ed, in particolare, presso quello dell'Arma dei carabinieri, è molto diffusa l'opinione secondo cui i militari non avrebbero il diritto di iscriversi ai partiti politici né quello di esercitare attività politica fuori servizio;

l'articolo 49 della Costituzione sancisce il diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale;

la potestà di limitare - mediante legge - tale diritto così come previsto dal successivo articolo 98 della Costituzione, non è stata mai esercitata dal parlamento nei confronti dei militari;

in base al combinato disposto degli articoli 5 e 6 della legge 11 luglio 1978 n. 382, ai militari è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti associazioni ed organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative, esclusivamente ai militari che: a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o destinati al servizio; c) indossano l'uniforme; d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali;

allo stato attuale, fuori dalle predette ipotesi, tutti i militari possono iscriversi ai partiti politici e svolgere attività politica -:

quali siano le prerogative dei militari al di fuori dei punti sopra esposti e se si intendano adottare gli opportuni provvedimenti idonei ad informare debitamente il personale militare quanto al diritto di iscriversi ai partiti politici e di esercitare - fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 3, della legge n. 382 del 1978 - attività politica.(4-05509)

Speriamo che qualcosa si muove
Henry6.3

Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

Messaggio da Henry6.3 »

panorama ha scritto:Cari colleghi tutti non so se avete letto la risposta del Comandante del Comando Interregionale CC. “Vittorio Veneto” di Padova del 28.06.2010 in risposta alla delibera n. 263 del COIR “Vittorio Veneto” ad oggetto “Iscrizione a partiti politici” ed in questi giorni esposta nell’area intranet nella sezione Coir.
Siamo rimasti ancora al solito avviso: IN VIOLAZIONE DELL’ART……… ma possibile mai che con tanti militari in CARRIERA POLITICA non sono stati in grado di far cambiare le idee agli altri politici?
Possibile che una volta dentro la politica si dimenticano dei tanti problemi che nonostante l’entrata del 2000 non si riescono a risolvere?
Che controsenso di legge italiana, da un lato la Costituzione ci da diritto di votare un partito politico mentre dall’altro la stessa legge italiana ci VIETA DI ISCRIVERCI ALTRIMENTI CI BATTOSTANO CON LA STESSA LEGGE ITALIANA.
Cari colleghi tutti che ne pensate se alle prossime elezioni nessuno di noi va a votare? Non solo alle prossime ma per tutte le altre che il governo propone, almeno penso che si accorgeranno che tra i tanti votanti NORMALI esistono altrettanto CITTADINI MILITARI con il bavaglio sul muso e che abitano in ITALIA che è un PAESE EUROPEO
Votiamo sempre e poi non ci danno la possibilità di iscriversi ai partiti politici.

Ciao, credo che troppe persone si sono impegnate perchè un giorno, magari 50 anni dopo in una cabina elettorale, ognuno può esprimere il proprio voto ed esercitarlo è un diritto che non voglio togliermi, neppure in nome di un voto di protsta e poi è un voto in meno contro un governo che non mi rappresenta.
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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C.4/08037 [Delegati della rappresentanza militare eletti a cariche amministrative]

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-08037 presentata da MAURIZIO TURCO
mercoledì 14 luglio 2010, seduta n.352
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:

nella mattinata del giorno 1o luglio 2010, presso la Camera dei deputati si è tenuta una riunione secondo quanto risulta da un comunicato del Cocer convocata dall'onorevole Filippo Ascierto, e altri parlamentari del PdL, alla quale hanno preso parte alcuni delegati della Rappresentanza militare (Cocer, Coir e Cobar);

lo stesso giorno sul sito web istituzionale dell'Arma dei carabinieri veniva pubblicato un comunicato stampa del Cocer - Sezione Carabinieri dal titolo «Carabinieri in Liquidazione. La sicurezza per il Governo è un termine privo di significato.», nel quale si legge di un incontro con i capigruppo di Senato e Camera del Popolo delle Libertà (PdL) organizzato dal deputato Filippo Ascierto;

numerosi delegati della rappresentanza militare sono stati candidati nelle liste di Forza Italia, Alleanza Nazionale e, da ultimo in quelle del Popolo delle libertà e quindi eletti a cariche amministrative -:

quali siano i nominativi dei delegati che hanno preso parte all'incontro, se siano stati regolarmente autorizzati dai propri superiori gerarchici e se vi abbiano partecipato a titolo personale o in rappresentanza del personale militare della Forza armata di appartenenza;

se i delegati in premessa che hanno partecipato all'incontro in premessa siano stati solo quelli iscritti al PdL o eletti a cariche amministrative; se si trovavano in attività di servizio o in missione per partecipare alle riunioni dei rispettivi Consigli della rappresentanza militare e, nel caso, quali siano stati i provvedimenti adottati;

se il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire le ragioni di tale incontro e se non ritenga opportuno dover intervenire per escludere possibili strumentalizzazioni della compagine militare, e in particolare dell'Arma dei carabinieri, per fini politici della maggioranza e del Governo. (4-08037)
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Questa bisogna metterla qui.

POLITICA Manovra: fra gli emendamenti spunta la concessione dei diritti sindacali per i militari
Manovra: fra gli emendamenti spunta la concessione dei diritti sindacali per i militari
DOMENICA 11 LUGLIO 2010 11:10

Ma maggioranza ed opposizione bocciano la proposta all'unanimità. Roma, 11 lug - La notizia è trapelata solo oggi, ma è un riflettore che proietta il suo cono di luce sulle zone d'ombra di questa manovra finanziaria, dove maggioranza ed opposizione si dividono su tutto ma, inaspettatamente, vanno a braccetto su un concetto: mai concedere ai militari i diritti civili che reclamano da tempo. Eppure la propaganda bipartisan ci ha regalato in questi giorni dichiarazione d'amore per il mondo delle divise, ma al momento decisivo gli abbracci a favore di telecamera si trasformano in pugnalate alla schiena.

Ma vediamo i fatti: lo scorso 7 luglio la Camera dei Deputati discuteva una serie di mozioni presentate da tutti i Gruppi parlamentari sulle risorse destinate al settore della Difesa. Tra esse la mozione 1-00404 dell’On. Cicu (PDL).

Nel corso dell’esame di questa mozione il gruppo di deputati del Partito Radicale presenta l’emendamento 1-00404/2 che avrebbe impegnato il Governo ad estendere al personale militare il pieno godimento del diritto sindacale.

La stragrande maggioranza dei 503 deputati presenti si è espresso contro l’estensione di tale diritto. L’emendamento in questione è stato infatti bocciato da tutti i Gruppi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione (485 voti), con la sola eccezione di 9 deputati che si sono espressi favorevolmente per i diritti sindacali ai militari e di altrettanti che si sono astenuti.

Tutto ciò accadeva mentre l'Europa, attraverso l'Osce, approvava una Risoluzione per tutelare i diritti dei militari soprattutto in quei pochi Paesi dell'Unione dove ancora la classe dirigente si ostina a negarli.

GrNet.it è in grado di pubblicare il documento che fa chiarezza, al netto della propaganda, sui parlamentari che hanno votato contro l'estensione dei diritti sindacali ai militari (la stragrande maggioranza).

Nel documento, nella colonna di sinistra c'è il nome del parlamentare e nella colonna successiva, indicata con il numero 14 , c'è la sua votazione relativa alla mozione che avrebbe impegnato il governo a concedere, finalmente, il diritto di associazione di tipo sindacale anche ai militari italiani.

Per aiutare il nostro lettore a capire il sistema cervellotico dei regolamenti della Camera relativi all'espressione del voto, riportiamo le parole del presidente della Commissione: "Chi vuole sostituire l'inciso deve esprimere un voto contrario, chi vuole mantenere l'inciso deve votare a favore". In altre parole, i parlamentari contrari all'estensione dei diritti sindacali ai militari sono indicati con la lettera F nella colonna 14 , invece quelli favorevoli (solo nove deputati) sono indicati - sempre nella colonna 14 - con la lettera C. Gli astenuti invece sono indicati dalla lettera A. La lettera M infine sta ad indicare i parlamentari in missione e che quindi non hanno preso parte, legittimamente, alla votazione.
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
TomasMoore

Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

Messaggio da TomasMoore »

panorama ha scritto:Questa bisogna metterla qui.

POLITICA Manovra: fra gli emendamenti spunta la concessione dei diritti sindacali per i militari
Manovra: fra gli emendamenti spunta la concessione dei diritti sindacali per i militari
DOMENICA 11 LUGLIO 2010 11:10

Ma maggioranza ed opposizione bocciano la proposta all'unanimità. Roma, 11 lug - La notizia è trapelata solo oggi, ma è un riflettore che proietta il suo cono di luce sulle zone d'ombra di questa manovra finanziaria, dove maggioranza ed opposizione si dividono su tutto ma, inaspettatamente, vanno a braccetto su un concetto: mai concedere ai militari i diritti civili che reclamano da tempo. Eppure la propaganda bipartisan ci ha regalato in questi giorni dichiarazione d'amore per il mondo delle divise, ma al momento decisivo gli abbracci a favore di telecamera si trasformano in pugnalate alla schiena.

Ma vediamo i fatti: lo scorso 7 luglio la Camera dei Deputati discuteva una serie di mozioni presentate da tutti i Gruppi parlamentari sulle risorse destinate al settore della Difesa. Tra esse la mozione 1-00404 dell’On. Cicu (PDL).

Nel corso dell’esame di questa mozione il gruppo di deputati del Partito Radicale presenta l’emendamento 1-00404/2 che avrebbe impegnato il Governo ad estendere al personale militare il pieno godimento del diritto sindacale.

La stragrande maggioranza dei 503 deputati presenti si è espresso contro l’estensione di tale diritto. L’emendamento in questione è stato infatti bocciato da tutti i Gruppi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione (485 voti), con la sola eccezione di 9 deputati che si sono espressi favorevolmente per i diritti sindacali ai militari e di altrettanti che si sono astenuti.

Tutto ciò accadeva mentre l'Europa, attraverso l'Osce, approvava una Risoluzione per tutelare i diritti dei militari soprattutto in quei pochi Paesi dell'Unione dove ancora la classe dirigente si ostina a negarli.

GrNet.it è in grado di pubblicare il documento che fa chiarezza, al netto della propaganda, sui parlamentari che hanno votato contro l'estensione dei diritti sindacali ai militari (la stragrande maggioranza).

Nel documento, nella colonna di sinistra c'è il nome del parlamentare e nella colonna successiva, indicata con il numero 14 , c'è la sua votazione relativa alla mozione che avrebbe impegnato il governo a concedere, finalmente, il diritto di associazione di tipo sindacale anche ai militari italiani.

Per aiutare il nostro lettore a capire il sistema cervellotico dei regolamenti della Camera relativi all'espressione del voto, riportiamo le parole del presidente della Commissione: "Chi vuole sostituire l'inciso deve esprimere un voto contrario, chi vuole mantenere l'inciso deve votare a favore". In altre parole, i parlamentari contrari all'estensione dei diritti sindacali ai militari sono indicati con la lettera F nella colonna 14 , invece quelli favorevoli (solo nove deputati) sono indicati - sempre nella colonna 14 - con la lettera C. Gli astenuti invece sono indicati dalla lettera A. La lettera M infine sta ad indicare i parlamentari in missione e che quindi non hanno preso parte, legittimamente, alla votazione.

Cari amici e colleghi e venuto forse il momento che ognuno di noi si sobbarchi dell'onere di essere autore del proprio destino e quindi se vogliamo che nessuno calpesti il nostro diritto politico prevsto dall'art. 49 della Costituzione, che nessun altro articolo della Costituzione o legge inferiore ha mai abrogato e vietato, anche se i vertici e lo stesso ministro della Difesa tentano di farcelo passare come divieto assodato, dobbiamo coalizzarci e lo strumento politico attualmente esiste non sto a ripetervi qual'è visto che ha già preso posizione a livello nazionale!
Non rimaniamo come la stragrande maggioranza di amici e colleghi che aspettano che siano gli altri ad andare avanti per poi solonisticamente criticare se le cose vanno male e assurgere a fautori o collaboratori se invece vanno bene. Lasciamo dietro la massa meschina di gnu!
billyelliot1964

Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

Messaggio da billyelliot1964 »

“Dicono che il lavoro dia da vivere, che serva per vivere. A volte, però, diventa solo l’iniezione letale, quella che fa morire dentro…”.
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Ho trovato questo parere del CdS che riguarda un collega della PS.

Numero 03584/2010 e data 30/07/2010

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 9 giugno 2010

NUMERO AFFARE 02261/2010
OGGETTO:
Ministero dell’Interno.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal sovrintendente della Polizia di Stato, Sig. F. V. avverso il provvedimento di trasferimento d’ufficio.
LA SEZIONE
Vista la Relazione prot. 333-A.U.C./81413/1805/T, del 28 aprile 2010, con la quale il Ministero dell’Interno, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Francesco D'Ottavi;

Premesso e Considerato:
Il richiedente Ministero nella suindicata relazione premette che con nota in data 18 giugno 2009, il dirigente del Compartimento Polizia Stradale per la L. comunicava che il dipendente, candidatosi alle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009 per la carica di Consigliere Comunale nel Comune di Castelnuovo Magra (SP), era risultato ‘non eletto’.
In tale contesto si rendeva necessario valutare la posizione del dipendente, alla luce del disposto di cui all’art.53, del D.P.R. n.335/82 e del parere interpretativo n.1271/90, fornito al riguardo dal Consiglio di Stato, per cui quando vi sia una coincidenza, anche parziale, tra la circoscrizione elettorale dove il personale presenta la candidatura e la competenza giuridico-territoriale dell’ufficio di appartenenza dello stesso, si determina una situazione di incompatibilità.
Pertanto, con telex in data 21 ottobre 2009 veniva intrapresa, da parte del competente ufficio, l’istruttoria di rito, invitando il Dirigente del Compartimento Polizia Stradale per la L. ad individuare un ufficio o reparto che non insistesse giurisdizionalmente e territorialmente nella circoscrizione elettorale ove il dipendente si era candidato; il Dirigente segnalava quale sede idonea la Sottosezione di Polizia Stradale di –omissis- (SP), rappresentando, tuttavia, che il dipendente aveva presentato istanze di trasferimento per il C.N.E.S. (Centro Nautico e Sommozzatori di La Spezia) e per il Posto di Polizia Ferroviaria di La Spezia.
Con provvedimento del 26 novembre 2009, il ricorrente veniva trasferito, nell’ambito del Compartimento Polizia Stradale per la L., dalla Sezione Polizia Stradale di ……. alla sottosezione Polizia Stradale di …….. (SP).
Il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato poiché non sarebbero state prese in considerazione le due sedi di servizio dallo stesso indicate e sarebbe stato trasferito presso una sede disagiata della Polizia Stradale; sostiene, poi, la carenza di motivazione del provvedimento stesso, in quanto non sarebbero state motivate le ragioni di tale scelta; ritiene, infine, di aver diritto alla corresponsione dell’indennità di trasferta, prevista dalla legge n.86/2001, perché, a suo dire, trattasi di trasferimento d’autorità.
Il Ministero, dopo analitica disamina delle censure prospettate, conclude per la reiezione del gravame.
Ciò premesso rileva la Sezione che, ferma restando l’incontestata applicabilità della richiamata normativa (che, come considerato impone il trasferimento dalla sede di servizio del dipendente presentatosi come candidato in una circoscrizione elettorale ricadente nel relativo territorio), sono fondate ed assorbenti le censure attinenti al difetto di motivazione circa la mancata valutazione delle due sedi di servizio indicate dal ricorrente; invero, se nel procedimento in esame, in conformità della menzionata normativa di riferimento, l’Amministrazione per prevalenti motivi di interesse pubblico attinenti al migliore espletamento del servizio, può prescindere dal conformarsi alle indicazioni dell’interessato, tale scelta deve essere comparativamente motivata; anche perché, come sottolineato dal ricorrente, tale comparazione è espressamente desumibile dalla stessa circolare interpretativa ed applicativa della norma di cui all’art. 53 del D.P.R. n. 335/1982 (circolare n. 333 – A/9801.G.D.8), che nell’ultima parte stabilisce espressamente l’onere dell’Amministrazione di valutare le istanze, onere il cui compiuto adempimento deve essere puntualmente motivato, non essendo sufficiente un vago riferimento alle ‘necessità dell’interessato’. Viceversa, nell’impugnato provvedimento non è dato ricavare alcun riferimento alle indicazioni prospettate dall’istante, né vi è una motivata valutazione della prevalente determinazione dell’Amministrazione rispetto a quelle indicazioni.
Pertanto il ricorso va accolto e per l’effetto va annullato l’impugnato provvedimento, facendo salva l’ulteriore attività dell’Amministrazione.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto, con assorbimento dell’istanza di sospensione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco D'Ottavi Vincenzo Sammarco




IL SEGRETARIO
Giovanni Mastrocola
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Per notizia
complimenti all'avv. Carta per la difesa,

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

04/12/2012 201201480 Sentenza 1

N. 01480/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00143/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 143 del 2012, proposto da:
Vincenzo Bonaccorso, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, Gianpaolo Bevilacqua, con domicilio eletto presso Gianpaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce, 444;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Venezia, San Marco, 63;

per l'annullamento
pubblico impiego: maresciallo aiut. sost. uff. p.s. carabinieri: rigetto ricorso gerarchico - sanzione disciplinare

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 ottobre 2012 il dott. Silvia Coppari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il Maresciallo Aiutante Sostituto Ufficiale di Pubblica Sicurezza dei Carabinieri V.B. – effettivo al Nucleo dei Carabinieri Banca d’Italia di Venezia – ha impugnato la determinazione n. 644/6 di protocollo del 6 ottobre 2011, con la quale il Comandante Interregionale dei Carabinieri “Vittorio Veneto” ha rigettato il proprio ricorso gerarchico proposto contro la sanzione disciplinare di corpo di tre giorni di “consegna di rigore”, inflitta con determinazione n. 648/28-2011- Disc.Cont. di protocollo Arma del 23 giugno 2011 del Comandante del Comando Legione dei Carabinieri “Veneto”.

2. In particolare, il ricorrente precisa che la suddetta sanzione disciplinare risulta fondarsi sulla seguente motivazione: «è risultato, quale iscritto, ricoprire la carica di Capo Dipartimento Nazionale per l’Arma dei Carabinieri nell’ambito del partito per gli operatori della sicurezza e della difesa (PSD). Nell’assolvimento di tale incarico ha partecipato anche a convegni internazionali ed in una circostanza, in una piazza di Padova, è stato riconosciuto da Carabinieri impegnati in attività istituzionale mentre, libero dal servizio ed in abiti civili, svolgeva propaganda in favore di detto partito, distribuendo bandierine con il logo del partito. Tale comportamento, in violazione del divieto per i militari di svolgere attività politiche non espressamente consentite dalla legge, è contrario ai doveri del proprio stato e di quelli attinenti al grado, lesivo del principio di estraneità delle forze armate alle competizioni politiche, sancito dal combinato disposto dell’art. 1483 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 713 del DPR n. 90 del 2010».

3. A sostegno del proprio gravame, il ricorrente deduce la violazione di legge, sotto una pluralità di profili, perché la sanzione sarebbe stata adottata al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal combinato disposto di cui agli artt. 1483 e 1350, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare), nonché in violazione dei principi dettati dalla Costituzione in materia di riconoscimento ed esercizio dei diritti politici ex artt. 52, terzo comma, 49 e 98, comma terzo, Cost., dal momento che la legge non proibirebbe, «al di fuori delle condizioni previste dall’art. 1350, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare, la partecipazione a riunioni o manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, o svolgimento di propaganda a favore o contro partiti».

3.1. Ad avviso del ricorrente, inoltre, dovrebbero ritenersi tuttora immanenti, anche nella disciplina vigente, i principi già elaborati e pacificamente consolidati sotto la previgente disciplina, posto che, con l’emanazione del d.lgs. n. 66 del 2010, «il Governo non avrebbe potuto innovare la materia preesistente, pena l’incostituzionalità del decreto delegato».

4. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per tardività, e, nel merito, la fondatezza del ricorso.

5. All’udienza pubblica del 31 ottobre 2012, sentite le difese delle parti costituite, la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di tardività di proposizione del ricorso, in quanto la determinazione n. 644/6 del 2011, oggetto di impugnazione, risulta essere meramente inviata per la spedizione all’interessato in data 6 ottobre 2011 e, successivamente, in data 26 ottobre 2011, stante il mancato recapito della lettera AR al destinatario, depositata presso l’ufficio postale di Padova Centro, con la conseguenza che la notifica della determinazione in questione risulta essersi perfezionata al termine dei successivi 10 giorni.

6.1. Pertanto il ricorso, notificato all’Amministrazione resistente il 30 dicembre 2011 è da considerarsi tempestivo.

7. Nel merito, il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto.

7.1. Ai fini della soluzione della controversia è necessario stabilire se la condotta imputata al militare, consistita nell’essere «stato riconosciuto da Carabinieri impegnati in attività istituzionale mentre, libero dal servizio ed in abiti civili, svolgeva propaganda in favore di detto partito, distribuendo bandierine con il logo del partito», integri o meno la «violazione del divieto per i militari di svolgere attività politiche non espressamente consentite dalla legge», in quanto lesiva del principio di estraneità delle forze armate alle competizioni politiche, sancito dal combinato disposto dell’art. 1483 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 713 del DPR n. 90 del 2010.

7.2. Occorre, dunque, prendere la mosse dalla ricostruzione testuale e sistematica delle disposizioni mediante le quali è stata data attuazione al precetto costituzionale di cui all’articolo 98, comma terzo, Cost. – quale eccezione rispetto al principio sancito dall’articolo 49 Cost., secondo cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale – che ammette la possibilità di stabilire, con legge, limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i militari di carriera in servizio attivo.

7.3. In questa prospettiva viene in considerazione, in primo luogo, l’art. 1483 del d.lgs. n. 66 del 2010, rubricato Esercizio delle libertà in ambito politico, che così dispone: «Le Forze armate devono in ogni circostanza mantenersi al di fuori dalle competizioni politiche. 2. Ai militari che si trovino nelle condizioni di cui al comma 2 dell’articolo 1350, è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative».

7.4. L’art. 1483 appena riportato, in ragione dell’espresso richiamo all’art. 1350, comma 2, in esso contenuto deve essere letto in combinato con tale ultimo disposto, ai sensi del quale:
«1. I militari sono tenuti all’osservanza delle norme sulla disciplina militare e sui limiti all’esercizio dei diritti, dal momento della incorporazione a quello della cessazione dal servizio attivo, ferma restando la disciplina dettata per il personale in congedo.

2. Le disposizioni in materia di disciplina militare, si applicano nei confronti dei militari che si trovino in una delle seguenti condizioni:
a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l’uniforme;
d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.

3. Quando non ricorrono le suddette condizioni, i militari sono comunque tenuti all’osservanza delle disposizioni del codice e del regolamento che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari, in conformità alle vigenti disposizioni» (cfr. art. 1350, commi 1, 2 e 3).

7.5. Sulla base delle disposizioni richiamate, il principio di estraneità delle Forze Armate alle competizioni politiche, sancito dal comma 1 dell’articolo 1483 del Codice dell’ordinamento militare, non può essere inteso estensivamente, sì da essere riferibile anche ai comportamenti tenuti da ciascun singolo appartenente come privato cittadino o comunque oggettivamente estranei all’attività di servizio, ovvero svolti al di fuori di luoghi militari o comunque destinati al servizio, in cui non sia indossata l’uniforme, e difetti alcuna qualifica, in relazione ai compiti di servizio, come militari.

7.6. L’obbligo espresso per le Forze armate di mantenersi, in ogni circostanza, al di fuori dalle competizioni politiche è, infatti, univocamente limitato dall’art. 1350, comma 2, a coloro i quali si trovino «in una» delle condizioni ivi tassativamente indicate, con la conseguenza che esso non può essere esteso a tutti gli appartenenti sulla base della mera condizione soggettiva di essere un appartenente alle Forze armate.

7.7. Orbene, nella fattispecie oggetto di giudizio, è pacifico che il comportamento contestato al ricorrente non sia in alcun modo riconducibile ad alcuna delle condizioni, di luogo, di tempo o comportamentali, espressamente considerate dalla predetta disposizione.

7.8. Infatti, come si desume dalla motivazione posta a sostegno della sanzione irrogata, il ricorrente è risultato iscritto ad un partito, denominato «Partito Operatori della Sicurezza e della difesa (PSD)» (successivamente mutato in «Partito Popolare Sicurezza e Difesa (PPSD)»), ed ha svolto attività politica assumendo cariche direttive, ricoprendo in particolare, all’interno di esso, «l’incarico di Capo Dipartimento Nazionale per l’Arma dei Carabinieri», e partecipando a manifestazioni politiche, ma ciò - stando a quello che risulta dagli atti - non durante l’attività di servizio, né in luoghi a ciò destinati, né indossando l’uniforme o qualificandosi in relazione all’attività di servizio come militare o rivolgendosi ad altri militari in divisa o qualificatisi come tali.

7.9. Il ricorrente risulta, invero, esser «stato riconosciuto da Carabinieri impegnati in attività istituzionale mentre, libero dal servizio ed in abiti civili, svolgeva propaganda in favore di detto partito, distribuendo bandierine con il logo del partito».

7.9.1. Pertanto, detto riconoscimento non è dipeso da un comportamento esteriore, imputabile al ricorrente, idoneo a manifestarne oggettivamente l’appartenenza all’Arma, bensì da una conoscenza personale dei militari in servizio.

8. Né un autonomo fondamento della contestazione in questione appare rinvenibile nell’art. 713, del DPR n. 90 del 2010 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), rubricato Doveri attinenti al grado, a tenore del quale: «1. il grado corrisponde alla posizione che il militare occupa nella scala gerarchica. 2. Egli deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene e pregiudicare l’estraneità delle Forze armate come tali alle competizioni politiche, fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 1483 del codice. 3. Il militare investito di un grado deve essere di esempio nel compimento dei doveri, poiché l’esempio agevola l’azione e suscita lo spirito di emulazione».

8.1. La disposizione appena richiamata – che sostanzialmente riproduce il testo del precedente art. 10, comma 2, del DPR n. 545 del 1986 (abrogato dall’art 2269, comma 1, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66) secondo cui il militare «... deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possano comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene e pregiudicare l’estraneità delle Forze armate come tali alle competizioni politiche, fatto salvo quanto stabilito dal successivo art. 29» – conferma, al contrario, il principio secondo cui il comportamento di attività politica e partitica del singolo non può automaticamente rilevare ai fini della violazione del principio di estraneità alle competizioni politiche delle Forze Armate, se non qualora sia connotato da un’oggettiva valenza estrinseca idonea a renderlo rappresentativo dell’Istituzione di appartenenza, nel senso, cioè, di voler far politica attiva nel nome (oltre che nell’interesse) dell’Istituzione Forze Armate (cfr., in senso conforme, TAR Umbria, Perugia, n. 409 del 2011).

8.2. In conclusione, il Collegio ritiene che le disposizioni concretamente applicabili ed individuate nel provvedimento impugnato non consentano di sanzionare i comportamenti contestati al ricorrente, poiché ogni comportamento non riconducibile ad una delle suddette limitazioni espresse, deve ritenersi consentito, qualora, come nel caso di specie, costituisca esercizio di un diritto costituzionalmente riconosciuto a tutti i cittadini, così come affermato per la partecipazione all’attività politica dall’articolo 49 Cost.

9. La fondatezza del principale ordine di censure, esime il Collegio dall’esaminare gli ulteriori profili di illegittimità sollevati.

10. Dall’accoglimento del ricorso deriva l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

11. In considerazione della peculiarità e novità delle questioni trattate, ricorrono, nondimeno, eccezionali motivi per compensare integralmente le spese fra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 31 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Claudio Rovis, Presidente FF
Silvia Coppari, Referendario, Estensore
Enrico Mattei, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2012
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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Quello che posto qui non c'entra col titolo del post ma, cmq. si avvicina in materia di Diritti
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Ieri, 24 luglio, è uscito un importante annuncio a pagamento pubblicato sull’edizione nazionale del quotidiano “Repubblica”. L’iniziativa ha importanza, poiché i committenti dell’avviso sono 400 militari della Guardia di Finanza che hanno presentato un ricorso alla Corte europea di Strasburgo contro lo Stato italiano.

L’iniziativa è stata sostenuta dai 400 Finanzieri, per violazione al diritto di associazione ed al diritto di difendere giudiziariamente le proprie ragioni.

Per i dettagli completi, vi rimando alla lettura integrale degli articoli pubblicati a pag. 21 e 27 del quotidiano sopra citato.

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panorama
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Re: Circolare sulla limitazione di iscrizione ai partiti

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per opportuna notizia,

come al solito non ci danno né riconoscono mai nulla.

Qui se non interviene l'Alta Corte dei Diritti dell'uomo una volta per tutti, Carabinieri e GdiF e FF.AA. siamo sempre FERMI al 1978, mentre tutti i diritti per i comuni cittadini vanni a passo coi tempi moderni, per noi militari, il tempo si è fermato al 1978.

Non capisco perché ci danno la possibilità di votare alle elezioni Amministrative, Europee ed altre, poiché se siamo limitati dobbiamo esserlo anche nelle altre cose. Dobbiamo astenerci da tutto.

Stato Democratico?

Stato Parziale o Imparziale con i propri cittadini?

Il Popolo è Sovrano?
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- ) - costituzione di associazione professionale fra militari a carattere sindacale

IL TAR LAZIO scrive:

1) - Con riferimento a detta ultima disposizione è intervenuta la ben nota sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1999 n. 449, che appare utile anche nella presente sede richiamare.

2) - Dai principi enucleati dalla Corte costituzionale, richiamati espressamente nella presente sede poiché ad avviso del Collegio decisamente attuali, si desume agevolmente che il servizio militare non può essere considerato la prestazione di una mera attività, giacchè esso determina, in capo al soggetto che lo presta (non importa se sia militare «di carriera» o «di leva» ovvero sia militare di truppa, sottufficiale ed ufficiale) uno status assolutamente particolare che comporta l'assoggettamento dell'individuo medesimo ad un regime del tutto peculiare implicante, come tale, non solo l'obbligo di prestare determinate funzioni o attività, ma anche l’insorgere di una situazione che, sotto certi profili, incide su alcune libertà fondamentali (così, Cons. Stato, IV Sezione, 28 luglio 2005 n. 4012).

- ) - In tal senso va interpretato l’art. 1465 del Codice dell’ordinamento militare a mente del quale “Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi costituzionali.” Se è dunque certo e indubbio che “il militare è e rimane sempre un cittadino, al quale non possono essere conculcati in alcun caso i diritti fondamentali a lui garantiti dalla Carta costituzionale...” detti “diritti, tuttavia, …possono soffrire limitazioni nel loro concreto esercizio solo ed esclusivamente in ragione del particolare status del militare” (cfr. Cons. Stato, IV Sez. cit.), limitazioni che discendono direttamente e traggono la loro origine dalla necessità di tutela del bene supremo, compito proprio delle Forze Armate cui esse sono chiamate, per espresso disposto della stessa Costituzione, a salvaguardare.

- ) - Non a caso, dette limitazioni non sono rimesse alla pur prudente discrezionalità dell'esecutivo, ma, al fine della ottimale garanzia dei loro destinatari, possono essere poste dalla legge, e solo da essa.

Ricorso PERSO

N.B.: personalmente mi ha colpito molto questo passo: "si desume agevolmente che il servizio militare non può essere considerato la prestazione di una mera attività, giacchè esso determina, in capo al soggetto che lo presta (....) uno status assolutamente particolare che comporta l'assoggettamento dell'individuo medesimo ad un regime del tutto peculiare implicante"

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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23/07/2014 201408052 Sentenza 2


N. 08052/2014 REG.PROV.COLL.
N. 10880/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10880 del 2012, proposto da:
Associazione Solidarieta' Diritto e Progresso e F. S., rappresentati e difesi dagli avv. Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, con domicilio eletto presso Anton Giulio Lana in Roma, via Emilio de' Cavalieri, 11;

contro
Guardia di Finanza - Comando Generale, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento
della nota prot. n. 231973/12 del 31 luglio 2012 avente ad oggetto: istanza di costituzione di associazione professionale fra militari a carattere sindacale

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Guardia di Finanza - Comando Generale e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2014 il dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Espone il ricorrente F. S. di prestare servizio, quale Brigadiere della Guardia di Finanza, presso il Nucleo OMISSIS. Con istanza in data 11 giugno 2012 ha chiesto al Ministero dell’economia e delle finanze di essere autorizzato a costituire un’associazione a carattere sindacale tra il personale dipendente del Ministero della difesa e/o del Ministero dell’economia e delle finanze o in ogni caso di essere autorizzato ad aderire ad altre associazioni sindacali già esistenti. Con nota del 31 luglio 2012 il Comando Generale della Guardia di Finanza ha rappresentato che “la costituzione di associazioni fra militari a carattere sindacale e l’adesione ad associazione della specie già esistenti sono espressamente vietate dal comma 2 dell’art. 1475 del d. lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare)”, quindi disponendo la inammissibilità della petizione presentata.

Avverso il detto provvedimento ricorre il citato S… e con questi la associazione AS.SO.DI.PRO, di cui il primo è socio, deducendo violazione dell’art. 117 primo comma Cost. in relazione all’art. 11 CEDU ed all’art. 14 CEDU letto congiuntamente all’art. 11 citato, violazione del citato art. 11, violazione del citato art. 14 in combinato disposto con l’art. 11. In sostanza, la tesi di parte ricorrente si incentra sull’assunto per cui il divieto assoluto di libertà sindacale per gli appartenenti alle forze armate determina una disparità di trattamento ai danni di una specifica categoria di pubblici dipendenti rispetto ad altre categorie di funzionari dello Stato quali i membri della Polizia di Stato e i militari in servizio di leva o quelli richiamati in servizio. Di qui la conclusione con cui è chiesto l’annullamento degli atti e provvedimenti impugnati, in via subordinata prospettando i ricorrenti questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475 comma 2 del Codice dell’ordinamento militare per violazione dell’art. 117 comma 1 Cost. in relazione all’art. 11 CEDU ed all’art. 14 CEDU in combinato disposto con l’art. 11 CEDU.
Si sono costituite in giudizio le intimate amministrazioni affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinto.

Alla pubblica udienza del 18 giugno 2014 il ricorso viene ritenuto perla decisione.

Il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.

Dispone l’art. 1475 del decreto legislativo n. 66 del 2010, recante il codice dell’ordinamento militare, che:
“1. La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa.

2. I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali.

3. I militari non possono aderire ad associazioni considerate segrete a norma di legge e a quelle incompatibili con i doveri derivanti dal giuramento prestato.

4. I militari non possono esercitare il diritto di sciopero.”.

Trattasi di disposizione che nella sostanza riproduce quanto disposto dall’art. 8 della legge n. 382 del 1978, appunto abrogata dal codice del 2010, secondo cui “i militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali…”.

Con riferimento a detta ultima disposizione è intervenuta la ben nota sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1999 n. 449, che appare utile anche nella presente sede richiamare.

La questione di legittimità costituzionale del riportato art. 8 della legge n. 382/78, nella parte in cui vietava agli appartenenti alle Forze Armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e, comunque, di aderire ad altri sindacati esistenti, era stata sollevata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, in riferimento agli artt. 3, 52, terzo comma, e 39 della Costituzione.

La Corte ha ritenuto la questione non fondata, tra l’altro osservando come mancasse nella “prospettazione del Consiglio di Stato una considerazione - pur limitata - delle esigenze di organizzazione, coesione interna e massima operatività che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali. Significativamente l'art. 52, terzo comma, della Costituzione parla di "ordinamento delle Forze Armate", non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all'ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l'assoluta specialità della funzione.”. La Corte ha quindi richiamato propri precedenti nei quali aveva “messo in luce le esigenze funzionali e la peculiarità dell'ordinamento militare (sent. n. 113 del 1997, sent. n. 197 del 1994, sent. n. 17 del 1991, ord. n. 396 del 1996), pur ribadendo più volte che la normativa non è avulsa dal sistema generale delle garanzie costituzionali”. Nella sent. n. 278 del 1987, “la Corte ha infatti osservato che la Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell'ordinamento militare, giacché quest'ultimo deve essere ricondotto nell'ambito del generale ordinamento statale "rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini". Prosegue la Corte affermando che “La garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli "cittadini militari" non recede quindi di fronte alle esigenze della struttura militare; sì che meritano tutela anche le istanze collettive degli appartenenti alle Forze Armate…..al fine di assicurare la conformità dell'ordinamento militare allo spirito democratico”, tuttavia rilevando che aver constatato che “la struttura militare non è un ordinamento estraneo, ma costituisce un'articolazione dello Stato che in esso vive, e ai cui valori costituzionali si informa”, non consente “di ritenere illegittimo il divieto posto dal legislatore per la costituzione delle forme associative di tipo sindacale in ambito militare. Se è fuori discussione, infatti, il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, che loro competono al pari degli altri cittadini della Repubblica, è pur vero che in questa materia non si deve considerare soltanto il rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione e, quindi, l'insieme dei diritti e dei doveri che lo contraddistinguono e delle garanzie (anche di ordine giurisdizionale) apprestate dall'ordinamento. Qui rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52 della Costituzione, primo e secondo comma).” Osservava quindi la Corte che “la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 8, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell'ordinamento militare.” Peraltro in quella occasione la Corte ha pure affermato la insussistenza di una asserita disparità di trattamento con il personale della Polizia di Stato, cui il legislatore ha invero riconosciuto, per quanto entro precisi limiti, la libertà sindacale, ma ciò ha disposto contestualmente alla smilitarizzazione del corpo di Polizia, il quale ha, oggi, caratteristiche che lo differenziano nettamente dalle Forze armate, non potendo quindi invocarsi la comparazione con la Polizia di Stato per la diversità delle situazioni poste a confronto.

Dai principi enucleati dalla Corte costituzionale, richiamati espressamente nella presente sede poiché ad avviso del Collegio decisamente attuali, si desume agevolmente che il servizio militare non può essere considerato la prestazione di una mera attività, giacchè esso determina, in capo al soggetto che lo presta (non importa se sia militare «di carriera» o «di leva» ovvero sia militare di truppa, sottufficiale ed ufficiale) uno status assolutamente particolare che comporta l'assoggettamento dell'individuo medesimo ad un regime del tutto peculiare implicante, come tale, non solo l'obbligo di prestare determinate funzioni o attività, ma anche l’insorgere di una situazione che, sotto certi profili, incide su alcune libertà fondamentali (così, Cons. Stato, IV Sezione, 28 luglio 2005 n. 4012). In tal senso va interpretato l’art. 1465 del Codice dell’ordinamento militare a mente del quale “Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi costituzionali.” Se è dunque certo e indubbio che “il militare è e rimane sempre un cittadino, al quale non possono essere conculcati in alcun caso i diritti fondamentali a lui garantiti dalla Carta costituzionale...” detti “diritti, tuttavia, …possono soffrire limitazioni nel loro concreto esercizio solo ed esclusivamente in ragione del particolare status del militare” (cfr. Cons. Stato, IV Sez. cit.), limitazioni che discendono direttamente e traggono la loro origine dalla necessità di tutela del bene supremo, compito proprio delle Forze Armate cui esse sono chiamate, per espresso disposto della stessa Costituzione, a salvaguardare. Non a caso, dette limitazioni non sono rimesse alla pur prudente discrezionalità dell'esecutivo, ma, al fine della ottimale garanzia dei loro destinatari, possono essere poste dalla legge, e solo da essa.

Quanto alla “nuova” chiave di lettura della questione di che trattasi prospettata dai ricorrenti avendo a riferimento gli artt. 11 e 14 CEDU, ritiene il Collegio che, in ragione di ciò, non muta l’esito finale nel senso della legittimità della avversata determinazione del Comando Generale della Guardia di Finanza.

Dispone, infatti, il citato art. 11 che “1. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi.

2. L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza
nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo
non osta a che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato.” Il successivo art. 14 dispone che “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.

Ad avviso del Collegio, che ben conosce il diverso avviso interpretativo, particolarmente sostenuto con argomenti di assoluto rispetto e valore da parte della dottrina, pure le invocate disposizioni della CEDU, al pari delle disposizioni costituzionali innanzi richiamate, sono tuttavia utili a fondare e quindi rendere legittimo lo speciale e differenziato regime giuridico dettato sul punto dal legislatore nazionale. La stessa CEDU, infatti, prefigura una disciplina più restrittiva, quanto all’esercizio del diritto alla libertà di associazione, per il personale delle forze armate. Secondo le indicazioni della stessa giurisprudenza della CEDU, affinché le restrizioni in via generale alla libertà di associazione siano ammissibili ai sensi del citato art. 11, par. 2, CEDU, esse debbono soddisfare tre requisiti. Il primo è quello della legalità. Che ricorre con ogni evidenza nella specie. E’ in sostanza necessario che il relativo provvedimento impositivo abbia sufficiente base legislativa, base legislativa che sia conoscibile e chiara. Soddisfatto il requisito della legalità, occorre valutare se la restrizione persegua uno degli scopi legittimi previsti dal medesimo par. 2.

Orbene, anche a condividere l’assunto per cui le limitazioni, proprio perché tali, debbono essere interpretate restrittivamente, non si può non convenire sul fatto che con riferimento al personale delle forze armate la imposta restrizione persegue uno scopo legittimo, avuto riguardo agli scopi ed ai compiti delle forze armate, che è quello di tenere e garantire un meccanismo di coesione interna, sul quale peraltro si fonda lo stesso ordinamento gerarchico, che rischierebbe di essere altrimenti compromesso da contrapposizioni interne. Il terzo elemento è la proporzionalità, se cioè la restrizione imposta appare congrua ed adeguata. Parametro che nella specie risulta garantito dalla predisposizione normativa di un articolato sistema della cd. rappresentanza militare.

Rimane ad avviso del Collegio ineliminabile e comunque insuperabile il dato giuridico per cui la posizione del militare è connotata in modo del tutto peculiare rispetto a tutti gli altri cittadini ed è tale da dover subire una limitazione dei propri diritti.

La specialità della fattispecie e della relativa disciplina è, in maniera complementare, comprovata dal fatto che lo stesso legislatore ha provveduto alla istituzione degli «organi di rappresentanza militare» di cui agli artt. 1476 e seguenti del Codice dell’ordinamento militare, composti da militari di tutte le categorie e di tutti i gradi, eletti su base democratica, e con la espressa competenza di rappresentare e difendere, nelle sedi istituzionali, le aspirazioni, le esigenze, le proposte comunque connesse con gli interessi collettivi delle singole categorie.

Pertanto, il provvedimento impugnato, nella parte in cui dichiara inammissibile la domanda di autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale , si fonda legittimamente sull'art. 1475 citato, che costituisce una puntuale norma primaria, la quale vieta, oltre che l'esercizio del diritto di sciopero, la costituzione, in seno alle Forze Armate, di associazioni sindacali di carattere professionale o l'adesione ad associazioni sindacali di categoria; e ciò, in considerazione, da un lato, del particolare status dei «cittadini in divisa», dall'altro lato, delle peculiari mansioni e funzioni che essi sono chiamati, sia pure sotto aspetti tra loro diversificati, ad espletare nel superiore interesse della Comunità nazionale, di fronte al quale interessi particolaristici - anche se di rilevante portata o valenza - debbono di necessità in ogni caso cedere.

In ragione di quanto considerato, non solo quindi deve affermarsi la legittimità della determinazione avversata, ma rilevarsi anche la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in via subordinata prospettata dai ricorrenti.

Come sopra chiarito, infatti, pur essendo indubbio che ai militari spettano, in ogni caso, i diritti garantiti dalla Costituzione, è vero altresì che tali diritti possono trovare limitazione, in connessione alla necessità di garantire l'efficace assolvimento dei compiti spettanti alle Forze Armate.

Dal che consegue che la configurazione costituzionale del singolo diritto va rinvenuta nell'insieme della intera disciplina costituzionale, vista nella sua globalità, anche nella indicata prospettiva della violazione dell’art. 117 comma 1 Cost. in relazione agli artt. 11 e 14 CEDU. Prospettiva che, per come innanzi rilevato, non muta le conclusioni già raggiunte sul punto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, n. 4439 del 2000).

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.

Sussistono tuttavia giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Salvatore Mezzacapo, Consigliere, Estensore
Silvia Martino, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/07/2014
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SENTENZA ,sede di TORINO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201601127, - Public 2016-09-05 -

Pubblicato il 05/09/2016

N. 01127/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01264/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1264 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
CARMELO CATALDI, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina Campagnaro C.F. CMPMRN61C57L219E, Giorgio Carta C.F. CRTGRG70H15B354W, con domicilio eletto presso Marina Campagnaro in Torino, via Principi D'Acaja, 11;

contro
MINISTERO DELLA DIFESA, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l'annullamento
della nota n. 3241/10-2009-D del 31.8.2010, con la quale il Comandante del Comando Legione Carabinieri Piemonte e Valle d'Aosta, SM - Ufficio Personale ha ammonito il ricorrente a recedere dalla carica di segretario regionale di partito politico;

della nota del Gabinetto del Ministero della Difesa del 3.7.2009, prot. 1/28411/2.6.32/06ML;

della nota n. 81/19-136-2-1981 del 20.6.2010, del sottocapo di stato maggiore del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri;

della comunicazione n. 3241/20-2009-D del 28.9.2010 del Comandante della Legione Carabinieri Piemonte e Valle d'Aosta;

con i motivi aggiunti, depositati in data 11.7.2011:

della determinazione n. 171/3 di protocollo del 1° aprile 2011, con la quale il Comandante Interregionale Carabinieri Pastrengo ha rigettato il ricorso gerarchico proposto dal ricorrente avverso la determinazione n. 3241/65-2009-D di protocollo del 9.12.2010, con la quale il Comandante della Legione Carabinieri Piemonte e Valle d'Aosta ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare di corpo della "Consegna di rigore di giorni cinque", per la mancanza compendiata nella seguente motivazione: "Maresciallo a. s. UPS comunicava al proprio comando di essersi iscritto a partito politico; avere assunto carica sociale quale segretario regionale in seno ad altro partito politico, respingendo reiteratamente ogni invito a recedere, in violazione dei doveri attinenti al grado ed alle funzioni del proprio stato, nonché del principio di estraneità delle FF.AA. alle competizioni politiche";

della determinazione n. 3241/65-2009-D di protocollo del 9.12.2010 del Comandante della Legione Carabinieri Piemonte e Valle d'Aosta;

di tutti gli atti presupposti, conseguenti connessi .

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 giugno 2016 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il sig. Carmelo Cataldi, Maresciallo Aiutante Sostituto Ufficiale di Pubblica Sicurezza dei Carabinieri, effettivo presso il Nucleo Operativo Radiomobile della Compagnia di Bra (CN), aveva comunicato ai propri superiori la circostanza di aver assunto la carica politica di Segretario regionale per il Piemonte in seno al PSD – Partito per gli operatori della Sicurezza e della Difesa. Con provvedimento prot. n. 3241/10-2009-D, del 31 agosto 2010, tuttavia, il Comandante della Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” lo ha formalmente ammonito a recedere dalla carica politica avvertendolo che, in caso di inottemperanza, sarebbe stato avviato il procedimento per la diffida ministeriale ed eventuale successiva decadenza dal servizio, ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 3, dell’(allora vigente) legge n. 37 del 1968.

Nella motivazione di tale atto l’amministrazione ha sostenuto che “l’iscrizione e l’assunzione di carica sociale in seno a partito politico, costituisce comportamento suscettibile di assumere rilievo sotto il profilo disciplinare, ai sensi del nr. 9 dell’allegato ‘C’ al R.D.M.” (Regolamento di Disciplina Militare, di cui al d.P.R. n. 545 del 1986), trattandosi di “incarico incompatibile con l’adempimento dei Suoi doveri di sottufficiale”, in proposito richiamando l’(allora vigente) art. 6, comma 1, della legge n. 382 del 1978, a norma del quale “Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche”. L’amministrazione ha anche aggiunto che la carica politica ricoperta dal Maresciallo Cataldi “implica necessariamente l’esercizio di funzioni attive a carattere propriamente politico, atteso che, quale Segretario Regionale, la S.V. siede – oltretutto con voto deliberativo – sia nel Consiglio Nazionale che nella Direzione Nazionale del partito, ex artt. 9 e 10 dello statuto del partito medesimo”.

Avverso detto provvedimento (nonché altri atti di mera portata endoprocedimentale) il Maresciallo Cataldi ha proposto il ricorso di cui all’epigrafe, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, sollevando un unico, complesso motivo di gravame in seno al quale sono individuabili i seguenti profili di impugnazione:

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, della legge n. 382 del 1978 (ora, art. 1465 del d.lgs. n. 66 del 2010): in base alla legge, i militari incontrerebbero solo i divieti espressamente indicati, non suscettibili di interpretazioni estensive, e quindi, a titolo personale e fuori dal servizio, ben potrebbero partecipare a riunioni e manifestazioni politiche, nonché iscriversi e svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni, senza per questo dover subire alcuna ripercussione in ambito disciplinare e/o sul servizio svolto;

- difetto di motivazione: l’atto impugnato ometterebbe di specificare, compiutamente, in relazione a quali doveri specifici del sottufficiale dell’Arma risulterebbe inconciliabile la condotta a lui contestata;

- violazione dell’art. 49 Cost. e dell’art. 6, commi 3, 4 e 5, della legge n. 382 del 1978; irragionevolezza: la tesi propugnata dall’amministrazione si sostanzierebbe nell’esclusione di qualsiasi forma di esercizio di attività politica per i cittadini militari;

- violazione e falsa applicazione del principio di estraneità delle Forze armate dalle competizioni politiche (principio sancito, adesso, dall’art. 1483, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010): tale principio riguarderebbe le Forze armate complessivamente considerate come istituzione e non sarebbe, invece, riferibile al singolo militare;

- eccesso di potere per contraddittorietà, avuto riguardo al tenore dell’iniziale posizione assunta dal medesimo Comandante della Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta”, quando aveva avanzato una richiesta di quesito al superiore Comando Interregionale.

2. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, depositando documenti e chiedendo il rigetto del gravame, previa disamina, nel merito, delle censure di parte ricorrente.

Il ricorrente ha replicato con lunga memoria difensiva depositata il 10 gennaio 2011.

Con ordinanza n. 1 del 2011 questo TAR ha respinto la domanda cautelare, non ravvisando la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, pur avvertendo che “residuano dubbi sull’ammissibilità dell’iscrizione di militari a partiti politici, che dovranno essere approfonditi nella deputata sede di merito”.

Con ordinanza n. 1319 del 2011 il Consiglio di Stato, sez. IV, ha respinto l’appello proposto avverso l’ordinanza cautelare di questo TAR.

3. Nelle more del giudizio, in data 9 dicembre 2010 il Comandante della Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta” ha inflitto al Maresciallo Cataldi la sanzione disciplinare di giorni 5 di consegna di rigore, richiamando in motivazione la circostanza che quest’ultimo si era iscritto ad un partito politico (nella specie, questa volta, quello denominato “Lega Nord– Bossi”) ed aveva assunto, in seno ad altro partito politico (il già menzionato PSD), la carica di Segretario regionale, e ciò peraltro aveva fatto “respingendo reiteratamente ogni invito a recedere, in violazione dei doveri attinenti al grado ed alle funzioni del proprio stato, nonché del principio di estraneità delle FF.AA. alle competizioni politiche”. Il Maresciallo Cataldi ha presentato ricorso gerarchico dinnanzi al Comando Interregionale Carabinieri “Pastrengo” il cui Comandante, tuttavia, con provvedimento prot. n. 171/3, del 1° aprile 2011, ne ha deciso il rigetto ritenendo, a propria volta, che “il comportamento posto in essere dal ricorrente ha costituito violazione degli artt. 10, commi 2 e 3, e 29 del R.D.M. in relazione ai nn. 3 e 9 dell’allegato ‘C’ al medesimo Regolamento”.

Con motivi aggiunti depositati l’11 luglio 2011 il ricorrente ha quindi impugnato, dinnanzi a questo TAR, il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico, insieme all’atto presupposto di inflizione della sanzione disciplinare, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare, sollevando in diritto i seguenti profili di impugnazione:

- illegittimità derivata (con richiamo ai motivi del ricorso introduttivo);

- violazione del principio del ne bis in idem, in quanto, in un primo momento, il Comandante della Compagnia – in base a quanto riferisce il ricorrente – avrebbe deciso di non dare luogo al procedimento disciplinare ma successivamente, il 4 agosto 2010, avrebbe mutato opinione tornando sui propri passi;

- violazione dell’art. 10, lett. b, della legge n. 241 del 1990, in quanto, in sede di disamina del ricorso gerarchico, il Comandante Interregionale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla censura relativa alla violazione del ne bis in idem, pur sollevata dal ricorrente;

- violazione del principio del ne bis in idem sotto altro profilo, in quanto anche il Comandante Interregionale (con nota del 23 febbraio 2010) avrebbe inizialmente sostenuto la non perseguibilità del comportamento posto in essere dal militare;

- eccesso di potere per ingiustizia e discriminazione, in quanto la sanzione sarebbe stata applicata “nonostante la confusione e l’incertezza che, sul punto, l’amministrazione ha contribuito a creare”;

- violazione dell’art. 59 del d.P.R. n. 545 del 1986 per tardività della contestazione disciplinare;

- eccesso di potere per genericità della contestazione disciplinare e per conseguente difetto di motivazione;

- eccesso di potere derivante dal fatto che, secondo il ricorrente, “il militare risulta obbligato solamente ad eseguire gli ordini che provengono dai propri superiori gerarchici” ma non anche ad adempiere ai meri “inviti” (nel caso di specie, si trattava dell’“invito a recedere” dall’attività politica) i quali non rivestirebbero “alcun valore cogente”;

- violazione dell’art. 751, comma 1, lett. a, n. 10, del d.P.R. n. 90 del 2010, in quanto la sanzione della consegna di rigore potrebbe essere irrogata solo per i comportamenti ivi indicati (partecipazione a riunioni o manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, o svolgimento di propaganda a favore o contro partiti, associazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative) purché però essi siano tenuti – come precisa la norma – “nelle condizioni indicate nell’articolo 1350, comma 2, del codice (articolo 1483 del codice)” le quali, a propria volta, richiamano comportamenti posti in essere durante il servizio attivo o comunque collegati con l’espletamento del servizio attivo;

- violazione di norme sovranazionali, tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 2), il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (artt. 2 e 25), la Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (artt. 1 e 14) e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 12);

- eccesso di potere per discriminazione rispetto alla situazione di altri militari e per il conseguente “carattere persecutorio” della condotta tenuta dall’amministrazione nei confronti del ricorrente;

- violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.

4. Con memoria depositata il 3 settembre 2011 la difesa erariale ha sinteticamente replicato alle censure di cui ai motivi aggiunti, insistendo per il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 568 del 2011 questo TAR ha respinto la domanda cautelare di cui ai motivi aggiunti.

5. In vista della pubblica discussione sul merito, il ricorrente ha depositato una breve memoria difensiva in data 4 maggio 2016, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali ed insistendo per l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 29 giugno 2016, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. E’ controversa, nel presente giudizio, la legittimità del divieto, frapposto ad un Carabiniere dalla sua amministrazione di appartenenza, di iscriversi e di assumere cariche all’interno di un partito politico (nella specie, si tratta della carica di Segretario regionale). In particolare, oggetto di impugnazione sono l’ammonimento a recedere dalla carica politica rivestita (ricorso introduttivo) e la successiva inflizione della sanzione disciplinare della consegna di rigore pari a cinque giorni (motivi aggiunti).

Secondo il ricorrente tale divieto si porrebbe in contrasto con l’art. 49 Cost. che consente a tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale, mentre – con più specifico riferimento all’ordinamento militare – le restrizioni imposte con l’art. 6 della legge n. 382 del 1978 (ed oggi con l’art. 1483 del d.lgs. n. 66 del 2010) non sarebbero suscettibili di interpretazioni estensive e quindi comunque consentirebbero ai militari di iscriversi in partiti politici e di assumervi cariche al di fuori delle fattispecie ivi contemplate. Secondo la difesa erariale, invece, le richiamate norme, anche alla luce della loro ratio di fondo, avrebbero introdotto una regola di carattere generale, tale da vietare qualsivoglia coinvolgimento politico del militare (sia in servizio attivo, sia in servizio non attivo), ossia tale da determinare per la categoria dei militari quel divieto generalizzato di svolgere attività politica che, ai sensi dell’art. 98, comma 3, Cost., il legislatore è autorizzato ad introdurre nel nostro ordinamento.

2. Il ricorso, ed i motivi aggiunti, sono fondati.

La questione oggetto del presente giudizio è stata, da ultimo, approfondita da alcuni arresti giurisprudenziali che, per fattispecie del tutto analoghe, ed in considerazione del complessivo quadro normativo (costituzionale e legislativo) vigente, sono giunti alla condivisibile conclusione di ritenere illegittimo il divieto per i militari di iscriversi in partiti politici e di assumere nel loro ambito cariche direttive, alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica delle norme (cfr. TAR Umbria, sent. n. 409 del 2011; TAR Veneto, sez. I, sent. n. 1480 del 2012).

Va poi avvertito che gli atti in questa sede impugnati sono stati adottati in un periodo che si pone temporalmente a cavallo dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 66 del 2010 (“Codice dell’ordinamento militare”): più in particolare, l’ammonimento a recedere dalla carica politica è stato formalizzato quando era ancora vigente la legge n. 382 del 1978 (“Norme di principio sulla disciplina militare”), mentre l’irrogazione della sanzione disciplinare è intervenuta a nuovo codice già in vigore. In ogni caso, la disciplina normativa qui rilevante può essere ricostruita con esclusivo riferimento alle norme dettate dal nuovo codice (d.lgs. n. 66 del 2010) in quanto quest’ultimo, per ciò che concerne l’esercizio dei diritti politici del militare, e limitatamente a quanto rileva in questa sede, appare meramente ricognitivo delle norme già dettate dalla legge del 1978.

2.1. Imprescindibile punto di partenza è l’art. 49 Cost., a norma del quale “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Le possibili limitazioni sono consentite al legislatore secondo quanto previsto dall’art. 98, comma 3, Cost.: “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero”. Tuttavia, il legislatore non ha mai stabilito per i militari, in modo duraturo, un esplicito divieto di iscrizione ai partiti politici: ciò non ha fatto, espressamente, né nella legge n. 382 del 1978 (recante “Norme di principio sulla disciplina militare”) né nel Regolamento di disciplina militare (approvato con d.P.R. n. 545 del 1986). Vi è solo stata la norma dichiaratamente transitoria di cui all’art. 114 della legge n. 121 del 1981 con cui si è stabilito, in attesa di una disciplina generale di attuazione dell’art. 98, comma 3, Cost., che, “comunque non oltre un anno dall'entrata in vigore della presente legge”, “gli appartenenti alle forze di polizia di cui all'articolo 16 della presente legge [tra cui, anche l’Arma dei Carabinieri, n.d.r.] non possono iscriversi ai partiti politici”.

Tale divieto transitorio è stato poi prorogato di anno in anno, con successivi interventi legislativi, fino al 31 dicembre 1990 (da ultimo, con la proroga disposta dall’art. 1 del decreto-legge n. 81 del 1990, convertito in legge n. 159 del 1990) e poi non è stato più rinnovato. E’, quest’ultima, una circostanza senz’altro rilevante ai fini di ricostruire l’attuale volontà del legislatore: nemmeno con il varo del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010), ossia della disciplina che si propone di regolare, in modo organico, l'organizzazione, le funzioni e l'attività della difesa e sicurezza militare e delle Forze armate, quel divieto è stato più riproposto o, comunque, riformulato.

Piuttosto, il d.lgs. n. 66 del 2010 ha ripreso, con minime modifiche, la disciplina che, in punto di esercizio dei diritti politici del militare, era già stata introdotta con l’art. 6 della legge n. 382 del 1978. E’ stato così ribadito il generale principio di estraneità delle Forze Armate dalle competizioni politiche (art. 1483, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010: “Le Forze armate devono in ogni circostanza mantenersi al di fuori dalle competizioni politiche”, corrispondente al testo dell’art. 6, comma 1, della legge n. 382 del 1978), ed è stato confermato l’unico specifico divieto già introdotto dall’art. 6, comma 2, della legge n. 382 del 1978: “Ai militari che si trovino nelle condizioni di cui al comma 2 dell'articolo 1350, è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative” (così l’attuale art. 1483, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010).

2.2. Proprio queste ultime sono le norme valorizzate dall’amministrazione resistente per affermare l’esistenza, nel nostro ordinamento, del divieto di iscrizione dei militari ai partiti politici.

Secondo la difesa erariale, in particolare, il legislatore, nell’enunciare il generale principio della terzietà delle Forze Armate rispetto all’agone politico e nel delineare l’espresso divieto di partecipazione alle manifestazioni politiche o di propaganda politica (art. 1483, commi 1 e 2, d.lgs. n. 66 del 2010), minus dixit quam voluit. Entrambe queste disposizioni rimarrebbero integre e non vulnerate solo rimuovendo ogni possibilità di iscrizione dei militari ai partiti politici (e, a fortiori, di assunzione di cariche direttive): tali situazioni, infatti, comporterebbero “l’instaurazione di un rapporto organico con il sodalizio, che implica soggezione alle norme statutarie”, con la conseguente “contrazione di un vincolo obbligatorio”, in capo al singolo militare (una vera e propria “obbligazione ad osservare un ordinamento interno di diritto privato”), “teleologicamente concepito per lo svolgimento di attività politica in concreto, con sicure ricadute in termini di violazione della fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 1483”, e con possibili “refluenze anche sul versante del corretto funzionamento degli organi della Rappresentanza militare”. Insomma, secondo l’amministrazione il divieto di svolgimento di attività politica riunirebbe in sé anche quello di mera iscrizione (o di assunzione di cariche) nei partiti politici, “pena l’esposizione della norma a censura d’irrazionalità”. Si tratta, del resto, delle conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione nell’impugnato atto di ammonimento, laddove l’assunzione della carica direttiva all’interno di un partito politico è stata valutata nel senso di implicare necessariamente l’esercizio di funzioni attive a carattere politico e, quindi, per ciò solo ricadente nel divieto di cui all’art. 1483, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010.

Sennonché a conclusione diversa fa propendere la circostanza che, quando il legislatore ha voluto – sia pure transitoriamente – introdurre un divieto di iscrizione dei militari ai partiti politici, ciò ha fatto con formula inequivocabilmente precisa e perentoria (“gli appartenenti alle forze di polizia [...] non possono iscriversi ai partiti politici”: art. 114 della legge n. 121 del 1981), poi non più riproposta nemmeno nella nuova disciplina organica dell’ordinamento militare. E solo una formula di tal fatta sarebbe stata idonea, nel vigente quadro costituzionale, ad introdurre quella limitazione che, in quanto eccezione ad un diritto fondamentale dei cittadini (quello di cui all’art. 49 Cost.), e pur se frutto di un bilanciamento tra contrapposte esigenze costituzionali, è non a caso assistita dalla garanzia della riserva di legge (art. 98, comma 3, Cost.). Al contrario, nella disciplina di legge attualmente vigente non è rinvenibile alcuna disposizione che, in modo espresso ed inequivoco, faccia divieto ai militari di iscriversi in partiti politici o di assumere cariche nel loro seno.

In tale quadro, quindi, le preoccupazioni esternate dalla difesa erariale (riguardanti le possibili ricadute sulle garanzie di imparzialità e di buon funzionamento delle Forze Armate) potrebbero al più essere valutate dal legislatore in una prospettiva de iure condendo, cioè in quanto possibili argomenti a favore di una reintroduzione, questa volta duratura e non più transitoria, del divieto di iscrizione per i militari ai partiti politici, secondo la sua prudente valutazione discrezionale. Quelle stesse argomentazioni, in un’ottica de iure condito, non possono invece condurre all’interpretazione estensiva di un precetto (quello di cui all’art. 1483, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010) che rimane ancorato, letteralmente, al solo divieto di partecipare a manifestazioni politiche o di svolgere propaganda politica, per di più solo in presenza delle particolari modalità di esercizio di cui al richiamato art. 1350, comma 2 (servizio attivo), ponendosi in tal modo al di fuori della garanzia costituzionale della riserva di legge.

2.3. Quest’ultima annotazione, peraltro, consente di superare un’ulteriore argomentazione spesa dalla difesa erariale la quale, nel tentativo di dimostrare che la legge imporrebbe sempre ai militari di osservare le statuizioni di cui all’art. 1483 del d.lgs. n. 66 del 2010 – e, quindi, in tesi, “non solo durante la prestazione del servizio attivo” – sostiene che le norme relative alle limitazioni loro imposte nell’esercizio dei diritti troverebbero costante applicazione per tutta la durata del rapporto di servizio, al fine di “tutelare l’equilibrato rapporto tra società e Forze armate”. Ciò, secondo l’Avvocatura, discenderebbe dal comma 1 dell’art. 1350 del d.lgs. n. 66 del 2010, a norma del quale “I militari sono tenuti all'osservanza delle norme sulla disciplina militare e sui limiti all'esercizio dei diritti, dal momento della incorporazione a quello della cessazione dal servizio attivo...”.

Tuttavia questa disposizione, di natura generale, non può considerarsi prevalente rispetto ad altre disposizioni dello stesso codice che, espressamente, e con riguardo ad ambiti più specifici, dispongono una più circoscritta limitazione dei diritti dei militari. Ed è, questo, proprio il caso dell’art. 1483, comma 2, del codice il quale, nell’imporre la già menzionata limitazione al diritto di partecipare a manifestazioni politiche e a quello di effettuare propaganda politica attiva, espressamente la circoscrive alle sole ipotesi di cui all’art. 1350, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, ossia alle ipotesi in cui il militare si trovi in servizio attivo o la cui attività si trovi in qualche modo collegata a luoghi o a simbologie che, richiamando immediatamente la sua appartenenza all’Arma, possano ingenerare il rischio di inquinamento politico in capo all’amministrazione di appartenenza. Ed infatti il richiamato art. 1350, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 si riferisce ai militari che si trovino nelle seguenti situazioni: “a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l'uniforme; d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”.

Solo allorché ricorrano queste circostanze, quindi, per il militare scatta il divieto di partecipare a manifestazioni politiche o di svolgere propaganda politica; laddove invece il militare non si trovi a svolgere attività di servizio né si trovi nelle altre circostanze di luogo o di fatto descritte, quei divieti – per espressa disposizione di legge – non sussistono.

Come ritenuto in giurisprudenza, pertanto, anche lo stesso principio di estraneità delle Forze Armate rispetto alle competizioni politiche, sancito dal comma 1 dell’articolo 1483 del Codice dell’ordinamento militare, sulla base delle disposizioni richiamate, non può essere inteso estensivamente, sì da essere riferibile anche ai comportamenti tenuti da ciascun singolo appartenente come privato cittadino o comunque oggettivamente estranei all’attività di servizio, ovvero svolti al di fuori di luoghi militari o comunque destinati al servizio, in una parola con modalità di fatto o di luogo diverse da quelle indicate dal comma 2 dell’art. 1350. L’obbligo espresso per le Forze armate di mantenersi, in ogni circostanza, al di fuori dalle competizioni politiche è, infatti, univocamente limitato, dall’art. 1350, comma 2, a coloro i quali si trovino “in una” delle condizioni ivi tassativamente indicate, con la conseguenza che esso non può essere esteso a tutti i militari sulla base della mera condizione soggettiva di essere un appartenente alle Forze armate (così TAR Veneto, sez. I, sent. n. 1480 del 2012).

E’ comunque il caso di ribadire che i descritti divieti, anche qualora ricorrenti per le condizioni di fatto o di luogo descritte dal comma 2 dell’art. 1350, riguardano unicamente i comportamenti descritti dall’art. 1483, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, nei quali – per quanto già detto in precedenza – non rientra la mera iscrizione in partiti politici o l’assunzione di una carica direttiva in seno ad essi.

2.4. Deve pertanto essere ribadito – come pure, di recente, statuito in giurisprudenza – che il principio di estraneità delle Forze Armate alle competizioni politiche, già sancito dal comma 1 dell’articolo 6 della legge n. 382 del 1978, ed oggi ripreso dall’art. 1483, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010, non può essere inteso estensivamente, come riferibile anche ai comportamenti tenuti da ciascun singolo appartenente.

Altrimenti – a parte la evidente difficoltà di ritenere che i comportamenti dei singoli siano in grado di “impegnare”, o possano di per sé risultare rappresentativi di un orientamento dell’insieme dell’Istituzione cui appartengono – non vi sarebbe stato bisogno di precisare, al comma 2, il divieto di svolgere attività politica per i (singoli) “militari”. D’altra parte, detto divieto espresso è (come visto) univocamente limitato a coloro i quali si trovino nelle condizioni previste dal comma 2 dell’art. 1350 del d.lgs. n. 66 del 2010, e quindi non a tutti i militari, comunque soggetti alle disposizioni di disciplina del settore (così TAR Umbria, sent. n. 409 del 2011).

2.5. Nel caso in esame, è pacifico che i comportamenti contestati al ricorrente non siano in alcun modo riconducibili alle condizioni, di luogo, di tempo o di modo, considerate dalle predette disposizioni: il ricorrente si è iscritto ad un partito, ed ha svolto attività politica assumendo cariche direttive in seno ad un partito politico, ma ciò – stando a quello che risulta dagli atti – senza che sia mai stato provato o che gli sia mai stato contestato di aver effettivamente preso parte a manifestazioni politiche o di propaganda politica, e comunque non durante l’attività di servizio, né in luoghi a ciò destinati, né indossando l’uniforme o qualificandosi in relazione all’attività di servizio come militare o rivolgendosi ad altri militari in divisa o qualificatisi come tali.

Di conseguenza, con assorbimento delle ulteriori censure, il ricorso introduttivo deve essere accolto e deve, per l’effetto, disporsi l’annullamento dell’atto di ammonimento a recedere dalla carica politica rivestita. Parimenti, risultando fondata la censura di illegittimità derivata, e con assorbimento delle ulteriori censure, vanno accolti anche i motivi aggiunti, con conseguente annullamento della sanzione disciplinare inflitta al ricorrente (pari a giorni cinque di consegna di rigore).

3. In considerazione della complessità e della natura della presente controversia, tuttavia, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione prima, definitivamente pronunciando,
Accoglie il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore
Giovanni Pescatore, Primo Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonino Masaracchia Domenico Giordano





IL SEGRETARIO
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