Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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procedimento civile avente ad oggetto il risarcimento di danni causati da circolazione stradale, richiesti dal danneggiato nei confronti della propria impresa assicuratrice.
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SENTENZA N. 162
ANNO 2016


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Nicolò ZANON ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, promosso dal Giudice di pace di Vietri di Potenza nel procedimento civile vertente tra P. A. e Cattolica Assicurazioni Società cooperativa a responsabilità limitata e D. S. S., con ordinanza del 27 luglio 2015, iscritta al n. 25 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Ritenuto in fatto

1.− Nel corso di un procedimento civile avente ad oggetto il risarcimento di danni causati da circolazione stradale, richiesti dal danneggiato nei confronti della propria impresa assicuratrice ai sensi dell’art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), l’adito Giudice di pace di Vietri di Potenza – premesso che dall’esame degli atti risultava che l’azione era stata introdotta senza che l’attore avesse esperito il procedimento di «negoziazione assistita», prescritto quale «condizione di procedibilità della domanda giudiziale» dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162 – ha ritenuto, di conseguenza, rilevante, e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione – ed ha, per ciò, sollevato, con l’ordinanza in epigrafe – questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 3, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, convertito, «relativamente alla parte in cui – disponendo “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita” – sottopone la procedibilità della domanda giudiziale all’esperimento del procedimento di negoziazione assistita».

Secondo il rimettente, la disposizione denunciata – introducendo una ulteriore «condizione di procedibilità», che si sovrappone alla “condizione di proponibilità” già prevista dagli artt. 145, 148 e 149 del d.lgs. n. 209 del 2005, in tema di azioni risarcitorie del danno da circolazione di autoveicoli – sarebbe «del tutto irragionevole oltre che inutile» ed avrebbe «il solo fine di rinviare sine die l’inizio del contenzioso», con ciò, appunto, violando gli artt. 3 e 24 Cost.

Gli stessi parametri risulterebbero – sotto duplice profilo – altresì violati, sia perché «i pesi della negoziazione assistita vengono posti, irragionevolmente, sempre e solo sull’attore e non sul convenuto», sia per la disparità di trattamento tra i danneggiati che, sempre ad avviso del giudice a quo, verrebbe a determinarsi per essere obbligatoria, la negoziazione assistita, unicamente per le pretese risarcitorie non eccedenti l’importo di euro 50.000,00, e non anche per quelle di valore superiore (oltre che per quelle non eccedenti euro 1.100,00, nelle quali la parte può stare in giudizio personalmente, ex art. 82, primo comma, del codice di procedura civile).

La lesione del diritto all’eguaglianza, comporterebbe, infine, sempre ad avviso del giudice a quo, quella, consequenziale, dell’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona.

2.– È intervenuto, in questo giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione, per difetto di sua attuale rilevanza e, in subordine, ne ha contestato, sotto ogni profilo, la fondatezza.

Considerato in diritto

1.− Con l’ordinanza in epigrafe, e per i profili di denunciata violazione degli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione già in narrativa riassunti, viene posta a questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, «relativamente alla parte in cui – disponendo “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita” – sottopone la procedibilità della domanda giudiziale all’esperimento del procedimento di negoziazione assistita».

2.– La difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità, per difetto di attuale rilevanza di tale questione; ma l’eccezione – il cui esame è preliminare – non è suscettibile di accoglimento.

È pur vero, infatti, che – ai sensi (del quarto periodo) del medesimo comma 1 del denunciato art. 3 del d.l. n. 132 del 2014, come convertito – il giudice che, come nella specie, rilevi, in prima udienza, il mancato previo esperimento della negoziazione assistita, non deve dichiarare subito l’improcedibilità della domanda, essendo tenuto a fissare una successiva udienza con contestuale assegnazione di termine alle parti per recuperare la negoziazione e, solo ove questa risulti, anche dopo ciò, omessa, la domanda diviene improcedibile.

Ma ciò non esclude – e necessariamente anzi implica – l’attualità della questione, come sollevata in prima udienza, una volta che, con l’incidente di costituzionalità, il rimettente si propone di rimuovere in radice la negoziazione assistita, e non già di consentire alle parti (che nel giudizio a quo non l’hanno preventivamente esperita) di poterla recuperare entro il termine all’uopo loro assegnabile.

3.– Nel merito, la questione non è fondata.

3.1.– Erra, in primo luogo, il giudice a quo nel ritenere che la negoziazione assistita sia un “inutile doppione” della cosiddetta “messa in mora” di cui agli artt. 145, 148 e 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), e che, di conseguenza, essa irragionevolmente arrechi un vulnus al diritto di difesa, con il «rinviare sine die» la tutela risarcitoria di soggetti danneggiati da circolazione di veicoli e natanti.

E, ben vero, le norme contenute nel «Codice delle assicurazioni private» e la disposizione qui oggetto di censure, lungi dal sovrapporsi inutilmente, hanno contenuto e assolvono funzioni diverse e, utilmente, complementari.

I richiamati artt. 145, 148 e 149 di quel codice prevedono, infatti, un meccanismo (che si sostanzia, appunto, nella messa in mora della compagnia assicuratrice, con la presentazione di una circostanziata richiesta risarcitoria), la cui ratio è quella di rafforzare le possibilità di difesa offerte al danneggiato, attraverso il raccordo dell’onere di diligenza, a suo carico, con l’obbligo di cooperazione imposto all’assicuratore «Il quale, proprio in ragione della prescritta specificità di contenuto della istanza risarcitoria, non potrà agevolmente o pretestuosamente disattenderla, essendo tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum» (sentenza n. 111 del 2012).

È questa, dunque, una fase “stragiudiziale”, che si svolge direttamente tra le parti, e che il legislatore del 2005 ha previsto nella prospettiva di rendere, già in tal momento, possibile una anticipata e satisfattiva tutela del danneggiato.

Diversa, invece, è la finalità (e differenti sono la natura e le modalità) della «negoziazione assistita» introdotta dall’art. 2 del d.l. n. 132 del 2014, che il successivo suo art. 3 ha reso obbligatoria (tra l’altro e per quel che qui rileva) per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti.

Una tale “negoziazione” presuppone che (nel contesto della procedura di messa in mora) l’offerta risarcitoria non sia stata ritenuta satisfattiva dal danneggiato, ovvero che non sia stata neppure formulata dall’assicuratore.

È a questo punto, infatti, che si inserisce il meccanismo predisposto dalla normativa denunciata, la quale disegna un procedimento che precede, ed è volto anche ad evitare, l’accesso al giudice, attraverso «un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo».

La tutela garantita dall’art. 24 Cost. – la quale non comporta l’assoluta immediatezza dell’esperibilità del diritto di azione (sentenze n. 243 del 2014 e n. 276 del 2000, per tutte) – non è, dunque, compromessa dal meccanismo della negoziazione assistita, attesa la sua complementarità rispetto al previo procedimento di messa in mora dell’assicuratore, agli effetti dell’auspicata realizzazione anticipata, in via stragiudiziale, dell’interesse risarcitorio del danneggiato.

Né è sostenibile che la compresenza dei due istituti sia idonea – come paventa il rimettente – a protrarre «sine die» l’esercizio del diritto di azione, attesa la brevità del termine («non superiore a tre mesi», prorogabile solo «su accordo delle parti» per non più di trenta giorni) entro il quale deve essere comunque conclusa la negoziazione (art. 2, lettera a, del d.l. n. 132 del 2014).

Mentre, quanto ai costi di tale procedura (che non necessariamente gravano solo sull’attore, potendo formare oggetto di diversa regolamentazione in sede di accordo, od essere posti a carico del soccombente in caso di successivo giudizio), deve parimenti escludersi che questi – certamente inferiori ai costi del giudizio, che l’interessato ha la possibilità, peraltro, di risparmiare – siano tali da limitare o rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale.

Dal che, appunto, la conclusione che il meccanismo della negoziazione assistita – reso obbligatorio dalla disposizione denunciata nelle controversie risarcitorie di danno da circolazione di veicoli o natanti – riflette un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela del danneggiato e quella (di interesse generale), che il differimento dell’accesso alla giurisdizione intende perseguire, di contenimento del contenzioso, anche in funzione degli obiettivi del “giusto processo”, per il profilo della ragionevole durata delle liti, oggettivamente pregiudicata dal volume eccessivo delle stesse.

3.2.– Neppure si può, poi, condividere la premessa interpretativa che induce il rimettente a sospettare una disparità di trattamento tra danneggiati, cui darebbe luogo la disposizione denunciata con il prescrivere l’obbligatorietà della mediazione assistita con riferimento alle sole azioni risarcitorie di valore non superiore ad euro 50.000,00.

Un tal limite di valore è riferito, infatti, nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 3 del d.l. n. 132 del 2014, alle domande di «pagamento a qualsiasi titolo di somme» proposte «fuori dei casi previsti nel periodo precedente».

Mentre, nel precedente (primo) periodo del comma stesso, l’obbligo di «invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di mediazione assistita» è riferito, senza ulteriori specificazioni (e senza, quindi, quella soglia di valore) a «chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti».

Dal che la non fondatezza, anche per tal residuo profilo, della questione sollevata dal giudice a quo.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Vietri di Potenza, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2016.


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Corte Costituzionale su art. 126-bis,

cittadini italiani titolari di patente di guida estera.
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SENTENZA N. 274
ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6-ter del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), come modificato dall’art. 24, comma 2, della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), promosso dal Giudice di pace di Sondrio, nel procedimento civile vertente tra G. L. e il Prefetto di Sondrio, con ordinanza del 7 gennaio 2016, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 7 gennaio 2016, il Giudice di pace di Sondrio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6-ter del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), come modificato dall’art. 24, comma 2, della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale). Secondo il rimettente, la norma confligge con gli artt. 2, 3 e 16 della Costituzione, nella parte in cui, con riferimento ai cittadini italiani titolari di patente di guida estera, non prevede:

1) l’obbligo di comunicare ogni variazione di punteggio sulla patente, ai sensi dell’art. 126-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

2) un sistema per recuperare i punti decurtati, ai sensi dell’art. 126-bis, comma 4, del Nuovo codice della strada;

3) un premio, per i conducenti che non abbiano commesso infrazioni per due anni, di due punti per biennio fino ad un massimo di dieci punti, ai sensi dell’art. 126-bis, comma 5, del Nuovo codice della strada;

4) il superamento di un esame di idoneità tecnica, in caso di azzeramento del punteggio, per evitare il provvedimento di inibizione alla guida, ai sensi dell’art. 126-bis, comma 6, del Nuovo codice della strada.

2.− Il giudice a quo riferisce che un cittadino italiano in possesso di patente svizzera si è opposto, ai sensi dell’art. 205 del Nuovo codice della strada, all’ordinanza con la quale il prefetto di Sondrio gli ha inibito, in modo assoluto, la guida sul territorio italiano, per due anni, a seguito della constatata commissione, tra il gennaio e il dicembre del 2013, di due infrazioni alle norme del Nuovo codice della strada comportanti la detrazione di dieci punti ciascuna ed il conseguente azzeramento del “monte punti” figurativamente disponibile.

3.− Il provvedimento prefettizio è stato adottato in applicazione dell’art. 6-ter della legge n. 214 del 2003 e il rimettente dubita della legittimità costituzionale della disciplina da esso prevista, che ha esteso, a tutti i titolari di patente di guida rilasciata da uno Stato estero, il sistema di decurtazione a punti per evitare che, a parità di infrazioni commesse, i conducenti con patente straniera possano continuare a circolare in Italia, senza subire conseguenze.

4.− Il sistema così delineato avrebbe determinato una disparità di trattamento, poiché per i titolari di patente straniera, a differenza di quelli che sono in possesso di patente italiana, non è prevista la comunicazione della variazione del punteggio a disposizione, ma viene comunicato solo l’ordine di inibizione alla guida, dopo che il suddetto punteggio si è esaurito. Costoro, inoltre, non hanno possibilità di recuperare i punti persi, frequentando appositi corsi ovvero sostenendo un esame di idoneità tecnica, dovendo necessariamente attendere un periodo di tempo predeterminato, pari alla durata della inibizione, per poter riprendere a guidare sul territorio italiano e non beneficiano del meccanismo premiale, di incremento del punteggio per ogni biennio di condotta di guida virtuosa, previsto dall’art. 126-bis, comma 5, del Nuovo codice della strada.

5.− Il giudice a quo sottolinea che la disparità di trattamento è ancor più ingiustificata per quei cittadini italiani che, come il ricorrente, vivono all’estero in zone di confine e hanno necessità di transitare quotidianamente sul territorio italiano per motivi lavorativi e personali. La finalità del legislatore, tesa a garantire la sicurezza della circolazione stradale con un sistema di penalizzazione, ma anche premiale, risulterebbe viziata nell’applicazione solo in malam partem nei confronti dei titolari di patente estera.

6.− La previsione normativa dell’art. 6-ter del d.l. n. 151 del 2003, che discrimina i titolari di patente estera, sarebbe, altresì, lesiva della libertà di circolazione e soggiorno tutelata dall’art. 16 Cost., che risulterebbe gravemente compressa dall’impossibilità di guidare, e dei diritti tutelati dall’art. 2 Cost., che verrebbero particolarmente in rilievo in casi di cittadini italiani residenti all’estero, in zone di confine, obbligati a convertire la patente italiana nella patente estera. Per questi ultimi, infatti, la necessità di transitare in Italia con frequenza può integrare una modalità di esplicazione della propria personalità, sotto il profilo lavorativo, familiare e personale, analogamente a quanto avverrebbe per il ricorrente nel giudizio a quo, che svolge parte della propria attività lavorativa in Valtellina ed ha due figli minori e amici residenti in provincia di Sondrio.

7.− In punto di rilevanza il rimettente segnala che l’applicazione della norma comporterebbe il rigetto dell’opposizione all’ordinanza-ingiunzione, non essendo possibile una interpretazione adeguatrice, che la renda compatibile con i principi costituzionali evocati.

8.− E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità della questione, per mancata puntuale e circostanziata illustrazione delle vicende processuali, onde consentire il giudizio sulla rilevanza, e la sua infondatezza nel merito.
Considerato in diritto

1.– Il Giudice di pace di Sondrio, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 16 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 6-ter del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), come modificato dall’art. 24, comma 2, della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), nella parte in cui estende l’applicazione della decurtazione dei punti della patente ai cittadini italiani titolari della patente estera, senza estendere per costoro l’applicazione dell’intera disciplina prevista per le patenti nazionali, incluso il meccanismo che consente di evitare ovvero di recuperare la perdita totale del punteggio a disposizione.

2.− In particolare, il rimettente censura la previsione secondo cui, in caso di violazioni per un totale di almeno venti punti, al conducente, cittadino italiano, titolare di patente estera viene inibita la guida in Italia, per un tempo inversamente proporzionale a quello occorso per consumare i punti, senza estendere in suo favore la disciplina prevista dai commi 3, 4, 5 e 6 dell’art. 126-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che, per i titolari di patente italiana, prevedono, rispettivamente, l’obbligo di comunicare ogni variazione di punteggio; la possibilità di frequentare corsi per il recupero dei punti decurtati; la concessione di un premio, in caso di mancanza di infrazioni per due anni, pari a due punti per biennio, fino ad un massimo di dieci punti; la possibilità di sostenere l’esame di idoneità tecnica di cui all’art. 128 del Nuovo codice della strada, in caso di azzeramento del punteggio, per evitare il provvedimento di inibizione alla guida.

3.− In ordine all’ammissibilità della questione, la sua rilevanza nel giudizio a quo è fatta derivare dal rimettente dalla impossibilità di applicare al cittadino italiano, residente all’estero e con patente estera, il meccanismo sanzionatorio attenuato previsto per la patente a punti italiana; e quindi l’opposizione all’ordine di inibizione alla guida emesso del prefetto dovrebbe essere rigettata, poiché la decurtazione del punteggio, applicata a seguito delle infrazioni commesse, non avrebbe potuto essere evitata e non sarebbe recuperabile in alcun modo.

4.− La questione è parzialmente fondata.

5.− Il giudice a quo, pur adombrando l’illegittimità costituzionale dell’intera normativa, solleva la questione con specifico riferimento alla situazione del cittadino italiano residente all’estero e con patente estera, che viene discriminato nell’applicazione del sistema sanzionatorio.

6.− La difformità del meccanismo sanzionatorio delle condotte di guida, che inibisce l’accesso all’esame di idoneità tecnica per la revisione della patente a quei cittadini italiani che sono titolari di patente estera e risiedono al di fuori dal territorio nazionale, deriva dalla diversità delle fattispecie poste a confronto poiché, a parità di infrazioni commesse, comportanti la decurtazione totale del punteggio, la sanzione incide, in caso, di patente italiana, sullo stesso titolo abilitativo, portando alla sua sospensione, e in caso di patente estera, sulla sola facoltà di guidare in Italia.

7.− La ratio di fondo del meccanismo della patente a punti risiede nell’esigenza di dare una pronta risposta per garantire in modo non irragionevole la sicurezza della circolazione. Essa va garantita in relazione a tutti i conducenti, siano essi titolari di patente estera o italiana; e infatti il meccanismo della decurtazione del punteggio viene esteso anche ai primi e la sanzione finale è costruita in maniera da assicurare tale esigenza, essendo indifferente che il suo raggiungimento sia ottenuto per mezzo della sospensione del titolo alla guida ovvero della inibizione a circolare in Italia.

8.− Sulla scorta di tali considerazioni, un meccanismo sanzionatorio che consente al solo titolare di patente italiana, e non anche al cittadino italiano titolare di patente estera, a fronte della decurtazione totale del punteggio, di dimostrare, sostenendo un apposito esame, di essere ancora idoneo alla guida e di non costituire un pericolo per la sicurezza stradale, è irragionevole rispetto alla causa giustificativa della disposizione, che invece impone una disciplina uniforme in funzione del raggiungimento del fine di sicurezza della circolazione. La norma censurata è, quindi, illegittima nella parte in cui non consente al cittadino italiano residente all’estero e titolare di patente estera, in caso di azzeramento del punteggio, di sostenere un esame di idoneità tecnica per la revisione della patente, onde evitare il provvedimento di inibizione alla guida in Italia.

9.− Analoga irrazionalità non è, invece, riscontrabile con riferimento alla restante disciplina della patente a punti. L’obbligo di comunicazione di tutte le variazioni di punteggio, con finalità deterrente dell’ulteriore commissione di infrazioni comportanti la perdita aggiuntiva di punteggio, e il meccanismo di recupero di quest’ultimo, per mezzo della frequenza di appositi corsi o degli incrementi premiali per buona condotta di guida, costituiscono strumenti agevolativi orientati alla sicurezza della circolazione stradale; tuttavia, poiché la loro mancata applicazione non produce l’effetto di frustrare il fine ultimo della norma, non è irragionevole che essi siano stati riservati dal legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, al solo titolare di patente italiana.

Invero, tali tecniche di conservazione del complessivo punteggio mal si attagliano alla situazione del cittadino italiano titolare di patente estera, che si presume non guidi abitualmente sul territorio italiano, né si può tener conto di una consuetudine di guida svolta nello Stato estero di residenza dove, evidentemente, il titolare di patente estera abitualmente circola.

In particolare, il sistema premiale per la guida virtuosa, che consente al titolare di patente italiana di incrementare i propri punti, non può, evidentemente, essere applicato, giacché l’assenza di infrazioni potrebbe essere determinata soltanto dalla mancanza di circolazione in Italia nel periodo di riferimento.

Conseguentemente, perde rilievo anche l’argomentazione circa la mancata comunicazione dello stato del punteggio, che, appunto, per i titolari di patente italiana, prevede non solo la decurtazione, ma anche l’indicazione dei punti recuperati. Il titolare di patente estera riceve comunque, con la notifica della contravvenzione, anche la comunicazione dei punti volta a volta persi.

Infine, in considerazione della circostanza per la quale si deve presumere che il titolare di patente estera viva e guidi prevalentemente all’estero, assume carattere marginale e, quindi, ben riferibile alla legittima scelta del legislatore, la sua esclusione dalla possibilità di svolgere in Italia corsi di recupero.

10.− Parimenti non fondate sono le censure sollevate con riferimento agli artt. 2 e 16 Cost. La sanzione amministrativa conseguente all’applicazione della disciplina normativa censurata inibisce il solo esercizio del diritto di guida e non limita il diritto di circolare (in tal senso sentenza n. 6 del 1962), né in tale diritto si sostanzia l’esplicazione della personalità del soggetto, sotto il profilo familiare e lavorativo, potendo l’inibizione incidere sulle sole modalità pratiche della sua realizzazione.

11.− In conclusione, la disciplina censurata dal rimettente concreta una violazione del principio di uguaglianza, lesiva dell’art. 3 Cost., in quanto la norma che stabilisce l’inibizione alla guida è costituzionalmente illegittima in riferimento alla mancata previsione della possibilità, per il cittadino italiano titolare di patente estera, di essere ammesso ad una prova di idoneità tecnica alla guida, come è, invece, previsto per i titolari di patente italiana.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6-ter del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), come modificato dall’art. 24, comma 2, della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), nella parte in cui non estende al cittadino italiano titolare di patente estera la disciplina di cui all’art. 126-bis, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in caso di azzeramento del punteggio, per evitare il provvedimento di inibizione alla guida.

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 6-ter del d.l. n. 151 del 2003, come modificato dalla legge n. 214 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 16 Cost., dal Giudice di pace di Sondrio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2016.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Notizia dell’11.01.2017
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Rc Auto: bocciata clausola vessatoria nei contratti Allianz, A.N.E.I.S soddisfatta


L’automobilista, ha il diritto di avvalersi dell’assistenza di un professionista in caso di incidente e di risarcimenti. L’Antitrust, comunica A.N.E.I.S – Associazione Nazionale Esperti Infortunistica Stradale, si è pronunciata su questo punto, dichiarando la completa illiceità della clausola denominata “Accordo per la risoluzione delle controversie mediante ricorso alla procedura di conciliazione paritetica”, che obbligava l’assicurato ad “…impegnarsi a non affidare la gestione del danno a soggetti terzi che operino professionalmente nel campo del patrocinio”.

Lo si legge nel Bollettino 46 del 27 dicembre 2016, dove è riportato il provvedimento nei confronti di Allianz Spa, l’Authority ha ritenuto vessatoria una clausola contrattuale opzionale prevista nei contratti RC Auto della Compagnia e ne ha imposto la cancellazione.

Si legge, infatti, testualmente a pag. 93 del citato Bollettino che “…la clausola in esame appare vessatoria ai sensi dell’art. 33 comma 1 e comma 2 lettera f e lettera t del Codice del Consumo..”.

A.N.E.I.S. spiega che nel Marzo 2016 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva avviato un’indagine conoscitiva nei confronti di Allianz Spa, per “pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazione e clausole vessatorie.”.

Viva soddisfazione è stata espressa da Giovanni Polato, Presidente di A.N.E.I.S., che ha ricordato: “l’Associazione si batte da oltre due anni con azioni di forte contrasto per impedire l’applicazione di alcune clausole furbescamente ed illegittimamente inserite da alcune compagnie di assicurazione nei contratti di R.C. Auto, ed in particolare della clausola in questione, che vorrebbe impedire all’assicurato-consumatore di avvalersi dell’assistenza e patrocinio di un professionista, sia esso avvocato o patrocinatore stragiudiziale, per la gestione del sinistro”.

“Alla luce della decisione della competente Authority”, ha aggiunto Polato, “invito tutti i soci a proporre immediato reclamo all’IVASS ed all’Antitrust qualora le singole imprese di assicurazione non dovessero adeguarsi alla pronuncia dell’Antitrust”.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Strisce blu: se il parchimetro non ha il bancomat il parcheggio è gratis!

Dal 1 luglio scorso è scattato l'obbligo per i comuni di adeguare i parchimetri ai pagamenti elettronici.
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Dal 1° luglio scorso, i cittadini alle prese con i parcheggi sulle strisce blu, possono sentirsi legittimati a sostare gratuitamente se il parchimetro non è adeguatamente attrezzato per i pagamenti tramite pos. Il tutto senza incorrere in alcuna sanzione per il mancato pagamento della sosta. A partire da tale data, infatti, è scattato l'obbligo imposto dalla legge di Stabilità 2016 per i comuni di adeguare i dispositivi di controllo della durata della sosta a pagamento per consentire i pagamenti con bancomat o carte di credito.

Il comma 901 della legge, con il fine di incentivare i pagamenti elettronici, prevede infatti che "dal 1° luglio 2016, le disposizioni di cui al comma 4 dell'art. 15 del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221/2012, si applicano anche ai dispositivi di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 7 del codice della strada", estendendo dunque ai dispositivi di controllo di durata della sosta, l'obbligo di "accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito e carte di credito".

Le conseguenze sono di facile intuizione: sia per gli automobilisti che in mancanza dei dispositivi attrezzati col bancomat potranno ritenersi autorizzati a parcheggiare gratis e senza il rischio di essere multati, sia per le "casse" dei (molti) comuni che non si sono ancora adeguati, salvo che non dimostrino, come prevede la novella apportata al dl 179/2012, dalla stessa legge di stabilità, di non aver potuto ottemperare all'obbligo per "oggettiva impossibilità tecnica".

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Parchimetro senza bancomat? Il parcheggio è gratis: ora c'è la sentenza "pilota".
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Per il giudice di pace di Fondi in mancanza di dispositivi attrezzati col bancomat gli automobilisti possono parcheggiare gratis senza essere multati.

Se il parchimetro non ha il bancomat si può parcheggiare gratis. È questo quanto si ricava dalla sentenza "pilota" del giudice di pace di Fondi (in provincia di Latina) sulla vexata quaestio dei parcheggi a pagamento non dotati di dispositivi attrezzati per pagamenti elettronici, evidenziata l'estate scorsa dal nostro quotidiano e ripresa da tutti i media nazionali.

La sentenza emessa lo scorso 21 febbraio dal giudice di pace Giovanni Pesce, come riporta il Messaggero (leggi: "La sentenza del giudice di pace: niente multa se al parcometro non c'è il bancomat"), ha accolto il ricorso presentato dallo studio legale Martusciello nei confronti del comune. A trascinare in giudizio l'amministrazione nel settembre scorso era stata una praticante dello studio che parcheggiando la propria vettura sulle strisce blu in una zona cittadina non disponendo di monete (considerato che il parchimetro non accettava neanche banconote) non riuscì a pagare il ticket. Al rientro, trovando una multa da 41 euro, aveva deciso di fare ricorso. Il giudice di pace le ha dato ragione. Per il magistrato onorario di Fondi, infatti, "gli automobilisti – si legge ancora sul Messaggero - in mancanza dei dispositivi attrezzati col bancomat, potranno ritenersi autorizzati a parcheggiare gratis e senza il rischio di essere multati".

Il giudice, infatti, ha richiamato specificamente la legge di stabilità 2016 secondo la quale dal primo luglio dello scorso anno anche i dispositivi di controllo di durata della sosta, devono accettare i pagamenti con bancomat e carte di credito.

La sentenza è destinata a fare da "apripista" in tutto il territorio nazionale, visto che ad oggi, adducendo la mancanza del decreto ministeriale e/o un'impossibilità tecnica oggettiva all'installazione, sono ancora molti i comuni a non essersi adeguati alla norma.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Assicurazioni, IVASS segnala leoneassicurazione.com: non è iscritto nel Registro.
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L’IVASS rende noto che è stata segnalata la commercializzazione di polizze RC Auto, anche aventi durata temporanea, tramite il sito internet http://www.leoneassicurazione.com" onclick="window.open(this.href);return false; che si presenta come un’agenzia assicurativa plurimandataria ma in realtà non sembra essere riconducibile ad alcun intermediario assicurativo iscritto nel Registro. L’Istituto di Vigilanza segnala quindi che l’attività di intermediazione assicurativa svolta attraverso lo stesso non è regolare.

L’Istituto richiama l’attenzione sulla circostanza che i siti web o i profili facebook (o di altri social network) degli intermediari che esercitano l’attività di intermediazione tramite internet devono sempre indicare: a) i dati identificativi dell’intermediario; b) l’indirizzo della sede, il recapito telefonico, il numero di fax e l’indirizzo di posta elettronica; c) il numero e la data di iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi nonché l’indicazione che l’intermediario è soggetto al controllo dell’IVASS.

Per gli intermediari dello Spazio Economico Europeo (SEE) abilitatati ad operare in Italia il sito web deve riportare, oltre ai dati identificativi ed ai recapiti sopra indicati, l’indicazione dell’eventuale sede secondaria nonché la dichiarazione del possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’attività in Italia con l’indicazione dell’Autorità di vigilanza dello Stato membro di origine.

I siti web o i profili facebook (o di altri social network) che non contengono le informazioni sopra riportate non sono conformi alla disciplina in tema di intermediazione assicurativa e espongono il consumatore al rischio di stipulazione di polizze contraffatte.

L’IVASS raccomanda sempre di adottare le opportune cautele nella sottoscrizione tramite internet di contratti assicurativi, soprattutto se di durata temporanea, verificando, prima della sottoscrizione dei contratti, che gli stessi siano emessi da imprese e tramite intermediari regolarmente autorizzati allo svolgimento dell’attività assicurativa e di intermediazione assicurativa, tramite la consultazione sul sito http://www.ivass.it" onclick="window.open(this.href);return false; degli elenchi delle imprese italiane ed estere ammesse ad operare in Italia (elenchi generali ed elenco specifico per la r. c. auto); dell’elenco degli avvisi relativi a “Casi di contraffazione o società non autorizzate; siti internet non conformi alla disciplina sull’intermediazione” del Registro unico degli intermediari assicurativi e dell’Elenco degli intermediari dell’Unione Europea.
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è stato emesso, in data 18 gennaio 2015, un decreto penale di condanna per il reato previsto dall’art. 186, commi 2, lettera b), 2-bis e 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada)
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ORDINANZA N. 137
ANNO 2017


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Ferrara nel procedimento penale a carico di A. M., con ordinanza del 10 dicembre 2015, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Ferrara, con ordinanza del 10 dicembre 2015 (r.o. n. 98 del 2016), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all’atto di opposizione»;

che nei confronti dell’imputato è stato emesso, in data 18 gennaio 2015, un decreto penale di condanna per il reato previsto dall’art. 186, commi 2, lettera b), 2-bis e 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e che l’imputato ha proposto opposizione, con atto del 3 febbraio 2015, senza chiedere riti alternativi o la sospensione del procedimento con messa alla prova;

che nell’udienza del 10 dicembre 2015 l’imputato ha chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova;

che la richiesta dovrebbe essere dichiarata inammissibile perché, trattandosi di un giudizio conseguente all’opposizione a un decreto penale di condanna, avrebbe dovuto essere presentata con l’atto di opposizione;

che però, se la questione di legittimità costituzionale sollevata fosse accolta, l’imputato sarebbe rimesso in termini per chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova;

che, esclusa la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme, il giudice rimettente ritiene che l’omessa previsione da parte del legislatore di uno specifico avviso, contenuto nel decreto penale di condanna, che rappresenti all’imputato la facoltà di presentare, a pena di decadenza, l’istanza di messa alla prova unitamente all’opposizione al decreto contrasterebbe «con gli artt. 24 e 3 della Costituzione, e in particolare, con il canone di ragionevolezza, in quanto determina una irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina e le garanzie di avviso, previste per i riti alternativi e l’oblazione e quelle invece sancite, nel caso, per la sospensione del processo con messa alla prova»;

che peraltro la violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza sarebbe ancor più accentuata dalla considerazione che la scelta del procedimento alternativo al giudizio dibattimentale, nel caso di opposizione a decreto penale di condanna, «deve essere compiuta al di fuori di un’udienza»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata;

che secondo l’Avvocatura generale non sarebbe configurabile la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto il legislatore può ben modulare le forme di esercizio del diritto di difesa secondo le caratteristiche dei vari riti e, quindi, stabilire diverse modalità di informazione in relazione ad essi;

che, inoltre, l’indicazione del termine per proporre opposizione, contenuta nel decreto penale di condanna, sarebbe sufficiente a garantire il diritto di difesa dell’imputato, che può farsi assistere da un difensore e chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova;

che non sussisterebbe neanche la denunciata disparità di trattamento, considerata l’eterogeneità del nuovo istituto «rispetto ai veri e propri riti alternativi».

Considerato che il Tribunale ordinario di Ferrara, con ordinanza del 10 dicembre 2015, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all’atto di opposizione»;

che, con la sentenza n. 201 del 2016, questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova»;

che, in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con la sentenza n. 201 del 2016, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, perché divenuta priva di oggetto (ex multis, ordinanze n. 38 e n. 34 del 2017, n. 181 e n. 4 del 2016).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Ferrara, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 2017.

F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2017.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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- revoca patente di guida

- nuova figura di reato – art. 73/5°c -

IL C.D.S. precisa:

1) - Osserva al riguardo, il collegio, come indipendentemente dalle modifiche introdotte nella materia penale, l’art 120 del Codice della Strada sia rimasto sostanzialmente invariato.

2) - In altri termini la distinzione delle condotte previste da tale disposizione, rileva in sede penale, ma non rileva in sede amministrativa e quindi ai fini dell’applicazione del predetto art.120 per il quale la misura della revoca della patente consegue a qualsiasi condanna per le fattispecie di reato previste dal citato art.73.

leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201703673
- Public 2017-07-25 -

Pubblicato il 25/07/2017

N. 03673/2017REG.PROV.COLL.
N. 02868/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2868 del 2016, proposto da:
D. D. F., rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Sebastiano Foti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via F. Grossi Gondi, 62;

contro
U.T.G. - Prefettura di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 11381/2015, resa tra le parti, concernente revoca patente di guida.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2017 il Cons. Sergio Fina e uditi per le parti gli avvocati: Marica Massenga su delega di Carlo Sebastiano Foti e l'Avvocato dello Stato: Maria Vittoria Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

E’ impugnata dal sig. D. D. F. la sentenza del Tar Lazio sez. I^ ter n. 11381/2015, di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di revoca della patente di guida.

Deduce nell’atto di appello, la violazione e falsa applicazione dell’art. 120 del Codice della Strada, in relazione al combinato disposto dell’art. 73 del DPR. n.. 309/1990 con l’art. 2 del D.L.146/2013 e con l’art. 1 del D.L. n. 36/2014.

Sostiene, in sintesi, il ricorrente che a seguito dell’entrata in vigore delle norme suindicate, sarebbe stata introdotta una nuova figura di reato – art. 73/5°c -, cioè una fattispecie di lieve entità, corrispondente alla precedente circostanza attenuante, stabilita dallo stesso articolo, la quale avrebbe determinato l’effetto, in base al principio del trattamento più favorevole al reo, di modificare e/o di superare l’automatismo, previsto dall’art. 120 del Codice della Strada, quanto meno con riguardo all’ipotesi più lieve di “ detenzione e spaccio di droghe leggere”, riformulata, come si è detto dalla nuova normativa penale.

Si è costituita l’amministrazione intimata, respingendo tutte le argomentazioni contenute nel ricorso e chiedendone il rigetto nel merito.

Osserva al riguardo, il collegio, come indipendentemente dalle modifiche introdotte nella materia penale, l’art 120 del Codice della Strada sia rimasto sostanzialmente invariato.

Quanto alla misura della revoca della patente, quale conseguenza della perdita dei “requisiti morali”, il legislatore ha evidentemente, ritenuto di non attribuire rilevanza alla diversa gradazione delle condotte, complessivamente delineate dall’art.73 del DPR n.309/1990.

In altri termini la distinzione delle condotte previste da tale disposizione, rileva in sede penale, ma non rileva in sede amministrativa e quindi ai fini dell’applicazione del predetto art.120 per il quale la misura della revoca della patente consegue a qualsiasi condanna per le fattispecie di reato previste dal citato art.73.

Neppure sussistono i presupposti per ritenere l’art.120 contrastante con i principi costituzionali di ragionevolezza e di razionalità, in quanto non appare manifestamente irragionevole che il legislatore, ai fini della sanzione della revoca della patente di guida, abbia tenuto conto della perdita dei “requisiti morali”, nonché dell’esigenza di tutelare l’interesse pubblico della sicurezza stradale. Inoltre, nella fattispecie di cui si discute, sono del tutto irrilevanti le esigenze lavorative del ricorrente.

Per le considerazioni che precedono, tutti i motivi di appello sono infondati e vanno disattesi con la conseguenza che l’impugnativa in appello deve essere respinta.

Le spese, tenuto conto del prevalente carattere interpretativo delle questioni poste, possono interamente compensarsi tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Francesco Bellomo, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Sergio Fina, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Sergio Fina Lanfranco Balucani





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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Ricorso Accolto e il CdS bacchetta la Commissione Medica Locale.
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art. 186, comma 8, del codice della strada (guida in stato di ebbrezza).

ECCO ALCUNI BRANI.

1) - Con riferimento al caso di specie la commissione medica locale, pur avendo giudicato idoneo il ricorrente alla patente di guida normale cat. B, ha ritenuto di prescrivere, -OMISSIS-.

2) - Peraltro, successivamente al rilascio del certificato di idoneità alla guida la commissione medica locale ha chiarito, nella persona del suo presidente, che la precauzione adottata dall’organo collegiale “ha compito preventivo di sicurezza stradale e di salute degli utenti della strada” e che tale precauzione si pone “quale deterrente per eventuali recidive”.

Il CdS precisa:

3) - La commissione medica locale, pertanto, può certamente stabilire una frequenza degli accertamenti sanitari maggiore di quella prevista in generale dalla legge per le varie categorie di patente, valutando il pericolo che una malattia, anche pregressa, possa compromettere in futuro l’idoneità della persona alla guida.

4) - Al riguardo, però, l’art. 128 del codice della strada, nel disciplinare le ipotesi di revisione della patente, demanda alla commissione medico locale, l’accertamento della idoneità “qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell'idoneità tecnica” sicchè qualsiasi prescrizione che riguardi profili diversi dall’indicato accertamento configura un eccesso di potere.

5) - Tale vizio procedimentale è configurabile nel caso di specie in quanto il competente organo collegale non è titolare del potere di introdurre divieti e/o prescrivere limitazioni e comportamenti che non siano espressamente previsti dalla legge.

6) - Il provvedimento di revisione della patente di guida ex art. 128, comma 1, del codice della strada è, infatti, privo di valenza sanzionatoria avendo esso natura preminentemente cautelare a presidio della sicurezza della circolazione sicché limitazioni e divieti, come quelli in esame, non possono essere introdotti sulla base di valutazioni extra giuridiche.

Il resto leggetelo qui sotto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201801842 - Public 2018-07-16 -

Numero 01842/2018 e data 13/07/2018 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 4 luglio 2018


NUMERO AFFARE 00977/2018

OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali e il personale


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto dal signor -OMISSIS- ivi residente, contro la commissione medica locale di Cremona e il Prefetto della Provincia di Cremona, per l’annullamento del provvedimento della commissione medico ospedaliera del -OMISSIS-.

LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con nota prot. n. 11379 del 16 maggio 2018 con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali e il personale - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
visto il ricorso notificato il 23 febbraio 2018;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Saverio Capolupo;


Premesso:

In data 5 febbraio 2017 il -OMISSIS- veniva denunciato per il reato previsto e punito dall’articolo 186, comma 28, lettera B del codice della strada approvato con D. Lgs 30 aprile 1992, n. 285 in quanto circolava, -OMISSIS-

Il ricorrente in data 7 febbraio 2017 depositava presso i competenti uffici della Prefettura di Teramo la richiesta, ai sensi dell’art. 186, comma 9 bis, del codice della strada, di contenere al minimo il periodo di sospensione della patente di guida manifestando la disponibilità allo svolgimento di lavori di pubblica utilità presso una ONLUS convenzionata con il locale Tribunale.

Seguiva la sospensione della patente di guida da parte Prefetto di Cremona per un periodo di tre mesi con l’ordine di sottoporsi, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di revoca, a visita specialistica presso la commissione medico locale patenti di guida istituita presso l’A.S.L. per l’accertamento della permanenza dei requisiti psico-fisici.

In data 4 maggio 2017 l’indicata commissione medica giudicava idoneo il -OMISSIS- per la patente di guida normale categoria B, per mesi 6, senza alcun tipo di prescrizioni e/o osservazioni.

Successivamente, prima del scadenza del citato periodo di validità il ricorrente veniva sottoposto in data 31 ottobre 2017 a visita specialistica presso la commissione medica locale che lo giudicava -OMISSIS-”.

Con l’odierno gravame il ricorrente impugna il provvedimento, deducendone la illegittimità, per mancanza di motivazione ai sensi dell’articolo 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, in ogni caso, per violazione dell’articolo 3 della medesima legge e del codice della strada nonché per illogicità.

Il Ministero riferente ritiene il ricorso infondato.

Considerato:

L’art. 186, comma 8, del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che “con l'ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente ai sensi dei commi 2 e 2-bis, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell'articolo 119, comma 4, che deve avvenire nel termine di sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si sottoponga entro il termine fissato, il prefetto può disporre, in via cautelare, la sospensione della patente di guida fino all'esito della visita medica”.

In merito la Sezione evidenzia, concordando con il contenuto della relazione ministeriale, che la commissione medica locale sia l’unico organo autorizzato ad esprimere giudizi in materia di requisiti psicofisici alla guida nonché a prescrivere eventuali limitazioni.

È altrettanto pacifico che, per consolidata giurisprudenza, la valutazione della commissione medica locale per la verifica dei citati requisiti sia espressione di discrezionalità tecnica che assume a base le cognizioni della scienza medica e specialistica.

Invero, il giudizio medico, fondato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico, è sottratto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo che è ammesso soltanto per le ipotesi di inattendibilità, irragionevolezza o vizi logici degli atti impugnati.

Con riferimento al caso di specie la commissione medica locale, pur avendo giudicato idoneo il ricorrente alla patente di guida normale cat. B, ha ritenuto di prescrivere, -OMISSIS-.

Peraltro, successivamente al rilascio del certificato di idoneità alla guida la commissione medica locale ha chiarito, nella persona del suo presidente, che la precauzione adottata dall’organo collegiale “ha compito preventivo di sicurezza stradale e di salute degli utenti della strada” e che tale precauzione si pone “quale deterrente per eventuali recidive”.

La Sezione evidenzia che la motivazione di competenza della Commissione medica locale deve limitarsi al profilo tecnico scientifico di competenza, assumendo come parametro di riferimento esclusivamente il quadro giuridico.

In merito, l’art. 186 del codice della strada disciplina l’ipotesi di guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche configurando una condotta antigiuridica qualora, dall'accertamento effettuato dagli organi competenti, risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore ai parametri ivi indicati. Ne consegue che soltanto al verificarsi di tale presupposto, ferma restando l'applicazione delle sanzioni previste, il prefetto, in via cautelare, può disporre la sospensione della patente fino all'esito della visita medica.

La commissione medica locale, pertanto, può certamente stabilire una frequenza degli accertamenti sanitari maggiore di quella prevista in generale dalla legge per le varie categorie di patente, valutando il pericolo che una malattia, anche pregressa, possa compromettere in futuro l’idoneità della persona alla guida.

Al riguardo, però, l’art. 128 del codice della strada, nel disciplinare le ipotesi di revisione della patente, demanda alla commissione medico locale, l’accertamento della idoneità “qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell'idoneità tecnica” sicchè qualsiasi prescrizione che riguardi profili diversi dall’indicato accertamento configura un eccesso di potere.

Tale vizio procedimentale è configurabile nel caso di specie in quanto il competente organo collegale non è titolare del potere di introdurre divieti e/o prescrivere limitazioni e comportamenti che non siano espressamente previsti dalla legge.

Il provvedimento di revisione della patente di guida ex art. 128, comma 1, del codice della strada è, infatti, privo di valenza sanzionatoria avendo esso natura preminentemente cautelare a presidio della sicurezza della circolazione sicché limitazioni e divieti, come quelli in esame, non possono essere introdotti sulla base di valutazioni extra giuridiche.

D’altra parte, la sfera di discrezionalità di cui dispone in proposito l'autorità preposta non la esime dall'obbligo di esternare, con riguardo alle singole fattispecie, le ragioni che possono aver ingenerato i dubbi sulla futura persistenza dei requisiti di idoneità psicofisica e/o tecnica alla guida, in relazione ai fatti accertati, con la conseguenza che non è possibile dedurre dall’accertamento di un singolo caso di guida in stato di ebrezza il reiterarsi di futuri analoghi comportamenti in assenza di un'adeguata motivazione fondata su elementi oggettivi e definitivamente accertati che non possono essere limitati ad una generica cautela di prevenzione di sicurezza stradale.

Per le motivazioni che precedono il ricorso è fondato e va accolto, annullando il provvedimento impugnato.

L’esame della richiesta di sospensione cautelare dell’efficacia dell’atto impugnato resta assorbito.

P.Q.M.


esprime il parere che il ricorso debba essere accolto, fatti salvi gli ulteriori adempimenti di competenza dell’Amministrazione.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Saverio Capolupo Sandro Aureli




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art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992

lavoro di pubblica utilità
-------------------------------------------------------------

ORDINANZA N. 59
ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO’, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino, nel procedimento penale a carico di T. B., con ordinanza del 12 dicembre 2017, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «nella parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilità sia disposta contestualmente all’emissione del decreto penale di condanna, i parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi dell’art. 459 comma 1 bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione»;

che le questioni di legittimità costituzionale sono sollevate nell’ambito di un procedimento penale nel quale il pubblico ministero ha chiesto al giudice per le indagini preliminari l’emissione di un decreto penale di condanna, a carico di un imputato della contravvenzione di cui all’art. 186, commi 1, 2, lettera b), e 2-sexies, del d.lgs. n. 285 del 1992, rubricato «Guida sotto l’influenza dell’alcool», in una situazione in cui ricorrerebbero i presupposti per la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi del comma 9-bis del medesimo articolo, secondo il parametro ivi indicato, per cui un giorno di lavoro di pubblica utilità corrisponde a 250 euro di pena pecuniaria;

che il rimettente – richiamando la disciplina del procedimento per decreto, prevista dal Titolo V del Libro VI del codice di procedura penale, dettata per i casi in cui «si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva» – precisa che, in seguito alla riforma introdotta dall’art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), il nuovo art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. stabilisce che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva sia determinata in un ammontare compreso tra 75 e 225 euro per ogni giorno di pena detentiva;

che l’entrata in vigore di tale norma avrebbe «determinato una situazione di notevole incertezza» in relazione alla previsione di cui all’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, che consente al giudice di sostituire la pena detentiva e pecuniaria inflitta, «anche con il decreto di condanna», con la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, secondo parametri differenti, in base ai quali il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e la pena pecuniaria viene convertita ragguagliando 250 euro a un giorno di lavoro di pubblica utilità;

che, ad avviso del giudice a quo, si determinerebbe in tal modo una disparità di trattamento ingiustificata fra situazioni analoghe, in violazione dell’art. 3 Cost., giacché il calcolo per stabilire la durata del lavoro di pubblica utilità avverrebbe con parametri disomogenei rispetto a quelli fissati per la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria;

che la lesione del principio di eguaglianza risulterebbe evidente confrontando i casi in cui la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità è disposta contestualmente all’emissione del decreto penale di condanna con quelli in cui tale sostituzione è rimessa alla fase, solo eventuale, di opposizione;

che nella prima ipotesi, infatti, il giudice provvede alla sostituzione della pena detentiva, prima con la pena pecuniaria secondo il parametro – che potrebbe anche essere pari a euro 75 per ogni giorno di pena detentiva – indicato nel comma 1-bis dell’art. 459 cod. proc. pen., e successivamente con il lavoro di pubblica utilità secondo il parametro dettato dall’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, ottenendosi in tal modo, a giudizio del rimettente, un risultato sanzionatorio eccessivamente mite, in contrasto con i criteri di ragionevolezza e proporzionalità della pena, e in controtendenza rispetto alle «scelte normative di più recente introduzione» in materia di sicurezza stradale, che si caratterizzerebbero «per interventi improntati ad una sempre maggiore severità»;

che, invece, una volta emesso il decreto penale di condanna senza la sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità, l’unica possibilità per l’indagato di ottenere tale sostituzione sarebbe quella di proporre opposizione, con conseguente applicazione, in quel giudizio, del medesimo criterio di conversione previsto dal più volte citato art. 186, comma 9-bis, ma in relazione ad una pena detentiva calcolata senza applicare la diminuzione prevista per il rito speciale;

che, secondo il giudice rimettente, il trattamento sanzionatorio applicabile finirebbe così per risultare diverso, per la medesima fattispecie, solo in dipendenza del fatto che la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità sia disposta contestualmente o meno all’emissione del decreto penale di condanna;

che l’assetto normativo delineatosi in seguito alla entrata in vigore dell’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. violerebbe anche il principio della determinatezza della pena, di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., incidendo in particolare sulla esatta individuazione della durata della sanzione sostitutiva, non garantendo al singolo la possibilità di autodeterminarsi liberamente, a fronte di una insuperabile incertezza in ordine al regime sanzionatorio applicabile nei casi in cui l’istituto della sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità operi, o non, contemporaneamente alla conversione della pena di cui all’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate;

che, per l’interveniente, le questioni sarebbero inammissibili, perché la norma del codice di procedura penale e quella del codice della strada operano su piani nettamente distinti, che non potrebbero dar luogo alle interferenze prospettate dal rimettente;

che la disposizione di cui all’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. costituirebbe norma di carattere generale destinata a operare in tutte le fattispecie in cui trovi applicazione l’istituto del decreto penale di condanna, mentre la disposizione contenuta nel comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992 si atteggerebbe quale norma speciale;

che il legislatore del codice della strada, infatti, nel prevedere al terzo periodo dell’art. 186, comma 9-bis, che, «n deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità», avrebbe espressamente inteso creare una disciplina speciale anche per quanto riguarda la conversione della sanzione, in deroga all’istituto generale della conversione in lavoro di pubblica utilità previsto dal decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);

che l’Avvocatura generale dello Stato ritiene quindi erroneo il presupposto da cui muove il rimettente, dal momento che, anche prima della novella del 2017, al regime generale di conversione delle pene sostitutive si contrapponeva quello speciale previsto dall’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992.

Considerato che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «nella parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilità sia disposta contestualmente all’emissione del decreto penale di condanna, i parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena imputabile a quella detentiva, rideterminata ai sensi dell’art. 459 comma 1 bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione»;

che le questioni sollevate sono, per plurime ragioni, manifestamente inammissibili;

che, in primo luogo, dall’ordinanza di rimessione non si ricava né l’ammontare della pena detentiva richiesta dal pubblico ministero, né quale specifico valore di conversione della stessa in pena pecuniaria sia stato utilizzato (l’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale prevede un valore giornaliero variabile da 75 a 225 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva);

che tali elementi sarebbero stati decisivi per conoscere, nel caso di specie, rispetto alla pena applicata in concreto, i termini della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, nonché quelli della sostituzione con il lavoro di pubblica utilità;

che la mancanza degli elementi in parola si traduce in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale (da ultimo, sentenze n. 224 e n. 42 del 2018; ordinanze n. 191 e n. 85 del 2018), sollevate anche sul presupposto di un’asserita disparità di trattamento sanzionatorio confrontando le ipotesi in cui la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità sia disposta contestualmente o meno all’emissione del decreto penale di condanna;

che, inoltre, il rimettente non spiega le ragioni per le quali ritiene di dover disporre, necessariamente e preliminarmente, la conversione della pena detentiva richiesta dal pubblico ministero in pena pecuniaria, e di dover successivamente operare, sull’ammontare risultante dalla somma di quest’ultima con la pena pecuniaria originaria, la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità, secondo i parametri di cui all’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, considerato che la disposizione censurata prevede espressamente che il lavoro di pubblica utilità ha una «durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità»;

che poi, così operando, il giudice a quo non si confronta realmente con la giurisprudenza di legittimità, che pure cita (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 10 maggio 2017, n. 27519), secondo la quale la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, da una parte, e la sostituzione della pena nel suo complesso con il lavoro di pubblica utilità, dall’altra, costituiscono strumenti distinti di adeguamento della sanzione al caso concreto e alle caratteristiche personali dell’imputato, corrispondenti a diversificate e non sovrapponibili esigenze afferenti alla funzione rieducativa della pena, sicché, una volta adottata una opzione sanzionatoria, non sarebbe possibile al giudice, per esigenze di coerenza e razionalità del sistema, sovrapporre a quella una scelta diversa e ulteriore;

che, pertanto, le questioni sono manifestamente inammissibili anche per l’erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, che mina irrimediabilmente l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 136 del 2018 e n. 88 del 2017);

che, infine, il giudice a quo neppure considera che – seguendo il percorso interpretativo da lui proposto, secondo il quale si deve necessariamente provvedere prima alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ex art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. e poi alla conversione della stessa in giorni di lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992 – l’auspicata applicazione, anche nell’ipotesi di cui al citato art. 186, comma 9-bis, dei parametri di conversione indicati nel comma 1-bis dell’art. 459 cod. proc. pen. determinerebbe un inammissibile effetto in malam partem in termini di risultato finale di durata dei giorni di lavoro di pubblica utilità.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2019.
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Ricorso straordinario perso

sostanza stupefacente (hashish).

- avvio del procedimento amministrativo di revisione della patente di guida

- il ricorrente veniva giudicato “attualmente idoneo alla guida per tre mesi”.

Il CdS con il presente Parere scrive anche:

1) - In base a quanto previsto all’allegato III, lettera F., del decreto legislativo n. 59 del 2011, “La patente di guida non deve essere rilasciata né rinnovata al candidato o conducente che faccia uso di sostanze psicotrope o stupefacenti, qualunque sia la categoria di patente richiesta”.
--------------------------

PARERE DEFINITIVO sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 202000263

Numero 00263/2020 e data 30/01/2020 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 4 dicembre 2019


NUMERO AFFARE 01308/2019

OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto dal signor -OMISSIS-, per l’annullamento del certificato della Commissione medica locale di Roma 1 rilasciato il 28 settembre 2018.

LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con nota n. -OMISSIS-, con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;

vista la nota del 4 luglio 2019 di replica del ricorrente alla relazione ministeriale;

esaminati gli atti ed udito il relatore, consigliere Antimo Prosperi.


Premesso.

1. In data 2 dicembre 2014 e 20 gennaio 2015 il ricorrente veniva colto dai Carabinieri in possesso di una modica quantità di sostanza stupefacente (hashish).

Successivamente la Prefettura di Roma, con nota del 13 ottobre 2015, comunicava al ricorrente, ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990, “l’avvio del procedimento amministrativo di revisione della patente di guida ai sensi del combinato disposto dell’articolo 75, testo aggiornato del d.P.R. 309/1990 e del comma 1-sexies dell’articolo 128 del CDS aggiornato”, a seguito delle segnalazioni relative alla violazione dell’articolo 75 del testo unico aggiornato del d.P.R. n. 309/1990, inviate alla Prefettura, rispettivamente, dalla Stazione C.C. Roma-La Storta in data 18 dicembre 2014 e dalla Stazione C.C. di Bracciano in data 22 gennaio 2015, “tenuto conto che tali circostanze fanno sorgere dubbi sulla persistenza … del requisito dell’idoneità psico-fisica alla guida”.

All’esito della visita condotta dalla Commissione medica locale Roma 1 in data 26 settembre 2018, il ricorrente veniva giudicato “attualmente idoneo alla guida per tre mesi”.

2. Il ricorrente chiede l’annullamento della predetta valutazione medica per i seguenti motivi.

Afferma di non aver mai guidato sotto gli effetti di sostanze stupefacenti psicotrope, pur ammettendo di far uso di hashish per agevolare il sonno e alleviare lo stress psicofisico e di essere stato trovato positivo alle analisi circa l’uso di sostanze stupefacenti forse a causa di particolari spezie ingerite. Evidenzia che dai due verbali del 2 dicembre 2014 e del 20 gennaio 2015, redatti rispettivamente dei Carabinieri della Stazione di Roma La Storta e di Bracciano, non si evince che lo stesso abbia guidato in stato di alterazione psicofisica. Sostiene che la normativa in materia (richiama l’articolo 187 del codice della strada) prevede il ritiro o la sospensione della patente solo nei casi di guida sotto gli effetti di sostanze stupefacenti.

3. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha rappresentato quanto segue:

- la determinazione della Commissione medica impugnata “non appare incongrua ed irragionevole poiché, stante l’esito delle analisi, ha prudentemente imposto un rinnovo del titolo di guida a breve scadenza, in modo da monitorare per un certo periodo le condizioni fisiche dell’interessato” e la pretesa nell’istante è, al contempo, adeguatamente tutelata dal rilascio della patente di guida che gli consente comunque di circolare, salvo il dovere (alla scadenza del periodo indicato) di sottoporsi a visita per verificare il permanere delle condizioni di idoneità alla guida.

Il Ministero riferente ha concluso esprimendo l’avviso che il ricorso sia infondato.

Considerato.

4. Il ricorso è in effetti infondato.

5. In base a quanto previsto all’allegato III, lettera F., del decreto legislativo n. 59 del 2011, “La patente di guida non deve essere rilasciata né rinnovata al candidato o conducente che faccia uso di sostanze psicotrope o stupefacenti, qualunque sia la categoria di patente richiesta”.

6. Al riguardo, la Sezione ritiene inoltre utile ribadire che la Commissione medica locale è l’unico organo autorizzato ad esprimere giudizi in materia di requisiti psicofisici alla guida e a prescrivere eventuali limitazioni e che, per consolidata giurisprudenza, la valutazione della Commissione medica locale costituisce espressione di discrezionalità tecnica che assume a base le cognizioni della scienza medica e specialistica.

Invero, il giudizio medico legale della Commissione medica, fondato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico, è sottratto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo che è ammesso soltanto per le ipotesi di inattendibilità, irragionevolezza o vizi logici degli atti impugnati (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. I, parere n. 1842/2018; Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2099).

Di conseguenza la Commissione medica locale, valutando il soggetto e la situazione posti al suo esame, può certamente stabilire una frequenza degli accertamenti sanitari maggiore di quella prevista in generale dalla legge per le varie categorie di patente, e ciò a tutela del superiore interesse della sicurezza pubblica e dello stesso interessato.

7. Nel caso in esame, lo stesso ricorrente ammette di far uso di sostanza stupefacente (hashish) per proprie esigenze psicofisiche.

8. L’atto impugnato risulta conforme alla normativa in materia e non presenta profili di irragionevolezza e illogicità.

9. Pertanto, ai sensi della normativa sopra citata e alla luce della giurisprudenza richiamata, il ricorso è infondato e va quindi respinto.

10. L’istanza di sospensione cautelare dell’efficacia dell’atto impugnato resta assorbita.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 22, comma 8, del d.lgs. n. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute della parte ricorrente.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antimo Prosperi Gerardo Mastrandrea




IL SEGRETARIO
Maria Cristina Manuppelli



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Per notizia,

Faccio presente che oggi ho chiamato al nr. verde 800/23.23.23. per chiedere informazioni riguardo l'adesivo da applicare sulla Carta di Circolazione in caso di cambio residenza ed ho appreso dall'Operatore che a far data dal 01/10/2020 non vengono più inviati ai cittadini, poichè tutto risulta in Banca Dati.

Quindi, come avviene per le Patenti così oggi avviene anche per le Carte di Circolazione.

Ecco, vi ho voluto partecipare questa notizia.
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Codice della Strada, le novità nel Dl Infrastrutture (in sintesi)

Il Dl Infrastrutture introduce nuovi aggiornamenti nel Codice della Strada. Tra le novità, il rafforzamento delle sanzioni, nuove disposizioni in materia di foglio rosa, veicoli elettrici, attraversamenti pedonali.

Il giorno 10 novembre ( oggi ), entreranno in vigore – una volta pubblicate in Gazzetta Ufficiale – le nuove disposizioni in materia di Codice della Strada, introdotte con il nuovo Decreto Infrastrutture.

Tante le novità, a partire dall’introduzione degli ‘stalli rosa’ per il parcheggio per le donne in gravidanza e i genitori con i figli fino a due anni di età e i nuovi obblighi di comportamento in corrispondenza degli attraversamenti pedonali: i conducenti dei veicoli dovranno dare la precedenza non solo ai pedoni che hanno iniziato l’attraversamento, ma anche a quelli che si stanno accingendo ad effettuare l’attraversamento.

Attenzione all’uso dei dispositivi durante la guida. Le sanzioni previste per chi usa il telefonino mentre è alla guida vengono estese, infatti, a chi utilizza computer portatili, notebook, tablet e “qualunque altro dispositivo che comporti anche solo temporaneamente l’allontanamento delle mani dal volante”.

Maggiori responsabilità, poi, per chi guida su due ruote: viene introdotta, infatti, la “responsabilità del conducente del ciclomotore o del motoveicolo per il mancato utilizzo del casco da parte di chi viene trasportato indipendentemente dall’età (e non soltanto per i minorenni)”.

Codice della strada, parcheggi per persone con disabilità

Secondo quanto previsto dagli aggiornamenti del Codice della Strada, i disabili potranno parcheggiare gratuitamente, dal 1° gennaio 2022, sulle strisce blu istituiti da tutti i Comuni italiani, quando non c’è disponibilità nei posti riservati. Inoltre in tutto il codice i termini “debole” e “disabili in carrozzella” sono sostituiti con i termini “vulnerabile” e “persone con disabilità”.

Raddoppiano le sanzioni per chi parcheggia nei posti riservati: da 168 a 672 euro, mentre i punti decurtati dalla patente diventeranno 6 anziché 2.

Per chi è in procinto di prendere la patente…

Novità anche per chi è in possesso del foglio rosa. La validità del documento viene prolungata da 6 mesi a 12 mesi; in più viene introdotta la possibilità di effettuare, durante il periodo di validità, la prova pratica di guida per due volte (e non più per una sola volta, come previsto attualmente).

È previsto, inoltre, l’inasprimento delle sanzioni amministrative nei confronti di coloro che si esercitano senza istruttore, da un minimo di 430 euro a un massimo di 1.731 euro e la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per 3 mesi.

Veicoli elettrici

Altra novità riguarda i veicoli elettrici. Il divieto di fermata e di sosta e le relative sanzioni sono estesi, infatti, alle aree dedicate alla ricarica delle auto elettriche. E vale anche per gli stessi veicoli elettrici che sostano in quelle aree mentre non effettuano la ricarica.


Ecco il link

https://www.mit.gov.it/comunicazione/ne ... i-deputati


Decreto infrastrutture, legge in vigore

Il decreto infrastrutture n. 121/2021 convertito nella legge n. 156/2021 è approdato nella G.U. n. 264 del 9/11/2021 per entrare in vigore il 10 novembre.
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Decreto infrastrutture, legge in vigore.

Il decreto infrastrutture n. 121/2021 convertito nella legge n. 156/2021 è approdato nella G.U. n. 264 del 9/11/2021 per entrare in vigore il 10 novembre.

MONOPATTINI ELETTRICI

Per sostenere la “mobilità dolce” sono inserite norme per garantire la sicurezza dei monopattini elettrici.

Si può usare dai 14 anni, sotto i 18 anni c’è l’obbligo del casco, non si può andare in due o sui marciapiedi. La velocità massima è di 20 km/h, nelle aree pedonali invece il limite resta a 6 km/h. Ecco le regole introdotte dal decreto infrastrutture e trasporti per chi si muove su un monopattino.

08 novembre 2021

Ecco nel dettaglio tutte le novità in vigore dal 10 novembre 2021.

Dove possono circolare e a quali velocità?

Le nuove regole prevedono che fuori dai centri abitati i monopattini possano circolare solo sulle piste ciclabili. Il limite di velocità rimane fissato a 6 km/h nelle aree pedonali, negli altri spazi invece il limite di velocità passa da 25 a 20 km/h. La sosta sui marciapiedi è espressamente vietata, a discrezione dei Comuni è possibile che sui marciapiedi vengano riservate alcune aree per poterli parcheggiare.

A che età si può usare? Con quali regole?

Confermate anche le regole relative all'età: possono essere usati dai 14 anni in su, ma sotto i 18 anni è obbligatorio il casco. Inoltre è vietato utilizzarlo in due o portare oggetti o animali, trainare altri veicoli o farsi trainare. Bisogna tenere entrambe le mani al manubrio, eccetto quando si indica la svolta. A partire dal 1° luglio 2022 viene resa obbligatoria la presenza sui monopattini di indicatori di direzione (le frecce) e di stop. I nuovi modelli immessi sul mercato a partire da questa data dovranno esserne dotati, per gli altri c'è tempo fino al 1° gennaio 2024 per adeguarsi alle nuove linee guida.

Quali luci e dotazioni con il buio?

Con il buio e, di giorno, se le condizioni atmosferiche rendono scarsa luce e visibilità, c’è l’obbligo di giubbotto riflettente; i monopattini inoltre devono essere equipaggiati con luci bianche o gialle anteriori e con luci rosse e catadiottri rossi posteriori.

Come deve essere il monopattino?

Deve avere un motore di potenza nominale continua non superiore a 0,50 kW (500 watt); non deve prevedere posto a sedere (va usato in piedi). Oltre al marchio CE, deve essere dotato di limitatori di velocità che non consentano di superare determinati livelli e un campanello per le segnalazioni acustiche.

Quali regole per i monopattini in sharing?

I servizi di noleggio monopattini hanno l'obbligo di copertura assicurativa. Inoltre la delibera della Giunta comunale con cui si autorizza il servizio deve indicare il numero massimo di mezzi in circolazione, le modalità di sosta da rispettare e eventuali limitazioni alla circolazione in determinate aree della città.

Nuovi requisiti e nuove regole per i monopattini

Cambiano i requisiti dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica, che oltre alla potenza non superiore ai 50 Kw e all'assenza di poste a sedere, dovranno avere un segnalatore acustico, un regolatore di velocità e la marcatura CE. I monopattini che non saranno in possesso di queste caratteristiche non potranno circolare.

Chi circola con un monopattino che non ha i requisiti sopra indicati è soggetto inoltre a una multa da 100 a 400 euro e alla sanzione amministrativa accessoria della confisca del monopattino.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Scout speed: cos'è come funziona, quali multe e come difendersi

Il nuovo sistema di rilevamento della velocità non è su strada, ma a bordo delle vetture delle Forze dell'Ordine

Nessuna tregua per i trasgressori al volante: oltre ai ben noti strumenti di rilevazione della velocità, arriva un nuovo incubo, lo Scout Speed. Si tratta dell'ultimo ritrovato riguardante il controllo elettronico della velocità, posizionato non su strada, ma all'interno dei veicoli delle forze dell'ordine, così da non consentire alcun margine di "fuga" o alcuna manovra elusiva.

Come funziona

Il nuovo strumento è nascosto sulle auto delle Forze dell'Ordine ferme o in movimento, delle vere e proprie vetture civetta che possono essere trovate anche a circolare normalmente sulle strade, con su collocata una telecamera all'altezza dello specchietto retrovisore. Alla pattuglia basterà sezionare il limite di velocità da monitorare e far partire la verifica.

Grazie allo Scout speed è possibile effettuare rilevamenti a 360° individuando non solo il superamento dei limiti di velocità in entrambi i sensi di marcia, anche a distanze elevate, ma anche la regolarità dei documenti del proprietario dell'automobile (ad esempio assicurazione e revisione) e i veicoli che infrangono il divieto di sosta. Lo strumento è operativo anche in notturna sfruttando la tecnologia a infrarossi.

Le multe: come difendersi

L'apparecchio si appresta a diventare un nemico temibile per gli automobilisti e gli utenti della strada, poiché, a differenza degli Autovelox tradizionali e dei sistemi di monitoraggio della velocità, non dovrà necessariamente essere segnalato né potrà essere rilevato in quanto non è mai posizionato in luogo fisso.

Nonostante un decreto ministeriale del 2007 confermi che la presegnalazione non è obbligatoria in caso di rilevazione della velocità con modalità dinamiche, indubbiamente questo sistema potrebbe scontrarsi con la lettera dell'art. 142 del Codice della Strada che, al comma 6-bis, impone che le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità debbano essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del presente codice.

Ed è proprio quanto ha rilevato il Tribunale di Firenze, sentenza n. 654/2016, laddove ha precisato che sono nulle le multe elevate con l’autovelox di tipo Scout Speed se manca una presegnalazione con appositi cartelli stradali che avvisano gli automobilisti della possibilità del rilevamento automatico delle infrazioni.

Una recente sentenza del Giudice di Pace di Reggio Emilia (n. 722 del 2016) ha anche chiarito che l’eccesso di velocità rilevato tramite lo scout speed necessita della contestazione immediata.

Va rammentato, infine, che anche lo Scout Speed è soggetto all'obbligo di taratura periodica, come tutti gli altri strumenti di autevolox mobili, in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale del 2015. L'automobilista multato potrà quindi sempre richiedere che l'amministrazione produca un certificato di taratura, altrimenti, in mancanza, la contravvenzione sarà da considerarsi nulla.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Calze da neve, ora sono equiparate alle catene anche in Italia

Dal 15 novembre, sulle strade dove è obbligatorio l'uso di dispositivi invernali, si possono montare in alternativa anche le calze da neve. Il Ministero dei trasporti, infatti, dopo dieci anni, ne omologa l'utilizzo, equiparandole di fatto alle catene metalliche. Tuttavia non tutti i modelli in commercio vanno bene: ecco come riconoscere quelle con i requisiti a norma e quando è meglio evitare di usarle.

Si possono utilizzare le cosiddette "calze da neve" al posto delle catene o dei pneumatici invernali?

Da qualche settimana finalmente una circolare del Viminale sembra aver posto fine alla questione che va avanti da oltre dieci anni e omologato anche in Italia le calze da neve come "dispositivo supplementare di aderenza". Il Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibile ha infatti predisposto un progetto di decreto ministeriale che riconosce la norma UNI EN 16662-1:2020 quale standard di riferimento.

Ciò significa che tutti i dispositivi che otterranno l’omologazione alla nuova norma (molti di quelli in commercio l’hanno già ottenuta) saranno legittimamente utilizzabili sulle strade in cui vige l’obbligo di catene o pneumatici invernali. Il Ministero dell’interno con la circolare 300/STRAD/1/0000035611.U/2022 del 27 ottobre 2022 ne ha già autorizzato l’utilizzo e ha comunicato agli operatori delle Forze dell’ordine che devono fare i controlli sulle strade di non sanzionarne l’utilizzo. Quindi anche se il decreto ministeriale sarà aggiornato solo a gennaio 2023, dal 15 novembre 2022, quando scattano gli obblighi di dotazioni invernali su molte strade italiane, si possono usare le calze da neve al posto delle catene senza rischiare alcuna multa.

Calze da neve, cosa sono

Come abbiamo detto, si tratta di una querelle, quella dell'omologazione delle calze da neve, che va avanti da più di dieci anni, ovvero quando questi dispositivi fecero la loro comparsa sul mercato italiano. Da subito le calze da neve ebbero un immediato successo soprattutto dovuto alla loro comodità di installazione, ma anche al fatto che rappresentano l'unica alternativa al cambio gomme per tutte quelle vetture dotati di pneumatici sui quali non è possibile montare le catene metalliche a causa della mancanza di spazio fra lo pneumatico e il passaruota.

A raffreddare però gli entusiasmi, ci aveva pensato quasi subito il Ministero indicando che, secondo la propria interpretazione, non erano omologabili e quindi non potevano rappresentare un'alternativa alle catene o ai pneumatici invernali su quelle strade dove vige l'obbligo di dispositivi invernali, neppure quelle che presentavano omologazioni ritenuto idonee su altri mercati europei (come ad esempio quello austriaco). La disputa finì addirittura in tribunale, dove un produttore ha tentato di far valere le proprie ragioni perché venissero omologate; nel frattempo, però, il consumatore non le ha potute utilizzare sulle strade italiane, almeno fino a questi giorni.

Quando vanno usate e quando no

Occorre fare subito un po' di chiarezza e sgomberare il campo da un equivoco di fondo: nonostante l'omologazione ministeriale appena arrivata, non bisogna pensare che le calze siano sostitutive del pneumatico invernale in termini di sicurezza e prestazioni. La calza può essere un dispositivo utile da tenere in macchina se sorpresi da una nevicata improvvisa. Ci aiuta a compiere pochi chilometri per raggiungere la stazione sciistica o tornare a casa se abbiamo da fare qualche chilometro sotto i fiocchi di neve.

Tuttavia la calza non è paragonabile al pneumatico per guidabilità, aderenza sui tracciati invernali con neve e ghiaccio e per la durata. In caso di forte nevicata e fondo ghiacciato, se non si hanno i pneumatici invernali, è preferibile ricorrere alla tradizionali catene da neve. Inoltre è bene ricordare che la massima velocità di guida permessa mentre si usa un dispositivo supplementari di aderenza (e quindi anche le calze) è di 50 km/h.

Quali comprare? Occhio ai requisiti

Chi le vuole acquistare deve però necessariamente scegliere un modello che prevede già la conformità alla UNI EN 16662-1:2020. Ma cosa indica questa normativa? Innanzitutto la calza deve essere installabile in maniera che non si sfili durante l'uso, deve poi permettere un aumento dell'aderenza sia sull'asse longitudinale (ovvero la capacità di spunto in salita, frenata) sia sull'asse laterale (cioè la tenuta di strada in curva), infine, con il veicolo fermo, l'ingombro addizionale di questi dispositivi sul pneumatico non deve essere maggiore di:

• 20 mm sul lato interno;
• 20 mm sul battistrada del pneumatico;
• 25 mm sul lato esterno (limitato alla zona del pneumatico).

Inoltre quando si decide di acquistare un modello di calze da neve, occorre verificare che ci siano scritte sulla confezione in maniera chiara e permanente, fornite nella lingua nazionale ufficiale, le seguenti informazioni:

1. l'entità legale che ha introdotto il prodotto nel mercato UE;
2. il numero di questa norma;
3. la tipologia di prodotto indicata nel certificato di conformità a questa norma;
4. il numero del certificato;
5. l'ente accreditato che ha rilasciato il certificato;

Qui sotto una calza da neve, modello acquistabile on line e già conformi alla norma UNI EN 16662-1:2020.

Goodyear Ultragrip

Michelin Easy Grip Evolution

Autosock
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