Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Giovedì 26 Agosto 2010

Grosseto: Nessun obbligo di indossare il casco per chi va in bicicletta, nè per i minori di 14 anni, nè per altre fasce di età, è stato introdotto dal Nuovo codice della strada approvato a fine luglio.
Tale precisazione viene ribadita dalla FIAB in considerazione di notizie del tutto infondate da parte di alcuni mezzi di informazione che ancora oggi, nel riproporre le nuove norme al Codice della strada introdotte con la legge 120/2010, danno informazioni prive di fondamento rispetto all'uso obbligatorio del casco per i ciclisti, creando falso allarme e preoccupazione da parte di utenti e di operatori economici del settore.
Sull'argomento interviene Eugenio Galli, responsabile Ufficio Legale FIAB:
"In questi giorni quotidiani, siti informativi e agenzie di stampa continuano a riferire dell'esistenza di un nuovo obbligo di utilizzo del casco per i ciclisti, ponendolo talvolta in connessione con l’età del ciclista (minore dei 14 anni o, secondo altre fonti, addirittura di 21).
A beneficio della chiarezza e correttezza dell’informazione, che è anche presupposto della corretta applicazione delle nuove disposizioni, FIAB desidera chiarire che l’obbligo di indossare il casco per chi va in bici non esiste nella novella legislativa approvata a fine luglio.
Il casco è, e resta, un presidio consigliato per i ciclisti, come è giusto che sia, ma non è invece oggetto di un obbligo per alcuno di essi. Neppure per i minori di 14 anni.
Sul casco obbligatorio per i ciclisti nei mesi scorsi si era improvvisamente accesa una disputa a seguito della comparsa, a sorpresa, di un emendamento durante la discussione del pacchetto normativo nelle commissioni parlamentari.
Dapprima inserito come obbligo generalizzato per tutti i ciclisti, a seguito di un confronto molto vivace era stato ridotto ai soli ciclisti infraquattrodicenni. Ma durante la discussione in Aula, tale norma è del tutto caduta, prima del voto finale di approvazione della legge.
Pertanto, l’unica vera novità riguardante i ciclisti, introdotta dalla legge citata (n. 120/2010), è ora contenuta nell’art. 182 comma 9-bis del Codice della strada e concerne l’obbligo di indossare un giubbotto o bretelle riflettenti ad alta visibilità nelle ore notturne in ambito extraurbano e nelle gallerie.
Precisiamo che la stessa legge ha disposto l’abrogazione dell’assurda norma che era stata votata lo scorso anno e prevedeva l’applicazione della sanzione accessoria del taglio dei punti patente anche ai ciclisti. Una norma irragionevole, che era stata anche tacciata di incostituzionalità.
In un quadro già di per sé complesso e confuso, chiediamo che gli operatori dell’informazione agevolino la circolazione di informazioni puntualmente verificate".

tratto dal Sito: maremmanews.tv


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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Visto che si parla di biciclette metto qui questa informazione.

SICUREZZA STRADALE. Casa del Consumatore: patente salva per infrazioni in bici
01/09/2010
Il nuovo codice della strada salva i punti della patente per chi commette infrazioni in bicicletta. È quanto segnala il blog della Casa del Consumatore, che sottolinea la novità introdotta dalle nuove norme per i ciclisti: "Finalmente è stato abolita la possibilità di applicare sanzioni accessorie alla patente (tipo ritiro e perdita di punti) per chi commette infrazioni a bordo della bicicletta. In tanti avevano denunciato la disparità di trattamento che derivava dalla introduzione, circa un anno fa, di questa spiacevole conseguenza per i ciclisti patentati. Il Parlamento ha evidentemente raccolto queste lamentele. Insomma - conclude l'Associazione - usiamo la bicicletta e rispettiamo il codice della strada. Se però incappiamo in qualche infrazione, la nostra patente sarà salva".
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Visto che riguarda i ciclisti metto qui' sotto questa informazione:

SICUREZZA STRADALE. Da domani obbligatorio giubbotto retroriflettente per i ciclisti
11/10/2010
"Il conducente di velocipede che circola fuori dai centri abitati da mezz'ora dopo il tramonto del sole a mezz'ora prima del suo sorgere e il conducente di velocipede che circola nelle gallerie hanno l'obbligo di indossare il giubbotto o le bretelle retroriflettenti ad alta visibilità": è quanto disposto dall'Art. 28 comma 5 della Legge 120 del 29 luglio 2010 - Circolazione dei velocipidi - che introduce il comma 9 bis dell'articolo 182 del Codice della Strada.

Tali disposizioni entreranno in vigore a partire da domani, estendendo ai ciclisti l'obbligo già previsto nel 2004 per i conducenti d'auto, di dotarsi e di utilizzare gli indumenti di segnalazione ad alta visibilità.

Per adeguarsi ai nuovi precetti del Codice e conoscere le caratteristiche dei giubbini, i ciclisti possono far riferimento alla norma UNI EN 471 "indumenti di segnalazione ad alta visibilità per uso professionale - Metodi di prova e requisiti" (direttamente richiamata da un decreto ministeriale del 30/12/2003) che specifica i requisiti di questi particolari tipi di indumenti in grado di segnalare visivamente la presenza dell'utilizzatore.

La norma stabilisce le prestazioni dei materiali da utilizzare negli "indumenti ad alta visibilità", così come le aree minime e la disposizione dei materiali. La visibilità del ciclista risulta potenziata dal forte contrasto tra gli indumenti e lo sfondo dell'ambiente nonché dall'ampiezza delle aree costituite dai materiali ad alta visibilità specificati. Le bande di materiale retroriflettente devono essere larghe almeno 50 mm. I metodi di prova assicurano che un livello minimo di protezione sia mantenuto quando i capi di abbigliamento sono sottoposti ai procedimenti di manutenzione.
domengio

Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

Messaggio da domengio »

Grazie caro panoama per l'informazione. Erano giorni che cercavo in qualsiasi sito una notizia o un appunto sulla norma "casco anche per conducenti di biciclette minorenni" per motivi che non vado ad elencare ma riconducibili a comportamento di alcuni colleghi che probabilmente avevano letto solo su qualche rivista.
Grazie di nuovo
Ciao Domenico
panorama
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Questa sera ne hanno anche parlato sul TG5 di questo obbligo in vigore da domani 12/10/2010.
Ciao
leonardo virdò
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

Messaggio da leonardo virdò »

Ma perchè in italia devono spendere soldi e fare leggi x salvaguardare la vita altrui. Un pò di coscenza da parte di tutti e si eviterebbe tanto spreco. A questo punto la cosa varrebbe anche per i pedoni o chi fa corsa su strade non illuminate o no? Mah, a pensare che per salvaguardare la nostra incolumità dobbiamo rispettare le leggi altrimenti anche se moriamo non ce ne frega niente. Assurdo.
P.S. Faccio ciclismo da strada da diversi anni e quasi quasi ora che mi viene imposto non metto più il casco o l'abbigliamento retroriflettente.
panorama
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Visto che si parla di Codice della Strada metto qui' questa sentenza del Tar Milano in relazione alla decurtazione punti e revisione patente.


08/11/2010

N. 07199/2010 REG.SEN.
N. 02814/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2814 del 2007, proposto da:
C. G., rappresentato e difeso dall’avv. Franca Pagnoni, domiciliato presso la Segreteria del Tribunale, in Milano via Corridoni n.. 39;
contro
Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale. dello Stato di Milano, presso i cui uffici domicilia per legge in Milano, via Freguglia n. 1;
per l'annullamento
- del provvedimento del Ministero dei trasporti – Ufficio Provinciale della Motorizzazione di Milano del 14.09.2007 n. OMISSIS e comunicato in data 08.10.2007 con il quale è stata disposta la revisione della patente di guida, per perdita totale del punteggio;
- di tutti gli atti presupposti, connessi o consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2010 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, eccependo l’infondatezza del ricorso avversario e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza datata 26.07.2007, il Tribunale ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato.
All’udienza del 21.10.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) Dalla documentazione versata in atti emerge che in data 05.05.2007 i Carabinieri della stazione di OMISSIS contestavano al ricorrente, mediante due distinti verbali, di avere guidato in stato di ebbrezza e di non essersi sottoposto al test dell’etilometro.
Il relazione a tali violazioni, il Prefetto di Milano con decreto datato 04.06.2007 disponeva la sospensione della patente di guida nei confronti di C……. per mesi 2.
Avverso i verbali di contestazione e il decreto prefettizio il C….. proponeva ricorso al Giudice di pace di Milano, che, con provvedimento del 14.06.2007, accoglieva la domanda cautelare sospendendo i provvedimenti impugnati.
Dalla documentazione versata in atti non risulta che la controversia indicata sia stata definita.
Ciò nonostante, l’amministrazione con atto datato 09.08.2007 comunicava al C…….. la perdita del punteggio complessivo assegnatogli, richiamando tra l’altro il verbale del 05.05.2007 redatto dai Carabinieri di OMISSIS.
Quindi, con il provvedimento impugnato l’amministrazione disponeva la revisione della patente di guida nei confronti del ricorrente a causa dell’esaurimento del punteggio complessivo attribuitogli (20 punti), sulla base di quanto comunicato dall’anagrafe degli abilitati alla guida in relazione alle violazioni contestate con i verbali impugnati davanti al giudice di pace.
2) Con l’unico motivo proposto il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 126 bis del codice della strada, in quanto la revisione della patente è stata disposta anche se la contestazione delle violazioni commesse non era ancora divenuta definitiva.
Il motivo è fondato.
l'art. 126 bis, secondo comma, del D.Lgs. n. 285/92 stabilisce che la violazione che comporti la decurtazione del punteggio sulla patente di guida deve essere comunicata all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida "entro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata"
In base alla stessa norma, la contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
Nel caso di specie il verbale di contestazione del 05.05.2007, relativo ad infrazioni comportanti la decurtazione del punteggio è stato impugnato dall'interessato avanti il Giudice di pace di Milano e il relativo giudizio era ancora pendente alla data di adozione del provvedimento impugnato.
Insomma, al momento dell'adozione del provvedimento di revisione della patente di guida, la pendenza del procedimento giurisdizionale instaurato dal ricorrente avverso le sanzioni a suo carico impediva di ritenere definite le contestazioni di cui trattasi, con conseguente insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti normativamente richiesti per l'adozione del provvedimento di revisione del titolo abilitativo alla guida.
Invero, la giurisprudenza ha già precisato che l'avvenuta proposizione del ricorso dinanzi al Giudice di pace avverso il verbale di contestazione (cfr. TAR Emilia - Romagna, Bologna, Sez. I, 19 novembre 2004 n. 3753) o anche la sola pendenza dei termini per l'esperimento dei rimedi giurisdizionali o amministrativi (cfr. TAR Liguria, Sez. II, 30 luglio 2004 n. 1126), privando la "contestazione" della necessaria definitività, costituiscono circostanze di per sé ostative al perfezionarsi della decurtazione del punteggio, e quindi anche all'eventuale revisione della patente (cfr. sul punto T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 12 maggio 2006, n. 1188).
Risulta, pertanto, evidente l'illegittimità del provvedimento oggetto di impugnazione, ai sensi dell'art. 126 bis, secondo comma, del Codice della strada, atteso che la revisione della patente è stata disposta nonostante che la contestazione delle violazioni commesse non fosse ancora definitiva.
3) In definitiva, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
La peculiarità delle questioni trattate consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando accoglie il ricorso e per l’effetto annulla il provvedimento del Ministero dei trasporti – Ufficio Provinciale della Motorizzazione di Milano del 14.09.2007 n. OMISSIS.
Compensa tra le parti le spese della lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Dario Simeoli, Referendario
Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/11/2010
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Codice della Strada e tempo per notifiche.

Sezioni Unite Sentenza n.24851/2010
Il termine di notifica scatta dalla comunicazione all'anagrafe

Il termine di 150 giorni (ridotto a 90 dalla recente riforma del codice della strada, legge n. 120/2010) per la notifica del verbale decorre dalla data di aggiornamento dei registri di stato civile e non invece dalla relativa annotazione nel Pra.

Con la sentenza n. 24851/2010, depositata ieri in cancelleria, le sezioni unite civili della Cassazione hanno scritto la parola fine sulla querelle relativa alla corretta individuazione del «dies a quo» per calcolare la tempestiva notifica delle multe. E hanno optato per un orientamento più favorevole agli automobilisti a cui basterà aver fatto annotare il nuovo indirizzo per sentirsi in una botte di ferro. Chi riceverà la notifica del verbale oltre i 150 (90) giorni dalla variazione anagrafica sarà legittimato a fare annullare la multa. Anche se questa arriverà entro il termine di 150 (90) giorni dalla comunicazione del nuovo indirizzo al Pra.

I giudici di piazza Cavour sono stati chiamati in causa dalla prefettura di Gorizia che aveva impugnato la sentenza con cui il giudice di pace di Monfalcone aveva annullato una multa per eccesso di velocità accertata dalla polizia stradale di Udine tramite autovelox. La prima notifica non era andata a buon fine perché effettuata nel vecchio indirizzo di residenza dell'automobilista. Mentre la seconda, avvenuta invece regolarmente, risultava essere fuori tempo massimo in quanto era ormai decorso il termine di 150 giorni dal momento in cui, come previsto dal Codice della strada, la p.a. era in grado di «provvedere all'identificazione del veicolo».

La seconda sezione civile della Cassazione, investita della controversia, ha rimesso gli atti alle sezioni unite, avendo rilevato un contrasto interpretativo nella giurisprudenza degli Ermellini, divisa tra due opposte tesi. Il primo orientamento, secondo cui il termine decorre «sempre e comunque da quando il trasgressore abbia chiesto l'annotazione del cambio di residenza agli uffici dello stato civile del comune, indipendentemente dall'eventuale analoga segnalazione anche all'archivio nazionale dei veicoli tenuto dalla Motorizzazione civile».

Secondo un orientamento più restrittivo, invece, il cittadino che cambia residenza ha l'obbligo di segnalarlo sia agli uffici di stato civile che alla Motorizzazione e, qualora non lo faccia, il termine per la notifica decorrerà dall'annotazione nei registri del Pra.

Le sezioni unite hanno accolto il primo orientamento sostenendo che «le comunicazioni al Pra del cambio di residenza ritualmente dichiarato dal proprietario all'anagrafe comunale devono essere eseguite d'ufficio a cura della p.a.». Ragion per cui, prosegue la Cassazione, «ove la p.a. non abbia proceduto all'aggiornamento dei relativi archivi, la notifica della contestazione effettuata al precedente indirizzo del contravventore risultante dagli archivi non aggiornati, non può ritenersi correttamente eseguita».
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Visto che si parla di Codice Stradale posto qui questa sentenza del Tar Calabria relativa alla questione del "passo carrabile".

05/03/2011 201100318 Sentenza Sez. 1

N. 00318/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01285/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1285 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
OMISSIS , rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS , con domicilio eletto presso OMISSIS in Catanzaro, via omissis
contro
Comune di Spezzano Albanese, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Amato, con domicilio eletto presso Angelo Amato in Spezzano Albanese, via Don B.Gismondi 59; Responsabile Ufficio Tecnico del Comune, Responsabile procedimento amministrativo
nei confronti di
Comandante Polizia Municipale
e con l'intervento di
ad opponendum:
OMISSIS , rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS , con domicilio eletto presso OMISSIS in Castrovillari, viale ……..
per l'annullamento
del provvedimento sindacale n. 9645 del 2008 di rigetto dell’istanza del provvedimento sindacale n. 9645 del 2008 di rigetto dell’istanza di autorizzazione ad installare un passo carrario.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Spezzano Albanese;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2011 il dott. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1.– Il ricorrente espone di avere presentato in data …. maggio 2008 al Comune di Spezzano Albanese domanda di autorizzazione per l’installazione di un passo carrabile “servente” la sua abitazione, sita alla via ……...
Il responsabile dell’ufficio tecnico comunale, richiamando, in particolare, quanto prescritto dall’art. 46, comma 3, del d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), ha rigettato la domanda in quanto «l’area interessata alla richiesta (…) è uno spazio pubblico, attrezzato ad arredo urbano, non soggetto alla circolazione veicolare».
Secondo il ricorrente tale atto sarebbe illegittimo per: a) incompetenza del soggetto che lo ha adottato, in quanto la competenza spetterebbe al Sindaco; b) mancata comunicazione del preavviso di rigetto; c) eccesso di potere derivante dall’erronea comparazione degli interessi coinvolti e dalla carenza di istruttoria, atteso che lo spazio non sarebbe pubblico e comunque anche se lo fosse ciò non potrebbe di per sé ostacolare il rilascio del provvedimento autorizzatorio; d) difetto di motivazione.
1.1.– Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo che il ricorso venga rigettato.
1.2.– Ha proposto intervento ad opponendum il sig. OMISSIS, «in qualità di titolare e conduttore di un’attività commerciale (…) ……, posta al piano terra dell’immobile di proprietà» del ricorrente.
1.3.– Con ordinanza del 30 gennaio 2009 n. 82 questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare, disponendo il «riesame della fattispecie, tenendo conto delle censure svolte con il presente gravame».
2.– Con atto dell’8 giugno 2009, prot. n. ….., contenente il preavviso di rigetto, il Comune ha comunicato che l’autorizzazione non poteva essere rilasciata in ragione di quanto stabilito dall’art. 158, comma 1, lettera f) del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nonché dagli artt. 22 e 46 del d.p.r. n. 495 del 1992. Inoltre, si afferma che «l’area interessata ricade su spazio pubblico e l’accesso alle proprietà laterali va definito da una separazione dell’entrata carrabile da quella pedonale».
2.1.– Con ricorso per motivi aggiunti tale atto è stato impugnato, ribadendosi le censure dedotte con il ricorso principale e deducendosi il contrasto con il «giudicato cautelare».
2.2.– Con ordinanza del 14 dicembre 2009 n. 278 questo Tribunale ha accolto la domanda del ricorrente, assumendo che il provvedimento impugnato fosse elusivo del contenuto della precedente ordinanza n. …… del 2009.
3.– A seguito di questa seconda ordinanza il Comune ha emanato un nuovo preavviso di rigetto in data 12 dicembre 2010 n. …., motivato dall’esigenza di rispettare quanto prescritto dall’art. 258 del d.lgs. n. 285 del 1992 e dell’art. 46 del d.p.r. n. 495 del 1992, di cui si riporta il contenuto.
3.1.– A tale atto procedimentale è seguito il provvedimento definitivo di rigetto del 9 marzo 2010 prot. …….
Con ordinanza del 7 aprile 2010, prot. n. ….. il Sindaco ha ordinato di «istituire in via …… (…) abitata tra il civico n. 6 ed il civico n. 8 uno stallo per parcheggio invalidi» riservato al ricorrente.
3.2.– Anche tali provvedimenti sono stati oggetto di impugnazione.
Ai motivi già indicati, si è aggiunta l’asserita invalidità dell’atto di rigetto per la omessa valutazione delle osservazioni del ricorrente e soprattutto si è addotta l’illegittimità della determinazione assunta, in quanto la sua adozione sarebbe stata guidata dall’esigenza di tutelare l’interesse della parte che ha effettuato l’intervento ad opponendum.
Inoltre, si contestano le motivazioni poste a base del rigetto e in particolare si rileva «la piena visibilità del (…) passo carraio e quindi l’assenza di pericolosità per i pedoni». In particolare, i «paventati punti di conflitto tra i pedoni ed il veicolo del OMISSIS non sono reali ed ogni conflitto (…) è comunque preventivabile ed evitabile con apposite segnalazioni e transenne in considerazione dell’ampiezza notevole dello spazio antistante l’entrata del OMISSIS ».
3.3.– Con ordinanza del 19 marzo 2010, n. 289 questo Tribunale ha respinto la domanda cautelare, rilevando che «il Comune ha adottato un nuovo provvedimento nel quale vengono evidenziati profili non toccati dal giudicato cautelare e che risulta dalla comunicazione di avvio del procedimento e da quanto evidenziato dal difensore del Comune nella discussione in camera di consiglio che è in corso di approntamento un parcheggio riservato all’odierno ricorrente in prossimità dell’abitazione».
4.– Tutte le parti nel corso del processo hanno depositato, oltre gli atti indicati, ulteriori memorie, con le quali hanno ribadito le argomentazioni già indicate.
DIRITTO
1.– Come risulta dalla esposizione dei fatti rilevanti riguardanti la controversia in esame, sono stati emanati nel corso del processo più provvedimenti aventi ad oggetto la domanda di autorizzazione all’installazione di un passo carraio.
Ai fini della delimitazione del thema decidendum deve, in via preliminare, dichiararsi l’improcedibilità del ricorso principale e del primo ricorso per motivi aggiunti, in quanto gli atti oggetto di impugnazione con i predetti ricorsi sono stati “superati” dall’ultimo provvedimento di rigetto, sui cui deve vertere, pertanto, l’analisi in questa sede.
1.1.– Con un primo motivo si deduce l’incompetenza del soggetto che ha adottato l’atto, in quanto la competenza spetterebbe al Sindaco.
Il motivo non è fondato.
Il rilascio del provvedimento autorizzatorio è un atto di gestione e non un atto politico. L’esigenza, posta al base della recente legislazione, di assicurare il principio di distinzione tra attività amministrativa e di indirizzo politico-amministrativo, giustifica l’attribuzione al dirigente o, come nella specie, al responsabile di servizio, della competenza a porre in essere i provvedimenti aventi la natura di quello in esame (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2005, n. 6413). Né il ricorrente ha adotto alcun elemento volto a dimostrare che, nel caso in esame, tale principio dovesse essere derogato.
1.2.– Con un secondo motivo si adduce la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990.
La censura non è fondata.
Con atto dell’8 febbraio 2010, prot. ……., l’amministrazione comunale ha comunicato al ricorrente il preavviso di rigetto, indicando tutte le ragioni ostative al rilascio dell’atto autorizzatorio.
Nel termine assegnato il ricorrente non ha formulato alcuna osservazione.
Il provvedimento definitivo del 9 marzo 2010, prot. n. ……. ha indicato gli stessi motivi prospettati nel corso del procedimento.
In definitiva, il Comune ha osservato le regole procedimentali, scandite dal citato art. 10-bis, di esercizio del potere in esame.
1.3.– Nel merito le censure formulate, nel loro insieme e in sintesi, sono volte a dimostrare che le ragioni poste a base del diniego di autorizzazione sono tutte destituite di fondamento, con conseguente invalidità del provvedimento per eccesso di potere e violazione di legge.
Tali doglianze non sono fondate.
L’art. 46 del d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), la cui rubrica reca «Accessi nelle strade urbane. Passo carrabile», prevede che l’installazione di passi carrabili può essere autorizzata dall’ente proprietario della strada, purché si rispettino le seguenti condizioni:
a) deve essere distante almeno 12 metri dalle intersezioni e, in ogni caso, deve essere visibile da una distanza pari allo spazio di frenata risultante dalla velocità massima consentita nella strada medesima;
b) deve consentire l’accesso ad un’area laterale che sia idonea allo stazionamento o alla circolazione dei veicoli;
c) qualora l’accesso alle proprietà laterali sia destinato anche a notevole traffico pedonale, deve essere prevista una separazione dell’entrata carrabile da quella pedonale.
Inoltre, l’art. 158, primo comma, lettera f), del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) prevede che la fermata e la sosta sono vietati, tra l’altro, «nei centri abitati, sulla corrispondenza delle aree di intersezione e in prossimità delle stesse a meno di 5 m dal prolungamento del bordo più vicino della carreggiata trasversale, salvo diversa segnalazione».
Dall’analisi del contenuto delle norme di regolamentazione del potere amministrativo, risulta come le stesse, da un lato, vincolano l’esercizio di tale potere alla sussistenza di presupposti oggettivi che devono essere oggetto di un mero accertamento tecnico, dall’altro, in relazione a taluni aspetti, attribuiscono all’amministrazione stessa la funzione di esprimere valutazioni tecniche.
La giurisprudenza amministrativa ha, inoltre, già avuto modo di affermare che, determinando il rilascio dell’autorizzazione una riduzione o limitazione dell’uso pubblico di un bene di proprietà comunale, è necessario che il soggetto competente al rilascio del provvedimento accerti in maniera rigorosa la sussistenza delle tassative condizioni che consento l’adozione di un atto favorevole per il privato richiedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823).
Nel caso in esame l’amministrazione comunale – dopo avere premesso che lo spazio oggetto della domanda di autorizzazione è «spazio pubblico percorso da traffico pedonale con accesso dalla stessa via OMISSIS e da due rampe di scale da via OMISSIS per cui ci sarebbero più punti di conflitto tra pedoni e il veicolo che passando entrerebbe nel cancello dei sig. OMISSIS» – ha ritenuto che mancherebbero tutti i requisiti indicati dal citato art. 46.
In particolare, mancano i presupposti indicati: sub a), perché la distanza è di 1,3 metri; sub b), perché «l’area è attrezzata ad arredo urbano e dedicata al traffico pedonale»; sub c), perché la prescritta separazione dell’entrata carrabile da quella pedonale non è possibile in ragione dei “punti di conflitto” tra pedoni e veicolo, con conseguente «situazione di estrema pericolosità».
Inoltre, nella zona in esame vi sarebbe un divieto di sosta, ai sensi del citato art. 158.
Come risulta da quanto esposto, il provvedimento impugnato è adeguato motivato.
Per quanto attiene alla dedotta invalidità per eccesso di potere deve rilevarsi come non risulti dagli atti del processo che l’amministrazione, nella fase di verifica della sussistenza delle condizioni legittimanti il rilascio del provvedimento autorizzatorio, sia incorsa in una erronea rappresentazione della realtà. Né emergono elementi per ritenere che le valutazioni tecniche effettuate, in relazione soprattutto all’asserita pericolosità per l’incolumità pubblica che potrebbe derivare dall’adozione di un provvedimento favorevole, siano irragionevoli, avendo riguardo al procedimento e ai criteri seguiti per pervenire a tale determinazione finale. Non è, dunque, possibile, in ossequio al principio di separazione dei poteri, che, a fronte di scelte opinabili, il giudice sostituisca alle valutazioni effettuate dall’amministrazione proprie e diverse decisioni.
Inoltre, l’amministrazione comunale, al fine di soddisfare la pretesa del ricorrente, sia pure con modalità diverse da quelle richieste, ha, con l’ordinanza n. ….. del 2010, riservato al ricorrente stesso «uno stallo per parcheggi invalidi» in prossimità dell’abitazione del ricorrente. Così operando, l’autorità pubblica ha ottenuto un “risultato” che soddisfa, nella misura massima consentita dalle norme attributive del potere amministrativo, la pretesa del privato, garantendo al contempo il rispetto delle prescrizioni che vincolano lo svolgimento della funzione amministrativa.
2.– Sussistono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando:
a) dichiara improcedibile il ricorso principale ed il primo ricorso per motivi aggiunti;
b) rigetta il secondo ricorso per motivi aggiunti;
c) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/03/2011
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Questa sentenza parla di Codice della Strada.

Valida la multa con sottoscrizione incompleta – Cassazione Civile, Sentenza n. 6092/2011
Non ricorre la nullità dell’atto amministrativo per carenza del requisito soggettivo, quando dallo stesso atto risulti la qualità (di organo della persona giuridica pubblica) dell’autore della sottoscrizione e, pertanto, sebbene questa risulti indecifrabile o incompleta, detta qualità debba ritenersi oggettivamente certa, a meno che non vengano dimostrate da colui che le allega la non autenticità della sottoscrizione o l’insussistenza dell’indicata qualità.

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Cassazione Civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 6092 del 15/03/2011
(Presidente, Settimj – Relatore, Petitti)
Svolgimento del processo
Il Giudice di pace di Rimini ha rigettato l’opposizione proposta da [OMISSIS] avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Prefetto di Rimini le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 290,53, quale sanzione amministrativa relativa alla violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8, accertata dalla Polizia Municipale di Rimini.
Il Giudice di pace ha ritenuto priva di pregio la censura relativa alla validità della copia dell’ordinanza notificata alla opponente, giacché non risultava in alcun modo violato il diritto di difesa.
La [OMISSIS] ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza affidato a due motivi.
L’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza emessa all’esito dell’udienza camerale del 4 aprile 2008, la Corte di Cassazione ha disposto la rinnovazione della notificazione del ricorso alla Prefettura di Rimini presso la propria sede.
Eseguita la rinnovazione della notificazione, la Prefettura non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia vizio di motivazione omessa e/o insufficiente, dolendosi in particolare del fatto che il Giudice di pace abbia escluso la nullità dell’ordinanza-ingiunzione, che era stata eccepita sul rilievo che la copia notificata non risultava essere stata ritualmente autenticata, posto che non emergeva la specifica qualifica rivestita da colui che ebbe a certificare l’autenticità, e non era quindi possibile verificarne l’appartenenza all’ufficio e quindi la competenza.
Il motivo è infondato.
Non ricorre la nullità dell’atto amministrativo per carenza del requisito soggettivo, quando dallo stesso atto risulti la qualità (di organo della persona giuridica pubblica) dell’autore della sottoscrizione e, pertanto, sebbene questa risulti indecifrabile o incompleta, detta qualità debba ritenersi oggettivamente certa, a meno che non vengano dimostrate da colui che le allega la non autenticità della sottoscrizione o l’insussistenza dell’indicata qualità. Ne deriva che non è invalida l’ordinanza ingiunzione, emessa ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, per infrazione al codice della strada, ove rechi una sottoscrizione incompleta o illeggibile, preceduta dalla indicazione “per il Prefetto”, a meno che l’interessato non dimostri la falsità della firma ovvero la mancanza della delega, che da detta indicazione è certificata. (Cass., n. 522 del 1994). Del resto, si è chiarito, “l’autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica dell’atto amministrativo notificato allorché, dallo stesso contesto dell’atto, sia possibile accertare l’attribuibilità dell’atto stesso a chi deve esserne l’autore, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento in ordine alla sussistenza, sull’originale del documento notificato, della sottoscrizione del soggetto autorizzato a formare l’atto amministrativo. (Fattispecie in tema di ordinanza – ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa)” (Cass. n. 9441 del 2001).
Nella giurisprudenza di questa Corte si è poi chiarito che le irregolarità formali degli atti del procedimento sanzionatorio – e segnatamente della contestazione della violazione – in tanto possono determinare l’invalidità dell’atto in quanto le stesse determinino un vulnus al diritto di difesa (Cass. n. 4459 del 2003; Cass. n. 19979 del 2004; Cass. n. 20707 del 2006).
Il Giudice di pace si è quindi attenuto agli indicati principi, sicché il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.
Con il secondo motivo, la ricorrente, dopo aver ricordato di avere dedotto specifici motivi di opposizione – e segnatamente la violazione del D.L. n. 168 del 2002, art. 4, per essere il decreto prefettizio che aveva incluso il tratto di strada nel quale era stata accertata la violazione tra quelli sui quali era possibile effettuare la rilevazione della velocità con apparecchiature automatiche a distanza, e per non essere stata offerta agli automobilisti idonea informazione della presenza di apparecchiature di rilevazione automatica della velocità – lamenta la insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, la quale si sarebbe limitata a rilevare che “nel merito, come argomentato in opposta ordinanza, il verbale, quanto alla omessa contestazione nella immediatezza, si profila legittimo, atteso che, circostanza pacifica, la violazione fu rilevata su un tratto di strada su cui opera la deroga all’obbligo della contestazione immediata”. La ricorrente si suole altresì della omessa motivazione in ordine alla eccepita mancanza di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente si duole, infatti, della mancata pronuncia in ordine alla denunciata illegittimità del decreto prefettizio di inclusione della strada urbana tra quelle nella quali era possibile effettuare la rilevazione della velocità con le modalità di cui al D.L. n. 168 del 2002, art. 4, nonchè alla denunciata inesistenza della segnalazione della sottoposizione della strada a rilevazione della velocità con apparecchiature elettroniche. La censura avrebbe quindi dovuto essere proposta ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., tenendo dunque presente che, perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di errore in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi.
In ogni caso, la denuncia del vizio ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, preclude in radice la possibilità per il Collegio di accedere agli atti del giudizio di merito e quindi di verificare se effettivamente, come denunciato dalla ricorrente, nel ricorso in opposizione fossero stati fatti valere determinati motivi, sui quali il giudice dell’opposizione ha omesso di pronunciare.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’amministrazione intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Depositata in cancelleria il 15 marzo 2011
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Valida la multa all’automobilista che parla al telefonino, anche se i vigili procedevano in senso contrario – Cassazione Civile, Sentenza n. 4219/2011
Cassazione Civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 4219 del 21/02/2011
(Presidente, Settimj – Relatore, Giusti)

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 2 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:
“La s.r.l. B.M., proprietaria dell’autovettura Citroen tg. XXXX, ha proposto opposizione al verbale, elevato dalla Polizia municipale di Pontassieve, con cui era stata ad essa contestata, quale responsabile in solido, la violazione dell’art. 173, commi 2 e 3, del codice della strada (utilizzo del telefono cellulare durante la guida).
Il Giudice di pace di Pontassieve ha accolto l’opposizione.
Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 16 giugno 2009, ha rigettato l’appello del Comune.
Ha rilevato il giudice del gravame che non bastava richiamare la fede privilegiata rivestita dal verbale di accertamento redatto dai vigili urbani per sostenere la fondatezza della contestazione, giacché nella specie la visione della condotta era avvenuta da parte di agenti della polizia municipale procedenti in senso contrario, che si trovavano a loro volta su un’autovettura in movimento, di talché il loro punto di osservazione era passibile di errore.
Per la cassazione della sentenza del Tribunale ha proposto ricorso il Comune, con atto notificato il 23 ottobre 2009, sulla basa di due motivi.
L’intimata non ha resistito.
Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. e pone il quesito di diritto se, ai fini dell’accertamento dell’infrazione di cui all’art. 173, commi 2 e 3 del codice della strada, alle dichiarazioni del verbalizzante in merito all’uso del telefono cellulare da parte; del conducente del veicolo possa essere attribuita fede privilegiata anche in caso di legittima mancata contestazione immediata.
Il motivo è manifestamente fondato alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 17355 del 24 luglio 2009), secondo la quale nel giudizio di opposizione a verbale è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostante di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenuta alla presenta del pubblico ufficiale, rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria e dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti a dell’effettivo svolgersi dei fatti.
Tale pronuncia, superando il precedente e già prevalente indirizzo che ammetteva la contestabilità delle risultante del verbale, ove aventi ad oggetto accadimenti repentini, rilievi a di distanza di oggetti o persone in movimento e fenomeni dinamici in genere, ha sancito la fede privilegiata ex art. 2700 cod. civ. in ordine a tutto quanto il pubblico ufficiale affermi avvenuto in sua presenta, con la conseguenza che anche nelle ipotesi in cui, come nella specie, si deducano svista o altri involontari errori o omissioni percettivi da parte del verbalizzante è necessario proporre querela di falso (cfr., in termini, Cass., Sez. II, 11 gennaio 2010, n. 232).
Resta assorbito l’esame del secondo mezzo, relativo al vizio di motivazione.
Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., alla quale non sono stati mossi rilievi critici;
che il ricorso deve essere accolto;
che, cassata la sentenza impugnata, la causa – non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – può essere decisa nel merito con il rigetto della proposta opposizione;
che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la proposta opposizione al verbale. Condanna. la s.r.l. B.M. di A. al pagamento delle spese processuali sostenuta dal Comune, che liquida, per la fase dinanzi al Tribunale, in Euro 600, di cui Euro 280 per diritti, Euro 220 per onorari ed Euro 100 per anticipazioni, oltre a spese generali a ad accessori di legge, e, per il giudizio di cassazione, in Euro 600, di cui Euro 400 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Depositata in cancelleria il 21 febbraio 2011
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Nulla la notifica della multa fatta al portiere dello stabile senza l’attestazione delle ricerche – Cassazione Civile, Sentenza n. 8284/2011


Cassazione Civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 8284 del 12/04/2011
(Presidente. Settimj – Relatore, Parziale)

Fatto e diritto
1. – L’avvocato [OMISSIS] impugna la sentenza n. 1985 del 2005, depositata il 14 marzo 2005, del Giudice di Pace di Roma che rigettava la sua opposizione avverso la cartella esattoriale XXXX, deducendo di non aver mai ricevuto la notifica dei verbali di violazione alle norme del Codice della Strada che avevano dato luogo a tale richiesta.
2. – Il Giudice di Pace rigettava il ricorso, rilevando che dalla documentazione esibita dal Comune di Roma, costituitosi a giudizio con funzionario, risultava che “i verbali erano stati ritualmente notificati a mezzo servizio postale nei termini di legge, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., che prevede tale notifica quando, come nel caso di specie, la stessa non sia vietata”. Non era quindi applicabile l’art. 139 c.p.c. “in quanto lo stesso prescrive l’invio della raccomandata quando l’ufficiale giudiziario notifica nelle mani del portiere o di un vicino che accetti l’atto”.
3. – Il ricorrente articola due motivi di ricorso. Col primo lamenta la nullità della notifica dei verbali contravvenzionali, avvenuta a mani del portiere del suo stabile, senza che l’ufficiale postale effettuasse alcuna ricerca del notificando o di un suo familiare o addetto alla casa. Aggiunge che non gli era stata inviata alcuna raccomandata circa l’avvenuta notifica al portiere ex art. 139 c.p.c., comma 4. Deduce quindi violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., commi 2 e 3 e della L. n. 890 del 1992, art. 7, comma 3. Col secondo deduce vizi di motivazione.
4. – Resiste con controricorso il Comune di Roma, il quale deduce la regolarità del procedimento di notifica, posto che l’ufficiale postale con “l’apposizione della crocettatura della casella stampata sulla busta concernente il verbale di accertamento, relativa alla consegna al portiere, presuppone ovviamente la infruttuosa ricerca del destinatario e il mancato preventivo rinvenimento delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c.”.
5. Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., la Procura Generale ha concluso per iscritto per l’accoglimento del ricorso.
6. – Il ricorso è fondato. Infatti, deve intendersi nulla la notifica effettuata a mezzo posta con la sola consegna al portiere dello stabile, senza attestazione dell’avvenuta ricerca delle altre persone abilitate, attestazione che può avvenire anche con la crocettatura delle apposite caselle nel relativo modulo. In tal senso il costante orientamento di questa Corte (vedi tra le altre, Cass. Sezioni unite 2005 n. 11332). Nè può desumersi il compimento di tale attività dal solo fatto che la consegna sia stata effettuata al portiere, come deduce la difesa dell’avvocatura, non risultando alcunchè dalla notifica.
7. – Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – in quanto dall’accoglimento del ricorso deriva logicamente il giudizio di fondatezza dei motivi posti a base dell’opposizione – è consentito in questa sede pronunciare nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ed accogliere l’originaria opposizione.
8. – Le spese seguono la soccombenza anche per il merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, in accoglimento dell’opposizione originariamente proposta al Giudice di Pace, annulla la cartella esattoriale opposta. Condanna la parte intimata alle spese di giudizio, liquidate in 500,00 Euro per onorari e 100,00 Euro per spese per il giudizio di merito, nonché in 400,00 Euro per onorari e 200,00 Euro per le spese del giudizio di legittimità, oltre accessori di legge.
Depositata in cancelleria il 12 aprile 2011
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Ordinanza sindacale con la quale si vieta l’accattonaggio sul territorio comunale salvo che nelle aree agricole – Corte Costit., Sentenza n. 115/2011


dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti».


Corte Costituzionale, Sentenza n. 115 del 07/04/2011
Sicurezza pubblica – Attribuzione al sindaco, quale ufficiale di governo, di adottare con atto motivato provvedimenti anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, nella fattispecie: emanazione da parte del Sindaco di Salvezzano Dentro di ordinanza con la quale si vieta l’accattonaggio sul territorio comunale salvo che nelle aree agricole.
A CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nel procedimento vertente tra l’associazione «Razzismo Stop» onlus e il Comune di Selvazzano Dentro ed altri, con ordinanza del 22 marzo 2010, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione della associazione «Razzismo Stop» onlus, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Francesco Caffarelli per l’associazione «Razzismo Stop» onlus e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza del 22 marzo 2010, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
In particolare, la norma indicata sarebbe illegittima «nella parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”».
Nel giudizio principale è censurato un provvedimento sindacale con il quale si è fatto divieto di «accattonaggio» in vaste zone del territorio comunale, prevedendo, per i trasgressori, una sanzione amministrativa pecuniaria, con possibilità di pagamento in misura ridotta solo per le prime due violazioni accertate. Oggetto del divieto, in particolare, è la richiesta di denaro in luoghi pubblici, effettuata «anche» in forma petulante e molesta, di talché il provvedimento sindacale si estende, secondo il rimettente, alle forme di mendicità non «invasiva o molesta».
1.1. – Il giudizio a quo è stato introdotto dal ricorso di una associazione onlus denominata «Razzismo Stop», che ha dedotto molteplici vizi del provvedimento impugnato. Tale provvedimento sarebbe stato deliberato, anzitutto, in violazione del principio di proporzionalità, nonché dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). In particolare, non risulterebbe allegato e documentato alcun grave pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, e non sussisterebbero quindi, nel caso concreto, le necessarie condizioni di contingibilità e urgenza. L’atto impugnato sarebbe illegittimo anche in forza della sua efficacia a tempo indeterminato, incompatibile, appunto, con i limiti propri delle ordinanze contingibili e urgenti.
Farebbero inoltre difetto, nella specie, i requisiti di proporzionalità e coerenza, posto che almeno il divieto di mendicità «non invasiva» contrasterebbe con le «statuizioni» della sentenza della Corte costituzionale n. 519 del 1995 (dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 670 del codice penale) e con le indicazioni recate dal decreto ministeriale 5 agosto 2008 (deliberato dal Ministro dell’interno a norma del comma 4-bis dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000), che si riferiscono solo a forme di mendicità moleste, o attuate mediante lo sfruttamento di minori o disabili.
La previsione della confisca del denaro versato in violazione del divieto, a titolo di sanzione accessoria, avrebbe derogato alle norme del codice civile in materia di donazione ed ai criteri di proporzionalità e pari trattamento. Inoltre sarebbe illegittima, sempre secondo l’associazione ricorrente, la deroga alle disposizioni ordinarie in materia di ammissione al pagamento in misura ridotta per le infrazioni amministrative (art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»).
1.2. – Il Comune interessato, secondo quanto riferito dal Tribunale rimettente, si è costituito nel giudizio amministrativo, chiedendo fosse dichiarata l’inammissibilità del ricorso. L’eccezione è stata respinta dal giudice adito con provvedimento del 4 marzo 2010, mentre è stata accolta la domanda, proposta dalla ricorrente, per una sospensione cautelare degli effetti del provvedimento impugnato.
1.3. – Il giudice a quo osserva preliminarmente, in punto di rilevanza della questione, che sussiste la legittimazione al ricorso dell’associazione «Razzismo Stop», la quale risulta da lungo tempo impegnata, anche nello specifico ambito territoriale, in azioni mirate allo sviluppo dei diritti umani e civili, della solidarietà nei confronti degli indigenti e della integrazione in favore degli stranieri. La stessa associazione, inoltre, è iscritta all’elenco ed al registro previsti rispettivamente dagli artt. 5 e 6 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica).
Il rimettente evidenzia, in particolare, che le associazioni iscritte in un apposito elenco (approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità) sono legittimate ad agire, anche in assenza di specifiche deleghe, nei casi di discriminazione collettiva, qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone offese dal comportamento discriminatorio. La ricorrente è poi iscritta nel registro, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità, delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento, e che rispondono a determinate caratteristiche di stabilità ed affidabilità.
La pertinenza del provvedimento impugnato al tema della discriminazione su base razziale, nella prospettazione del rimettente, deriva dal chiaro rapporto tra «accattonaggio», povertà ed esclusione sociale, e dal rischio elevato che in tali condizioni si trovino persone nomadi o migranti, appartenenti a gruppi etnici minoritari. D’altro canto – prosegue il Tribunale – la legge sanziona anche la discriminazione esercitata in forma indiretta, e cioè i casi nei quali «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (art. 2, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 215 del 2003). Esattamente quel che accadrebbe nella specie, ove un divieto, pure formalmente riferibile alla generalità dei dimoranti nel territorio comunale interessato, avrebbe assunto specifico e particolare rilievo per gli appartenenti a minoranze etniche ed a gruppi di migranti.
Ciò premesso, il rimettente valuta che sussistano l’interesse e la legittimazione ad agire della onlus «Razzismo Stop», posta l’integrazione, nel caso concreto, dei criteri elaborati dalla stessa giurisprudenza amministrativa (posizione dell’ente quale stabile punto di riferimento del gruppo portatore dell’interesse pregiudicato, corrispondenza della tutela di detto interesse alle finalità annoverate nello statuto della formazione, collegamento specifico e non occasionale con l’ambito territoriale interessato dalla lesione denunciata).
La natura fondamentale del diritto eventualmente violato, e la previsione ad opera della legge di una specifica azione civile contro gli atti discriminatori (art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), non varrebbero ad escludere, sotto un diverso profilo, l’ammissibilità del ricorso al giudice amministrativo. Questi può infatti conoscere vizi dell’atto che risultino pertinenti alla lesione di diritti fondamentali della persona (è citata, tra l’altro, la sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2007). Al tempo stesso, la disponibilità di un mezzo specifico di tutela contro i fatti di discriminazione non potrebbe inibire il ricorso agli ordinari strumenti di garanzia nei confronti della pubblica amministrazione.
1.4. – Il Tribunale amministrativo del Veneto osserva, sempre in punto di rilevanza della questione, come le censure della ricorrente siano prevalentemente costruite sulla carenza delle condizioni di contingibilità ed urgenza per l’adozione del provvedimento impugnato. Il Comune resistente, dal canto proprio, ha rivendicato la legittimazione del sindaco ad emettere ordinanze ad efficacia non limitata nel tempo, evidenziando il contenuto innovativo della disposizione applicata, che consente ormai l’adozione di ordinanze «anche» contingibili e urgenti, e dunque non solo di provvedimenti destinati a regolare situazioni transitorie od eccezionali.
Il giudice a quo ritiene che, in ragione dell’attuale sua formulazione, la norma censurata conferisca effettivamente al sindaco, in assenza di elementi utili a delimitarne la discrezionalità, un potere normativo vasto e indeterminato, idoneo ad esplicarsi in deroga alle norme di legge ed all’assetto vigente delle competenze amministrative, semplicemente in forza del dichiarato orientamento a fini di protezione della sicurezza urbana. Proprio tale potere sarebbe stato esercitato nella specie, fuori da concrete condizioni di contingibilità e urgenza, cosicché l’accoglimento della questione sollevata esplicherebbe sicuri effetti sulla decisione del ricorso.
1.5. – A parere del rimettente la portata della norma oggetto di censura non sarebbe suscettibile di un’interpretazione restrittiva, che valga a recuperarne la compatibilità con i parametri costituzionali evocati.
Sarebbe inequivoco, in particolare, il significato letterale e logico che alla norma deriva dall’inserimento della congiunzione «anche», tale appunto da estendere la competenza sindacale a provvedimenti non contingibili e urgenti. Detto inserimento non potrebbe d’altra parte definirsi casuale o «involontario», dato che deriva dall’approvazione di uno specifico emendamento del Governo nel corso dei lavori parlamentari per la conversione del decreto-legge n. 92 del 2008.
La possibilità per il sindaco di adottare provvedimenti efficaci a tempo indeterminato sull’intero territorio comunale conferirebbe alle «nuove» ordinanze una marcata valenza normativa, indipendentemente dalla formale persistenza dell’obbligo di motivazione, che la legge del resto esclude per gli atti normativi e quelli a contenuto generale (è citato il comma 2 dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990).
Non potrebbe d’altro canto condividersi l’orientamento restrittivo che, muovendo dalla perdurante necessità di osservanza dei principi generali dell’ordinamento, include tra detti principi quello della tipicità e della conformità alla legge degli atti amministrativi, della riserva di legge e della competenza. La soluzione, nella sua attitudine ad escludere ogni iniziativa extra ordinem del sindaco, «anche» per i casi di contingibilità e urgenza, finirebbe col sopprimere una risorsa tradizionale e indispensabile allo scopo di fronteggiare gravi pericoli che incombano sulla sicurezza dei cittadini e non siano governabili mediante gli strumenti ordinari.
La Corte costituzionale, già chiamata a valutare in diversa prospettiva la legittimità della norma censurata, avrebbe riconosciuto la portata essenzialmente normativa dei nuovi poteri conferiti al sindaco, là dove ha evidenziato la possibilità che questi emani anche «provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana» (è citata la sentenza n. 196 del 2009).
Il rimettente ricorda come la stessa Corte, pronunciando sulla norma concernente i poteri di ordinanza del prefetto (art. 2 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza»), abbia dapprima optato per una sentenza interpretativa di rigetto, in base all’assunto che detta norma non conferisse il potere di emanare provvedimenti ad efficacia illimitata nel tempo (sentenza n. 8 del 1956). Qualche anno dopo, tuttavia, la Corte ha constatato il perdurare della prassi prefettizia di adottare ordinanze a carattere permanente, e per tale ragione si è determinata ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale della norma censurata (sentenza n. 26 del 1961).
Il Tribunale assume che un fenomeno analogo segnerebbe le «nuove» ordinanze sindacali, posto che numerosi provvedimenti sono stati deliberati, in applicazione del comma 4 dell’art. 54, con il più vario oggetto, spesso imponendo divieti od obblighi di tenere comportamenti significativi sul piano religioso o su quello delle tradizioni etniche. Una «interpretazione adeguatrice» risulterebbe quindi «impraticabile», a fronte di una realtà che vede esercitare in modo incontrollato poteri di normazione, secondo le opzioni politiche individuali dei sindaci, su materie inerenti ai diritti ed alle libertà fondamentali.
1.6. – Nel merito, secondo il rimettente, la disposizione oggetto di censura, interpretata come impone la presenza della congiunzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti», contrasterebbe con i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità, enucleabili dagli artt. 23, 97, 70, 76, 77 e 117 Cost. (sono citate, quali decisioni della Corte costituzionale che avrebbero «chiaramente sancito» il rilievo costituzionale dei principi richiamati, le sentenze n. 8 del 1956, n. 26 del 1961, n. 4 del 1977 e n. 201 del 1987).
Contingibilità e urgenza, infatti, dovrebbero rappresentare «presupposto, condizione e limite» per una disciplina che consenta il superamento, sia pure nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento, delle disposizioni vigenti in rapporto ad una determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico, in luogo di quello ordinariamente deputato». Per tale ragione, le norme in materia di ordinanze dovrebbero assicurare indefettibilmente il contenuto provvedimentale delle medesime, in rapporto all’obbligo di motivazione e all’efficacia nel tempo.
Anche nel caso di provvedimenti a contenuto normativo – prosegue il rimettente – non sarebbe consentita alcuna funzione innovativa del diritto oggettivo, ma solo una funzione di deroga, in via eccezionale e provvisoria, alle norme ordinarie. La disposizione censurata, invece, avrebbe disegnato una vera e propria fonte normativa, libera nel contenuto ed equiparata alla legge, così violando tutte le regole costituzionali che riservano alle assemblee legislative il compito di emanare atti aventi forza e valore di legge (artt. 23 e 97, nonché artt. 70, 76, 77 e 117 Cost.).
1.7. – Il comma 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, a parere del giudice a quo, viola anche la riserva di legge ed il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative (artt. 3, 23 e 97 Cost.).
L’art. 23 Cost., in particolare, stabilisce che le prestazioni personali e patrimoniali sono imposte ai singoli in base alla legge. Tale riserva è solo relativa, ma la giurisprudenza costituzionale avrebbe da tempo chiarito come gli spazi discrezionali per la pubblica amministrazione non possano estendersi all’oggetto della prestazione ed ai criteri per identificarla (sono citate le sentenze n. 4 del 1957 e n. 447 del 1988).
La norma censurata, invece, avrebbe attribuito un potere normativo sganciato dai presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, dunque tendenzialmente illimitato e capace di incidere sulla libertà dei singoli di tenere ogni comportamento che non sia vietato dalla legge. Una indeterminatezza non ridotta, nella prospettazione del rimettente, dal decreto ministeriale adottato (il 5 agosto 2008) a norma del comma 4-bis dello stesso art. 54, dato che il provvedimento sarebbe a sua volta generico, e privo di una chiara definizione del concetto di «sicurezza urbana».
A conferma della situazione descritta varrebbe, ancora una volta, la casistica dei provvedimenti assunti in applicazione della norma censurata: da casi di sovrapposizione con norme penali (come per talune ordinanze che vietano la vendita di alcolici a minori infrasedicenni o proibiscono la cessione di stupefacenti) a casi nei quali vengono incise libertà fondamentali direttamente garantite da precetti costituzionali. Assumerebbero particolare rilievo, in tale prospettiva, l’art. 13 Cost. in materia di libertà personale, l’art. 16 Cost. sulla libertà di circolazione e soggiorno, l’art. 17 Cost. sulla libertà di riunione, l’art. 41 Cost. in materia di iniziativa economica (è fatto a questo proposito l’esempio di ordinanze che fissano limiti minimi di reddito, ed obblighi di documentazione circa la fonte, per ottenere iscrizioni anagrafiche). Anche la potestà legislativa riservata alle Regioni sarebbe direttamente vulnerata (art. 117 Cost.).
1.8. – La possibilità, introdotta dalla norma censurata, che l’esercizio di diritti fondamentali della persona venga diversamente regolato sulla ristretta base territoriale dei singoli Comuni comporta, secondo il Tribunale amministrativo del Veneto, un irragionevole frazionamento, ed un regime di disuguaglianza incompatibile con l’art. 3 Cost. Sarebbero violati inoltre i principi di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).
1.9. – A parere del rimettente la capacità «invasiva» che il comma 4 dell’art. 54 conferisce ai provvedimenti sindacali rispetto a materie riservate alle attribuzioni consiliari (come ad esempio il regolamento di polizia urbana) comporta un’irragionevole alterazione del riparto di competenze all’interno della stessa organizzazione comunale. L’assunzione delle decisioni spettanti all’assemblea, che rappresenta la generalità dei cittadini, da parte di un organo monocratico che nella specie agisce quale ufficiale di Governo, «finisce per contraddire» la necessità di pluralismo della quale sono espressione gli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost.
1.10. – Sarebbero violati infine, secondo il Tribunale, gli artt. 24 e 113 Cost., in ragione della vastità e della indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco, tali da rendere eccessivamente difficoltosa la possibilità di un sindacato giurisdizionale effettivo delle singole fattispecie.
2. – Con atto depositato il 20 luglio 2010, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa statale, dopo aver riassunto le questioni proposte dal rimettente, chiede che le stesse siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1. – La norma censurata avrebbe potenziato gli strumenti a disposizione del sindaco alla luce dell’esigenza di valorizzare il ruolo degli enti locali anche in materia di sicurezza pubblica (è citata, in proposito, la relazione al decreto-legge n. 92 del 2008).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2009, avrebbe già rimarcato come la novella abbia introdotto, al fianco del potere di provvedere in situazioni di contingibilità e urgenza, la possibilità per i sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana». Lo stesso art. 54, d’altra parte, avrebbe fissato alcuni parametri di contenimento e indirizzo del potere sindacale. Sarebbe infatti richiesta una situazione di «pericolo, attuale o potenziale, di minaccia all’incolumità pubblica e alla sicurezza urbana». Il pericolo, in tale contesto, dovrebbe essere «grave», ed il provvedimento dovrebbe assicurare, per essere legittimo, una «funzione risolutiva». Di tali condizioni l’ordinanza del sindaco dovrebbe dare conto nella relativa motivazione, espressamente richiesta dalla legge.
Proprio dall’obbligo di motivazione, secondo l’Avvocatura generale, dovrebbe desumersi l’erroneità dell’assunto che attribuisce la valenza di provvedimento normativo alle nuove ordinanze. D’altro canto il dovere di osservanza dei principi generali dell’ordinamento implicherebbe la necessaria applicazione dei criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, inteso quest’ultimo come elemento di coerenza interna del provvedimento sindacale e di sua congruenza rispetto alla fattispecie da regolare.
Una ulteriore definizione dell’ambito applicativo della norma censurata è poi intervenuta, secondo la difesa statale, ad opera del d.m. 5 agosto 2008, cui la giurisprudenza amministrativa avrebbe già riconosciuto tale efficacia e la capacità di contemperare esigenze locali e carattere unitario dell’ordinamento. Il decreto in particolare, con le previsioni contenute nelle lettere da a) ad e) dell’art. 2, avrebbe delimitato specifiche aree di intervento, tutte riconducibili all’attività di prevenzione e repressione dei reati, di competenza esclusiva dello Stato (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2009). Lo stesso decreto, inoltre, prescriverebbe che l’azione amministrativa «si eserciti nel rispetto delle leggi vigenti», ponendo quindi un ulteriore e più stringente limite, tale da escludere la funzione normativa delle ordinanze, e da configurare le medesime quali strumenti per concrete prescrizioni a tutela della vita associata.
L’indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco sarebbe esclusa anche in forza della necessaria interlocuzione preventiva con il prefetto, che varrebbe ad assicurare l’efficace coordinamento tra competenze locali e competenze statali, ulteriormente favorito dalle possibilità di intervento sostitutivo e di convocazione della conferenza prevista dal comma 5 dello stesso art. 54.
Tale ultima norma, in definitiva, avrebbe semplicemente perfezionato l’inserimento dell’ente locale nel sistema nazionale della sicurezza pubblica, senza alcuna violazione dei principi di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità.
3. – Con atto depositato il 15 giugno 2010, si è costituita nel giudizio l’associazione onlus «Razzismo Stop», in persona del Presidente in carica, costituito allo scopo procuratore speciale dall’assemblea dei soci.
Secondo la parte privata, la norma censurata dovrebbe essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
3.1. – Il comma 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, in effetti, avrebbe dato vita ad una fonte normativa «libera», di valore equiparato a quello della legge, con conseguente violazione della riserva di legge di cui agli artt. 23 e 97 Cost., e delle competenze legislative che la Costituzione affida in via esclusiva alle assemblee elettive dello Stato e delle Regioni (artt. 70, 76, 77 e 117 Cost.).
La giurisprudenza costituzionale avrebbe già chiarito – si osserva – che solo situazioni straordinarie e temporanee possono legittimare l’assunzione di poteri extra ordinem da parte delle autorità amministrative. La norma censurata consentirebbe invece veri e propri atti di normazione a carattere generale, come documentato dallo stesso caso di specie (ove è stato introdotto a tempo indeterminato, mediante ordinanza sindacale, un divieto di donazione). La legge non delimiterebbe, in particolare, né l’oggetto né i margini discrezionali della potestà conferita al sindaco, una volta reciso il legame con i presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, ed una volta stabilito quale unico limite contenutistico la necessaria osservanza dei principi generali dell’ordinamento (senza che possano valere, in senso contrario, le generiche indicazioni provenienti dal decreto ministeriale del 5 agosto 2008).
In questo contesto, oltre che i parametri espressivi del principio di legalità (l’art. 23 e l’art. 97 Cost.), la parte costituita evoca il principio di legalità sostanziale, argomentando come la riconosciuta possibilità di introdurre precetti assistiti da una sanzione possa condurre ad arbitrarie limitazioni delle libertà individuali (art. 3 Cost.).
3.2. – Al sindaco sarebbe stata riconosciuta addirittura, secondo l’associazione «Razzismo Stop», la possibilità di sovrapporre proprie arbitrarie prescrizioni alle norme penali e, comunque, alle regole di garanzia dei diritti individuali. La norma censurata determinerebbe quindi una violazione di competenze esclusive dello Stato, in contrasto con gli artt. 13, 16, 17 e 41 Cost., nonché (quanto alle competenze legislative regionali) con l’art. 117 Cost. Non sono legittimi – si osserva – provvedimenti non legislativi che conculchino libertà individuali, fino a disciplinare «a livello condominiale» una variabile conformazione di obblighi e divieti.
Lo stesso inevitabile frazionamento delle fonti, con regole di comportamento diverse su ristretta base territoriale, in violazione del principio di pari garanzia delle libertà fondamentali, implicherebbe la pratica impossibilità per i consociati di conoscere e rispettare le regole vigenti in tutte le porzioni di territorio da loro attraversate. Di qui l’asserita violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di «uguaglianza di cui all’art. 2» Cost., di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).
3.3. – L’associazione costituita in giudizio riprende anche le osservazioni del rimettente circa l’attrazione alla competenza sindacale di scelte e provvedimenti che, per la loro natura normativa, dovrebbero essere rimessi alla dialettica ed al pluralismo tipici dell’assemblea comunale elettiva. Un’attrazione che, oltretutto, il sindaco esercita in quanto ufficiale del Governo, sganciandosi finanche dal «mandato» che gli deriva in esito alle elezioni municipali. Viene prospettata, di conseguenza, una violazione degli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost.
3.4. – Da ultimo, la parte privata prospetta una concomitante violazione degli artt. 24 e 113 Cost., posto che vastità ed indeterminatezza dei poteri conferiti al sindaco sarebbero tali da rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio di un sindacato giurisdizionale effettivo delle singole fattispecie.
4. – In data 22 febbraio 2011, la stessa associazione «Razzismo Stop» ha depositato una memoria, insistendo affinché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 Cost.
La memoria ribadisce gli argomenti già proposti con l’atto di costituzione. Si aggiunge che l’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 sarebbe illegittimo anche nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’interno il potere di regolamentare l’ambito applicativo dei nuovi poteri sindacali, e dunque una funzione normativa non conforme all’ordinamento costituzionale. Tra l’altro, il decreto ministeriale 5 agosto 2008 avrebbe introdotto anche disposizioni innovative rispetto alla stessa previsione censurata, così palesando ulteriori profili di illegittimità.
La correttezza delle ordinanze extra ordinem legittimate dalla novella del 2008 non sarebbe assicurata, secondo la parte privata, né dalla troppo generica prescrizione del rispetto dei principi generali dell’ordinamento, né dalla necessaria interlocuzione del sindaco con il prefetto. Tale interlocuzione non integra un rapporto di subordinazione gerarchica tra il primo ed il secondo, né una immedesimazione organica tra il sindaco e l’Amministrazione dell’interno. Tanto che – si osserva – la giurisprudenza riferisce al Comune, e non allo Stato, la responsabilità risarcitoria per danni derivati da ordinanze contingibili e urgenti (è citata la sentenza del Consiglio di Stato n. 4529 del 2010).
5. – In data 1° marzo 2011 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato memoria, al fine di ribadire la richiesta d’una pronuncia di inammissibilità e, comunque, di infondatezza delle questioni sollevate.
La difesa statale assume, nell’occasione, che la norma censurata, pur nella versione scaturita dal recente intervento di riforma, avrebbe conservato sostanzialmente l’impianto originario. In particolare, aumentando poteri già tipicamente riconosciuti al sindaco quale ufficiale di Governo, la norma avrebbe implementato gli strumenti di raccordo tra l’azione sindacale e l’attività del prefetto, cui la legge attribuisce funzione di interlocuzione preventiva, di sostituzione e di stimolo. Sarebbe dunque smentito l’assunto del rimettente circa l’ampiezza e l’indeterminatezza dei provvedimenti oggi consentiti al sindaco.
La norma censurata – si ammette – configura una nuova classe di provvedimenti «ordinari», non condizionati dalla contingibilità e dall’urgenza. Tali provvedimenti, tuttavia, sarebbero vincolati nel fine, dovrebbero rispettare i «principi fondamentali» (espressi, secondo la memoria, dalle norme costituzionali, sovranazionali e comunitarie), principi tra i quali sono comprese la proporzionalità e la ragionevolezza, e infine richiederebbero adeguata motivazione (dal che risulterebbe smentita la loro natura normativa). La discrezionalità riconosciuta al sindaco sarebbe ulteriormente limitata, sempre a parere del Presidente del Consiglio dei ministri, dalle definizioni e dalle prescrizioni contenute nel decreto del Ministro dell’interno in data 5 agosto 2008.
La pertinenza della fonte alla materia della sicurezza pubblica, ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 226 del 2010, varrebbe a documentare che i provvedimenti sindacali non servono «a introdurre nuove discipline tendenzialmente generali, ma contengono le misure concrete» volte ad assicurare «il risultato dell’effettivo rispetto delle norme poste da altre fonti a tutela della vita associata». Non solo, quindi, sarebbe confermata la compatibilità tra la norma censurata e la previsione costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., ma andrebbe «superato ogni dubbio di indeterminatezza» della norma medesima.
Infine, e comunque, la piena sindacabilità delle ordinanze in sede giurisdizionale, confermata dalla giurisprudenza già pronunciatasi in materia, renderebbe inammissibili le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo veneto.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza del 22 marzo 2010, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
In particolare, la norma indicata sarebbe illegittima «nella parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”».
1.1. – La disposizione censurata violerebbe anzitutto, ed in particolare, gli artt. 23, 70, 76, 77, 97 e 117 Cost., ove sono espressi i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità. In base ai principi citati, una disciplina che consenta l’adozione di disposizioni derogatorie alle norme vigenti in rapporto ad una determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico, in luogo di quello ordinariamente deputato», sarebbe legittima solo in quanto configuri una situazione di contingibilità ed urgenza quale «presupposto, condizione e limite» per l’esercizio del potere in questione.
Gli stessi parametri costituzionali sarebbero violati anche perché la disposizione censurata, secondo il rimettente, istituisce una vera e propria fonte normativa, libera nel contenuto ed equiparata alla legge (in quanto idonea a derogare alla legge medesima), in contrasto con le regole costituzionali che riservano alle assemblee legislative il compito di emanare atti aventi forza e valore di legge.
Il Tribunale propone poi un’ulteriore questione con riferimento agli artt. 3, 23 e 97 Cost., che pongono la riserva di legge ed il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative. Infatti la norma censurata, rimuovendo i presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, avrebbe conferito al sindaco un potere discrezionale e tendenzialmente illimitato di conculcare la libertà dei singoli di tenere ogni comportamento che non sia vietato dalla legge.
Ancora, il comma 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 violerebbe gli artt. 13, 16, 17 e 41 Cost., ciascuno dei quali espressivo di una riserva di legge a tutela di diritti e libertà fondamentali della persona (in particolare, la libertà personale, la libertà di soggiorno e circolazione, la libertà di riunione, la libertà in materia di iniziativa economica), che la disposizione censurata renderebbe suscettibili di compressione per effetto di provvedimenti non aventi rango di legge.
Una censura ulteriore è proposta dal rimettente in relazione all’art. 117 Cost., perché il potere di normazione conferito dalla disposizione censurata consentirebbe l’invasione degli ambiti di competenza legislativa regionale.
Ancora, la norma in oggetto sarebbe illegittima in ragione del suo contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., poiché implica che la disciplina di identici comportamenti – anche quando espressivi dell’esercizio di diritti fondamentali, e dunque necessariamente garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale – venga irragionevolmente differenziata in rapporto ad ambiti territoriali frazionati (fino al limite rappresentato dal territorio ripartito di tutti i Comuni italiani). L’indicato frazionamento, d’altra parte, comporrebbe una lesione dei principi di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).
Il Tribunale rimettente prospetta poi un’ulteriore violazione, relativamente agli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost., che pongono il principio costituzionale del pluralismo, anche sotto il profilo culturale, politico, religioso e scientifico: la norma censurata, infatti, conferirebbe una potestà normativa, tendenzialmente libera se non nell’orientamento finalistico, ad un organo monocratico che nella specie opera quale ufficiale di Governo, derogando alle competenze ordinarie dell’assemblea comunale elettiva, in materia tra l’altro di regolamento della polizia urbana.
Infine, con il comma 4 del d.lgs. n. 267 del 2000, si sarebbe determinata una violazione degli artt. 24 e 113 Cost., in ragione della vastità ed indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco e della conseguente ampia discrezionalità esercitabile dal sindaco medesimo, tale da rendere eccessivamente difficoltosa la possibilità di un effettivo sindacato giurisdizionale delle singole fattispecie.
2. – Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato, sulla scorta del rilievo che le ordinanze oggetto del presente giudizio sarebbero pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, e che i vizi di legittimità costituzionale denunciati dal rimettente costituirebbero in realtà vizi dell’atto amministrativo, i quali ben potrebbero determinare, se accertati, l’annullamento o la disapplicazione delle ordinanze stesse nelle sedi giudiziarie competenti.
Il giudice a quo ha adottato un significato della disposizione censurata, in base al quale non sarebbe rinvenibile, all’interno della stessa, una configurazione di limiti specifici, che possano consentire al giudice adito di valutare in concreto la legittimità degli atti impugnati.
Il rimettente è pervenuto a tale conclusione dopo aver esplicitamente scartato possibili interpretazioni conformi a Costituzione, che pure sono state proposte da una parte della dottrina. L’atto amministrativo impugnato si presentava quindi, a parere del giudice rimettente, non in contrasto con l’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel nuovo testo introdotto nel 2008) e pertanto il ricorso contro lo stesso avrebbe dovuto essere rigettato. Tuttavia lo stesso giudice, dubitando della legittimità costituzionale della norma legislativa che è posta a fondamento dell’atto, e denunciando una serie di presunti vizi riscontrati, ha sollevato la questione oggetto del presente giudizio.
In definitiva, la rilevanza della questione nel processo principale è motivata in modo plausibile.
3. – Nel merito, la questione è fondata.
3.1. – Occorre innanzitutto procedere ad una analisi dell’enunciato normativo contenuto nella disposizione censurata.
Si deve notare, al riguardo, che nell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 è scritto: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
Si può osservare agevolmente che la frase «anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento» è posta tra due virgole. Si deve trarre da ciò la conclusione che il riferimento al rispetto dei soli principi generali dell’ordinamento riguarda i provvedimenti contingibili e urgenti e non anche le ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione. L’estensione anche a tali atti del regime giuridico proprio degli atti contingibili e urgenti avrebbe richiesto una disposizione così formulata: «adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento […]».
La dizione letterale della norma implica che non è consentito alle ordinanze sindacali “ordinarie” – pur rivolte al fine di fronteggiare «gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana» – di derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti. Questa Corte ha infatti precisato, con giurisprudenza costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se «temporalmente delimitate» (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della «concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare» (sentenza n. 4 del 1977).
Le ordinanze oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale non sono assimilabili a quelle contingibili e urgenti, già valutate nelle pronunce appena richiamate. Esse consentono ai sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana» (sentenza n. 196 del 2009).
Sulla scorta del rilievo sopra illustrato, che cioè la norma censurata, se correttamente interpretata, non conferisce ai sindaci alcun potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione in deroga a norme legislative o regolamentari vigenti, si deve concludere che non sussistono i vizi di legittimità che sono stati denunciati sulla base del contrario presupposto interpretativo.
4. – Le considerazioni che precedono non esauriscono tuttavia l’intera problematica della conformità a Costituzione della norma censurata. Quest’ultima attribuisce ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
Questa Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.
5. – Le ordinanze sindacali oggetto del presente giudizio incidono, per la natura delle loro finalità (incolumità pubblica e sicurezza urbana) e per i loro destinatari (le persone presenti in un dato territorio), sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati. La Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge (art. 23).
La riserva di legge appena richiamata ha indubbiamente carattere relativo, nel senso che lascia all’autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie in tutti gli ambiti non coperti dalle riserve di legge assolute, poste a presidio dei diritti di libertà, contenute negli artt. 13 e seguenti della Costituzione. Il carattere relativo della riserva de qua non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, costante sin dalle sue prime pronunce, l’espressione «in base alla legge», contenuta nell’art. 23 Cost., si deve interpretare «in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale»; questo principio «implica che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione» (sentenza n. 4 del 1957). Lo stesso orientamento è stato ribadito in tempi recenti, quando la Corte ha affermato che, per rispettare la riserva relativa di cui all’art. 23 Cost., è quanto meno necessario che «la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione» (sentenza n. 190 del 2007).
È necessario ancora precisare che la formula utilizzata dall’art. 23 Cost. «unifica nella previsione i due tipi di prestazioni “imposte”» e «conserva a ciascuna di esse la sua autonomia», estendendosi naturalmente agli «obblighi coattivi di fare» (sentenza n. 290 del 1987). Si deve aggiungere che l’imposizione coattiva di obblighi di non fare rientra ugualmente nel concetto di “prestazione”, in quanto, imponendo l’omissione di un comportamento altrimenti riconducibile alla sfera del legalmente lecito, è anch’essa restrittiva della libertà dei cittadini, suscettibile di essere incisa solo dalle determinazioni di un atto legislativo, direttamente o indirettamente riconducibile al Parlamento, espressivo della sovranità popolare.
6. – Nella materia in esame è intervenuto il decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione). In tale atto amministrativo a carattere generale, l’incolumità pubblica è definita, nell’art. 1, come «l’integrità fisica della popolazione», mentre la sicurezza urbana è descritta come «un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». L’art. 2 indica le situazioni e le condotte sulle quali il sindaco, nell’esercizio del potere di ordinanza, può intervenire, «per prevenire e contrastare» le stesse.
Il decreto ministeriale sopra citato può assolvere alla funzione di indirizzare l’azione del sindaco, che, in quanto ufficiale del Governo, è sottoposto ad un vincolo gerarchico nei confronti del Ministro dell’interno, come è confermato peraltro dallo stesso art. 54, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 267 del 2000, che impone al sindaco l’obbligo di comunicazione preventiva al prefetto dei provvedimenti adottati «anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione». Ai sensi dei commi 9 e 11 dello stesso articolo, il prefetto dispone anche di poteri di vigilanza e sostitutivi nei confronti del sindaco, per verificare il regolare svolgimento dei compiti a quest’ultimo affidati e per rimediare alla sua eventuale inerzia.
La natura amministrativa del potere del Ministro, esercitato con il decreto sopra citato, se assolve alla funzione di regolare i rapporti tra autorità centrale e periferiche nella materia, non può soddisfare la riserva di legge, in quanto si tratta di atto non idoneo a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nei rapporti con i cittadini. Il decreto, infatti, si pone esso stesso come esercizio dell’indicata discrezionalità, che viene pertanto limitata solo nei rapporti interni tra Ministro e sindaco, quale ufficiale del Governo, senza trovare fondamento in un atto avente forza di legge. Solo se le limitazioni e gli indirizzi contenuti nel citato decreto ministeriale fossero stati inclusi in un atto di valore legislativo, questa Corte avrebbe potuto valutare la loro idoneità a circoscrivere la discrezionalità amministrativa dei sindaci. Nel caso di specie, al contrario, le determinazioni definitorie, gli indirizzi e i campi di intervento non potrebbero essere ritenuti limiti validi alla suddetta discrezionalità, senza incorrere in un vizio logico di autoreferenzialità.
Si deve, in conclusione, ritenere che la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti – pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti – viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge.
7. – Si deve rilevare altresì la violazione dell’art. 97 Cost., che istituisce anch’esso una riserva di legge relativa, allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge. Tale limite è posto a garanzia dei cittadini, che trovano protezione, rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro legislativo, la cui osservanza deve essere concretamente verificabile in sede di controllo giurisdizionale. La stessa norma di legge che adempie alla riserva può essere a sua volta assoggettata – a garanzia del principio di eguaglianza, che si riflette nell’imparzialità della pubblica amministrazione – a scrutinio di legittimità costituzionale.
La linea di continuità fin qui descritta è interrotta nel caso oggetto del presente giudizio, poiché l’imparzialità dell’amministrazione non è garantita ab initio da una legge posta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanza. L’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente pertanto che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge.
Per le ragioni esposte, la norma censurata viola anche l’art. 97, primo comma, della Costituzione.
8. – L’assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci. Non si tratta, in tali casi, di adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali in vista di concrete situazioni locali, ma di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa, come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato.
Tale disparità di trattamento, se manca un punto di riferimento normativo per valutarne la ragionevolezza, integra la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto consente all’autorità amministrativa – nella specie rappresentata dai sindaci – restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria.
Un giudizio sul rispetto del principio generale di eguaglianza non è possibile se le eventuali differenti discipline di comportamenti, uguali o assimilabili, dei cittadini, contenute nelle più disparate ordinanze sindacali, non siano valutabili alla luce di un comune parametro legislativo, che ponga le regole ed alla cui stregua si possa verificare se le diversità di trattamento giuridico siano giustificate dalla eterogeneità delle situazioni locali.
Per i motivi esposti, la norma censurata viola anche l’art. 3, primo comma, della Costituzione.
9. – Si devono ritenere assorbite le altre censure di legittimità costituzionale contenute nell’atto introduttivo del presente giudizio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.
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Per orientamento personale.

Questa è una diversa situazione (non Codice Stradale) ma per essere transitato lungo un viale tagliafuoco nonché pista forestale.



Numero 01703/2011 e data 05/05/2011

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 23 febbraio 2011

NUMERO AFFARE 04257/2010
OGGETTO:
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor OMISSIS per l’annullamento dell’ordinanza n…. del 16 febbraio 2009 con cui il comune di ……… ha determinato la sanzione pecuniaria per la violazione dell’articolo 11 della legge regionale Piemonte n. 32 del 2 novembre 1982.
LA SEZIONE
Vista la relazione 31 agosto 2010 con la quale il ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato, ha chiesto al Consiglio di Stato il previsto parere sul ricorso straordinario sopraindicato;
visto il ricorso straordinario pervenuto al segretariato della Presidenza della Repubblica il 10 giugno 2009;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Carlo Mosca;

Premesso: Il signor OMISSIS ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per l’annullamento dell’ordinanza n. …. del 16 febbraio 2009 con cui il comune di OMISSIS, dopo aver rigettato l’opposizione presentata dallo stesso ricorrente, ha determinato la sanzione pecuniaria per la violazione di cui all’articolo 11 della legge regionale n. 32 del 2 novembre 1982, avendo il ricorrente transitato lungo un viale tagliafuoco nonché pista forestale, come da verbale n. …… redatto il 18 dicembre 2008 dal Corpo forestale dello Stato, in località Serra del comune di Omissis.
Il ricorrente lamenta in sostanza l’incompetenza territoriale, non trovandosi il luogo della presunta infrazione in territorio di detto comune, nonché la mancata contestazione immediata della violazione e l’assenza di qualsiasi segnale di divieto sia sulla strada percorsa che nello spiazzo dove aveva sostato con l’autovettura di sua proprietà ai margini di una pineta.
L’amministrazione precisa che: a) la pista forestale dove è stata rilevata la violazione si trova nel comune di Omissis; b) che la fattispecie contestata non riguarda il luogo dove era parcheggiata l’auto del ricorrente per sosta peraltro vietata sul manto erboso; c) che il personale della forestale in compagnia del messo comunale era a bordo di un fuoristrada con lampeggiante blu e con la scritta protezione civile; d) che nessuna persona, infine, era nei pressi dell’autovettura del ricorrente e che quindi era impossibile la contestazione.


Considerato:
Il ricorso è fondato. Dalla documentazione esistente agli atti si evince che in effetti la pista forestale non era segnalata come prescrive l’articolo 11 della legge regionale Piemonte n. 32 del 2 novembre 1982 e su tale assenza di segnaletica non vi è stata alcuna replica né da parte del Corpo forestale né da parte del comune di OMISSIS.
Questa Sezione rileva altresì che la stessa ordinanza del sindaco di OMISSIS ha in sé elementi di contraddittorietà, visto che nelle premesse fa riferimento inizialmente alla contestazione emergente dal verbale del Corpo forestale e successivamente al divieto di sosta nella spazio antistante la pista forestale pure esso presuntivamente ritenuto contestato e presente nel citato verbale, argomentando che comunque la sosta è vietata secondo quanto sancito dall’articolo 11, comma 5 della stessa legge regionale n. 32/1982.

P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere accolto e il provvedimento impugnato debba essere annullato




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Mosca Alessandro Pajno




IL SEGRETARIO
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N. 03546/2011REG.PROV.COLL.
N. 06093/2006 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6093 del 2006, proposto da:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Santoro, con domicilio eletto presso Daniela De Berardinis in Roma, via S. Tommaso D’Aquino, 104;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, Sezione I, 26 ottobre 2005, n. 32902005, resa tra le parti, concernente sospensione patente di guida.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 10 maggio 2011 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Biagini e l’avv.to Giancarlo Renzetti per delega dell’avvocato Santoro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La sentenza appellata ha annullato l’atto del direttore dell’ufficio provinciale di Torino prot. n. OMISSIS, con cui fu sospesa la patente di guida n. OMISSIS cat. C rilasciata il 13 maggio 1987 dall’ufficio provinciale della M.C.T.C. di Torino (e ogni altra patente posseduta), di cui era titolare OMISSIS, (…) fin quando l’interessato non avesse prodotto certificazione della commissione medica locale attestante il recupero dei prescritti requisiti psichici e fisici.
Il giudice di primo grado osservava che il ricorrente aveva proposto tempestivo ricorso al Ministro dei trasporti avverso il giudizio della commissione medica provinciale A.S.L. 1 di Torino, che lo aveva reputato non idoneo alla guida per sei mesi, ricorso previsto dall’art. 119 d.lgs. n. 285 del 1992 e non ancora deciso; pertanto, in pendenza di tale ricorso, era illegittimo il provvedimento impugnato, che sospendeva la patente di guida senza valutare le censure proposte dall’interessato e decidere in merito, sentita la commissione medica centrale.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti propone appello sostenendo che l’amministrazione non aveva alcun obbligo di pronunciarsi sul ricorso gerarchico prima di adottare i provvedimenti di sospensione per perdita dei requisiti fisici e psichici, di cui all’art. 119 del codice della strada, di cui all’art. 129 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
All’udienza del 10 maggio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La tesi dell’amministrazione di non essere obbligata ad adottare una pronuncia sul ricorso gerarchico, prima di emanare un provvedimento di sospensione della patente, è smentita dalla modifica legislativa apportata all’articolo 119 del codice della strada.
Il testo in vigore alla data di produzione del ricorso gerarchico (5 agosto 2005) prevedeva, al comma 5, primo alinea, che: “Avverso il giudizio delle commissioni di cui al comma 4 è ammesso ricorso entro trenta giorni al Ministro dei trasporti”.
Tale comma è stato radicalmente modificato dall’art. 23, comma 1, lettera e), della legge 29 luglio 2010, n. 120, il quale non prevede più la possibilità di esperire un ricorso gerarchico, ma solo un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o un ricorso giurisdizionale.
Il primo alinea del novellato comma 5 prevede che: “Le commissioni di cui al comma 4 comunicano il giudizio di temporanea o permanente inidoneità alla guida al competente ufficio della motorizzazione civile che adotta il provvedimento di sospensione o revoca della patente di guida ai sensi degli articoli 129 e 130 del presente codice”.
Dall’esame sinottico delle norme, prima e dopo le modifiche, emerge che, per consentire l’immediata adozione di provvedimenti di sospensione, il legislatore ha dovuto sopprimere il rimedio del ricorso gerarchico, che andava deciso (in forma esplicita o con formazione di silenzio rigetto) prima di sospendere la patente.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente FF
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/06/2011
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