Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Quattroruote: dove vanno a finire i soldi delle multe?


Ci sono due obblighi che vengono evasi, o scarsamente rispettati, quando di parla dei soldi incassati con le multe stradali:
almeno il 50% dovrebbe essere destinato alla sicurezza stradale, e non sempre accade – i soldi finiscono per pagare forniture e servizi di ogni genere, spesso anche per ripianare buchi di bilancio.

C’è poi l’obbligo di inviare una relazione sull’uso dei proventi delle multe al Ministero Trasporti e al Ministero Interno:
pochissime le amministrazioni che lo fanno.

Questi i risultati di un’inchiesta di Quattroruote sull’uso delle multe che sarà pubblicata sul numero di aprile, in edicola da domani.

Le domande di partenza:
che fine fanno i soldi incassati con le multe? Vengono spesi per finalità legate alla sicurezza stradale o prendono altre strade? Come spiega una nota di lancio della rivista, “l’inchiesta, pubblicata sul numero di aprile in edicola da domani, passa in rassegna undici città tra nord, sud e centro Italia e denuncia come i proventi siano utilizzati per pagare forniture e servizi di più vario genere, nonostante l’articolo 208 del Codice della strada imponga che almeno il 50% dei proventi venga destinato alla sicurezza stradale.

Ma siccome la norma è molto generica, le amministrazioni locali hanno gioco facile nell’interpretare e modo loro la lettera del Codice, finanziando attività, spese e investimenti che con la sicurezza stradale hanno poco a che fare.

Non raramente i fondi servono a ripianare buchi di bilancio, contrarre mutui e pagare imposte”.

Quattroruote ha scoperto così che a Napoli, a fronte di 30 milioni di incasso, 3,1 milioni di euro sono stati impiegati per non meglio precisate “politiche sociali per favorire la mobilità sul territorio cittadino”; 345.800 euro sono stati spesi per la convenzione Fastweb e ben 1 milione di euro sono serviti ad acquistare nuove divise ai vigili.

A Bari 1,4 milioni di euro (sui 7,9 incassati) sono stati destinati ad assegni, indennità, contributi e Irap; 94 mila quelli che Pesaro ha utilizzato per la previdenza integrativa, mentre Prato ne ha spesi 289 mila per incentivazione, straordinari e flessibilità di polizia.

Ancora: 10 milioni di euro è la cifra spesa dal Comune di Milano per pagare straordinari e “servizi particolari” agli agenti; per gli stessi motivi a Torino sono stati utilizzati 3,5 milioni di euro mentre le operazioni di sgombero neve ad Aosta sono costate 611 mila euro.

1 milione di euro è stato speso dal Comune di Trieste per la manutenzione ordinaria degli impianti di illuminazione.

Un’altra norme del Codice della strada viene disattesa, prosegue l’inchiesta della rivista, ed è l’obbligo di inviare al ministero dei Trasporti e dell’Interno la relazione sull’utilizzo dei proventi delle multe:
nel 2014, soltanto 438 amministrazioni su 8.167 hanno ottemperato a tale indicazione.


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Rc auto gratis per un anno, Ivass ripristina classe di merito e decreto Bersani
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Risolto il caso dell’RC auto gratis sull’acquisto di auto nuove (che crea più danni di quanto non faccia risparmiare): ripristinate la classe di merito maturata prima della promozione e il diritto alle agevolazioni del decreto Bersani; previsto il rimborso dei maggiori premi eventualmente pagati, grazie alla ricostruzione della storia assicurativa. E’ quanto si legge nel provvedimento pubblicato dall’Ivass.

Le indicazioni dell’Ivass arrivato al termine dell’indagine conoscitiva avviata dopo le numerose denunce delle Associazioni dei consumatori. Grazie alla loro consultazione e a quella dell’Ania, l’indagine ha prodotto risultati fondamentali per i consumatori.

“Esprimiamo soddisfazione per l’intervento dell’Ivass e per il provvedimento adottato – commenta Giampaolo Petri, Responsabile Settore Assicurativo Konsumer Italia – che valorizza l’annualità a tariffa fissa, consentendo agli assicurati che non provocano incidenti di scalare alla classe di merito precedente. Questo provvedimento farà giurisprudenza per tutti coloro (finora penalizzati) che decideranno di passare da una polizza a franchigia al bonus/malus e diventerà strutturale nel nuovo Regolamento sull’evoluzione delle classi di merito di conversione universale (CU) che sarà oggetto di rivisitazione di Ivass a breve”.

L’indagine è stata effettuata su circa 60 compagnie ed ha rilevato che nel 2014 tre di esse (su 6 che offrivano la polizza gratuita per un anno in abbinamento alla vendita di una nuova autovettura) presentavano criticità, coinvolgendo circa 13.000 consumatori (per un valore di premi pari a circa 6 milioni di euro): i consumatori venivano inseriti a loro insaputa in una polizza collettiva con franchigia e, alla fine dell’anno, perdevano i benefici della classe di merito acquisiti prima, ritrovandosi in tredicesima classe (che è la più alta per chi è stato già assicurato), non potendo più nemmeno usufruire delle agevolazioni del decreto Bersani (a danno dei neo-assicurati).

Per contrastare questo fenomeno l’Ivass ha pubblicato le seguenti indicazioni per le imprese:

“Rilasciare, alla scadenza, un attestato di rischio intestato al proprietario del veicolo che riporti la classe di merito CU di provenienza (posseduta cioè prima dell’accettazione dell’offerta) ed evidenzi la sinistralità dell’assicurato nell’ultimo quinquennio, compresa quella relativa al periodo promozionale”.

In tal modo, “le imprese a cui si rivolgerà l’assicurato che volesse tornare alla formula tariffaria Bonus-Malus dopo detto periodo dovranno tenere in considerazione, ai fini dell’inserimento del contratto nella corretta classe di merito CU, la storia assicurativa antecedente al periodo di gratuità nonché la sinistrosità registrata in tale periodo”.

Ciò vale anche “nei casi in cui il consumatore si sia assicurato per la prima volta con una polizza assicurativa gratuita: l’attestato (o una dichiarazione sostitutiva attestante la sinistrosità nel medesimo periodo per coperture gratuite inferiori all’anno), dovrà riportare anche la classe di merito CU di provenienza a cui l’assicurato avrebbe avuto diritto, al momento dell’accettazione dell’offerta, in forza dell’applicazione del c.d. decreto Bersani, qualora applicabile”. Per cui, oltre a salvare la storia assicurativa del consumatore che non perderà più la classe di merito maturata prima della promozione, viene ripristinato il diritto alle agevolazioni del decreto Bersani: “Se all’atto dell’accettazione dell’offerta l’assicurato avesse avuto diritto a vedersi applicata la classe di merito CU3 di un proprio familiare e se l’assicurato stesso non ha provocato sinistri nel periodo di gratuità potrà entrare nella classe CU 2; nel caso di periodi promozionali inferiori all’anno, le imprese classificheranno il contratto tenendo conto della classe di merito inziale CU 3”.

Per le polizze gratis già scadute, l’Ivass sollecita le imprese a contattare per iscritto tutti gli assicurati (compresi gli assicurati per la prima volta) per rilasciare loro un attestato di rischio ad hoc a loro nome, contenenti le informazioni dettagliate relative a classe di merito e sinistralità. Su questo fronte la grande vittoria, ottenuta anche grazie all’insistenza di Konsumer Italia, riguarda il rimborso dei maggiori premi eventualmente pagati: “Le imprese che successivamente al periodo di gratuità hanno assicurato con una tariffa Bonus-Malus gli assicurati provenienti da tale offerta ricostruiranno la storia assicurativa e classificheranno il contratto sulla base dell’attestato di rischio rilasciato ad hoc e provvedendo, nel contempo, alla restituzione dei maggiori premi eventualmente pagati”.

“Konsumer Italia rende merito ad Ivass della concertazione puntualmente attuata con il coinvolgimento delle Associazioni dei Consumatori – riprende Petri − e condivide appieno tutte le indicazioni fatte pervenire alle imprese, con l’auspicio che vengano prontamente recepite”. A partire dalle conclusioni del comunicato: “Le imprese sono tenute a dare pronta attuazione alle presenti indicazioni e ad evitare, per il futuro, l’adozione di iniziative commerciali basate sull’utilizzo di formule tecniche non coerenti con la necessità di garantire l’adeguatezza del prodotto rispetto alle specifiche esigenze degli assicurati”.
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CONDUCENTI DI VEICOLI E RELATIVI DOCUMENTI DI GUIDA
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Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 12 marzo 2015, n. 46


Prassi amministrativa - Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - circ. 14/05/2015 n. 11502/8.7.6
Forniti chiarimenti in merito ai veicoli utilizzati dalle autoscuole per le esercitazioni e gli esami per il conseguimento delle patenti di guida. In particolare si precisa che:

- i veicoli delle categorie C1, C1E, D1 e D1E utilizzati dalle autoscuole e dai CIA per le esercitazioni e per gli esami devono, in ogni caso, essere muniti di doppi comandi, di conseguenza, gli unici veicoli sui quali svolgere le esercitazioni e gli esami senza obbligo di doppi comandi (anche per i candidati privatisti, in sede d'esame) sono quelli utili per il conseguimento delle categorie AM, A1, A2, A e B1, nonché delle categorie speciali;

- un'autoscuola o un CIA può richiedere la disponibilità dei veicoli delle categorie B1, BE, B96, C1, C1E, D1, D1E anche a soggetti che hanno sede in provincia differente, senza alcuna limitazione territoriale;

- la disponibilità dei veicoli delle categorie C1, C1E, D1, D1E è estesa anche per le autoscuole e i CIA autorizzati a svolgere i corsi di qualificazione iniziale per conducenti professionali; nella comunicazione di avvio del corso di qualificazione iniziale per il quale è necessario utilizzare uno dei veicoli delle suddette categorie, l'autoscuola o il CIA dovrà presentare un atto con il quale il proprietario, l'usufruttuario, il locatario con facoltà di acquisto o il venditore con patto di riservato dominio concede la disponibilità del veicolo;

- dal 1° luglio 2015 le autoscuole dovranno dotarsi obbligatoriamente dei veicoli utili al conseguimento delle categorie AM, A1, A2, A, B, C, CE, D e DE e potranno, nel caso in cui iscrivano allievi che intendono conseguire le categorie B1, B96, BE, C1, C1E, D1 e D1E, e le patenti speciali, utilizzare, per le esercitazioni e gli esami veicoli dati in disponibilità; di conseguenza, in sede d'esame, gli allievi delle autoscuole o dei CIA, devono utilizzare esclusivamente i veicoli di proprietà o in disponibilità alle autoscuole o ai centri di istruzione stessi;

- non è consentito utilizzare, per le esercitazioni o l'esame di un allievo che intenda conseguire una categoria di patente con codice unionale 78 (cambio automatico), un veicolo dotato di cambio manuale, così come non è possibile utilizzare, per le esercitazioni o l'esame di un allievo che intenda conseguire una categoria di patente con cambio manuale, un veicolo dotato di cambio automatico;

- al conducente che ha svolto la prova pratica per il conseguimento della categoria B su veicolo dotato di cambio manuale e la prova pratica per l'estensione al codice 96 su veicolo dotato di cambio automatico sarà rilasciata una patente di guida sulla quale, in corrispondenza della categoria B sarà riportato esclusivamente il codice 96.

Sono soppresse tutte le precedenti disposizioni in contrasto con la circolare.
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Rc auto, novità in arrivo: dal 1° luglio attestato di rischio elettronico.
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Tra un mese, il 1° luglio 2015, l’attestato di rischio cartaceo verrà sostituito da quello elettronico, come prevede il processo di dematerializzazione dei documenti assicurativi.

E dal 18 ottobre gli automobilisti diranno addio anche al tagliando cartaceo che tengono sul parabrezza dell’auto.

A garantire la regolarità assicurativa sarà la lettura elettronica della targa.

Altroconsumo siega le novità per gli assicurati e consiglia di approfittare per cambiare compagnia (si possono risparmiare fino a 200 euro).rc autoChi, ad esempio, ha la polizza in scadenza a luglio potrebbe già ricevere l’attestato di rischio in formato elettronico.

Mentre i tempi non cambiano (l’attestato viene inviato comunque almeno 30 giorni prima della scadenza della polizza), cambia la modalità di consegna: sarà possibile trovare il documento nell’area dedicata sul sito internet della compagnia (la cosiddetta “home insurance”), e in ogni caso si può richiedere una consegna telematica aggiuntiva tra quelle previste dall’impresa (ad esempio posta elettronica, App per smartphone o tablet/dispositivi multimediali).

In caso di polizza stipulata presso un intermediario (agente, broker), è possibile richiedere la stampa dell’attestato di rischio senza l’applicazione di costi (in caso di richiesta del documento da parte di persone aventi diritto e diverse dal contraente – ad esempio il proprietario o l’usufruttuario – sarà possibile dopo il 31 ottobre 2015, in modo da consentire alle compagnie di adeguare i propri sistemi informativi).

Ma c’è un’altra importante novità che riguarda la possibilità di cambiare compagnia: l’attestato di rischio, infatti, sarà conservato in una banca dati controllata da IVASS e non sarà quindi più necessario presentare il documento alla compagnia con cui si vuole assicurare il proprio veicolo.

Sarà quest’ultima, infatti, a recuperare le informazioni necessarie dalla banca dati.

La stampa dell’attestato di rischio, quindi, avrà solo una valenza informativa e non la si potrà utilizzare per stipulare un nuovo contratto.

Inoltre per cambiare compagnia non è più necessario mandare la disdetta, ma Altroconsumo avverte: controllate se le polizze accessorie alla Rc auto – ad esempio quella che copre gli infortuni del conducente – sono in un contratto a parte. In quel caso è necessario mandare la disdetta per quella specifica copertura.

Le compagnie dovranno informare i propri assicurati sulle modalità da seguire nel passaggio dal formato cartaceo a quello elettronico.

E all’orizzonte ci sono altre novità: l’IVASS vorrebbe avviare una seconda fase che consentirà di passare dall’attestato di rischio statico (che fotografa la situazione corrente) all’attestato dinamico, generato in continuo dal sistema.

L’auspicio è quello di implementare un sistema più efficace che contribuisca a contrastare le truffe Rc auto.

Ultimo passaggio del processo di dematerializzazione sarà la sparizione dal prossimo 18 ottobre del contrassegno dal parabrezza dell’auto: sarà sostituito dal tagliando elettronico che gli assicurati riceveranno con le stesse modalità del nuovo attestato di rischio.

La regolarità delle vetture, fino ad oggi controllata dai vigili urbani o dalla polizia stradale grazie al tagliando cartaceo, verrà accertata attraverso la lettura elettronica della targa dalle stesse telecamere che vengono utilizzate sulle strade e autostrade italiane per vigilare sul rispetto dei limiti di velocità e sugli ingressi nelle ZTL.

Quindi entro il 18 ottobre 2015 tutti i dispositivi elettronici presenti sulle strade dovranno essere omologati per trasmettere i dati esatti di ciascun veicolo.
panorama
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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D.M. 20.05.2015: Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici
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In allegato il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 20 maggio 2015:

“Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici, ai sensi degli articoli 111 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.”

pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 30 giugno 2015.

Decreto-200515-Revisione_gen_periodica_macchine_agricole_operatrici-GU-149-300615.pdf

vedi/leggi e scarica PDF
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È disposta la revisione generale delle macchine agricole di cui all'art. 57 del CdS, come di seguito specificato:

- trattori agricoli così come definiti nella direttiva n. 2003/37/CE del 26.5.2003 e s.m.i., a far data dal 31 dicembre 2015;

- macchine agricole operatrici semoventi a due o più assi, a far data dal 31 dicembre 2017;

- rimorchi agricoli aventi massa complessiva a pieno carico superiore a 1,5 tonnellate e con massa complessiva inferiore a 1,5 tonnellate, se le dimensioni d'ingombro superano i 4,00 metri di lunghezza e 2,00 metri di larghezza, a far data dal 31 dicembre 2017.

La prima revisione dovrà essere effettuata secondo il seguente calendario,

- Trattori agricoli immatricolati entro il 31.12.1973 - Revisione entro il 31.12.2017

- Trattori agricoli immatricolati dal 1.1.1974 al 31.12.1990 - Revisione entro il 31.12.2018

- Trattori agricoli immatricolati dal 1.1.1991 al 31.12.2010 - Revisione entro il 31.12.2020

- Trattori agricoli immatricolati dal 1.1.2011 al 31.12.2015 - Revisione entro il 31.12.2021

- Trattori agricoli immatricolati dopo il 1° gennaio 2016 - Revisione al 5° anno entro la fine del mese di prima immatricolazione.

Dopo la prima, la revisione dovrà essere nuovamente effettuata ogni cinque anni, entro il mese corrispondente alla prima immatricolazione. Per le macchine agricole immatricolate prima del 1.1.2009, il MIT, con proprio decreto, stabilisce procedure semplificate di aggiornamento dei documenti di circolazione.

È disposta, inoltre, a far data dal 31.12.2018, la revisione generale, con periodicità di cinque anni, delle macchine operatrici, di cui all'art. 58 del CdS, di seguito specificate:

- macchine impiegate per la costruzione e la manutenzione di opere civili o delle infrastrutture stradali o per il ripristino del traffico;

- macchine sgombraneve, spartineve o ausiliarie, quali spanditrici di sabbia e simili;

- carrelli, quali veicoli destinati alla movimentazione di cose.
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
panorama
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Non è omissione di atti d’ufficio
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1) - L’omessa contravvenzione al codice della strada non costituisce reato per il vigile o il carabiniere consapevole della violazione amministrativa da parte degli automobilisti.

2) - Non commette il reato di omissione d’atti d’ufficio [ nota in basso 1 ] la polizia, il vigile o il carabiniere che non eleva la contravvenzione per violazione del codice della strada nei confronti degli automobilisti pur passibili di multa. Lo ha detto la Cassazione in una recente sentenza [nota in basso 2 ].
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Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 maggio – 24 luglio 2015, n. 32594
Presidente Ippolito – Relatore De Amicis


Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1 aprile 2014 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Modena in data 15 dicembre 2008, ha assolto N.V. , Carabiniere in servizio presso la Tenenza di X, dal reato ex art. 326 c.p. di cui al capo sub D) perché il fatto non sussiste, e, riqualificati i fatti di concussione di cui ai capi sub A) ed F) ai sensi dell’art. 319-quater c.p., ha ridotto la pena inflitta dal primo Giudice ad anni tre e mesi cinque di reclusione, dichiarando l’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque e confermando nel resto la decisione impugnata, che lo condannava altresì per il reato di cui al capo sub C) [ex art. 328, comma 1, c.p.].

2. Avverso la su indicata decisione della Corte d’appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto quattro motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.

2.1. Inosservanza di norme processuali (artt. 546, lett. e), 125, comma 3, c.p.p.) e vizi motivazionali – per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento delle prove – in relazione alla pronuncia di condanna per il reato ex art. 319-quater c.p. di cui al capo sub A), avendo la Corte d’appello erroneamente accordato piena credibilità alle dichiarazioni rese dalla parte offesa S.B., che non solo ha preteso dal N. la riduzione delle sanzioni benché fosse a conoscenza della irregolarità della propria posizione, anche assicurativa, ma è stato altresì smentito dalle risultanze processuali sia riguardo alla pretesa falsità dei verbali di dissequestro del mezzo, sia riguardo al fatto di aver sostenuto che il N. lo aveva seguito presso l’officina dello Sc. (ove sarebbe avvenuta la dazione illecita) per mettergli pressione, laddove egli si trovava in loco per la revisione obbligatoria della propria autovettura. La Corte d’appello, inoltre, non ha motivato circa la necessaria connessione tra la richiesta di denaro e l’abuso delle qualità e/o dei poteri del pubblico ufficiale.

2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla pronuncia di condanna per il reato ex art. 319-quater c.p. di cui al capo sub F), per avere la Corte d’appello rinvenuto l’abuso richiesto dalla norma al di fuori della condotta relativa all’originaria consegna del titolo da parte del B. allo St. , ravvisandola esclusivamente in pressioni successive, secondo quanto contestato nel capo sub F).

Si lamenta, al riguardo, che la Corte distrettuale ha fatto riferimento a circostanze che, da un lato, non integrano gli estremi dell’abuso induttivo, dall’altro lato sono relative a vicende enucleate nei diversi capi d’imputazione sub D) ed E), per le quali v’è stata una definitiva assoluzione. È stata erroneamente valutata, inoltre, la testimonianza della G., mentre dagli atti non risulta che l’imputato, nel corso di ogni contatto avvenuto con il B., abbia riferito altro se non che a fronte della mancata contribuzione per l’affitto e le altre spese, lo St. si sarebbe riservato di non prestarsi più all’ospitalità concordata.

Si deduce, ancora, l’irrilevanza della circostanza secondo la quale il N. si sarebbe informato sull’esito della pratica, essendo comunque indimostrato il fatto che egli potesse concorrere a determinarne l’esito, ancorché tale assunto sia stato valorizzato nella decisione impugnata. Parimenti irrilevante, poi, deve ritenersi l’assunto secondo cui, in epoca successiva alla dazione del titolo allo St., il N. avesse speso o meno la propria qualifica in occasione di un colloquio con il datore di lavoro del B. , ossia con l’imprenditore Z. (le cui dichiarazioni, peraltro, diversamente da quanto affermato in sentenza, sono nel senso che il N. non ebbe a spendere verso di lui alcuna qualifica, e che la disponibilità mostrata per il dipendente non era comunque dipesa in alcun modo da quella, come pure l’eventuale permesso cui il dipendente aveva comunque diritto).

Né, infine, si è data risposta alla censura dalla difesa mossa circa il fatto che la contribuzione richiesta al B. per l’ospitalità e la dichiarazione corrispondente non fossero non dovute: in relazione a tale profilo, dunque, la Corte non ha spiegato il motivo per cui ha ritenuto integrato un non dovuto vantaggio economico.

2.3. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla pronuncia di condanna per il reato di cui al capo sub C), deducendosi il mancato riconoscimento della questione relativa alla riconducibilità dell’ipotesi concreta nell’alveo delle categorie dell’atto omesso, che nel caso in esame appartiene al genus delle contravvenzioni amministrative stradali.

2.4. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione al secondo motivo di gravame, concernente la determinazione del trattamento sanzionatorio e il diniego delle invocate attenuanti dell’art. 323-bis c.p. (avuto riguardo alla ridotta intensità del dolo ed alla non particolare gravità delle modalità induttive o di estrinsecazione dell’abuso, anche in considerazione della complessiva modestia economica del fatto, peraltro limitato a due soli episodi) e dell’art. 62, n. 4, c.p. (trattandosi di un titolo di importo comunque modesto, relativo ad un conto corrente estinto ben prima della sua dazione allo St., per una legittima causale di condivisione delle spese domestiche).

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato per le ragioni appresso indicate, mentre lo stesso deve accogliersi esclusivamente in relazione al terzo motivo di doglianza, nei limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

2. Per quel che attiene alle prime due censure, entrambe al limite dell’inammissibilità in quanto fortemente orientate verso una rivalutazione dei profili di merito della regiudicanda, come tale incompatibile con l’odierno scrutinio di legittimità, è necessario ribadire, sul piano generale ed al fine della verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte d’appello, che tale decisione non può essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che l’iter motivazionale di entrambe sostanzialmente si dispiega secondo l’articolazione di sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, dep. 11/04/2008, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Rv. 223061). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo, v. Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615).

Nel caso portato alla cognizione di questa Suprema Corte, in particolare, ci si trova di fronte a due pronunzie, di primo e di secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, in considerazione del fatto che entrambe le pronunzie hanno offerto una congrua e ragionevole giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del ricorrente.

Discende da tale evenienza, secondo una linea interpretativa in questa Sede da tempo tracciata, che l’esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep. 23/06/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507).

Nel caso di specie, l’adeguatezza delle ragioni giustificative illustrate nell’impugnata sentenza non è stata validamente censurata dal ricorrente, limitatosi a riproporre, per lo più, una serie di obiezioni già esaustivamente disattese dai Giudici di merito ed a formulare critiche e rilievi sulle valutazioni espresse in ordine alle risultanze offerte dal materiale probatorio sottoposto alla loro cognizione, prospettandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, in questa Sede, evidentemente, non assoggettabile ad alcun tipo di verifica, per quanto sopra evidenziato.

Il tessuto motivazionale della sentenza in esame, dunque, non presenta affatto quegli aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua del consolidato insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema Corte elaborato, potrebbero indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lett. e) del comma primo dell’art. 606 c.p.p. (anche nella sua nuova formulazione), nel quale sostanzialmente si risolvono le censure dal ricorrente articolate.

3. Invero, sulla base delle inequivoche risultanze offerte dal materiale probatorio compiutamente illustrato in motivazione, i Giudici di merito hanno puntualmente ricostruito l’intera vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda e hanno individuato per ciascuno dei fatti contestati nei capi sub A) ed F) i correlativi elementi di riscontro, evidenziando segnatamente: a) per quel che attiene al reato di cui al capo sub A), il fatto che l’imputato, militare in servizio presso la tenenza dei Carabinieri di Vignola, presentatosi presso l’officina Sc., ove si trovava il cittadino indiano S.B. titolare di un’azienda agricola cui aveva già contestato nella prima mattinata del 14 luglio 2006 la violazione di norme sulla circolazione stradale con sequestro amministrativo di un mezzo da rimorchio, temporaneamente custodito presso la su indicata officina – lo indusse a consegnargli la somma di Euro 200,00, prospettandogli l’opportunità di evitare in tal modo futuri controlli da parte delle forze dell’ordine qualora fosse transitato nel territorio di Vignola ed intimandogli, altresì, di non rivelare ad alcuno quanto accaduto; b) che tale richiesta era stata già esplicitata, a gesti, negli uffici della Tenenza al momento della compilazione dei verbali relativi alle contestazioni delle infrazioni stradali; c) che le dichiarazioni rese dalla persona offesa – congruamente ritenute, sotto ogni profilo, attendibili per le ragioni esaustivamente illustrate dall’impugnata decisione a confutazione delle relative obiezioni difensive (v. pagg. 9-11) – sono state altresì specificamente confermate ab externo, in relazione alle diverse fasi in cui si è dispiegata l’intera vicenda, dalle deposizioni testimoniali rese, in particolare, dal carabiniere E.A., da Sc.Al. e dal Maresciallo G., comandante della Stazione dei Carabinieri di X, cui il S. , visibilmente impaurito, si era rivolto, pur senza formalizzare inizialmente la denuncia per timore di non essere creduto e di subire possibili ritorsioni; d) che la persona offesa in effetti decise di interrompere unilateralmente la fornitura di legname in favore di una società che gli garantiva consistenti e ben remunerati ordinativi di merce; e) per quel che attiene al reato di cui al capo sub F), il fatto che l’imputato, in concorso con St.Gi., indusse il cittadino extracomunitario B.M., regolarmente soggiornante nel territorio nazionale e in attesa di un rinnovo del permesso di soggiorno di cui era già titolare, a pagare una somma di denaro al primo in cambio del rilascio di una dichiarazione di ospitalità, solo formale, idonea a legittimarne la presenza in territorio italiano sino all’eventuale espresso diniego da parte della P.A., prospettandogli, in caso contrario, la revoca di quella dichiarazione, con la comunicazione alla Questura e la conseguente attivazione della procedura di espulsione (prospettazione alla quale effettivamente era stato dato corso, una volta emerso che l’assegno di Euro 700,00 con cui il B. aveva pagato lo St. era scoperto); f) che fu lo stesso N. a rivolgersi allo St. per chiedergli di rendere la dichiarazione di ospitalità al fine di guadagnare la su indicata somma di denaro; g) che il contenuto delle intercettazioni telefoniche in atti menzionate, gli sms inviati dall’utenza cellulare del N. ai vari soggetti coinvolti nella vicenda, la testimonianza del datore di lavoro del B., Z.F., e la documentazione sequestrata (pratiche relative al rilascio ed al rinnovo di permessi di soggiorno ed alla regolarizzazione della posizione di cittadini extracomunitari sul territorio nazionale) all’esito della perquisizione effettuata presso un’agenzia di pratiche amministrative – di fatto gestita dall’imputato – di cui era titolare la convivente del N., Bi.Gi., hanno offerto ampia conferma del fatto enucleato nel relativo tema d’accusa, smentendo radicalmente le giustificazioni dall’imputato addotte a suo discarico.

4. Muovendo dal complesso di tali risultanze istruttorie, la Corte distrettuale ha ampiamente esaminato e puntualmente disatteso le censure difensive mosse in ordine alle modalità di ricostruzione dei fatti ed ai rapporti intercorsi tra le parti, coerentemente sussumendo le condotte delittuose in esame nel nuovo schema normativo della fattispecie incriminatrice tipizzata dall’art. 319-quater c.p..

In tal senso, infatti, la Corte ha valorizzato il contesto ed il tenore delle affermazioni con cui la richiesta venne avanzata dal N., escludendo nel suo comportamento ogni ipotesi di costrizione sul rilievo che l’accettazione della pretesa da parte del S. avvenne soppesando razionalmente il tipo di decisione che per lui poteva rivelarsi più conveniente sotto il profilo economico, valutando cioè il vantaggio che implicitamente poteva derivargli dalla futura omissione di controlli stradali particolarmente zelanti e ripetuti, che senz’altro gli avrebbero creato problemi nelle attività di consegna in favore di uno dei suoi migliori clienti.

Analoghe considerazioni sono state espresse riguardo al reato di cui al capo sub F), avendo la Corte di merito osservato come proprio sulla spendita della qualifica di Carabiniere e sulla credibilità derivante dalla appartenenza del N. alle Forze dell’Ordine si fondasse il comportamento da lui tenuto con effetto condizionante sul versamento della somma richiesta al B. (da lui contattato per ottenere il pagamento del titolo insoluto, con l’avvertenza che, diversamente, la dichiarazione di ospitalità sarebbe stata revocata con le intuibili conseguenze negative ai fini della sua permanenza in Italia) e sull’atteggiamento tenuto dal datore di lavoro del B. (pronto a concedere un permesso di lavoro al suo dipendente per potersi recare in Prefettura, dopo che il N. aveva chiesto di parlargli ventilando l’esistenza di problematiche inerenti la regolarità dei relativi documenti di soggiorno), oltre che nelle forme e modalità di coinvolgimento dello stesso St. , che proprio per la capacità del N. di garantire il buon esito della pratica ritenne di poter concludere l’affare in tal modo prospettatogli, guadagnando la su indicata somma di denaro.

Del tutto correttamente, peraltro, è stata dalla Corte distrettuale ritenuta irrilevante la circostanza che il titolo di credito fosse rimasto insoluto, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini del perfezionamento del reato, la promessa della dazione di una somma di denaro o di altra utilità per effetto dell’attività induttiva del pubblico funzionario (Sez. 6, n. 2142 del 26/09/2007, dep. 15/01/2008, Rv. 238836; Sez. 6, n. 31689 del 05/06/2007, dep. 02/08/2007, Rv. 236828), a nulla rilevando l’effettiva intenzione di adempierla da parte del soggetto privato o le sue eventuali riserve mentali.

Le condotte poste in essere dall’imputato, dunque, si sono estrinsecate, come puntualmente rilevato nella motivazione dell’impugnata decisione, attraverso ripetute richieste, che pur non integrando un abuso costrittivo (il S., infatti, avrebbe potuto raggiungere il suo cliente seguendo un altro percorso stradale, mentre il B. ben avrebbe potuto chiedere ospitalità ad altre persone), hanno avuto piena efficacia causale nella determinazione del privato ad eseguire o promettere la dazione di una somma di danaro.

Al riguardo, pertanto, deve rilevarsi come l’impugnata sentenza abbia fatto buon governo dei principii stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Rv. 258470; v., inoltre, Sez. 6, n. 47014 del 15/07/2014, dep. 13/11/2014, Rv. 261008; Sez. 6, n. 39089 del 21/05/2014, dep. 24/09/2014, Rv. 260794), secondo cui il delitto di concussione ex art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen., introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

5. Manifestamente infondata deve ritenersi, inoltre, la quarta doglianza, ove si consideri che la Corte ha congruamente spiegato le ragioni dell’esclusione dell’invocata attenuante di cui all’art. 323-ò/s c.p. sul rilievo della gravità delle note modali della condotta delittuosa, che peraltro ha coinvolto in un caso anche un terzo, con forme ritenute gravemente lesive dell’interesse pretto dalla norma incriminatrice.

In tal guisa, pertanto, la Corte distrettuale si è pienamente uniformata all’insegnamento dettato da questa Suprema Corte (da ultimo, Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, dep. 31/03/2014, Rv. 259501), secondo cui la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre solo quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato.

Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine all’ulteriore, su indicato, profilo di doglianza (v., supra, il par. 2.4.), avendo la Corte di merito motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti per la configurabilità dell’”invocata attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., sul rilievo dell’oggettiva entità, niente affatto esigua, delle somme di denaro oggetto dell’indebita richiesta, laddove la concessione del beneficio presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante (Sez. 5, n. 24003 del 14/01/2014, dep. 09/06/2014, Rv. 260201), tenuto altresì conto degli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa per effetto della condotta delittuosa complessivamente valutata (Sez. 5, n. 7738 del 04/02/2015, dep. 19/02/2015, Rv. 263434).

6. Fondato, di contro, deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, che investe la configurabilità del reato di cui al capo sub C), al ricorrente ascritto per avere omesso di compiere un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia doveva essere compiuto senza ritardo, ossia di elevare una contravvenzione relativa all’omessa revisione di un’autovettura coinvolta in un sinistro stradale e di ritirare il documento di circolazione, così violando il disposto di cui all’art. 80 c.d.s..

Al riguardo, invero, deve ribadirsi la costante linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 16567 del 26/02/2013, dep. 12/04/2013, Rv. 254860; v., inoltre, Sez. 6, 27 settembre 2012, dep. 31 ottobre 2012, n. 42501), secondo cui, in tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende solo un ordine o un provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile, o più agevole, l’attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria.

La ragione di giustizia, pertanto, si esaurisce solo con l’emanazione del provvedimento di uno degli organi citati, non estendendosi, ovviamente, neanche agli atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad adottare in esecuzione del provvedimento dato per ragione di giustizia (Sez. 6, n. 14599 del 25/01/2010, dep. 15/04/2010, Rv. 246655).

Nel caso di specie gli atti rifiutati (l’elevazione di contravvenzioni al codice della strada ed atti connessi) non rientrano affatto nelle categorie tassativamente individuate dal modello normativo della fattispecie incriminatrice in esame (atti di ufficio dovuti a ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità.

Limitatamente al reato di cui all’art. 328 c.p. (capo sub C) s’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, dovendosi per l’effetto eliminare la relativa pena di un mese di reclusione [dalla Corte d’appello individuata a titolo di aumento per la continuazione con i su indicati reati sub A) ed F)], con la conseguente determinazione della pena complessiva, ai sensi degli artt. 620, comma 1, lett. l) e 621 c.p.p., in tre anni e quattro mesi di reclusione per i residui reati.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste limitatamente al reato di cui all’art. 328 c.p. (capo C) e, per l’effetto, elimina la relativa pena di un mese di reclusione, così determinando la pena complessiva in tre anni e quattro mesi di reclusione per i residui reati. Rigetta nel resto il ricorso.
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[1] Art. Art 328 cod. pen.

[2] Cass. sent. n. 32594/15 del 24.07.2015.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Circolare abusivamente con un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo non è reato

Per la Cassazione l’unica norma sanzionatoria applicabile è quella amministrativa.
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Secondo l’interpretazione fatta dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 33999/2015, depositata il 3 agosto (qui sotto allegata), circolare abusivamente con un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo integra soltanto l’ipotesi di illecito amministrativo, di cui all’articolo 213 del codice della strada, e non anche il delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro, di cui all’articolo 334 del codice penale.

Rifacendosi alla sentenza delle sezioni unite n. 1963/2010 e alla più recente sentenza n. 42752/2014 della sesta sezione, la Corte ha in particolare sancito che la norma sanzionatoria amministrativa prevista dal codice della strada risulta speciale rispetto a quella penale, con la conseguenza che il concorso tra le due deve essere ritenuto solo apparente.

Del resto, il comma 4 dell’articolo 213 del codice della strada si riferisce solo al sequestro amministrativo contemplato nella medesima norma e non tutte le condotte di cui all’articolo 334 del codice penale integrano l’ipotesi di illecito amministrativo, configurandosi quest’ultimo solo in caso di circolazione abusiva: la specialità della norma amministrativa rispetto a quella penale, ai sensi dell’articolo 9 della legge numero 689/1981, è quindi innegabile.

Così i giudici hanno accolto il ricorso di un uomo che era stato sanzionato penalmente per aver circolato con un mezzo sottoposto a sequestro amministrativo, annullando senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Nel caso di specie, infatti, ricorrevano i presupposti dell’illecito amministrativo e si doveva escludere la configurabilità del reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro.
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Autovelox: multa nulla se il Comune non prova la taratura.
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Dopo la sentenza shock della Corte Costituzionale dello scorso giugno, è stata una valanga di ricorsi contro le multe elevate attraverso gli autovelox piazzati a margine delle strade con la presenza della pattuglia: multe che sono ormai tutte sospettate di illegittimità in quanto i dispositivi in uso alle forze di polizia locali non sono mai stati tarati.

Non risultando infatti previsto in modo chiaro da nessuna norma di legge, l’obbligo della taratura degli apparecchi di controllo elettronico della velocità (come appunto autovelox e tutor) raramente è stato rispettato; sicché oggi, in caso di ricorso davanti al giudice di pace contro la contravvenzione, l’amministrazione si trova sprovvista delle prove per poter dimostrare il rispetto del nuovo “dictat” della Consulta.

E, ovviamente, l’automobilista ottiene l’annullamento del verbale.

Così è avvenuto, per esempio, lo scorso 31 agosto davanti al giudice di Pace di Vasto [1] che, con una delle prime sentenze successive all’intervento della Corte Costituzionale, ha annullato una multa notificata a un conducente.

Il verbale viene infatti cancellato perché il Comune non prova che il Velomatic 512 che ha individuato l’infrazione dell’auto è stato sottoposto a taratura e verifiche periodiche di funzionalità.

È vero:
il Ministero ha chiarito che l’obbligo della taratura non vale per tutti gli strumenti di rilevamento elettronico della velocità, ma solo per quegli apparecchi destinati a essere utilizzati sotto il diretto controllo degli agenti e non anche per quelli che operano in modo completamente automatico.

I primi non possono essere utilizzati dalla polizia stradale fino a quando non saranno realizzati i controlli resi necessari dall’intervento della Corte costituzionale, mentre gli altri risultano in effetti già sottoposti di tanto in tanto a verifica sul funzionamento.

Ma, in entrambi i casi, il check-up dell’apparecchio deve essere comunque dimostrato dalla P.a.:
e poiché nulla può fare quest’ultima senza stilare un verbale o produrre un documento che ufficializzi l’avvenuto intervento, la prova documentale della verifica risulta necessaria per superare la contestazione dell’automobilista ricorrente.

Senza tale dimostrazione, il verbale è sempre nullo.

Nel caso di specie il ricorrente aveva sollevato i seguenti motivi di impugnazione:

– mancanza di adeguata cartellonistica di preavviso dell’esatto posizionamento dell’apparecchio;

– mancata visibilità degli agenti accertatori e del servizio di rilevamento a distanza;

– mancata taratura.

Ma solo quest’ultima eccezione è risultata decisiva per l’accoglimento del ricorso, in quanto il Comune non è riuscito a dare prova di aver richiesto la taratura dell’autovelox che, in base alle carte in atti, non risultava essere stato revisionato presso il S.N.T.

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La sentenza

LA MASSIMA
Deve essere accolta l’opposizione a sanzione amministrativa per l’infrazione al codice della strada consistente nell’eccesso di velocità rilevata dall’apparecchio elettronico laddove la Corte costituzionale con la sentenza 113/15 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 45 comma 6 Cds così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, laddove non prevede i controlli periodici per gli apparecchi elettronici che rilevano il superamento dei limiti di velocità sulle strade e nella specie l’ente impositore non ha dato prova di aver richiesto la taratura dell’apparecchio che in base ai documenti agli atti non risulta essere stato revisionato presso il sistema nazionale di taratura.
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[1] G.d.P. Vasto sent. n. 369/15 del 31.08.2015.
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ANIA: Guida pratica per gli automobilisti "Rc Auto 2.0: addio tagliando di carta"
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La dematerializzazione dei contrassegni assicurativi ha preso il via con il d.l. n. 1/2012 (c.d. d.l. liberalizzazioni) che ha fissato la data entro la quale tutti i controlli sulle polizze dovranno effettuarsi in modalità elettronica, attraverso la banca dati tenuta presso il ministero dei Trasporti, aggiornata in tempo reale e consultabile facilmente dalle forze dell'ordine.

Scaduto il periodo di rodaggio inizialmente previsto per la messa a regime, dunque, i controlli dal prossimo mese saranno completamente elettronici e avverranno sia nel corso dei posti di blocco attuati dalle pattuglie sia tramite i dispositivi di controllo a distanza, come Tutor, Autovelox e Telecamere posizionate in prossimità dei varchi ZTL, che leggendo la targa del mezzo abbineranno automaticamente la stessa con il registro delle polizze assicurative Rc Auto, "scovando" così molto più efficacemente i trasgressori e facendo emergere in tempo reale eventuali evasioni e irregolarità.

Cosa cambierà in sostanza per gli automobilisti? Nessuna incombenza particolare.

Anzi nella prima fase di attuazione della nuova disciplina, le compagnie continueranno a consegnare agli assicurati il tradizionale contrassegno cartaceo, che però non dovrà più essere esposto sul parabrezza, avendo solo finalità informative. Successivamente, terminato il periodo di rodaggio iniziale, il tagliando non sarà più consegnato.

In caso di incidente, rimane l'obbligo per i conducenti di scambiarsi i dati assicurativi e ai fini della corretta identificazione della compagnia, indispensabile per la presentazione della denuncia di sinistro, le parti dovranno esibire il certificato di assicurazione (ovvero il documento ufficiale che attesta l'esistenza della copertura assicurativa RCA) o in alternativa la polizza e la quietanza di pagamento.


vedi/leggi e scarica PDF info da parte dell'ANIA
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Multe notificate dopo 90 giorni, Altroconsumo deposita class action contro Comune di Milano
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Da ottobre 2014 ad oggi oltre 12mila automobilisti hanno contattato Altroconsumo per segnalare multe illegittime, notificate dal Comune di Milano dopo i 90 giorni dalla data dell’infrazione.

La diffida di Altroconsumo al Comune di Milano ad interrompere l’invio di verbali fuori tempo massimo è caduta nel nulla.

Oggi l’Associazione deposita l’atto di notifica della class action contro il Comune di Milano e lancia una petizione cui possono aderire tutti.

Da una parte Altroconsumo agisce con la class action, dall’altra ciascun consumatore può intervenire aderendo alla petizione su http://www.altroconsumo.it" onclick="window.open(this.href);return false; e contattando la consulenza degli esperti giuristi sul tema.

A differenza della class action prevista dal Codice del Consumo, quella verso la pubblica amministrazione non può essere intentata per promuovere il risarcimento danni ma è finalizzata a correggere il comportamento illegittimo.

Il giudice è chiamato a pronunciarsi; se la violazione, l’omissione o l’inadempimento da parte della pubblica amministrazione fossero accertati, la PA dovrà rimediare e rivedere il proprio operato in un tempo congruo.

L’interpretazione errata della norma, indicata dal Comune, deve essere eliminata; è necessario modificare il testo contenuto nei verbali di accertamento.

I 90 giorni previsti per la contestazione del verbale devono partire dalla data di infrazione e non da quella di visione dei fotogrammi da parte degli agenti di Polizia.

In caso di verbali illegittimi, inoltre, deve essere annullata la riscossione coattiva e la richiesta di pagamento tramite Equitalia.

Queste le richieste formali di Altroconsumo attraverso l’atto di citazione della class action:

1.immediata cessazione della notifica di verbali di accertamento di sanzioni amministrative oltre i 90 giorni dall’infrazione, perché tale notifica costringe il cittadino a dover presentare ricorso al Prefetto o al Giudice di Pace, nonostante la Polizia locale e il Comune siano pienamente a conoscenza del superamento del termine;

2.annullamento in autotutela di tutti i verbali di accertamento di infrazione del Codice della strada notificati oltre i 90 giorni dall’infrazione;

3.immediata modifica del testo contenuto nei verbali di accertamento, con la precisa indicazione che il termine di 90 giorni decorre dalla data dell’infrazione e non da quella di visione dei fotogrammi da parte degli Agenti;

4.attuazione di una procedura per la restituzione delle somme incassate illegittimamente a fronte di verbali notificati tardivamente in violazione dell’art. 201, Cod. strada;

5.annullamento e/o immediata sospensiva, in ogni caso, di qualsivoglia procedura esecutiva e/o di riscossione coattiva basata su verbali illegittimi notificati tardivamente, con l’impegno di non domandare, anche tramite Equitalia, le somme non versate;

6.annullamento e/o immediata sospensione delle procedure di emissione dei verbali di cui all’art. 126-bis, Cod. strada, per non aver i presunti trasgressori comunicato i dati del soggetto che si trovava alla guida.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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La sentenza
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Multe, quando arriva la prescrizione: 5 anni per lo Stato, 2 anni per Equitalia

Un cavillo burocratico che però potrebbe influire, e molto, sulla vita e le tasche dei contribuenti italiani. Lo scorso 8 ottobre la Cassazione ha stabilito i tempi di prescrizione e decadenza delle multe per violazione del Codice della Strada. Come spiegato anche dal Giorno, il diritto di riscuotere tali somme si prescrive in 5 anni.
Per Equitalia, però, la prescrizione avviene 2 anni dopo la ricezione del ruolo.
Confusione?
In altre parole, lo Stato non può pretendere di incassare le multe vecchie di 5 anni, mentre Equitalia non potrà riscuotere la multa dopo 2 anni da quando lo Stato e gli enti locali l'hanno incaricata di farlo. Allo Stato, però, resterà il diritto di riscuotere, senza affidarsi ad Equitalia.

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Il caso

Fisco, le cartelle equitalia si prescrivono in 5 anni se basate su atti non definitivi

Le cartelle di Equitalia nate su atti non definitivi non hanno più valore dopo cinque anni.
La sentenza della Cassazione lo scorso 8 ottobre (n.20213/15) ha fatto chiarezza sui termini di prescrizione delle richieste dell'agenzia di riscossione crediti, che di solito sono da considerarsi di 10 anni, ma solo in caso di cartelle, scrive Italia Oggi, che derivano da accertamenti divenuti irrevocabili, o perché non impugnati né pagati dal contribuente, o a seguito di sentenza passata in giudicato.

Il caso - La sentenza è arrivata sul caso di un uomo che aveva ricevuto diverse cartelle da Equitalia relative alla tassa sui rifiuti, la Tarsu, per gli anni dal 1998 al 2004. Il soggetto aveva fatto ricorso dopo essersi accorto che il Comune aveva affidato il ruolo di riscuotere la tassa a Equitalia oltre il termine di legge.

Il processo - Il contribuente si è quindi appellato all'articolo 2948 del codice civile che prevede e la sua posizione era stata già accolta dalla Ctp di Cosenza (sentenza n.37/13/10) e Catanzaro (n. 67/03/12), essendo già chiaro che il termine da applicare per la prescrizione fosse di 5 e non di 10 anni. La linea dei giudici non cambia neanche in appello.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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Esemplare sentenza del TAR di Bologna del 12/10/2015 su controllo velocità, infatti, la stabilito che:
"' fuori legge le postazioni AUTOVELOX posizionate sulla Superstrada senza la preventiva autorizzazione dei Prefetto".

Leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di BOLOGNA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201500873, - Public 2015-10-12 -


N. 00873/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00400/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 400 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Comune di Sant'Agata Feltria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Mantero, con domicilio eletto presso la Segreteria Tar in Bologna, Strada Maggiore 53;

contro
A.N.A.S. S.p.A, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Enrico Gualandi, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale Anas in Bologna, viale A.Masini 8;

Ministero dell'Interno, Compartimento Polizia Stradale Emilia Romagna; Prefetto di Rimini, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria in Bologna, Via Guido Reni 4;
nei confronti di

Maggioli S.p.A. non costituita in giudizio;

per l'annullamento
del provvedimento di ANAS del 27.02.14 con il quale è stata sospesa l'efficacia del provvedimento di concessione di area per installazione autovelox;- della nota prot. 7256/2207 del Compartimento di Polizia Stradale;

della nota prot. 6837 del 10.03.14 del Prefetto di Rimini;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.N.A.S. S.p.A. Roma e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2015 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori Alessandro Mantero, Enrico Gualandi e Stefano Cappelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Comune di Sant’Agata Feltria impugnava l’atto indicato in epigrafe e concernente la sospensione dell’efficacia della concessione di area per installazione di un autovelox a seguito del parere negativo della Polizia Stradale e dell’esito di una valutazione collegiale promossa dal Prefetto di Rimini.

L’A.N.A.S. s.p.a. aveva rilasciato al Comune una concessione di un area sita tra il Km. 196,300 ed il Km 196,700 della SS 3 bis Tiberina per consentire l’installazione di un autovelox ed a seguito di ciò era stata disposta una gara per la messa in opera dell’apparecchiatura regolarmente aggiudicata con consegna del cantiere.

Veniva a tal fine richiesta all’ANAS la temporanea interdizione del traffico per il tempo necessario per l’installazione cui seguiva l’atto impugnato; la motivazione dell’atto faceva riferimento al parere del Compartimento di Polizia Stradale dell’Emilia-Romagna ed ad un incontro di coordinamento presso la Prefettura di Rimini che aveva convenuto sulla correttezza del procedimento di sospensione.

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 4 D.L. 121/2002 poiché la SS 3 bis Tiberina è strada extraurbana principale per la quale non è necessario che il controllo remoto del rispetto dei limiti di velocità sia deciso dal Prefetto su parere della Polizia Stradale; in conseguenza di ciò non vi erano i presupposti per un provvedimento di sospensione dell’efficacia.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 21 quater L 241/1990 poiché la sospensione dell’efficacia non ha un termine finale.

Il terzo motivo contesta l’illegittimità della convocazione da parte del Prefetto della riunione di coordinamento.

Il quarto rivolge le stesse censure al parere della Polizia Stradale.

Il quinto censura che il contenuto del parere della Polizia Stradale relativamente alla necessità del rispetto della distanza di un chilometro dall’ultimo segnale che precisi quale sia il limite di velocità; nel caso di specie ciò non era necessario perché sulla SS 3 bis Tiberina il limite di velocità è uniforme; inoltre il segnale che deve preannunciare l’esistenza di un autovelox era stato previsto alla distanza regolamentare.

Essendo stato notificato in data 17.5.2014 il provvedimento di revoca della concessione, il Comune depositava ricorso per motivi aggiunti avverso tale atto.

Il primo motivo eccepisce che per potersi parlare di revoca è necessario che vi siano sopravvenuti motivi che la giustificano e non un’illegittimità che sia preesistente al rilascio dell’atto revocato.

Il secondo motivo denuncia l’infondatezza del motivo posto a fondamento della revoca e cioè la necessità di attivare un coordinamento tra gli organi di polizia ex art. 11, comma 5, C.d.S.

Il terzo motivo contesta l’utilizzo della formula “con salvezza dei diritti di ogni altra amministrazione“ per giustificare la revoca; tali diritti devono essere compiutamente individuati e non meramente enunciati.

Il quarto motivo non ritiene sussistere un potere di revoca incondizionato da parte di ANAS.

Il quinto motivo richiama le censure già espresse nel ricorso principale contro il parere della Polizia Stradale.

Il sesto motivo lamenta la non previsione di un indennizzo visto oltretutto i costi sostenuti dal Comune per dare attuazione al progetto di installare l’apparecchiatura.

Si costituivano in giudizio l’ANAS s.p.a. ed il Ministero dell’Interno che concludevano per il rigetto del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti.

Alla camera di consiglio del 9.9.2014 veniva respinta l’istanza cautelare con ordinanza confermata da successivo provvedimento del Consiglio di Stato del 25.11.2014.

Il ricorso è infondato.

L’ANAS non poteva che emanare i provvedimenti prima di sospensione e poi di revoca ella concessione a suo tempo rilasciata poiché il Comune non aveva preventivamente cercato quel coordinamento che è previsto dall’art. 11, comma 3, C.d.S. : “Ai servizi di polizia stradale provvede il Ministero dell'Interno, salve le attribuzioni dei comuni per quanto concerne i centri abitati. Al Ministero dell'Interno compete, altresì, il coordinamento dei servizi di polizia stradale da chiunque espletati.”.

Il tratto di strada ricompreso tra il KM 196,300 e il Km 186,700 è posto all’interno del territorio del Comune di Sant’Agata Feltria, ma non all’interno del centro abitato, pertanto qualunque iniziativa andava coordinata con il Prefetto quale ufficio territoriale del Ministero dell’Interno.

Gli impianti di controllo a distanza del rispetto dei limiti di velocità possono essere installati sulle strade extraurbane principali, come la statale 3 bis Tiberina, secondo le direttive del Ministero dell’Interno.

Pertanto il Comune di Sant’Agata Feltria non poteva di propria iniziativa decidere l’installazione di un impianto di autovelox in una strada peraltro vigilata dalla Sottosezione di Polizia Stradale di Bagno di Romagna che pattuglia nella 24 ore un tratto di superstrada che va dal KM 153,100 al Km 234,700.

Peraltro l’art. 11, comma 1, C.d.S. classifica i cinque servizi di polizia stradale:
“a) la prevenzione e l'accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale;
b) la rilevazione degli incidenti stradali;
c) la predisposizione e l'esecuzione dei servizi diretti a regolare il traffico;
d) la scorta per la sicurezza della circolazione;
e) la tutela e il controllo sull'uso della strada. “.

Ma al Comune di Sant’Agata Feltria sembra interessare solo il primo peraltro in un tratto di strada che non si caratterizzata per particolare pericolosità che costituisca una dei criteri per stabilire dove allocare gli autovelox.

E’ evidente che lo scopo del Comune era solo quello di poter contestare l’eccesso di velocità a automobilisti di passaggio rimpinguando così le casse del Comune senza neanche colpire cittadini residenti dal momento che si tratta di strada di grande scorrimento.

Peraltro la SS 3 bis Tiberina può essere classificata come strada di tipo B solo dal punto di vista funzionale poiché non possiede la banchina pavimentata a destra cosicchè ai sensi dell’art. 13, comma 5, C.d.S. il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti avrebbe dovuto emanare norme per la classificazione delle strade esistenti.

Non essendo state emanate tali norme per le strade classificate di tipo B come SS Tiberina il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha disposto che le norme di comportamento e di gestione debbono essere quelle relative alle strade di tipo C e quindi con giustificato intervento del Prefetto.

Sussistevano, quindi, tutti i presupposti per sospendere prima e revocare poi una concessione che l’ANAS avrebbe dovuto probabilmente evitare di rilasciare prima di aver sentito le autorità competenti, prevenendo quindi il sorgere di questo contenzioso.

I ricorsi vanno, quindi respinti, ma per la ragione appena esposta può disporsi la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta.

Spese del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere
Ugo De Carlo, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/10/2015
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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SICUREZZA STRADALE:
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Giusto per notizia, ai sensi dell'art. 14 CdS, gli Enti proprietari delle strade dovrebbero garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, delle loro pertinenze, arredi e attrezzature, degli impianti e dei servizi.

Inoltre, l'art. 47, comma 2, legge n. 120/2010, recante "disposizioni in materia di sicurezza stradale" prevede la sostituzione delle BARRIERE OBSOLETE o danneggiate con guard rail di nuova generazione.
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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L’automobilista che trascura la patente scaduta rischia di dover ripetere gli esami di scuola guida.

Non basta infatti superare positivamente le verifiche sanitarie per tornare al volante.

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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201600596 - Public 2016-03-02 -


Numero 00596/2016 e data 02/03/2016


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 9 dicembre 2015


NUMERO AFFARE 01917/2015

OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto dal signor OMISSIS, per l’annullamento del provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 33103, in data 24 marzo 2015, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico avverso il provvedimento di revisione della patente di guida.

LA SEZIONE
Vista la relazione n. R.U 25380 del 3/11/2015, con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dipartimento trasporti ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
visto il ricorso in data 4 giugno 2015;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Rocco Antonio Cangelosi;


Premesso:
In data 09.01.2015 il Signor Gnoato ha presentato all’Ufficio della Motorizzazione di Vicenza istanza di duplicato patente, corredandola di certificato medico emesso dalla Commissione Medica Locale di Vicenza che, chiamata ad esprimersi sull’attuale possesso dei requisiti psicofisici di idoneità alla guida parte del ricorrente, ha confermato la validità della patente di guida del Signor Gnoato con il limite temporale di due anni.

L’interessato si è trovato costretto a rivolgersi alla C.M.L. in quanto, già dal 16.05.2001, gravava nei suoi confronti un provvedimento di revisione della patente in ordine al possesso dei requisiti psicofisici emesso dall’ufficio della motorizzazione a seguito di guida in stato di ebrezza alcolica.

Tale procedimento di revisione psicofisica si è concluso quando il ricorrente, in data 09.01.2015, ha presentato il certificato medico della C.M.L. con validità di anni due. Nel precedente rinnovo temporale di validità della patente dell’interessato è, peraltro, emersa la circostanza che la patente in parola era scaduta di validità a decorrere dal 11.07.2007.

Stante quanto sopra l’Ufficio della motorizzazione di Vicenza, considerato che l’interessato non aveva guidato per diversi anni, ha ravvisato la necessità di verificare anche solo sotto il profilo tecnico la persistenza dei requisiti di validità alla guida dello stesso, e ha emesso – preceduto dal prescritto avviso di avvio del procedimento – il provvedimento n. 3/15 R.G. del 19.02.15 di revisione tecnica della patente di guida, richiamando la circolare ministeriale n.16/71 del 07.04.1971, successivamente integrata con nota ministeriale del 26.1.09, che consente di sottoporre a revisione il titolare della partente non utilizzata (rectius rimasta priva di validità) per un periodo non inferiore a tre anni.

Avverso il menzionato provvedimento di revisione il signor Gnoato ha proposto ricorso gerarchico respinto con decreto n. 33103 del 24.03.2015.

Avverso la suddetta decisione ministeriale sul ricorso gerarchico, l’interessato ha proposto il presente ricorso straordinario al Capo dello Stato con istanza di sospensiva.

Nel ricorso straordinario si deduce un solo, assorbente motivo di censura: il ricorrente afferma di aver comunque condotto, per motivi legati all’attività lavorativa, un furgoncino ed altri autoveicoli durante il periodo di “non validità della patente di guida.

L’Amministrazione osserva che i provvedimenti (discrezionali e cautelari) di revisione della patente, finalizzati alla verifica della permanenza dei requisiti di idoneità tecnica (mediante esame di teoria di guida) e/o di idoneità psicofisica (a mezzo di vista presso la Commissioni mediche legali per le patenti di guida istituite presso le A.S.L., ai sensi dell’art. 119 del Codice della Strada) sono adottati dagli Uffici della motorizzazione sulla base del potere – dovere ad essi conferito dall’art. 128 dello stesso codice, per lo più a seguito di incidente stradale, allorché il comportamento del conducente sia stato tale da far sorgere dubbi in ordine al possesso degli accertamenti requisiti.

Il potere dovere di disporre la revisione discende direttamente dal peculiare e istituzionale compito dell’Amministrazione di tutela della sicurezza della circolazione stradale e di prevenzione degli incidenti; la revisione della patente è uno degli strumenti per perseguire i detti obiettivi.

Il provvedimento di cui trattasi non produce peraltro alcun elemento restrittivo della sfera personale del conducente, chiamato a dimostrare di possedere i requisiti prescritti per la guida; soltanto l’accertamento dell’avvenuta perdita di tali requisiti produce come conseguenza la revoca della patente di guida ovvero soltanto la sospensione; qualora siano venuti meno i soli requisiti psicofisici e sia ipotizzabile il recupero degli stessi.

Per quanto suddetto si ribadisce che la revisione disposta dagli Uffici della Motorizzazione ai sensi dell’art. 128 del D.L.vo 285/92 non ha finalità sanzionatorie, come ritenuto dal ricorrente, (finalità che in qualche misura può riconoscersi all’analogo provvedimento previsto dall’art. 126 bis che ha introdotto il sistema della c.d. patente a punti e che prevede obbligatoriamente la verifica dell’idoneità tecnica nel caso di azzeramento del punteggio) ma soltanto cautelari, tanto è che non necessariamente trae origine da accertata irregolarità di guida ma può fondarsi su qualunque circostanza sia sufficiente ad ingenerare i dubbi sulla idoneità alla guida: di qui la natura discrezionale del provvedimento stesso.

In ordine all’affermazione dell’interessato di aver comunque condotto alcuni veicoli nel periodo trascorso, l’Amministrazione osserva che l’ufficio della motorizzazione ha esercitato il potere-dovere di disporre la revisione, a norma dell’art. 128 del C.d.S, legittimato dall’insorgenza del dubbio sulla persistenza, nel titolare della patente, dell’idoneità tecnica a condurre il veicolo in condizioni di sicurezza. Tale dubbio è ragionevolmente motivato dal lungo lasso di tempo di mancato utilizzo della patente, al di là di ogni affermazione dell’interessato.


Considerato:

I provvedimenti di revisione della patente, finalizzati alla verifica della permanenza dei requisiti di idoneità psicofisica alla guida, sono adottati dall’Ufficio della motorizzazione sulla base del potere-dovere ad esso conferito dall’art. 128 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), che discende dal compito istituzionale dell’Amministrazione di tutela della sicurezza della circolazione stradale e di prevenzione degl’incidenti. Nel caso di specie l’Ufficio della motorizzazione ha ritenuto necessario richiedere l’accertamento dell’idoneità tecnica alla guida del ricorrente; il ricorso gerarchico proposto dal ricorrente avverso tale provvedimento è stato respinto e tale reiezione costituisce l’oggetto del ricorso straordinario.

La Sezione preliminarmente osserva che la revisione disposta dagli Uffici della motorizzazione non ha finalità sanzionatorie, ma soltanto cautelari, e può fondarsi su qualunque circostanza ritenuta tale da ingenerare nell’autorità competente, sulla base di una valutazione discrezionale, dubbi sull’idoneità alla guida del soggetto in esame.

Ciò premesso, la Sezione ritiene infondate le censure proposte; ciò in considerazione della natura cautelare del provvedimento adottato in relazione all’interesse pubblico della sicurezza della circolazione stradale, risultando attendibile la valutazione dei comportamenti tenuti dal ricorrente svolta dal competente ufficio dell’Amministrazione. Tale valutazione è stata fondata sul lungo lasso di tempo trascorso dal momento di scadenza di validità della patente (indipendentemente dall’allegazione del ricorrente secondo la quale egli avrebbe continuato a svolgere attività di guida) e sui provvedimenti prefettizi di sospensione della patente adottati fra il 1999 e il 2007, ai quali fa riferimento la decisione sul ricorso gerarchico, adottata in data 24 marzo 2015, che è stata impugnata con il ricorso in epigrafe. Tali comportamenti costituiscono presupposti ragionevolmente sufficienti a determinare la misura precauzionale della verifica della permanenza dei requisiti di idoneità alla guida mediante nuovo esame.

Le censure proposte, pertanto, sono infondate e, conseguentemente, il ricorso in esame deve essere respinto. Resta assorbita la domanda di sospensiva.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto, con assorbimento della domanda di sospensiva.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Rocco Antonio Cangelosi Giuseppe Barbagallo




IL SEGRETARIO
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Re: Casco per ciclisti: nessun obbligo dal nuovo CdS

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per notizia.

1) - il Giudice di Pace di Pisticci ha accolto la domanda risarcitoria, proposta dal sig. Antonio Ma., per i danni subiti alle ore 15,00 del 19.7.2012 dal motociclo di sua proprietà a causa di una buca nella strada comunale di Via Monte Bianco, condannando il Comune di Scanzano Jonico.
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SENTENZA ,sede di POTENZA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201600593, - Public 2016-06-06 -


N. 00593/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00104/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 104 del 2016, proposto da:
Antonio Ma., rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonella Labate e Gian Paolo Salerno, con domicilio ex art. 25, lett. a, cod. proc. amm. presso la Segreteria di questo Tribunale;

contro
Comune di Scanzano Jonico, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
Ricorso ex artt. 112-115 Cod. Proc. Amm.,

per l’esecuzione del giudicato, formatosi sulla Sentenza n. 231, emessa dal Giudice di Pace di Pisticci il 15.10.2014;

Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2016 il Cons. Pasquale Mastrantuono e udito l’avv. Gian Paolo Salerno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con Sentenza n. 231 del 15.10.2014 il Giudice di Pace di Pisticci ha accolto la domanda risarcitoria, proposta dal sig. Antonio Ma., per i danni subiti alle ore 15,00 del 19.7.2012 dal motociclo di sua proprietà a causa di una buca nella strada comunale di Via Monte Bianco, condannando il Comune di Scanzano Jonico al pagamento della somma di € 700,00 oltre interessi legali dalla data della domanda, cioè dal 20.2.2014, fino all’effettivo soddisfo, nonché al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi € 649,50, di cui € 49,50 per pese vive e € 600,00 per compenso professionale, oltre 15% per spese forfettarie, IVA e CPA come per legge, con attribuzione agli avv.ti Antonella Labate e Gian Paolo Salerno, dichiaratisi antistatari.

Tale Sentenza in data 12.11.2014 è stata munita di formula esecutiva ed in data 18.11.2014 è stata notificata al Comune di Scanzano Jonico.

Successivamente, è stato proposto il presente ricorso, notificato il 16/18.2.2016 e depositato il 2.3.2016, volto ad ottenere il pagamento delle suddette somme, liquidate dalla citata Sentenza n. 231 del 15.10.2014 ed anche la condanna del Comune al pagamento delle penalità di mora ex art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., con decorrenza dalla notifica del titolo esecutivo sulla base degli interessi moratori indicati nella sentenza della I Sezione del TAR Lazio n. 8746 del 24.10.2012 (cioè gli interessi moratori pari ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea applicabile nel periodo successivo alla notifica del titolo esecutivo, aumentato di tre punti percentuali).

Nella Camera di Consiglio de 20.4.2016 il difensore del ricorrente ha precisato che il ricorso in epigrafe è stato proposto soltanto per la corresponsione della sorte capitale di € 700,00 oltre interessi legali dal 20.2.2014 fino al soddisfo e non anche per le spese processuali, liquidate dalla suddetta Sentenza n. 231 del 15.10.2014 in favore degli avv.ti Antonella Labate e Gian Paolo Salerno, dichiaratisi antistatari, e che perciò possono essere chieste esclusivamente dai predetti professionisti, mentre il ricorso in esame è stato proposto solo dal sig. Ma..

Mentre, con riferimento alla sorte capitale di € 700,00 oltre interessi legali dal 20.2.2014 fino al soddisfo, va rilevata l’ammissibilità del ricorso, in quanto è decorso il termine di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo, previsto dall’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996 conv. nella L. n. 30/1997, ed anche perché è stata depositata la certificazione, richiesta dall’art. 114, comma 2, cod. proc. amm., attestante il passaggio in giudicato della citata Sentenza del Giudice di Pace di Pisticci n. 231 del 15.10.2014.

Nel merito, non avendo il Comune di Scanzano Jonico dimostrato di aver corrisposto quanto dovuto, tale parte del ricorso va accolta soltanto con riferimento alla predetta sorte capitale, in quanto va disattesa la richiesta delle penalità di mora ex art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm. mediante l’applicazione degli interessi moratori indicati nella sentenza della I Sezione del TAR Lazio n. 8746 del 24.10.2012 a decorrere dalla notificazione del titolo in forma esecutiva, tenuto conto del condivisibile e recente orientamento della IV^ Sezione del Consiglio di Stato, la quale:

1) con la Sentenza n. 5580 del 9.12.2015 ha statuito che le penalità di mora ex art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm. non possono retroagire al periodo anteriore alla comunicazione e/o notificazione della sentenza del giudizio di ottemperanza, in quanto le predette penalità assolvono ad una funzione coercitivo-sanzionatoria e non ad una funzione riparatoria, cioè costituiscono una pena e non un risarcimento, poiché hanno una finalità esclusivamente deterrente;

2) con la Sentenza n. 5786 del 21.12.2015 ha precisato che, poiché le penalità di mora nel processo amministrativo sono uno strumento per contrastare non la "inottemperanza", ma il "protrarsi della stessa”, nonostante l'intervenuto accertamento di essa, decorrono non dalla notifica del ricorso per l’ottemperanza, ma, eventualmente, dallo spirare del termine concesso all'Amministrazione per adempiere.


Tale orientamento giurisprudenziale, ai sensi del quale la condanna al pagamento delle penalità ex art. 114, comma 4, lett. e), Cod. Proc. Amm. non può decorrere da una data anteriore alla Sentenza, emessa dal Giudice Amministrativo sull’azione di ottemperanza, è stato ora recepito dall’art. 1, comma 781, L. n. 208/2015, che ha integrato l’art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., statuendo espressamente che le penalità di mora decorrono “dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza”.

Conseguentemente, la domanda, volta ad ottenere le penalità ex art. 114, comma 4, lett. e), Cod. Proc. Amm. successive alla pubblicazione della presente Sentenza, va accolta, limitandola nella misura degli ulteriori interessi legali a decorrere dalla comunicazione in forma amministrativa della presente sentenza, o dalla sua notificazione, se anteriore (sul punto cfr. TAR Basilicata Sent. n. 58 del 29.1.2016), in quanto l’art. 1, comma 781, L. n. 208/2015, entrato in vigore l’1.1.2016, ha aggiunto alla predetta norma le seguenti parole: “Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali”.

Pertanto, viene assegnato al Comune di Scanzano Jonico il termine di giorni 60 dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, affinché sia soddisfatto il suindicato credito del ricorrente di € 700,00 oltre interessi legali dal 20.2.2014 fino al soddisfo.

Decorso infruttuosamente tale termine, subentrerà, quale commissario ad acta, il Prefetto di Matera o un funzionario dallo stesso delegato, il quale provvederà nei 60 giorni successivi ad adottare in luogo dell’Amministrazione intimata i dovuti atti per provvedere al pagamento delle somme dovute.

Al Commissario ad acta, ove chiamato ad intervenire, dovrà essere liquidato il compenso di € 500,00, da porre a carico del Comune intimato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

In proposito il Collegio ritiene di dover precisare che dette spese di lite sono comprensive delle spese e del compenso professionale inerenti agli atti successivi alla pubblicazione del suindicato provvedimento giurisdizionale, passato in giudicato e funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata accoglie in parte il ricorso in epigrafe, ordinando al Comune di Scanzano Jonico di provvedere al pagamento delle somme sopra indicate, spettanti al ricorrente.

Assegna al Comune intimato ed al Commissario ad acta i termini indicati in motivazione per gli adempimenti ivi previsti.

Condanna il Comune di Scanzano Jonico al pagamento delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate nella somma di complessivi € 500,00, oltre IVA, CPA e spese per Contributo Unificato nella misura versata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Pasquale Mastrantuono, Consigliere, Estensore
Benedetto Nappi, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/06/2016
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