ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

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elciad1963
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da elciad1963 »

Bravo maremare, solo cambiando i presidenti delle Tre Sezioni d'Appello, possono ribaltare le precedenti sentenze in cui hanno accolto per tutti il 44%. Come potrebbero ribaltare le loro centinaia di sentenze precedenti, passando per sprovveduti? Non potevano partorire loro questa genialità del 44:18?
Resto sempre della mia assurda convinzione che la soluzione potrebbe essere il coefficiente del 2,93xanno e dal 15°, (come accade per l'art. 44) riconoscere il coefficiente del 1,80 per anno. Coloro che beneficiano, invece del sistema retribuito, seguono il loro sistema pensionistico e a coloro che ne facessero richiesta, attuarei il passaggio a quello misto. Utopia? certo, è pura Utopia, così come d'altronde tutta questa farsa in cui ci hanno derubato dei nostri diritti (pensione complementare inclusa).


Gianfranco64
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Gianfranco64 »

Buonasera a tutti, questo sarà il mio ultimo post sull’argomento. Ho il sospetto che i nostri commenti siano spiati. Ho notato che spesso, sia i ricorsi che le sentenze siano allineate ai nostri commenti.
Mi astengo da ulteriori commenti per evitare danni ai ricorrenti.
Ultima sentenza n.4 Veneto, sulla base della citata valutazione che il ricorrente ha cessato il servizio con più di 20 anni, e non riconoscendo l’aliquota del 2,44. Rigetta il ricorso accogliendo la tesi dell’ INPS.
I giochi sono riaperti, vi salutò , non salgo più sulla giostra. Mi è bastato il primo giro.
naturopata
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

Questa è la sentenza del Veneto che cita l'Avv. Parisi. Io credo che lui non abbia capito, che il Veneto respinge perché non concorda non solo con il
44% tout court, non solo con il 2,93, ma anche con il 2,44 delle SS.RR. e ritiene corretto il 2,2 annuo, ma visto che il militare gode di più favorevole trattamento 2,33, ovviamente respinge il ricorso
.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

Nell’ udienza del 18 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 26 ter del d.l. n.

104/20, introdotto dalla legge di conversione n. 126/20 e dell’art. 85, comma

5 del D.L. 18/20, convertito nella legge n. 27/20 e s.m.i., ha pronunciato la

seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di segreteria, sul ricorso

presentato da

L. B. P., OMISSIS, rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Francesca Pace, con

studio in Reggio di Calabria, Via Sbarre Inferiori n.164/C, presso la quale ha

eletto domicilio;

CONTRO

I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, gestione pubblica ex

INPDAP, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’Avv. Aldo Tagliente, con domicilio presso l’Avvocatura INPS in

Venezia, Dorsoduro n. 3500/d

Per la rideterminazione della quota di pensione liquidata con il sistema

retributivo con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art. 54,

comma 1, del DPR n. 1092/73, per il conseguente ricalcolo del trattamento

pensionistico complessivamente erogato e il rimborso degli arretrati

Sentenza n. 4/2021

2

maturati;

VISTI il ricorso ed i documenti con questo depositati, la memoria di

costituzione dell’INPS, nonché le note per l’udienza depositate dalle parti ai

sensi dell’art. 85, comma 5, D.L. 18/20;

DATO ATTO che l’udienza si è tenuta, con l’assistenza del segretario

d’udienza d.ssa Nadia Tonolo, con le modalità di cui all’art. 26 ter del d.l. n.

104/20, introdotto dalla legge di conversione n. 126/20 e dell’art. 85, comma

5 del D.L. 18/20, convertito nella legge n. 27/20 e s.m.i..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 30.04.2020 L. B. P, premesso di essere un Appuntato

scelto dei Carabinieri in quiescenza dal 4.9.2019, ha rappresentato che nella

determinazione della propria posizione pensionistica INPS avrebbe

commesso errori ed omissioni, applicando erroneamente l’aliquota prevista

dall’art. 44 del DPR 1092/73 per il personale civile in luogo di quella prevista

dall’art. 54 del medesimo testo normativo, in relazione alla quota del

trattamento pensionistico da liquidarsi con il sistema retributivo.

A nulla è valsa la diffida dallo stesso ricorrente inviata all’INPS in data 21

febbraio 2020, cosicchè questi ha adito la sede giudiziaria per il

riconoscimento delle proprie ragioni.

Sostiene infatti il ricorrente che l’art.54 citato deve essere interpretato nel

senso di imporre all’amministrazione di applicare, a partire dal 15^ anno di

servizio, l’aliquota del 44% e non quella del 35% -prevista dall’art. 44 del

medesimo DPR per il personale civile- al personale militare.

A tale conclusione il ricorrente perviene -dopo ampia ed articolata analisi del

quadro normativo di riferimento dal quale deduce la voluntas legis di

3

differenziare lo status dei militari rispetto a quello del personale civile a fini

pensionistici e, conseguentemente, l’inapplicabilità ai primi delle aliquote

previste per il secondo- facendo proprio l’orientamento prevalente delle

Sezioni regionali e di Appello di questa Corte, secondo cui l’art. 54 citato

trova applicazione nel caso di attribuzione della pensione con sistema misto

in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 335 del 31.12.1995:

l’art. 54, primo comma, deve quindi essere interpretato come misura attuale

dell’aliquota da applicarsi nel calcolo della pensione (con sistema misto) per

coloro che, anche se cessati dal servizio in data successiva, al 31.12.1995

avevano maturato più di 15 anni e non più di 20 di servizio utile; a tale

interpretazione non può ostare l’inesistenza di un criterio legislativo di

riparto di detta aliquota ai fini del calcolo della quota di pensione retributiva

con riferimento ai servizi maturati al 31.12.1992 (e, quindi, utilizzando come

base pensionabile l’ultima retribuzione) e al 31.12.1995 (e, quindi,

utilizzando come base pensionabile la media delle ultime retribuzioni).

Il citato art. 1, comma 12 della legge 335/95 avrebbe fatto salvi i diritti

acquisiti dai dipendenti statali nella previgente normativa e, pertanto, per i

militari l’applicazione dell’aliquota del 44% a decorrere dal 15^ anno di

servizio utile.

Il ricorrente ha, quindi, concluso chiedendo a questa Corte di “accertare e

dichiarare il diritto del ricorrente alla corretta applicazione dell’aliquota del

44% ex art, 54 del DPR 1092/1973, in luogo dell’errata applicazione

dell’aliquota del 35% ex art. 44, primo comma, dello stesso TU del 1973” con

conseguente riliquidazione del trattamento pensionistico e condanna al

pagamento degli arretrati indebitamente non corrisposti.

4

Con memoria in data 29 dicembre 2020 si è costituito in giudizio l’INPS,

contestando la fondatezza delle ragioni del ricorrente in quanto la

necessaria, rigorosa, interpretazione della norma invocata (art. 54 del DPR

1092/73), anche alla luce della ratio legis a cui è ispirata (quella, cioè, di

parificare la situazione di chi cessava dal servizio tra i 15 e 20 anni), non può

che condurre a ritenere applicabile la disposizione ai soli militari che, all’atto

del congedo, avessero maturato una anzianità di servizio utile a pensione tra

i 15 e i 20 anni.

L’applicazione della norma voluta dal ricorrente altro non farebbe che

alterare, del tutto irragionevolmente -creando peraltro situazioni non

giustificabili di disparità di trattamento tra gli stessi militari-, il rapporto tra

quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al

regime c.d. misto. La norma, infatti, è volta a garantire un trattamento

pensionistico minimo ai militari che cessino dal servizio con una anzianità

ridotta, ma non vi è ragione alcuna per applicarla a chi, come il ricorrente, sia

cessato dal servizio con una anzianità ben superiore.

Non può, secondo l’Istituto, avere rilievo l’anzianità di servizio al 31.12.1995,

avendo rilievo detta data unicamente ai fini dell’applicazione dei diversi

regimi pensionistici, ma non potendo artificiosamente essere utilizzata per

alterare, in deroga quanto voluto dalla legge 335/95, il rapporto tra le quote

di calcolo del sistema retributivo e contributivo.

Ha concluso, quindi, per il rigetto del ricorso e, in subordine, nell’ipotesi di

denegato accoglimento delle domande avversarie, ha eccepito l’intervenuta

prescrizione delle differenze di rateo maturate in data antecedente al

quinquennio dalla notifica del ricorso.

5

In data 12 gennaio 2021 il ricorrente ha depositato note difensive ai sensi

dell’art. 85, co 5, D.L. 18/20 con le quali ha insistito per l’accoglimento delle

conclusioni formulate in ricorso, ritenendo non condivisibili i principi di

diritto enunciati dalle Sezioni Riunite di questa Corte con la sentenza n.

1/2021/QM/PRES, depositata il 4 gennaio 2021, secondo cui l’art. 54 più

volte citato non può trovare applicazione al di fuori dei casi e dei presupposti

dallo stesso disciplinati (militare cessato dal servizio con anzianità utile trai

15 e i 20 anni) e la aliquota applicabile, in ragione dell’effettiva anzianità

maturata, per la determinazione della quota di pensione da liquidare con il

sistema retributivo è pari al 2,445% per anno.

In data 13 gennaio 2021 INPS ha depositato una nota ai sensi dell’art. 85, co.

5 del d.l. n.18/20 e s.m.i. nella quale, dando atto dell’intervenuto deposito

della sentenza n. 1/2021/QM/PRES delle Sezioni Riunite di questa Corte in

materia de qua, ha evidenziato: “Che tale interpretazione è in linea con quella

sostenuta dall’ INPS e disattende quella posta a fondamento delle avverse

domande, con conseguente infondatezza delle stesse. Che se è pur vero che,

con la richiamata sentenza, le Sezioni Riunite affrontano l’ulteriore problema

dato dalla individuazione della aliquota di rendimento applicabile al militare

cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e

che al 31 dicembre 1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni,

giungendo ad individuare il principio che, nel silenzio della legge, sulla base

del richiamato art 54 e della disciplina introdotta dalla L. n.335/1995, la

pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell'articolo 1, comma

12, della legge n. 335/1995, debba sì essere calcolata tenendo conto

dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con

6

applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile (come sostenuto

dall’Inps), ma che tale coefficiente debba individuarsi, sulla base dei principi

esposti in sentenza (invero sotto questo profilo del tutto singolari) nel 2,44%

annuo (diverso da quello applicato dall’INPS)
.

Che è del pari vero che entrambi i principi affermati dalle Sezioni Riunite:

- calcolo della pensione liquidata nel sistema misto tenendo conto

dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con

applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile

- individuazione di tale coefficiente di rendimento nel 2,44%

disattendono le tesi poste a base dell’avverso ricorso e le domande ex adverso

formulate (applicazione dell’aliquota unitaria del 44% e conseguente

riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base di tale aliquota di

rendimento per l’intera anzianità contributiva maturata nella quota

retributiva), con conseguenza infondatezza delle avverse domande”,

concludendo per il rigetto del ricorso.

All’odierna udienza il giudizio è stato trattenuto in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La questione sottoposta all’esame di questo Giudice è strettamente di diritto

e verte sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 54 del DPR

1092/73.

Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione avendo

maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della

pensione con il sistema retributivo) una anzianità di servizio utile superiore a

15 anni ed inferiore a 20 anni come richiesto dalla norma per l’applicazione

dell’aliquota del 44%, ma che nel calcolo della propria pensione

7

relativamente alla quota da liquidarsi con sistema retributivo sarebbe stato

applicato un coefficiente inferiore calcolato in base all’art. 44 del D.P.R.

1092/1973 per gli impiegati civili dello Stato che avessero maturato un pari

servizio.

A tale ricostruzione ermeneutica l’INPS ha contrapposto una diversa e più

restrittiva interpretazione dell’art. 54 citato, la cui applicabilità troverebbe

luogo esclusivamente nei casi in cui all’atto della cessazione dal servizio il

personale militare destinatario della norma si trovasse nella situazione di

fatto da quest’ultima descritta, e, cioè, aver maturato un’anzianità superiore

a 15 anni e non superiore a 20 anni di servizio utile.

Entrambe le prospettazioni espresse dalle parti in giudizio hanno trovato

riscontro nelle pronunce, di diverso segno, delle Sezioni giurisdizionali

regionali della Corte dei Conti nonché delle Sezioni di Appello, e si riportano

a due distinte interpretazioni della disposizione.

La prima, di carattere estensivo e sostenuta con il ricorso, trae dalla

disposizione una norma di carattere generale, applicabile ai casi di pensione

soggetta sistema misto retributivo/contributivo, per i militari che al

31.12.1995 abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che,

superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali

previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a

seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo,

come ricordato anche dal ricorrente negli atti di causa).

La seconda, aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più

favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento

ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato all’atto del

8

congedo, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio,

trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per

motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia

potuto maturare un’anzianità di servizio superiore.

Questo Giudice si è già pronunciato in punto de quo, prestando adesione al

secondo, minoritario, orientamento interpretativo per le ragioni di natura

ermeneutica e sistematica espresse nelle proprie precedenti pronunce (per

tutte, da ultimo, sent. n. 23/2020), alla cui motivazione si rinvia per

relationem (art. 39, comma 2 e art. 167, comma 4 c.g.c.: Sez, Giurisd. Abruzzo

n. 94/19).

Sulle questioni interpretative sull’art. 54 del d.p.r. n. 1092/1973 la Prima

Sezione Centrale di appello, con ordinanza n. 26 del 14 ottobre 2020, ha

deferito questione di massima alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale (ai

sensi dell’art. 114 c.g.c.), iscritta al n. 711/SR/QM/SEZ del Registro di

Segreteria, avente il seguente quesito:

“ a) se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti

o meno al personale militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio

superiore ai venti anni; in altri termini - avendo riguardo alle modalità di

calcolo del trattamento di pensione - se la “quota retributiva” della pensione

da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L.

n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre

venti anni d’anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava

un’anzianità ricompresa tra i 15 e i 18 anni, debba essere calcolata

invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione

del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo

9

conto dell’effettivo numero di anni d’anzianità maturati al 31.12.1995, con

applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile.

b) In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale

militare cessato dal servizio con oltre venti anni di anzianità, se la medesima

aliquota del 44% sia applicabile anche per la “quota retributiva” della

pensione in favore di quei militari che, alla data del 31.12.1995, vantavano

un’anzianità utile inferiore a quindici anni.>>.

Analoga questione di massima, iscritta al n. 710/SR/QM/PRES del Registro di

Segreteria è stata deferita alle Sezioni Riunite di questa Corte dal Presidente

della Corte dei Conti con ordinanza n. 12 del 12 ottobre 2020;

Con ordinanza n. 27 in data 14 ottobre 2020, poi, la Prima Sezione d’Appello

ha deferito alle Sezioni Riunite ulteriore questione di massima, iscritta al n.

712/SR/QM/SEZ, avente ad oggetto ulteriori questioni interpretative dell’art.

54 citato, come risulta dal quesito che si riporta: “se il beneficio previsto

dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti o meno al personale

militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni;

in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di

pensione - se la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema

“misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n.335/1995, in favore del

personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni d’anzianità utile ai

fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15

e i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della

base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota

debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni

d’anzianità maturati al 31.12.1995, con applicazione del relativo coefficiente

10

per ogni anno utile”.

Le Sezioni Riunite di questa Corte hanno definito le predette questioni con

sentenza n. 1/2021/QM/PRES, depositata il 4 gennaio 2021, così

pronunciandosi: “…5.1 In primo luogo va ribadito quanto già appena

affermato in tema di insussistenza di una normativa “a sistema” nell’ambito

delle disposizioni del d.P.R. n. 1092/1973. L’idea suggestiva di un parallelismo

introdotto dal legislatore fra pensioni civili e militari nell’ambito della

riportata norma trova infatti opposizione nel diverso regime riservato ai due

ambiti e ciò principalmente in quanto -in estrema sintesi- l’art. 44 del DPR n.

1092/1973, essendo inserito nel Capo I (“Personale civile”), del Titolo III

(“Trattamento di quiescenza normale”) del richiamato T.U., è destinato ad

operare esclusivamente nei confronti del personale civile e non rappresenta

appunto una “norma di sistema”; nei confronti del personale militare, invece,

opera la speciale disciplina contenuta nel successivo Capo II (“Personale

militare”) all’interno del quale è contenuto, per l’appunto, l’art. 54. Inoltre,

non vi è alcun dato testuale che autorizzi a considerare le norme in senso

speculare, neppure nelle note esplicative che hanno accompagnato il varo del

citato decreto.

A ciò fa riscontro il dato letterale dell’art. 1, comma 12, della legge n.

335/1995 che, nello stabilire i criteri di definizione delle pensioni secondo i

principi retributivi e contributivi, inequivocabilmente si rivolge alla platea

indistinta dei “lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6”,

senza incidere in alcun modo sull’impianto sistemico ma diversificato fra civili

e militari del decreto del 1973.

L’autonomia e l’autosufficienza delle discipline previste dal d.P.R. 1092/1973,

11

rispettivamente, per il personale civile e per il personale militare conducono

quindi ad escludere - per l’individuazione della regola in concreto applicabile

per quest’ultimo alla luce della riforma del 1995 – la necessità del ricorso

all’analogia: ciascuna delle due discipline, pur accomunabili sotto il profilo

strutturale, è, infatti, completa.

E, conseguentemente, non può, a parere del Collegio, essere seguita la tesi in

base alla quale l'articolo 54, primo comma, del cennato decreto, entrato in

vigore quando per il calcolo delle pensioni era solamente vigente il sistema

retributivo puro, non può essere letto isolatamente bensì in combinato

disposto con gli articoli 52 e 44 del medesimo decreto, nonché alla luce delle

fondamentali innovazioni introdotte dalla legge numero 335 del 1995, la

quale, con decorrenza dal 1 gennaio 1996, ha previsto per tutti i soggetti che

alla data del 31 dicembre 1995 avevano maturato una anzianità inferiore ai

18 anni, un sistema di calcolo misto della pensione comportante la

sommatoria di una quota retributiva, rapportata alla anzianità

effettivamente acquisita al 31 dicembre 1995 e di una quota contributiva

riferita alle anzianità maturate in epoca successiva.

5.2 In pratica, partendo dall’ovvio presupposto che, in ogni caso, dal

combinato disposto degli artt. 52 e 54, il regime previsto dall’articolo 54,

primo comma, non possa che essere riferito solo al collocamento in

quiescenza del militare, se non altro per lo stesso dato letterale della norma:

“La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni

e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base

pensionabile”, dall'esame dei due articoli - questi sì in correlazione,

disponendo rispettivamente per il personale militare il diritto all'accesso al

12

trattamento normale di pensione e la relativa misura dello stesso - appare

evidente che il legislatore abbia inteso subordinare l'accesso dei militari al

trattamento normale di quiescenza al possesso di determinati requisiti

minimi di anzianità (utile e/o effettiva), individuati in rapporto alle diverse

cause di cessazione dal servizio, individuando un coefficiente di progressione

lineare pari al 2,20%
.

Infatti, a tal riguardo va notato che la disaggregazione del periodo di

quaranta anni previsto per raggiungere il coefficiente massimo dell’80%,

espressamente previsto dal legislatore (art. 54, comma 7), determina

l’attribuzione del coefficiente del 44% al primo segmento ventennale

determinato dall’ovvio calcolo “2,20% all’anno*20anni=44%”
.

Ovviamente, per gli effetti del secondo comma dell’art. 54, nel caso di

permanenza in servizio oltre il ventesimo anno, il coefficiente, già comunque

giunto al 44%, avrebbe subito un aumento pari all’1.80 % ogni anno, mentre

per chi si fosse trovato nelle condizioni dettate dalla disciplina del sistema

retributivo e fosse andato in pensione fra il 15° e il 20° anno, sarebbe scattato

il “beneficio” previsto dall’articolo 54, primo comma, con attribuzione del

44% già dal 15° anno.

E che ciò consenta di dire che una siffatta interpretazione “restrittiva” (vale a

dire la impossibilità di applicare in via generalizzata il beneficio dell’art. 54)

produrrebbe effetti distorsivi violando il principio cardine della

proporzionalità delle pensioni appare certamente non condivisibile. Al

contrario, secondo il Collegio, tale approccio appare quello che

maggiormente può essere considerato “costituzionalmente orientato” non

manifestandosi violato il principio di ragionevolezza e di uguaglianza

13

desumibile dall’art. 3 della Costituzione, evitandosi al contrario un potenziale

rischio di disparità di trattamento non voluto dal legislatore che, ove avesse

voluto introdurre un sistema generalizzato, non avrebbe davvero avuto

necessità di prevedere quanto disposto dall’art. 54, comma 1. Oltre ad

evitare, come si dirà più oltre, il pericolo di potenziali duplicazioni di benefici

pensionistici.

Un primo punto fermo, quindi, è costituito dall’assunto in base al quale,

stante quanto si è venuto affermando, l’applicazione tout court dell’art. 54

(nel combinato disposto dei primi due commi) e l’applicazione dell’aliquota

fissa del 44% non possono essere generalizzati per tutto il personale

militare, ma circoscritte a coloro i quali sono in possesso dei requisiti

previsti dalla richiamata normativa, requisiti letteralmente individuabili in:

1) effettiva e definitiva cessazione dal servizio (essendo questo,

ovviamente, il presupposto indispensabile per l’accesso al trattamento

pensionistico);

2) concreta maturazione del diritto all’attribuzione della pensione normale,

essendo in possesso di quei requisiti d’anzianità minimi, stabiliti

espressamente dall’art. 52;

3) possesso, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente

di un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni…”.

Le Sezioni Riunite hanno, poi, precisato che “Ora, se è vero, come si è

affermato, che la disposizione di cui all’art. 54, primo comma, del d.P.R. n.

1092/1973, nel prevedere che al militare che abbia maturato almeno 15 anni

e non più di 20 anni di servizio utile spetti una pensione pari al 44% della base

14

pensionabile e, pertanto, una pensione liquidata considerando come se

avesse compiuto 20 anni di servizio effettivo, è altrettanto vero che tale

norma, derogando sostanzialmente al principio di cui al combinato disposto

degli artt. 8 e 40 del citato decreto, per cui la pensione deve essere

commisurata, in via di principio, alla durata del servizio prestato, introduce

una disciplina non applicabile al di fuori del contesto di riferimento ed, in

particolare, non invocabile ai fini dell’applicazione per la determinazione

della quota retributiva, di cui al riportato art. 1, comma 12, lettera a) della

legge n. 335/1995, del militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di

servizio.

5.4 In sintesi, dunque, affermare l’autonomia delle disposizioni delle norme

del decreto 1092/1973 in tema di pensioni militari, circoscrivendone

l’efficacia a coloro i quali presentano i requisiti di legge, sembra condurre

l’interpretazione verso una applicazione dell’aliquota del 44% in forma non

generalizzata e quindi non estensibile a coloro i quali hanno lasciato il

servizio con più di venti anni di servizio effettivo/utile e che al 31 dicembre

1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni.

A conforto di tale tesi sembrerebbe militare anche l’ulteriore considerazione

per cui, ove si giunga a diversa conclusione, si determinerebbe una duplice

valorizzazione a fini pensionistici del periodo di servizio compreso fra

l’anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995 ed il compimento dei

venti anni, che verrebbero valutati una prima volta nella quota retributiva,

quale aliquota di rendimento in relazione ai venti anni di servizio, ed una

seconda volta nella quota contributiva che comprenderebbe nel relativo

montante anche i contributi versati nel citato periodo.

15

Ciò, al di là della opinabilità del regime di favor che si verrebbe a creare, trova

chiaro contrasto con le norme dello stesso decreto n. 1092/1973 che all’art.

6, commi 1 e 2, recita “Un periodo di attività lavorativa, che sia valutabile ai

fini di quiescenza secondo ordinamenti obbligatori diversi, è valutato una sola

volta in base all'ordinamento prescelto dall'interessato. La disposizione del

comma precedente si applica anche per i periodi di tempo comunque

valutabili ai fini di quiescenza”, e all’art. 39 ribadisce “Un periodo di servizio,

di cui sia prevista la computabilità in base a diverse disposizioni del presente

testo unico, si considera una sola volta secondo la normativa più favorevole.

Il precedente comma si applica anche per i periodi di tempo comunque

computabili ai fini del trattamento di quiescenza”.

La stessa legge n. 335/1995, poi, nei passaggi ante riportati, fa espresso

riferimento - nel definire all’art. 1, comma 12, la composizione del quantum

pensionistico - prima alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre

1995 e poi alle “ulteriori anzianità contributive” calcolate secondo il sistema

contributivo, intendendo, di tutta evidenza, periodi differenti rispetto alle

“anzianità acquisite”.

Ne consegue, quindi, che l’impostazione che vuole un’applicazione non

generalizzata dei “benefici” dell’art. 54, primo comma, è destinata,

oltretutto, a superare anche qualsivoglia problematica di duplicazione della

valorizzazione dei trattamenti.”.

Parte ricorrente ha formulato osservazioni critiche, in parte riprendendo

argomenti già svolti in sede di ricorso, contestando il presupposto da cui si è

dipanato l’iter argomentativo della predetta sentenza ed in particolare

evidenziando che l’art. 52 e l’art. 54 del DPR 1092/73 hanno diverso oggetto,

16

l’uno disciplinando il diritto a pensione, l’altro, la misura della pensione,

deducendone che l’assunto per cui l’art. 54 si riferisca solo a chi è cessato dal

servizio è privo di fondamento; che è privo di senso logico ritenere che il

legislatore abbia previsto una progressione lineare della misura della

pensione, essendo ciò in palese contrasto con lo stesso art. 54, primo

comma; che, infine, è priva di fondamento normativo l’affermazione che

l’attribuzione dell’aliquota del 44% costituisca un regime di favore, con la

conseguenza della sua applicabilità limitata alle specifiche condizioni ivi

previste.

Dissentendo, quindi, dalle conclusioni in punto di applicabilità dell’art. 54 del

DPR 1092/73 a cui sono giunte le Sezioni Riunite, il ricorrente ha insistito per

l’accoglimento della domanda di rideterminazione della quota di pensione da

liquidare con il sistema retributivo con l’applicazione dell’aliquota del 44%

prevista dal primo comma dell’art. 54 medesimo.

Questo Giudicante, in continuità con i propri precedenti orientamenti,

condivide, in parte de qua, gli assunti delle Sezioni Riunite, non apparendo

idonee a superarli le valutazioni critiche formulate dal ricorrente.

In primo luogo, il meccanismo di cui all’art. 54 più volte citato deve (e non

può essere diversamente) essere letto in uno con la sua genesi storica,

essendo stato pensato all’interno di un sistema pensionistico retributivo

puro, in forza del quale la base pensionabile era costituita unicamente

dall’ultima retribuzione percepita (art. 53 DPR 1092/73): in questo quadro, la

disposizione del primo comma dell’art. 54 trovava la propria ratio in un’ottica

perequativa, consentendo il riconoscimento di un trattamento pensionistico

più favorevole a quei militari (e tutti quei militari: in questo senso la norma è

17

norma di carattere generale) che, pur avendo maturato il diritto a pensione

(primo comma dell’art. 52: quindici anni di servizio utile, di cui almeno 12 di

servizio effettivo), si trovassero nella condizione di cessare dal servizio (per

cause dipendenti dalla loro volontà: raggiunti limiti di età, invalidità, ecc.)

senza averne raggiunti 20 (anni di servizio utile: ovviamente, la disposizione

non riguardava quei militari che cessassero anticipatamente dal servizio a

domanda, ovvero per decadenza ovvero per perdita del grado, per i quali il

diritto a pensione si conseguiva con la soglia dei vent’anni di servizio

effettivo: art. 52, comma 3, con finalità rispettivamente deflattiva ovvero latu

sensu sanzionatoria), consentendo loro di vedersi attribuire un trattamento

economico maggiore.

Ma già con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il

conseguimento del diritto a pensione a 20 anni ad opera del D.Lgs. 503 del

1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso

utilità, essendone venuta meno la ratio: è infatti evidente che l’aliquota di

rendimento da applicarsi al conseguimento della soglia minima (20 anni) era

comunque del 44% (corrispondente, appunto, a 20 anni di servizio, a questo

punto in perfetto parallelismo tra impiegati civili e militari) non potendo

venire in rilievo, ai fini del conseguimento del diritto a pensione di anzianità,

anzianità contributive inferiori
.

In considerazione di ciò il mutamento della base pensionabile, dal criterio

dell’ultima retribuzione (di cui all’art. 53 del DPR 1092 del 1973) a quella della

retribuzione media pensionabile (di cui al D.Lgs.503/92) non poneva, rebus

sic stantibus, particolari problemi interpretativi.

Le novelle al sistema pensionistico intervenute successivamente, dal 1992 in

18

poi, se -è vero- non hanno espressamente abrogato la disposizione del primo

comma dell’art. 54 (che, in via transitoria, poteva all’epoca dell’introduzione

delle riforme trovare ancora applicazione, ma sicuramente non poteva più

trovarne allorchè la riforma fosse andata a regime, a partire dal 2001: tab.b

allegata al d.lgs 503/92), tuttavia ne hanno circoscritto nel tempo, in ragione

del graduale passaggio tra i diversi regimi pensionistici, l’ambito di

applicazione.

Appare di tutta evidenza, infatti, che la disposizione del primo comma

dell’art. 54 -che non può non essere letta in combinato disposto con il

precedente art. 52, primo comma- e, quindi, non ritenersi espressamente

riferita all’ipotesi di cessazione dal servizio con anzianità utile tra i 15 e i 20

anni-, quando cioè era possibile conseguire il diritto a pensione con il

raggiungimento di un’anzianità contributiva di 15 anni di servizio utile, oggi

costituisce ipotesi di residuale, se non addirittura di nessuna concreta

applicazione, poiché stante il decorso del tempo, è matematicamente

impossibile che possa trovare applicazione in sé e per sé (i militari che

cessassero oggi dal servizio con anzianità tra i 15 e i 20 anni di servizio utile

dovrebbero essersi arruolati alla fine degli anni ‘90 e, quindi, essere

sottoposti al diverso regime contributivo puro).

Resta, quindi, da vedere se la disposizione può avere altra applicazione, come

sostiene il ricorrente.

L’ art. 1, comma 12, della legge 335/95 nel disciplinare il c.d. sistema misto,

alla lettera a) fa riferimento alla quota di pensione “corrispondente alle

anzianità acquisite anteriormente al 31.12.1995, calcolata, con riferimento

alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto

19

dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data”.

Dunque, essendo la data di decorrenza della pensione del ricorrente il

4.9.2019 (quella, cioè, a cui bisogna far riferimento secondo la succitata

disposizione), il sistema retributivo vigente alla data del 31.12.1995 al

medesimo ricorrente applicabile al fine di determinare la relativa quota parte

della pensione era quello retributivo “a pieno regime” più sopra descritto,

così come risultante dalla riforma c.d. Amato del 1992, in cui il diritto alla

pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento

dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al

D.Lgs 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi)

e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44%

tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al

31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle

ultime retribuzioni, ed in cui anzianità inferiori dovevano essere valorizzate

con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni

anno di servizio utile
.

Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, quindi, il sistema

retributivo vigente non era quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del

D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito

e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in

virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative,

prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente

disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente

dirette ai medesimi destinatari)
.

Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività

20

dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che

testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di

rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione e'

determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994,

n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59,

comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2.

Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335,

l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un

trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione

delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del

decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”

E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art.

54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento

derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento

di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di

trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote

dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di

calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha

esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità,

ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad

armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M.,

rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento

pensionistico normale, diretto e di reversibilita', e' corrisposto al personale

militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i

dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente

21

codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione

estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma

dell’art. 54 ripetutamente citato.

Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il

diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità

contributiva (“Il personale di cui al comma 1 e' collocato a riposo, con diritto

a pensione, al raggiungimento del limite di eta', se in possesso dell'anzianita'

contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,

n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non

dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841

richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma

1 del D.P.R. 1092/73: anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della

soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle

aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente,

per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come

determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di

cui si è già detto).

Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54,

comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e

contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole

liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del

dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è

questo il caso, come incontestato).

Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte

della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e

22

l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa

gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva

quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio,

tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40

anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995

riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20

anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella

data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe,

senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20

del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si

applicherebbe appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal

servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal

servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello

contributivo” (Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Lombardia, 317/2019).

La domanda nei termini in cui è stata formulata dal ricorrente, pertanto, non

può trovare accoglimento.

In punto di spese, la complessità della questione, l’esistenza di contrasto

giurisprudenziale ed il sopravvenuto intervento nomofilattico delle Sezioni

Riunite integrano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese

legali tra le parti ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in

composizione monocratica ai sensi dell’art. 151 c.g.c., definitivamente

pronunciando nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di Segreteria

promosso da L. B. P. nei confronti di INPS

23

Respinge il ricorso per le ragioni di cui in motivazione.

Compensa integralmente tra le parti le spese legali.

Nulla per le spese del giudizio.

Così pronunciato in Venezia, all’esito dell’udienza del 18 gennaio 2021.

IL GIUDICE MONOCRATICO

D.ssa Daniela Alberghini

(firmato digitalmente)

Depositato in Segreteria il 20/01/2021

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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da panorama »

La CdC Marche con le sentenze n. 49, 50, 51 e 52 che riguardano personale con + 15, continua a mantenere il 2,44%.
domenico69
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

naturopata ha scritto: mer gen 20, 2021 5:21 pm Questa è la sentenza del Veneto che cita l'Avv. Parisi. Io credo che lui non abbia capito, che il Veneto respinge perché non concorda non solo con il
44% tout court, non solo con il 2,93, ma anche con il 2,44 delle SS.RR. e ritiene corretto il 2,2 annuo, ma visto che il militare gode di più favorevole trattamento 2,33, ovviamente respinge il ricorso
.
Se non altro, nel giusto o nello sbagliato, questo/a è un giudice coerente con le proprie decisioni e non "zerbino" delle SSRR.

Ma quanti saranno ancora coerenti con le proprie decisioni già prese?! 🙄

A vedere le varie sentenze di primo grado che stanno uscendo, ho paura che questo giudice sia una mosca bianca per la coerenza. 😒
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da panorama »

La CdC Veneto con la sentenza n. 4 depositata il 20/01/2021 (udienza del 18/01/2021) che riguarda personale con + 15 anni, continua a mantenere il proprio orientamento negativo anche dopo il pronunciamento delle SS.RR.

Qui sotto gli ultimi passaggi della sentenza:

1) - Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, quindi, il sistema retributivo vigente non era quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari).

2) - Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione è determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2.

3) - Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”

4) - E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art. 54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità, ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M., rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilità, è corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma dell’art. 54 ripetutamente citato.

5) - Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 è collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di età, se in possesso dell'anzianità contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841 richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma 1 del D.P.R. 1092/73: anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente, per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di cui si è già detto).

6) - Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54, comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è questo il caso, come incontestato).

7) - Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio, tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40 anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995 riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20 anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe, senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20 del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si applicherebbe appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello contributivo” (Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Lombardia, 317/2019).

La domanda nei termini in cui è stata formulata dal ricorrente, pertanto, non può trovare accoglimento.

In punto di spese, la complessità della questione, l’esistenza di contrasto giurisprudenziale ed il sopravvenuto intervento nomofilattico delle Sezioni Riunite integrano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese legali tra le parti ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in composizione monocratica ai sensi dell’art. 151 c.g.c., definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di Segreteria promosso da L. B. P. nei confronti di INPS

Respinge il ricorso per le ragioni di cui in motivazione.

Compensa integralmente tra le parti le spese legali.

Nulla per le spese del giudizio.

Così pronunciato in Venezia, all’esito dell’udienza del 18 gennaio 2021.

IL GIUDICE MONOCRATICO
D.ssa Daniela Alberghini



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Nicopin64
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Nicopin64 »

Gianfranco64 ha scritto: mer gen 20, 2021 10:28 am Per nicopin64
Ti confermo la sentenza n. 20 2021 Sicilia.
Il giudice scrive che andrebbe verificato se ancora viene applicato il 3 comma art 54 alla Pubblica Sicurezza e Polizia Penitenziaria.
Su questo punto ti confermo che ai retributivi è stato riconosciuto questo coefficiente fino al 1997. Dal 1998 il 2%, come anche ai militari del comparto, anziché il 1,80 previsto per i civili.
Per carità non dubito assolutamente, era solo per capire se agli ufficiali si e agli altri no, in tal caso veramente siamo alla tirannia giuridica.......

Buonasera a tutti, questo sarà il mio ultimo post sull’argomento. Ho il sospetto che i nostri commenti siano spiati. Ho notato che spesso, sia i ricorsi che le sentenze siano allineate ai nostri commenti.

sempre immaginato dell'infiltrazione del nemico :wink:
Paco1960

Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Paco1960 »

Le corte dei Conti del Sud sono di manica larga

CdC Molise sentenza nr. 7 del 5 gennaio 2021 patrocinata dall'Avv. Parisi, quindi successiva alla sentenza delle SSRR.

Riconosce tutto il 44% al carabiniere + 15.

Conclusivamente, alla stregua di quanto sopra esposto, il pre-

sente ricorso va accolto, con conseguente riconoscimento del

diritto del ricorrente alla riliquidazione del trattamento pensio-

nistico di cui è titolare, con applicazione, sulla quota calcolata

con il sistema retributivo (quota A), dell'aliquota di rendimento

14

più favorevole prevista dall'art. 54 D.P.R. n.1092/1973
, con ef-

ficacia retroattiva decorrente sin dalla data del conseguimento

del trattamento di pensione.

.......
sistema retributivo (quota A) ..cosa voleva dire?
ora mi chiedo che fine farà questa sentenza?
possibile che il giudice non sapesse della sentenza delle SSRR?
Possibile che lo stesso parisi ha fatto lo gnorri?
domenico69
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

Paco1960 ha scritto: gio gen 21, 2021 4:57 pm Le corte dei Conti del Sud sono di manica larga

CdC Molise sentenza nr. 7 del 5 gennaio 2021 patrocinata dall'Avv. Parisi, quindi successiva alla sentenza delle SSRR.

Riconosce tutto il 44% al carabiniere + 15.
Si può leggere la sentenza?
Paco1960

Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Paco1960 »

la sentenza e' la nr. 1 2021
https://banchedati.corteconti.it/docume ... NZA/1/2021

Rileggendo in effetti il giudice sapeva della incombente sentenza delle SSRR ma non ha rinviato nè aggiornato dopo il 4 gennaio

la richiesta di rinvio e/o di
sospensione della decisione del giudizio proposta dall’INPS, in

attesa di conoscere gli esiti della pronuncia a valenza nomofi-

lattica delle Sezioni Riunite adite da altre Sezioni su analoga

vicenda, con termine per ulteriori note difensive, anche al fine

di evitare inutili e dispendiose impugnazioni, ex art.111 Cost.

non merita di essere accolta per i seguenti motivi.

Sebbene il giudicante non ignori certo - e concordi, anzi – che

le esigenze di economia processuale illustrate dalla difesa

dell’INPS e il deferimento alle Sezioni Riunite di questa Corte

della “questione di massima” in subiecta materia già avvenuto

da parte della Sezione Prima Centrale d’Appello (ordinanza n.

26/2020) possano condurre ad opposta decisione, ritiene, tut-

tavia, che giovi ricordare come il giudice pensionistico di primo

grado è attualmente sfornito del potere o legittimazione di di-

sporre la rimessione di una “questione di massima” dinanzi al-

le Sezioni Riunite di questa Corte - al fine di ottenere una pro-

nuncia nomofilattica che assicuri un’uniforme interpretazione

e la corretta applicazione della norma oggetto di conflitti o di

oscillanti orientamenti giurisprudenziali - dal momento che il

sopravvenuto art. 11, co. 3, del D.Lgs. 26/8/2016, n. 274 di

approvazione del Codice di giustizia contabile riserva tale pote-

re di deferimento in via esclusiva alle Sezioni Giurisdizionali di

Appello (e al Presidente della Corte e al Procuratore Generale).

Orbene, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di c.d. pre-

giudizialità o incidente costituzionale per le “questioni di legit-

timità costituzionali” di una norma di legge sollevabili dinanzi

alla Corte Costituzionale anche d’ufficio (oltreché dalle parti)

da qualsiasi autorità giurisdizionale – e quindi anche dal giu-

dice delle pensioni di primo grado - dinanzi alla quale pende il

relativo giudizio con conseguente trasmissione degli atti e so-

spensione necessaria del giudizio principale o originario, ai

sensi del comb. disp. art. 23, co. 1-3, L. n. 87/1953 e art. 295

c.p.c. (qualora il giudizio non possa essere definito indipenden-

temente dalla risoluzione della questione di legittimità costitu-

zionale e non ritenga che la questione sollevata sia manifesta-

mente infondata) - nella fattispecie concreta devono ritenersi

non ricorrere i presupposti e i requisiti descritti nell’art. 106,

co. 1 e 2, c.g.c. per sospendere - o rinviare - la decisione del

processo in esame in difetto di un rapporto di pregiudiziali-

tà/dipendenza, sostanziale o tecnico, con l’altro giudizio, ipote-

ticamente pregiudicante (poiché pendenti tra soggetti diversi,

ad esempio) o di concorde istanza proveniente delle parti.

Preclusione, naturalmente, che opera anche in termini di so-

spensione c.d. “impropria” del giudizio principale o pregiudica-

to, come invece avviene, di regola, alla stregua dei più recenti

arresti della giurisprudenza contabile (v. ordinanza del

15/10/2014, n. 28 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di

Stato), vale a dire nel caso in cui la decisione di un’analoga

questione di massima sia già stata sollevata e deferita da di-

versa Sezione.
.....
Risultato: si va in appello salvo accordi
naturopata
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

Voglio far notare ai colleghi delle prime sentenze del Lazio che respingono ma dicono che l'INPS deve poi attenersi al coefficiente del 2,44 di cui alla SS.RR. di stare attenti ai termini dell'appello, perché il Giudice respinge il ricorso e quindi dà ragione all'INPS, poi però quasi invita l'Istituto a dare il 2,44, ma l'INPS ha vinto e farà orecchie da mercante. La cosa non va bene il ricorso andava parzialmente accolto in merito al riconoscimento dell'art.54 in luogo dell'art.44 e in merito al coefficiente del 2,44 per anno (e non del 44% tout court, ovvero 2,93 per anno) in luogo del 2,33.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Pierpa64 »

Pierpa64 ha scritto: gio gen 14, 2021 8:45 pm
panorama ha scritto: lun gen 11, 2021 9:25 pm Un collega che ad oggi non ha fatto ancora nulla ma un +15 anni, si è trovato a parlare con un impiegato dell'INPS e questi gli ha riferito che basterà fare una istanza sul ricalcolo è dovrebbe essere sufficiente per l'INPS per poter provvedere al ricalcolo.
Cmq., provare per credere per coloro che ad oggi non hanno fatto nessuna diffida all'Istituto pensionistico e dare voce quì.
Confermo che oggi, un collega ha inviato diffida ad adempiere all'INPS e attende risposta. In caso negativo l'avvocato ha pronto il ricorso.
Carissimi buonasera,
al collega che aveva diffidato l'INPS di Bologna, è giunta questa mattina la risposta che incollo integralmente e attendo i vostri commenti:
"""



-------------------------



Da: direzione.provinciale.bologna@postacert.inps.gov.it

Posted date: 2021-01-21 08:46:36.75

Per

omesso

Cc

Allegati

Oggetto: Risposta: POSTA CERTIFICATA: omesso: istanza ex art. 54 DPR n. 1092/1973

-------------------------

In relazione all’atto di diffida, pervenuto con posta elettronica certificata in data 14.01.2021, con il quale si chiede la riliquidazione del trattamento pensionistico nei confronti del Sig. omesso, codice fiscale omesso, pensione n. omesso, da Lei rappresentato, si fa presente quanto segue.

L’articolo 54, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973, per il calcolo della quota retributiva della pensione, dispone, tra l’altro, che: “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile…... La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo…”

Si premette che, secondo le disposizioni normative vigenti in materia di calcolo della pensione, il sistema retributivo trova applicazione con riferimento alle anzianità contributive maturate entro il 31 dicembre 1995 per coloro che a tale data hanno maturato un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni mentre il sistema contributivo trova applicazione per le anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 1996.

Ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione in favore del Suo assistito, è stata data attuazione alle disposizioni di cui al citato articolo 54.

Si precisa che l’aliquota di rendimento del 44% è riconosciuta in misura diversificata in relazione all’anzianità contributiva da valorizzare con il sistema di calcolo retributivo.
In particolare, per quella maturata al 31 dicembre 1995 - ricompresa tra 15 ed entro i 18 anni, l’aliquota di rendimento del 44% è stata riparametrata secondo i seguenti criteri.
Per i primi 15 anni è stata applicata l’aliquota del 35% mentre l’aliquota differenziale tra il 44% e la suddetta percentuale - pari al 9% - è stata riproporzionata considerando l’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995 (9% : 5 x il numero degli anni ricompresi tra il quindicesimo e quelli maturati al 31 dicembre 1995).

Per le anzianità contributive che si collocano temporalmente dopo il 31 dicembre 1995, è stata determinata la quota di pensione con il sistema di calcolo contributivo ai sensi dell’articolo 1, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Tale sistema di calcolo prevede l’applicazione di un montante contributivo - determinato dalla somma di tutti i contributi computati e rivalutati annualmente, su base composta, e rivalutati annualmente – moltiplicato per un coefficiente di trasformazione riferito all’età anagrafica alla data di decorrenza della pensione.

Delineato il quadro normativo e l’ambito di applicazione dell’articolo 54, comma 1, del DPR n. 1092 del 1973, si conferma il provvedimento di liquidazione della pensione oggetto della Sua richiesta.

Distinti saluti

D.ssa omesso
omesso
Inps Bologna """
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da panorama »

La CdC Sicilia con le sentenze n. 45, 46 e 47 in riferimento a personale Militare con + 15 e redatte dal Giudice Gioacchino Alessandro, mantiene valido il 2,44%.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

Pierpa64 ha scritto: gio gen 21, 2021 8:26 pm
Pierpa64 ha scritto: gio gen 14, 2021 8:45 pm
panorama ha scritto: lun gen 11, 2021 9:25 pm Un collega che ad oggi non ha fatto ancora nulla ma un +15 anni, si è trovato a parlare con un impiegato dell'INPS e questi gli ha riferito che basterà fare una istanza sul ricalcolo è dovrebbe essere sufficiente per l'INPS per poter provvedere al ricalcolo.
Cmq., provare per credere per coloro che ad oggi non hanno fatto nessuna diffida all'Istituto pensionistico e dare voce quì.
Confermo che oggi, un collega ha inviato diffida ad adempiere all'INPS e attende risposta. In caso negativo l'avvocato ha pronto il ricorso.
Carissimi buonasera,
al collega che aveva diffidato l'INPS di Bologna, è giunta questa mattina la risposta che incollo integralmente e attendo i vostri commenti:
"""

C'è poco da commentare, al momento bisognerà fare sempre ricorso per pochi spiccioli, con il rischio di ulteriori aggiustamenti in difetto. L'INPS prova a cambiare le carte in tavola, ovvero anziché dire che ha applicato l'art.44, afferma che ha applicato l'art.54, applicando il 35% sino a 15 anni e l'1,8 sino al 20 così da raggiungere il 44% di cui al comma 1 dell'art.54. Questo ovviamente non può avere appiglio normativo, perché il comma 2 dice che solo dopo il 20 anno si applica il 1,8% e quindi fino a 20 la percentuale deve essere superiore.

Mi sembra di vedere che l'INPS abbia, come dire, carta bianca, non so, come la licenza che aveva un certo James Bond.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Pierpa64 »

Per naturopata:

Cit.
"Mi sembra di vedere che l'INPS abbia, come dire, carta bianca, non so, come la licenza che aveva un certo James Bond"

Nel migliore stile "DPCM" con cui d'ora in poi vedremo governati!!!!
🤭🤭🤭🤭🤭🤭🤭
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