ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da elciad1963 »
Bravo maremare, solo cambiando i presidenti delle Tre Sezioni d'Appello, possono ribaltare le precedenti sentenze in cui hanno accolto per tutti il 44%. Come potrebbero ribaltare le loro centinaia di sentenze precedenti, passando per sprovveduti? Non potevano partorire loro questa genialità del 44:18?
Resto sempre della mia assurda convinzione che la soluzione potrebbe essere il coefficiente del 2,93xanno e dal 15°, (come accade per l'art. 44) riconoscere il coefficiente del 1,80 per anno. Coloro che beneficiano, invece del sistema retribuito, seguono il loro sistema pensionistico e a coloro che ne facessero richiesta, attuarei il passaggio a quello misto. Utopia? certo, è pura Utopia, così come d'altronde tutta questa farsa in cui ci hanno derubato dei nostri diritti (pensione complementare inclusa).
Resto sempre della mia assurda convinzione che la soluzione potrebbe essere il coefficiente del 2,93xanno e dal 15°, (come accade per l'art. 44) riconoscere il coefficiente del 1,80 per anno. Coloro che beneficiano, invece del sistema retribuito, seguono il loro sistema pensionistico e a coloro che ne facessero richiesta, attuarei il passaggio a quello misto. Utopia? certo, è pura Utopia, così come d'altronde tutta questa farsa in cui ci hanno derubato dei nostri diritti (pensione complementare inclusa).
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da Gianfranco64 »
Buonasera a tutti, questo sarà il mio ultimo post sull’argomento. Ho il sospetto che i nostri commenti siano spiati. Ho notato che spesso, sia i ricorsi che le sentenze siano allineate ai nostri commenti.
Mi astengo da ulteriori commenti per evitare danni ai ricorrenti.
Ultima sentenza n.4 Veneto, sulla base della citata valutazione che il ricorrente ha cessato il servizio con più di 20 anni, e non riconoscendo l’aliquota del 2,44. Rigetta il ricorso accogliendo la tesi dell’ INPS.
I giochi sono riaperti, vi salutò , non salgo più sulla giostra. Mi è bastato il primo giro.
Mi astengo da ulteriori commenti per evitare danni ai ricorrenti.
Ultima sentenza n.4 Veneto, sulla base della citata valutazione che il ricorrente ha cessato il servizio con più di 20 anni, e non riconoscendo l’aliquota del 2,44. Rigetta il ricorso accogliendo la tesi dell’ INPS.
I giochi sono riaperti, vi salutò , non salgo più sulla giostra. Mi è bastato il primo giro.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da naturopata »
Questa è la sentenza del Veneto che cita l'Avv. Parisi. Io credo che lui non abbia capito, che il Veneto respinge perché non concorda non solo con il
44% tout court, non solo con il 2,93, ma anche con il 2,44 delle SS.RR. e ritiene corretto il 2,2 annuo, ma visto che il militare gode di più favorevole trattamento 2,33, ovviamente respinge il ricorso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Nell’ udienza del 18 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 26 ter del d.l. n.
104/20, introdotto dalla legge di conversione n. 126/20 e dell’art. 85, comma
5 del D.L. 18/20, convertito nella legge n. 27/20 e s.m.i., ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di segreteria, sul ricorso
presentato da
L. B. P., OMISSIS, rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Francesca Pace, con
studio in Reggio di Calabria, Via Sbarre Inferiori n.164/C, presso la quale ha
eletto domicilio;
CONTRO
I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, gestione pubblica ex
INPDAP, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dall’Avv. Aldo Tagliente, con domicilio presso l’Avvocatura INPS in
Venezia, Dorsoduro n. 3500/d
Per la rideterminazione della quota di pensione liquidata con il sistema
retributivo con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art. 54,
comma 1, del DPR n. 1092/73, per il conseguente ricalcolo del trattamento
pensionistico complessivamente erogato e il rimborso degli arretrati
Sentenza n. 4/2021
2
maturati;
VISTI il ricorso ed i documenti con questo depositati, la memoria di
costituzione dell’INPS, nonché le note per l’udienza depositate dalle parti ai
sensi dell’art. 85, comma 5, D.L. 18/20;
DATO ATTO che l’udienza si è tenuta, con l’assistenza del segretario
d’udienza d.ssa Nadia Tonolo, con le modalità di cui all’art. 26 ter del d.l. n.
104/20, introdotto dalla legge di conversione n. 126/20 e dell’art. 85, comma
5 del D.L. 18/20, convertito nella legge n. 27/20 e s.m.i..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in data 30.04.2020 L. B. P, premesso di essere un Appuntato
scelto dei Carabinieri in quiescenza dal 4.9.2019, ha rappresentato che nella
determinazione della propria posizione pensionistica INPS avrebbe
commesso errori ed omissioni, applicando erroneamente l’aliquota prevista
dall’art. 44 del DPR 1092/73 per il personale civile in luogo di quella prevista
dall’art. 54 del medesimo testo normativo, in relazione alla quota del
trattamento pensionistico da liquidarsi con il sistema retributivo.
A nulla è valsa la diffida dallo stesso ricorrente inviata all’INPS in data 21
febbraio 2020, cosicchè questi ha adito la sede giudiziaria per il
riconoscimento delle proprie ragioni.
Sostiene infatti il ricorrente che l’art.54 citato deve essere interpretato nel
senso di imporre all’amministrazione di applicare, a partire dal 15^ anno di
servizio, l’aliquota del 44% e non quella del 35% -prevista dall’art. 44 del
medesimo DPR per il personale civile- al personale militare.
A tale conclusione il ricorrente perviene -dopo ampia ed articolata analisi del
quadro normativo di riferimento dal quale deduce la voluntas legis di
3
differenziare lo status dei militari rispetto a quello del personale civile a fini
pensionistici e, conseguentemente, l’inapplicabilità ai primi delle aliquote
previste per il secondo- facendo proprio l’orientamento prevalente delle
Sezioni regionali e di Appello di questa Corte, secondo cui l’art. 54 citato
trova applicazione nel caso di attribuzione della pensione con sistema misto
in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 335 del 31.12.1995:
l’art. 54, primo comma, deve quindi essere interpretato come misura attuale
dell’aliquota da applicarsi nel calcolo della pensione (con sistema misto) per
coloro che, anche se cessati dal servizio in data successiva, al 31.12.1995
avevano maturato più di 15 anni e non più di 20 di servizio utile; a tale
interpretazione non può ostare l’inesistenza di un criterio legislativo di
riparto di detta aliquota ai fini del calcolo della quota di pensione retributiva
con riferimento ai servizi maturati al 31.12.1992 (e, quindi, utilizzando come
base pensionabile l’ultima retribuzione) e al 31.12.1995 (e, quindi,
utilizzando come base pensionabile la media delle ultime retribuzioni).
Il citato art. 1, comma 12 della legge 335/95 avrebbe fatto salvi i diritti
acquisiti dai dipendenti statali nella previgente normativa e, pertanto, per i
militari l’applicazione dell’aliquota del 44% a decorrere dal 15^ anno di
servizio utile.
Il ricorrente ha, quindi, concluso chiedendo a questa Corte di “accertare e
dichiarare il diritto del ricorrente alla corretta applicazione dell’aliquota del
44% ex art, 54 del DPR 1092/1973, in luogo dell’errata applicazione
dell’aliquota del 35% ex art. 44, primo comma, dello stesso TU del 1973” con
conseguente riliquidazione del trattamento pensionistico e condanna al
pagamento degli arretrati indebitamente non corrisposti.
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Con memoria in data 29 dicembre 2020 si è costituito in giudizio l’INPS,
contestando la fondatezza delle ragioni del ricorrente in quanto la
necessaria, rigorosa, interpretazione della norma invocata (art. 54 del DPR
1092/73), anche alla luce della ratio legis a cui è ispirata (quella, cioè, di
parificare la situazione di chi cessava dal servizio tra i 15 e 20 anni), non può
che condurre a ritenere applicabile la disposizione ai soli militari che, all’atto
del congedo, avessero maturato una anzianità di servizio utile a pensione tra
i 15 e i 20 anni.
L’applicazione della norma voluta dal ricorrente altro non farebbe che
alterare, del tutto irragionevolmente -creando peraltro situazioni non
giustificabili di disparità di trattamento tra gli stessi militari-, il rapporto tra
quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al
regime c.d. misto. La norma, infatti, è volta a garantire un trattamento
pensionistico minimo ai militari che cessino dal servizio con una anzianità
ridotta, ma non vi è ragione alcuna per applicarla a chi, come il ricorrente, sia
cessato dal servizio con una anzianità ben superiore.
Non può, secondo l’Istituto, avere rilievo l’anzianità di servizio al 31.12.1995,
avendo rilievo detta data unicamente ai fini dell’applicazione dei diversi
regimi pensionistici, ma non potendo artificiosamente essere utilizzata per
alterare, in deroga quanto voluto dalla legge 335/95, il rapporto tra le quote
di calcolo del sistema retributivo e contributivo.
Ha concluso, quindi, per il rigetto del ricorso e, in subordine, nell’ipotesi di
denegato accoglimento delle domande avversarie, ha eccepito l’intervenuta
prescrizione delle differenze di rateo maturate in data antecedente al
quinquennio dalla notifica del ricorso.
5
In data 12 gennaio 2021 il ricorrente ha depositato note difensive ai sensi
dell’art. 85, co 5, D.L. 18/20 con le quali ha insistito per l’accoglimento delle
conclusioni formulate in ricorso, ritenendo non condivisibili i principi di
diritto enunciati dalle Sezioni Riunite di questa Corte con la sentenza n.
1/2021/QM/PRES, depositata il 4 gennaio 2021, secondo cui l’art. 54 più
volte citato non può trovare applicazione al di fuori dei casi e dei presupposti
dallo stesso disciplinati (militare cessato dal servizio con anzianità utile trai
15 e i 20 anni) e la aliquota applicabile, in ragione dell’effettiva anzianità
maturata, per la determinazione della quota di pensione da liquidare con il
sistema retributivo è pari al 2,445% per anno.
In data 13 gennaio 2021 INPS ha depositato una nota ai sensi dell’art. 85, co.
5 del d.l. n.18/20 e s.m.i. nella quale, dando atto dell’intervenuto deposito
della sentenza n. 1/2021/QM/PRES delle Sezioni Riunite di questa Corte in
materia de qua, ha evidenziato: “Che tale interpretazione è in linea con quella
sostenuta dall’ INPS e disattende quella posta a fondamento delle avverse
domande, con conseguente infondatezza delle stesse. Che se è pur vero che,
con la richiamata sentenza, le Sezioni Riunite affrontano l’ulteriore problema
dato dalla individuazione della aliquota di rendimento applicabile al militare
cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e
che al 31 dicembre 1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni,
giungendo ad individuare il principio che, nel silenzio della legge, sulla base
del richiamato art 54 e della disciplina introdotta dalla L. n.335/1995, la
pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell'articolo 1, comma
12, della legge n. 335/1995, debba sì essere calcolata tenendo conto
dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con
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applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile (come sostenuto
dall’Inps), ma che tale coefficiente debba individuarsi, sulla base dei principi
esposti in sentenza (invero sotto questo profilo del tutto singolari) nel 2,44%
annuo (diverso da quello applicato dall’INPS).
Che è del pari vero che entrambi i principi affermati dalle Sezioni Riunite:
- calcolo della pensione liquidata nel sistema misto tenendo conto
dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con
applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile
- individuazione di tale coefficiente di rendimento nel 2,44%
disattendono le tesi poste a base dell’avverso ricorso e le domande ex adverso
formulate (applicazione dell’aliquota unitaria del 44% e conseguente
riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base di tale aliquota di
rendimento per l’intera anzianità contributiva maturata nella quota
retributiva), con conseguenza infondatezza delle avverse domande”,
concludendo per il rigetto del ricorso.
All’odierna udienza il giudizio è stato trattenuto in decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione sottoposta all’esame di questo Giudice è strettamente di diritto
e verte sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 54 del DPR
1092/73.
Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione avendo
maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della
pensione con il sistema retributivo) una anzianità di servizio utile superiore a
15 anni ed inferiore a 20 anni come richiesto dalla norma per l’applicazione
dell’aliquota del 44%, ma che nel calcolo della propria pensione
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relativamente alla quota da liquidarsi con sistema retributivo sarebbe stato
applicato un coefficiente inferiore calcolato in base all’art. 44 del D.P.R.
1092/1973 per gli impiegati civili dello Stato che avessero maturato un pari
servizio.
A tale ricostruzione ermeneutica l’INPS ha contrapposto una diversa e più
restrittiva interpretazione dell’art. 54 citato, la cui applicabilità troverebbe
luogo esclusivamente nei casi in cui all’atto della cessazione dal servizio il
personale militare destinatario della norma si trovasse nella situazione di
fatto da quest’ultima descritta, e, cioè, aver maturato un’anzianità superiore
a 15 anni e non superiore a 20 anni di servizio utile.
Entrambe le prospettazioni espresse dalle parti in giudizio hanno trovato
riscontro nelle pronunce, di diverso segno, delle Sezioni giurisdizionali
regionali della Corte dei Conti nonché delle Sezioni di Appello, e si riportano
a due distinte interpretazioni della disposizione.
La prima, di carattere estensivo e sostenuta con il ricorso, trae dalla
disposizione una norma di carattere generale, applicabile ai casi di pensione
soggetta sistema misto retributivo/contributivo, per i militari che al
31.12.1995 abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che,
superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali
previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a
seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo,
come ricordato anche dal ricorrente negli atti di causa).
La seconda, aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più
favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento
ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato all’atto del
8
congedo, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio,
trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per
motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia
potuto maturare un’anzianità di servizio superiore.
Questo Giudice si è già pronunciato in punto de quo, prestando adesione al
secondo, minoritario, orientamento interpretativo per le ragioni di natura
ermeneutica e sistematica espresse nelle proprie precedenti pronunce (per
tutte, da ultimo, sent. n. 23/2020), alla cui motivazione si rinvia per
relationem (art. 39, comma 2 e art. 167, comma 4 c.g.c.: Sez, Giurisd. Abruzzo
n. 94/19).
Sulle questioni interpretative sull’art. 54 del d.p.r. n. 1092/1973 la Prima
Sezione Centrale di appello, con ordinanza n. 26 del 14 ottobre 2020, ha
deferito questione di massima alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale (ai
sensi dell’art. 114 c.g.c.), iscritta al n. 711/SR/QM/SEZ del Registro di
Segreteria, avente il seguente quesito:
“ a) se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti
o meno al personale militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio
superiore ai venti anni; in altri termini - avendo riguardo alle modalità di
calcolo del trattamento di pensione - se la “quota retributiva” della pensione
da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L.
n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre
venti anni d’anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava
un’anzianità ricompresa tra i 15 e i 18 anni, debba essere calcolata
invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione
del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo
9
conto dell’effettivo numero di anni d’anzianità maturati al 31.12.1995, con
applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile.
b) In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale
militare cessato dal servizio con oltre venti anni di anzianità, se la medesima
aliquota del 44% sia applicabile anche per la “quota retributiva” della
pensione in favore di quei militari che, alla data del 31.12.1995, vantavano
un’anzianità utile inferiore a quindici anni.>>.
Analoga questione di massima, iscritta al n. 710/SR/QM/PRES del Registro di
Segreteria è stata deferita alle Sezioni Riunite di questa Corte dal Presidente
della Corte dei Conti con ordinanza n. 12 del 12 ottobre 2020;
Con ordinanza n. 27 in data 14 ottobre 2020, poi, la Prima Sezione d’Appello
ha deferito alle Sezioni Riunite ulteriore questione di massima, iscritta al n.
712/SR/QM/SEZ, avente ad oggetto ulteriori questioni interpretative dell’art.
54 citato, come risulta dal quesito che si riporta: “se il beneficio previsto
dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti o meno al personale
militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni;
in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di
pensione - se la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema
“misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n.335/1995, in favore del
personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni d’anzianità utile ai
fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15
e i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della
base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota
debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni
d’anzianità maturati al 31.12.1995, con applicazione del relativo coefficiente
10
per ogni anno utile”.
Le Sezioni Riunite di questa Corte hanno definito le predette questioni con
sentenza n. 1/2021/QM/PRES, depositata il 4 gennaio 2021, così
pronunciandosi: “…5.1 In primo luogo va ribadito quanto già appena
affermato in tema di insussistenza di una normativa “a sistema” nell’ambito
delle disposizioni del d.P.R. n. 1092/1973. L’idea suggestiva di un parallelismo
introdotto dal legislatore fra pensioni civili e militari nell’ambito della
riportata norma trova infatti opposizione nel diverso regime riservato ai due
ambiti e ciò principalmente in quanto -in estrema sintesi- l’art. 44 del DPR n.
1092/1973, essendo inserito nel Capo I (“Personale civile”), del Titolo III
(“Trattamento di quiescenza normale”) del richiamato T.U., è destinato ad
operare esclusivamente nei confronti del personale civile e non rappresenta
appunto una “norma di sistema”; nei confronti del personale militare, invece,
opera la speciale disciplina contenuta nel successivo Capo II (“Personale
militare”) all’interno del quale è contenuto, per l’appunto, l’art. 54. Inoltre,
non vi è alcun dato testuale che autorizzi a considerare le norme in senso
speculare, neppure nelle note esplicative che hanno accompagnato il varo del
citato decreto.
A ciò fa riscontro il dato letterale dell’art. 1, comma 12, della legge n.
335/1995 che, nello stabilire i criteri di definizione delle pensioni secondo i
principi retributivi e contributivi, inequivocabilmente si rivolge alla platea
indistinta dei “lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6”,
senza incidere in alcun modo sull’impianto sistemico ma diversificato fra civili
e militari del decreto del 1973.
L’autonomia e l’autosufficienza delle discipline previste dal d.P.R. 1092/1973,
11
rispettivamente, per il personale civile e per il personale militare conducono
quindi ad escludere - per l’individuazione della regola in concreto applicabile
per quest’ultimo alla luce della riforma del 1995 – la necessità del ricorso
all’analogia: ciascuna delle due discipline, pur accomunabili sotto il profilo
strutturale, è, infatti, completa.
E, conseguentemente, non può, a parere del Collegio, essere seguita la tesi in
base alla quale l'articolo 54, primo comma, del cennato decreto, entrato in
vigore quando per il calcolo delle pensioni era solamente vigente il sistema
retributivo puro, non può essere letto isolatamente bensì in combinato
disposto con gli articoli 52 e 44 del medesimo decreto, nonché alla luce delle
fondamentali innovazioni introdotte dalla legge numero 335 del 1995, la
quale, con decorrenza dal 1 gennaio 1996, ha previsto per tutti i soggetti che
alla data del 31 dicembre 1995 avevano maturato una anzianità inferiore ai
18 anni, un sistema di calcolo misto della pensione comportante la
sommatoria di una quota retributiva, rapportata alla anzianità
effettivamente acquisita al 31 dicembre 1995 e di una quota contributiva
riferita alle anzianità maturate in epoca successiva.
5.2 In pratica, partendo dall’ovvio presupposto che, in ogni caso, dal
combinato disposto degli artt. 52 e 54, il regime previsto dall’articolo 54,
primo comma, non possa che essere riferito solo al collocamento in
quiescenza del militare, se non altro per lo stesso dato letterale della norma:
“La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni
e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base
pensionabile”, dall'esame dei due articoli - questi sì in correlazione,
disponendo rispettivamente per il personale militare il diritto all'accesso al
12
trattamento normale di pensione e la relativa misura dello stesso - appare
evidente che il legislatore abbia inteso subordinare l'accesso dei militari al
trattamento normale di quiescenza al possesso di determinati requisiti
minimi di anzianità (utile e/o effettiva), individuati in rapporto alle diverse
cause di cessazione dal servizio, individuando un coefficiente di progressione
lineare pari al 2,20%.
Infatti, a tal riguardo va notato che la disaggregazione del periodo di
quaranta anni previsto per raggiungere il coefficiente massimo dell’80%,
espressamente previsto dal legislatore (art. 54, comma 7), determina
l’attribuzione del coefficiente del 44% al primo segmento ventennale
determinato dall’ovvio calcolo “2,20% all’anno*20anni=44%”.
Ovviamente, per gli effetti del secondo comma dell’art. 54, nel caso di
permanenza in servizio oltre il ventesimo anno, il coefficiente, già comunque
giunto al 44%, avrebbe subito un aumento pari all’1.80 % ogni anno, mentre
per chi si fosse trovato nelle condizioni dettate dalla disciplina del sistema
retributivo e fosse andato in pensione fra il 15° e il 20° anno, sarebbe scattato
il “beneficio” previsto dall’articolo 54, primo comma, con attribuzione del
44% già dal 15° anno.
E che ciò consenta di dire che una siffatta interpretazione “restrittiva” (vale a
dire la impossibilità di applicare in via generalizzata il beneficio dell’art. 54)
produrrebbe effetti distorsivi violando il principio cardine della
proporzionalità delle pensioni appare certamente non condivisibile. Al
contrario, secondo il Collegio, tale approccio appare quello che
maggiormente può essere considerato “costituzionalmente orientato” non
manifestandosi violato il principio di ragionevolezza e di uguaglianza
13
desumibile dall’art. 3 della Costituzione, evitandosi al contrario un potenziale
rischio di disparità di trattamento non voluto dal legislatore che, ove avesse
voluto introdurre un sistema generalizzato, non avrebbe davvero avuto
necessità di prevedere quanto disposto dall’art. 54, comma 1. Oltre ad
evitare, come si dirà più oltre, il pericolo di potenziali duplicazioni di benefici
pensionistici.
Un primo punto fermo, quindi, è costituito dall’assunto in base al quale,
stante quanto si è venuto affermando, l’applicazione tout court dell’art. 54
(nel combinato disposto dei primi due commi) e l’applicazione dell’aliquota
fissa del 44% non possono essere generalizzati per tutto il personale
militare, ma circoscritte a coloro i quali sono in possesso dei requisiti
previsti dalla richiamata normativa, requisiti letteralmente individuabili in:
1) effettiva e definitiva cessazione dal servizio (essendo questo,
ovviamente, il presupposto indispensabile per l’accesso al trattamento
pensionistico);
2) concreta maturazione del diritto all’attribuzione della pensione normale,
essendo in possesso di quei requisiti d’anzianità minimi, stabiliti
espressamente dall’art. 52;
3) possesso, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente
di un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni…”.
Le Sezioni Riunite hanno, poi, precisato che “Ora, se è vero, come si è
affermato, che la disposizione di cui all’art. 54, primo comma, del d.P.R. n.
1092/1973, nel prevedere che al militare che abbia maturato almeno 15 anni
e non più di 20 anni di servizio utile spetti una pensione pari al 44% della base
14
pensionabile e, pertanto, una pensione liquidata considerando come se
avesse compiuto 20 anni di servizio effettivo, è altrettanto vero che tale
norma, derogando sostanzialmente al principio di cui al combinato disposto
degli artt. 8 e 40 del citato decreto, per cui la pensione deve essere
commisurata, in via di principio, alla durata del servizio prestato, introduce
una disciplina non applicabile al di fuori del contesto di riferimento ed, in
particolare, non invocabile ai fini dell’applicazione per la determinazione
della quota retributiva, di cui al riportato art. 1, comma 12, lettera a) della
legge n. 335/1995, del militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di
servizio.
5.4 In sintesi, dunque, affermare l’autonomia delle disposizioni delle norme
del decreto 1092/1973 in tema di pensioni militari, circoscrivendone
l’efficacia a coloro i quali presentano i requisiti di legge, sembra condurre
l’interpretazione verso una applicazione dell’aliquota del 44% in forma non
generalizzata e quindi non estensibile a coloro i quali hanno lasciato il
servizio con più di venti anni di servizio effettivo/utile e che al 31 dicembre
1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni.
A conforto di tale tesi sembrerebbe militare anche l’ulteriore considerazione
per cui, ove si giunga a diversa conclusione, si determinerebbe una duplice
valorizzazione a fini pensionistici del periodo di servizio compreso fra
l’anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995 ed il compimento dei
venti anni, che verrebbero valutati una prima volta nella quota retributiva,
quale aliquota di rendimento in relazione ai venti anni di servizio, ed una
seconda volta nella quota contributiva che comprenderebbe nel relativo
montante anche i contributi versati nel citato periodo.
15
Ciò, al di là della opinabilità del regime di favor che si verrebbe a creare, trova
chiaro contrasto con le norme dello stesso decreto n. 1092/1973 che all’art.
6, commi 1 e 2, recita “Un periodo di attività lavorativa, che sia valutabile ai
fini di quiescenza secondo ordinamenti obbligatori diversi, è valutato una sola
volta in base all'ordinamento prescelto dall'interessato. La disposizione del
comma precedente si applica anche per i periodi di tempo comunque
valutabili ai fini di quiescenza”, e all’art. 39 ribadisce “Un periodo di servizio,
di cui sia prevista la computabilità in base a diverse disposizioni del presente
testo unico, si considera una sola volta secondo la normativa più favorevole.
Il precedente comma si applica anche per i periodi di tempo comunque
computabili ai fini del trattamento di quiescenza”.
La stessa legge n. 335/1995, poi, nei passaggi ante riportati, fa espresso
riferimento - nel definire all’art. 1, comma 12, la composizione del quantum
pensionistico - prima alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre
1995 e poi alle “ulteriori anzianità contributive” calcolate secondo il sistema
contributivo, intendendo, di tutta evidenza, periodi differenti rispetto alle
“anzianità acquisite”.
Ne consegue, quindi, che l’impostazione che vuole un’applicazione non
generalizzata dei “benefici” dell’art. 54, primo comma, è destinata,
oltretutto, a superare anche qualsivoglia problematica di duplicazione della
valorizzazione dei trattamenti.”.
Parte ricorrente ha formulato osservazioni critiche, in parte riprendendo
argomenti già svolti in sede di ricorso, contestando il presupposto da cui si è
dipanato l’iter argomentativo della predetta sentenza ed in particolare
evidenziando che l’art. 52 e l’art. 54 del DPR 1092/73 hanno diverso oggetto,
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l’uno disciplinando il diritto a pensione, l’altro, la misura della pensione,
deducendone che l’assunto per cui l’art. 54 si riferisca solo a chi è cessato dal
servizio è privo di fondamento; che è privo di senso logico ritenere che il
legislatore abbia previsto una progressione lineare della misura della
pensione, essendo ciò in palese contrasto con lo stesso art. 54, primo
comma; che, infine, è priva di fondamento normativo l’affermazione che
l’attribuzione dell’aliquota del 44% costituisca un regime di favore, con la
conseguenza della sua applicabilità limitata alle specifiche condizioni ivi
previste.
Dissentendo, quindi, dalle conclusioni in punto di applicabilità dell’art. 54 del
DPR 1092/73 a cui sono giunte le Sezioni Riunite, il ricorrente ha insistito per
l’accoglimento della domanda di rideterminazione della quota di pensione da
liquidare con il sistema retributivo con l’applicazione dell’aliquota del 44%
prevista dal primo comma dell’art. 54 medesimo.
Questo Giudicante, in continuità con i propri precedenti orientamenti,
condivide, in parte de qua, gli assunti delle Sezioni Riunite, non apparendo
idonee a superarli le valutazioni critiche formulate dal ricorrente.
In primo luogo, il meccanismo di cui all’art. 54 più volte citato deve (e non
può essere diversamente) essere letto in uno con la sua genesi storica,
essendo stato pensato all’interno di un sistema pensionistico retributivo
puro, in forza del quale la base pensionabile era costituita unicamente
dall’ultima retribuzione percepita (art. 53 DPR 1092/73): in questo quadro, la
disposizione del primo comma dell’art. 54 trovava la propria ratio in un’ottica
perequativa, consentendo il riconoscimento di un trattamento pensionistico
più favorevole a quei militari (e tutti quei militari: in questo senso la norma è
17
norma di carattere generale) che, pur avendo maturato il diritto a pensione
(primo comma dell’art. 52: quindici anni di servizio utile, di cui almeno 12 di
servizio effettivo), si trovassero nella condizione di cessare dal servizio (per
cause dipendenti dalla loro volontà: raggiunti limiti di età, invalidità, ecc.)
senza averne raggiunti 20 (anni di servizio utile: ovviamente, la disposizione
non riguardava quei militari che cessassero anticipatamente dal servizio a
domanda, ovvero per decadenza ovvero per perdita del grado, per i quali il
diritto a pensione si conseguiva con la soglia dei vent’anni di servizio
effettivo: art. 52, comma 3, con finalità rispettivamente deflattiva ovvero latu
sensu sanzionatoria), consentendo loro di vedersi attribuire un trattamento
economico maggiore.
Ma già con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il
conseguimento del diritto a pensione a 20 anni ad opera del D.Lgs. 503 del
1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso
utilità, essendone venuta meno la ratio: è infatti evidente che l’aliquota di
rendimento da applicarsi al conseguimento della soglia minima (20 anni) era
comunque del 44% (corrispondente, appunto, a 20 anni di servizio, a questo
punto in perfetto parallelismo tra impiegati civili e militari) non potendo
venire in rilievo, ai fini del conseguimento del diritto a pensione di anzianità,
anzianità contributive inferiori.
In considerazione di ciò il mutamento della base pensionabile, dal criterio
dell’ultima retribuzione (di cui all’art. 53 del DPR 1092 del 1973) a quella della
retribuzione media pensionabile (di cui al D.Lgs.503/92) non poneva, rebus
sic stantibus, particolari problemi interpretativi.
Le novelle al sistema pensionistico intervenute successivamente, dal 1992 in
18
poi, se -è vero- non hanno espressamente abrogato la disposizione del primo
comma dell’art. 54 (che, in via transitoria, poteva all’epoca dell’introduzione
delle riforme trovare ancora applicazione, ma sicuramente non poteva più
trovarne allorchè la riforma fosse andata a regime, a partire dal 2001: tab.b
allegata al d.lgs 503/92), tuttavia ne hanno circoscritto nel tempo, in ragione
del graduale passaggio tra i diversi regimi pensionistici, l’ambito di
applicazione.
Appare di tutta evidenza, infatti, che la disposizione del primo comma
dell’art. 54 -che non può non essere letta in combinato disposto con il
precedente art. 52, primo comma- e, quindi, non ritenersi espressamente
riferita all’ipotesi di cessazione dal servizio con anzianità utile tra i 15 e i 20
anni-, quando cioè era possibile conseguire il diritto a pensione con il
raggiungimento di un’anzianità contributiva di 15 anni di servizio utile, oggi
costituisce ipotesi di residuale, se non addirittura di nessuna concreta
applicazione, poiché stante il decorso del tempo, è matematicamente
impossibile che possa trovare applicazione in sé e per sé (i militari che
cessassero oggi dal servizio con anzianità tra i 15 e i 20 anni di servizio utile
dovrebbero essersi arruolati alla fine degli anni ‘90 e, quindi, essere
sottoposti al diverso regime contributivo puro).
Resta, quindi, da vedere se la disposizione può avere altra applicazione, come
sostiene il ricorrente.
L’ art. 1, comma 12, della legge 335/95 nel disciplinare il c.d. sistema misto,
alla lettera a) fa riferimento alla quota di pensione “corrispondente alle
anzianità acquisite anteriormente al 31.12.1995, calcolata, con riferimento
alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto
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dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data”.
Dunque, essendo la data di decorrenza della pensione del ricorrente il
4.9.2019 (quella, cioè, a cui bisogna far riferimento secondo la succitata
disposizione), il sistema retributivo vigente alla data del 31.12.1995 al
medesimo ricorrente applicabile al fine di determinare la relativa quota parte
della pensione era quello retributivo “a pieno regime” più sopra descritto,
così come risultante dalla riforma c.d. Amato del 1992, in cui il diritto alla
pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento
dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al
D.Lgs 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi)
e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44%
tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al
31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle
ultime retribuzioni, ed in cui anzianità inferiori dovevano essere valorizzate
con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni
anno di servizio utile.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, quindi, il sistema
retributivo vigente non era quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del
D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito
e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in
virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative,
prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente
disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente
dirette ai medesimi destinatari).
Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività
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dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che
testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di
rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione e'
determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994,
n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59,
comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2.
Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335,
l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un
trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione
delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art.
54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento
derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento
di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di
trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote
dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di
calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha
esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità,
ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad
armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M.,
rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento
pensionistico normale, diretto e di reversibilita', e' corrisposto al personale
militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i
dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente
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codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione
estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma
dell’art. 54 ripetutamente citato.
Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il
diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità
contributiva (“Il personale di cui al comma 1 e' collocato a riposo, con diritto
a pensione, al raggiungimento del limite di eta', se in possesso dell'anzianita'
contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non
dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841
richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma
1 del D.P.R. 1092/73: anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della
soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle
aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente,
per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come
determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di
cui si è già detto).
Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54,
comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e
contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole
liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del
dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è
questo il caso, come incontestato).
Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte
della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e
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l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa
gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva
quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio,
tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40
anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995
riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20
anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella
data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe,
senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20
del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si
applicherebbe appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal
servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal
servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello
contributivo” (Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Lombardia, 317/2019).
La domanda nei termini in cui è stata formulata dal ricorrente, pertanto, non
può trovare accoglimento.
In punto di spese, la complessità della questione, l’esistenza di contrasto
giurisprudenziale ed il sopravvenuto intervento nomofilattico delle Sezioni
Riunite integrano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese
legali tra le parti ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in
composizione monocratica ai sensi dell’art. 151 c.g.c., definitivamente
pronunciando nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di Segreteria
promosso da L. B. P. nei confronti di INPS
23
Respinge il ricorso per le ragioni di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese legali.
Nulla per le spese del giudizio.
Così pronunciato in Venezia, all’esito dell’udienza del 18 gennaio 2021.
IL GIUDICE MONOCRATICO
D.ssa Daniela Alberghini
(firmato digitalmente)
Depositato in Segreteria il 20/01/2021
Il Funzionario preposto
44% tout court, non solo con il 2,93, ma anche con il 2,44 delle SS.RR. e ritiene corretto il 2,2 annuo, ma visto che il militare gode di più favorevole trattamento 2,33, ovviamente respinge il ricorso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Nell’ udienza del 18 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 26 ter del d.l. n.
104/20, introdotto dalla legge di conversione n. 126/20 e dell’art. 85, comma
5 del D.L. 18/20, convertito nella legge n. 27/20 e s.m.i., ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di segreteria, sul ricorso
presentato da
L. B. P., OMISSIS, rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Francesca Pace, con
studio in Reggio di Calabria, Via Sbarre Inferiori n.164/C, presso la quale ha
eletto domicilio;
CONTRO
I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, gestione pubblica ex
INPDAP, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dall’Avv. Aldo Tagliente, con domicilio presso l’Avvocatura INPS in
Venezia, Dorsoduro n. 3500/d
Per la rideterminazione della quota di pensione liquidata con il sistema
retributivo con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art. 54,
comma 1, del DPR n. 1092/73, per il conseguente ricalcolo del trattamento
pensionistico complessivamente erogato e il rimborso degli arretrati
Sentenza n. 4/2021
2
maturati;
VISTI il ricorso ed i documenti con questo depositati, la memoria di
costituzione dell’INPS, nonché le note per l’udienza depositate dalle parti ai
sensi dell’art. 85, comma 5, D.L. 18/20;
DATO ATTO che l’udienza si è tenuta, con l’assistenza del segretario
d’udienza d.ssa Nadia Tonolo, con le modalità di cui all’art. 26 ter del d.l. n.
104/20, introdotto dalla legge di conversione n. 126/20 e dell’art. 85, comma
5 del D.L. 18/20, convertito nella legge n. 27/20 e s.m.i..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in data 30.04.2020 L. B. P, premesso di essere un Appuntato
scelto dei Carabinieri in quiescenza dal 4.9.2019, ha rappresentato che nella
determinazione della propria posizione pensionistica INPS avrebbe
commesso errori ed omissioni, applicando erroneamente l’aliquota prevista
dall’art. 44 del DPR 1092/73 per il personale civile in luogo di quella prevista
dall’art. 54 del medesimo testo normativo, in relazione alla quota del
trattamento pensionistico da liquidarsi con il sistema retributivo.
A nulla è valsa la diffida dallo stesso ricorrente inviata all’INPS in data 21
febbraio 2020, cosicchè questi ha adito la sede giudiziaria per il
riconoscimento delle proprie ragioni.
Sostiene infatti il ricorrente che l’art.54 citato deve essere interpretato nel
senso di imporre all’amministrazione di applicare, a partire dal 15^ anno di
servizio, l’aliquota del 44% e non quella del 35% -prevista dall’art. 44 del
medesimo DPR per il personale civile- al personale militare.
A tale conclusione il ricorrente perviene -dopo ampia ed articolata analisi del
quadro normativo di riferimento dal quale deduce la voluntas legis di
3
differenziare lo status dei militari rispetto a quello del personale civile a fini
pensionistici e, conseguentemente, l’inapplicabilità ai primi delle aliquote
previste per il secondo- facendo proprio l’orientamento prevalente delle
Sezioni regionali e di Appello di questa Corte, secondo cui l’art. 54 citato
trova applicazione nel caso di attribuzione della pensione con sistema misto
in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 335 del 31.12.1995:
l’art. 54, primo comma, deve quindi essere interpretato come misura attuale
dell’aliquota da applicarsi nel calcolo della pensione (con sistema misto) per
coloro che, anche se cessati dal servizio in data successiva, al 31.12.1995
avevano maturato più di 15 anni e non più di 20 di servizio utile; a tale
interpretazione non può ostare l’inesistenza di un criterio legislativo di
riparto di detta aliquota ai fini del calcolo della quota di pensione retributiva
con riferimento ai servizi maturati al 31.12.1992 (e, quindi, utilizzando come
base pensionabile l’ultima retribuzione) e al 31.12.1995 (e, quindi,
utilizzando come base pensionabile la media delle ultime retribuzioni).
Il citato art. 1, comma 12 della legge 335/95 avrebbe fatto salvi i diritti
acquisiti dai dipendenti statali nella previgente normativa e, pertanto, per i
militari l’applicazione dell’aliquota del 44% a decorrere dal 15^ anno di
servizio utile.
Il ricorrente ha, quindi, concluso chiedendo a questa Corte di “accertare e
dichiarare il diritto del ricorrente alla corretta applicazione dell’aliquota del
44% ex art, 54 del DPR 1092/1973, in luogo dell’errata applicazione
dell’aliquota del 35% ex art. 44, primo comma, dello stesso TU del 1973” con
conseguente riliquidazione del trattamento pensionistico e condanna al
pagamento degli arretrati indebitamente non corrisposti.
4
Con memoria in data 29 dicembre 2020 si è costituito in giudizio l’INPS,
contestando la fondatezza delle ragioni del ricorrente in quanto la
necessaria, rigorosa, interpretazione della norma invocata (art. 54 del DPR
1092/73), anche alla luce della ratio legis a cui è ispirata (quella, cioè, di
parificare la situazione di chi cessava dal servizio tra i 15 e 20 anni), non può
che condurre a ritenere applicabile la disposizione ai soli militari che, all’atto
del congedo, avessero maturato una anzianità di servizio utile a pensione tra
i 15 e i 20 anni.
L’applicazione della norma voluta dal ricorrente altro non farebbe che
alterare, del tutto irragionevolmente -creando peraltro situazioni non
giustificabili di disparità di trattamento tra gli stessi militari-, il rapporto tra
quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al
regime c.d. misto. La norma, infatti, è volta a garantire un trattamento
pensionistico minimo ai militari che cessino dal servizio con una anzianità
ridotta, ma non vi è ragione alcuna per applicarla a chi, come il ricorrente, sia
cessato dal servizio con una anzianità ben superiore.
Non può, secondo l’Istituto, avere rilievo l’anzianità di servizio al 31.12.1995,
avendo rilievo detta data unicamente ai fini dell’applicazione dei diversi
regimi pensionistici, ma non potendo artificiosamente essere utilizzata per
alterare, in deroga quanto voluto dalla legge 335/95, il rapporto tra le quote
di calcolo del sistema retributivo e contributivo.
Ha concluso, quindi, per il rigetto del ricorso e, in subordine, nell’ipotesi di
denegato accoglimento delle domande avversarie, ha eccepito l’intervenuta
prescrizione delle differenze di rateo maturate in data antecedente al
quinquennio dalla notifica del ricorso.
5
In data 12 gennaio 2021 il ricorrente ha depositato note difensive ai sensi
dell’art. 85, co 5, D.L. 18/20 con le quali ha insistito per l’accoglimento delle
conclusioni formulate in ricorso, ritenendo non condivisibili i principi di
diritto enunciati dalle Sezioni Riunite di questa Corte con la sentenza n.
1/2021/QM/PRES, depositata il 4 gennaio 2021, secondo cui l’art. 54 più
volte citato non può trovare applicazione al di fuori dei casi e dei presupposti
dallo stesso disciplinati (militare cessato dal servizio con anzianità utile trai
15 e i 20 anni) e la aliquota applicabile, in ragione dell’effettiva anzianità
maturata, per la determinazione della quota di pensione da liquidare con il
sistema retributivo è pari al 2,445% per anno.
In data 13 gennaio 2021 INPS ha depositato una nota ai sensi dell’art. 85, co.
5 del d.l. n.18/20 e s.m.i. nella quale, dando atto dell’intervenuto deposito
della sentenza n. 1/2021/QM/PRES delle Sezioni Riunite di questa Corte in
materia de qua, ha evidenziato: “Che tale interpretazione è in linea con quella
sostenuta dall’ INPS e disattende quella posta a fondamento delle avverse
domande, con conseguente infondatezza delle stesse. Che se è pur vero che,
con la richiamata sentenza, le Sezioni Riunite affrontano l’ulteriore problema
dato dalla individuazione della aliquota di rendimento applicabile al militare
cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e
che al 31 dicembre 1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni,
giungendo ad individuare il principio che, nel silenzio della legge, sulla base
del richiamato art 54 e della disciplina introdotta dalla L. n.335/1995, la
pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell'articolo 1, comma
12, della legge n. 335/1995, debba sì essere calcolata tenendo conto
dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con
6
applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile (come sostenuto
dall’Inps), ma che tale coefficiente debba individuarsi, sulla base dei principi
esposti in sentenza (invero sotto questo profilo del tutto singolari) nel 2,44%
annuo (diverso da quello applicato dall’INPS).
Che è del pari vero che entrambi i principi affermati dalle Sezioni Riunite:
- calcolo della pensione liquidata nel sistema misto tenendo conto
dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con
applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile
- individuazione di tale coefficiente di rendimento nel 2,44%
disattendono le tesi poste a base dell’avverso ricorso e le domande ex adverso
formulate (applicazione dell’aliquota unitaria del 44% e conseguente
riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base di tale aliquota di
rendimento per l’intera anzianità contributiva maturata nella quota
retributiva), con conseguenza infondatezza delle avverse domande”,
concludendo per il rigetto del ricorso.
All’odierna udienza il giudizio è stato trattenuto in decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione sottoposta all’esame di questo Giudice è strettamente di diritto
e verte sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 54 del DPR
1092/73.
Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione avendo
maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della
pensione con il sistema retributivo) una anzianità di servizio utile superiore a
15 anni ed inferiore a 20 anni come richiesto dalla norma per l’applicazione
dell’aliquota del 44%, ma che nel calcolo della propria pensione
7
relativamente alla quota da liquidarsi con sistema retributivo sarebbe stato
applicato un coefficiente inferiore calcolato in base all’art. 44 del D.P.R.
1092/1973 per gli impiegati civili dello Stato che avessero maturato un pari
servizio.
A tale ricostruzione ermeneutica l’INPS ha contrapposto una diversa e più
restrittiva interpretazione dell’art. 54 citato, la cui applicabilità troverebbe
luogo esclusivamente nei casi in cui all’atto della cessazione dal servizio il
personale militare destinatario della norma si trovasse nella situazione di
fatto da quest’ultima descritta, e, cioè, aver maturato un’anzianità superiore
a 15 anni e non superiore a 20 anni di servizio utile.
Entrambe le prospettazioni espresse dalle parti in giudizio hanno trovato
riscontro nelle pronunce, di diverso segno, delle Sezioni giurisdizionali
regionali della Corte dei Conti nonché delle Sezioni di Appello, e si riportano
a due distinte interpretazioni della disposizione.
La prima, di carattere estensivo e sostenuta con il ricorso, trae dalla
disposizione una norma di carattere generale, applicabile ai casi di pensione
soggetta sistema misto retributivo/contributivo, per i militari che al
31.12.1995 abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che,
superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali
previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a
seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo,
come ricordato anche dal ricorrente negli atti di causa).
La seconda, aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più
favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento
ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato all’atto del
8
congedo, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio,
trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per
motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia
potuto maturare un’anzianità di servizio superiore.
Questo Giudice si è già pronunciato in punto de quo, prestando adesione al
secondo, minoritario, orientamento interpretativo per le ragioni di natura
ermeneutica e sistematica espresse nelle proprie precedenti pronunce (per
tutte, da ultimo, sent. n. 23/2020), alla cui motivazione si rinvia per
relationem (art. 39, comma 2 e art. 167, comma 4 c.g.c.: Sez, Giurisd. Abruzzo
n. 94/19).
Sulle questioni interpretative sull’art. 54 del d.p.r. n. 1092/1973 la Prima
Sezione Centrale di appello, con ordinanza n. 26 del 14 ottobre 2020, ha
deferito questione di massima alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale (ai
sensi dell’art. 114 c.g.c.), iscritta al n. 711/SR/QM/SEZ del Registro di
Segreteria, avente il seguente quesito:
“ a) se il beneficio previsto dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti
o meno al personale militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio
superiore ai venti anni; in altri termini - avendo riguardo alle modalità di
calcolo del trattamento di pensione - se la “quota retributiva” della pensione
da liquidarsi con il sistema “misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L.
n.335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre
venti anni d’anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava
un’anzianità ricompresa tra i 15 e i 18 anni, debba essere calcolata
invariabilmente in misura pari al 44% della base pensionabile in applicazione
del ridetto art. 54, oppure se tale quota debba essere determinata tenendo
9
conto dell’effettivo numero di anni d’anzianità maturati al 31.12.1995, con
applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile.
b) In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’art. 54 al personale
militare cessato dal servizio con oltre venti anni di anzianità, se la medesima
aliquota del 44% sia applicabile anche per la “quota retributiva” della
pensione in favore di quei militari che, alla data del 31.12.1995, vantavano
un’anzianità utile inferiore a quindici anni.>>.
Analoga questione di massima, iscritta al n. 710/SR/QM/PRES del Registro di
Segreteria è stata deferita alle Sezioni Riunite di questa Corte dal Presidente
della Corte dei Conti con ordinanza n. 12 del 12 ottobre 2020;
Con ordinanza n. 27 in data 14 ottobre 2020, poi, la Prima Sezione d’Appello
ha deferito alle Sezioni Riunite ulteriore questione di massima, iscritta al n.
712/SR/QM/SEZ, avente ad oggetto ulteriori questioni interpretative dell’art.
54 citato, come risulta dal quesito che si riporta: “se il beneficio previsto
dall’art. 54, comma 1, d.p.r. n. 1092 del 1973 spetti o meno al personale
militare collocato a riposo con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni;
in altri termini – avendo riguardo alle modalità di calcolo del trattamento di
pensione - se la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema
“misto”, ai sensi dell’art. 1, comma 12, della L. n.335/1995, in favore del
personale militare cessato dal servizio con oltre venti anni d’anzianità utile ai
fini previdenziali e che al 31.12.1995 vantava un’anzianità ricompresa tra i 15
e i 18 anni, debba essere calcolata invariabilmente in misura pari al 44% della
base pensionabile in applicazione del ridetto art. 54, oppure se tale quota
debba essere determinata tenendo conto dell’effettivo numero di anni
d’anzianità maturati al 31.12.1995, con applicazione del relativo coefficiente
10
per ogni anno utile”.
Le Sezioni Riunite di questa Corte hanno definito le predette questioni con
sentenza n. 1/2021/QM/PRES, depositata il 4 gennaio 2021, così
pronunciandosi: “…5.1 In primo luogo va ribadito quanto già appena
affermato in tema di insussistenza di una normativa “a sistema” nell’ambito
delle disposizioni del d.P.R. n. 1092/1973. L’idea suggestiva di un parallelismo
introdotto dal legislatore fra pensioni civili e militari nell’ambito della
riportata norma trova infatti opposizione nel diverso regime riservato ai due
ambiti e ciò principalmente in quanto -in estrema sintesi- l’art. 44 del DPR n.
1092/1973, essendo inserito nel Capo I (“Personale civile”), del Titolo III
(“Trattamento di quiescenza normale”) del richiamato T.U., è destinato ad
operare esclusivamente nei confronti del personale civile e non rappresenta
appunto una “norma di sistema”; nei confronti del personale militare, invece,
opera la speciale disciplina contenuta nel successivo Capo II (“Personale
militare”) all’interno del quale è contenuto, per l’appunto, l’art. 54. Inoltre,
non vi è alcun dato testuale che autorizzi a considerare le norme in senso
speculare, neppure nelle note esplicative che hanno accompagnato il varo del
citato decreto.
A ciò fa riscontro il dato letterale dell’art. 1, comma 12, della legge n.
335/1995 che, nello stabilire i criteri di definizione delle pensioni secondo i
principi retributivi e contributivi, inequivocabilmente si rivolge alla platea
indistinta dei “lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6”,
senza incidere in alcun modo sull’impianto sistemico ma diversificato fra civili
e militari del decreto del 1973.
L’autonomia e l’autosufficienza delle discipline previste dal d.P.R. 1092/1973,
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rispettivamente, per il personale civile e per il personale militare conducono
quindi ad escludere - per l’individuazione della regola in concreto applicabile
per quest’ultimo alla luce della riforma del 1995 – la necessità del ricorso
all’analogia: ciascuna delle due discipline, pur accomunabili sotto il profilo
strutturale, è, infatti, completa.
E, conseguentemente, non può, a parere del Collegio, essere seguita la tesi in
base alla quale l'articolo 54, primo comma, del cennato decreto, entrato in
vigore quando per il calcolo delle pensioni era solamente vigente il sistema
retributivo puro, non può essere letto isolatamente bensì in combinato
disposto con gli articoli 52 e 44 del medesimo decreto, nonché alla luce delle
fondamentali innovazioni introdotte dalla legge numero 335 del 1995, la
quale, con decorrenza dal 1 gennaio 1996, ha previsto per tutti i soggetti che
alla data del 31 dicembre 1995 avevano maturato una anzianità inferiore ai
18 anni, un sistema di calcolo misto della pensione comportante la
sommatoria di una quota retributiva, rapportata alla anzianità
effettivamente acquisita al 31 dicembre 1995 e di una quota contributiva
riferita alle anzianità maturate in epoca successiva.
5.2 In pratica, partendo dall’ovvio presupposto che, in ogni caso, dal
combinato disposto degli artt. 52 e 54, il regime previsto dall’articolo 54,
primo comma, non possa che essere riferito solo al collocamento in
quiescenza del militare, se non altro per lo stesso dato letterale della norma:
“La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni
e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base
pensionabile”, dall'esame dei due articoli - questi sì in correlazione,
disponendo rispettivamente per il personale militare il diritto all'accesso al
12
trattamento normale di pensione e la relativa misura dello stesso - appare
evidente che il legislatore abbia inteso subordinare l'accesso dei militari al
trattamento normale di quiescenza al possesso di determinati requisiti
minimi di anzianità (utile e/o effettiva), individuati in rapporto alle diverse
cause di cessazione dal servizio, individuando un coefficiente di progressione
lineare pari al 2,20%.
Infatti, a tal riguardo va notato che la disaggregazione del periodo di
quaranta anni previsto per raggiungere il coefficiente massimo dell’80%,
espressamente previsto dal legislatore (art. 54, comma 7), determina
l’attribuzione del coefficiente del 44% al primo segmento ventennale
determinato dall’ovvio calcolo “2,20% all’anno*20anni=44%”.
Ovviamente, per gli effetti del secondo comma dell’art. 54, nel caso di
permanenza in servizio oltre il ventesimo anno, il coefficiente, già comunque
giunto al 44%, avrebbe subito un aumento pari all’1.80 % ogni anno, mentre
per chi si fosse trovato nelle condizioni dettate dalla disciplina del sistema
retributivo e fosse andato in pensione fra il 15° e il 20° anno, sarebbe scattato
il “beneficio” previsto dall’articolo 54, primo comma, con attribuzione del
44% già dal 15° anno.
E che ciò consenta di dire che una siffatta interpretazione “restrittiva” (vale a
dire la impossibilità di applicare in via generalizzata il beneficio dell’art. 54)
produrrebbe effetti distorsivi violando il principio cardine della
proporzionalità delle pensioni appare certamente non condivisibile. Al
contrario, secondo il Collegio, tale approccio appare quello che
maggiormente può essere considerato “costituzionalmente orientato” non
manifestandosi violato il principio di ragionevolezza e di uguaglianza
13
desumibile dall’art. 3 della Costituzione, evitandosi al contrario un potenziale
rischio di disparità di trattamento non voluto dal legislatore che, ove avesse
voluto introdurre un sistema generalizzato, non avrebbe davvero avuto
necessità di prevedere quanto disposto dall’art. 54, comma 1. Oltre ad
evitare, come si dirà più oltre, il pericolo di potenziali duplicazioni di benefici
pensionistici.
Un primo punto fermo, quindi, è costituito dall’assunto in base al quale,
stante quanto si è venuto affermando, l’applicazione tout court dell’art. 54
(nel combinato disposto dei primi due commi) e l’applicazione dell’aliquota
fissa del 44% non possono essere generalizzati per tutto il personale
militare, ma circoscritte a coloro i quali sono in possesso dei requisiti
previsti dalla richiamata normativa, requisiti letteralmente individuabili in:
1) effettiva e definitiva cessazione dal servizio (essendo questo,
ovviamente, il presupposto indispensabile per l’accesso al trattamento
pensionistico);
2) concreta maturazione del diritto all’attribuzione della pensione normale,
essendo in possesso di quei requisiti d’anzianità minimi, stabiliti
espressamente dall’art. 52;
3) possesso, all’epoca di definitiva cessazione dal servizio, esclusivamente
di un’anzianità di almeno quindici e non più di venti anni…”.
Le Sezioni Riunite hanno, poi, precisato che “Ora, se è vero, come si è
affermato, che la disposizione di cui all’art. 54, primo comma, del d.P.R. n.
1092/1973, nel prevedere che al militare che abbia maturato almeno 15 anni
e non più di 20 anni di servizio utile spetti una pensione pari al 44% della base
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pensionabile e, pertanto, una pensione liquidata considerando come se
avesse compiuto 20 anni di servizio effettivo, è altrettanto vero che tale
norma, derogando sostanzialmente al principio di cui al combinato disposto
degli artt. 8 e 40 del citato decreto, per cui la pensione deve essere
commisurata, in via di principio, alla durata del servizio prestato, introduce
una disciplina non applicabile al di fuori del contesto di riferimento ed, in
particolare, non invocabile ai fini dell’applicazione per la determinazione
della quota retributiva, di cui al riportato art. 1, comma 12, lettera a) della
legge n. 335/1995, del militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di
servizio.
5.4 In sintesi, dunque, affermare l’autonomia delle disposizioni delle norme
del decreto 1092/1973 in tema di pensioni militari, circoscrivendone
l’efficacia a coloro i quali presentano i requisiti di legge, sembra condurre
l’interpretazione verso una applicazione dell’aliquota del 44% in forma non
generalizzata e quindi non estensibile a coloro i quali hanno lasciato il
servizio con più di venti anni di servizio effettivo/utile e che al 31 dicembre
1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni.
A conforto di tale tesi sembrerebbe militare anche l’ulteriore considerazione
per cui, ove si giunga a diversa conclusione, si determinerebbe una duplice
valorizzazione a fini pensionistici del periodo di servizio compreso fra
l’anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995 ed il compimento dei
venti anni, che verrebbero valutati una prima volta nella quota retributiva,
quale aliquota di rendimento in relazione ai venti anni di servizio, ed una
seconda volta nella quota contributiva che comprenderebbe nel relativo
montante anche i contributi versati nel citato periodo.
15
Ciò, al di là della opinabilità del regime di favor che si verrebbe a creare, trova
chiaro contrasto con le norme dello stesso decreto n. 1092/1973 che all’art.
6, commi 1 e 2, recita “Un periodo di attività lavorativa, che sia valutabile ai
fini di quiescenza secondo ordinamenti obbligatori diversi, è valutato una sola
volta in base all'ordinamento prescelto dall'interessato. La disposizione del
comma precedente si applica anche per i periodi di tempo comunque
valutabili ai fini di quiescenza”, e all’art. 39 ribadisce “Un periodo di servizio,
di cui sia prevista la computabilità in base a diverse disposizioni del presente
testo unico, si considera una sola volta secondo la normativa più favorevole.
Il precedente comma si applica anche per i periodi di tempo comunque
computabili ai fini del trattamento di quiescenza”.
La stessa legge n. 335/1995, poi, nei passaggi ante riportati, fa espresso
riferimento - nel definire all’art. 1, comma 12, la composizione del quantum
pensionistico - prima alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre
1995 e poi alle “ulteriori anzianità contributive” calcolate secondo il sistema
contributivo, intendendo, di tutta evidenza, periodi differenti rispetto alle
“anzianità acquisite”.
Ne consegue, quindi, che l’impostazione che vuole un’applicazione non
generalizzata dei “benefici” dell’art. 54, primo comma, è destinata,
oltretutto, a superare anche qualsivoglia problematica di duplicazione della
valorizzazione dei trattamenti.”.
Parte ricorrente ha formulato osservazioni critiche, in parte riprendendo
argomenti già svolti in sede di ricorso, contestando il presupposto da cui si è
dipanato l’iter argomentativo della predetta sentenza ed in particolare
evidenziando che l’art. 52 e l’art. 54 del DPR 1092/73 hanno diverso oggetto,
16
l’uno disciplinando il diritto a pensione, l’altro, la misura della pensione,
deducendone che l’assunto per cui l’art. 54 si riferisca solo a chi è cessato dal
servizio è privo di fondamento; che è privo di senso logico ritenere che il
legislatore abbia previsto una progressione lineare della misura della
pensione, essendo ciò in palese contrasto con lo stesso art. 54, primo
comma; che, infine, è priva di fondamento normativo l’affermazione che
l’attribuzione dell’aliquota del 44% costituisca un regime di favore, con la
conseguenza della sua applicabilità limitata alle specifiche condizioni ivi
previste.
Dissentendo, quindi, dalle conclusioni in punto di applicabilità dell’art. 54 del
DPR 1092/73 a cui sono giunte le Sezioni Riunite, il ricorrente ha insistito per
l’accoglimento della domanda di rideterminazione della quota di pensione da
liquidare con il sistema retributivo con l’applicazione dell’aliquota del 44%
prevista dal primo comma dell’art. 54 medesimo.
Questo Giudicante, in continuità con i propri precedenti orientamenti,
condivide, in parte de qua, gli assunti delle Sezioni Riunite, non apparendo
idonee a superarli le valutazioni critiche formulate dal ricorrente.
In primo luogo, il meccanismo di cui all’art. 54 più volte citato deve (e non
può essere diversamente) essere letto in uno con la sua genesi storica,
essendo stato pensato all’interno di un sistema pensionistico retributivo
puro, in forza del quale la base pensionabile era costituita unicamente
dall’ultima retribuzione percepita (art. 53 DPR 1092/73): in questo quadro, la
disposizione del primo comma dell’art. 54 trovava la propria ratio in un’ottica
perequativa, consentendo il riconoscimento di un trattamento pensionistico
più favorevole a quei militari (e tutti quei militari: in questo senso la norma è
17
norma di carattere generale) che, pur avendo maturato il diritto a pensione
(primo comma dell’art. 52: quindici anni di servizio utile, di cui almeno 12 di
servizio effettivo), si trovassero nella condizione di cessare dal servizio (per
cause dipendenti dalla loro volontà: raggiunti limiti di età, invalidità, ecc.)
senza averne raggiunti 20 (anni di servizio utile: ovviamente, la disposizione
non riguardava quei militari che cessassero anticipatamente dal servizio a
domanda, ovvero per decadenza ovvero per perdita del grado, per i quali il
diritto a pensione si conseguiva con la soglia dei vent’anni di servizio
effettivo: art. 52, comma 3, con finalità rispettivamente deflattiva ovvero latu
sensu sanzionatoria), consentendo loro di vedersi attribuire un trattamento
economico maggiore.
Ma già con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il
conseguimento del diritto a pensione a 20 anni ad opera del D.Lgs. 503 del
1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso
utilità, essendone venuta meno la ratio: è infatti evidente che l’aliquota di
rendimento da applicarsi al conseguimento della soglia minima (20 anni) era
comunque del 44% (corrispondente, appunto, a 20 anni di servizio, a questo
punto in perfetto parallelismo tra impiegati civili e militari) non potendo
venire in rilievo, ai fini del conseguimento del diritto a pensione di anzianità,
anzianità contributive inferiori.
In considerazione di ciò il mutamento della base pensionabile, dal criterio
dell’ultima retribuzione (di cui all’art. 53 del DPR 1092 del 1973) a quella della
retribuzione media pensionabile (di cui al D.Lgs.503/92) non poneva, rebus
sic stantibus, particolari problemi interpretativi.
Le novelle al sistema pensionistico intervenute successivamente, dal 1992 in
18
poi, se -è vero- non hanno espressamente abrogato la disposizione del primo
comma dell’art. 54 (che, in via transitoria, poteva all’epoca dell’introduzione
delle riforme trovare ancora applicazione, ma sicuramente non poteva più
trovarne allorchè la riforma fosse andata a regime, a partire dal 2001: tab.b
allegata al d.lgs 503/92), tuttavia ne hanno circoscritto nel tempo, in ragione
del graduale passaggio tra i diversi regimi pensionistici, l’ambito di
applicazione.
Appare di tutta evidenza, infatti, che la disposizione del primo comma
dell’art. 54 -che non può non essere letta in combinato disposto con il
precedente art. 52, primo comma- e, quindi, non ritenersi espressamente
riferita all’ipotesi di cessazione dal servizio con anzianità utile tra i 15 e i 20
anni-, quando cioè era possibile conseguire il diritto a pensione con il
raggiungimento di un’anzianità contributiva di 15 anni di servizio utile, oggi
costituisce ipotesi di residuale, se non addirittura di nessuna concreta
applicazione, poiché stante il decorso del tempo, è matematicamente
impossibile che possa trovare applicazione in sé e per sé (i militari che
cessassero oggi dal servizio con anzianità tra i 15 e i 20 anni di servizio utile
dovrebbero essersi arruolati alla fine degli anni ‘90 e, quindi, essere
sottoposti al diverso regime contributivo puro).
Resta, quindi, da vedere se la disposizione può avere altra applicazione, come
sostiene il ricorrente.
L’ art. 1, comma 12, della legge 335/95 nel disciplinare il c.d. sistema misto,
alla lettera a) fa riferimento alla quota di pensione “corrispondente alle
anzianità acquisite anteriormente al 31.12.1995, calcolata, con riferimento
alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto
19
dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data”.
Dunque, essendo la data di decorrenza della pensione del ricorrente il
4.9.2019 (quella, cioè, a cui bisogna far riferimento secondo la succitata
disposizione), il sistema retributivo vigente alla data del 31.12.1995 al
medesimo ricorrente applicabile al fine di determinare la relativa quota parte
della pensione era quello retributivo “a pieno regime” più sopra descritto,
così come risultante dalla riforma c.d. Amato del 1992, in cui il diritto alla
pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento
dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al
D.Lgs 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi)
e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44%
tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al
31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle
ultime retribuzioni, ed in cui anzianità inferiori dovevano essere valorizzate
con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni
anno di servizio utile.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, quindi, il sistema
retributivo vigente non era quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del
D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito
e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in
virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative,
prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente
disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente
dirette ai medesimi destinatari).
Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività
20
dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che
testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di
rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione e'
determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994,
n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59,
comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2.
Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335,
l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un
trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione
delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art.
54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento
derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento
di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di
trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote
dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di
calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha
esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità,
ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad
armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M.,
rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento
pensionistico normale, diretto e di reversibilita', e' corrisposto al personale
militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i
dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente
21
codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione
estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma
dell’art. 54 ripetutamente citato.
Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il
diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità
contributiva (“Il personale di cui al comma 1 e' collocato a riposo, con diritto
a pensione, al raggiungimento del limite di eta', se in possesso dell'anzianita'
contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non
dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841
richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma
1 del D.P.R. 1092/73: anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della
soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle
aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente,
per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come
determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di
cui si è già detto).
Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54,
comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e
contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole
liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del
dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è
questo il caso, come incontestato).
Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte
della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e
22
l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa
gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva
quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio,
tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40
anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995
riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20
anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella
data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe,
senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20
del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si
applicherebbe appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal
servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal
servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello
contributivo” (Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Lombardia, 317/2019).
La domanda nei termini in cui è stata formulata dal ricorrente, pertanto, non
può trovare accoglimento.
In punto di spese, la complessità della questione, l’esistenza di contrasto
giurisprudenziale ed il sopravvenuto intervento nomofilattico delle Sezioni
Riunite integrano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese
legali tra le parti ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in
composizione monocratica ai sensi dell’art. 151 c.g.c., definitivamente
pronunciando nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di Segreteria
promosso da L. B. P. nei confronti di INPS
23
Respinge il ricorso per le ragioni di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese legali.
Nulla per le spese del giudizio.
Così pronunciato in Venezia, all’esito dell’udienza del 18 gennaio 2021.
IL GIUDICE MONOCRATICO
D.ssa Daniela Alberghini
(firmato digitalmente)
Depositato in Segreteria il 20/01/2021
Il Funzionario preposto
-
- Sostenitore
- Messaggi: 244
- Iscritto il: mar mar 07, 2017 10:18 pm
Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da domenico69 »
Se non altro, nel giusto o nello sbagliato, questo/a è un giudice coerente con le proprie decisioni e non "zerbino" delle SSRR.naturopata ha scritto: ↑mer gen 20, 2021 5:21 pm Questa è la sentenza del Veneto che cita l'Avv. Parisi. Io credo che lui non abbia capito, che il Veneto respinge perché non concorda non solo con il
44% tout court, non solo con il 2,93, ma anche con il 2,44 delle SS.RR. e ritiene corretto il 2,2 annuo, ma visto che il militare gode di più favorevole trattamento 2,33, ovviamente respinge il ricorso.
Ma quanti saranno ancora coerenti con le proprie decisioni già prese?!
A vedere le varie sentenze di primo grado che stanno uscendo, ho paura che questo giudice sia una mosca bianca per la coerenza.
Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
La CdC Veneto con la sentenza n. 4 depositata il 20/01/2021 (udienza del 18/01/2021) che riguarda personale con + 15 anni, continua a mantenere il proprio orientamento negativo anche dopo il pronunciamento delle SS.RR.
Qui sotto gli ultimi passaggi della sentenza:
1) - Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, quindi, il sistema retributivo vigente non era quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari).
2) - Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione è determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2.
3) - Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
4) - E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art. 54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità, ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M., rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilità, è corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma dell’art. 54 ripetutamente citato.
5) - Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 è collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di età, se in possesso dell'anzianità contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841 richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma 1 del D.P.R. 1092/73: anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente, per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di cui si è già detto).
6) - Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54, comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è questo il caso, come incontestato).
7) - Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio, tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40 anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995 riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20 anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe, senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20 del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si applicherebbe appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello contributivo” (Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Lombardia, 317/2019).
La domanda nei termini in cui è stata formulata dal ricorrente, pertanto, non può trovare accoglimento.
In punto di spese, la complessità della questione, l’esistenza di contrasto giurisprudenziale ed il sopravvenuto intervento nomofilattico delle Sezioni Riunite integrano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese legali tra le parti ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in composizione monocratica ai sensi dell’art. 151 c.g.c., definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di Segreteria promosso da L. B. P. nei confronti di INPS
Respinge il ricorso per le ragioni di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese legali.
Nulla per le spese del giudizio.
Così pronunciato in Venezia, all’esito dell’udienza del 18 gennaio 2021.
IL GIUDICE MONOCRATICO
D.ssa Daniela Alberghini
N.B.: l'allego anche se è stata già postata.
Qui sotto gli ultimi passaggi della sentenza:
1) - Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, quindi, il sistema retributivo vigente non era quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari).
2) - Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione è determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2.
3) - Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
4) - E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art. 54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità, ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M., rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilità, è corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma dell’art. 54 ripetutamente citato.
5) - Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 è collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di età, se in possesso dell'anzianità contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841 richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma 1 del D.P.R. 1092/73: anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente, per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di cui si è già detto).
6) - Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54, comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è questo il caso, come incontestato).
7) - Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio, tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40 anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995 riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20 anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe, senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20 del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si applicherebbe appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello contributivo” (Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Lombardia, 317/2019).
La domanda nei termini in cui è stata formulata dal ricorrente, pertanto, non può trovare accoglimento.
In punto di spese, la complessità della questione, l’esistenza di contrasto giurisprudenziale ed il sopravvenuto intervento nomofilattico delle Sezioni Riunite integrano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese legali tra le parti ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in composizione monocratica ai sensi dell’art. 151 c.g.c., definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 31176 del registro di Segreteria promosso da L. B. P. nei confronti di INPS
Respinge il ricorso per le ragioni di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese legali.
Nulla per le spese del giudizio.
Così pronunciato in Venezia, all’esito dell’udienza del 18 gennaio 2021.
IL GIUDICE MONOCRATICO
D.ssa Daniela Alberghini
N.B.: l'allego anche se è stata già postata.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Per carità non dubito assolutamente, era solo per capire se agli ufficiali si e agli altri no, in tal caso veramente siamo alla tirannia giuridica.......Gianfranco64 ha scritto: ↑mer gen 20, 2021 10:28 am Per nicopin64
Ti confermo la sentenza n. 20 2021 Sicilia.
Il giudice scrive che andrebbe verificato se ancora viene applicato il 3 comma art 54 alla Pubblica Sicurezza e Polizia Penitenziaria.
Su questo punto ti confermo che ai retributivi è stato riconosciuto questo coefficiente fino al 1997. Dal 1998 il 2%, come anche ai militari del comparto, anziché il 1,80 previsto per i civili.
Buonasera a tutti, questo sarà il mio ultimo post sull’argomento. Ho il sospetto che i nostri commenti siano spiati. Ho notato che spesso, sia i ricorsi che le sentenze siano allineate ai nostri commenti.
sempre immaginato dell'infiltrazione del nemico
Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da Paco1960 »
Le corte dei Conti del Sud sono di manica larga
CdC Molise sentenza nr. 7 del 5 gennaio 2021 patrocinata dall'Avv. Parisi, quindi successiva alla sentenza delle SSRR.
Riconosce tutto il 44% al carabiniere + 15.
Conclusivamente, alla stregua di quanto sopra esposto, il pre-
sente ricorso va accolto, con conseguente riconoscimento del
diritto del ricorrente alla riliquidazione del trattamento pensio-
nistico di cui è titolare, con applicazione, sulla quota calcolata
con il sistema retributivo (quota A), dell'aliquota di rendimento
14
più favorevole prevista dall'art. 54 D.P.R. n.1092/1973, con ef-
ficacia retroattiva decorrente sin dalla data del conseguimento
del trattamento di pensione.
.......
sistema retributivo (quota A) ..cosa voleva dire?
ora mi chiedo che fine farà questa sentenza?
possibile che il giudice non sapesse della sentenza delle SSRR?
Possibile che lo stesso parisi ha fatto lo gnorri?
CdC Molise sentenza nr. 7 del 5 gennaio 2021 patrocinata dall'Avv. Parisi, quindi successiva alla sentenza delle SSRR.
Riconosce tutto il 44% al carabiniere + 15.
Conclusivamente, alla stregua di quanto sopra esposto, il pre-
sente ricorso va accolto, con conseguente riconoscimento del
diritto del ricorrente alla riliquidazione del trattamento pensio-
nistico di cui è titolare, con applicazione, sulla quota calcolata
con il sistema retributivo (quota A), dell'aliquota di rendimento
14
più favorevole prevista dall'art. 54 D.P.R. n.1092/1973, con ef-
ficacia retroattiva decorrente sin dalla data del conseguimento
del trattamento di pensione.
.......
sistema retributivo (quota A) ..cosa voleva dire?
ora mi chiedo che fine farà questa sentenza?
possibile che il giudice non sapesse della sentenza delle SSRR?
Possibile che lo stesso parisi ha fatto lo gnorri?
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da Paco1960 »
la sentenza e' la nr. 1 2021
https://banchedati.corteconti.it/docume ... NZA/1/2021
Rileggendo in effetti il giudice sapeva della incombente sentenza delle SSRR ma non ha rinviato nè aggiornato dopo il 4 gennaio
la richiesta di rinvio e/o di
sospensione della decisione del giudizio proposta dall’INPS, in
attesa di conoscere gli esiti della pronuncia a valenza nomofi-
lattica delle Sezioni Riunite adite da altre Sezioni su analoga
vicenda, con termine per ulteriori note difensive, anche al fine
di evitare inutili e dispendiose impugnazioni, ex art.111 Cost.
non merita di essere accolta per i seguenti motivi.
Sebbene il giudicante non ignori certo - e concordi, anzi – che
le esigenze di economia processuale illustrate dalla difesa
dell’INPS e il deferimento alle Sezioni Riunite di questa Corte
della “questione di massima” in subiecta materia già avvenuto
da parte della Sezione Prima Centrale d’Appello (ordinanza n.
26/2020) possano condurre ad opposta decisione, ritiene, tut-
tavia, che giovi ricordare come il giudice pensionistico di primo
grado è attualmente sfornito del potere o legittimazione di di-
sporre la rimessione di una “questione di massima” dinanzi al-
le Sezioni Riunite di questa Corte - al fine di ottenere una pro-
nuncia nomofilattica che assicuri un’uniforme interpretazione
e la corretta applicazione della norma oggetto di conflitti o di
oscillanti orientamenti giurisprudenziali - dal momento che il
sopravvenuto art. 11, co. 3, del D.Lgs. 26/8/2016, n. 274 di
approvazione del Codice di giustizia contabile riserva tale pote-
re di deferimento in via esclusiva alle Sezioni Giurisdizionali di
Appello (e al Presidente della Corte e al Procuratore Generale).
Orbene, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di c.d. pre-
giudizialità o incidente costituzionale per le “questioni di legit-
timità costituzionali” di una norma di legge sollevabili dinanzi
alla Corte Costituzionale anche d’ufficio (oltreché dalle parti)
da qualsiasi autorità giurisdizionale – e quindi anche dal giu-
dice delle pensioni di primo grado - dinanzi alla quale pende il
relativo giudizio con conseguente trasmissione degli atti e so-
spensione necessaria del giudizio principale o originario, ai
sensi del comb. disp. art. 23, co. 1-3, L. n. 87/1953 e art. 295
c.p.c. (qualora il giudizio non possa essere definito indipenden-
temente dalla risoluzione della questione di legittimità costitu-
zionale e non ritenga che la questione sollevata sia manifesta-
mente infondata) - nella fattispecie concreta devono ritenersi
non ricorrere i presupposti e i requisiti descritti nell’art. 106,
co. 1 e 2, c.g.c. per sospendere - o rinviare - la decisione del
processo in esame in difetto di un rapporto di pregiudiziali-
tà/dipendenza, sostanziale o tecnico, con l’altro giudizio, ipote-
ticamente pregiudicante (poiché pendenti tra soggetti diversi,
ad esempio) o di concorde istanza proveniente delle parti.
Preclusione, naturalmente, che opera anche in termini di so-
spensione c.d. “impropria” del giudizio principale o pregiudica-
to, come invece avviene, di regola, alla stregua dei più recenti
arresti della giurisprudenza contabile (v. ordinanza del
15/10/2014, n. 28 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato), vale a dire nel caso in cui la decisione di un’analoga
questione di massima sia già stata sollevata e deferita da di-
versa Sezione.
.....
Risultato: si va in appello salvo accordi
https://banchedati.corteconti.it/docume ... NZA/1/2021
Rileggendo in effetti il giudice sapeva della incombente sentenza delle SSRR ma non ha rinviato nè aggiornato dopo il 4 gennaio
la richiesta di rinvio e/o di
sospensione della decisione del giudizio proposta dall’INPS, in
attesa di conoscere gli esiti della pronuncia a valenza nomofi-
lattica delle Sezioni Riunite adite da altre Sezioni su analoga
vicenda, con termine per ulteriori note difensive, anche al fine
di evitare inutili e dispendiose impugnazioni, ex art.111 Cost.
non merita di essere accolta per i seguenti motivi.
Sebbene il giudicante non ignori certo - e concordi, anzi – che
le esigenze di economia processuale illustrate dalla difesa
dell’INPS e il deferimento alle Sezioni Riunite di questa Corte
della “questione di massima” in subiecta materia già avvenuto
da parte della Sezione Prima Centrale d’Appello (ordinanza n.
26/2020) possano condurre ad opposta decisione, ritiene, tut-
tavia, che giovi ricordare come il giudice pensionistico di primo
grado è attualmente sfornito del potere o legittimazione di di-
sporre la rimessione di una “questione di massima” dinanzi al-
le Sezioni Riunite di questa Corte - al fine di ottenere una pro-
nuncia nomofilattica che assicuri un’uniforme interpretazione
e la corretta applicazione della norma oggetto di conflitti o di
oscillanti orientamenti giurisprudenziali - dal momento che il
sopravvenuto art. 11, co. 3, del D.Lgs. 26/8/2016, n. 274 di
approvazione del Codice di giustizia contabile riserva tale pote-
re di deferimento in via esclusiva alle Sezioni Giurisdizionali di
Appello (e al Presidente della Corte e al Procuratore Generale).
Orbene, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di c.d. pre-
giudizialità o incidente costituzionale per le “questioni di legit-
timità costituzionali” di una norma di legge sollevabili dinanzi
alla Corte Costituzionale anche d’ufficio (oltreché dalle parti)
da qualsiasi autorità giurisdizionale – e quindi anche dal giu-
dice delle pensioni di primo grado - dinanzi alla quale pende il
relativo giudizio con conseguente trasmissione degli atti e so-
spensione necessaria del giudizio principale o originario, ai
sensi del comb. disp. art. 23, co. 1-3, L. n. 87/1953 e art. 295
c.p.c. (qualora il giudizio non possa essere definito indipenden-
temente dalla risoluzione della questione di legittimità costitu-
zionale e non ritenga che la questione sollevata sia manifesta-
mente infondata) - nella fattispecie concreta devono ritenersi
non ricorrere i presupposti e i requisiti descritti nell’art. 106,
co. 1 e 2, c.g.c. per sospendere - o rinviare - la decisione del
processo in esame in difetto di un rapporto di pregiudiziali-
tà/dipendenza, sostanziale o tecnico, con l’altro giudizio, ipote-
ticamente pregiudicante (poiché pendenti tra soggetti diversi,
ad esempio) o di concorde istanza proveniente delle parti.
Preclusione, naturalmente, che opera anche in termini di so-
spensione c.d. “impropria” del giudizio principale o pregiudica-
to, come invece avviene, di regola, alla stregua dei più recenti
arresti della giurisprudenza contabile (v. ordinanza del
15/10/2014, n. 28 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato), vale a dire nel caso in cui la decisione di un’analoga
questione di massima sia già stata sollevata e deferita da di-
versa Sezione.
.....
Risultato: si va in appello salvo accordi
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da naturopata »
Voglio far notare ai colleghi delle prime sentenze del Lazio che respingono ma dicono che l'INPS deve poi attenersi al coefficiente del 2,44 di cui alla SS.RR. di stare attenti ai termini dell'appello, perché il Giudice respinge il ricorso e quindi dà ragione all'INPS, poi però quasi invita l'Istituto a dare il 2,44, ma l'INPS ha vinto e farà orecchie da mercante. La cosa non va bene il ricorso andava parzialmente accolto in merito al riconoscimento dell'art.54 in luogo dell'art.44 e in merito al coefficiente del 2,44 per anno (e non del 44% tout court, ovvero 2,93 per anno) in luogo del 2,33.
Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Carissimi buonasera,Pierpa64 ha scritto: ↑gio gen 14, 2021 8:45 pmConfermo che oggi, un collega ha inviato diffida ad adempiere all'INPS e attende risposta. In caso negativo l'avvocato ha pronto il ricorso.panorama ha scritto: ↑lun gen 11, 2021 9:25 pm Un collega che ad oggi non ha fatto ancora nulla ma un +15 anni, si è trovato a parlare con un impiegato dell'INPS e questi gli ha riferito che basterà fare una istanza sul ricalcolo è dovrebbe essere sufficiente per l'INPS per poter provvedere al ricalcolo.
Cmq., provare per credere per coloro che ad oggi non hanno fatto nessuna diffida all'Istituto pensionistico e dare voce quì.
al collega che aveva diffidato l'INPS di Bologna, è giunta questa mattina la risposta che incollo integralmente e attendo i vostri commenti:
"""
-------------------------
Da: direzione.provinciale.bologna@postacert.inps.gov.it
Posted date: 2021-01-21 08:46:36.75
Per
omesso
Cc
Allegati
Oggetto: Risposta: POSTA CERTIFICATA: omesso: istanza ex art. 54 DPR n. 1092/1973
-------------------------
In relazione all’atto di diffida, pervenuto con posta elettronica certificata in data 14.01.2021, con il quale si chiede la riliquidazione del trattamento pensionistico nei confronti del Sig. omesso, codice fiscale omesso, pensione n. omesso, da Lei rappresentato, si fa presente quanto segue.
L’articolo 54, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973, per il calcolo della quota retributiva della pensione, dispone, tra l’altro, che: “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile…... La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo…”
Si premette che, secondo le disposizioni normative vigenti in materia di calcolo della pensione, il sistema retributivo trova applicazione con riferimento alle anzianità contributive maturate entro il 31 dicembre 1995 per coloro che a tale data hanno maturato un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni mentre il sistema contributivo trova applicazione per le anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 1996.
Ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione in favore del Suo assistito, è stata data attuazione alle disposizioni di cui al citato articolo 54.
Si precisa che l’aliquota di rendimento del 44% è riconosciuta in misura diversificata in relazione all’anzianità contributiva da valorizzare con il sistema di calcolo retributivo.
In particolare, per quella maturata al 31 dicembre 1995 - ricompresa tra 15 ed entro i 18 anni, l’aliquota di rendimento del 44% è stata riparametrata secondo i seguenti criteri.
Per i primi 15 anni è stata applicata l’aliquota del 35% mentre l’aliquota differenziale tra il 44% e la suddetta percentuale - pari al 9% - è stata riproporzionata considerando l’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995 (9% : 5 x il numero degli anni ricompresi tra il quindicesimo e quelli maturati al 31 dicembre 1995).
Per le anzianità contributive che si collocano temporalmente dopo il 31 dicembre 1995, è stata determinata la quota di pensione con il sistema di calcolo contributivo ai sensi dell’articolo 1, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Tale sistema di calcolo prevede l’applicazione di un montante contributivo - determinato dalla somma di tutti i contributi computati e rivalutati annualmente, su base composta, e rivalutati annualmente – moltiplicato per un coefficiente di trasformazione riferito all’età anagrafica alla data di decorrenza della pensione.
Delineato il quadro normativo e l’ambito di applicazione dell’articolo 54, comma 1, del DPR n. 1092 del 1973, si conferma il provvedimento di liquidazione della pensione oggetto della Sua richiesta.
Distinti saluti
D.ssa omesso
omesso
Inps Bologna """
Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
La CdC Sicilia con le sentenze n. 45, 46 e 47 in riferimento a personale Militare con + 15 e redatte dal Giudice Gioacchino Alessandro, mantiene valido il 2,44%.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Messaggio da naturopata »
Pierpa64 ha scritto: ↑gio gen 21, 2021 8:26 pmCarissimi buonasera,Pierpa64 ha scritto: ↑gio gen 14, 2021 8:45 pmConfermo che oggi, un collega ha inviato diffida ad adempiere all'INPS e attende risposta. In caso negativo l'avvocato ha pronto il ricorso.panorama ha scritto: ↑lun gen 11, 2021 9:25 pm Un collega che ad oggi non ha fatto ancora nulla ma un +15 anni, si è trovato a parlare con un impiegato dell'INPS e questi gli ha riferito che basterà fare una istanza sul ricalcolo è dovrebbe essere sufficiente per l'INPS per poter provvedere al ricalcolo.
Cmq., provare per credere per coloro che ad oggi non hanno fatto nessuna diffida all'Istituto pensionistico e dare voce quì.
al collega che aveva diffidato l'INPS di Bologna, è giunta questa mattina la risposta che incollo integralmente e attendo i vostri commenti:
"""
C'è poco da commentare, al momento bisognerà fare sempre ricorso per pochi spiccioli, con il rischio di ulteriori aggiustamenti in difetto. L'INPS prova a cambiare le carte in tavola, ovvero anziché dire che ha applicato l'art.44, afferma che ha applicato l'art.54, applicando il 35% sino a 15 anni e l'1,8 sino al 20 così da raggiungere il 44% di cui al comma 1 dell'art.54. Questo ovviamente non può avere appiglio normativo, perché il comma 2 dice che solo dopo il 20 anno si applica il 1,8% e quindi fino a 20 la percentuale deve essere superiore.
Mi sembra di vedere che l'INPS abbia, come dire, carta bianca, non so, come la licenza che aveva un certo James Bond.
Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Per naturopata:
Cit.
"Mi sembra di vedere che l'INPS abbia, come dire, carta bianca, non so, come la licenza che aveva un certo James Bond"
Nel migliore stile "DPCM" con cui d'ora in poi vedremo governati!!!!
Cit.
"Mi sembra di vedere che l'INPS abbia, come dire, carta bianca, non so, come la licenza che aveva un certo James Bond"
Nel migliore stile "DPCM" con cui d'ora in poi vedremo governati!!!!
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