ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

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domenico69
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

panorama ha scritto: ven set 13, 2019 3:18 pm
"...Ebbene, con quest’ultimo Appello a sfavore dell’INSP sull’art. 54, il pericolo si è verificato."
Pericolo di cosa?!?

Veramente a me sembra di capire che questa sentenza conferma che anche a chi ha meno di 15 anni al 31.12.95 spetta l'art. 54, com'è giusto che sia.

Se così é, qual'è il pericolo?!?


panorama
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da panorama »

Peccato che non avete capito il significato a cui alludevo ma non è colpa mia. La CdC del T.A.A. sez. di Trento con la n. 25/2019 ha bocciato un ricorso di un collega, che nel 1995 non aveva i 15 anni ma vantava, 13 anni e 4 mesi.

La CdC Sez. 2^ d’Appello con la sentenza n. 310/2019 conferma che l'art. 54 spetta anche con inferiori ai 15 anni, tanto che l'appello era riferito ad una persona che alla data del 31/12/1995, aveva soltanto 13 anni e 2 mesi, e questa apre "nuova pista" tanto da sfatare il c.d. arruolati 1981- giugno 1983.

Più elementare di così non so spiegarlo.

Ora certamente, l'INPS per la manovra economica 2020 dovrà chiedere al Governo abbondanti finanziamenti.
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istillnotaffound
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da istillnotaffound »

fate attenzione, perchè come sempre asserito dal saggio @naturopata non è tutto oro ciò che luccica e, soprattutto, per noi...c'è chi avrà sicuramente un ritorno dal diffondersi (fatto anche ad arte) di queste notizie e magari non siamo noi....
”Un'altra vittoria come questa e torno a casa senza esercito!“ (Pirro)
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

L'ultima sentenza della II^ sez. centrale, la n.310/2019, sembra oramai fare chiarezza nel determinare l'applicazione dell'art. 54 a tutti i militari arruolati entro il 1 gennaio 1995 e con aliquota annua pari al 2,93% e quindi tutti avranno delle migliorie. Non può che essere così, non ha senso giuridico applicare l'art 54 a chi ha almeno 15 anni al 1995 e invece l'art 44 (che si afferma inapplicabile ai militari) per chi ha meno di 15 anni al 1995. Questo lo dicevo da tempo, tuttavia ora si va incontro a una rideterminazione di massa delle pensioni, non solo di chi si è arruolato nel triennio 1981/1983, ma anche per tutti gli anni a seguire fino al 1995. Ora, o l'art.54 varrà per tutti o, vi sarà cambio di orientamento e non varrà per nessuno, fatte salve le sentenze che saranno passate in giudicato, ma questa è logica. Vediamo la 3 sezione cosa dice che pare strano, ma sembra, stranamente, non avere avuto in calendario alcun appello sull'art.54. Ultimamente, sto vedendo un calo vertiginoso delle sentenze di appello, dal punto di vista numerico e magari bisogna foraggiare il contenzioso.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

panorama ha scritto: sab set 14, 2019 8:12 am "...Più elementare di così non so spiegarlo..."
Scusa cosa hai spiegato in merito al pericolo a cui asserisci?!?

Che in futuro verranno accolti anche i ricorsi inerenti a colleghi con meno di 15 anni al 31.12.95, come da sentenza d'appello?
In questo caso non vedo un pericolo, bensì un cessato pericolo!

Che in futuro NON verranno accolti tali ricorsi a seguito della sentenza del T.A.A?
Ed in questo caso allora c'è il pericolo!

O cos'altro?!?

P.S. Sarò gnucco ma non capisco nemmeno la tua spiegazione elementare!🤔
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

naturopata ha scritto: sab set 14, 2019 3:41 pm "...aliquota annua pari al 2,93% e quindi tutti avranno delle migliorie. Non può che essere così..."
Adesso siamo convinti che non dicevo una XXXXXXXX o ancora no?!?

Sei ancora convinto che nel caso della mia sentenza l'INPS attenda che passi in giudicato in modo che io agisca per ottemperanza per poi sentirmi dire che non ho alcun beneficio dalla sentenza a mio favore?!?

P.S. La legge stranamente in questo caso è chiarissima e chi non la applica lo fa esclusivamente al fine di non sborsare i soldi che deve....
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

naturopata ha scritto: sab set 14, 2019 3:41 pm L'ultima sentenza della II^ sez. centrale, la n.310/2019, sembra oramai fare chiarezza nel determinare l'applicazione dell'art. 54 a tutti i militari arruolati entro il 1 gennaio 1995 e con aliquota annua pari al 2,93% e quindi tutti avranno delle migliorie. Non può che essere così, non ha senso giuridico applicare l'art 54 a chi ha almeno 15 anni al 1995 e invece l'art 44 (che si afferma inapplicabile ai militari) per chi ha meno di 15 anni al 1995. Questo lo dicevo da tempo, tuttavia ora si va incontro a una rideterminazione di massa delle pensioni, non solo di chi si è arruolato nel triennio 1981/1983, ma anche per tutti gli anni a seguire fino al 1995. Ora, o l'art.54 varrà per tutti o, vi sarà cambio di orientamento e non varrà per nessuno, fatte salve le sentenze che saranno passate in giudicato, ma questa è logica. Vediamo la 3 sezione cosa dice che pare strano, ma sembra, stranamente, non avere avuto in calendario alcun appello sull'art.54. Ultimamente, sto vedendo un calo vertiginoso delle sentenze di appello, dal punto di vista numerico e magari bisogna foraggiare il contenzioso.
Di seguito il tuo intervento (IN NERETTO) in risposta a quello che dicevo io (SCRITTA NORMALE).

"naturopata
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Re: Ricalcolo pensione art. 54 D. P. R. 1092/1973
Messaggio gio ago 15, 2019 1:13 pm

Non condivido le tue ipotesi di calcolo, come penso non le condividano nemmeno i giudici che accolgono i ricorsi.
In primis l'art. 44 non calcola nessun anno effettivo, come da te detto, in quanto parte da un minimo di 15 anni tale e quale all'art. 54.

Come non le condividi tu io non condivido le tue come nemmeno gli altri giudici che non hanno accolto i ricorsi inferiori ai 15 utili, che sono, in numero, molto superiori a quelli accolti.

Poi, essendo che per i militari, rispetto ai civili, viene riconosciuto un vantaggio, appunto una base di partenza del 44% dai 15 ai 19 anni contro il 35% dei civili che vengono parificati ai militari al 20esimo anno, il tuo calcolo non ha nessuna logica.
Quindi visto che il legislatore riconosce un vantaggio nei confronti dei militari, la giusta scomposizione dell'art. 54 è 44%:15=2,93% annuo e non 44%:20=2,2% annuo.

Ti consiglio di leggere le norme, l'improvvisazione nel diritto non paga mai:

44. Misura del trattamento normale.

La pensione spettante al personale civile con l'anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile; detta percentuale è aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell'ottanta per cento.


L'art.54 tratta degli anni utili, cosa ben diversa.

I civili non vengono paragonati a nessun militare, ci mancherebbe, al limite è stato il contrario (legge 335/95),il civile ha il 35% con 15 effettivi e se arriva a 19 (in realtà neanche 18 perché altrimenti sarebbe retributivo "puro"), bisogna aggiungere 1,8% per ogni ulteriore anno e quindi arriva al 40,4% ai 18 anni.


In quest'ultimo calcolo, dove sarebbe il vantaggio riconosciuto?!?
Inoltre, secondo te, se fosse corretto il 2,2% annuo in base al tuo calcolo, non pensi che l'INPS lo applicherebbe automaticamente a tutti quelli con meno di 15 anni, ottenendo un ulteriore vantaggio per se stesso?!?

Con questi ricorsi magari lo farà, ma non può, perché riconoscerebbe l'art.54 automaticamente per tutti quelli che hanno almeno 15 anni utili al 1995 e l'aggravio sarebbe maggiore e poi bisogna seguire una logica, ovvero applicare l'art.44 a tutti.

Medita un attimino! ;-)

Ora ti dico cosa accadrà con la tua sentenza, almeno quello che farei io fossi l'INPS. Il giudice, non ti ha riconosciuto il 2,93% per ogni anno utile (vedi sentenza n.45/2019 Liguria e tutte le altre 47/2019, 49/2019, 56/2019, etc.etc.), l'INPS potrebbe non appellare e far passare in giudicato la sentenza, tu non l'appelli perché credi di aver vinto e poi saresti costretto a fare solo ottemperanza e lì l'INPS direbbe che dal ricalcolo non avresti alcun vantaggio, anzi un decremento e quindi rimanere fregato.

Io prima di scrivere medito sempre. Vediamo tu e il tuo legale cosa farete se le cose andranno così, io lo so bene cosa farei, a parte che avrei già risolto in primo grado."


Cosa dicevi da tempo?!? 🤔
Sarà mica cambiato il vento!?! 😉
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

Evidentemente sono poco chiaro io. Io non cambio idea e lo dico nuovamente, l'art.54 per me è abrogato e non spetta a nessuno, né a chi ha 15 anni utili al 1995, tantomeno a chi ne ha meno. Però se uno lo ritiene ancora "attivo", dei giudici, l'art.54 non può che avere effetto per tutti sia 15 che -15. Ora l'orientamento sembra essere, o spetta a tutti o a nessuno (quindi io sono ancora in "gioco", contrariamente a quello che dici, anzi), mentre prima certamente spettava ai 15, ora quest'ultimi, in caso di ribaltamento (e sottolineo in caso di ribaltamento) saranno fregati e io ho sempre detto che non spetterebbe a nessuno, ma questa è sempre una mia opinione.

Per il tuo caso, credo che siano passati 6 mesi dalla tua sentenza, e secondo me non ti hanno liquidato ancora nulla e quindi rimane in piedi ancora un probabile appello o un bel silenzio, ma se vuoi avere certezza, basta che notifichi la sentenza ed entro 60gg, saprai se appellano, ovvero ti liquidano, ovvero non fanno nulla.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da louiss »

ciao naturopata,
nella mia sentenza il giudice ha stabiilito l'aliquota del 2,2% avendo calcolato il 44 diviso 20. ho fatto i conteggi, usando il 2,2% e il 2,93%, la differenza è di 25 euro al mese in meno con l'aliquota al 2,2%. perchè dici che con questa aliquota il calcolo fatto dall'inps sarebbe addirittura negativo?
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

naturopata ha scritto: sab set 14, 2019 7:45 pm Evidentemente sono poco chiaro io. Io non cambio idea e lo dico nuovamente, l'art.54 per me è abrogato e non spetta a nessuno, né a chi ha 15 anni utili al 1995, tantomeno a chi ne ha meno.

Ma se hai scritto: "L'ultima sentenza della II^ sez. centrale, la n.310/2019, sembra oramai fare chiarezza nel determinare l'applicazione dell'art. 54 a tutti i militari arruolati entro il 1 gennaio 1995 e con aliquota annua pari al 2,93% e quindi tutti avranno delle migliorie. Non può che essere così, non ha senso giuridico applicare l'art 54 a chi ha almeno 15 anni al 1995 e invece l'art 44 (che si afferma inapplicabile ai militari) per chi ha meno di 15 anni al 1995." , a casa mia stai dicendo un'altra cosa o spetta a tutti o é abrogato. 🤔

Però se uno lo ritiene ancora "attivo", dei giudici, l'art.54 non può che avere effetto per tutti sia 15 che -15. Ora l'orientamento sembra essere, o spetta a tutti o a nessuno (quindi io sono ancora in "gioco", contrariamente a quello che dici, anzi),

Non è questione di orientamento ma solamente di applicazione della legge (sempre pensato che spetta a tutti i misti e non solo 81/83, non per niente ho fatto ricorso che ho vinto.
Per il fatto di essere in gioco ci sarebbe da pensarci un po' su visto che per te l'articolo é abrogato.


..mentre prima certamente spettava ai 15, ora quest'ultimi, in caso di ribaltamento (e sottolineo in caso di ribaltamento) saranno fregati e io ho sempre detto che non spetterebbe a nessuno, ma questa è sempre una mia opinione.

Mi sembra che ci siano poche idee ma molto confuse, prima è abrogato, poi non può che essere così nel senso di applicarlo a tutti, poi certamente spettava a chi ha più di 15 anni... 🤔

Per il tuo caso, credo che siano passati 6 mesi dalla tua sentenza, e secondo me non ti hanno liquidato ancora nulla e quindi rimane in piedi ancora un probabile appello o un bel silenzio, ma se vuoi avere certezza, basta che notifichi la sentenza ed entro 60gg, saprai se appellano, ovvero ti liquidano, ovvero non fanno nulla.

Anche qui poche idee ma ben confuse, ovvio che o appellano o pagano o non fanno nulla. 🤔 Non potrebbero esserci altrimenti se non sbaglio. Dalla serie o é 1 o é 2 o e X 😉
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

domenico69 ha scritto: sab set 14, 2019 11:39 pm
naturopata ha scritto: sab set 14, 2019 7:45 pm Evidentemente sono poco chiaro io. Io non cambio idea e lo dico nuovamente, l'art.54 per me è abrogato e non spetta a nessuno, né a chi ha 15 anni utili al 1995, tantomeno a chi ne ha meno.

Ma se hai scritto: "L'ultima sentenza della II^ sez. centrale, la n.310/2019, sembra oramai fare chiarezza nel determinare l'applicazione dell'art. 54 a tutti i militari arruolati entro il 1 gennaio 1995 e con aliquota annua pari al 2,93% e quindi tutti avranno delle migliorie. Non può che essere così, non ha senso giuridico applicare l'art 54 a chi ha almeno 15 anni al 1995 e invece l'art 44 (che si afferma inapplicabile ai militari) per chi ha meno di 15 anni al 1995." , a casa mia stai dicendo un'altra cosa o spetta a tutti o é abrogato. 🤔

Sembra fare chiarezza, ma per quei giudici, non per me.

Però se uno lo ritiene ancora "attivo", dei giudici, l'art.54 non può che avere effetto per tutti sia 15 che -15. Ora l'orientamento sembra essere, o spetta a tutti o a nessuno (quindi io sono ancora in "gioco", contrariamente a quello che dici, anzi),

Non è questione di orientamento ma solamente di applicazione della legge (sempre pensato che spetta a tutti i misti e non solo 81/83, non per niente ho fatto ricorso che ho vinto.
Per il fatto di essere in gioco ci sarebbe da pensarci un po' su visto che per te l'articolo é abrogato.


Non è abrogato solo per me, c'è qualche giudice che la pensa come, anche se dopo di me.

..mentre prima certamente spettava ai 15, ora quest'ultimi, in caso di ribaltamento (e sottolineo in caso di ribaltamento) saranno fregati e io ho sempre detto che non spetterebbe a nessuno, ma questa è sempre una mia opinione.

Mi sembra che ci siano poche idee ma molto confuse, prima è abrogato, poi non può che essere così nel senso di applicarlo a tutti, poi certamente spettava a chi ha più di 15 anni... 🤔

Con una sentenza che sposa quasi del tutto quello che penso io magari sarà più chiaro.

Per il tuo caso, credo che siano passati 6 mesi dalla tua sentenza, e secondo me non ti hanno liquidato ancora nulla e quindi rimane in piedi ancora un probabile appello o un bel silenzio, ma se vuoi avere certezza, basta che notifichi la sentenza ed entro 60gg, saprai se appellano, ovvero ti liquidano, ovvero non fanno nulla.

Anche qui poche idee ma ben confuse, ovvio che o appellano o pagano o non fanno nulla. 🤔 Non potrebbero esserci altrimenti se non sbaglio. Dalla serie o é 1 o é 2 o e X 😉

Non è per nulla vero, se trascorrono i 13 mesi, non potrà più appellare nessuno, né loro, ma nemmeno tu e quella sentenza non può più essere riformata e se l'INPS non si adegua, tu può solo agire in ottemperanza, ma nella tua non c'è scritto da nessuna parte che ti spetta il 2,93 ogni anno.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

Di seguito l'ultima sentenza del Veneto, io farò, secondo te un po' di confusione, ma evidentemente c'è qualche Giudice che la pensa come me e manca ancora all'appello la 3^ sez che viene proprio citata in sentenze di questo tipo, poi chi vivrà vedrà, ma io anche qualora il contenzioso andasse per il si totale, sarò contento per tutti i colleghi, ma rimarrò sempre del mio avviso, ovvero che l'art.54, comma 1, anche se non esplicitamente abrogato, lo è implicitamente per fatti concludenti. Su questo argomento non torneò più, attendendo cosa dirà la 3^ sez.:

REPUBBLICA ITALIANA N°134/2019
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE per il VENETO
In composizione monocratica in funzione di Giudice Unico delle Pensioni
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30851 del registro di segreteria, sul ricorso
presentato da
M. M., nato il OMISSIS a OMISSIS e residente a OMISSIS c.f. OMISSIS,
rappresentato e difeso dall’ avv. Enrico Antonio Cleopazzo del Foro di
Pordenone, e domicilio ex lege presso la segreteria della Sezione;
CONTRO
ISTITUTO NAZIONALE PER LA PREVIDENZA SOCIALE -I.N.P.S.
rappresentato e difeso dall’Avv. Aldo Tagliente e domicilio eletto in
Venezia, Dorsoduro 3500/d;
Per la rideterminazione della quota di pensione liquidata con il sistema
retributivo con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art.
54, comma 1, del DPR n. 1092/73, per il conseguente ricalcolo del
trattamento pensionistico complessivamente erogato e il rimborso degli
arretrati maturati;
ESAMINATI il ricorso ed i documenti con esso depositati in causa nonché
gli atti e i documenti di costituzione dell’I.N.P.S., gli ulteriori acquisiti in
corso di causa;
Sentiti all’odierna udienza i difensori delle parti come da verbale.
2
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 18 aprile 2019, iscritto al n. 30851 del registro di segreteria, ritualmente notificato, il ricorrente, ex militare dell’Esercito italiano, cessato dal servizio per anzianità il 30.11.2018, ha impugnato, in parte de qua, il decreto di attribuzione del trattamento di pensione, lamentando l’erroneità del relativo calcolo, non avendo trovato applicazione l’art. 54 del DPR 1092/73, che prevede l’applicazione dell’aliquota di rendimento del 44% per la parte di pensione da liquidarsi con il sistema retributivo, essendo stata invece applicata l’aliquota prevista dall’art. 44 del citato DPR per i dipendenti civili.
Richiamata la giurisprudenza di talune Sezioni regionali di questa Corte che si è pronunciata in modo conforme, il ricorrente ha chiesto in sede giudiziale, previa diffida in data 14.2.2019, non riscontrata dall’INPS, la rideterminazione della quota di pensione retributiva con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art. 54, comma 1, del DPR n. 1092/73 con conseguente ricalcolo del trattamento pensionistico e rimborso degli arretrati maturati.
Sostiene infatti il ricorrente che l’art.54 citato deve essere interpretato nel senso di imporre all’amministrazione di applicare, a partire dal 15^ anno di servizio, l’aliquota del 44% e non quella del 35% -prevista dall’art. 44 del medesimo DPR per il personale civile- al personale militare.
A tale conclusione il ricorrente perviene facendo proprio l’orientamento di talune Sezioni regionali che hanno accolto analoghi ricorsi, secondo cui l’art. 54 citato trova applicazione nel caso di attribuzione della pensione
3
con sistema misto in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 335 del 31.12.1995: l l’art. 54, primo comma, deve quindi essere interpretato come misura attuale dell’aliquota da applicarsi nel calcolo della pensione (con sistema misto) per coloro che, anche se cessati dal servizio in data successiva, al 31.12.1995 avevano maturato più di 15 anni e non più di 20 di servizio utile; a tale interpretazione non può ostare l’inesistenza di un criterio legislativo di riparto di detta aliquota ai fini del calcolo della quota di pensione retributiva con riferimento ai servizi maturati al 31.12.1992 (e, quindi, utilizzando come base pensionabile l’ultima retribuzione) e al 31.12.1995 (e, quindi, utilizzando come base pensionabile la media delle ultime retribuzioni) ed è comunque avvalorata dalla circostanza che il secondo comma del medesimo art. 54 prevede che al militare spetti la maggiorazione del 1,80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo fino ad un M. dell’80%, disposizione che non avrebbe senso se la disciplina dell’articolo si riferisse solo a coloro che sono cessati dal servizio con un’anzianità massima di 20 anni.
Si è costituito in giudizio l’INPS, contestando la fondatezza delle ragioni del ricorrente sulla scorta della considerazione che la necessaria, rigorosa, interpretazione della norma invocata (art. 54 del DPR 1092/73), anche alla luce della ratio legis a cui è ispirata (quella, cioè, di parificare la situazione di chi cessava dal servizio tra i 15 e 20 anni), non possa che condurre a ritenere applicabile la disposizione ai soli militari che, all’atto del congedo, avessero maturato una anzianità di servizio utile a pensione tra i 15 e i 20 anni.
4
L’applicazione della norma voluta dal ricorrente altro non farebbe che alterare, del tutto irragionevolmente -creando peraltro situazioni non giustificabili di disparità di trattamento tra gli stessi militari-, il rapporto tra quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al regime c.d. misto.
La norma, infatti, è volta a garantire un trattamento pensionistico minimo ai militari che cessino dal servizio con una anzianità ridotta, ma non vi è ragione alcuna per applicarla a chi, come il ricorrente, sia cessato dal servizio con una anzianità ben superiore.
Non può, secondo l’Istituto, avere rilievo l’anzianità di servizio al 31.12.1995, avendo rilievo detta data unicamente ai fini dell’applicazione dei diversi regimi pensionistici, ma non potendo artificiosamente essere utilizzata per alterare, in deroga quanto voluto dalla legge 335/95, il rapporto tra le quote di calcolo del sistema retributivo e contributivo.
All’odierna udienza, presenti i difensori delle parti come da verbale, l’Avv, Cleopazzo ha insistito per l’accoglimento del ricorso, richiamando la recente pronuncia n. 310/2019 della Seconda Sezione d’Appello, mentre l’Avv. Doni Per INPS ha insistito per il rigetto, richiamando la sentenza nl 76/2019 della Sezione giurisdizionale per l’Abruzzo.
All’esito della discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel merito, la questione sottoposta all’esame di questo Giudice è strettamente di diritto e verte sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 54 del DPR 1092/73.
Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione
5
avendo maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della pensione con il sistema retributivo) una anzianità di servizio utile superiore a 15 anni ed inferiore a 20 anni come apparentemente richiesto dalla norma per l’applicazione dell’aliquota del 44%, ma che nel calcolo della propria pensione relativamente alla quota da liquidarsi con sistema retributivo sarebbe stato applicato un coefficiente inferiore calcolato in base all’art. 44 del D.P.R. 1092/1973 per gli impiegati civili dello Stato che avessero maturato un pari servizio.
A tale ricostruzione ermeneutica l’INPS ha contrapposto una diversa e più restrittiva interpretazione dell’art. 54 citato, la cui applicabilità troverebbe luogo esclusivamente nei casi in cui all’atto della cessazione dal servizio il personale militare destinatario della norma si trovasse nella situazione da quest’ultima descritta, e, cioè, aver maturato un’anzianità superiore a 15 anni e non superiore a 20 anni di servizio utile.
Entrambe le prospettazioni espresse dalle parti in giudizio trovano riscontro nelle pronunce, di diverso segno, delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti e si riportano a due distinte interpretazioni della disposizione.
La prima, di carattere estensivo e sostenuta con il ricorso, trae dalla disposizione una norma di carattere generale, applicabile ai casi di pensione soggetta sistema misto retributivo/contributivo, per i militari che al 31.12.1995 abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che, superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile
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oltre il ventesimo, come ricordato anche dai ricorrenti negli atti di causa).
La seconda, aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato all’atto del congedo, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio, trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia potuto maturare un’anzianità di servizio superiore.
Questo Giudice ritiene di prestare adesione al secondo orientamento interpretativo per le seguenti ragioni di natura ermeneutica e sistematica.
In primo luogo, come già evidenziato (e ricordato dalla resistente nelle proprie difese), tale interpretazione risponde ai criteri ermeneutici delle preleggi, risultando non solo maggiormente aderente al dato letterale, ma soprattutto tenendo conto del fatto che la norma è da considerarsi speciale ed attributiva di un trattamento di favore e, in quanto tale, da interpretarsi in senso restrittivo. A tal riguardo sovviene la ratio della disposizione, introdotta, va ricordato, allorchè vigeva il sistema retributivo puro, con funzione perequativa per quei militari che, per motivi indipendenti dalla propria volontà, fossero costretti ad abbandonare il servizio non avendo raggiunto i vent’anni di servizio.
In secondo luogo, se si aderisse alla prima interpretazione, si porrebbe il problema del riparto della aliquota di rendimento tra i periodi maturati al
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31.12.1992 (per i quali si applica alla base pensionabile pari all’ultima retribuzione), e quelli maturati successivamente e fino al 31.12.1995 (per i quali si applica alla base pensionabile pari alla media degli ultimi anni): alcuna disposizione positiva indica l’eventuale (quanto insussistente) criterio di riparto, risultando qualsivoglia indicazione del tutto arbitraria e priva di riferimento normativo (nello stesso senso, oltre al precedente di questa Sezione n. 46/2018, Sez. Piemonte 3, 18 e 63 del 2018, Sez. Umbria 6/2018, Sez. Emilia Romagna n. 197/2018), non colmabile certo con una pronuncia.
Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dal ricorrente, “la previsione del secondo comma dell’art.54, riferita ai militari con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni, in verità non presuppone il trattamento più favorevole dettato dal primo comma dell’art.54, ma l’applicazione del trattamento ordinario previsto dall’art.44 e applicato dall’Inps all’odierno ricorrente. Secondo tale disposizione, infatti, al dipendente che venga posto in quiescenza con quindici anni di servizio, spetta una pensione calcolata nella misura del 35% della base pensionabile e per gli anni successivi si applica l’aliquota annua dell’1,80% sino al raggiungimento del M. dell’80%. A ben vedere, dunque, al dipendente, civile o militare che sia, che ha raggiunto un’anzianità di servizio utile di venti anni, spetta una pensione calcolata nella misura del 44% della base pensionabile (35% + 1,80% x5= 44); per gli anni successivi l’aliquota è in ogni caso pari all’1,80% con il tetto M. dell’80%.
Ciò conferma che il primo comma dell’art.54 costituisce disposizione di favore per coloro che siano costretti a cessare dal servizio con
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un’anzianità compresa tra i 15 e il 20 anni, mentre il secondo comma si limita a ribadire che per coloro che maturano un’anzianità di servizio maggiore, continuano a valere le aliquote previste dall’art.44.
Deve, infine, considerarsi che è principio generale che il trattamento di quiescenza si determina con riferimento alla situazione ad alle norme vigenti al momento della cessazione dal servizio (Sezione Terza Centrale, n.273/2018) ed è incontestato che il ricorrente è stato posto in quiescenza con oltre 40 anni di servizio utile, nella vigenza della legge n.335/1995” (sez. Emilia Romagna, 197/2018; Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Veneto 40/2019, 47/2019, 51/2019; 55/2019; Sez. Emilia Romagna 30/2019).
Dunque, l’art. 54, primo comma, del D.P.R. 1092/1973 trova applicazione esclusivamente allorchè il congedato avesse maturato, all’atto del congedo, almeno 15 anni e non più di vent’anni di servizio utile, caso che non si attaglia alla situazione del ricorrente, collocato in congedo con una anzianità complessiva maturata al congedo superiore a 20 anni.
Alcuna delle argomentazioni di segno contrario portate dal ricorrente all’esame di questo Giudice appare utile a superare le considerazioni sopra esposte.
In primo luogo, il meccanismo di cui all’art. 54 più volte citato deve (e non può essere diversamente) essere letto in uno con la sua genesi storica, essendo stato pensato all’interno di un sistema pensionistico retributivo puro, in forza del quale la base pensionabile era costituita unicamente dall’ultima retribuzione percepita (art. 53 DPR 1092/73): in
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questo quadro, la disposizione del primo comma dell’art. 54 trovava la propria ratio in un’ottica perequativa, consentendo il riconoscimento di un trattamento pensionistico più favorevole a quei militari (e tutti quei militari: in questo senso la norma è norma di carattere generale) che, pur avendo maturato il diritto a pensione (primo comma dell’art. 52: quindici anni di servizio utile, di cui almeno 12 di servizio effettivo), si trovassero nella condizione di cessare dal servizio (per cause dipendenti dalla loro volontà: raggiunti limiti di età, invalidità, ecc.) senza averne raggiunti 20 (anni di servizio utile: ovviamente, la disposizione non riguardava quei militari che cessassero anticipatamente dal servizio a domanda, ovvero per decadenza ovvero per perdita del grado, per i quali il diritto a pensione si conseguiva con la soglia dei vent’anni di servizio effettivo: art. 52, comma 3, con finalità rispettivamente deflattiva ovvero latu sensu sanzionatoria), consentendo loro di vedersi attribuire un trattamento economico maggiore.
Ma già con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il conseguimento del diritto a pensione a 20 anni ad opera del D.Lgs. 503 del 1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso utilità essendone venuta meno la ratio: è infatti evidente che l’aliquota di rendimento da applicarsi al conseguimento della soglia minima (20 anni) era comunque del 44% (corrispondente, appunto, a 20 anni di servizio, a questo punto in perfetto parallelismo tra impiegati civili e militari) non potendo venire in rilievo, ai fini del conseguimento del diritto a pensione di anzianità, anzianità contributive inferiori.
Nel caso, poi, in cui il militare avesse raggiunto il limite M. di età senza
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aver raggiunto l’anzianità contributiva minima trovava applicazione il penultimo comma dell’art. 54, che impone una valorizzazione dell’anzianità contributiva raggiunta attraverso l‘applicazione di una aliquota del 2,2 per cento per ogni anno di servizio utile (tale aliquota rappresenta il coefficiente annuo in rapporto all’aliquota del 44% su 20 anni di servizio utile).
In considerazione di ciò il mutamento della base pensionabile, dal criterio dell’ultima retribuzione (di cui all’art. 53 del DPR 1092 del 1973) a quella della retribuzione media pensionabile (di cui al D.Lgs.503/92) non poneva, rebus sic stantibus, particolari problemi interpretativi.
Le novelle al sistema pensionistico intervenute successivamente, dal 1992 in poi, se -è vero- non hanno espressamente abrogato la disposizione del primo comma dell’art. 54 (che, in via transitoria, poteva all’epoca dell’introduzione delle riforme trovare ancora applicazione, ma sicuramente non poteva più trovarne allorchè la riforma fosse andata a regime, a partire dal 2001: tab.b allegata al d.lgs 503/92), tuttavia ne hanno circoscritto nel tempo, in ragione del graduale passaggio tra i diversi regimi pensionistici, l’ambito di applicazione.
Appare di tutta evidenza, infatti, che la disposizione del primo comma dell’art. 54 -che non può non essere letta in combinato disposto con il precedente art. 52, primo comma- e, quindi, non ritenersi espressamente riferita all’ipotesi di cessazione dal servizio con anzianità utile tra i 15 e i 20 anni-, quando cioè era possibile conseguire il diritto a pensione con il raggiungimento di un’anzianità contributiva di 15 anni di servizio utile, oggi costituisce ipotesi di residuale, se non addirittura di nessuna concreta applicazione, poiché stante il decorso del tempo, è matematicamente impossibile che possa trovare applicazione in sé e per sé (i militari che cessassero oggi dal servizio con anzianità tra i 15 e i 20 anni di servizio utile dovrebbero essersi arruolati alla fine degli anni ‘90 e, quindi, essere sottoposti al diverso regime contributivo puro).
Resta, quindi, da vedere se la disposizione può avere altra applicazione.
L’ art. 1, comma 12, della legge 335/95 nel disciplinare il c.d. sistema misto, alla lettera a) fa riferimento alla quota di pensione “corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31.12.1995, calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data”.
Dunque, essendo la data di decorrenza della pensione del ricorrente il 1.12.2018 (quella, cioè, a cui bisogna far riferimento secondo la succitata disposizione), il sistema retributivo vigente alla data del 31.12.1995 al medesimo ricorrente applicabile al fine di determinare la relativa quota parte della pensione era quello retributivo “a pieno regime” più sopra descritto, così come risultante dalla riforma c.d. Amato del 1992, in cui il diritto alla pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al D.Lgs 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi) e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44% tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al 31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle ultime
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retribuzioni, ed in cui anzianità inferiori dovevano essere valorizzate con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni anno di servizio utile.
Il sistema retributivo vigente non era, quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari).
Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione e' determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2. Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art. 54 è unicamente rivolto ad individuare il limite M. di trattamento
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derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote dell’art. 54, come limite M. non oltrepassabile dalle nuove modalità di calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità, ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M., rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilita', e' corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma dell’art. 54 ripetutamente citato.
Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 e' collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di eta', se in possesso dell'anzianita' contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841 richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma 1 del D.P.R. 1092/73:
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anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente, per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di cui si è già detto).
Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54, comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è questo il caso, come incontestato).
Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio, tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40 anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995 riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20 anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe, senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20 del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, perché si applicherebbe
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appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello contributivo.
In aggiunta a ciò, non può ignorarsi un ulteriore argomento normativo.
Segnatamente, deve ricordarsi che l'art. 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha esteso ai dipendenti pubblici (con effetto dal 1 gennaio 1995) l'aliquota di rendimento del 2% annuo già vigente ai fini della determinazione della misura della pensione dell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti. Quest’ultima aliquota di rendimento armonizzata, pari per l’appunto al 2% per ogni anno di contribuzione, prescinde dall'anzianità di servizio e dalla categoria di pubblico impiego cui appartiene il lavoratore. Essa, peraltro, è applicabile solo in peius, a mente della clausola di salvaguardia recata dall’art. 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, secondo cui “l'applicazione delle disposizioni in materia di aliquote di rendimento previste dal comma 1 dell'articolo 17 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalla normativa vigente”. (Sez. Abruzzo, 10/2019; id. n. 76/2019; Sez. Veneto 55/2019).
La domanda pertanto non può trovare accoglimento.
Quanto alle spese, al rigetto del ricorso segue la condanna alla spese legali in favore della parte resistente ex art. 31, comma 1, D.Lgs 174/2016, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
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Definitivamente pronunciando sul ricorso iscritto al n. 30851 del registro di Segreteria proposto da M. M. nei confronti di I.N.P.S., ogni diversa domanda od eccezione respinta,
-respinge il ricorso;
-condanna il ricorrente alla rifusione delle spese legali in favore dell’I.N.P.S., che liquida in euro 1.000,00 (mille/00) omnicomprensivi;
Così deciso in Venezia, all’esito della pubblica udienza del 16 settembre 2019.
Il Giudice Unico delle Pensioni
F.to Dott.ssa Daniela Alberghini
Depositata in Segreteria il 17/09/2019
Il Funzionario Preposto
F.to Dott. Stefano Mizgur
Mareemare
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Mareemare »

Naturopata, cosa significa che l'articolo 54 è per te "abrogato implicitamente per fatti concludenti"? Io non ho mai sentito o letto che si possano abrogare articoli di legge in tal senso, ovvero "implicitamente". Però, a quanto pare, le rappresentazioni di legge vengono non soltanto superate da pseudo giudici, ma anche da chi ci va appresso. Ecco perché l'Italia va a rotoli. Grazie, non attendo risposta!
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da elciad1963 »

Buonasera, siamo tutti in attesa della prima sentenza della terza Sezione d'Appello. Qualcuno sa quando dovrebbe pronunciarsi? Dobbiamo attendere ancora a lungo?
domenico69
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da domenico69 »

naturopata ha scritto: mer set 18, 2019 12:34 pm Di seguito l'ultima sentenza del Veneto, io farò, secondo te un po' di confusione, ma evidentemente c'è qualche Giudice che la pensa come me e manca ancora all'appello la 3^ sez che viene proprio citata in sentenze di questo tipo, poi chi vivrà vedrà, ma io anche qualora il contenzioso andasse per il si totale, sarò contento per tutti i colleghi, ma rimarrò sempre del mio avviso, ovvero che l'art.54, comma 1, anche se non esplicitamente abrogato, lo è implicitamente per fatti concludenti. Su questo argomento non torneò più, attendendo cosa dirà la 3^ sez.:

Quindi quand'anche la terza sezione accogliesse l'art. 54 te rimarresti con la tua teoria.
Dalla serie che parliamo a fare!?! 🤔


REPUBBLICA ITALIANA N°134/2019
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE per il VENETO
In composizione monocratica in funzione di Giudice Unico delle Pensioni
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30851 del registro di segreteria, sul ricorso
presentato da
M. M., nato il OMISSIS a OMISSIS e residente a OMISSIS c.f. OMISSIS,
rappresentato e difeso dall’ avv. Enrico Antonio Cleopazzo del Foro di
Pordenone, e domicilio ex lege presso la segreteria della Sezione;
CONTRO
ISTITUTO NAZIONALE PER LA PREVIDENZA SOCIALE -I.N.P.S.
rappresentato e difeso dall’Avv. Aldo Tagliente e domicilio eletto in
Venezia, Dorsoduro 3500/d;
Per la rideterminazione della quota di pensione liquidata con il sistema
retributivo con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art.
54, comma 1, del DPR n. 1092/73, per il conseguente ricalcolo del
trattamento pensionistico complessivamente erogato e il rimborso degli
arretrati maturati;
ESAMINATI il ricorso ed i documenti con esso depositati in causa nonché
gli atti e i documenti di costituzione dell’I.N.P.S., gli ulteriori acquisiti in
corso di causa;
Sentiti all’odierna udienza i difensori delle parti come da verbale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 18 aprile 2019, iscritto al n. 30851 del registro di segreteria, ritualmente notificato, il ricorrente, ex militare dell’Esercito italiano, cessato dal servizio per anzianità il 30.11.2018, ha impugnato, in parte de qua, il decreto di attribuzione del trattamento di pensione, lamentando l’erroneità del relativo calcolo, non avendo trovato applicazione l’art. 54 del DPR 1092/73, che prevede l’applicazione dell’aliquota di rendimento del 44% per la parte di pensione da liquidarsi con il sistema retributivo, essendo stata invece applicata l’aliquota prevista dall’art. 44 del citato DPR per i dipendenti civili.
Richiamata la giurisprudenza di talune Sezioni regionali di questa Corte che si è pronunciata in modo conforme, il ricorrente ha chiesto in sede giudiziale, previa diffida in data 14.2.2019, non riscontrata dall’INPS, la rideterminazione della quota di pensione retributiva con aliquota di rendimento del 44% in applicazione dell’art. 54, comma 1, del DPR n. 1092/73 con conseguente ricalcolo del trattamento pensionistico e rimborso degli arretrati maturati.
Sostiene infatti il ricorrente che l’art.54 citato deve essere interpretato nel senso di imporre all’amministrazione di applicare, a partire dal 15^ anno di servizio, l’aliquota del 44% e non quella del 35% -prevista dall’art. 44 del medesimo DPR per il personale civile- al personale militare.
A tale conclusione il ricorrente perviene facendo proprio l’orientamento di talune Sezioni regionali che hanno accolto analoghi ricorsi, secondo cui l’art. 54 citato trova applicazione nel caso di attribuzione della pensione
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con sistema misto in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 335 del 31.12.1995: l l’art. 54, primo comma, deve quindi essere interpretato come misura attuale dell’aliquota da applicarsi nel calcolo della pensione (con sistema misto) per coloro che, anche se cessati dal servizio in data successiva, al 31.12.1995 avevano maturato più di 15 anni e non più di 20 di servizio utile; a tale interpretazione non può ostare l’inesistenza di un criterio legislativo di riparto di detta aliquota ai fini del calcolo della quota di pensione retributiva con riferimento ai servizi maturati al 31.12.1992 (e, quindi, utilizzando come base pensionabile l’ultima retribuzione) e al 31.12.1995 (e, quindi, utilizzando come base pensionabile la media delle ultime retribuzioni) ed è comunque avvalorata dalla circostanza che il secondo comma del medesimo art. 54 prevede che al militare spetti la maggiorazione del 1,80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo fino ad un M. dell’80%, disposizione che non avrebbe senso se la disciplina dell’articolo si riferisse solo a coloro che sono cessati dal servizio con un’anzianità massima di 20 anni.
Si è costituito in giudizio l’INPS, contestando la fondatezza delle ragioni del ricorrente sulla scorta della considerazione che la necessaria, rigorosa, interpretazione della norma invocata (art. 54 del DPR 1092/73), anche alla luce della ratio legis a cui è ispirata (quella, cioè, di parificare la situazione di chi cessava dal servizio tra i 15 e 20 anni), non possa che condurre a ritenere applicabile la disposizione ai soli militari che, all’atto del congedo, avessero maturato una anzianità di servizio utile a pensione tra i 15 e i 20 anni.
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L’applicazione della norma voluta dal ricorrente altro non farebbe che alterare, del tutto irragionevolmente -creando peraltro situazioni non giustificabili di disparità di trattamento tra gli stessi militari-, il rapporto tra quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al regime c.d. misto.
La norma, infatti, è volta a garantire un trattamento pensionistico minimo ai militari che cessino dal servizio con una anzianità ridotta, ma non vi è ragione alcuna per applicarla a chi, come il ricorrente, sia cessato dal servizio con una anzianità ben superiore.
Non può, secondo l’Istituto, avere rilievo l’anzianità di servizio al 31.12.1995, avendo rilievo detta data unicamente ai fini dell’applicazione dei diversi regimi pensionistici, ma non potendo artificiosamente essere utilizzata per alterare, in deroga quanto voluto dalla legge 335/95, il rapporto tra le quote di calcolo del sistema retributivo e contributivo.
All’odierna udienza, presenti i difensori delle parti come da verbale, l’Avv, Cleopazzo ha insistito per l’accoglimento del ricorso, richiamando la recente pronuncia n. 310/2019 della Seconda Sezione d’Appello, mentre l’Avv. Doni Per INPS ha insistito per il rigetto, richiamando la sentenza nl 76/2019 della Sezione giurisdizionale per l’Abruzzo.
All’esito della discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel merito, la questione sottoposta all’esame di questo Giudice è strettamente di diritto e verte sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 54 del DPR 1092/73.
Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione
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avendo maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della pensione con il sistema retributivo) una anzianità di servizio utile superiore a 15 anni ed inferiore a 20 anni come apparentemente richiesto dalla norma per l’applicazione dell’aliquota del 44%, ma che nel calcolo della propria pensione relativamente alla quota da liquidarsi con sistema retributivo sarebbe stato applicato un coefficiente inferiore calcolato in base all’art. 44 del D.P.R. 1092/1973 per gli impiegati civili dello Stato che avessero maturato un pari servizio.
A tale ricostruzione ermeneutica l’INPS ha contrapposto una diversa e più restrittiva interpretazione dell’art. 54 citato, la cui applicabilità troverebbe luogo esclusivamente nei casi in cui all’atto della cessazione dal servizio il personale militare destinatario della norma si trovasse nella situazione da quest’ultima descritta, e, cioè, aver maturato un’anzianità superiore a 15 anni e non superiore a 20 anni di servizio utile.
Entrambe le prospettazioni espresse dalle parti in giudizio trovano riscontro nelle pronunce, di diverso segno, delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti e si riportano a due distinte interpretazioni della disposizione.
La prima, di carattere estensivo e sostenuta con il ricorso, trae dalla disposizione una norma di carattere generale, applicabile ai casi di pensione soggetta sistema misto retributivo/contributivo, per i militari che al 31.12.1995 abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che, superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile
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oltre il ventesimo, come ricordato anche dai ricorrenti negli atti di causa).
La seconda, aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato all’atto del congedo, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio, trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia potuto maturare un’anzianità di servizio superiore.
Questo Giudice ritiene di prestare adesione al secondo orientamento interpretativo per le seguenti ragioni di natura ermeneutica e sistematica.
In primo luogo, come già evidenziato (e ricordato dalla resistente nelle proprie difese), tale interpretazione risponde ai criteri ermeneutici delle preleggi, risultando non solo maggiormente aderente al dato letterale, ma soprattutto tenendo conto del fatto che la norma è da considerarsi speciale (ma quale norma speciale se l'art. 54 è titolato pensione normale?!?) ed attributiva di un trattamento di favore e, in quanto tale, da interpretarsi in senso restrittivo. A tal riguardo sovviene la ratio della disposizione, introdotta, va ricordato, allorchè vigeva il sistema retributivo puro, con funzione perequativa per quei militari che, per motivi indipendenti dalla propria volontà, fossero costretti ad abbandonare il servizio non avendo raggiunto i vent’anni di servizio. (Difatti chi si trova nel misto non è per la propria volontà che non ha potuto accumulare altri periodi calcolabili col sistema retributivo, ma grazie al legislatore)
In secondo luogo, se si aderisse alla prima interpretazione, si porrebbe il problema del riparto della aliquota di rendimento (ma quale problema di ripartizione dell'aliquota di rendimento se la stessa ha un solo metodo di calcolo?!?)tra i periodi maturati al
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31.12.1992 (per i quali si applica alla base pensionabile pari all’ultima retribuzione), e quelli maturati successivamente e fino al 31.12.1995 (per i quali si applica alla base pensionabile pari alla media degli ultimi anni): alcuna disposizione positiva indica l’eventuale (quanto insussistente) criterio di riparto, risultando qualsivoglia indicazione del tutto arbitraria e priva di riferimento normativo (nello stesso senso, oltre al precedente di questa Sezione n. 46/2018, Sez. Piemonte 3, 18 e 63 del 2018, Sez. Umbria 6/2018, Sez. Emilia Romagna n. 197/2018), non colmabile certo con una pronuncia.
Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dal ricorrente, “la previsione del secondo comma dell’art.54, riferita ai militari con un’anzianità di servizio superiore ai venti anni, in verità non presuppone il trattamento più favorevole dettato dal primo comma dell’art.54, ma l’applicazione del trattamento ordinario previsto dall’art.44 e applicato dall’Inps all’odierno ricorrente. Secondo tale disposizione, infatti, al dipendente che venga posto in quiescenza con quindici anni di servizio, spetta una pensione calcolata nella misura del 35% della base pensionabile e per gli anni successivi si applica l’aliquota annua dell’1,80% sino al raggiungimento del M. dell’80%. A ben vedere, dunque, al dipendente, civile o militare che sia, che ha raggiunto un’anzianità di servizio utile di venti anni, spetta una pensione calcolata nella misura del 44% della base pensionabile (35% + 1,80% x5= 44); per gli anni successivi l’aliquota è in ogni caso pari all’1,80% con il tetto M. dell’80%.
Ciò conferma che il primo comma dell’art.54 costituisce disposizione di favore per coloro che siano costretti a cessare dal servizio con
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un’anzianità compresa tra i 15 e il 20 anni,
(difatti i misti come precedentemente detto non hanno potuto, per volontà del legislatore e non loro, accumulare ulteriori periodi retributivi, quindi...) mentre il secondo comma si limita a ribadire che per coloro che maturano un’anzianità di servizio maggiore, continuano a valere le aliquote previste dall’art.44.
Deve, infine, considerarsi che è principio generale che il trattamento di quiescenza si determina con riferimento alla situazione ad alle norme vigenti al momento della cessazione dal servizio (Sezione Terza Centrale, n.273/2018) ed è incontestato che il ricorrente è stato posto in quiescenza con oltre 40 anni di servizio utile, (quindi per il calcolo della quota retributiva al ricorrente gli applichiamo un'aliquota di rendimento di oltre 40 anni?!?) nella vigenza della legge n.335/1995” (sez. Emilia Romagna, 197/2018; Sez. Abruzzo, 10/2019; Sez. Veneto 40/2019, 47/2019, 51/2019; 55/2019; Sez. Emilia Romagna 30/2019).
Dunque, l’art. 54, primo comma, del D.P.R. 1092/1973 trova applicazione esclusivamente allorchè il congedato avesse maturato, all’atto del congedo, almeno 15 anni e non più di vent’anni di servizio utile, caso che non si attaglia alla situazione del ricorrente, collocato in congedo con una anzianità complessiva maturata al congedo superiore a 20 anni.
Alcuna delle argomentazioni di segno contrario portate dal ricorrente all’esame di questo Giudice appare utile a superare le considerazioni sopra esposte.
In primo luogo, il meccanismo di cui all’art. 54 più volte citato deve (e non può essere diversamente) essere letto in uno con la sua genesi storica, essendo stato pensato all’interno di un sistema pensionistico retributivo puro, in forza del quale la base pensionabile era costituita unicamente dall’ultima retribuzione percepita (art. 53 DPR 1092/73): in
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questo quadro, la disposizione del primo comma dell’art. 54 trovava la propria ratio in un’ottica perequativa, consentendo il riconoscimento di un trattamento pensionistico più favorevole a quei militari (e tutti quei militari: in questo senso la norma è norma di carattere generale) che, pur avendo maturato il diritto a pensione (primo comma dell’art. 52: quindici anni di servizio utile, di cui almeno 12 di servizio effettivo), si trovassero nella condizione di cessare dal servizio (per cause dipendenti dalla loro volontà: raggiunti limiti di età, invalidità, ecc.) senza averne raggiunti 20 (anni di servizio utile: ovviamente, la disposizione non riguardava quei militari che cessassero anticipatamente dal servizio a domanda, ovvero per decadenza ovvero per perdita del grado, per i quali il diritto a pensione si conseguiva con la soglia dei vent’anni di servizio effettivo: art. 52, comma 3, con finalità rispettivamente deflattiva ovvero latu sensu sanzionatoria), consentendo loro di vedersi attribuire un trattamento economico maggiore.
Ma già con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il conseguimento del diritto a pensione a 20 anni ad opera del D.Lgs. 503 del 1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso utilità essendone venuta meno la ratio: è infatti evidente che l’aliquota di rendimento da applicarsi al conseguimento della soglia minima (20 anni) era comunque del 44% (corrispondente, appunto, a 20 anni di servizio, a questo punto in perfetto parallelismo tra impiegati civili e militari) non potendo venire in rilievo, ai fini del conseguimento del diritto a pensione di anzianità, anzianità contributive inferiori.
Nel caso, poi, in cui il militare avesse raggiunto il limite M. di età senza
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aver raggiunto l’anzianità contributiva minima trovava applicazione il penultimo comma dell’art. 54, che impone una valorizzazione dell’anzianità contributiva raggiunta attraverso l‘applicazione di una aliquota del 2,2 per cento per ogni anno di servizio utile (tale aliquota rappresenta il coefficiente annuo in rapporto all’aliquota del 44% su 20 anni di servizio utile).
In considerazione di ciò il mutamento della base pensionabile, dal criterio dell’ultima retribuzione (di cui all’art. 53 del DPR 1092 del 1973) a quella della retribuzione media pensionabile (di cui al D.Lgs.503/92) non poneva, rebus sic stantibus, particolari problemi interpretativi.
Le novelle al sistema pensionistico intervenute successivamente, dal 1992 in poi, se -è vero- non hanno espressamente abrogato la disposizione del primo comma dell’art. 54 (quindi se è in vigore va applicato, se si vuole rispettare la legge) (che, in via transitoria, poteva all’epoca dell’introduzione delle riforme trovare ancora applicazione, ma sicuramente non poteva più trovarne allorchè la riforma fosse andata a regime, a partire dal 2001: tab.b allegata al d.lgs 503/92), tuttavia ne hanno circoscritto nel tempo, in ragione del graduale passaggio tra i diversi regimi pensionistici, l’ambito di applicazione.
Appare di tutta evidenza, infatti, che la disposizione del primo comma dell’art. 54 -che non può non essere letta in combinato disposto con il precedente art. 52, primo comma- e, quindi, non ritenersi espressamente riferita all’ipotesi di cessazione dal servizio con anzianità utile tra i 15 e i 20 anni-, quando cioè era possibile conseguire il diritto a pensione con il raggiungimento di un’anzianità contributiva di 15 anni di servizio utile, oggi costituisce ipotesi di residuale, se non addirittura di nessuna concreta applicazione, poiché stante il decorso del tempo, è matematicamente impossibile che possa trovare applicazione in sé e per sé (i militari che cessassero oggi dal servizio con anzianità tra i 15 e i 20 anni di servizio utile dovrebbero essersi arruolati alla fine degli anni ‘90 e, quindi, essere sottoposti al diverso regime contributivo puro).
Resta, quindi, da vedere se la disposizione può avere altra applicazione.
L’ art. 1, comma 12, della legge 335/95 nel disciplinare il c.d. sistema misto, alla lettera a) fa riferimento alla quota di pensione “corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31.12.1995, calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data”.
Dunque, essendo la data di decorrenza della pensione del ricorrente il 1.12.2018 (quella, cioè, a cui bisogna far riferimento secondo la succitata disposizione), il sistema retributivo vigente alla data del 31.12.1995 al medesimo ricorrente applicabile al fine di determinare la relativa quota parte della pensione era quello retributivo “a pieno regime” più sopra descritto, così come risultante dalla riforma c.d. Amato del 1992, in cui il diritto alla pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al D.Lgs 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi) e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44% tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al 31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle ultime
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retribuzioni, ed in cui anzianità inferiori dovevano essere valorizzate con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni anno di servizio utile.
Il sistema retributivo vigente non era, quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari).
Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione e' determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2. Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art. 54 è unicamente rivolto ad individuare il limite M. di trattamento
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derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (non a caso, la norma parla di trattamento “che sarebbe spettato” –al passato, quindi- in base alle aliquote dell’art. 54, come limite M. non oltrepassabile dalle nuove modalità di calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità, ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M., rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilita', e' corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma dell’art. 54 ripetutamente citato.
Infatti, il secondo comma dell’art. 1840 conferma la soglia minima per il diritto a pensione introdotta dalla riforma Amato pari a 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 e' collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di eta', se in possesso dell'anzianita' contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.”) con la sola eccezione dell’ipotesi di cessazione per infermità non dipendente da causa di servizio (per la quale, sola, il successivo art. 1841 richiama la minore anzianità contributiva di 15 anni di cui all’art. 52, comma 1 del D.P.R. 1092/73:
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anche in questo caso il richiamo è alla sola misura della soglia minima, non alla intera precedente disciplina) e la misura delle aliquote, al 1.1.1998, è quella del già riportato articolo 1867 (evidentemente, per le anzianità anteriormente maturate, vigono le aliquote così come determinate dai precedenti interventi normativi, succedutisi nel tempo, di cui si è già detto).
Valga, infine, un’ulteriore considerazione: “(…) il beneficio di cui all’art. 54, comma 1, non può valere ai fini della ripartizione tra quota retributiva e contributiva di pensione, essendo previsto ai soli fini della più favorevole liquidazione della pensione per il caso particolare di cessazione del dipendente con anzianità complessiva compresa tra 15 e 20 anni (e non è questo il caso, come incontestato).
Diversamente ragionando, il militare verrebbe a lucrare due volte di una parte della stessa anzianità di servizio, vale a dire della differenza tra venti anni e l’anzianità maturata al 31.12.1995, in quanto questa parte di anzianità stessa gli varrebbe - non essendo egli cessato - tanto ai fini della quota retributiva quanto anche ai fini della quota contributiva di pensione. Così, ad esempio, tra due militari che avessero al congedo la stessa anzianità complessiva di 40 anni, quello più giovane, che avesse maturato solo 15 anni al 31.12.1995 riceverebbe una pensione superiore rispetto a quello che avesse maturato 20 anni alla stessa data, in quanto solo il primo, con minor anzianità a quella data, beneficerebbe del bonus di 5 anni, che invece il secondo non avrebbe, senza dire che il primo avrebbe la quota contributiva di 25 anni contro i 20 del secondo. Ma è evidente che questo sarebbe un paradosso, (se codesto giudice considera tale cosa un paradosso può anche sollevare tranquillamente questione di legittimità costituzionale sull'applicazione dell'art. 54 a tali casi o forse è meglio sostituirsi a tale organo, essendo giudice, quindi "insindacabile"?!? Dai aboliamo la Consulta, tanto cosa ci sta a fare!? 🤔 perché si applicherebbe
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appunto un beneficio previsto per i militari che cessano dal servizio con poca anzianità a quelli che, invece, non cessano affatto dal servizio, ma semplicemente passano dal regime retributivo a quello contributivo.
In aggiunta a ciò, non può ignorarsi un ulteriore argomento normativo.
Segnatamente, deve ricordarsi che l'art. 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha esteso ai dipendenti pubblici (con effetto dal 1 gennaio 1995) l'aliquota di rendimento del 2% annuo già vigente ai fini della determinazione della misura della pensione dell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti. Quest’ultima aliquota di rendimento armonizzata, pari per l’appunto al 2% per ogni anno di contribuzione, prescinde dall'anzianità di servizio e dalla categoria di pubblico impiego cui appartiene il lavoratore. Essa, peraltro, è applicabile solo in peius, a mente della clausola di salvaguardia recata dall’art. 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, secondo cui “l'applicazione delle disposizioni in materia di aliquote di rendimento previste dal comma 1 dell'articolo 17 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalla normativa vigente”. (Sez. Abruzzo, 10/2019; id. n. 76/2019; Sez. Veneto 55/2019).
La domanda pertanto non può trovare accoglimento.
Quanto alle spese, al rigetto del ricorso segue la condanna alla spese legali in favore della parte resistente ex art. 31, comma 1, D.Lgs 174/2016, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
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Definitivamente pronunciando sul ricorso iscritto al n. 30851 del registro di Segreteria proposto da M. M. nei confronti di I.N.P.S., ogni diversa domanda od eccezione respinta,
-respinge il ricorso;
-condanna il ricorrente alla rifusione delle spese legali in favore dell’I.N.P.S., che liquida in euro 1.000,00 (mille/00) omnicomprensivi;
Così deciso in Venezia, all’esito della pubblica udienza del 16 settembre 2019.
Il Giudice Unico delle Pensioni
F.to Dott.ssa Daniela Alberghini
Depositata in Segreteria il 17/09/2019
Il Funzionario Preposto
F.to Dott. Stefano Mizgur
P.S. Fatte alcune mie considerazioni, da ignorantone, mi fermo dal farne ulteriori per non passare anche da pignolo. 😉
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