ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

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ariete17
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da ariete17 »

gi_max66 ha scritto:Potete trovarla anche sul sito della Corte dei Conti. Io l'ho estrapolata in word
grazie


"ogni diamante ha molte sfaccettature, ognuna diversa dall'altra.......(cit.mia)"
La vera libertà è poter fare (anche) quello che fa la maggioranza del gregge (cit.mia)
La vera conoscenza è sapere che non ci sono limiti della nostra ignoranza.(cit.mia)
naturopata
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

gino59 ha scritto:
gi_max66 ha scritto:E' anche il caso di specificare che ho vinto il ricorso per l'applicazione dell'aliquota del 44%, ed al 31.12.1995 avevo 11 anni di servizio utile. Quindi non almeno 15 e massimo 20 anni. Forse ho letto troppo bene il T.U. del 1973.
Spero di esserti stato d'aiuto.
========================Io con umiltà, per il tuo futuro ti auguro questo e altro========
Ma secondo me, non sei tu che hai letto troppo bene il T.U. del 1973, ma (secondo me) è quel
giudice che ha letto troppo male il citato T.U. .-Auguroni.....€€€€€€€€€€€€€€€€€€€€
Art.54
1.La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di
venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile
, salvo quanto
disposto nel penultimo comma del presente articolo.

Ti consiglio di non proporre appello, tranne se non lo faccia la controparte, perché andrai incontro ad una caporetto.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da mauri67 »

Buongiorno mi affido a qualche collega addentrato un materia relativo ai ricalcolo degli arruolati 81/83:
Appuntato scelto dell'arma dei carabinieri arruolato IN DATA 01.11.1986,riformato il 26/02/2015, riscattati anni 04 e mesi 11 di lavoro esterno da Novembre 1981 sin alla data di arruolamento. Sul prospetto del decreto di pensione alla data del 31 dicembre 2015 risultano anni 15 e mesi 11.
Considerato quanto sopra qualche collega mi ha detto che io non posso aderire al ricorso in quanto gli anni riscattati da lavoro esterno non contano mentre altri mi hanno detto che lo posso fare, quindi qualcuno efferato in materia mi puoi aiutar dandomi delucidazioni corrette? Grazie e buona giornata.-
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

mauri67 ha scritto:Buongiorno mi affido a qualche collega addentrato un materia relativo ai ricalcolo degli arruolati 81/83:
Appuntato scelto dell'arma dei carabinieri arruolato IN DATA 01.11.1986,riformato il 26/02/2015, riscattati anni 04 e mesi 11 di lavoro esterno da Novembre 1981 sin alla data di arruolamento. Sul prospetto del decreto di pensione alla data del 31 dicembre 2015 risultano anni 15 e mesi 11.
Considerato quanto sopra qualche collega mi ha detto che io non posso aderire al ricorso in quanto gli anni riscattati da lavoro esterno non contano mentre altri mi hanno detto che lo posso fare, quindi qualcuno efferato in materia mi puoi aiutar dandomi delucidazioni corrette? Grazie e buona giornata.-
Ad oggi gli anni di riscatto esterno contano eccome (le sentenze non ne fanno distinzione, anche se, secondo me, ci sarebbe da discutere, essendo un articolo che si applica esclusivamente ai militari e quindi dovrebbe essere del solo servizio militare) e, peraltro, in questi termini il ricorso va fatto (provato) comunque.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da panorama »

Anche se l'argomento del Ricorso/Sentenza è una cosa diversa, posto in toto la qui sotto Sentenza n. 668/2016 emessa dalla Seconda Sez. Centrale d'Appello della Corte dei Conti, poiché tratta anche l'argomento del servizio utile e servizio effettivo, nonché il famoso art. 54 e 44 pensionistico.

Ecco alcuni brani:

1) - Si dà atto, per completezza espositiva, che l’art. 12, comma 12 undecies, del d.l. n. 78 del 31.05.2010, convertito nella legge n. 122 del 30.07.2010, ha abrogato, in sede di conversione, l’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e l’art. 40 della l. n. 1646 del 1962. Ma l’abrogazione non può produrre effetti per i dipendenti, tra cui rientra l’’odierno ricorrente, cessati dal servizio prima del 31.07.2010, data di entrata in vigore della nuova normativa.

2) - a titolo di esempio, il servizio utile viene considerato dall’art. 54 per la misura della pensione spettante al militare, ma per la misura della pensione spettante al personale civile viene considerato dall’art. 44 solo dopo l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo, al fine di determinare gli aumenti spettanti per ogni ulteriore anno di servizio utile;

3) - il servizio utile è poi considerato per il conseguimento del diritto a pensione del personale militare, ma insieme con il servizio effettivo, dal primo comma dell’art. 52, che richiede appunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile di cui dodici di servizio effettivo;

4) - per l’art. 42, il servizio utile non rileva invece per il conseguimento del diritto alla pensione normale del dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio (primo comma) e nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio (secondo comma);

5) - il servizio utile non viene parimenti in alcun modo considerato dall’art. 52 per il conseguimento del diritto a pensione da parte dei militari che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado (terzo comma) e da parte dei militari non appartenenti al servizio permanente e continuativo (quarto comma);

6) - il significato dell’espressione “servizio prestato”, nell’art. 124, va tratto dalla lettura combinata del medesimo articolo e dell’articolo unico della legge n. 322 del 02.04.1958, in cui per la costituzione della posizione assicurativa viene fatto riferimento al “corrispondente periodo di iscrizione”, senza considerare alcuna maggiorazione per particolari servizi;

7) - ai fini dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 viene in rilievo l’art. 8 dello stesso d.P.R., per il quale il computo dei servizi prestati dai militari si effettua dalla data di assunzione del servizio sino a quella di cessazione dal servizio stesso, senza tener conto dei periodi ivi individuati;

N.B.: la sentenza qui sotto negativa riguarda tutt'altra cosa ma chiarisce il fattore sull'art. 54 e 44.

P.S.: se qualche Avvocato vuole dare un chiarimento sui 2 articoli su-riportati, ben venga.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 668 27/06/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 668 2016 PENSIONI 27/06/2016
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE

composta dai magistrati:
Dott. Stefano IMPERIALI Presidente
Dott. Piero FLOREANI Consigliere
Dott. Giuseppina MAIO Consigliere
Dott. Daniela ACANFORA Consigliere
Dott. Francesca PADULA Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sull’appello, iscritto al n. 47854 del registro generale, proposto dal Sig. CANDIDO Marco, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alessandra Polonio e Alberto Maria Papadia, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via Catanzaro, n. 9,
contro il Ministero della Difesa e l’INPS, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D’Aloisio, Emanuele De Rose, Giuseppe Matano, ed Ester Ada Vita Sciplino,
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna n. 321/2013 del 09.12.2013;

esaminati gli atti e i documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 09 giugno 2016 il relatore Consigliere Francesca Padula, l’Avv. Alberto Maria Papadia per l’appellante CANDIDO Marco e l’Avv. Filippo Mangiapane, per delega dell’Avv. Antonino Sgroi, per l’INPS, non comparso il Ministero della Difesa.

FATTO

Con la sentenza impugnata la Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna ha respinto il ricorso proposto da Alessandro Filippo Del Giudice, sulla domanda relativa al computo, in sede di costituzione della posizione assicurativa, delle maggiorazioni di servizio previste dall’art. 20 del d.P.R. n. 1092 del 1973. Ha dichiarato, inoltre, il difetto di giurisdizione, in favore del giudice ordinario, sulla domanda concernente la ricongiunzione.

Il ricorrente aveva invocato l’applicazione dell’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973. Precisato che i fatti costitutivi del diritto, riguardanti il periodo prestato per il servizio di volo, dal 13.11.1980 al 22.09.1986, erano antecedenti alla norma abrogativa di cui al d.l. 78/2010 convertito in legge 122/2010, aveva osservato che il riferimento al “servizio prestato”, contenuto nella suddetta norma, dovesse intendersi come “servizio utile”, sulla base degli artt. 40 e 128 del medesimo d.P.R. n. 1092/1973.

La Sezione regionale ha:

- respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’INPS;

- dato applicazione ai principi affermati dalle Sezioni Riunite nella decisione n. 8/2011/QM, del 27 maggio 2011 (ribaditi nella successiva n. 11/2011/QM, del 21 giugno 2011), secondo cui l’espressione “periodo di servizio prestato”, contenuta nell’art. 124, debba intendersi come “servizio effettivo” e non come “servizio utile”;

- escluso sussistessero ragioni per sollevare una nuova questione di massima;

- ritenuto manifestamente infondata la questione relativa alla illegittimità costituzionale dell’art. 124, 1° comma, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione,

- dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di ricongiunzione degli anni di servizio di aeronavigazione nel Fondo Volo istituito presso l’INPS (l. n. 859/1965), nonché sulla determinazione del relativo onere, ai fini del trattamento di quiescenza da erogarsi nell’ambito del sistema pensionistico privato.

Ha proposto appello il Candido, depositato il 03.07.2014, per il seguente motivo:

- violazione e falsa applicazione degli artt. 124, comma 1, 20 e 40 del d.P.R. n. 1092/1973, della l. n. 322/1958 e dell’art. 2 l. 29/1979; carenza di motivazione.

L’appellante, premesso che nessuna argomentazione difensiva è stata presa in considerazione dal primo giudice, ha dedotto che:

- il legislatore, nel citato art. 124, nell’individuazione del periodo da considerare, non ha fatto riferimento al servizio “effettivamente” prestato, ma ha utilizzato una formula più generica ed ampia, dove il significato di “prestato” va inteso come complessivo servizio rilevante ai fini pensionistici, con esclusione soltanto di quei periodi, come ad es. l’aspettativa per motivi di salute, non computabili nell’anzianità di servizio.
Posto che l’art. 40 ha ben distinto il servizio “effettivo” dal servizio “utile”, ha ritenuto che se nell’art. 124 il legislatore avesse voluto considerare soltanto il servizio “effettivo”, l’avrebbe detto espressamente, come è accaduto in altra norma in materia di costituzione della posizione assicurativa, ossia nell’art. 128;

- il nuovo codice dell’ordinamento militare, nel confermare integralmente il disposto di cui all’art. 124, ha recepito detta interpretazione;

- la finalità dell’istituto è quella di trasferire nell’assicurazione generale obbligatoria il complessivo “patrimonio previdenziale”, senza che rilevino le vicende successive alla cessazione dal servizio militare;

- il diritto all’integrità della posizione assicurativa è stato riconosciuto dalla Cassazione (nn. 5767/02 e 6772/02), dalla Corte costituzionale (n. 374/1997) e da pronunce della sezione Lazio (nn. 100 e 182/2013);

- il suddetto diritto è esercitabile anche quando l’assicurato si avvale della facoltà di cui all’art. 2 della l. n. 29/1979, che ha superato l’art. unico della l. 322/1958, sul quale le SSRR hanno fondato la loro decisione

L’appellante ha quindi riproposto la questione relativa alla sussistenza della violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Precisato che nel fondo volo ove è iscritto il ricorrente esistono ipotesi di aumento dell’efficacia della contribuzione simile a quella presente per la disciplina militare, ha rilevato che l’interpretazione avversata comporta disparità di trattamento in quanto verrebbero riconosciuti o meno benefici conseguenti a prestazioni lavorative, ugualmente usuranti, prestate nei medesimi periodi e nelle stesse condizioni, a seconda dell’ordinamento previdenziale nel quale nasce il diritto a pensione.

Ha evidenziato anche che, in considerazione dell’armonizzazione del sistema pensionistico, e della soppressione dell’INPDAP, è irrazionale, oltre che in contrasto con l’art. 38 Cost., discriminare i servizi, a seconda che la pensione fosse stata concessa dall’INPS o dall’ex INPDAP, ovvero erogata in regime pensionistico contributivo (nel caso delle pensioni INPS) o retributivo puro (pensioni ex INPDAP).

Ha concluso chiedendo, in parziale riforma della sentenza, dichiarare il diritto al computo del periodo di servizio prestato dal 02.01.1984 al 15.04.1994 presso il Ministero della Difesa, con valorizzazione delle maggiorazioni previste dall’art. 20 del d.P.R. n. 1092/1973 in sede di costituzione della posizione assicurativa e di ricongiunzione; in subordine, ha chiesto, in relazione ai motivi di dissenso alla decisione n. 8/2011/QM delle Sezioni Riunite, di rimettere la questione alle Sezioni Riunite; in caso si ritenesse di condividere il principio di diritto già delineato dall’organo nomofilattico, ha chiesto dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973, per contrasto con gli artt. 3 e 38, commi 2 e 4, della Costituzione, nella parte in cui prevede che si faccia luogo alla costituzione della posizione assicurativa nell’AGO-VIS presso l’INPS, in relazione ai periodi che danno luogo agli aumenti nel computo dei servizi di cui agli artt. 18-28 del d.P.R. n. 1092/1973 (Titolo II, capo III, Parte I), anziché per il periodo di servizio utile, spese e compensi di lite rifusi.

Con memoria depositata trasmessa a mezzo PEC il 27.05.2016 si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, osservando che gli aumenti di servizio, sebbene rilevanti ai fini della misura della pensione e dell’indennità una tantum, non si possono trasferire all’AGO e non possono essere valutati per la costituzione della posizione assicurativa. Una diversa interpretazione comporterebbe disparità di trattamento tra i militari in servizio permanente e i militari volontari in ferma, cui, ai sensi dell’art. 128 del d.P.R. n. 1092/1973, sostituito dall’art. 1861, comma 2, del d. lgs. n. 66/2010, ai fini della costituzione della posizione assicurativa, viene valorizzato il solo effettivo periodo di servizio prestato. Ha osservato che, accogliendo la tesi proposta da parte avversa, non potrebbe mai realizzarsi, restando priva di giustificazione, l’eventualità delineata dall’art. 124, comma 2, ovvero che l’importo dei contributi da versare all’INPS risulti inferiore all’indennità una tantum.

Ha richiamato copiosa giurisprudenza.

Ha chiesto il rigetto dell’appello con vittoria delle spese e competenze di lite, quantificate forfettariamente in € 1.000,00.

Si è costituito in giudizio l’INPS, con nota depositata il 17.05.2011, rilevando che l’appellante non ha apportato alcun elemento diverso rispetto a quelli già analizzati dalle numerose decisioni sulla questione, sulla quale si è creato un orientamento da considerarsi diritto vivente. Ha chiesto il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Con memoria depositata il 30.05.2016 parte appellante.

- ha confermato la fondatezza della pretesa del ricorrente:

- ha ribadito l’irragionevolezza dell’identificazione del servizio prestato con il servizio effettivo, soprattutto in considerazione dell’inesistenza di una differenziazione tra i due regimi pensionistici, pubblico e privato;

- ha insistito anche circa il contrasto con l’art. 38, commi II e IV della Costituzione;

- ha chiesto disporsi il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267, III comma, TFUE, per la violazione del divieto di discriminazione di cui agli articoli 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 21 della carta dei diritti fondamentali dell’UE e 10 del TFUE, “in ordine all’interpretazione dell’art. 2, paragrafi 1 e 2, e dell’art. 6 della direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27.11.2000, per richiedere se tali norme debbano essere interpretate nel senso che ostano ad una disposizione nazionale, l’art. 124 del d.P.R. n. 1092/1973, la quale consenta la maturazione del diritto a pensione ad una età più elevata a parità di durata e condizioni del rapporto di lavoro”.

Nella pubblica udienza l’Avv. Alberto Maria Papadia per l’appellante e l’Avv. Filippo Mangiapane per l’INPS si sono riportati agli atti scritti, confermando le conclusioni ivi contenute.

DIRITTO

Si premette che sulla domanda relativa alla ricongiunzione dei servizi in applicazione dell’art. 2 della legge n. 29 del 1979, si è formato il giudicato sulla statuizione di difetto di giurisdizione, non impugnata dall’appellante.

Quest’ultimo, infatti, pur conclusivamente chiedendo, nell’atto di gravame, il computo delle maggiorazioni di cui all’art. 20 del d.P.R. n. 1092/1973 in sede non solo di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, ma anche “di ricongiunzione”, non ha proposto motivi di appello al fine di avversare la statuizione pregiudiziale del giudice regionale.

L’appello è infondato.

Il citato articolo 20, inserito nel titolo secondo, capo terzo, intitolato “aumenti nel computo dei servizi”, dispone che “il servizio di volo, prestato con percezione delle relative indennità mensili, è aumentato di un terzo”.

Quindi l’articolo 40, primo comma, inserito nel capo V del medesimo titolo secondo, chiarisce che “per gli effetti previsti dal presente testo unico, la somma dei servizi e periodi computabili in quiescenza, considerati senza tener conto degli aumenti di cui al precedente capo III, costituisce il servizio effettivo;

con l'aggiunta di tali aumenti, costituisce il servizio utile”;

L’articolo 124, primo comma, stabilisce che “qualora il dipendente civile ovvero il militare in servizio permanente o continuativo cessi dal servizio senza aver acquistato il diritto a pensione per mancanza della necessaria anzianità di servizio, si fa luogo alla costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, per il periodo di servizio prestato”.

Anteriormente all’entrata in vigore del citato d.P.R., l’articolo unico della l. 322 del 02.04.1958 prevedeva che ”In favore dei lavoratori iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che abbiano dato titolo all'esclusione da detta assicurazione, dev'essere provveduto, quando viene a cessare il rapporto di lavoro che aveva dato luogo alla iscrizione alle suddette forme o trattamenti di previdenza senza il diritto a pensione, alla costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa nella assicurazione obbligatoria per l'invalidità, le vecchiaia e i superstiti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione”.

Ai sensi dell’art. 40 della L. n. 1646 del 22.11.1962 “La costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, prevista dalla legge 2 aprile 1958, n. 322, si effettua, per il personale dipendente da Amministrazioni statali… purché si tratti di periodi per i quali vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato e a condizione che tali periodi non siano coperti da contribuzione nell'assicurazione predetta”.

Da ultimo l’art. 1861 del d.lgs. n. 66 del 15.03.2010, che ha approvato il “Codice dell’ordinamento militare”, ha rivitalizzato l’istituto, prevedendo che “la costituzione della posizione assicurativa per il militare in servizio permanente è effettuata ai sensi dell’art. 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092”.

Si dà atto, per completezza espositiva, che l’art. 12, comma 12 undecies, del d.l. n. 78 del 31.05.2010, convertito nella legge n. 122 del 30.07.2010, ha abrogato, in sede di conversione, l’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e l’art. 40 della l. n. 1646 del 1962. Ma l’abrogazione non può produrre effetti per i dipendenti, tra cui rientra l’’odierno ricorrente, cessati dal servizio prima del 31.07.2010, data di entrata in vigore della nuova normativa.

Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Riunite di questa Corte, di cui è nota la funzione nomofilattica, le quali, con sentenza n. 8/QM del 27.05.2011, in sede di risoluzione di questione di massima, aderendo all’orientamento di parte della giurisprudenza di questa Corte che respingeva pretese analoghe a quella all’odierno esame, hanno affermato che “Ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>”.

Hanno osservato le Sezioni Riunite che:

- il servizio utile cui fa riferimento l’art. 40 del d.P.R. n. 1092 del 1973, comprensivo delle maggiorazioni riconosciute per particolari servizi, non è un servizio rilevante a tutti gli effetti pensionistici in sostituzione di quello effettivo, come avverrebbe se si trattasse di un intangibile patrimonio previdenziale;

- in tutti i casi in cui il d.P.R. n. 1092 del 1973 si riferisce, per un qualche effetto pensionistico, al servizio prestato dal dipendente civile o militare, è la stessa disposizione che precisa se si tratti di servizio “effettivo” ovvero di servizio “utile”;

- a titolo di esempio, il servizio utile viene considerato dall’art. 54 per la misura della pensione spettante al militare, ma per la misura della pensione spettante al personale civile viene considerato dall’art. 44 solo dopo l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo, al fine di determinare gli aumenti spettanti per ogni ulteriore anno di servizio utile; il servizio utile è poi considerato per il conseguimento del diritto a pensione del personale militare, ma insieme con il servizio effettivo, dal primo comma dell’art. 52, che richiede appunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile di cui dodici di servizio effettivo;

per l’art. 42, il servizio utile non rileva invece per il conseguimento del diritto alla pensione normale del dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio (primo comma) e nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio (secondo comma); il servizio utile non viene parimenti in alcun modo considerato dall’art. 52 per il conseguimento del diritto a pensione da parte dei militari che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado (terzo comma) e da parte dei militari non appartenenti al servizio permanente e continuativo (quarto comma);

- il significato dell’espressione “servizio prestato”, nell’art. 124, va tratto dalla lettura combinata del medesimo articolo e dell’articolo unico della legge n. 322 del 02.04.1958, in cui per la costituzione della posizione assicurativa viene fatto riferimento al “corrispondente periodo di iscrizione”, senza considerare alcuna maggiorazione per particolari servizi;

- ai fini dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 viene in rilievo l’art. 8 dello stesso d.P.R., per il quale il computo dei servizi prestati dai militari si effettua dalla data di assunzione del servizio sino a quella di cessazione dal servizio stesso, senza tener conto dei periodi ivi individuati;

- la differente formulazione contenuta nell’art. 128, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, si spiega considerando che detto articolo “…ha riprodotto pedissequamente l’art. 6, comma 1, della legge n. 447 del 10.6.1964 sulla costituzione della posizione assicurativa INPS per i <volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica>: una disposizione ove era appunto già contenuta l’espressione <per l’effettivo periodo di servizio prestato>. Si tratta pertanto di una tralatizia ridondanza priva in realtà di effetti pratici, in quanto sia per la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS a favore dei militari in servizio permanente e continuativo, che per l’analoga costituzione di posizione assicurativa a favore di volontari, il d.P.R. n. 1092 del 1973 intende comunque riferirsi al servizio realmente, in concreto, effettivamente prestato, senza alcuna maggiorazione in ragione della particolare gravosità di alcuni servizi”.

Il principio in diritto stabilito medesime nella decisione dell’organo nomofilattico presenta carattere generale cogente (art 1, comma 7 della legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’art. 42, comma 2 della legge 18 giugno 2009, n. 69) per tutti i Giudici di primo e secondo grado, che siano chiamati a decidere in controversie nelle quali quel principio risulti direttamente rilevante ed applicabile.

E’ sì prevista l’attivazione del procedimento di motivato dissenso, ma sul presupposto della non condivisione della massima in diritto, come definita dalle Sezioni riunite all’esito di un antecedente deferimento, per rimettere la decisione alle Sezioni riunite, sulla base di ulteriori argomentazioni che giustifichino una riconsiderazione da parte dell’organo nomofilattico (C. conti, SS.RR. n. 8/QM/2010 del 13.10.2010; id. n. 12/QM/2011 del 03.08.2011).

Non si ravvisano ragioni per una tale rimessione, trattandosi di principio già affermato e confermato da questa Sezione (Sez. II n. 235 del 09.07.2008, n. 426 del 25.10.2010, n. 165 del 28.03.2011; n. 419 del 19.04.2016) e che il Collegio condivide pienamente (si vedano anche le sentenze della Sez. I, nn. 64 del 22.01.2015 e 138 dell’11.02.2015, che hanno annullato rispettivamente le decisioni della sezione Lazio nn. 100 e 182 del 2013 citate dall’appellante).

Dunque non sussiste la asserita lesione della posizione assicurativa posseduta dal ricorrente nell’ambito della gestione di provenienza, per effetto della determinazione della predetta senza aumento nel computo dei servizi, in relazione al servizio di volo prestato.

Va ancora osservato che l’art. 124 del d.P.R. 1092/1973 non si appalesa censurabile per violazione di principi costituzionali.

Non risulta contrasto con l’art. 3, non riscontrandosi l’asserita identità delle situazioni oggetto di diversa disciplina.

In primis non rileva il richiamo effettuato dall’appellante alla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 09.05.2011, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto del quinto comma dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell’art. 40 della legge n. 1646 del 1962, “nella parte in cui, per i periodi di studi che sono stati oggetto di riscatto ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 del citato d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 - subordinano la costituzione della posizione assicurativa nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, alla condizione che, per gli stessi periodi, <vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato>”.

Come osservato nella più volte citata sentenza n. 8/2011/QM, “Si tratta infatti di disposizioni che attengono ai < servizi computabili a domanda> - questione diversa da quella qui in esame - e comunque la sentenza della Corte costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale solo in parte, in vista di particolari finalità:< incentivare l’accesso nella pubblica amministrazione di personale idoneo per preparazione e cultura>, <evitare la penalizzazione dei lavoratori che abbiano dovuto ritardare l’inizio della loro attività onde acquisire il titolo necessario per essere ammessi all’impiego>”.

Inoltre, va considerato che, come puntualizzato sempre dalle Sezioni Riunite, la diversità della disciplina si giustifica per il mutamento “di regime cui era soggetto, e in parte lo è ancora, il militare passato dal regime pensionistico< pubblico> a quello <privato>”.

Aggiunge il Collegio che, in relazione ai precetti di cui agli artt. 3 e 38 Cost., “costante giurisprudenza costituzionale …ha …riconosciuto, la legittimità del pluralismo dei diversi regimi previdenziali, escludendo la comparabilità dei trattamenti pensionistici delle varie categorie professionali, e in particolare di quelli spettanti ai dipendenti privati rispetto al regime previsto per i dipendenti di enti pubblici…” (così Cass. Sez. Un., n. 14254 del 07.07.2005, che cita: Corte cost. 25 febbraio 1988 n.220, 7 aprile 1988 n.408, 19 aprile 1990 n.217, 6 marzo 1995 n.78).

D’altro canto la gradualità e tendenzialità della armonizzazione risulta chiaramente dall’art. 2, comma 23, della l. di riforma n. 335 dell’8.08.1995, che contiene delega al Governo ad emanare per il personale in regime di diritto pubblico norme di armonizzazione ai principi ispiratori della legge “secondo criteri coerenti e funzionali alle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività dei lavoratori medesimi”.

Ed in effetti il percorso in questione non può dirsi a tutt’oggi esaurito: la stessa attribuzione all’INPS delle funzioni degli enti soppressi ex art. 21 del d.l. n. 201 del 2011, non va di pari passo con l’obiettivo di convergenza e armonizzazione del sistema pensionistico, al quale pure contribuisce, ma per un aspetto precipuamente legato al miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione attraverso la riduzione dei costi degli apparati (questa Sezione, n. 48 del 14.02.2014).

Nessun vulnus all’art. 38 della Costituzione può affermarsi, tenuto conto che la limitazione costituisce un contrappeso rispetto alla finalità propria della costituzione della posizione assicurativa, di tutela previdenziale in favore del lavoratore che cessi dal servizio senza diritto a pensione, al quale è garantita la possibilità di beneficiare, in presenza ovviamente delle previste condizioni, di un trattamento pensionistico, secondo le regole dell'assicurazione generale obbligatoria.

All’esclusione del prospettato vulnus si perviene anche tenendo conto che appartiene alla discrezionalità del legislatore, col solo limite della evidente irrazionalità, nella specie non riscontrabile, stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e le variazioni dell'ammontare delle prestazioni, attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti (ex multis, C. cost., sent. n. 316 dell’11.11.2010).

Anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea va respinta.

Innanzitutto va precisato che la non riconducibilità al diritto comunitario delle norme CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) implica la non operatività dei meccanismi di disapplicazione del diritto interno contrastante e di interpretazione, che si impongono invece al giudice, al cospetto di leggi nazionali e regionali incompatibili con norme comunitarie aventi efficacia diretta (C.cost., ordinanza n. 103 del 15.04.2008).

Il Collegio, sul punto, si limita a rammentare che la Corte costituzionale ha affermato, nella sentenza n. 113 del 07.04.2011 (riprendendo l’opzione interpretativa di cui alle sentenze della Consulta nn. 348 e 349 del 24.10.2007), come<< …le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrino, quali “norme interposte”, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internazionali” (sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008).
Prospettiva nella quale, ove si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilità di una interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione; e, ove tale verifica dia esito negativo – non potendo a ciò rimediare tramite la semplice non applicazione della norma interna contrastante – egli deve denunciare la rilevata incompatibilità, proponendo questione di legittimità costituzionale in riferimento all’indicato parametro>>.

Il quadro, come accennato nella sentenza citata n. 113/2011, non risulta mutato con la sopravvenienza del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008, n. 130, che modifica il Trattato sull’Unione europea ed il Trattato che istituisce la Comunità europea.

Il Collegio richiama la sentenza della Consulta (sent. n. 80 dell’11.03.2011) in cui è stato spiegato, con riferimento al nuovo art. 6 del Trattato UE, paragrafi 2 e 3, le ragioni per cui restano fermi, dopo il Trattato di Lisbona, i principi già enunciati dal giudice delle leggi in ordine ai rapporti tra ordinamento nazionale e norme CEDU.

Per quanto riguarda, invece, la violazione delle norme comunitarie, nel caso di specie della richiamata direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27.11.2000, che afferma il principio generale di non discriminazione in materia di occupazione, condizioni di lavoro e prestazioni di sicurezza sociale assimilate alla retribuzione, occorre considerare che l’obbligo di rinvio pregiudiziale, finalizzato alla interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario, che fa capo al giudice le cui decisioni non sono impugnabili, non è assoluto, ma relativo, e sussiste, come affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sin dalla sentenza CGUE 06.10.1982, Soc. Cilfit, C 283/81), quando:

- la questione esegetica è rilevante per il giudizio;

- essa non è già stata valutata dalla CGUE;

- il giudice abbia accertato che la corretta applicazione del diritto comunitario non dà adito a ragionevoli dubbi;

- la soluzione non è ricavabile da una costante giurisprudenza della CGUE, anche ove non sussista stretta identità di materia.

Ebbene, osserva il Collegio, valorizzando quest’ultimo profilo, che è pacifico nella giurisprudenza della Corte del Lussemburgo che il diritto dell’Unione rispetta la competenza degli Sati membri ad organizzare i propri sistemi previdenziali e che, in mancanza di un’armonizzazione al livello di Unione Europea, spetta alla normativa di ogni Stato nazionale determinare le condizioni per la concessione delle prestazioni in materia previdenziale (CGUE 14.04.2015, L. C. Fernandez, C 527/13 e numerosi precedenti ivi richiamati).

Alla luce dei suddetti principi la questione interpretativa può essere superata, dovendosi escludere che l’art. 124 del d.P.R. n. 1092/1973 integri una misura anche indirettamente discriminatoria, sotto il profilo rilevato dall’appellante, in quanto il conseguimento del diritto a pensione ad un’età più avanzata, rispetto al lavoratore che è rimasto alle dipendenze del Ministero della Difesa, costituisce un naturale effetto della disciplina discrezionalmente posta dal legislatore nazionale, che ben può porre norme in materia pensionistica che penalizzino una categoria di beneficiari in determinate situazioni (nella specie, in ragione del passaggio al servizio civile).

Alla luce delle svolte considerazioni, dichiarata manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale, respinta l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’appello va rigettato in quanto infondato.

L’appellante Candido Marco va condannato, in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in € 1.500,00 in favore dell’INPS ed in € 300,00, in favore del Ministero della Difesa.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale,
RESPINGE l’appello avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna n. 321/2013 del 09.12.2013,

CONDANNA l’appellante CANDIDO Marco al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in € 1.500,00 in favore dell’INPS ed in € 300,00, in favore del Ministero della Difesa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 09 giugno 2016.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Francesca PADULA) (Stefano IMPERIALI)
f.to Francesca PADULA f.to Stefano IMPERIALI


Depositata in Segreteria il 27 giugno 2016


IL DIRIGENTE
(Dr.ssa Daniela D’AMARO)
f.to Daniela D’AMARO

----------------------

N.B.: se dovete commentare, cortesemente evitate di fare copia/incolla della sentenza per non allungare inutilmente le pagine.

grazie.
pier.angel
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da pier.angel »

Buongiorno
allego una nota di interesse istituzionale pubblicata sul portale Leonardo.
Un saluto al forum
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naturopata
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da naturopata »

Altro Ricorso respinto, ma ripeto bisogna andare con i calcoli alla mano.

SENT. N. 18/18

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

la Corte dei Conti

Sezione giurisdizionale

per la regione Piemonte

in composizione monocratica nella persona del Cons. Walter BERRUTI, quale Giudice unico ai sensi dell’art. 151 c.g.c., ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20407 del registro di Segreteria, proposto da PELLEREJ Maurizio Adriano, nato a Ivrea (TO) il 18 febbraio 1961, residente in Torino, c.f. PLLMZD61B18E379B, rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Vitelli del Foro di Teramo come da procura speciale in calce al ricorso;

contro

INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Gestione Dipendenti pubblici, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Giorgio RUTA (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia SANGUINETI (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Ufficio legale dell’Istituto, come da procura generale ad lites conferita con atto del notaio Paolo Castellini rep. 80974/21569 del 21 luglio 2015, con loro elettivamente domiciliato in Torino, Via dell’Arcivescovado n. 9;

avverso

la determinazione INPS n. TO012016858753 di conferimento al ricorrente della pensione ordinaria di inabilità n. 17744384 nella parte in cui non attribuisce l’incremento figurativo di cui all’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997 e non riconosce l’aliquota di rendimento del 44% in ordine alla quota fino alla data del 31 dicembre 1995, regolata dal sistema retributivo;

e per l’accertamento

del diritto al beneficio di cui all’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997, nonché all’attribuzione del coefficiente complessivo di rendimento del 44% ex art. 54 D.P.R. n. 1092/1973;

e la conseguente condanna

dell’Amministrazione a rideterminare il trattamento pensionistico e a corrispondere le somme spettanti e gli arretrati oltre rivalutazione e interessi legali.

Visto il decreto con il quale è stata fissata l’odierna udienza di discussione.

Udito, alla pubblica udienza del 27 febbraio 2018, l’avv. Giorgio Ruta per l’INPS, nessun difensore comparendo per parte ricorrente.

Ritenuto in

FATTO

Il ricorrente, già maresciallo aiutante della Guardia di finanza, espone di essere stato collocato in congedo assoluto dal 15 luglio 2017 per infermità e di godere da tale data di pensione ordinaria di inabilità calcolata con il c.d. sistema misto retributivo-contributivo.

Egli con richiesta-diffida inviata all’INPS il 12 giugno 2017 ha lamentato la mancata concessione dell’incremento figurativo previsto dall’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997, nonché il fatto che l’aliquota di rendimento relativa alla quota retributiva della pensione (sino al 31 dicembre 1995) era stata applicata nella misura del 35,30 % e non del 44%, come invece disposto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973.

In mancanza di risposta ha depositato il ricorso in esame in data 11 dicembre 2017 con le conclusioni in epigrafe.

L’INPS si è costituito in data 16 febbraio 2018 chiedendo il rigetto del ricorso. L’INPS ha evidenziato che il testo dell’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997 non consente l’interpretazione propugnata dal ricorrente e che, diversamente, si creerebbe una disparità di trattamento con il personale civile delle forze di polizia.

All’udienza del 27 febbraio 2018 il difensore del ricorrente non è comparso senza addure alcun impedimento; è comparso invece il ricorrente personalmente e ha chiesto di poter produrre dei precedenti giurisprudenziali che, in quanto tali, sono stati acquisiti. Il legale dell’INPS ha richiamato le conclusioni in atti e la causa è stata decisa come da dispositivo.

Considerato in

DIRITTO

1. Il ricorso invoca innanzitutto l’applicazione dell’art. 3, comma 7 del D.lgs. 30 aprile 1997 n. 165 (recante “Attuazione delle deleghe conferite dall'articolo 2, comma 23, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e dall'articolo 1, commi 97, lettera g), e 99, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego”), che dispone: “Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare e per il personale delle Forze armate che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione. Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e per il personale delle Forze armate il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato.”

Tale beneficio non risulta in effetti riconosciuto nel provvedimento di liquidazione, che infatti menziona a tal fine solo l’art. 4 del D.lgs. n. 165/1997.

Nella specie l’interessato è cessato dal servizio senza poter transitare nella posizione di ausiliaria essendo stato posto in congedo assoluto per infermità e pertanto si trova nella condizione di usufruire del beneficio accordato dalla norma citata (cfr. questa Sezione n. 3/2018, nonché, per tutti Sez. Sardegna n. 156/2017).

La domanda di applicazione del beneficio di cui al citato art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997, concernente appunto il personale militare e delle ff.aa. che, pur avendone la giuridica possibilità, non è in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, risulta dunque fondata e va accolta.

2. Il ricorso invoca poi l’applicazione, in ordine alla quota di pensione al 31 dicembre 1995 da determinarsi con il sistema retributivo, dell’art. 54 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (recante “Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”), rubricato “Misura del trattamento normale”, che dispone: “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto dal penultimo comma del presente articolo”. Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione avendo maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della pensione con il sistema retributivo) anni 15 e mesi 2 di servizio utile, ma che nel calcolo della propria pensione sarebbe stato applicato un coefficiente inferiore, pari al 35,30 per cento. Egli sostiene che l’Ente, invece di utilizzare il coefficiente previsto dall’art. 54 cit., avrebbe utilizzato quello previsto dall’art. 44 dello stesso D.P.R. n. 1092 per i dipendenti statali civili nella misura del 35 per cento della base pensionabile. A suo dire non rileverebbe in contrario il fatto che ai fini del calcolo della pensione il servizio svolto sino al 31 dicembre 1995 debba essere suddiviso, ai sensi del sopravvenuto D.lgs. n. 503/1992 (art. 13), in due periodi rispetto all’entrata in vigore di tale novella, fissata al 1° gennaio 1993. Tale suddivisione avrebbe effetto solo sulla determinazione delle basi pensionabili (cioè ultima retribuzione per il primo periodo e media retributiva per il secondo), ma non sul coefficiente di calcolo applicabile, che resterebbe quello previsto per i militari con anzianità tra quindici anni e venti di servizio dal ridetto art. 54, la cui perdurante vigenza sarebbe dimostrata anche dall’espresso richiamo contenuto nel nuovo Codice dell’ordinamento militare (D.lgs. n. 66/2010, art. 1867).

L’INPS sul punto non ha svolto difese.

Va innanzitutto precisato che secondo le regole dell’onere probatorio del processo civile spetta a parte attrice dimostrare quale sia stato il procedimento di calcolo della pensione seguito dall’INPS e dove questo presenti l’errore denunciato deviando dal modello normativo di riferimento.

Nella specie il provvedimento di liquidazione menziona il D.P.R. n. 1092/1973, ma non l’articolo in concreto applicato. Parte attrice era dunque onerata di provare (eventualmente producendo il prospetto di calcolo ritenuto corretto) l’errore in cui sarebbe incorso l’Ente applicando una disposizione invece che un’altra. Invece, si è limitata, per sostenere la propria ipotesi che sarebbe stato applicato l’articolo relativo al personale civile (art. 44) invece che quello relativo al personale militare (art. 54), a produrre (doc. 5) una tabella numerica con appunti a penna intitolata “statali aliquote di rendimento espresse in anni e mesi” di cui è restata ignota la provenienza. Infine, il difensore non ha neppure ritenuto di dovere discutere la causa, nemmeno presenziando all’udienza.

Ciò posto, sull’ambito di applicazione dell’art. 54 primo comma del D.P.R. si fronteggiano due tesi. La prima, più restrittiva e aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio, trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia potuto maturare un’anzianità superiore. L’altra, più estensiva e sostenuta con il ricorso, ritiene la suddetta regola di calcolo di portata generale per i militari che abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che, superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo).

Questo Giudice ritiene di prestare adesione al primo orientamento interpretativo (cfr. questa Sez. n. 3/2018 cit. e, prima, Sez. Sardegna n. 87/2017), maggiormente aderente al dato letterale e, in quanto più restrittivo, consono alla natura speciale della norma de qua.

Nella specie il ricorrente, come si legge nel provvedimento di pensione, è stato collocato in congedo con una anzianità complessiva maturata al congedo superiore a 20 anni.

Pertanto, la sua situazione non rientra nella fattispecie normativa contemplata dal ridetto primo comma dell’art. 54 cit., il cui ambito di applicazione riguarda i militari che abbiano maturato, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio.

Le domande contenute sul punto nel ricorso, laddove basate su diversa interpretazione della norma sopra richiamata, non possono quindi essere accolte.

3. L’accoglimento della prima domanda comporta il diritto del ricorrente alla rideterminazione con applicazione del beneficio di cui all'art. 3, comma 7 del D. lgs. n. 165/1997.

4. Consegue il diritto agli arretrati.

5. Su tali arretrati vanno applicati gli interessi corrispettivi al saggio legale, calcolati dalla decorrenza di ciascun rateo di pensione sino al pagamento effettivo.

6. Compete la rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 167, comma 3 c.g.c., da calcolarsi, secondo quanto specificato dalle SS.RR. (n. 10/2002/QM), quale parziale possibile integrazione degli interessi al saggio legale, ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi.

7. Ogni altra domanda va respinta.

8. Le spese possono essere compensate in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,

dichiara il diritto del ricorrente alla rideterminazione del trattamento previdenziale con applicazione del beneficio di cui all'art. 3, comma 7 del D. lgs. n. 165/1997;

dichiara il diritto del ricorrente alla corresponsione dei conseguenti arretrati oltre interessi e rivalutazione secondo quanto precisato in motivazione;

respinge ogni altra domanda;

compensa le spese.

Così deciso in Torino, il 27 febbraio 2018.

IL GIUDICE

(F.to Dott. Walter BERRUTI)



Depositata in Segreteria il 13 marzo 2018



Il Direttore della Segreteria

(F.to Antonio CINQUE)
Aquila

Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Aquila »

naturopata ha scritto:Altro Ricorso respinto, ma ripeto bisogna andare con i calcoli alla mano.

SENT. N. 18/18

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

la Corte dei Conti

Sezione giurisdizionale

per la regione Piemonte

in composizione monocratica nella persona del Cons. Walter BERRUTI, quale Giudice unico ai sensi dell’art. 151 c.g.c., ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20407 del registro di Segreteria, proposto da PELLEREJ Maurizio Adriano, nato a Ivrea (TO) il 18 febbraio 1961, residente in Torino, c.f. PLLMZD61B18E379B, rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Vitelli del Foro di Teramo come da procura speciale in calce al ricorso;

contro

INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Gestione Dipendenti pubblici, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Giorgio RUTA (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia SANGUINETI (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Ufficio legale dell’Istituto, come da procura generale ad lites conferita con atto del notaio Paolo Castellini rep. 80974/21569 del 21 luglio 2015, con loro elettivamente domiciliato in Torino, Via dell’Arcivescovado n. 9;

avverso

la determinazione INPS n. TO012016858753 di conferimento al ricorrente della pensione ordinaria di inabilità n. 17744384 nella parte in cui non attribuisce l’incremento figurativo di cui all’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997 e non riconosce l’aliquota di rendimento del 44% in ordine alla quota fino alla data del 31 dicembre 1995, regolata dal sistema retributivo;

e per l’accertamento

del diritto al beneficio di cui all’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997, nonché all’attribuzione del coefficiente complessivo di rendimento del 44% ex art. 54 D.P.R. n. 1092/1973;

e la conseguente condanna

dell’Amministrazione a rideterminare il trattamento pensionistico e a corrispondere le somme spettanti e gli arretrati oltre rivalutazione e interessi legali.

Visto il decreto con il quale è stata fissata l’odierna udienza di discussione.

Udito, alla pubblica udienza del 27 febbraio 2018, l’avv. Giorgio Ruta per l’INPS, nessun difensore comparendo per parte ricorrente.

Ritenuto in

FATTO

Il ricorrente, già maresciallo aiutante della Guardia di finanza, espone di essere stato collocato in congedo assoluto dal 15 luglio 2017 per infermità e di godere da tale data di pensione ordinaria di inabilità calcolata con il c.d. sistema misto retributivo-contributivo.

Egli con richiesta-diffida inviata all’INPS il 12 giugno 2017 ha lamentato la mancata concessione dell’incremento figurativo previsto dall’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997, nonché il fatto che l’aliquota di rendimento relativa alla quota retributiva della pensione (sino al 31 dicembre 1995) era stata applicata nella misura del 35,30 % e non del 44%, come invece disposto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973.

In mancanza di risposta ha depositato il ricorso in esame in data 11 dicembre 2017 con le conclusioni in epigrafe.

L’INPS si è costituito in data 16 febbraio 2018 chiedendo il rigetto del ricorso. L’INPS ha evidenziato che il testo dell’art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997 non consente l’interpretazione propugnata dal ricorrente e che, diversamente, si creerebbe una disparità di trattamento con il personale civile delle forze di polizia.

All’udienza del 27 febbraio 2018 il difensore del ricorrente non è comparso senza addure alcun impedimento; è comparso invece il ricorrente personalmente e ha chiesto di poter produrre dei precedenti giurisprudenziali che, in quanto tali, sono stati acquisiti. Il legale dell’INPS ha richiamato le conclusioni in atti e la causa è stata decisa come da dispositivo.

Considerato in

DIRITTO

1. Il ricorso invoca innanzitutto l’applicazione dell’art. 3, comma 7 del D.lgs. 30 aprile 1997 n. 165 (recante “Attuazione delle deleghe conferite dall'articolo 2, comma 23, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e dall'articolo 1, commi 97, lettera g), e 99, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego”), che dispone: “Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare e per il personale delle Forze armate che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione. Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e per il personale delle Forze armate il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato.”

Tale beneficio non risulta in effetti riconosciuto nel provvedimento di liquidazione, che infatti menziona a tal fine solo l’art. 4 del D.lgs. n. 165/1997.

Nella specie l’interessato è cessato dal servizio senza poter transitare nella posizione di ausiliaria essendo stato posto in congedo assoluto per infermità e pertanto si trova nella condizione di usufruire del beneficio accordato dalla norma citata (cfr. questa Sezione n. 3/2018, nonché, per tutti Sez. Sardegna n. 156/2017).

La domanda di applicazione del beneficio di cui al citato art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 165/1997, concernente appunto il personale militare e delle ff.aa. che, pur avendone la giuridica possibilità, non è in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, risulta dunque fondata e va accolta.

2. Il ricorso invoca poi l’applicazione, in ordine alla quota di pensione al 31 dicembre 1995 da determinarsi con il sistema retributivo, dell’art. 54 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (recante “Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”), rubricato “Misura del trattamento normale”, che dispone: “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto dal penultimo comma del presente articolo”. Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione avendo maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della pensione con il sistema retributivo) anni 15 e mesi 2 di servizio utile, ma che nel calcolo della propria pensione sarebbe stato applicato un coefficiente inferiore, pari al 35,30 per cento. Egli sostiene che l’Ente, invece di utilizzare il coefficiente previsto dall’art. 54 cit., avrebbe utilizzato quello previsto dall’art. 44 dello stesso D.P.R. n. 1092 per i dipendenti statali civili nella misura del 35 per cento della base pensionabile. A suo dire non rileverebbe in contrario il fatto che ai fini del calcolo della pensione il servizio svolto sino al 31 dicembre 1995 debba essere suddiviso, ai sensi del sopravvenuto D.lgs. n. 503/1992 (art. 13), in due periodi rispetto all’entrata in vigore di tale novella, fissata al 1° gennaio 1993. Tale suddivisione avrebbe effetto solo sulla determinazione delle basi pensionabili (cioè ultima retribuzione per il primo periodo e media retributiva per il secondo), ma non sul coefficiente di calcolo applicabile, che resterebbe quello previsto per i militari con anzianità tra quindici anni e venti di servizio dal ridetto art. 54, la cui perdurante vigenza sarebbe dimostrata anche dall’espresso richiamo contenuto nel nuovo Codice dell’ordinamento militare (D.lgs. n. 66/2010, art. 1867).

L’INPS sul punto non ha svolto difese.

Va innanzitutto precisato che secondo le regole dell’onere probatorio del processo civile spetta a parte attrice dimostrare quale sia stato il procedimento di calcolo della pensione seguito dall’INPS e dove questo presenti l’errore denunciato deviando dal modello normativo di riferimento.

Nella specie il provvedimento di liquidazione menziona il D.P.R. n. 1092/1973, ma non l’articolo in concreto applicato. Parte attrice era dunque onerata di provare (eventualmente producendo il prospetto di calcolo ritenuto corretto) l’errore in cui sarebbe incorso l’Ente applicando una disposizione invece che un’altra. Invece, si è limitata, per sostenere la propria ipotesi che sarebbe stato applicato l’articolo relativo al personale civile (art. 44) invece che quello relativo al personale militare (art. 54), a produrre (doc. 5) una tabella numerica con appunti a penna intitolata “statali aliquote di rendimento espresse in anni e mesi” di cui è restata ignota la provenienza. Infine, il difensore non ha neppure ritenuto di dovere discutere la causa, nemmeno presenziando all’udienza.

Ciò posto, sull’ambito di applicazione dell’art. 54 primo comma del D.P.R. si fronteggiano due tesi. La prima, più restrittiva e aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio, trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia potuto maturare un’anzianità superiore. L’altra, più estensiva e sostenuta con il ricorso, ritiene la suddetta regola di calcolo di portata generale per i militari che abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che, superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo).

Questo Giudice ritiene di prestare adesione al primo orientamento interpretativo (cfr. questa Sez. n. 3/2018 cit. e, prima, Sez. Sardegna n. 87/2017), maggiormente aderente al dato letterale e, in quanto più restrittivo, consono alla natura speciale della norma de qua.

Nella specie il ricorrente, come si legge nel provvedimento di pensione, è stato collocato in congedo con una anzianità complessiva maturata al congedo superiore a 20 anni.

Pertanto, la sua situazione non rientra nella fattispecie normativa contemplata dal ridetto primo comma dell’art. 54 cit., il cui ambito di applicazione riguarda i militari che abbiano maturato, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio.

Le domande contenute sul punto nel ricorso, laddove basate su diversa interpretazione della norma sopra richiamata, non possono quindi essere accolte.

3. L’accoglimento della prima domanda comporta il diritto del ricorrente alla rideterminazione con applicazione del beneficio di cui all'art. 3, comma 7 del D. lgs. n. 165/1997.

4. Consegue il diritto agli arretrati.

5. Su tali arretrati vanno applicati gli interessi corrispettivi al saggio legale, calcolati dalla decorrenza di ciascun rateo di pensione sino al pagamento effettivo.

6. Compete la rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 167, comma 3 c.g.c., da calcolarsi, secondo quanto specificato dalle SS.RR. (n. 10/2002/QM), quale parziale possibile integrazione degli interessi al saggio legale, ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi.

7. Ogni altra domanda va respinta.

8. Le spese possono essere compensate in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,

dichiara il diritto del ricorrente alla rideterminazione del trattamento previdenziale con applicazione del beneficio di cui all'art. 3, comma 7 del D. lgs. n. 165/1997;

dichiara il diritto del ricorrente alla corresponsione dei conseguenti arretrati oltre interessi e rivalutazione secondo quanto precisato in motivazione;

respinge ogni altra domanda;

compensa le spese.

Così deciso in Torino, il 27 febbraio 2018.

IL GIUDICE

(F.to Dott. Walter BERRUTI)



Depositata in Segreteria il 13 marzo 2018



Il Direttore della Segreteria

(F.to Antonio CINQUE)
Quindi abbiamo appurato che la corte dei conti di Torino interpreta l'art 54 in senso restrittivo per il Comparto Sicurezza, ovvero applicando l'art 44 già previsto per gli impiegati civili, in quanto ...ritiene
"Nella specie il ricorrente, come si legge nel provvedimento di pensione, è stato collocato in congedo con una anzianità complessiva maturata al congedo superiore a 20 anni."
Massimo Vitelli

Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Massimo Vitelli »

I calcoli alla mano, peraltro abbondantemente forniti a quel giudice (ed a tutti gli altri) tramite tabelle e prospetti di ogni tipo, SI RIVELANO E SI RIVELAVANO DEL TUTTO INUTILI !
Siamo davanti alla Corte dei Conti e non davanti al Tribunale Ordinario, Sezione LAVORO ed il contenzioso in oggetto VERTE ESCLUSIVAMENTE SU UNA FATTISPECIE GIURIDICA E NON GIA' SU UNA VICENDA DI FATTO/ARITMETICA !
L'inutilità emerge poi in tutta la sua chiarezza nella sentenza n.18/2018, laddove il giudice piemontese, dopo le solite (ed isolate) elucubrazioni atipiche, entra specificamente nel merito ed AFFERMA DI NUOVO CON OSTINAZIONE DI VOLER PRIVILEGIARE LA TESI SECONDO CUI IL PRIMO COMMA DELL'ART.54 SI APPLICA SOLTANTO A CHI NON VANTA IN ASSOLUTO PIU' DI 20 ANNI DI SERVIZIO UTILE!!! SIC !!!
Senza considerare, per di più, che a nulla è valsa la precisazione SCRITTA E SOTTOLINEATA che la Sez. SARDEGNA aveva radicalmente mutato l'originario orientamento !!!
Se si fosse trattato solo di una questione di onere della prova, ovviamente non sarebbe affatto entrato nel merito !
Comunque, per quanto mi riguarda, finchè almeno una domanda viene accolta, poco male, il risultato positivo è comunque raggiunto!
Al contrario, tanto per renderci conto dello scenario, proprio ieri a Bologna, dopo una sfiancante discussione (perfino in contraddittorio con Giudice ed INPS) di circa 45 minuti e conteggi di ogni risma depositati ed analizzati, mi sono visto respingere sia la domanda sul moltiplicatore che quella sull'art.54 !!!
Purtroppo, la verità è molto semplice, cioè che la sfida appare più dura del previsto e nessuno dovrebbe prudentemente avventurarsi in giudizi frettolosi ed incauti, a pena di essere inopinatamente smentito !
Highlander
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Highlander »

Sarà un giudice sessantottino???
Aquila

Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da Aquila »

avv. Massimo Vitelli ha scritto:I calcoli alla mano, peraltro abbondantemente forniti a quel giudice (ed a tutti gli altri) tramite tabelle e prospetti di ogni tipo, SI RIVELANO E SI RIVELAVANO DEL TUTTO INUTILI !
Siamo davanti alla Corte dei Conti e non davanti al Tribunale Ordinario, Sezione LAVORO ed il contenzioso in oggetto VERTE ESCLUSIVAMENTE SU UNA FATTISPECIE GIURIDICA E NON GIA' SU UNA VICENDA DI FATTO/ARITMETICA !
L'inutilità emerge poi in tutta la sua chiarezza nella sentenza n.18/2018, laddove il giudice piemontese, dopo le solite (ed isolate) elucubrazioni atipiche, entra specificamente nel merito ed AFFERMA DI NUOVO CON OSTINAZIONE DI VOLER PRIVILEGIARE LA TESI SECONDO CUI IL PRIMO COMMA DELL'ART.54 SI APPLICA SOLTANTO A CHI NON VANTA IN ASSOLUTO PIU' DI 20 ANNI DI SERVIZIO UTILE!!! SIC !!!
Senza considerare, per di più, che a nulla è valsa la precisazione SCRITTA E SOTTOLINEATA che la Sez. SARDEGNA aveva radicalmente mutato l'originario orientamento !!!
Se si fosse trattato solo di una questione di onere della prova, ovviamente non sarebbe affatto entrato nel merito !
Comunque, per quanto mi riguarda, finchè almeno una domanda viene accolta, poco male, il risultato positivo è comunque raggiunto!
Al contrario, tanto per renderci conto dello scenario, proprio ieri a Bologna, dopo una sfiancante discussione (perfino in contraddittorio con Giudice ed INPS) di circa 45 minuti e conteggi di ogni risma depositati ed analizzati, mi sono visto respingere sia la domanda sul moltiplicatore che quella sull'art.54 !!!
Purtroppo, la verità è molto semplice, cioè che la sfida appare più dura del previsto e nessuno dovrebbe prudentemente avventurarsi in giudizi frettolosi ed incauti, a pena di essere inopinatamente smentito !
...secondo la loro restrittiva ed "aritmetica" interpretazione, coloro che hanno + di 20 anni di servizio utile al 1995, sono proporzionalmente penalizzati rispetto a coloro che hanno dovuto cessare con meno di 20 anni di servizio utile al 1995.


Nelle more giova precisare che torino persiste ad essere in netto contrasto con quanto applicato in Sardegna con la sentenza 14/2018 datata 30.1.2018,


...In realtà la lettera del primo comma dell’art. 54 citato non può che intendersi nel senso che l’aliquota del 44% vada applicata a coloro che, alla data del 31 dicembre 1995, possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni; il successivo comma, che prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1,80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo (e disciplina, pertanto, l’ipotesi in cui il soggetto cessi dal servizio con anzianità maggiore di 20 anni), chiarisce che la disposizione del comma 1 non può considerarsi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio.

Inoltre, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, qualora si accedesse alla tesi dell’INPS, la disposizione di cui al comma 2 non avrebbe alcun senso.

Anche l’affermazione secondo cui l’aliquota del 44% troverebbe applicazione soltanto per coloro la cui pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo non trova alcun supporto normativo e non può trovare accoglimento.

Peraltro, come si è detto, l’aliquota di rendimento del 44% è applicabile esclusivamente per la quota calcolata con il sistema retributivo.

L’interpretazione accolta trova conferma anche nei chiarimenti formulati nella circolare n. 22/2009 dell’INPDAP.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al ricorrente gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.



PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso del signor F. P. e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da ariete17 »

Aquila ha scritto:
avv. Massimo Vitelli ha scritto:I calcoli alla mano, peraltro abbondantemente forniti a quel giudice (ed a tutti gli altri) tramite tabelle e prospetti di ogni tipo, SI RIVELANO E SI RIVELAVANO DEL TUTTO INUTILI !
Siamo davanti alla Corte dei Conti e non davanti al Tribunale Ordinario, Sezione LAVORO ed il contenzioso in oggetto VERTE ESCLUSIVAMENTE SU UNA FATTISPECIE GIURIDICA E NON GIA' SU UNA VICENDA DI FATTO/ARITMETICA !
L'inutilità emerge poi in tutta la sua chiarezza nella sentenza n.18/2018, laddove il giudice piemontese, dopo le solite (ed isolate) elucubrazioni atipiche, entra specificamente nel merito ed AFFERMA DI NUOVO CON OSTINAZIONE DI VOLER PRIVILEGIARE LA TESI SECONDO CUI IL PRIMO COMMA DELL'ART.54 SI APPLICA SOLTANTO A CHI NON VANTA IN ASSOLUTO PIU' DI 20 ANNI DI SERVIZIO UTILE!!! SIC !!!
Senza considerare, per di più, che a nulla è valsa la precisazione SCRITTA E SOTTOLINEATA che la Sez. SARDEGNA aveva radicalmente mutato l'originario orientamento !!!
Se si fosse trattato solo di una questione di onere della prova, ovviamente non sarebbe affatto entrato nel merito !
Comunque, per quanto mi riguarda, finchè almeno una domanda viene accolta, poco male, il risultato positivo è comunque raggiunto!
Al contrario, tanto per renderci conto dello scenario, proprio ieri a Bologna, dopo una sfiancante discussione (perfino in contraddittorio con Giudice ed INPS) di circa 45 minuti e conteggi di ogni risma depositati ed analizzati, mi sono visto respingere sia la domanda sul moltiplicatore che quella sull'art.54 !!!
Purtroppo, la verità è molto semplice, cioè che la sfida appare più dura del previsto e nessuno dovrebbe prudentemente avventurarsi in giudizi frettolosi ed incauti, a pena di essere inopinatamente smentito !
...secondo la loro restrittiva ed "aritmetica" interpretazione, coloro che hanno + di 20 anni di servizio utile al 1995, sono proporzionalmente penalizzati rispetto a coloro che hanno dovuto cessare con meno di 20 anni di servizio utile al 1995.


Nelle more giova precisare che torino persiste ad essere in netto contrasto con quanto applicato in Sardegna con la sentenza 14/2018 datata 30.1.2018,


...In realtà la lettera del primo comma dell’art. 54 citato non può che intendersi nel senso che l’aliquota del 44% vada applicata a coloro che, alla data del 31 dicembre 1995, possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni; il successivo comma, che prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1,80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo (e disciplina, pertanto, l’ipotesi in cui il soggetto cessi dal servizio con anzianità maggiore di 20 anni), chiarisce che la disposizione del comma 1 non può considerarsi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio.

Inoltre, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, qualora si accedesse alla tesi dell’INPS, la disposizione di cui al comma 2 non avrebbe alcun senso.

Anche l’affermazione secondo cui l’aliquota del 44% troverebbe applicazione soltanto per coloro la cui pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo non trova alcun supporto normativo e non può trovare accoglimento.

Peraltro, come si è detto, l’aliquota di rendimento del 44% è applicabile esclusivamente per la quota calcolata con il sistema retributivo.

L’interpretazione accolta trova conferma anche nei chiarimenti formulati nella circolare n. 22/2009 dell’INPDAP.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al ricorrente gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.



PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso del signor F. P. e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.
inutile estrapolare passaggi dalle sentenze ogni giudice (menomale) decide per se
"ogni diamante ha molte sfaccettature, ognuna diversa dall'altra.......(cit.mia)"
La vera libertà è poter fare (anche) quello che fa la maggioranza del gregge (cit.mia)
La vera conoscenza è sapere che non ci sono limiti della nostra ignoranza.(cit.mia)
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da ariete17 »

o meglio, giudica da se
"ogni diamante ha molte sfaccettature, ognuna diversa dall'altra.......(cit.mia)"
La vera libertà è poter fare (anche) quello che fa la maggioranza del gregge (cit.mia)
La vera conoscenza è sapere che non ci sono limiti della nostra ignoranza.(cit.mia)
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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da loris64 »

Signori innanzitutto buonasera a tutti, adesso vi chiedo se è vera questa notizia che allego. Si prega di voler dare eventuali notizie. Grazie e cordiali saluti s tuttti.Immagine

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Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83

Messaggio da loris64 »

Signori innanzitutto buonasera a tutti, adesso vi chiedo se è vera questa notizia che allego. Si prega di voler dare eventuali notizie. Grazie e cordiali saluti s tuttti.Immagine

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