Re: ATTENZIONE, L'INPS DEVE RIFARE I CALCOLI ARRUOLATI 81/83
Inviato: sab lug 06, 2019 10:39 am
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- N. 148 SENTENZA 4 aprile - 23 giugno 2017
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Previdenza - Provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento di quiescenza - Errore commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione - Rettifica da parte degli enti o fondi erogatori. - Legge 3 maggio 1967, n. 315 (Miglioramenti al trattamento di quiescenza della Cassa per le pensioni ai sanitari e modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), art. 26; decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), artt. 204 e 205. -
- N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 2015
Ordinanza del 16 marzo 2015 emessa dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la regione Calabria sul ricorso proposto da Cristiano Maria Teresa contro INPS.. Previdenza - Provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento di quiescenza - Rettifica in ogni momento da parte degli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione - Mancata previsione - Ingiustificato trattamento privilegiato dei pensionati del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato - Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. - Legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26; decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 204 e 205. - Costituzione, artt. 3 e 97.
IMPORTANTE sentenza in cui la CdC Lombardia riepiloga una pronuncia della Corte Costituzionale circa la distinzione di "l'errore di fatto e l'errore di diritto", qui sotto il brano:
1) - Nella citata pronuncia la Corte costituzionale, nell'esaminare le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ha altresì approfondito le differenze ontologiche tra le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo, rispetto a quelle determinate da errore di diritto, precisando che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione”. (Corte costituzionale, sent. n. omissis ).
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE LOMBARDIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI
Anno 2016 Numero 130 Pubblicazione 13/07/2016
SENT. N. 130/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO
dott.ssa Giuseppina Veccia
nella pubblica udienza del 14 giugno 2016 ha pronunciato
SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n.28426 del registro di segreteria, sul ricorso proposto da G. S., nata a ...omissis..., ...omissis... ...omissis...
CONTRO
INPS (gestione ex INPDAP) - sede in OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore;
per
Contestazione del diritto al recupero di somme indebitamente erogate su pensione. VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205, ed in particolare gli artt. 5 e 9;
VISTO il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
SENTITI, alla pubblica udienza del 14 giugno 2016, per l’INPS, l’avv. Giulio Peco, nessuno presente per la parte ricorrente;
Premesso in
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato all’Istituto convenuto in data omissis e depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data omissis, parte attrice, ex dipendente OMISSIS ha lamentato l'applicazione, sulla propria pensione, n. identificativo ex omissis omissis omissis, del recupero di somme erogate e non dovute, per un importo pari ad euro 1.929,78, con contestuale trattenuta mensile sul rateo pensionistico pari ad euro 80,40 disposto con provvedimento dell'INPS - sede di omissis - datato omissis.
Avverso il predetto atto la sig.ra ...OMISSIS... , dopo aver proposto ricorso in opposizione alla sede INPS di omissis, dichiarato inammissibile, ha adìto questo Giudice unico delle pensioni per vedere affermato il proprio diritto a trattenere la somma prima corrisposta e successivamente chiesta in ripetizione dall'INPS, anche nell'eventualità che tale somma risultasse effettivamente non spettante, invocando, a fondamento della propria pretesa, la tutela del legittimo affidamento, come statuito dalle Sezioni Riunite di questa Corte con sentenza n. omissis .
Ha chiesto, conseguentemente, la ricorrente, la condanna dell'ente previdenziale convenuto alla restituzione di quanto finora trattenuto a tale titolo.
Con memoria depositata il omissis si è costituito l'INPS che, rappresentate le difficoltà operative connesse alla gestione delle pensioni ex OMISSIS - interessate dalla c.d. “ricostituzione batch” - ha ricostruito la fattispecie all'esame, dalla quale è risultata l'adozione di un primo provvedimento del omissis , di ricalcolo della pensione con errata diminuzione dell’importo dell’indennità integrativa speciale a vantaggio della pensione base e, dopo cinque mesi, in data omissis - rilevato l’errore in occasione della ricostituzione "batch” della pensione - l'adozione di un secondo provvedimento di corretta rideterminazione, con emersione di un indebito di euro 1.929,78, la cui ripetizione è oggetto del presente giudizio.
Ha concluso, quindi, l'Istituto convenuto, per il rigetto del ricorso, non ritenendo applicabile alla presente fattispecie, né la disciplina normativa né l'orientamento giurisprudenziale in materia di tutela dell'affidamento e, chiedendo, nella subordinata ipotesi di accoglimento del ricorso - che siano dichiarati non dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme eventualmente dichiarate irripetibili.
All'udienza del 14 giugno 2016, sentito l'avv. Peco per l'INPS, la causa è stata posta in decisione ed al termine dell'udienza pubblica è stato letto il dispositivo della presente sentenza, ai sensi dell’art. 429 c.p.c. come novellato dall’art. 53 del D.L. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 6 agosto 2008.
Ritenuto in
DIRITTO
Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo della ricorrente, disposta con provvedimento dell'INPS di omissis del omissis, che ha accertato un debito di euro 1937,20 a valere sul predetto trattamento pensionistico, in riforma del precedente atto dello stesso Ufficio del omissis che aveva , invece, accertato un credito di euro 1792,54.
Va preliminarmente rilevato che - secondo quanto chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile – il processo pensionistico dinanzi alla Corte dei conti, seppur introdotto mediante ricorso avverso atti o comportamenti della pubblica amministrazione, costituisce espressione di un giudizio sul rapporto anziché sull’atto; questa Corte non conosce, quindi, della legittimità di un atto al fine di eventualmente disporne l'annullamento, bensì valuta, in termini sostanziali, del concreto rapporto pensionistico dedotto in giudizio. Ne consegue che alcun potere di annullamento è attribuito a questo Giudice in ragione dell'illegittimità di singoli atti.
Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, appare incontestata la natura definitiva del trattamento pensionistico determinato dall'INPS sia con il primo atto del omissis che con il successivo
omissis.
Deve ritenersi, pertanto, che i riferimenti normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia siano da ricercarsi nella disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del D.P.R. 1092 del 1973.
In particolare, l’articolo 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Al successivo articolo 204 si legge che “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”. Infine, ai sensi dell’articolo 205, primo comma, “Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti”.
Sulla base del predetto quadro normativo questo Giudice è chiamato a valutare se la fattispecie in esame rientri nelle ipotesi in cui sia assentita la modifica del trattamento di pensione definitivo e, qualora questa sia ammessa, se è consentito all'Amministrazione di recuperare quanto medio tempore indebitamente erogato.
Al riguardo va richiamata la pronuncia n. omissis con la quale le Sezioni riunite di questa Corte, nell’affrontare la questione della modificabilità del trattamento di quiescenza definitivo per la pensionistica di guerra, hanno preso in esame, incidentalmente ma delineandone puntualmente i profili, la disciplina vigente per la pensionistica ordinaria.
In tale occasione, le Sezioni Riunite hanno precisato che la normativa speciale, di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n. 1092 del 1973, ispirata ad un favor nei confronti del pensionato, delinea una casistica compiuta e tassativa dei casi nei quali il provvedimento pensionistico definitivo può essere annullato d'ufficio, dovendosi ritenere che, al di fuori di essa, non sia ammissibile alcuna altra forma di autotutela, ponendosi in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis omissis omissis omissis omissis ).
Sulla particolare disciplina dettata dagli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973, anche la Corte Costituzionale è recentemente tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. omissis , nella quale ha ribadito il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione ed evidenziato la sostanziale differenza della fase che intercorre tra liquidazione provvisoria e liquidazione definitiva della pensione rispetto alla fase successiva al provvedimento definitivo di pensione, nella quale l'affidamento del pensionato trova adeguata tutela nell'elencazione tassativa delle cause che giustificano una revoca o modifica, nel limitato arco temporale entro il quale tali variazioni sono ammesse e nella irripetibilità delle somme corrisposte nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità, risultanti non dovute.
Nella citata pronuncia la Corte costituzionale, nell'esaminare le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ha altresì approfondito le differenze ontologiche tra le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo, rispetto a quelle determinate da errore di diritto, precisando che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione”. (Corte costituzionale, sent. n. omissis ).
Da ciò l'esclusione dell'errore di diritto dalle cause che ammettono modifiche del trattamento pensionistico ai sensi del citato art.204.
Poste tali premesse, occorre verificare se la natura dell’errore che ha condotto l’Amministrazione a modificare il trattamento definitivo di cui al
presente giudizio sia ascrivibile al novero delle cause previste dal legislatore.
Ora, dalla memoria di costituzione dell'INPS si apprende che l'indebita erogazione è da ricondursi ad errore di calcolo consistente nell'errata diminuzione dell’importo dell’indennità integrativa speciale a vantaggio della pensione base e che il corretto trattamento pensionistico è stato determinato a seguito dell'eliminazione di tale errore.
Non sembra potersi dubitare, dunque, che l'Amministrazione sia incorsa nell'errore di calcolo di cui alla lettera b) dell'art.204 e, incontestato altresì che il nuovo provvedimento di modifica sia intervenuto entro il termine triennale di cui all'art.205, deve ritenersi pienamente ammissibile l'intervenuta reformatio in peius del trattamento pensionistico e, dunque, legittima l'attività dell'Amministrazione che tale variazione ha disposto con atto del omissis.
Occorre, altresì, rilevare che l'assenza di ogni dolo dell'interessata esclude, ai sensi del successivo art.206, la ripetibilità delle somme medio tempore erogate e, dunque, rende illegittima l'attività di recupero intrapresa dall'Amministrazione.
Per tutto quanto sopra esposto il ricorso proposto da G. S. è fondato e merita accoglimento. Ne consegue la condanna dell'INPS alla restituzione di quanto finora trattenuto.
In considerazione della circostanza che, in ordine al predetto recupero, l'Amministrazione ha agito in violazione del divieto di ripetizione espressamente sancito dal citato art.206 d.P.R. n. 1092/1973, sulle somme restituite vanno corrisposti alla ricorrente gli accessori di legge entro i limiti della maggiore somma tra interessi e rivalutazione.
Quanto alla regolamentazione delle spese, non si ha luogo a pronuncia in quanto la ricorrente non risulta assistita da procuratore.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Lombardia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione, deduzione
ACCOGLIE
il ricorso in epigrafe e, per l’effetto:
- dichiara il diritto della sig.ra G. S. all'irripetibilità delle somme indebitamente erogate ed accertate con provvedimento omissis ;
- condanna l'INPS di omissis alla restituzione alla medesima delle somme indebitamente trattenute in forza del citato provvedimento ed alla corresponsione, su quanto dovuto in esecuzione della presente sentenza, della maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, c.3 c.p.c., tenuto conto dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, n. omissis.
Nulla per le spese.
Così deciso in Milano, il 14 giugno 2016.
IL GIUDICE
Giuseppina Veccia
Depositata in Segreteria il 13/07/2016
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Perché tutto quanto sopra postato?
Perché una CdC alla seguente domanda dell’INPS posta nel ricorso per l’art. 54: “Pertanto l'INPS concludeva chiedendo preliminarmente di dichiarare la decadenza dall'azione ex srt. 204 cit.; sempre in via preliminare, dichiarare prescritti i ratei oggetto di domanda nel periodo anteriore il quinquennio) dalla notifica del ricorso introduttivo; nel merito, il rigetto del ricorso con limitazione, in ogni caso, dell'eventuale condanna, quanto agli accessori, alla maggior somma tra interessi e rivalutazione.”
Così il giudice della CdC in DIRITTO che accoglieva il ricorso, alla suddetta richiesta scrive:
Quanto al profilo sollevato in via preliminare dall'INPS, va evidenziato che la norma invocata dell'art. 204 TU n. 1092/1973 - che costituisce peraltro norma di tutela rafforzata della posizione del pensionato, a tutela dell'intangibilità del suo trattamento di quiescenza - non si applica ai casi di errore di diritto (Corte cost, sentenza n. 2018/2014, come rammentato ex pluribus da Sez. giuro Lombardia, sentenza n. 130 del 14 giugno 2016). La relativa eccezione va rigettata.
Badate bene che non si applica ai casi di: errore di diritto
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- N. 148 SENTENZA 4 aprile - 23 giugno 2017
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Previdenza - Provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento di quiescenza - Errore commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione - Rettifica da parte degli enti o fondi erogatori. - Legge 3 maggio 1967, n. 315 (Miglioramenti al trattamento di quiescenza della Cassa per le pensioni ai sanitari e modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), art. 26; decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), artt. 204 e 205. -
- N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 2015
Ordinanza del 16 marzo 2015 emessa dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la regione Calabria sul ricorso proposto da Cristiano Maria Teresa contro INPS.. Previdenza - Provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento di quiescenza - Rettifica in ogni momento da parte degli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione - Mancata previsione - Ingiustificato trattamento privilegiato dei pensionati del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato - Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. - Legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26; decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 204 e 205. - Costituzione, artt. 3 e 97.
IMPORTANTE sentenza in cui la CdC Lombardia riepiloga una pronuncia della Corte Costituzionale circa la distinzione di "l'errore di fatto e l'errore di diritto", qui sotto il brano:
1) - Nella citata pronuncia la Corte costituzionale, nell'esaminare le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ha altresì approfondito le differenze ontologiche tra le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo, rispetto a quelle determinate da errore di diritto, precisando che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione”. (Corte costituzionale, sent. n. omissis ).
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE LOMBARDIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI
Anno 2016 Numero 130 Pubblicazione 13/07/2016
SENT. N. 130/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO
dott.ssa Giuseppina Veccia
nella pubblica udienza del 14 giugno 2016 ha pronunciato
SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n.28426 del registro di segreteria, sul ricorso proposto da G. S., nata a ...omissis..., ...omissis... ...omissis...
CONTRO
INPS (gestione ex INPDAP) - sede in OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore;
per
Contestazione del diritto al recupero di somme indebitamente erogate su pensione. VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205, ed in particolare gli artt. 5 e 9;
VISTO il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
SENTITI, alla pubblica udienza del 14 giugno 2016, per l’INPS, l’avv. Giulio Peco, nessuno presente per la parte ricorrente;
Premesso in
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato all’Istituto convenuto in data omissis e depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data omissis, parte attrice, ex dipendente OMISSIS ha lamentato l'applicazione, sulla propria pensione, n. identificativo ex omissis omissis omissis, del recupero di somme erogate e non dovute, per un importo pari ad euro 1.929,78, con contestuale trattenuta mensile sul rateo pensionistico pari ad euro 80,40 disposto con provvedimento dell'INPS - sede di omissis - datato omissis.
Avverso il predetto atto la sig.ra ...OMISSIS... , dopo aver proposto ricorso in opposizione alla sede INPS di omissis, dichiarato inammissibile, ha adìto questo Giudice unico delle pensioni per vedere affermato il proprio diritto a trattenere la somma prima corrisposta e successivamente chiesta in ripetizione dall'INPS, anche nell'eventualità che tale somma risultasse effettivamente non spettante, invocando, a fondamento della propria pretesa, la tutela del legittimo affidamento, come statuito dalle Sezioni Riunite di questa Corte con sentenza n. omissis .
Ha chiesto, conseguentemente, la ricorrente, la condanna dell'ente previdenziale convenuto alla restituzione di quanto finora trattenuto a tale titolo.
Con memoria depositata il omissis si è costituito l'INPS che, rappresentate le difficoltà operative connesse alla gestione delle pensioni ex OMISSIS - interessate dalla c.d. “ricostituzione batch” - ha ricostruito la fattispecie all'esame, dalla quale è risultata l'adozione di un primo provvedimento del omissis , di ricalcolo della pensione con errata diminuzione dell’importo dell’indennità integrativa speciale a vantaggio della pensione base e, dopo cinque mesi, in data omissis - rilevato l’errore in occasione della ricostituzione "batch” della pensione - l'adozione di un secondo provvedimento di corretta rideterminazione, con emersione di un indebito di euro 1.929,78, la cui ripetizione è oggetto del presente giudizio.
Ha concluso, quindi, l'Istituto convenuto, per il rigetto del ricorso, non ritenendo applicabile alla presente fattispecie, né la disciplina normativa né l'orientamento giurisprudenziale in materia di tutela dell'affidamento e, chiedendo, nella subordinata ipotesi di accoglimento del ricorso - che siano dichiarati non dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme eventualmente dichiarate irripetibili.
All'udienza del 14 giugno 2016, sentito l'avv. Peco per l'INPS, la causa è stata posta in decisione ed al termine dell'udienza pubblica è stato letto il dispositivo della presente sentenza, ai sensi dell’art. 429 c.p.c. come novellato dall’art. 53 del D.L. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 6 agosto 2008.
Ritenuto in
DIRITTO
Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo della ricorrente, disposta con provvedimento dell'INPS di omissis del omissis, che ha accertato un debito di euro 1937,20 a valere sul predetto trattamento pensionistico, in riforma del precedente atto dello stesso Ufficio del omissis che aveva , invece, accertato un credito di euro 1792,54.
Va preliminarmente rilevato che - secondo quanto chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile – il processo pensionistico dinanzi alla Corte dei conti, seppur introdotto mediante ricorso avverso atti o comportamenti della pubblica amministrazione, costituisce espressione di un giudizio sul rapporto anziché sull’atto; questa Corte non conosce, quindi, della legittimità di un atto al fine di eventualmente disporne l'annullamento, bensì valuta, in termini sostanziali, del concreto rapporto pensionistico dedotto in giudizio. Ne consegue che alcun potere di annullamento è attribuito a questo Giudice in ragione dell'illegittimità di singoli atti.
Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, appare incontestata la natura definitiva del trattamento pensionistico determinato dall'INPS sia con il primo atto del omissis che con il successivo
omissis.
Deve ritenersi, pertanto, che i riferimenti normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia siano da ricercarsi nella disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del D.P.R. 1092 del 1973.
In particolare, l’articolo 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Al successivo articolo 204 si legge che “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”. Infine, ai sensi dell’articolo 205, primo comma, “Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti”.
Sulla base del predetto quadro normativo questo Giudice è chiamato a valutare se la fattispecie in esame rientri nelle ipotesi in cui sia assentita la modifica del trattamento di pensione definitivo e, qualora questa sia ammessa, se è consentito all'Amministrazione di recuperare quanto medio tempore indebitamente erogato.
Al riguardo va richiamata la pronuncia n. omissis con la quale le Sezioni riunite di questa Corte, nell’affrontare la questione della modificabilità del trattamento di quiescenza definitivo per la pensionistica di guerra, hanno preso in esame, incidentalmente ma delineandone puntualmente i profili, la disciplina vigente per la pensionistica ordinaria.
In tale occasione, le Sezioni Riunite hanno precisato che la normativa speciale, di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n. 1092 del 1973, ispirata ad un favor nei confronti del pensionato, delinea una casistica compiuta e tassativa dei casi nei quali il provvedimento pensionistico definitivo può essere annullato d'ufficio, dovendosi ritenere che, al di fuori di essa, non sia ammissibile alcuna altra forma di autotutela, ponendosi in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis omissis omissis omissis omissis ).
Sulla particolare disciplina dettata dagli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973, anche la Corte Costituzionale è recentemente tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. omissis , nella quale ha ribadito il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione ed evidenziato la sostanziale differenza della fase che intercorre tra liquidazione provvisoria e liquidazione definitiva della pensione rispetto alla fase successiva al provvedimento definitivo di pensione, nella quale l'affidamento del pensionato trova adeguata tutela nell'elencazione tassativa delle cause che giustificano una revoca o modifica, nel limitato arco temporale entro il quale tali variazioni sono ammesse e nella irripetibilità delle somme corrisposte nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità, risultanti non dovute.
Nella citata pronuncia la Corte costituzionale, nell'esaminare le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ha altresì approfondito le differenze ontologiche tra le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo, rispetto a quelle determinate da errore di diritto, precisando che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione”. (Corte costituzionale, sent. n. omissis ).
Da ciò l'esclusione dell'errore di diritto dalle cause che ammettono modifiche del trattamento pensionistico ai sensi del citato art.204.
Poste tali premesse, occorre verificare se la natura dell’errore che ha condotto l’Amministrazione a modificare il trattamento definitivo di cui al
presente giudizio sia ascrivibile al novero delle cause previste dal legislatore.
Ora, dalla memoria di costituzione dell'INPS si apprende che l'indebita erogazione è da ricondursi ad errore di calcolo consistente nell'errata diminuzione dell’importo dell’indennità integrativa speciale a vantaggio della pensione base e che il corretto trattamento pensionistico è stato determinato a seguito dell'eliminazione di tale errore.
Non sembra potersi dubitare, dunque, che l'Amministrazione sia incorsa nell'errore di calcolo di cui alla lettera b) dell'art.204 e, incontestato altresì che il nuovo provvedimento di modifica sia intervenuto entro il termine triennale di cui all'art.205, deve ritenersi pienamente ammissibile l'intervenuta reformatio in peius del trattamento pensionistico e, dunque, legittima l'attività dell'Amministrazione che tale variazione ha disposto con atto del omissis.
Occorre, altresì, rilevare che l'assenza di ogni dolo dell'interessata esclude, ai sensi del successivo art.206, la ripetibilità delle somme medio tempore erogate e, dunque, rende illegittima l'attività di recupero intrapresa dall'Amministrazione.
Per tutto quanto sopra esposto il ricorso proposto da G. S. è fondato e merita accoglimento. Ne consegue la condanna dell'INPS alla restituzione di quanto finora trattenuto.
In considerazione della circostanza che, in ordine al predetto recupero, l'Amministrazione ha agito in violazione del divieto di ripetizione espressamente sancito dal citato art.206 d.P.R. n. 1092/1973, sulle somme restituite vanno corrisposti alla ricorrente gli accessori di legge entro i limiti della maggiore somma tra interessi e rivalutazione.
Quanto alla regolamentazione delle spese, non si ha luogo a pronuncia in quanto la ricorrente non risulta assistita da procuratore.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Lombardia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione, deduzione
ACCOGLIE
il ricorso in epigrafe e, per l’effetto:
- dichiara il diritto della sig.ra G. S. all'irripetibilità delle somme indebitamente erogate ed accertate con provvedimento omissis ;
- condanna l'INPS di omissis alla restituzione alla medesima delle somme indebitamente trattenute in forza del citato provvedimento ed alla corresponsione, su quanto dovuto in esecuzione della presente sentenza, della maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, c.3 c.p.c., tenuto conto dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, n. omissis.
Nulla per le spese.
Così deciso in Milano, il 14 giugno 2016.
IL GIUDICE
Giuseppina Veccia
Depositata in Segreteria il 13/07/2016
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Perché tutto quanto sopra postato?
Perché una CdC alla seguente domanda dell’INPS posta nel ricorso per l’art. 54: “Pertanto l'INPS concludeva chiedendo preliminarmente di dichiarare la decadenza dall'azione ex srt. 204 cit.; sempre in via preliminare, dichiarare prescritti i ratei oggetto di domanda nel periodo anteriore il quinquennio) dalla notifica del ricorso introduttivo; nel merito, il rigetto del ricorso con limitazione, in ogni caso, dell'eventuale condanna, quanto agli accessori, alla maggior somma tra interessi e rivalutazione.”
Così il giudice della CdC in DIRITTO che accoglieva il ricorso, alla suddetta richiesta scrive:
Quanto al profilo sollevato in via preliminare dall'INPS, va evidenziato che la norma invocata dell'art. 204 TU n. 1092/1973 - che costituisce peraltro norma di tutela rafforzata della posizione del pensionato, a tutela dell'intangibilità del suo trattamento di quiescenza - non si applica ai casi di errore di diritto (Corte cost, sentenza n. 2018/2014, come rammentato ex pluribus da Sez. giuro Lombardia, sentenza n. 130 del 14 giugno 2016). La relativa eccezione va rigettata.
Badate bene che non si applica ai casi di: errore di diritto