Associazione Sindacale Appartenenti Polizia

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per notizia agli appartenenti ASAP

Il CdS accoglie l'appello dell'ASAP
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09/09/2014 201404580 Sentenza 3


N. 04580/2014REG.PROV.COLL.
N. 09261/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9261 del 2008, proposto da:
ASAP - Associazione Sindacale Appartenenti Polizia, rappresentata e difesa dagli avv. Guido Orlando, Sergio Acquilino, con domicilio eletto presso Guido Orlando in Roma, piazza Cola di Rienzo n. 69;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE II n. 01167/2008, resa tra le parti, concernente diritto all'informazione di sindacati non maggiormente rappresentativi nell’ambito del Corpo della Polizia di Stato;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2014 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti l’avvocato Orlando e l’avvocato dello Stato Spina Maria Luisa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L'attuale Appellante A.S.A.P. (Associazione Sindacale Appartenenti Polizia) si costituiva come sindacato di categoria dei dipendenti della Polizia di Stato nel 1994, senza possedere il requisito della maggiore rappresentatività e senza sottoscrivere i contratti collettivi di lavoro.

In data 15.11.1994, il Ministero dell'Interno prendeva atto dell'avvenuta costituzione informandone i vari uffici tramite una comunicazione circolare nella quale si specificava che la "citata O.S. non possedendo requisiti di maggiore rappresentatività sul piano nazionale gode, come tutte le altre OO.SS. regolarmente costituite, dei diritti sindacali previsti dalla legge 121/81 in materia di riunione (art. 82), di disponibilità spazi murali (art. 92/a c.) e riscossioni di contributi sindacali (art. 93)". Tra il 1995 e il 2005 intercorreva una fitta corrispondenza tra l' A.S.A.P. e il Ministero dell'Interno per il mancato invio da parte di quest'ultimo di tutta la documentazione avente ad oggetto il rapporto di lavoro e le questioni sindacali inerenti ai soci dell'organizzazione sindacale sopra richiamata. Escludendo taluni riscontri di generica disponibilità, l'invio mensile del materiale necessario all'A.S.A.P continuava a mancare, nonostante, in data 18.12.2000, il Ministero dell'Interno - Ufficio per le Relazioni Sindacali comunicasse alla stessa di aver interessato per l'incombente la Direzione Centrale dei Servizi Tecnici Logistici. Successivamente, in data 29.03.2005, il Ministero dell'Interno - Ufficio per le Relazioni Sindacali della Polizia di Stato mutava il suo orientamento, negando la disponibilità manifestata in un primo momento nei confronti dell'A.S.A.P.. Infatti con lettera n. 557/RS/S.24/2005/0549 l'Ufficio comunicava che le procedure d'informazione preventiva o successiva potevano essere attivate solo nei confronti delle OO.SS. firmatarie del contratto di lavoro così come previsto dall'art. 25 del D.P.R. n. 164/2002. Tuttavia, nella stessa comunicazione si rendeva disponibile ad inviare le singole circolari, nel caso fossero espressamente e specificatamente richieste dall'A.S.A.P.

In data 07.05.2005 l'A.S.A.P. inviava all'Ufficio sopra richiamato formale diffida chiedendo di rimuovere lo stato di illegittima omissione con espressa richiesta di fornire tutta la documentazione già richiesta in precedenza. Il Ministero procedeva con il respingere in toto le richieste segnalando che il rivendicato diritto d'informazione non era riconosciuto alla richiedente ma solo alle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale e facendo presente che i tabulati riguardanti la consistenza associativa delle OO.SS. potevano essere ritirati direttamente presso l'ufficio (nota n. 557/RS/S24/0549 del 01.06.2005).

Nel 2006 l'A.S.A.P. proponeva ricorso dinanzi al TAR Liguria per l'accertamento del diritto d'informazione spettante all'associazione. In particolare l'associazione sindacale chiedeva l'accertamento del diritto a ricevere tutta la documentazione avente ad oggetto il rapporto di lavoro e le questioni sindacali nonché i tabulati degli iscritti e dei contributi associativi versati, lamentando la violazione dell'art. 82 della legge n. 121/1981 riguardante il diritto degli appartenenti alla Polizia di associarsi in sindacati; la violazione dell'art. 93 della stessa legge riguardante la facoltà riconosciuta agli appartenenti alla Polizia di rilasciare delega alla propria O.S. per la riscossione di una quota mensile dello stipendio a titolo di pagamento dei contributi sindacali; la violazione dell'art. 39 della Costituzione riguardante il diritto di associarsi liberamente in sindacati.

Il Ministero dell'Interno chiedeva la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del gravame.

In data 30.05.2008 il TAR Liguria emanava la sentenza n. 1167 con cui dichiarava l'inammissibilità del ricorso sotto tre profili:

- domanda proposta in maniera eccessivamente generica;

- domanda costruita come istanza d'accesso ad atti dell'amministrazione in violazione dell'iter previsto appositamente dal legislatore nella legge n. 241/1990;

- difetto di giurisdizione per i comportamenti antisindacali la cui tutela appartiene al giudice ordinario.

L'A.S.A.P. ricorre quindi in appello dinanzi al Consiglio di Stato avverso la sentenza sopra richiamata:
contestando il giudizio di genericità della domanda, che è invece molto precisa e circostanziata anche con il riferimento all'informazione trasmessa agli altri sindacati; negando che la domanda possa considerarsi quale procedura di accesso; e negando anche di aver inteso proporre azione di accertamento della condotta antisindacale del datore di lavoro, ben sapendo che si tratta di procedura riservata alle associazioni sindacali nazionalmente più rappresentative. Ha inteso invece avvalersi degli strumenti generali per far valere il diritto di informazione del sindacato come soggetto costituzionalmente qualificato, a prescindere dalle sue dimensioni, per aspetti che concernono le ragioni della sua esistenza e minima funzionalità.

DIRITTO

1. - La causa è stata discussa e trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 22 maggio 2014.

2. - L'appello è fondato nei limiti della seguente motivazione.

2.1. - Vanno esaminate le diverse motivazioni per le quali il giudice di primo grado ha, invece, ritenuto il ricorso inammissibile per almeno tre profili.

2.2. - Con riferimento al primo profilo di inammissibilità per genericità della domanda, deve condividersi l'obiezione dell'appellante che ha dimostrato come la domanda non sia affatto generica dal momento che si richiede la documentazione - ed in particolare quella normativa - ordinariamente trasmessa agli altri sindacati e quella relativa alle quote trattenute sugli stipendi degli iscritti allo stesso sindacato.

2.3. - Non convince neppure la seconda motivazione di inammissibilità secondo la quale l'ASAP avrebbe proposto in via sostanziale una procedura di accesso senza seguire le modalità e il rito specifico previsto per l'accesso agli atti della PA dalla legge n. 241/1990. La domanda ha infatti tutti i requisiti sostanziali per essere riqualificata dal giudice come domanda di accesso agli atti ai sensi dell'art. 32 del codice del processo amministrativo (o dei previgenti principi giurisprudenziali), senza incontrare ostacoli nelle disposizioni della legge n. 241 del 1990 e nell'esistenza di un apposito rito per l'accesso. I presupposti sostanziali richiesti concorrono nel caso di specie sia sotto il profilo soggettivo dell'agente, sia sotto quello oggettivo dei contenuti: a) la richiesta della documentazione normativa trasmessa agli altri sindacati e quella relativa alle quote trattenute sugli stipendi è stata rivolta reiteratamente alla Pubblica Amministrazione competente; b) la domanda proviene da un soggetto pienamente legittimato ad avanzarla essendo gli atti oggetto dell'accesso suscettibili di spiegare i loro effetti diretti o indiretti nei confronti del richiedente in relazione a interessi concreti che possono corrispondere secondo la giurisprudenza anche a situazioni collettive o diffuse e dunque anche ad un sindacato, in quanto portatore di interessi diffusi; c) i suoi contenuti sono appropriati in quanto sono attinenti alla natura sindacale dell'agente, concernendo un tipo di informazione che spetta istituzionalmente - proprio per lo svolgimento della sua attività essenziale e primaria - al sindacato, il quale ha, quindi, uno specifico interesse collettivo ad azionare il diritto di accesso nella materia; d) tale informazione è detenuta o formata dalla Amministrazione a cui è stata rivolta la richiesta, quale autorità in materia, come osserva del resto la stessa sentenza appellata, traendone però conseguenze opposte a quelle che ne sono in questa sede ricavate; e) secondo la stessa Amministrazione, la documentazione coincide con quella che rientra nei diritti di informazione delle organizzazioni sindacali, ma non spetta a questo titolo al richiedente in quanto non possiede i requisiti necessari per qualificarsi come una delle associazioni sindacali più rappresentative ai sensi del D.P.R. n. 254/1999; f) ciò dimostra che la richiesta è invece azionabile in forma di accesso e che non incontra il limite del divieto di esercitare nella forma dell'accesso un controllo generalizzato su attività amministrative, ai sensi dell'art. 24, comma 3, della legge n. 241/1990. Pertanto, salvo quanto invece di seguito statuito, come minimo la richiesta avrebbe dovuto e potuto considerarsi ammissibile come legittima domanda di accesso agli atti, non mancando alcuno dei presupposti sostanziali richiesti dagli artt. 22 e seguenti della legge 241/1990 e rispondendo la richiesta alla lettera e allo spirito della medesima legge, che impone alle Pubbliche Amministrazioni di aprire i propri archivi a chiunque abbia un interesse giuridicamente rilevante a visionare determinati documenti in nome dei principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento dell'attività amministrativa.

2.4. – Si deve tuttavia prendere atto e, anzi, valorizzare il fatto che l'appellante nega fermamente di aver voluto e di voler ricorrere alla procedura di accesso, volendo invece far valere il diritto di informazione di qualsiasi sindacato - anche se non compreso tra le associazioni più rappresentative - a determinate comunicazioni essenziali all'esercizio delle sue funzioni da parte dell'Amministrazione. L'appellante nega altresì di aver inteso avanzare una richiesta di accertamento di condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970, in quanto era ben consapevole della mancanza di legittimazione della organizzazione ad avvalersi di tale procedura espressamente riservata alle associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. L'appellante ne deduce che è errata la sentenza che su questa base ha infine dichiarato il ricorso in primo grado inammissibile per la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo in tema di accertamento di condotte antisindacali del datore di lavoro ai sensi del citato art. 28.

2.5. - In tema di giurisdizione devono considerarsi le disposizioni dell'art. 63 del d. lgs. n. 165 del 2001 il quale, al comma 3, specifica che "sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni"; e al comma 4, prevede che restano devolute al giudice amministrativo: "le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi".

2.6. - Dalla disciplina che regola la giurisdizione in materia, deve dedursi che - per i Corpi di polizia che rientrano nella giurisdizione esclusiva - se una questione non rientra nella giurisdizione riservata al giudice ordinario dal comma 3, rientra necessariamente nel comma 4, che attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione restante per la disciplina dei rapporti di lavoro inclusi quelli attinenti ai diritti sindacali. Può essere di conseguenza applicato a maggior ragione alle procedure di tutela previste nel giudizio amministrativo - nelle aree del pubblico impiego ad esso riservate in forma di giurisdizione esclusiva - il principio di diritto affermato in via generale dalla sentenza della Corte di Cassazione 3 maggio 2003, n. 6723, che ha ribadito che le stesse posizioni oggetto di tutela attraverso lo speciale procedimento di repressione della condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300/1970, più volte citata, possono trovare tutela nel procedimento ordinario, per il quale assume rilievo condizionante il presupposto dell'interesse ad agire, secondo la regola comune dettata dall'art. 100 c.p.c.. La stessa sentenza della Corte di Cassazione appena citata richiama le sentenze della Corte costituzionale al riguardo: “la Corte costituzionale ha affermato che quel procedimento (ex art. 28) non modifica né restringe in alcun modo le tutele assicurate dalle leggi ai diritti delle associazioni sindacali, essendo piuttosto diretto a reprimere, in via d'urgenza e provvisoria comportamenti diretti contro l'attività e la libertà sindacale (Corte cost. 6.3.1974, n. 54). Tale orientamento fu ribadito ancora dalla stessa Corte costituzionale (sent. 24.3.1988, n. 334) che dichiarò nuovamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., osservando che la previsione, ivi contenuta, dei requisiti soggettivi ai fini dell'esperibilità di quel procedimento speciale non priva né limita le altre associazioni sindacali dei mezzi di tutela (sostanziali o processuali) di cui già fruiscono in base al codice di rito”. Anche tali sentenze della Corte costituzionale vanno di conseguenza interpretate e applicate – nelle aree del pubblico impiego riservate alla giurisdizione esclusiva - alla luce della ripartizione di giurisdizione successivamente fissata dai commi 3 e 4, testualmente sopra riportati, dell'art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001. A favore della esistenza di una giurisdizione del giudice amministrativo in tema di diritti sindacali, esterni alle specifiche procedure che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, si è pronunciata di recente la sentenza di questa Sezione del 9 aprile 2014 n. 1689, tanto più significativa in quanto conclude una vicenda processuale nata da un diniego di propria giurisdizione da parte del giudice ordinario. La stessa sentenza si pronuncia in modo restrittivo sui requisiti utili per accedere alla procedura speciale di tutela sindacale quale sede locale di una associazione rappresentativa in campo nazionale.

2.7. – Alla luce delle considerazioni che precedono, si può affermare che spetta certamente al giudice amministrativo la verifica della sussistenza dei presupposti per esercitare la propria giurisdizione, nel senso di accertare che l'interesse fatto valere in giudizio non rientra tra quelli tutelabili attraverso le procedure di cui all'art. 28 della legge n. 300/1990 e di conseguenza rientra nelle procedure ordinarie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo per la restante disciplina dei rapporti di lavoro alla luce del principio fissato dall’art. 63, commi 3 e 4, più volte citati.

2.8. - Affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, deve esaminarsi nel merito la fondatezza della richiesta dell'appellante nei termini più generali dallo stesso proposti, dopo aver già riconosciuto al punto 2.3. la possibilità di riqualificare la stessa nei termini di una fondata richiesta di accesso agli atti. Le ragioni già esposte al riguardo della legittimità della richiesta di accesso valgono anche a convalidare la domanda nei termini più generali di accertamento del diritto di informazione del sindacato legittimamente costituito e riconosciuto, ma non in possesso dei requisiti di associazione più rappresentativa sul piano nazionale. Tali ragioni sono ulteriormente rafforzate dalla constatazione che le richieste non riguardano l'esercizio delle competenze contrattuali riservate alle associazioni sindacali più rappresentative e dunque non può considerarsi adeguatamente motivato e quindi legittimo il diniego dell'Amministrazione con il richiamo al diritto di informazione quale è disciplinato dal D.P.R. n. 254/1999 per le associazioni più rappresentative. Per gli aspetti basilari in questione nel presente giudizio, il diritto di informazione non può essere plausibilmente negato a qualsiasi sindacato legittimamente costituito e riconosciuto che ne faccia richiesta. In modo più specifico, il diritto alla informazione relativa alle quote trattenute sugli iscritti, è direttamente fondato sull'art. 93 della legge n.121/1981, riguardante la facoltà riconosciuta agli appartenenti alla Polizia di rilasciare delega alla propria organizzazione sindacale per la riscossione di una quota mensile dello stipendio a titolo di pagamento dei contributi sindacali. Per quanto riguarda la diffusione delle circolari e altri atti normativi, il diritto alla informazione diretta e tempestiva è funzionale alla necessità di esercitare le funzioni primarie che spettano a qualsiasi sindacato per la tutela dei diritti dei propri iscritti, a prescindere dal concorso alla formazione di contratti nazionali. Non è infatti sufficiente la mera accessibilità degli atti sul sito Internet, dal momento che si mettono i sindacati non maggiormente rappresentativi in condizione di netto svantaggio ( anche ai fini della competizione per estendere la partecipazione e concorrere con i sindacati maggiori) rispetto alle associazioni più rappresentative sul piano nazionale quanto all'esercizio di funzioni che spettano necessariamente a qualsiasi sindacato. Il diritto alla informazione in materia è pertanto fondato sull'art. 82 della legge n. 121/1981, riguardante in particolare il diritto degli appartenenti alla Polizia di associarsi in sindacati e sull'art. 39 della Costituzione riguardante il diritto di associarsi liberamente in sindacati. Nel senso di assicurare a tutte le organizzazioni sindacali la collaborazione degli uffici per il miglior svolgimento delle relazioni sindacali si esprime del resto la circolare dello stesso dl Ministero dell’Interno n. 557/RS/01/31/0636 in data 22 febbraio 2005.

2.9. - Il fatto che dall'agosto 2007 almeno l'informazione relativa alla riscossione delle quote contributive degli iscritti sia stata regolarmente fornita, non rende improcedibile la domanda per questa parte, dal momento che essa ha per oggetto non solo la regolare trasmissione dei dati richiesti, ma anche l'accertamento di un diritto nello stesso senso.

2.10. - L'accertamento del diritto nei limiti derivanti dalla motivazione non ha - per la sua natura strumentale e funzionale all'esercizio di una successiva attività sindacale - effetti retroattivi, salvo che non si dia dimostrazione, con istanza di parte, di una sua specifica utilità nei limiti indicati dalla presente sentenza e per i fini valorizzati dalla stessa, con riferimento ad oggetti delimitati e circoscritti, fatta salva la fattibilità amministrativa delle relative operazioni.

3. - In base alle considerazioni che precedono, l'appello deve essere accolto nei limiti della motivazione indicati nei punti 2.8., 2.9. e 2.10..

4. - In relazione all'andamento della vicenda processuale e al progressivo consolidamento della giurisprudenza in materia, le spese tra le parti per entrambi i gradi del giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso in primo grado nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/09/2014


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Re: Associazione Sindacale Appartenenti Polizia

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Per opportuna notizia

Personale della Polizia di Stato e agibilità sindacale in costanza di mandato parlamentare; sospensione del procedimento disciplinare attivato prima dell’elezione al parlamento nazionale.
QUESITO.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201801664 - Public 2018-06-28 -

Numero 01664/2018 e data 28/06/2018 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 6 giugno 2018

NUMERO AFFARE 00793/2018

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Personale della Polizia di Stato e agibilità sindacale in costanza di mandato parlamentare; sospensione del procedimento disciplinare attivato prima dell’elezione al parlamento nazionale. QUESITO.

LA SEZIONE
Vista la relazione18 aprile 2018 prot. n. 555/RS/01/10/2/001861 con la quale il Ministero dell’interno - dipartimento della pubblica sicurezza - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo sopra indicato;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Saverio Capolupo.


Premesso e considerato

Il Capo della Polizia di Stato - direttore generale della pubblica sicurezza - con nota prot. n. 555/RS/01/10/2/001861 del 18 aprile 2018 ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine ai seguenti quesiti:

1. “Se l’appartenente alla Polizia di Stato in aspettativa per candidatura o per mandato parlamentare possa contemporaneamente ricoprire cariche sindacali ed esercitare le connesse prerogative”.

2. “Se il procedimento disciplinare attivato in un momento antecedente alla candidatura e alla successiva elezione di un appartenente alla Polizia di Stato debba essere sospeso fino al termine dell’incarico elettivo”.

1° Quesito

“Se l’appartenente alla Polizia di Stato in aspettativa per candidatura o per mandato parlamentare possa contestualmente ricoprire cariche sindacali ed esercitare le connesse prerogative”.

1. Quadro giuridico di riferimento.

Con legge 1 aprile 1981 n. 121 (!Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza”) e con il decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982 n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia) è stata dettata, a motivo della particolarità dei compiti istituzionali espletati, una disciplina autonoma per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Rilevano, ai fini in esame, però, anche alcune specifiche norme costituzionali.

In particolare, ai sensi dell’art. 98 della Costituzione: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.

Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

Relativamente alle norme di comportamento, l’art. 81 della legge 1° aprile 1981 n. 121 dispone che “Gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l’assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall’articolo seguente. È fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni.

Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell’ambito dei rispettivi uffici e in abito civile. Essi, comunque non possono prestare servizio nell'ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati alle elezioni, per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse”.

Il successivo art. 82, relativamente ai diritti sindacali, prevede che Gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno diritto di associarsi in sindacati.

Essi non possono iscriversi a sindacati diversi da quelli del personale di polizia né assumere la rappresentanza di altri lavoratori.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato, fuori dell’orario di servizio, possono tenere riunioni anche in divisa:

a) in locali di pertinenza dell’amministrazione, messi a disposizione dalla stessa, che fissa le modalità d’uso;

b) in luoghi aperti al pubblico.

Possono tenersi riunioni durante l’orario di servizio nei limiti di dieci ore annue. I dirigenti della Polizia di Stato hanno facoltà di fissare speciali modalità di tempo e di luogo per il loro svolgimento”.

In merito alla disciplina dei sindacati della Polizia di Stato, l’art. 83 della legge n. 121/1981 prevede che : “I sindacati del personale della Polizia di Stato sono formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o in quiescenza, e ne tutelano gli interessi, senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi.

Essi non possono aderire, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali”.

Gli effetti della candidatura politiche e amministrative sono disciplinati dall’articolo 53 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 secondo cui “Il personale di cui al presente decreto legislativo, candidato alle elezioni politiche ed amministrative, non può prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato.

Il personale non può prestare servizio nella circoscrizione ove è stato eletto per tutta la durata del mandato amministrativo o politico, e, comunque, per un periodo non inferiore a tre anni, e deve essere trasferito nella sede più vicina, compatibilmente con la qualifica rivestita.

Il personale eletto a cariche amministrative viene collocato in aspettativa, a domanda, per tutta la durata del mandato amministrativo, con il trattamento economico previsto dall’art. 3 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078.

Detto personale, ove non si avvalga della facoltà prevista dal comma precedente, è autorizzato ad assentarsi dal servizio dal Capo dell’ufficio o reparto nel quale presta servizio, per il tempo necessario all’espletamento del mandato amministrativo, con diritto oltre che al trattamento economico ordinario anche agli assegni, alle indennità per servizi e funzioni di carattere speciale, ai compensi per speciali prestazioni ed al compenso per lavoro straordinario, in relazione all’orario di servizio prestato ed ai servizi di istituto effettivamente svolti.

I periodi di aspettativa e di assenza sono considerati a tutti i fini come servizio effettivamente prestato”.

2. Le indicazioni del Ministero dell’interno

Il Ministero dell’interno ritiene che, in relazione all’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 non ci sia spazio in termini di discrezionalità né all’amministrazione né al dipendente circa il collegamento in aspettativa dell’appartenente alla Polizia di Stato eletto al parlamento nazionale per la durata del mandato. “La finalità di questa disposizione squaderna già gli essenziali interessi sottesi immediatamente individuabili nella tutela dell’autonomia, dell’indipendenza e della libertà di mandato e, specularmente, nel buon funzionamento, nell’esclusività e nella imparzialità della pubblica amministrazione di appartenenza”.

Il quadro giuridico di riferimento, esaminato nella sua globalità ed in modo armonico, certamente non recide il legame con l’amministrazione ma funge “da elemento sospensivo del rapporto di impiego, esonerando i dipendenti in aspettativa dall’obbligo di esercitare le proprie funzioni e prestare servizio nell’amministrazione di pertinenza”.

In altri termini, secondo il Ministero richiedente, l’effetto del provvedimento è quello di lasciare sopravvivere il rapporto di impiego “congelando tuttavia le altre prerogative connesse all’azione e, quindi, per quanto di interesse, allo status di appartenente alla Polizia di Stato”.

Ritiene, poi, che la ratio sia quella di “segnare uno iato tra candidato-eletto e amministrazione esigenza che il legislatore ha avvertito anche nel momento successivo alla conclusione della competizione elettorale, tanto da prevedere una clausola di incapacità temporanea a prestare servizio nell’ambito territoriale interessato alla consultazione”.

Il sistema enunciato dal legislatore (pubblica amministrazione-mandato politico) è espressione del principio della separazione dei poteri e conferma “l’indisponibile alternatività tra funzioni amministrazione e funzione di legislazione”.

3. Considerazioni generali

3.1. Indubbiamente, la primaria ed automatica conseguenza della collocazione in aspettativa di un dipendente pubblico in attuazione di una previsione legislativa è costituita, durante l’intero arco temporale del mandato parlamentare, dal mancato esercizio delle sue funzioni derivanti dal rapporto di servizio. Ne segue che il dipendente eletto in Parlamento non può esercitare le funzioni connesse al suo status, di cui resta comunque titolare e, quindi, ottemperare agli obblighi imposti dall’ordinamento dell’amministrazione di provenienza.

Invero, il rapporto organico o d’impiego che s’instaura all’atto dell’assunzione cessa soltanto per il sopraggiungere di talune vicende interruttive; mentre il rapporto funzionaleo (di servizio) concerne lo svolgimento delle funzioni all’interno dell’Amministrazione d’appartenenza per cui può subire nel corso del tempo modificazioni, formali e sostanziali, che rappresentano la storia lavorativa dell’impiegato all’interno della medesima Amministrazione.

In tale contesto l’attività sindacale nella Polizia di Stato è manifestazione di una delle tante modalità in cui può esprimersi il rapporto di servizio, tanto che, per le persone poste in aspettativa per motivi sindacali, com’è chiarito nella relazione del ministero dell’interno, “il rapporto di servizio nell’esercizio di attività sindacali si traduce proprio in toto nell’esercizio esclusivo dell’attività sindacale, nei termini concreti che ciascuna O.S. e ciascun sindacalista ritenga di voler adottare”.

3.2 Come considerazione di carattere generale si premette che, ai fini del presente parere, non viene formulata nessuna considerazione o valutazione in ordine alle prerogative di cui ciascun parlamentare dispone ai sensi dell’articolo 67 della Costituzione e, in particolare, alle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi del successivo art. 68, primo comma.

3.3. Con riferimento al caso di specie la Sezione evidenzia che, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 “i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo, e ai Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, il luogo dell’indennità parlamentare e della nuova indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza, che resta a carico della stessa.

Il collocamento in aspettativa ha luogo all’atto della proclamazione degli eletti: di questa legale dei consigli regionali danno comunicazione all’amministrazione di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti”.

Inoltre, l’articolo 53 del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335 preclude al personale candidato alle elezioni politiche ed amministrative di prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato.

Dalle richiamate norme giuridiche emerge una prima considerazione che va ad integrare quanto disposto dall’articolo 98 della Costituzione il quale prevede, per talune categorie, alcune limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici tra le quali rientrano i funzionari e gli agenti della Polizia di Stato.

La norma costituzionale è integrata dalla portata dell’articolo 81 della legge primo aprile 1981, n. 121 che, oltre a esigere che gli appartenenti alle forze di Polizia di Stato si mantengano al di fuori, in ogni circostanza, delle competizioni politiche, prevede, in modo esplicito, che gli stessi “non possono assumere comportamenti che compromettono l’assoluta imparzialità della loro funzione”.

Il requisito dell’imparzialità per chi esercita attività di polizia se, da un lato, non esclude l’esercizio di taluni diritti di elettorato passivo; dall’altro è mediato dalle limitazioni di cui innanzi la cui valutazione non può che competere al legislatore.

In tal modo si è inteso individuare un punto di equilibrio tra i diritti spettanti a ciascun cittadino, tra i quali quello di esercitare i diritti politici e l’esigenza che gli appartenenti alle forze di polizia, nell’esercizio della loro funzioni, assicurino imparzialità e trasparenza, in aderenza alle aspettative dei cittadini i quali confidano che gli appartenenti a tale categoria mantengano una condotta e pongano in essere comportamenti scevri da qualsiasi condizionamento ed improntati esclusivamente al principio dell’assoluta indipendenza.

Il collocamento in aspettativa “ex lege” di un appartenente alle forze di polizia implica, pertanto, che dalla data di nomina a parlamentare fino alla scadenza del mandato, gli è precluso l’esercizio delle funzioni di polizia.

Ferma restando la permanenza della status giuridico e del conseguente rapporto di impiego, l’elezione a parlamentare determina, quindi, la sospensione del rapporto funzionale o di servizio.

3.3 Anche il libero esercizio dei diritti sindacali trova il suo riconoscimento nell’art. 39 della Costituzione secondo cui “L’organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”.

Anche in tal caso, però, la norma costituzionale dev’essere integrata dalle disposizioni della legge 1° aprile 1981, n. 121 che, oltre ad esigere dal personale dell’amministrazione della pubblica sicurezza, come già evidenziato, comportamenti improntati all’imparzialità nell’esercizio delle funzioni istituzionali, disciplina, in modo autonomo, anche l’esercizio dei diritti sindacali.

In particolare, va richiamato l’articolo 83, comma 1, della legge n. 121/1981 il quale prevede che i sindacati del personale della polizia di Stato siano formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o in quiescenza.

La medesima norma, poi, oltre ad affidare ai sindacati la tutela degli interessi del personale sancisce, in modo esplicito, il divieto della loro interferenza nella direzione dei servizi o nei compiti d’istituto.

Tale disposizione conferma, in modo inequivoco, la volontà del legislatore di escludere qualsiasi tipo di ingerenza, diretta e indiretta, da parte di persone e di strutture estranee alla Polizia di Stato, prevedendo, inoltre, un’ulteriore limitazione “ideologico-funzionale mercè l’indicazione degli obiettivi dei vari sindacati, riassunti nel comune denominatore della tutela degli interessi degli appartenenti alla Polizia di Stato, peraltro delimitato dal rilevante divieto di non interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi, nascente imprescindibile dovere di assicurare il bene giuridico primario dell’Istituzione Polizia di Stato, che è quello di fornire un servizio tendente alla sicurezza del cittadino e all’ordinato vivere collettivo”.

Le limitazioni introdotte dalla legge n. 121/1981, oltre a riguardare il profilo soggettivo trovano un ulteriore ampliamento nel secondo comma del medesimo art. 83 laddove viene fatto divieto di aderire, affiliarsi, o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali.

E’, quindi, evidente l’intento del legislatore di evitare, in considerazione delle delicate funzioni di tutela della sicurezza del Paese che l’ordinamento affida alla Polizia di Stato, sia pure nell’ottica dell’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, “interferenze” esterne all’Amministrazione.

3.5. La collocazione in aspettativa dell’Appartenente alla Polizia di Stato, come già evidenziato, comporta la sospensione dell’esercizio delle sue funzioni di “poliziotto” ancorché permanga il rapporto d’impiego con l’Amministrazione.

Ne consegue che una interpretazione dell’art. 83, comma 1, della legge n. 121/1981, armonizzata con le diverse disposizioni del quadro giuridico di riferimento, costituzionalmente orientata, deve indurre a ritenere che, allorquando il legislatore ha previsto che la formazione, la direzione e la rappresentanza possano essere svolte esclusivamente da “appartenenti alla Polizia di Stato in servizio” abbia inteso riferirsi all’esercizio delle funzioni e non al rapporto d’impiego.

Una diversa interpretazione andrebbe a collidere con la ratio del sistema delle limitazioni e potrebbe, sul piano potenziale, pregiudicare l’imparzialità e l’autonomia comportamentale che, per contro, sono requisiti chiaramente enunciati, ed in modo inderogabile, dal legislatore.

La lettura delle norme giuridiche, pertanto, evidenzia una perimetrazione soggettiva ed oggettiva dell’attività sindacale degli appartenenti alla Polizia di Stato fino ad escludere non solo il divieto di partecipazione di soggetti esterni ma anche l’assunzione della rappresentanza in altre categorie di lavoratori.

Il sistema così delineato, in mancanza di una esplicita deroga legislativa, risulta decisamente ‘blindato’ e qualsiasi tentativo di deroga per via interpretativa volto ad ampliarne la perimetrazione subisce il rigore letterale dell’art. 83 della legge n. 121/1981.

D’altra parte, anche a voler considerare autonomi le attività sindacali e il mandato parlamentare – e quindi, prescindere da qualsiasi considerazione in tema di separazione dei poteri – la legittimazione (per tale via) della contemporanea partecipazione sindacale si presterebbe ai dubbi anche sul piano puramente fattuale.

3.6. Nel contempo, però, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 65 della Costituzione “la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore”.

In materia di incompatibilità parlamentare gli articoli 7 e 8 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 prevedono che, qualora esista o si determini per i membri del Parlamento qualcuna delle incompatibilità “previste negli articoli precedenti” gli accertamenti e le istruttorie delle leggi sono di “competenza della Giunta delle elezioni della Camera dei Deputati o del Senato che è investita del caso dalla presidenza della rispettiva assemblea, secondo che trattasi di un deputato di un senatore” qualora non abbiano optato nel termine di 30 fra le cariche che ricoprono e il mandato parlamentare.

In relazione a tale profilo, la Sezione ritiene che competa esclusivamente alla Giunta delle elezioni verificare se l’esercizio di rappresentante sindacale sia compatibile o meno con l’esercizio del mandato parlamentare.

2. Quesito

Il Ministero chiede di conoscere “se il procedimento disciplinare attivato nei confronto di un appartenente alla Polizia di Stato possa proseguire qualora lo stesso sia posto in aspettativa per mandato parlamentare o se tale procedimento debba essere sospeso fino al termine dell’incarico elettivo”.

1. Considerazioni del Ministero

Il Ministero ritiene che il mandato politico sopraggiunto all’avvio del procedimento disciplinare non incida sul perfezionamento del relativo iter e sul mantenimento del potere sanzionatorio in capo all’Amministrazione di appartenenza “anche in considerazione della antecedenza cronologica degli accadimenti per i quali è stato aperto il procedimento disciplinare rispetto all’elezione parlamentare, dell’estraneità dei fatti all’esercizio dell’attività parlamentare e (soprattutto) della permanenza del rapporto organico o d’impiego tra quest’ultima e il dipendenti in aspettativa per mandato parlamentare”.

2. Considerazioni generali

Al riguardo la Corte costituzionale, sia pure con riferimento ad un rappresentante della magistratura, ha statuito “la resistenza della competenza della sezione disciplinare dell’organo di autogoverno della magistratura ad adottare la sanzione disciplinare, attesa la mancanza di un nesso funzionale con la qualità di parlamentare” (sent. 24 giugno 2002 n. 270).

I principi enunciati con la richiamata pronuncia sono certamente applicabili all’ipotesi in cui si verta in materia di procedimento disciplinare instaurato nei confronti del dipendente dell’amministrazione della pubblica sicurezza le cui funzioni sono riconducibili al potere esecutivo.

Tuttavia, il Ministero non fornisce alcuna indicazione in ordine alla condotta che ha innescato l’avvio del procedimento disciplinare, al tipo di violazione contestata e ai riferimenti temporali, come pure sarebbe stato auspicabile al fine di disporre di ulteriori elementi di valutazione.

Come principio generale, l’articolo 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) prevede che “qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata l’azione il penale procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziata, deve essere sospeso”.

Tale principio non è applicabile alla fattispecie oggetto della richiesta di parere in quanto dagli atti non risulta che l’appartenente alla Polizia di Stato sottoposto a procedimento disciplinare sia, nel contempo, anche assoggettato a procedimento penale.

Ne consegue che, al fine di verificare se il procedimento disciplinare debba essere sospeso o meno, è determinante accertare se i fatti per i quali è stato avviato siano ricollegabili, sia pure indirettamente, all’esercizio delle funzioni del mandato parlamentare.

Fermo restando che la potestà disciplinare resta in capo all’Amministrazione di appartenenza, la sospensione si giustificherebbe qualora fosse necessario tutelare la posizione di indipendenza che il Parlamentare acquisisce per effetto dello status assunto a seguito della sua elezione.

Al riguardo la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che ove i comportamenti del parlamentare incolpato, oggetto del conflitto, non siano qualificabili come opinione “espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, non possono essere ricondotti in alcun modo alla sfera della insindacabilità garantita dall’articolo 68, primo comma, della Costituzione” (Corte Costituzionale, sent. 24 giugno 2002, n. 270).

Trattasi, quindi, di un principio di carattere generale e, in quanto tale, estensibile anche all’appartenente alla Polizia di Stato eletto a membro del Parlamento nazionale.

Ne consegue che, ove le condotte addebitate all’appartenente alla Polizia di Stato, ancorché in aspettativa, siano conseguenza di violazione di un dovere collegato esclusivamente a tale suo status - non potendosi qualificare come espressione di opinione nell’esercizio della sua funzione parlamentare- sono al di fuori delle garanzie di cui all’art. 68 della Costituzione.

Detto principio vale, a maggior ragione, qualora, come nel caso di specie, trattasi di condotte poste in essere dall’incolpato in un periodo precedente alla sua elezione in Parlamento.

Laddove le condotte siano ricollegabili esclusivamente allo suo status di appartenente alla Polizia di Stato e all’adempimento dei connessi doveri, e quindi in nessun modo riconducibili alle funzioni di membro del Parlamento successivamente assunte dallo stesso, la sospensione del procedimento disciplinare, nei termini innanzi definiti, non trova copertura costituzionale.

A conferma la Sezione evidenzia che la Corte costituzionale ha avuto più volte modo di precisare che le opinioni espresse “extra moenia” sono coperte da insindacabilità soltanto se assumono una “finalità divulgativa dell’attività parlamentare” in quanto tale insindacabilità è una “qualità che caratterizza, in sé e ovunque, l’opinione espressa dal parlamentare” la quale, proprio per il fondamento costituzionale che l’assiste, “è necessariamente destinata ad operare, oggettivamente e soggettivamente, erga omnes” (Corte costituzionale, sentenza n. 16 dicembre 2011, n. 334).

Tale principio implica che il loro contenuto risulti sostanzialmente corrispondente alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni non essendo sufficiente né “un semplice collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale né un mero contesto politico entro cui le dichiarazioni extra moenia possono collocarsi né, infine, il riferimento alla generica attività parlamentare o l’inerenza a temi di rilievo generale, seppure dibattuti in Parlamento (Corte costituzionale, sent. 20 luglio 2012, n. 205).

Pertanto, ai fini dell'individuazione del perimetro entro il quale riconoscere la garanzia dell’insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento in contesti diversi dal rigoroso ambito di svolgimento dell'attività parlamentare strettamente intesa, “lo scrutinio deve tenere contemporaneamente conto di due esigenze, entrambe di risalto costituzionale: da un lato, quella di salvaguardare - secondo una tradizione consolidata nelle costituzioni moderne – l’autonomia e la libertà delle assemblee parlamentari, quali organi di diretta rappresentanza popolare, dalle possibili interferenze di altri poteri; dall’altro, quella di garantire ai singoli il diritto alla tutela della loro dignità di persone, presidiato dall'art. 2 della Costituzione oltre che da diverse norme convenzionali” (Corte costituzionale, sent. 7 dicembre, 2013, n. 313).

Ad avviso della Corte, invero, una diversa interpretazione della prerogativa dell’insindacabilità dilaterebbe “il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale ma, di fatto, sostanzialmente personale a vantaggio di chi sia stato eletto a membro del Parlamento”.

Pur essendo consapevole che l’attività politica non coincide necessariamente con la funzione parlamentare (posto che, tra l’altro, questa si esprime, di regola, attraverso atti tipizzati) è pur sempre necessario un collegamento con le opinioni espresse (e comportamenti posti in essere) con atti della funzione che nel caso specifico non sussiste.

Tale conclusione, come ribadito dalla stessa Corte Costituzionale, è in linea anche con le indicazioni fornite dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto necessario distinguere la condotta tenuta dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni e quella tenuta fuori dalla sede tipica “e perciò stesso in assenza di un legame evidente con l’attività parlamentare”, affermando in più occasioni la necessità di un’interpretazione stretta del requisito della ragionevolezza e proporzionalità.

Ne deriva che, nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, si richiede la sussistenza di un “legame evidente” tra l’atto in ipotesi lesivo e l’esercizio della funzione tipica del parlamentare.

In conclusione, il procedimento disciplinare avviato a carico di un appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza per comportamenti anteriori all’assunzione dello status di parlamentare e privi di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con l’esercizio dell’attività parlamentare, dev’essere articolato secondo le sequenze proprie delle norme che lo disciplinano.

P.Q.M.

nelle considerazioni che precedono è il parere del Consiglio di Stato.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Saverio Capolupo Raffaele Carboni




IL SEGRETARIO
Giuseppe Testa
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