ART.40 riposo giornaliero allattamento

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zanatta77
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ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da zanatta77 »

Avvocato buonasera !!
Mi presento sono un CMC dell' E.I
Avrei una delucidazione da chiederle, :?: le spiego la mia situazione:
Come previsto dal vademecum del VSP edizione 2007 a seguito della nascita di mio figlio facevo richiesta per usufruire dei previsti riposi giornalieri fino al compimento del primo anno di vita del bambino, nella misura di 2 ore al dì se l'orario lavorativo è superiore alle 6 ore e 1 se inferiore.
Tutto questo è stato possibile perchè mia moglie a rinunciato a tale diritto e quindi io alternativamente a lei ne ho fatto richiesta.
Mi viene concesso tale diritto,inizio ad usufruirne ma a distanza di un mese dalla concessione mia moglie viene licenziata per fallimento dell'azienda, attualmente si trova nella posizione di MOBILITA e vorrei sapere se posso usufruirne oppure no fino al primo anno di vita.
Grazie.


uva
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da uva »

non puoi usufruirne dei permessi perchè tua moglie non lavora piu'.
Si ha diritto ai permessi nei seguenti casi:
moglie affetta da grave infermità;
abbandono del figlio;
moglie lavoratrice autonoma,libera orfessionista.
quando la moglie è casalinga è inopportuno rilasciare i permessi.
panorama
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da panorama »

Congratulazioni al collega e alla difesa legale.

Adesso possiamo avere qualche speranza in più.
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diniego riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001

1) - Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente”

IL CONSIGLIO DI STATO ha Accolto l'Appello del collega della PolStato.

2) - Il ricorso va accolto nei termini che seguono.

3) - La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.
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10/09/2014 201404618 Sentenza 3


N. 04618/2014REG.PROV.COLL.
N. 03752/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3752 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall’avv.to Emanuela Mazzola ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa, in Roma, via Tacito, 50,

contro
- il MINISTERO dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza,
in persona del Ministro p.t.;

- la QUESTURA di Genova,
in persona del Questore p.t.,
costituitisi in giudizio, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - SEZIONE II n. 00222/2014, resa tra le parti, concernente diniego concessione riposi.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52 del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196, commi 1 e 2;
Data per letta, alla camera di consiglio del 19 giugno 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa camera di consiglio, l’avv. Emanuela Mazzola per l’appellante e l’avv. Attilio Barbieri dello Stato per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. - Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria ed ivi rubricato al n. R.G. 448/2013, l’odierno appellante, assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Genova, ha chiesto:

- il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, previo annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza volta al godimento dei riposi stessi;

- il pagamento delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestate per mancata fruizione di detti riposi.

Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente” ( pag. 12 sent. ).

La sentenza è appellata dall’originario ricorrente, che ne contesta puntualmente le argomentazioni.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno, limitando la sua attività difensiva al deposito di documenti.

La causa, chiamata alla camera di consiglio del 19 giugno 2014 per la trattazione della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, è stata ivi trattenuta per la decisione in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., previa audizione delle parti sul punto.

Il ricorso va accolto nei termini che seguono.

La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.

Le norme di riferimento, ossia gli artt. 39 e 40 del citato T.U., così dispongono:

« Art.39. Riposi giornalieri della madre: 1 - Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2 - I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3 - I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

« Art. 40. Riposi giornalieri del padre: 1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre».

Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza del C.d.S. n. 4293 del 9.9.2008 ( che, esaminando la medesima problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente ), l’opposto diniego si riveli illegittimo.

Ha rilevato infatti tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività ( nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato.

A sostegno della condivibisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principii di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.

E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non. lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).

Ritiene tuttavia il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).

Del resto, proprio perché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909) è del tutto incongruo dedurne, coma ha fatto il Giudice di primo grado, “l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico” ( pag. 12 sent. ); laddove, invece, è dato di comune esperienza che l’attività dalla stessa esercitata in àmbito familiare spesso necessita, alla nascita di un figlio, di aiuti esterni ( collaboratore/rice familiare e/o baby-sitter ), utilmente surrogabili, nel caso delle famiglie mono-reddito, proprio mediante ricorso al godimento dei permessi di cui all’art. 40 cit. da parte dell’altro genitore lavoratore dipendente.

Ancora, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità ( Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’ònere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.

Proprio, in conclusione, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone comunque la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore ( T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332 ).

Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore ( ed in tal senso è da intendersi il principio dell'alternatività richiamato dal T.A.R. ), ma, allorché uno dei due genitori per una ragione qualsiasi non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e dunque anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

2. – Il ricorso va dunque accolto nel suo petitum di riconoscimento del diritto e di annullamento dell’atto in primo grado impugnato.

Non può invece accogliersi la domanda risarcitoria, atteso che, in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini della ammissibilità della relativa domanda, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.

Secondo la giurisprudenza, la colpa dell'Amministrazione è configurabile quando l'esecuzione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza ( Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091; da ultimo, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1644 ).

Nella fattispecie, i contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma e l’adesione dell’Amministrazione all’indirizzo scaturito dal parere del Consiglio di Stato del 22 ottobre 2009 dimostrano sufficientemente la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell’azione amministrativa.

3. – L’appello va dunque accolto nei limiti di cui sopra.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.

P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado quanto al riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio ed all’annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013.

Condanna l’Amministrazione dell’Interno alla rifusione di spese ed onorarii del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, liquidandoli in complessivi euro 4.000,00=, oltre agli accessori dovuti per legge, fra i quali il rimborso del contributo unificato, se versato.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
Così deciso in Roma, addì 19 giugno 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2014
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da panorama »

premetto che la sentenza di cui sopra fa riferimento anche:

- sentenza del C.d.S. sez. VI n. 4293 del 9.9.2008

- Parere del C.d.S, sez. I, 22.10.2009, n. 2732
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da panorama »

per la partecipazione a tutti i colleghi.
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Con il presente Parere espresso dal CdS in favore del collega CC., il CdS precisa:

(ecco alcuni brani)

1) - Il ricorso è fondato, nei sensi di cui appresso.

2) - La questione, sottoposta all’esame odierno, concerne l’interpretazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. In particolare, si dibatte se con l’espressione “non ... lavoratrice dipendente” il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa.

3) - Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando analoga problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente), l’opposto diniego si riveli illegittimo.

4) - Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
- Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque, quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga), e pur se l’attività si svolga prettamente tra le mura domestiche, maggiormente a contatto, dunque, con il bambino da assistere.
- Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”.
- La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

5) - In tal senso, peraltro, si è pronunciato, più di recente, questo Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione III, n. 4618 del 19 giugno 2014.

6) - Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

7) - Proprio, dunque, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone, comunque, la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore.

8) - Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, ma, allorché uno dei due, per una ragione qualsiasi, non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e, dunque, anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

Cmq. leggete tutto il contesto qui sotto.

Auguri per il collega.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201600230 - Public 2016-02-03 -

Numero 00230/2016 e data 03/02/2016


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 4 novembre 2015

NUMERO AFFARE 03228/2013

OGGETTO:
Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dall’App. Sc. dei Carabinieri Gianluigi Pellegrino per l’annullamento del provvedimento di diniego prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009 dei permessi giornalieri di due ore previsti dagli articoli 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001 e di ogni atto antecedente, connesso e/o conseguenziale.

LA SEZIONE
Vista la nota prot. n. 50/6 datata settembre 2013, con la quale il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha trasmesso la relazione istruttoria e quella integrativa, con le quali chiede il prescritto parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore, consigliere Nicolò Pollari;

Premesso:

L’Appuntato Scelto dei Carabinieri Gianluigi Pellegrino, in servizio presso il Nucleo Informativo del Comando Provinciale Carabinieri di Cuneo, successivamente alla nascita della figlia, avvenuta nel maggio del 2008, presentava istanza in data 7.11.2008, al fine di beneficiare dei permessi giornalieri di due ore, che il combinato disposto degli articoli 39 e 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, riconosce ai lavoratori padri durante il primo anno di vita del bambino, nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.

Tale richiesta veniva avanzata nonostante la moglie fosse casalinga, evidenziando all’uopo la presenza in famiglia di altri sei figli, di età compresa tra i dodici e i cinque anni, e, insieme, richiamando la decisione n. 4293/08 del Consiglio di Stato- Sezione VI, in cui l’attività di casalinga viene assimilata a quella della lavoratrice autonoma.

Con provvedimento prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009, il Comando di Corpo respingeva la richiesta, ritenendo che la decisione del Consiglio di Stato, invocata dall’interessato, “costituisce un orientamento isolato, che, allo stato, non giustifica un intervento emendativo delle disposizioni vigenti, aderenti sia al tenore letterale della norma che alla complessiva sistematica del decreto legislativo in questione”.

A seguito di un primo ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Consiglio di Stato ha dichiarato la sua inammissibilità, difettando il previo esperimento del ricorso gerarchico avverso l’atto non definitivo.

Al contempo, rilevando che il Comando Legione Piemonte e Valle d’Aosta aveva erroneamente indicato in calce all’atto impugnato la possibilità di esperire ricorso al tribunale amministrativo regionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha invitato l’Amministrazione a rimettere il ricorrente nei termini (per errore scusabile), per un’eventuale presentazione del ricorso gerarchico.

L’interessato, quindi, ha presentato ricorso gerarchico, che è stato rigettato dall’Amministrazione.

Con l’odierno ricorso straordinario al Capo dello Stato, datato 19 marzo 2013, l’App. Sc. Gianluigi Pellegrino ha dunque chiesto:

- l’annullamento del provvedimento prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009, di ogni altro atto antecedente, preordinato e conseguenziale ad esso, nonché delle direttive gerarchiche - linee guida - circolari - orientamenti - compendi normativi del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, relativamente alla mancata previsione della concessione dei benefici ex art. 40 D.Lgs. 151/2001 nel caso di coniuge casalinga;

- l’accertamento del proprio diritto alla fruizione dei periodi di riposo giornalieri richiesti, con relativo trattamento economico dalla nascita sino al compimento di un anno di vita della figlia;

- il pagamento di un importo commisurato al numero dei permessi di cui all’art. 40, lett. c), D.Lgs. n. 151/20001 non fruiti perché negati, comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria;

- il risarcimento del danno economico, morale ed esistenziale, patito dall’intero nucleo familiare, in considerazione nella mancata conclusione del procedimento amministrativo nei termini previsti dall’art. 2 della Legge n. 241/1990;

- il pagamento, da parte dell’Amministrazione, del contributo unificato relativo al ricorso, non dovuto nell’anno 2009, nella considerazione che il ritardo nella sua presentazione sarebbe a lei imputabile per averlo indotto in errore mediante l’atto impugnato.

Il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
Violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione degli artt. 39 e 40 del D. Lgs. n. 151/2001; - violazione degli artt. 31 29, 30 e 31 della Costituzione;
violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione dei principi giurisprudenziali in materia di permessi di cui all’art. 40 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001;
violazione dell’art. 1 del D. Lgs. n. 198/2006 e violazione della normativa in materia di pari opportunità fra uomo e donna (D. Lgs. n. 5/2010) e della parità di trattamento sul lavoro di entrambi i sessi (Legge n. 903/1977);
violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione dell’art. 1493 del D. Lgs. n. 66/2010;
violazione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa e dell’art 97 della Costituzione; violazione delle preleggi (artt. 3 e 4) e dei principi in materia di gerarchia delle fonti; violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione degli artt. 2 e 2 bis della Legge n. 241/1990;
eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione;
ingiustizia manifesta, disparità di trattamento.

Assume, nella sostanza, il ricorrente l’illegittimità del provvedimento impugnato, che, nel non accordargli la possibilità di fruire dei permessi di riposo giornalieri per accudire la figlia nel suo primo anno di vita, ai sensi dell’art. 40 del D. Lgs. n.151/2001, si porrebbe in contrasto con il principio della parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne, posto a base dell’istituto in questione, e con quell’orientamento interpretativo giurisprudenziale che equipara la madre casalinga alla lavoratrice non dipendente, così come affermato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sent. n. 4293/2008.

Evidenzia che il successivo parere n. 2732 del 22.10.2009 del Consiglio di Stato, che ha fornito una diversa chiave di lettura alla richiamata sentenza, esprimendo un orientamento contrario alla concessione del beneficio, rappresenterebbe posizione isolata e minoritaria.

Pertanto, sostiene il ricorrente, poiché la casalinga va equiparata alla donna lavoratrice, i permessi dalla stessa non fruiti debbono essere attribuiti al padre.

Richiama, al riguardo, una serie di recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa, che si sarebbe attestata in linea con tale interpretazione. In tal senso, si sarebbero mossi anche il Ministro del Lavoro e l’INPS, che con diverse circolari avrebbero riconosciuto il diritto del padre lavoratore di fruire dei riposi giornalieri anche qualora la madre svolga attività di lavoro casalingo.

Illegittima sarebbe la motivazione posta a base del provvedimento di diniego, in quanto tutte le disposizioni regolamentari citate dall’Amministrazione a sostegno del rigetto dell’istanza debbono ritenersi a loro volta illegittime, in quanto contrastanti con norme di rango superiore e principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, nonché della Costituzione.

Sussisterebbe, inoltre, violazione dell’art. 1493 del D. Lgs. n. 66/2010 per disparità di trattamento del personale militare rispetto agli altri settori dell’impiego pubblico e privato, ove viene concesso il beneficio di cui si discorre.

Evidenzia, altresì, di aver subito un danno grave e irreparabile dal diniego impugnato, nonché dal ritardo con cui l’Amministrazione ha definito il procedimento amministrativo, in violazione dell’art. 2 della L. 241/1990, essendo stato il provvedimento gravato notificato all’interessato oltre il termine di trenta giorni previsto dalla citata normativa.

Il Ministero riferente ritiene il ricorso infondato.

Nel procedere ad una ricostruzione dell’istituto di cui al D.Lgs. n. 151/2001, il Ministero osserva come il Consiglio di Stato, con il parere n. 2732 del 22 ottobre 2009, abbia espresso avviso contrario all’assimilabilità dell’attività della casalinga a quella della lavoratrice autonoma, ai fini della configurazione del presupposto utile per ammettere il padre al godimento del beneficio in tema, evidenziando come la statuizione della Sezione VI del medesimo Consiglio di Stato (n. 4293/2008) attenga alla valutazione economica del lavoro domestico, in relazione a profili di natura previdenziale e risarcitoria, mentre non risulta estensibile alle norme sulla tutela della maternità e della paternità.

Né, sostiene il Ministero, possono essere richiamate nel caso di specie norme (tra le quali quella del C.o.m., ex art. 1493 D.Lgs.n.66/2010, secondo il quale “al personale militare femminile e maschile si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità, nonché le disposizioni dettate dai provvedimenti di concertazione”) ed interpretazioni (riferite a sentenze della giurisprudenza amministrativa di primo grado) più favorevoli al ricorrente, ma successive alla presentazione dell’istanza (7.11.2008), dovendo la rivalutazione del provvedimento impugnato avvenire alla luce delle disposizioni normative e del quadro interpretativo vigenti al momento della sua adozione, che a quel tempo chiaramente escludevano il riconoscimento del beneficio richiesto in caso di lavoro casalingo svolto da altro genitore.

Con atto in data 2 giugno 2013, il ricorrente, nel confermare quanto già dedotto nel ricorso principale, controbatte alle argomentazioni poste a fondamento della relazione ministeriale, contestando, in particolare, la presunta, errata affermazione della dicitura “ogni atto va valutato secondo la normativa vigente al momento del suo compimento”, in ragione della possibile emanazione nell’ordinamento di “leggi ordinarie con efficacia retroattiva con possibile effetto ablativo di tutti gli atti posti in essere in applicazione di quelle norme (che siano suscettibili di valutazione perché non ancora definitivi)”. Peraltro, secondo il ricorrente, il quadro normativo di settore prevedeva sin dal momento della presentazione della sua richiesta in data 07.11.2008 la concessione dei permessi anche al padre lavoratore nel caso in cui la moglie sia casalinga, come stabilito, in particolare, dalla sentenza n. 4293/2008 del 09.09.2008 del Consiglio di Stato (tra l’altro, confermativa di una precedente pronuncia del Tar Toscana n. 2737 del 25.11.2002), laddove, invece, il successivo parere del Consiglio di Stato n. 2732/2009, assunto dal Ministero della Difesa a sostegno della propria posizione, risale all’ottobre 2009, ossia ad un’epoca successiva rispetto alla nascita della figlia, avvenuta oltre un anno prima.

Osserva che sul sito internet del Ministero della Difesa, nella sezione dedicata al personale civile, è presente una nota di commento alla norma in discussione in favore della concessione del beneficio in parola. Tale evidenza mostrerebbe come la posizione assunta dall’Amministrazione della Difesa incorra in una disparità di trattamento tra personale appartenente allo stesso comparto.

Conclude evidenziando che il diniego dei permessi sia divenuto un atto definitivo in data 24.12.2012 (con l’emanazione del provvedimento che, in sede di esame del ricorso gerarchico, ha confermato nel merito l’atto impugnato), allorquando, quindi, era già vigente un quadro normativo e giurisprudenziale favorevole alla concessione dell’agevolazione nel senso auspicato dall’interessato.

Il Ministero nella propria relazione integrativa conferma tutto quanto già dedotto in sede di relazione principale. Afferma, in particolare, che “non è stata emanata alcuna disposizione normativa che dia efficacia retroattiva all’art. 40 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001 e, pertanto, deve necessariamente applicarsi il richiamato principio [tempus regit actum]”. Evidenzia, inoltre, che il provvedimento adottato nel 2012, a seguito di annullamento dell’atto impugnato per meri vizi di forma, è stato assunto secondo le norme vigenti nel 2008 e, pertanto, con identica valutazione di merito a quello del 2009 e, in ordine alla nota di commento presente sul sito del comparto Difesa per il personale civile, che la stessa non risulta avere alcuna rilevanza per ciò che qui interessa, trattandosi di personale in diverso regime giuridico.

Considerato:

Il ricorso è fondato, nei sensi di cui appresso.

La questione, sottoposta all’esame odierno, concerne l’interpretazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. In particolare, si dibatte se con l’espressione “non ... lavoratrice dipendente” il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa.

L’istituto del riposo giornaliero è stato introdotto nel nostro ordinamento come un beneficio strettamente collegato al parto ed alle esigenze fisiologiche ad esso connesse, come si ricava chiaramente dall’art. 9 della Legge 26 agosto 1950 n. 860, che lo condizionava alla necessità di soddisfare i bisogni dell’allattamento.

Successivamente, l’art. 10 della Legge n. 1204 del 1971, non menzionando più la necessità dell’allattamento e, anzi, prescindendo espressamente da essa, ha modificato la natura e la finalità dell’istituto, il cui scopo è divenuto (come, del resto, indicato nella relazione illustrativa alla legge) quello di consentire alla madre di attendere ai molteplici compiti, tutti delicati e impegnativi, connessi con l’assistenza del bambino nel primo anno di vita.

Tale finalità è stata ribadita dall’art. 10 del D.P.R. 25 novembre 1776 n. 1076 (Regolamento di esecuzione della Legge n. 1204 del 1971), in cui si è affermato che “i riposi di cui all’art. 10 devono assicurare alla lavoratrice la possibilità di provvedere alla assistenza diretta del bambino”.

Sennonché, una volta spostato il centro di attenzione della tutela legislativa dalla donna al minore, non poteva non essere presa in considerazione, nell’ambito del principio paritario affermato nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia di cui alla Legge 19 maggio 1975, n. 151, e di quello sulla parità di trattamento sul lavoro di entrambi i sessi, di cui alla Legge 9 dicembre 1977 n. 903, anche la posizione del padre.

In particolare, l’art. 7 di quest’ultima legge aveva attribuito al lavoratore padre la possibilità di usufruire - in alternativa alla madre o quando il figlio fosse a lui solo affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la durata di sei mesi nel primo anno di vita del bambino, riconoscendo, così, l’idoneità anche dell’uomo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore, senza, peraltro, estendere allo stesso l’istituto del riposo giornaliero.

E’, pertanto, con riferimento al descritto quadro normativo, venutosi a delineare anche a seguito dell’intervento del giudice delle leggi, che va valutato il disposto dell’art. 6 ter, introdotto, nella Legge n. 903 del 1977, dalla Legge 8 marzo 2000, n. 53, ai sensi del quale “i periodi di riposo di cui all’articolo 10 della Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, e i relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Norma, quest’ultima, poi recepita nell’art. 40 del Testo unico di cui al D. Lgs. 26 marzo 2001 n. 151 (del quale si discute in questa sede).

E’ necessario, in particolare, valutare se la madre “casalinga” possa farsi rientrare nell’ipotesi di cui alla lett. c) del più volte citato art. 40, che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio. La soluzione affermativa, che ha indotto l’Amministrazione a richiedere il parere di questo Consiglio di Stato, si fonda essenzialmente sull’evoluzione della giurisprudenza del giudice civile, secondo la quale chi svolge attività domestica nell’ambito del proprio nucleo familiare (attività tradizionalmente attribuita alla “casalinga”), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge, tuttavia, un’attività lavorativa (ovviamente non dipendente), suscettibile di valutazione economica. Da qui, la conclusione della equiparabilità della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, ai sensi e per gli effetti dell’attribuzione al padre del beneficio del riposo giornaliero nel primo anno di vita del bambino.

Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando analoga problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente), l’opposto diniego si riveli illegittimo.

Ha rilevato, infatti, tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio, allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e, pur tuttavia, impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga”), che la distolgano dalla cura del neonato.

A sostegno della condivisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.

E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).

Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque, quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga), e pur se l’attività si svolga prettamente tra le mura domestiche, maggiormente a contatto, dunque, con il bambino da assistere. Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

In tal senso, peraltro, si è pronunciato, più di recente, questo Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione III, n. 4618 del 19 giugno 2014.

Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).

Del resto, è stato spesso ribadito come i compiti esercitati dalla casalinga risultino di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909). Ciò vale ancor di più nel caso di specie, se si considera la necessità di accudire ben sei figli.

Come evidenziato dalla menzionata sentenza n. 4618/2014, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità (Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’onere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo. Proprio, dunque, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone, comunque, la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore. Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, ma, allorché uno dei due, per una ragione qualsiasi, non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e, dunque, anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

Si ritengono, infine, assorbite le richieste del ricorrente tese al ristoro dei pregiudizi patiti, peraltro inammissibili in sede di ricorso straordinario.

P.Q.M.

esprime il parere il ricorso debba essere accolto, nei sensi di cui in motivazione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Nicolo' Pollari Gerardo Mastrandrea




IL SEGRETARIO
Maria Grazia Nusca
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da panorama »

Il Ministero dell'interno vince l'Appello.

Il CdS ci ripensa su tutta la norma circa la moglie casalinga e sulle sentenze precedenti, sia per Militari che per le FF.OO..

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Il CdS scrive:

1) - Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.

N.B.: i punti cruciali sono indicati al n. 11.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201704993 - Public 2017-10-30 -
Pubblicato il 30/10/2017


N. 04993/2017REG.PROV.COLL.
N. 00140/2017 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 140 del 2017, proposto da Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Friuli – Venezia Giulia n. 323 del 24 giugno 2016, resa tra le parti, concernente rigetto di istanza di fruizione di periodi di riposo ex art. 40, lett. c), d.lgs. n. 151/2001.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato dello Stato Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. -OMISSIS-, sovrintendente della Polizia di Stato, ha proposto ricorso di fronte al T.a.r., competente ai sensi dell’art. 13, comma 2, c.p.a., avverso il provvedimento del Questore di Gorizia prot. n. ... del 26 giugno 2012, con cui è stata rigettata la sua istanza di fruizione dei periodi di riposo previsti dall’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 del 2001 (ai sensi del quale “I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore … c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”).

1.1. Il sig. -OMISSIS- ha chiesto, sul presupposto della spettanza del diritto alla fruizione dei periodi in parola, l’annullamento del provvedimento e la conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale subito, di importo “pari al numero dei permessi negati”.

1.2. Il ricorrente, in particolare, ha censurato l’esegesi della disposizione operata dall’Amministrazione ed ha, di contro, sostenuto di avere diritto a fruire dei periodi di riposo, giacché la sua compagna, in quanto casalinga, non sarebbe per definizione una “lavoratrice dipendente”.

2. Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r. ha accolto il ricorso quanto all’istanza demolitoria, mentre ha rigettato, per difetto dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, la conseguente richiesta risarcitoria.

2.1. Il Tribunale ha in particolare sostenuto, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151, che, “trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di "casalinga" ), che la distolgano dalla cura del neonato”.

3. Il Ministero dell’interno ha interposto appello, interamente incentrato sulla critica dell’esegesi dell’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 sostenuta in prima cure.

4. Il sig. -OMISSIS-, nonostante la regolarità della notifica, non si è costituito in giudizio.

5. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 28 settembre 2017, merita accoglimento.

6. Il Collegio, preliminarmente, affronta la problematica dell’applicazione, al personale della Polizia di Stato, della normativa dettata dal d.lgs. n. 151.

7. Per esigenze sistematiche, lo scrutinio di siffatta questione viene effettuato nell’ambito della più ampia disamina circa l’applicabilità della disciplina in questione anche alle Forze Armate (ed alle Forze di Polizia ad ordinamento militare).

7.1. Inizialmente la giurisprudenza, chiamata ad occuparsi dell’istituto della “assegnazione temporanea” contemplato dall’art. 42-bis (come noto introdotto nel corpo del d.lgs. n. 151 dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350), escluse, con valutazioni per vero potenzialmente estensibili a tutte le misure di ausilio alla genitorialità introdotte da detto decreto, che l’istituto in questione potesse essere applicato al personale appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia tutte, in relazione al particolare status rivestito e agli speciali compiti istituzionali svolti da tali organizzazioni (ex multis Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2010, n. 3278, tutte peraltro relative ad appartenenti alla Polizia di Stato).

7.2. La successiva giurisprudenza, tuttavia, ha mutato indirizzo.

7.2.1. In particolare questa Sezione, proseguendo una traiettoria esegetica anticipata dalle sentenze della Sesta Sezione 21 maggio 2013, n. 2730 e della stessa Quarta Sezione 10 luglio 2013, n. 3683, ha da ultimo ribadito, con la pronuncia 23 maggio 2016, n. 2113, relativa ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri, che “in linea generale deve osservarsi che il t.u. n. 151 del 2001 (in particolare gli artt. 1 e 2), non contiene alcuna limitazione soggettiva capace di escludere dal suo ambito applicativo gli appartenenti alle Forze armate e di Polizia, anzi, dall’esame degli artt. 9 e 10 si desume che esso potesse trovare integrale applicazione a tali categorie di personale; si tenga poi presente che l’art. 10 cit. è stato riassettato all’interno del codice (sub art. 1494), con sua contestuale abrogazione, per cui risulta ancor più evidente l’applicazione della specifica normativa al personale militare”.

7.2.2. La pronuncia, peraltro, aggiunge che il primario valore degli interessi pubblici perseguiti dalle Forze Armate e di Polizia rende non automatico e meccanicistico l’accoglimento degli istituti plasmati per l’impiego civile e, in particolare, di quelli individuati dal decreto n. 151; di contro, molteplici spunti normativi inducono a ritenere che l’introduzione di tali istituti nella disciplina ordinamentale delle Forze Armate e di Polizia incontri il limite della concreta compatibilità con le peculiarità del relativo impiego.

8. Invero, questo spunto pretorio trova una solida base normativa in alcuni articoli del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010).

8.1. Giova richiamare, in particolare:

- l’articolo 625, che stabilisce espressamente il principio, di generale valenza (anche ermeneutica, ai sensi dell’art. 12, primo comma, delle preleggi), della specificità ed autosufficienza dell’ordinamento del personale militare;

- l’art. 1465, secondo cui, premesso che “ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, “per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali”;

- l’art. 1493, di rilevante interesse nella presente vicenda, che subordina l’applicazione della normativa vigente per il personale delle Pubbliche Amministrazioni in materia di maternità e paternità alle condizioni proprie del “particolare stato rivestito” dal militare.

8.2. La disciplina dettata dal codice dell’ordinamento militare - coerentemente con la propria natura codicistica ed in applicazione della Costituzione, che all’art. 52, si riferisce espressamente ad un vero e proprio “ordinamento” delle Forze Armate - è, ove apprezzata con un approccio ermeneutico di ampio respiro, con ogni evidenza atta a connotare l’impiego militare di un carattere certamente separato dalle altre forme di impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e connotato da forti elementi di specialità (in questo senso, ex plurimis e da ultimo, Corte cost., n. 268 del 2016; Cons. stato, sez. IV, ord. 4 maggio 2017, n. 2043).

8.3. In particolare, l’osmosi con gli istituti dettati per gli impieghi civili alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è mediata, filtrata e conformata da un principio generale di preservazione delle specificità settoriali delle Forze Armate e di tutti i Corpi di Polizia, traguardate non come valore finale in sé, bensì come ineludibile esigenza strumentale, necessaria per consentire l’ottimale perseguimento delle peculiari e delicate funzioni loro proprie (ossia la difesa militare dello Stato per terra, mare ed aria e la prevenzione e repressione, anche con l’uso della forza, dei reati).

8.4. Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la trasposizione in ambiente militare (ivi incluse le Forze di Polizia ad ordinamento militare), fra l’altro, degli istituti a tutela della paternità e maternità dettati dall’ordinaria disciplina privatistica del rapporto di lavoro (e, dunque, applicabili anche all’impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, come noto retto da stilemi privatistici – cfr., del resto, gli artt. 2, comma 1, lett. e] del d.lgs. n. 151 del 2001 e 2, commi 2 e 3, t.u. n. 165 del 2001), sebbene sia in linea generale possibile giacché i militari sono pur sempre lavoratori dipendenti, è comunque in concreto limitata dalle eventuali “ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (così la richiamata sentenza n. 2113, cui si opera integrale riferimento).

8.5. Questa specificità strutturale dell’impiego militare è, per vero, propria anche del rapporto d’impiego alle dipendenze della Polizia di Stato, benché retta da un ordinamento civile.

8.5.1. Pur se estranee all’ambito ordinamentale propriamente militare, infatti, le Forze di Polizia ad ordinamento civile (la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria) sono state escluse dalla generale riconduzione a stilemi privatistici della disciplina del pubblico impiego (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001): evidentemente, la specificità dei relativi compiti è tale che, pur se con un ordinamento di carattere non militare, comunque le Forze di Polizia partecipano di quella stretta connessione con il nucleo vivo del pubblico potere da non tollerare l’assoggettamento all’ordinaria regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.

8.5.2. D’altronde, mentre la natura giuridica degli elementi portanti ordinamentali ha rilievo per così dire “interno” al Corpo, quale connotato della sua struttura, l’esclusione dalla generale privatizzazione del pubblico impiego riveste, ai fini della presente disamina, un significato ben maggiore, in quanto dimostra per tabulas la ontologica specificità del lavoro prestato da un poliziotto rispetto a quello prestato da un dipendente civile dello Stato.

8.5.3. La pregnanza del vincolo di dipendenza funzionale dai superiori, l’esercizio di poteri afferenti alla libertà personale dei cittadini, la strutturale dotazione di strumenti, quali le armi, di norma non disponibili per l’ordinario civis, la previsione di una normativa speciale di carattere sia ampliativo (art. 53 c.p.) sia riduttivo (art. 195, comma 4, c.p.p.) rispetto alle normali facoltà del cittadino costituiscono elementi oggettivi di rottura della continuità tipologica rispetto alle ordinarie forme di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione che, come hanno determinato sul piano legislativo l’esclusione dalla privatizzazione, così impongono, sul crinale interpretativo, di ritenere che l’applicazione degli istituti dettati con riferimento generale al lavoro dipendente (di diritto privato) debba avvenire nei limiti e con le modulazioni necessarie a preservare le peculiari connotazioni strutturali del Corpo.

8.6. In linea, del resto, con l’opinione di un’applicazione non automatica degli istituti del d.lgs. n. 151 all’impiego militare e di polizia (sia civile sia militare) è il vigente disposto dell’art. 32 del d.lgs. n. 151, novellato nel 2015: infatti, a tenore del comma 1-bis del menzionato articolo: “Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo” parentale.

8.7. E’, d’altronde, nota la teorica dei “diritti tiranni” elaborata dalla Corte costituzionale: la Corte, nella sentenza 9 maggio 2013 n. 85, ha statuito che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, tra cui vi è anche la difesa militare dello Stato (che l’art. 52 della Carta definisce “sacra”) e la prevenzione e repressione dei reati, condotte violative dell’ordine costituito che minacciano le libertà ed i diritti fondamentali dell’individuo, la cui pronta ed efficace tutela è condizione imprescindibile per la preservazione stessa dell’assetto costituzionale.

8.8. Tali affermazioni del Giudice delle leggi sono state, poi, riprese e consolidate in più recenti pronunce anche nell’ottica della tutela multilivello dei diritti fondamentali dell’uomo (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24; 2 marzo 2016, n. 63).

8.9. Può, pertanto, concludersi questa necessaria premessa osservando che gli istituti introdotti dal decreto n. 151 trovano sì applicazione per le Forze Armate e di Polizia (sia civile sia militare), ma con i limiti ed i vincoli rivenienti dalle specificità ordinamentali, operative ed organizzative di tali Corpi.

8.10. Per quanto qui di interesse, dunque, le istanze volte ad ottenere permessi e riposi a tutela della genitorialità debbono essere preliminarmente vagliate dall’Amministrazione, titolare in proposito di un potere valutativo – da esercitare caso per caso in considerazione delle complessive esigenze degli uffici ed in base a criteri di rigorosa proporzionalità e di necessaria strumentalità – teso non a delibare l’an del diritto, per vero stabilito a monte dalla legge, bensì a conformarne il quomodo in relazione alla tutela di puntuali, oggettive ed ineludibili ragioni organizzative, operative o logistiche.

8.11. Peraltro, si aggiunge incidenter tantum, benché la tutela della genitorialità non sia contenuta nell’elenco delle materie oggetto di concertazione di cui agli articoli 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 195 del 1995, cionondimeno le disposizioni dei vari provvedimenti di concertazione susseguitisi nel tempo hanno normato in ordine, tra l’altro, ai riposi giornalieri, per vero con disposizioni che non consentono né giustificano approdi ermeneutici diversi da quelli appena divisati.

8.11.1. In particolare:

- il d.p.r. n. 164 del 2002, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003”, ha stabilito che per le Forze di Polizia ad ordinamento civile si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” e che, per le Forze di Polizia ad ordinamento militare, “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del testo unico a tutela della maternità non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità” (articoli 17, comma 1 e 58, comma 8);

- il d.p.r. n. 170 del 2007, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il biennio economico 2006-2007” ha previsto, con riferimento a tutte le Forze di Polizia che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità” (articoli 15, comma 8 e 33, comma 8);

- il d.p.r. n. 51 del 2009, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007”, ha statuito, con riferimento a tutte le Forze di Polizia, ad ordinamento tanto civile quanto militare, che si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” (articoli 18 e 41).

8.11.2. Di contenuto analogo i provvedimenti di concertazione relativi al personale delle Forze Armate: l’art 14, comma 9, del d.p.r. n. 163 del 2002 e l’art. 15, comma 8, del d.p.r. n. 171 del 2007 stabiliscono che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità”, mentre l’art. 17 del d.p.r. n. 52 del 2009 prevede che al personale delle Forze armate si applica “quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”.

8.11.3. Viene, dunque, ribadita l’applicabilità settoriale delle disposizioni recate, in punto di riposi giornalieri, dal d.lgs. n. 151, senza, però, aggiungere (con previsione questa sì innovativa) che l’Amministrazione non ha, in proposito, quella discrezionalità in ordine al quomodo della relativa fruizione che, secondo l’impostazione esegetica qui accolta, è di contro intrinseca alle funzioni, all’assetto, alla struttura stessa delle Forze Armate e di Polizia e che può esplicarsi sia con provvedimenti di carattere generale, sia con (rigorosamente motivate) decisioni afferenti a singole istanze.

9. Tutto quanto sopra premesso, può ora passarsi alla specifica problematica oggetto del presente giudizio, ossia l’interpretazione da riconoscere al mentovato art. 40 del decreto in commento.

9.1. Giova, preliminarmente, rilevare che l’Amministrazione ha fondato la reiezione dell’istanza del sig. -OMISSIS- solo sull’esegesi dell’art. 40 e non (come pure in linea teorica avrebbe potuto) su specifici profili di concreta incompatibilità della fruizione dei riposi, così come richiesti, con le esigenze operative del Corpo.

9.2. Orbene, il d.lgs. n. 151, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, stabilisce, inter alia, il diritto rispettivamente della madre (art. 39) e del padre (art. 40) lavoratori dipendenti alla fruizione di “riposi giornalieri” al fine di accudire il neonato nel corso del suo primo anno di vita.

9.2.1. In particolare, l’art. 39 dispone che “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.

2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.

3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.

9.2.2. L’art. 40, similmente, prevede che “1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.

10. L’orientamento esegetico della giurisprudenza di questo Consiglio è, per vero, ondivago in ordine all’interpretazione da riconoscere alla locuzione “lavoratrice dipendente” di cui alla riferita lett. c) dell’art. 40.

10.1. Inizialmente la Sez. VI, nella sentenza 9 settembre 2008 n. 4293, ha ritenuto che, “posto che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.

In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.

10.2. Di lì a poco, tuttavia, la Sez. I, con il parere del 22 ottobre 2009 relativo all’affare n. 2732/2009, ha sostenuto la tesi diametralmente opposta.

10.2.1. In tale arresto la Sezione, premesso un articolato excursus circa la materia del diritto di famiglia con particolare riferimento ai vari istituti normativi di ausilio alla genitorialità, ha premesso che l’articolo 40 del d.lgs. n. 151 costituisce espressione del principio dell’alternatività della cura del minore, cui la legge vuole assicurare la presenza di almeno uno dei due genitori, stimati ambedue parimenti idonei a prestare la necessaria assistenza.

10.2.2. In tale ottica, ha argomentato la Sezione, la donna casalinga non può, ai sensi e per gli effetti della disposizione in esame, essere parificata alla donna “non lavoratrice dipendente”, posto che “la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”; d’altronde, “l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.

10.2.3. In definitiva, ha concluso la Sezione, con la disposizione in commento “il legislatore ha inteso tutelare le esigenze” del minore “garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale)”.

10.3. In seguito, tuttavia, la Sezione III, con la pronuncia 10 settembre 2014, n. 4618 è tornata all’iniziale orientamento, sulla base di rilievi sia testuali sia sistematici.

10.3.1. Sul crinale testuale, si è ivi sostenuto che il tenore letterale della disposizione (“nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”) include, “secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula <<nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente>>. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa”.

10.3.2. Sul crinale sistematico-teleologico, poi, si è affermato che “Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.

10.4. Su una posizione intermedia si è collocato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con la pronuncia 20 dicembre 2012, n. 1241, sostenendo che “il padre”, cui la legge non riconoscerebbe “un diritto «proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre” alla fruizione dei riposi giornalieri, “deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie casalinga (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino”.

10.5. In direzione analoga si era orientata anche la giurisprudenza di merito.

10.5.1. In particolare, la sentenza del T.a.r. per la Liguria, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 222 (relativa ad un appartenente alla Polizia di Stato e poi, peraltro, riformata dalla menzionata sentenza di questo Consiglio n. 4618 del 2014) sosteneva, nell’ambito di un articolato iter motivazionale, che, “con riguardo al diritto di fruire, ai sensi degli art. 39 e 40 d.leg. n. 151 del 2001, di due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non è giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio in favore del padre; ciò non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga; ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari); deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’amministrazione di appartenenza”.

11. Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.

11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.

11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.

11.3. Del resto, benché l’istituto in questione - de jure condito scisso dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi - non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.

11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l’interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.

11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l’inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all’art. 147 c.c., doverosa nell’an, è comunque rimessa, in concreto, all’articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.

11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un’attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.

11.7. L’attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l’attenzione ai bisogni del neonato.

11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.

11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l’istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l’interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.

11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l’istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.

11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.

11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l’altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un’inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.

11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 – 69 e 70 - 73 del d.lgs. n. 151.

11.14. Peraltro, se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un’esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma.

11.15. In proposito il Collegio rileva che non risulta che il sig. -OMISSIS- abbia dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l’assistenza domestica alla prole: l’unico elemento addotto, per vero, è rappresentato dall’allegata mancanza, in capo alla signora, della patente di guida, profilo che, tuttavia, non è materialmente di ostacolo alla prestazione domestica di cure al neonato.

11.16. Più in generale, il Collegio osserva che il tenore testuale della disposizione, dettata nell’ambito della disciplina privatistica del rapporto di lavoro, lumeggia l’intenzione del Legislatore di raggiungere una soluzione bilanciata che consenta di tutelare il fondamentale interesse del bambino con il minimo sacrificio possibile per il datore di lavoro e, in generale, per le esigenze della produzione, cui pure è annesso (e dalla norma in questione implicitamente riconosciuto e qualificato) un rilievo sì recessivo e cedevole, ma non del tutto obliterabile (cfr. la richiamata teorica dei “diritti tiranni”).

11.17. A fortiori, in considerazione del rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento.

12. In conclusione, l’appello merita accoglimento, con conseguente integrale rigetto del ricorso svolto in prime cure dal sig. -OMISSIS-.

13. La particolarità e novità della quaestio juris sottesa alla presente causa giustifica, a mente del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli





IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
tekos88

Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da tekos88 »

Altra decisione favorevole arriva dal Tar di Parma

E' ordinanza Cautelare

REPUBBLICA ITALIANA


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale .. del 2017, proposto da:

....., rappresentato e difeso dagli Avvocati ......, con domicilio eletto presso l’Avv. ......

contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Bologna, via Guido Reni n. 4;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia
del datato del 14 ottobre 2017 del Questore di Reggio Emilia con il quale è stato comunicato al ricorrente il diniego alla richiesta di fruire dei riposi giornalieri di cui all'art.40 D.lgs.151/2001;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno ...... il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Rilevato che il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale l’Amministrazione ha respinto l’istanza tesa a fruire i riposi giornalieri di cui all’art.40 D.lgs.151/2001 deducendo l’omissione del preavviso di diniego, il difetto di motivazione e l’errata applicazione della normativa di settore;
Considerato:
che le allegazioni relative alla propria situazione familiare, ad un primo sommario esame, sembrerebbero essere (in astratto) meritevoli di valutazione;
che tale esame in contraddittorio è mancato nel procedimento in questione stante l’omessa comunicazione del preavviso di cui all’art. 10 bis della L. n. 241/1990;
che per tale ragione (riservata ogni ulteriore valutazione dell’Amministrazione circa il merito della questione) la rilevata omissione non pare potersi qualificare come meramente formale;
Valutata (anche nell’interesse della prole) la natura delle conseguenze cui il ricorrente rimane esposto nelle more del giudizio in ragione delle perdurante efficacia dell’atto impugnato;
Ritenuto, per quanto precede, che ricorrano i presupposti di cui all’art. 55 c.p.a., anche ai fini di una rivalutazione della posizione del ricorrente;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, accoglie l’istanza di sospensione e fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 19 aprile 2018;
Compensa le spese della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno .... con l'intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Anna Maria Verlengia, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marco Poppi Sergio Conti



IL SEGRETARIO

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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da naturopata »

Ultimamente altri TAR, ma soprattutto la IV Sez. del Consiglio di Stato ha creato un contrasto giurisprudenziale con le altre Sez. del CDS ed ha disconosciuto i permessi con madre casalinga, tranne nel caso in cui non si dimostri una fattiva impossibilità della casalinga a provvedere all'infante.

Ciò posto, questa ordinanza è sulla graticola, per cui un appello in sospensiva avrebbe grandi probabilità di essere accolto e quindi il ricorso, di fatto, respinto.

La tua ordinanza è la 164/2017 del TAR Parma, ma dal provvedimento non si evince che la madre sia casalinga e né quali siano le particolari motivazioni per cui ci sia la necessità che sia il padre ad "allattare" l'infante.

Questo solo per trasparenza nei confronti di tutti gli utenti del forum.
panorama
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da panorama »

Il CdS accoglie l'appello dell'Amministrazione e si sta andando in discesa.
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- ) - PolStato, coniugato con moglie casalinga.

- ) - sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269

Il CdS precisa:

1) - Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016.

2) - Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga.

3) - Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA BREVE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201800628
- Public 2018-01-30 -

Pubblicato il 30/01/2018

N. 00628/2018 REG. PROV. COLL.
N. 08831/2017 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 8831 del 2017, proposto dal Ministero dell'interno - Dipartimento della P.S., Direzione centrale per le risorse umane - Questura di Gorizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Dato atto che per le parti nessuno è comparso;


Il signor -OMISSIS-, sovrintendente P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato con moglie casalinga.

Con provvedimento del Questore di Gorizia del 6 aprile 2017, la domanda è stata respinta.

Il signor -OMISSIS- ha impugnato il diniego mediante un ricorso che il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, ha accolto con sentenza in forma semplificata 2 agosto 2017, n. 269, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite. Nel motivare, il Tribunale territoriale ha richiamato la propria precedente decisione 24 giugno 2016, n. 323.

L’Amministrazione dell’interno ha impugnato la sentenza n. 269/2017, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, ricordando il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato.

L’originario ricorrente non si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

Alla camera di consiglio del 18 gennaio 2018, nella quale nessuna delle parti è comparsa, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Nella sussistenza dei presupposti di legge, il Collegio è dell’avviso di poter definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016. Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga. Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.

A tale precedente il Collegio stima di conformarsi integralmente ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.

Di conseguenza - come detto - l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Tenuto conto delle ricordate incertezze della giurisprudenza, solo di recente stabilizzatasi, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Castiglia Filippo Patroni Griffi





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

Messaggio da naturopata »

Per quanto d'interesse la nuova circolare M_D GMIL REG2018 0160908 05-03-2018:

MINISTERO DELLA DIFESA
DIREZIONE GENERALE PER IL PERSONALE MILITARE

Indirizzo Postale: Viale dell’Esercito, 186 – 00143 ROMA
Posta Elettronica: persomil@postacert.difesa.it persomil@persomil.difesa.it

All.: 3; ann.: //.
OGGETTO: Riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento). Modifica delle disposizioni vigenti.


A (VEDASI ELENCO INDIRIZZI IN ALLEGATO A)


^^^ ^^^ ^^^ ^^^ Seguito:
a. circolare n. M_D GMIL 0080676 del 12 febbraio 2015 (Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari);
b. circolare n. M_D GMIL 0431884 del 22 luglio 2015;
c. circolare n. M_D GMIL 0855250 del 3 dicembre 2015 (Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi).
^^^ ^^^ ^^^ ^^^

1. I riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento), previsti dagli artt. 39 e 40 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono stati disciplinati da questa Direzione Generale con il compendio a seguito a., come successivamente modificato dalla circolare a seguito b..

2. L’istituto in esame è stato oggetto negli ultimi anni di un contrasto giurisprudenziale relativamente alla concessione dei riposi giornalieri al lavoratore padre nel caso di madre casalinga.
Con sentenza n. 4993/2017, il Consiglio di Stato ha definitivamente risolto i dubbi interpretativi, affermando, in sostanza, che al padre non spetta il beneficio nel caso di madre casalinga, in quanto la presenza domestica di quest’ultima rende possibile l’attenzione ai bisogni del neonato; l’Alto Consesso ha, comunque, riconosciuto al padre la possibilità di fruirne in casi eccezionali, e cioè quando la madre casalinga non possa attendere alla cura del neonato per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni.

3. Sono state, pertanto, apportate le dovute modifiche al:
 paragrafo 7 del Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari (Allegato B alla presente circolare);
 a pagina 17 dell’allegato B dello Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi
(Allegato C alla presente circolare).

4. Gli Enti in indirizzo sono invitati a curare la capillare diramazione della presente circolare, consultabile, tra l’altro, sul sito http://www.persomil.difesa.it" onclick="window.open(this.href);return false; di questa Direzione Generale, a tutti i Comandi/Enti dipendenti.

d’ordine
IL VICE DIRETTORE GENERALE
(C.A. Enrico GIURELLI)
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

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vedi leggi e scarica PDF se d'interesse
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

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vedi allegati B e C
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Re: ART.40 riposo giornaliero allattamento

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CdS Ord. di remissione all'Adu.Plen. sui riposi giornalieri artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001.

Il Ministero dell'Interno ha Appellato la sentenza del Tar del 2017 positiva al collega della PolStato.

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

Tutto ciò precisato, in considerazione delle divergenze esegetiche desumibili dagli indirizzi giurisprudenziali evidenziati e delle osservazioni fin qui svolte, la Sezione ritiene di dover rimettere all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 5, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni:

a) se il termine “non lavoratrice dipendente”, riferito alla madre, in caso di richiesta di permesso da parte del padre, lavoratore dipendente, del minore di anni uno, si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla casalinga, ovvero solo alla lavoratrice autonoma o libero-professionista, posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale;

b) in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40 del d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre casalinga, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi;

c) quale sia l’esatta accezione da attribuire alla nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, ove la madre sia casalinga.

Valuterà l’Adunanza Plenaria se affermare i rilevanti principi di diritto o se definire il secondo grado del giudizio.

N.B.: ora bisogna attendere il definitivo.
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