Accesso agli atti relat a proc. pen. pendenti e NOS

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Accesso agli atti relat a proc. pen. pendenti e NOS

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N. 09381/2010 REG.SEN.
N. 10467/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10467 del 2009, proposto da:
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
OMISSIS;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 10451/2009, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 10451/2009, resa tra le parti, concernente ACCESSO AGLI ATTI RELATIVI A PROCEDIMENTI PENALI PENDENTI.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Galluzzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con atto proposto al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con atto notificato in data 3 luglio 2009 il Omissis dell’Esercito Italiano Omissis agiva per l’annullamento della nota Omissis 2009 Omissis del Comando Regione Carabinieri Omissis- Stazione di Omissis, con riferimento alla parte in cui veniva espresso motivato diniego di accesso ai documenti, chiesto con istanza del medesimo datata omissis 2009.
Tale istanza di accesso documentale riguardava “comunicazioni effettuate dal Comando verso l’ente di servizio di Omissis ed avente ad oggetto procedimenti penali pendenti a carico dello stesso” ed era motivata con riguardo al fatto di essere stato assolto in un procedimento penale iscritto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Omissis nonché al fatto di essere venuto a conoscenza della trasmissione al Comando CC di Omissis di una comunicazione proveniente dalla competente FFPP, indicante la esistenza a suo carico di altri procedimenti penali.
Con la sopra menzionata nota, oggetto della impugnativa, l’amministrazione Comando Carabinieri Stazione di Omissis comunicava che essa non poteva trovare accoglimento perché “la documentazione è espressamente esclusa dall’accesso ai sensi dell’art. 24 L.241/90, avendo questa i requisiti del D.M. 14 giugno 1995 n.519 e specificamente indicate nell’allegato 1, punto 13 e 14 del medesimo D.M.”
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, ritenendo che:
1) se si tratta di atti relativi a procedimenti penali, non risulta che essi siano stati sottoposti a segreto da parte della autorità giudiziaria, né sono stati fatti oggetto di sequestro;
2) non rientrano nelle categorie che l’art. 24 esclude dall’accesso;
3) inoltre, secondo la sentenza di primo grado, non risulta che sussistano i presupposti per fare applicazione nella specie dei punti 13 e 14 dell’allegato 1) al DM 14 giugno 1995 n.519, in quanto non si tratta di atti e documenti relativi alla concessione di nulla osta di segretezza (punto 13) e non si tratta di rapporti informativi, ma di mere informazioni di polizia attinenti a fatti specifici e determinati di cui il militare ha diritto di avere cognizione per la tutela dei propri diritti (punto 14).
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello il Ministero della Difesa, deducendo che nel corpo del diniego impugnato il Comando aveva ben rappresentato i motivi, richiamando sia l’art. 24 della L.241 del 1990 (e cioè gli atti che, come riservati, sono esclusi dalla divulgazione) che il DM 14 giugno 1995 n.519, che prevede che siano sottratti all’accesso i documenti concernenti sia la “Concessione di nulla osta di segretezza” (allegato 1 punto 13) che i rapporti informativi sul personale militare (punto 14). Pertanto, i documenti oggetto della richiesta sono inaccessibili in quanto riservati. La sentenza sarebbe da riformare perché si fonda sul presupposto errato per cui sarebbe stato negato l’accesso perché si tratterebbe di “informazioni di polizia”, mentre nella specie tali atti sarebbero sottratti all’accesso perché si tratta di atti inerenti al rilascio di NOS, aventi ad oggetto espressamente “Esito informazioni NOS” e quindi classificati come “Riservato” secondo le direttive attuative delle disposizioni per la protezione e la tutela delle informazioni classificate nell’art. 50 DPCM del 3 febbraio 2006 dalla Autorità nazionale per la Sicurezza.
Il giudice di primo grado ha errato in quanto ha considerato soltanto la posizione del richiedente l’accesso, senza tenere conto della posizione dell’Amministrazione e dell’interesse pubblico, per il quale i documenti connessi ad informazioni NOS sono un’area di notizie e dati estremamente riservata, la cui conoscibilità è garantita solo agli appartenenti a organismi e strutture che svolgono attività di Intelligence e che con il DM 519/1995 è sottratta alla conoscenza anche degli interessati.
Nessuno si è costituito per l’appellato.
Alla camera di consiglio del 2 febbraio 2010 la Sezione ha accolto la richiesta cautelare di sospensione della esecutività della sentenza, ritenendo sussistenti i presupposti e in particolare il pregiudizio che sarebbe derivato da una immediata ostensione.
Alla camera di consiglio del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato, avendo riguardo: 1) alla posizione del richiedente la ostensione dei documenti, rispetto a quella della amministrazione e in assenza di esigenze di tutela della riservatezza di terzi; 2) al rapporto tra l’invocato D.M. 519 del 1995 e la disciplina generale prevista dalla legge primaria in materia, che è legge di principi generali sull’azione amministrativa; 3) al contenuto dei documenti oggetto della richiesta di accesso.
Il diniego di accesso dall’amministrazione è stato motivato con riguardo al richiamo alla disciplina generale di cui all’art. 24 e al decreto ministeriale n.519 del 1995.
2. In ordine al primo aspetto, il diniego di accesso non può fondarsi su una asserita esigenza di riservatezza dei terzi (in vero neanche rappresentata), dovendosi al riguardo rilevare che, secondo i principi stabiliti dall'art. 24 della citata l. n. 241 del 1990 e delle norme regolamentari attuative di cui al citato d.P.R. n. 352 del 1992, l'accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi, deve prevalere rispetto alla esigenza di riservatezza del terzo (così, Cons. Stato, Ad. Plen. 4 febbraio 1997, n. 5; Sez. IV, 9 ottobre 1997, n. 1128).
Nella specie, stante la potenziale capacità delle note informative – sia pure definite riservate - di influire sulla carriera del dipendente, è innegabile l'interesse del sottufficiale interessato a tutelare la propria situazione.
In ogni caso, la riservatezza tutelata non può essere - come si pretende e in assenza di ulteriori previsioni e specificazioni rispetto al D.M. n.519 del 1995, più volte ritenuto illegittimo e come tale disapplicato da questo Consesso - quella dell'Amministrazione che ha formato i documenti cui l'interessato intende accedere ovvero delle persone chiamate ad esprimere il giudizio valutativo, ma solo quella di "terzi, persone, gruppi ed imprese" (così, Cons. Stato, Sez. IV, 9 ottobre 1997, n. 1228).
Torna, pertanto, ad emergere l'illegittimità del comportamento dell'Amministrazione della difesa che ha impedito all'interessato di prendere visione e di estrarre copia delle schede informative o valutative che lo riguardino.
3. Con riguardo alla prevalenza della legge sul decreto ministeriale, che individua gli atti sottratti all’accesso, secondo giurisprudenza di questo Consesso, dalla quale non vi sono ragioni allo stato per discostarsi, il regolamento del Ministero della difesa (d.m. 14 giugno 1995 n. 519) che individua gli atti sottratti all' accesso in applicazione dell'art. 24 comma 2 l. 7 agosto 1990 n. 241, è illegittimo, e va pertanto disapplicato, nella parte in cui non consente la visione degli atti riguardanti la carriera dell'interessato e, come tali, non incidenti sulla riservatezza di altri soggetti terzi, ma solo per asserite ragioni di riservatezza dell’amministrazione (così Consiglio Stato , sez. IV, 11 febbraio 1998 , n. 266): la legge, in quanto fonte superiore, prevale sempre sulla normazione secondaria e la tutela dei terzi, riconosciuta dall'art. 24 l. 7 agosto 1990 n. 241, non preclude comunque l' accesso agli atti in cui vengano in rilievo espressamente gli interessi del richiedente (così, Consiglio Stato , sez. IV, 24 marzo 1998 , n. 498).
Secondo i principi di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241 ed al suo regolamento attuativo approvato con d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, sussiste il diritto soggettivo di accesso "a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti", garantendo "ai richiedenti la visione degli atti ... la cui conoscenza sia necessaria per curare e per difendere i loro stessi interessi giuridici".
Sotto tale profilo, quindi, la disciplina dell’invocato D.M. deve essere disapplicata, in quanto, secondo i principi generali sulla gerarchia delle fonti, nel conflitto di due norme diverse, occorre dare preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto alla disposizione regolamentare ogni volta che preclude l'esercizio di un diritto soggettivo; al Giudice amministrativo, infatti, va riconosciuta la potestà anche in mancanza di richiesta delle parti, di sindacare gli atti di normativa secondaria al fine di stabilire se essi abbiano attitudine, in generale, ad innovare l'ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa (così, Cons. Stato, Sez. IV, 9 ottobre 1997, n. 1128; Sez. V, 7 aprile 1995, n. 531 e 26 febbraio 1992, n. 154).
Per conseguenza, si deve escludere che la menzionata disposizione ministeriale possa precludere l'accesso ai documenti (informazioni di polizia, notizie riservate sul dipendente, schede valutative e simili) di cui si tratta.
Inoltre, in riferimento alla situazione degli atti e dei procedimenti ai quali essi afferiscono – in disparte la considerazione assorbente che laddove si tratta di atti facenti parte di procedimenti giurisdizionali penali, e non di documentazione oggetto di attività amministrativa, l’interessato può accedervi direttamente nelle forme previste dall’ordinamento - l'obbligo di segretezza degli atti d'indagine, previsto dall'art. 329 c.p.p., vale «solo fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza» e quindi non può essere opposto al militare per negargli l'accesso ad atti che lo riguardino.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.
Nulla sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:
rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Nulla sulle spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Anna Leoni, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Raffaele Greco, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/12/2010


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parere sull’ostensibilità della documentazione amministrativa “classificata”
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01/07/2014 201301835 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 16/04/2014


Numero 02226/2014 e data 01/07/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 16 aprile 2014

NUMERO AFFARE 01835/2013

OGGETTO:
Ministero dell'interno

Richiesta di parere sull’ostensibilità della documentazione amministrativa “classificata”, prodotta o detenuta dal Ministero dell’interno per ragioni inerenti alle proprie funzioni istituzionali

LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa nota 10 maggio 2013 n. 2027/22-965/4, con la quale il Ministero dell'interno - Gabinetto del ministro - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

visto il parere interlocutorio reso dalla Sezione all’adunanza del 5 giugno 2013;

vista la nota ministeriale di adempimento del 10 febbraio 2014;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Elio Toscano.


Premesso.

Con parere interlocutorio del 5 giugno 2013, il cui contenuto si ritiene interamente trasfuso nella presente pronuncia, la Sezione ha disposto che venisse preventivamente acquisito l’avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero della giustizia sui quesiti posti dal Ministero dell’interno sull’ostensibilità della documentazione amministrativa “classificata”, prodotta o detenuta dallo stesso Ministero per ragioni inerenti alle proprie funzioni istituzionali.

L’Amministrazione trasmette ora i pareri acquisiti.

In particolare, a fronte dell’esigenza che la suddetta documentazione classificata non venga divulgata, anche con riferimento ai procedimenti di naturalizzazione di cittadini stranieri e allo scioglimento di Consigli comunali per infiltrazioni mafiose, la Presidenza del Consiglio dei ministri, sentiti il Dipartimento informazioni per la sicurezza e la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, ritiene che, ove l’Amministrazione adita rigetti la richiesta di accesso ai documenti classificati, l’istante potrà comunque tutelare il proprio interesse alla conoscenza degli atti in sede giudiziaria e che toccherà all’Autorità giudiziaria stabilire se l’interesse del singolo sia prevalente e, nel caso positivo, definire le modalità che tutelino la riservatezza, a norma dell’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto).

Di analogo avviso è il Ministero della giustizia, il quale ha ribadito che dalla suddetta disposizione di legge “può trarsi la conclusione che, seppure il vincolo della “classificazione” escluda l’obbligo dell’Amministrazione di ostendere a semplice istanza i documenti “classificati”, chi ritenga che tali documenti siano necessari per la cura e la tutela dei suoi interessi potrà sempre rivolgersi all’Autorità giudiziaria per venirne a conoscenza”.

Considerato.

Il Ministero dell’interno ha posto al Consiglio di Stato in sede consultiva i seguenti quesiti:

a) se, al fine di limitare all’ambito strettamente istituzionale la circolazione delle “informazioni classificate” per non arrecare pregiudizio agli interessi fondamentali della Repubblica, lo stesso Ministero possa negare l’ostensione della documentazione amministrativa “classificata”, prodotta o comunque detenuta per ragioni inerenti alle proprie funzioni istituzionali;

b) in via subordinata se, nel caso in cui l’Autorità giurisdizionale disponga direttamente l’ostensione, l’Amministrazione possa adempiere, consegnando la copia della documentazione al magistrato perché provveda ai sensi dell’art. 42, comma 8, della legge n. 124 del 2007;

c) in via ulteriormente subordinata, se sia possibile, quale estrema ratio, oscurare con “omissis” le parti che l’ente originatore ritiene inostensibili, anche qualora l’Autorità giudiziaria procedente non abbia esplicitato tale modalità di adempimento o abbia connotato il disposto in termini di integralità;

d) se, infine, l’esecuzione dell’ordine di esibizione originato dall’Autorità giudiziaria possa fungere da scriminante per il funzionario adempiente con riferimento alla fattispecie punita di cui all’art. 262 del codice penale (rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione).

Con riferimento al primo dei quesiti posti si considera che l’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, pur escludendo dal diritto di accesso i documenti coperti da classifica di segretezza o di vietata divulgazione (comma 1, lettera a), prevede che debba essere comunque garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (comma 7).

Ulteriori prescrizioni nella specifica materia sono dettate dall’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124, che disciplina le modalità di esibizione dei documenti classificati, per i quali non sia stato opposto il segreto di Stato. In particolare, la disposizione da un lato ribadisce il diritto di accesso ai fini della difesa in giudizio, dall’altro ne circoscrive le modalità di esercizio, consentendo la sola visione dei documenti classificati a chi ne abbia interesse per motivi di difesa, senza che sia possibile estrarne copia.

Le disposizioni di legge appena richiamate intervengono in stretta connessione tra loro in materia di diritto ad agire in giudizio, stabilendo concordemente che il diritto di accesso prevale sulle esigenze di riservatezza soltanto nel caso in cui sia necessario per l'utilizzo difensivo, diritto che il Costituente ha inteso garantire con una nutrita serie di garanzie processuali.

Ai fini di una corretta applicazione dell’art. 24, della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 42 della sopravvenuta legge n. 124 del 2007, non si può prescindere da un’interpretazione, che tenga conto della giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha affermato che il diritto alla tutela giurisdizionale va annoverato “tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia un giudice e un giudizio” (così, Corte costituzionale n. 18/1982).

Inoltre, affinché la tutela giurisdizionale sia effettiva e concreta il diritto di azione non è suscettibile di limitazioni, né formali, né sostanziali, a meno che esse non siano volte ad attuare altri principi o interessi di rango costituzionale. Sotto tale profilo la Corte ha ritenuto che, quando la legge dispone in materia di interessi, circoscrivendone più o meno ampiamente la sfera, non comprime la garanzia costituzionale di cui all’art. 24 Cost., ma si limita a porre una certa disciplina di un certo rapporto, in ordine al quale la tutela giurisdizionale resta libera e impregiudicata (Corte cost. n.8/1962).

La Consulta ha, poi, escluso che vincoli derivanti da valutazioni compiute da organi amministrativi possano condizionare la libertà di apprezzamento del giudice sul punto centrale della controversia e, quindi, compromettere la possibilità per le parti di far valere i propri diritti dinnanzi all’Autorità giudiziaria con i mezzi offerti in generale dall’ordinamento giuridico (Corte cost. n. 70/1961).

A questo punto si può ragionevolmente affermare, sulla base dell’interpretazione sia letterale, sia costituzionalmente orientata delle disposizioni di legge considerate, che l’Amministrazione, ferma restando l’autonomia decisionale correlata all’esercizio della potestà discrezionale, non può negare in via assoluta l’ostensione della documentazione classificata, prodotta o comunque detenuta per ragioni inerenti le proprie funzioni istituzionali, né tantomeno non ottemperare all’ordine del giudice di rendere disponibile tale documentazione, laddove l’accesso si renda necessario per difendere interessi giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo.

Sul piano esegetico, non può essere neppure condivisa la prospettazione dell’Amministrazione, secondo cui l’accesso alla documentazione classificata sarebbe regolato esclusivamente dall’art. 42, comma 8, della legge n. 124 del 2007: in quanto l’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 farebbe esclusivamente riferimento alle ipotesi di esclusione finalizzata alla tutela della riservatezza dei dati personali dei singoli, come desumibile del secondo periodo del medesimo comma che individua specifiche modalità di accesso allorché vengano in evidenza documenti contenenti dati sensibili e giudiziari.

Si oppongono all’assunto ragioni di ordine sistematico oltre che la lettera delle disposizioni richiamate.

In proposito si considera che il capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241 contiene le disposizioni che consentono a tutti e in ogni tempo, sia pure nel rispetto dei limiti previsti nella normativa, la “conoscibilità” dei documenti amministrativi, sia che attengano alla fase di formazione del provvedimento amministrativo, sia che risultino già formati o detenuti dall'Amministrazione.
Nello stesso capo V è pure compreso l’art. 24 (come sostituito dall’art. 16, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15), il quale elenca gli atti esclusi dal diritto di accesso e tra questi i documenti classificati “segreto” o “di vietata divulgazione”, secondo la ripartizione a suo tempo fissata dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801, poi abrogata e sostituita dalla legge n. 124 del 2007.

Tuttavia, lo stesso art. 24, al comma 7, prevede un’eccezione alla regola generale dell’esclusione, nel senso che l’accesso ai documenti amministrativi deve essere sempre garantito per curare o per difendere i propri interessi giuridici.

A sua volta, l’art. 42, della legge n. 124 del 2007, nel ridisciplinare l’attribuzione delle classifiche di segretezza, che sono volte a circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi in ragione delle proprie funzioni istituzionali, non ha soppresso la disciplina dell’accesso difensivo, dettata dall’art. 24 della legge n. 241 del 1990, semmai l’ha presupposta ed integrata, attribuendo all’Autorità giudiziaria che dispone l’accesso un ruolo attivo, a garanzia del corretto equilibrio tra esigenze di riservatezza e legittime istanze difensive.

Va ancora evidenziato che, in ragione del vigente quadro normativo, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la classifica di segretezza non potrebbe giustificare il rifiuto di esibizione dei documenti richiesti dall'Autorità giudiziaria, ma soltanto giustificare particolari cautele; cautele che riguardano soprattutto la tutela della riservatezza dei terzi, che assume rilievo in qualsiasi procedimento di accesso ai documenti dell'Amministrazione e riveste particolare delicatezza nelle questioni che in qualsiasi modo coinvolgono la difesa della sicurezza pubblica (in tal senso: Cons. St., Sez. VI, 19 ottobre 2009, n. 47).

In definitiva, nel contesto descritto, l’Amministrazione non soltanto è tenuta ad ottemperare all’ordine di ostensione del giudice, investito della richiesta di accesso, ma è tenuta a fornire con immediatezza al magistrato tutti gli elementi utili, compresi le esigenze e gli strumenti di cautela, all’emanazione di una decisione sull’accesso, rappresentativa di un giusto equilibrio tra gli interessi coinvolti.

Quanto al secondo quesito non possono sussistere dubbi che il comma 8 dell’art. 42 della legge n. 124 del 2007 detti univocamente il regime giuridico degli atti “classificati”, stabilendo che qualora l'Autorità giudiziaria ordini l'esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all'Autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia.

Non si può tuttavia non considerare che il legislatore nel disciplinare l’accesso difensivo ha fatto riferimento alla sede giurisdizionale, nella quale il contraddittorio procedimentale è regolato dal giudice a cui le parti si rivolgono direttamente sia per depositare i propri atti e prendere visione di quelli della controparte, sia per esporre le proprie ragioni nella discussione orale.

Diversamente dal rimedio giurisdizionale, nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, come disciplinato dal d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, il contraddittorio ha luogo nella fase istruttoria che si svolge dinnanzi all’Amministrazione, mentre al Consiglio di Stato è riservata la fase decisoria sul ricorso. In proposito questo Consiglio, in risposta ad altro quesito in precedenza posto dalla stessa Amministrazione, ha chiarito che le modifiche apportate dall’art. 69 della legge n. 69 del 2009 hanno eliminato talune rilevanti differenze del procedimento per il ricorso straordinario rispetto a quello giurisdizionale, sopratutto in ordine alla qualificazione e ai poteri dell’organo decidente, ma non ha innovato le modalità del contraddittorio, nell’ambito del quale l’esercizio del diritto di accesso, indispensabile per assicurare la parità delle armi in ossequio ai principi costituzionali, rimane un’innovazione “pretoria”, che va necessariamente coniugata con le caratteristiche dell’istruttoria amministrativa (Cons. St., Sez. I e II, 7 maggio 2012, n. 4648).

Nello stesso parere è stato precisato che, in diretta applicazione dei principi generali in materia di esercizio del diritto di difesa, ove intervenga istanza di parte, sussiste in capo all’Amministrazione procedente un obbligo di ostensione degli atti del procedimento e che il Consiglio di Stato può, comunque, restituire gli atti all’Amministrazione ogni qualvolta sia necessario stabilire un compiuto contraddittorio.

Pertanto, stante la richiamata netta separazione tra la fase istruttoria e la fase decisionale e l’impossibilità di interlocuzione diretta tra il ricorrente e il Consiglio di Stato, la disciplina prevista dall’art. 42, comma 8, della l. n. 124 del 2007 per l’accesso difensivo ai documenti coperti da classifica deve necessariamente essere adattata alle regole del ricorso straordinario.

Conseguentemente, fermo restando che la decisione sulla domanda di accesso difensivo proposta nell’ambito del ricorso straordinario perché respinta dall’Amministrazione è riservata alla Sezione che tratta il ricorso, l’eventuale ostensione della documentazione, nel caso di accoglimento dell’istanza disposto dal Consiglio di Stato, non potrà che avvenire presso l’Amministrazione detentrice della documentazione, trattandosi di adempimento che attiene alla fase istruttoria del ricorso straordinario.

Tale soluzione, obbligata in ragione della disciplina normativa del ricorso straordinario, consente di salvaguardare la ratio dell’intervento del legislatore, che con l’art. 42 comma 8 ha inteso attribuire all’Autorità giudiziaria il ruolo di garante del principio generale della “ parità delle armi” tra Amministrazione convenuta e parte ricorrente, senza che ciò comporti l'assoluta prevalenza del diritto di accesso sulle esigenze di riservatezza.

Con il terzo dei quesiti posti, si richiede se, in presenza dell’ordine di ostensione dell’Autorità giudiziaria, l’Amministrazione possa oscurare le parti che l’ente originatore ritiene non ostensibili.

È evidente al riguardo la preoccupazione del Ministero richiedente, posto che frequentemente l’Amministrazione può essere detentrice di atti classificati originati da soggetti diversi dalla stessa e non soltanto nel caso di contenzioso riferito al diniego della cittadinanza e allo scioglimento dei comuni per infiltrazioni della criminalità organizzata, ma anche in presenza di ricorsi proposti da personale già appartenente agli Organismi di informazione.

In proposito, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 42, comma 2, della legge n. 124 del 2007, la classifica di segretezza “è apposta, e può essere elevata, dall’autorità che forma il documento, l’atto o acquisisce per prima la notizia, ovvero è responsabile della cosa, o acquisisce dall’estero documenti, atti, notizie o cose”.

Ne consegue che, nel rispetto del principio di leale collaborazione con l’Autorità giudiziaria, o, nel caso del ricorso straordinario, con la Sezione che deve adottare il parere, l’Amministrazione detentrice di documenti classificati non direttamente originati dovrà acquisire senza indugio l’avviso dell’organo che ha apposto per primo la classifica di segretezza e informarne tempestivamente l’Autorità giudiziaria adita, in modo che la stessa possa avere a disposizione ogni elemento utile a decidere sulla domanda di acceso difensivo e sui limiti di accoglibilità in funzione dell’equo bilanciamento tra diritto di difesa e esigenze di riservatezza.

In ogni caso, a meno che non sia apposto il segreto di Stato, l’Amministrazione non potrà opporre vincoli derivanti da valutazioni compiute da organi amministrativi, compreso l’oscuramento di parte dei documenti se non condivisa dal giudice, e dovrà attenersi alle prescrizioni di detta autorità, sia nel caso di consegna dei documenti a quest’ultima per la successiva ostensione alla parte ricorrente, sia qualora, come nel ricorso straordinario, venga incaricata di provvedere direttamente all’accesso.

Con l’ultimo dei quesiti, l’Amministrazione chiede se l’ordine di ostensione della documentazione classificata a fini difensivi possa valere per il funzionario adempiente quale scriminante rispetto al reato di rivelazione di notizie di cui sia vietata la divulgazione, previsto dall’art. 262 del codice penale.

Pur essendo inconfutabile che l’apprezzamento delle cause di giustificazione della colpevolezza è di stretta competenza del giudice penale, il quale è chiamato ad accertare le circostanze concrete in cui l’agente si è trovato ad operare, non può sfuggire all’interprete che l’ottemperanza all’ordine di ostensione possa configurarsi come adempimento di un dovere in presenza di un ordine legittimamente emanato da un soggetto in posizione di supremazia di diritto pubblico, qual è appunto il giudice, ove ricorrano i presupposti soggettivi e oggettivi di legge.

Va, poi, considerato per coerenza sistematica che quello dell’accesso difensivo non è l’unico caso in cui al giudice è consentito di valutare l’opportunità che un’informazione classificata sia mantenuta riservata, posto che, secondo la Corte di cassazione, “è sindacabile da parte del giudice il provvedimento impositivo del segreto ovvero del divieto di divulgazione, che concorre ad integrare l'elemento costitutivo della "segretezza" o "riservatezza" dei delitti di cui agli artt. 256, 261 e 262 c.p., in ordine al duplice profilo della pertinenza ed idoneità offensiva delle informazioni procurate o rivelate in relazione agli interessi pubblici protetti” (Cass. pen., Sez. I, 29 gennaio 2002, n. 3348).

Sempre sul piano sistematico sarebbe contraddittorio, oltre che irragionevole, che l’ordinamento, mentre fa obbligo al giudice di apprezzare il rapporto di essenzialità tra il documento classificato per il quale viene richiesto l’accesso e l’esercizio del diritto di difesa, sollevandolo da ogni responsabilità per denegata giustizia nel caso di rigetto totale o parziale dell’istanza di pubblicità degli atti, perseguisse penalmente il funzionario, che, ottemperando all’ordine di ostensione, trasmetta al giudice o alla Sezione consultiva del Consiglio di Stato i documenti richiesti o provveda direttamente agli adempimenti per rendere concreto l’accesso nel caso del ricorso straordinario.

P.Q.M.

nei termini su esposti è il parere.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Elio Toscano Giuseppe Barbagallo




IL SEGRETARIO
Gabriella Allegrini
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