Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da naturopata »

Gino68 ha scritto:Non sono d’accordo con voi vorrei vedere almeno un precedente o una sentenza in tal senso io non l’ho trovata comunque grazie per l’intervento.
Ma guarda che tu hai chiesto un parere, se ne sei così sicuro, tranquillizza il tuo collega, poi magari lui sarà il primo caso e di norma, tale reato, di regola è sempre associato ad altri, soprattutto per le forze di polizia, ovvero non si tratta solo, ad esempio di A.T., ma di S.D.I.. Inoltre, non tutti fanno ricorso, certamente troverai casi di sospensione cautelare dal servizio e questa porta la probabilità della successiva destituzione.

Pubblicato il 07/09/2017
N. 04306/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00194/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 194 del 2017, proposto da:
Angelo Cantone, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Giacinto Di Fiore, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, G. Porzio, Centro Direzionale F4;


contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliata in Napoli, via Armando Diaz, 11;


per l'annullamento

- della determinazione del Ministero della difesa - Direzione Generale per il Personale Militare n. 0673990 del 21 novembre 2016, relativa alla “perdita del grado per rimozione, per motivi disciplinari” a partire dal 3 maggio 2016;

- di tutti gli atti ad esso connessi, preparatori o consequenziali, nonché di tutti gli atti dell’inchiesta formale, ordinata il 07/06/2016, di tutti gli atti e le risultanze della Commissione di disciplina che

nella seduta del 28 settembre 2016 lo ha ritenuto “non meritevole di conservare il grado”.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2017 il dott. Carlo Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Con atto ritualmente notificato e depositato il sign Angelo Cantone impugnato le decisioni disciplinari adottate a suo carico in epigrafe indicate.

Nei confronti dell'odierno ricorrente, appuntato scelto dei Carabinieri, in servizio permanente, presso la Tenenza dei Carabinieri di Marano di Napoli, era stata disposta la sospensione precauzionale dall’impiego, a titolo obbligatorio, ex art. 915, co. 1, lettera b), del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal 1° giugno 2016. Ciò avveniva in concomitanza del procedimento penale avviato nei suoi confronti, a seguito della predisposizione di apposita misura custodiale, per una serie di reati perpetrati con una serie di atti e comportamenti tenuti nello svolgimento della sue funzioni. Il ricorrente è, in particolare, imputato per accesso abusivo al sistema informatico, tentato accesso abusivo al sistema informatico, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, peculato, rifiuto di atti d’ufficio, illecita detenzione di munizionamento da guerra, aggravato dall’aver agevolato le attività illecite di un clan camorristico).

A sostegno della domanda parte ricorrente ha dedotto:

- la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1393 del C.O.M. (Codice dell'Ordinamento Militare);

- l’eccesso di potere per violazione della Legge, per difetto di istruttoria e di motivazione;

- la violazione degli articoli 24 e 97 della Costituzione;

- la violazione e l’erronea applicazione degli articoli 861 e 867 del C.O.M.;

- la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 3 della Legge n. 241/90, per assoluta mancanza di motivazione.

Il Ministero si costituisce in giudizio, facendo valere l'infondatezza del ricorso.

Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono.

In ordine all'art. 1393 del d.lgs. 66 del 2010, che regola i rapporti tra procedimento penale e quello disciplinare, non può condividersi la doglianza formulata da parte ricorrente.

Se è vero che l'attuale previsione della norma è la seguente: «Se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale (…), il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale (…) e, se già iniziato, deve essere sospeso»; nondimeno la previsione precedente, da ritenere applicabile alla presente vicenda in relazione ai fatti contestati ed alla tempistica in ordine all’attivazione e definizione del procedimento disciplinare de quo (secondo il generale canone ermeneutico tempus regit actum) era più articolata, prefigurando la concomitanza dei due procedimenti, con la possibilità per quello disciplinare di concludersi anche in pendenza del procedimento penale, salve alcune specifiche ipotesi. Tra queste ultime, come nel casi di specie, i casi di complesso accertamento dei fatti addebitati e comunque i casi in cui in ambito penale siano contestati «atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento degli obblighi e dei doveri di servizio». Al verificarsi di tale situazione il legislatore configurava, tuttavia, la possibilità di adottare una sospensione in via precauzionale dall'impiego.

Non può quindi condividersi l’assunto di parte ricorrente per cui l'Arma dei Carabinieri, perdurando il procedimento penale, avrebbe potuto al più deliberare la sospensione dall'impiego; di qui, la sanzione disciplinare non può reputarsi adottata (e a sua volta l'intero procedimento iniziato) in violazione di legge.

Inoltre, escluso che alcuna motivazione avrebbe potuto giustificare, adeguatamente, la spendita di un potere che non doveva iniziare o che doveva essere sospeso, ove esercitato, s’appalesano infondate le censure con cui si contesta il difetto di motivazione e di istruttoria, con particolare riferimento alla mancata indicazione di fatti e circostanze che, nel caso di specie, avrebbero consentito lo svolgimento della procedura.

A disciplinare la perdita del grado è l'art 861 del d.lgs. 66 del 2010. Questa norma annovera tra le cause delle perdita tanto la sanzione adottata al termine di una procedura disciplinare, quanto la condanna penale. Non può quindi che condividersi l’assunto di parte resistente per cui proprio l'art. 861 confermerebbe l'ammissibilità di una degradazione che avvenga in maniera indipendente rispetto all'esito del processo penale. Peraltro, deve riaffermarsi l’assunto per cui il principio per cui “nessuno è tenuto ad accusare se stesso” non troverebbe spazio in questo specifico settore, in virtù della sussistenza di un rapporto di servizio caratterizzato da un vincolo gerarchico particolarmente stringente.

Soprattutto, assumendo l'assoluta separazione del procedimento disciplinare da quello penale, deve ritenersi del tutto esaustiva l'attività istruttoria condotta, concludendosi per l'indubitabile legittimità della determinazione disciplinare adottata; ciò anche a fronte della presentazione, da parte dell'interessato, di difese (memorie difensive) inadeguate.

Dall'istruttoria condotta sui fatti aventi rilievo disciplinare, sarebbe emersa l'incompatibilità dell'accertato comportamento materiale con i vincoli di fedeltà, lealtà e correttezza assunti dal ricorrente con il giuramento prestato. Siffatto giudizio, involgendo una valutazione discrezionale dell'amministrazione, resta sottratto ad un sindacato invasivo del giudice.

Ad ogni modo, la motivazione della decisione può dirsi sufficiente alla luce dei rilevanti dati fattuali richiamati e, stante l’effettività del momento partecipativo-difensivo, il contraddittorio con l'interessato realmente è stato pieno e conforme a normativa (cfr. documentazione in atti).

Ed invero, per un verso, l’amministrazione ha correttamente evidenziato il grave vulnus al rapporto di fiducia, posto a fondamento dell’attività di servizio, scaturente dalla complessiva condotta ascritta all’odierno ricorrente, in forza dei riscontri probatori emersi in sede di indagine penale, della specifica tipologia di addebiti contestati e del grave contesto ambientale ipotizzato; per altro verso, sia in sede di contestazione che di esercizio del diritto di difesa, appare emergere un pieno ed effettivo dispiegarsi del principio di contraddittorio procedimentale.

In conclusione il ricorso va respinto.

Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:




Paolo Passoni, Presidente

Renata Emma Ianigro, Consigliere

Carlo Buonauro, Consigliere, Estensore







L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Buonauro Paolo Passoni


Giustizia Amministrativa - Consiglio di stato Tribunali Amministrativi RegionaliGiustizia Amministrativa - Consiglio di stato Tribunali Amministrativi Regionali


N. 00843/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00570/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 570 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Villini, con domicilio presso Segreteria T.A.R. in Brescia, Via Carlo Zima, 3;


contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Brescia, Via S. Caterina, 6;


per l'annullamento

del foglio n. 102348/1394 in data 19 febbraio 2016, di sospensione precauzionale dal servizio, nonché dei provvedimenti antecedenti, tra cui il foglio n. 669263/15 del 17/11/2015 di avvio del relativo procedimento amministrativo;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2016 il dott. Giorgio Calderoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

I. Il provvedimento impugnato

Il ricorrente, attualmente Appuntato Scelto della Guardia di Finanza, dopo aver riepilogato i propri precedenti di carriera (a partire dall’arruolamento quale Allievo Finanziere dal 21.9.1995), impugna con il presente ricorso il provvedimento 19 febbraio 2016, con cui il Comandante Interregionale dell’Italia Nord Occidentale ha disposto la sua sospensione precauzionale dal servizio, a titolo discrezionale, richiamandosi a:

- la richiesta di rinvio a giudizio in data 26 ottobre 2015, formulata nei confronti del ricorrente dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia – Direzione Distrettuale Antimafia, in ordine al reato, tra gli altri, di cui all’art. 615 ter co. 1, co. 2 n.1 e co. 3 c.p.;

- il verbale di udienza preliminare redatto in data 23 novembre 2015 dal G.U.P. presso il Tribunale Ordinario di Brescia;

- il verbale di udienza redatto in data 20 gennaio 2016 con il quale il suddetto G.U.P. ha sottolineato, tra l'altro, che “la specificazione nel capo d'imputazione [...] delle consultazioni vietate […] tende a specificare che vi è stata violazione nel complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso”;

- le proposte formulate rispettivamente dal Comando Provinciale Brescia (con il foglio n. 35991/16, in data 22 gennaio 2016) e dal Comando Regionale Lombardia (con foglio n. 92642/16, in data 16 febbraio 2016);

- gli atti del procedimento amministrativo a carico del militare, dai quali si evince che lo stesso non ha presentato memorie difensive.

A fronte di ciò, il Comandante Interregionale ha testualmente <<ritenuto di assumere, nei confronti dell'interessato, il provvedimento di sospensione precauzionale dal servizio, a titolo discrezionale, considerando complessivamente:

- che la condotta ascritta all'interessato (consistita, tra l'altro, nell'essersi introdotto - nella sua qualità di Appuntato Scelto della Guardia di Finanza, in servizio presso una Tenenza del Corpo - abusivamente ed in plurime occasione nel sistema informativo dell'Anagrafe Tributaria e nella banca dati SDI ed aver effettuato numerose interrogazioni per finalità non attinenti ad indagini o ad accertamenti di Polizia Giudiziaria o Tributaria, abusando dei poteri ed in violazione dei doveri inerenti la propria funzione) di cui all'atto di imputazione indicato in premessa, risulta connotata da estrema gravità, specie se correlata allo status di militare dello stesso ed ai doveri di correttezza e lealtà assunti con il giuramento;

- il grave pregiudizio al buon andamento dell'Amministrazione derivante dall'impiego in servizio del militare, anche in compiti non operativi, atteso che, a causa degli addebiti a proprio carico, lo stesso, al momento, non è più nelle condizioni necessarie per poter esercitare le proprie funzioni con pienezza d'autorità;

- il necessario bilanciamento, operato tra gli interessi dell'Amministrazione e quelli personali dell'interessato che, per la gravità della vicenda, propende per la tutela dell'interesse pubblico, costituzionalmente prescritta>>.

Dopodiché, viene disposta la sospensione precauzionale dal servizio del ricorrente a decorrere dal 20 febbraio 2016 e con la corresponsione degli assegni stabiliti dall’art. 13 legge n. 833/61.

II. Le deduzioni svolte in ricorso.

Avverso tale provvedimento, vengono dedotte in ricorso le seguenti censure:

1. violazione degli artt. 14 e 40 legge n. 833/1961 e degli artt. 861 e ss. e 916 D. Lgs. n. 66/2010; travisamento dei presupposti di legge, manifesta abnormità e irrazionalità: si sostiene essenzialmente che nel caso di specie non ricorrerebbero i presupposti per la sospensione cautelare dal servizio a titolo discrezionale che, secondo la normativa richiamata, andrebbero individuati, per gli appartenenti al ruolo degli appuntati e finanzieri, “solo nell’avvio di un procedimento penale dal quale può conseguire la perdita del grado”.

Ma non sussisterebbe “in capo al ricorrente la possibilità di "subire", allo stato una sentenza di condanna per i fatti ascritti né l'applicazione di sanzioni accessorie”, in quanto lo stesso ricorrente, nel corso dell'udienza preliminare del 20/01/2016 formulava istanza di sospensione del processo con messa alla prova ex art. 168-bis c.p., accolta dal Giudice dell'udienza preliminare che disponeva conseguentemente il rinvio all'udienza del 19/10/2016, al fine di consentire da parte dell'U.E.P.E. di competenza la predisposizione del programma di trattamento.

Rientrando a pieno titolo l'istituto in esame tra le cause di estinzione del reato, ai sensi del comma 2 dell'art. 168 ter c.p., ne discenderebbe che l'accesso del ricorrente all'istituto della messa alla prova, avente l’effetto di far caducare tutti gli effetti penali dell'imputazione sollevata nei suoi confronti, farebbe venir meno tutti i presupposti di legge per l'applicazione nei confronti del medesimo della sospensione cautelare dal servizio.

D'altro canto, nei confronti del ricorrente non risulta aperto alcun procedimento disciplinare per i fatti oggetto di imputazione, né l'Amministrazione ha irrogato alcuna sanzione disciplinare di stato tale da poter legittimare sotto altro profilo l'adozione della sospensione cautelare dal servizio;

2. violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, eccesso di potere per manifesta ingiustizia, violazione dell’art. 1 comma 1 legge 241/1990 e dell’art. II, 107, comma 2 Costituzione Europea. Si deduce in sintesi:

- che “l'Amministrazione nella valutazione del grave pregiudizio ha omesso di operare una comparazione tra la materialità del fatto contestato, il pregiudizio derivante all'Amministrazione e la personalità, il ruolo, le capacità, la natura della funzione pubblica svolta dal militare” (al riguardo si citano pronunce del Consiglio di Stato degli anni 2004, 2008 e 2009);

- che le doglianze sul buon andamento dell'Amministrazione derivante dall'impiego in servizio del militare, denunciate nell'impugnato provvedimento, si porrebbero in evidente contrasto con le valutazioni caratteristiche riguardanti il ricorrente ed il positivo giudizio complessivo espresso dai diretti superiori (il rendimento in servizio è stato sempre valutato "eccellente" a decorrere dalle note caratteristiche del 04/09/2002, giudizio permanente in tutti gli specchi valutativi successivi);

- che la sospensione precauzionale dal servizio si rende opportuna, nel caso in cui il comportamento del dipendente, per fatti di rilievo penale direttamente connessi al servizio, implichi una incompatibilità assoluta fra la prestazione delle mansioni lavorative e la permanenza in servizio dell’interessato, ma nel caso di specie nessuna valutazione sarebbe stata compiuta sulla opportunità di impiego del ricorrente in mansioni diverse, né l'eventuale trasferimento ad altra sede di servizio ovvero sull'incapacità di tali soluzioni a elidere il rischio di reiterazione delle condotte illecite;

- che, peraltro, il fatto contestato non ha avuto alcuna risonanza mediatica sui giornali e nella opinione pubblica, tale da determinare la compromissione dell'immagine della P.A.;

- che il Comando Interregionale Italia Nord Occidentale, pur essendo a conoscenza dei fatti contestati già a decorrere dall'anno 2012, soltanto ultimamente ritenuto di operare la sospensione precauzionale dal servizio e persino dopo la presentazione della domanda di sospensione del processo per messa alla prova;

3) arbitrarietà manifesta, carenza assoluta o insufficienza della motivazione, violazione dell’art. 10, co. 3 D. Lgs. 199/1995 e dell’art. 3 legge 241/1990, nell’assunto che:

* “il Comando Interregionale avrebbe dovuto valutare la personalità e la condotta del ricorrente in concreto, sia nel periodo antecedente che successivo al periodo in cui risaliva il fatto contestato, analizzando lo stato di servizio, il recupero morale e il tempo trascorso dal fatto, dando espressa e puntuale ragione nel relativo provvedimento dell'effettiva corrispondenza del giudizio di inidoneità a quanto obiettivamente accertato”;

* nel caso in esame, non si sarebbe tenuto conto dell'unicità dell'episodio, nonché della circostanza che sia prima che dopo il fatto negativo de quo il ricorrente ha continuato a conseguire valutazioni di eccellenza;

* i provvedimenti impugnati risulterebbero, altresì, illegittimi per violazione della normativa in materia di giudizio di avanzamento (art. 10, comma 3 del D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 199).

In calce al ricorso viene, poi, formulata espressa istanza istruttoria, volta all’acquisizione dei già richiamati foglio n. 35991/16 del 22/01/2016 (contenente la proposta formulata dal Comando Provinciale di Brescia) e foglio n. 92642 del 16/02/2016 (contenente la proposta formulata dal Comando Regionale Lombardia).

III. Il deposito 24 maggio 2016 della difesa dell’Amministrazione.

In data 24 maggio 2016, l’Avvocatura dello Stato ha depositato in giudizio la relazione 13 maggio 2016 redatta dal Comando Interregionale della Guardia di Finanza, completa dei relativi allegati, tra cui figurano tutti gli atti richiamati nel provvedimento impugnato.

Inoltre, con la medesima nota di deposito (in via telematica) l’Avvocatura dello Stato ha contestualmente provveduto alla trasmissione via Pec della relazione GdF e dei relativi allegati anche al difensore del ricorrente.

IV. In particolare: le proposte 22.1.2016 e 16.2.2016 del Comando provinciale e del Comando regionale GdF.

IV.1. Tra la copiosa documentazione versata in giudizio dall’Amministrazione, rivestono all’evidenza rilievo preminente i due rispettivi fogli-proposta dei Comandi provinciale e regionale, di cui lo stesso ricorrente aveva, peraltro, chiesto l’acquisizione nel proprio ricorso introduttivo.

IV.2. Il foglio 22.1.2016 del Comando provinciale di Brescia della GdF è così articolato:

a) nella premessa si precisa che, al fine di riassumere la vicenda penale de qua, si è provveduto ad analizzare gli atti analiticamente elencati e contenuti nel fascicolo processuale, acquisito dal Gruppo GdF di Brescia, in data 4 dicembre 2015, presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale dì Brescia, nonché attingendo ad atti d'indagine svolti dalla Tenenza di Desenzano (presso cui il ricorrente è in forza) e dal predetto Gruppo;

b) segue la sintesi della vicenda penale, che così può essere ulteriormente sintetizzata:

- in data 26 marzo 2014, sulla pagina intranet della banca dati "S.D.I." in uso al Comandante della Tenenza di Desenzano del Garda è apparso un "alert" che segnalava la presenza di interrogazioni di sintesi operate dal ricorrente in data 5.02.2014 e in data 17.03.2014;

- poiché al militare non era stata delegata alcuna attività investigativa, il successivo 27 marzo 2014 il Comandante ha revocato a tutti i militari del Reparto l'abilitazione all'accesso alla banca dati "S.D.I.";

- quanto sopra è stato partecipato dallo stesso Comandante ai Sostituti Procuratori di Brescia, nel corso di una riunione che ha riguardato il legame del ricorrente con una cittadina straniera, indagata nell'ambito di un’inchiesta penale, in corso d'esecuzione e scaturita da indagini svolte dalla Squadra Mobile della Questura di Brescia, che ha individuato un'organizzazione composta da 39 soggetti di diversa etnia, ritenuti responsabili della commissione di numerosi reati, per lo più legati al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti;

- il nominativo del ricorrente, non risultato coinvolto nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti, figura in diversi atti di indagine della Questura e, in particolare, ivi viene evidenziato, oltre al suo legame sentimentale con la cittadina straniera (la quale ha, contestualmente, intrattenuto una relazione anche con uno degli indagati principali), che da un accertamento presso il Servizio per il Sistema Informativo Interforze C.E.D. è emersa una serie di "interrogazioni di sintesi" effettuate dal militare, in assenza di attinenza con le attività normalmente allo stesso demandate, sul conto del proprio fratello, della predetta compagna, nonché di diversi soggetti gravati da precedenti penali, anche di particolare offensività sociale (estorsione, rapina, minaccia, furto aggravato, sequestro di persona, sfruttamento della prostituzione, detenzione di sostanze stupefacenti per fini di spaccio, etc.);

- da analogo accertamento svolto presso la Sezione Sistemi Informativi Operativi del Comando Generale GdF è, altresì, emerso che il militare, nel corso dell'anno 2014, ha eseguito numerosi accessi all’Anagrafe Tributaria non giustificati da esigenze di servizio e tendenti a rilevare il possesso di immobili, la diponibilità reddituale e altro nei confronti di diversi soggetti, sia a lui vicini sia esercenti attività commerciali e/o professionali;

- in data 28 settembre 2015, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia ha emesso un avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari (ex art. 415 bis c.p.p.), ove sono elencati n. 40 indagati, tra cui il ricorrente ed è indicato che quest'ultimo è sottoposto ad indagini in ordine ai seguenti reati:

"Capo W - per i delitti p. e p. dagli artt. 81 co. 2, 615 ter co. 1, co. 2 n. 1 e co. 3 c.p. e 12 L. 121/1981 perché, in qualità di Appuntato Scelto in servizio presso la Tenenza della Guardia di Finanza di Desenzano del Garda, in plurime occasioni in esecuzione del medesimo disegno criminoso si introduceva abusivamente nel sistema informativo dell'Anagrafe Tributaria e nella Banca Dati SDI effettuando numerose interrogazioni per finalità non attinenti ad indagini o ad accertamenti di Polizia Giudiziaria o Tributaria. Con le aggravanti di avere commesso il fatto con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la sua funzione e di avere agito su sistemi informatici di interesse pubblico. In Desenzano del Garda (BS) dal maggio 2013 all'ottobre 2014";

- con richiesta di rinvio a giudizio (ex artt. 416 e 417 c.p.p.) emessa in data 26 ottobre 2015, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, esaminati gli atti del procedimento penale in argomento, ha chiesto al Giudice per le Indagini Preliminari presso lo stesso Tribunale l'emissione del decreto che dispone il giudizio nel confronti, tra gli altri, del ricorrente, per il medesimo capo d'imputazione riportato nell'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari;

c) nel foglio si dà poi conto dell'annotazione di p.g. depositata, in data 15 ottobre 2015, dal Gruppo GdF di Brescia, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia e da cui sono emersi, all’esito delle indagini effettuate su delega della stessa Procura (perquisizione e sequestro di materiale, acquisizione di conversazioni telefoniche su chat line):

- il coinvolgimento del ricorrente nella gestione di un bar, formalmente intestato alla compagna;

- elementi circa ulteriori accessi, da parte del ricorrente, a banche dati in uso al Corpo e per scopi non attinenti il servizio;

- una serie di frasi ingiuriose, offensive e calunniose rivolte dal militare in oggetto nei confronti del Comandante della Tenenza di Desenzano del Garda, del Comandante del Gruppo di Brescia, nonché di altri militari in forza alla citata Tenenza.

Tali esiti sono stati, altresì, comunicati dal Gruppo Gdf di Brescia alla competente Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona, per le proprie valutazioni;

d) al punto 4, il foglio dà espressamente conto del profilo professionale del militare, da cui risulta, tra l’altro:

- che nell'ultima valutazione caratteristica (rapporto informativo per il periodo dal 15 giugno 2015 al 1° ottobre 2015) ha fatto registrare un rendimento in servizio "elevato";

- che nell'anno 2011 è stato destinatario della sanzione del "rimprovero" per omesso, ingiustificato aggiornamento del sistema PASA dal giorno 10.05.2011 al giorno 10.08.2011;

- che nell'anno 2013 è stato sottoposto ad un procedimento disciplinare di corpo, conseguente ad un contesto penale instaurato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia, ai cui esito gli sono stati inflitti gg. 2 di consegna di rigore con la seguente motivazione: "Finanziere scelto in forza a una Brigata, libero dal servizio, qualificandosi come appartenente alla Guardia di Finanza, invitava una pattuglia di vigili urbani a non procedere nei suoi confronti alla contestazione di una violazione al codice della strada. Al diniego dei suddetti agenti della Polizia Municipale, li apostrofava quali ottusi, battendo con le nocche della mano sull'autovettura di servizio degli stessi, proferendo la seguente frase «Visto che non mi fate andare via vedrete cosa vi capiterà quando vi prenderò io» e, continuando, «lo sono della Guardia di Finanza e prima o poi vi prendo e vedrete»;

- che, per quanto riportato nel Documento Unico Matricolare, dal 26 febbraio 1997 al 10 marzo 1997, giusta Determinazione n. 23674 in data 2 aprile 1997, è stato destinatario di un provvedimento di sospensione precauzionale a titolo obbligatorio, revocato, con effetti dal 26 febbraio 1997, giusta Determinazione n. 21489 in data 17 giugno 2002;

e) al punto 5 del foglio (rubricato “presupposto per l’adozione del provvedimento”) si dà espressamente atto che:

“Con l'esercizio dell'azione penale in ordine ai reati di cui agli artt. 81 co. 2, 615 ter co. 1, co. 2 n. 1 e co. 3 c.p. e 12 L. 121/1981, avvenuto mediante l'emissione della Richiesta di rinvio a giudizio (ex artt. 416 e 417 c.p.p.) n. 17325/11 R.G.N.R. Mod. 21 DDA - 69/12 R.G. G.i.P. in data 26 ottobre 2015, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, nell'ambito del procedimento penale in oggetto, il militare ha assunto la qualifica di imputato per ipotesi di reato da cui può derivare la perdita del grado.

Lo status di cui sopra realizza il presupposto previsto dall'art. 916 del D.Lgs. 66/2010 e dall'art. 14 della Legge 833/1961 per l'adozione nei confronti del militare di un provvedimento di sospensione precauzionale dal servizio, a titolo discrezionale”;

f) al punto 6 lett. “c” del foglio, il Comandante provinciale GdF fornisce la proprie valutazioni sulla vicenda, così motivando in particolare circa il pregiudizio all'interesse pubblico:

“Le condotte ascritte al militare determinano pregiudizio per le esigenze di tutela dell'interesse della collettività e per il buon andamento ed il prestigio del Corpo, in termini di efficienza e di immagine.

Sotto questo aspetto, si ritiene che i fatti per i quali la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia ha avanzato ai Giudice per le indagini Preliminari una richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'App. Sc. (omissis) rilevino in quanto:

(a) riflettenti:

- gravi condotte di introduzione abusiva, in molteplici occasioni, nelle banche dati in uso al Corpo collegate con i sistemi informativi dell'Anagrafe Tributaria" e dello "S.D.I.", per finalità non attinenti ad attività di servizio;

- azioni connotate da abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la funzione rivestita;

(b) inquadrati in un contesto soggettivo aggravato dalle seguenti, ulteriori azioni del militare:

- acquisizione di informazioni dalla banca dati "A.C.I. 2.0", con abusivo accesso e rivelazione alla propria compagna di notizie che dovevano rimanere riservate, in riferimento a dati identificativi di un automezzo localizzato nei pressi dell'attività commerciale intestata alla predetta;

- partecipazione ed interessamento nella gestione del bar della predetta (omissis), tale da qualificarsi come una vera e propria gestione di fatto dell'esercizio commerciale;

- tenuta di condotte collusive con la citata (omissis), finalizzate ad eludere l'accertamento di violazioni finanziarie commesse attraverso l'attività commerciale di quest'ultima, al contempo non denunciando la condizione di lavoratrice "in nero" precedentemente rivestita dalla predetta presso un locale di Desenzano del Garda (BS);

- affermazione, attraverso conversazioni telematiche, di frasi ingiuriose, offensive e calunniose nei confronti di superiori ed altri militari;

(c) concretizzanti, in definitiva, una violazione dei doveri inerenti la funzione di appartenente al Corpo.

Si ritiene che tale circostanza rappresenti elemento ostativo alla permanenza in servizio dell'interessato, permanenza che potrebbe avere, invece, conseguenze pregiudizievoli per l'interesse pubblico e per il buon andamento, l'efficienza ed il prestigio dell'Amministrazione, la cui tutela concretizza un'esigenza prioritaria.

Nel senso indicato, si ritiene che, permanendo in servizio, l'App. Sc. (omissis), non sarebbe in condizione di esercitare appropriatamente le funzioni richieste.

g) in conclusione, al capo 7 il Comandante provinciale propone di adottare, nei confronti del ricorrente, il provvedimento della sospensione precauzionale dal servizio, a titolo discrezionale, a norma dell'art. 916 del D. Lgs. 66/2010 e dell'art. 14 della Legge 833/1961.

IV.3. Il foglio 16.2.2016 del Comando Regionale aggiorna il quadro che precede, evidenziando in primo luogo che i PP.MM. presso la DDA di Brescia hanno formulato, nel corso dell'udienza preliminare tenutasi il 23 novembre 2015, una richiesta di contestazione suppletiva dei capi di imputazione, che è stata autorizzata dal G.U.P. del Tribunale Ordinario di Brescia all'esito della successiva udienza, tenutasi il 20 gennaio 2016, per cui, a seguito della predetta decisione del G.U.P., a carico del graduato risultano attualmente contestati due distinti capi di imputazione:

- il W.1, che sostanzialmente recepisce e conferma l'originario capo di imputazione W. formulato nella "Richiesta di rinvio a giudizio" in data 26 ottobre 2015, aggiungendo l'indicazione delle persone offese;

- il W.2, concernente fatti fino ad oggi non conosciuti ed integranti violazioni degli artt. 110 (Pena per coloro che concorrono nel reato), 326 (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio), 615 ter co. 1, co. 2 n. 1 e cc. 3 (Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico) del c.p. e 12 (Sanzioni) della Legge 121/1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza).

Ritenendo che la consistenza degli elementi di prova a carico dell'interessato sia desumibile per relationem dagli atti giudiziari che lo riguardano, il Comandante Regionale GdF ravvisa la sussistenza di grave pregiudizio derivante all'Amministrazione dall'ulteriore permanenza in servizio dell'interessato, in quanto la natura degli addebiti a carico del militare non lo pongono più nelle condizioni necessarie per poter esercitare le proprie funzioni con pienezza d'autorità, neppure nell'attuale impiego non operativo (addetto alla gestione del parco mezzi terrestre nonché referente per la gestione dei buoni pasto).

Il Comandante Regionale precisa, altresì, che l'eventuale adozione del provvedimento cautelare nei confronti del graduato:

- non pregiudicherebbe l'andamento del servizio del Reparto, stanti le suddette funzioni dallo stesso esercitate;

- pur comportando consistenti implicazioni sotto il profilo personale ed economico, non esclude la possibilità di svolgere altra attività lavorativa (ancorché provvisoria) alle dipendenze di privati, senza incorrere nella diffida ministeriale (ex art. 1 Legge 37/1968), purché la stessa non intacchi, comunque, il prestigio o il decoro del Corpo, così come riconosciuto dal Consiglio di Stato con il parere n. 523, datato 11 marzo 2003.

Infine, nel foglio16 febbraio 2016 si puntualizza:

- che in sede di redazione di documentazione caratteristica, per il periodo dal 01.11.2013 al 31.10.2014, il militare è stato giudicato “eccellente”;

- che l'interessato non si è avvalso delle facoltà di cui all'art. 10 della L. 241/90, in ordine alla possibilità, tra l'altro, di presentare memorie scritte e documenti pertinenti al procedimento amministrativo di cui all'oggetto.

In conclusione, il Comandante “concordando con le valutazioni formulate dalla dipendente linea gerarchica” propone di adottare il provvedimento cautelare di cui si tratta.

V. segue: il Verbale di udienza preliminare 20 gennaio 2016.

Per quanto riguarda la posizione del ricorrente, dal già citato verbale di udienza preliminare in data 20 gennaio 2016 risulta quanto segue:

- l'avv. Villini formula, in via preliminare, istanza di proscioglimento del medesimo ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e, in subordine, istanza di messa alla prova, depositando richiesta di elaborazione del programma all'UEPE formulata in data 19/1/2016 e inoltrata a mezzo PEC;

- in proposito il Giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, “osserva che non ricorrono i presupposti per un proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., in quanto l’abusività dell'accesso promana dalla compulsazione del sistema informatico e telematico, al quale l'imputato aveva la facoltà di accedere, in violazione dei suoi doveri istituzionali. In tal senso la specificazione nel capo di imputazione sub W.1 delle consultazioni vietate non riveste tanto lo scopo di enumerare lefinalità che abbiano soggettivamente motivato l'ingresso nel sistema, quanto piuttosto tende a specificare che vi è stata violazione nel complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso.

Emerge dagli atti rimessi l'effettiva commissione di trasgressioni (da parte del ricorrente) con abuso della sua qualità pubblica e violazione del dovere di riservatezza e di segreto.

Va peraltro accolta la richiesta subordinata di ammissione alla messa alla prova ai sensi dell'art. 168 bis c.p., in quanto è pur vero che entrambi i reati contestati al prevenuto sono aggravati ai sensi del comma 2 dell'art. 615 ter- c.p., tuttavia la giurisprudenza maggioritaria della Suprema Corte è nel senso che, ai fini dell'individuazione dei reati per i quali è ammesso l'istituto ex art. 168 bis e seguenti c.p., occorre avere riguardo esclusivamente alla pena massima prevista per la fattispecie base, prescindendo dalla contestazione nel caso concreto di circostanze aggravanti, ivi comprese quelle ad effetto speciale.

In questo senso depongono sia la lettera della legge sia la finalità deflattiva che la ispira.

Nel caso in esame (…) sono contestati i reati ex art. 615 bis c.p. e 326 c.p. oltre che l'art. 12 L. 121/81, i quali sono puniti con pena edittale massima inferiore ai quattro anni, donde l'ammissibilità dell'istituto.

Si rileva che, essendo stata presentata soltanto ieri istanza all'UEPE, non è ancora stato elaborato il programma di trattamento, di talché, tenuto conto del tempo necessario per la sua predisposizione, previo stralcio della posizione di (…), si dispone il rinvio all'udienza del 19/10/2016 ore 9,00.”

Indi, il verbale si conclude mandando alla cancelleria per la comunicazione all'UEPE e per gli adempimenti di competenza.

VI. Il passaggio in decisione della causa

Dopodiché, all’odierna camera di consiglio e alla presenza dei difensori di entrambe le parti, la causa è stata trattenuta direttamente in decisione per la definizione del merito, ai sensi dell’art. 60 c.p.a..

In particolare, come risulta dal relativo verbale di udienza, il Presidente ha, in proposito e in tale circostanza chiesto “al difensore di parte ricorrente se abbia o meno particolari istanze a difesa da formulare”, ma l’esito è stato che “i difensori di entrambi le parti dichiarano che la controversia può essere decisa ai sensi del citato art. 60”.

VII. Considerazioni del Collegio

VII.1. Il Collegio è consapevole che il lungo riepilogo dei contenuti essenziali degli atti richiamati nel provvedimento impugnato e depositati in corso di giudizio dall’Amministrazione, effettuato ai capi precedenti, non è certamente consono alle caratteristiche della sentenza in forma semplificata, contemplata al citato art. 60 c.p.a. (non foss’altro perché essa è anche altrimenti detta comunemente “sentenza breve”), ma ciò corrisponde a una precisa e intenzionale scelta del Collegio stesso, determinata:

* dalla obiettiva delicatezza della controversia e dalla correlata esigenza di illustrarne compiutamente, nella decisione giurisdizionale che la risolve, tutti i profili in fatto così come ricostruibili dal “combinato disposto” tra provvedimento impugnato e atti in esso espressamente richiamati per relationem;

* dalla circostanza che la difesa di parte ricorrente, pur essendo stata preventivamente, correttamente e per tempo (rispetto all’odierna camera di consiglio) messa a conoscenza di tale produzione documentale di parte avversa, non abbia nei confronti di tali atti mosso obiezioni, repliche o contestazioni di sorta, in vista della medesima camera di consiglio;

* dall’ulteriore constatazione che, nel corso di tale udienza processuale, la stessa difesa - pur dopo aver per questa via avuto conoscenza delle due proposte infraprocedimentali avanzate dal Comando Provinciale e Regionale della GdF, di cui fin dal proprio ricorso introduttivo aveva chiesto l’acquisizione con rituale istanza istruttoria - non abbia, anche in esito ad apposita interrogazione del Presidente, chiesto termine per sviluppare, mediante l’apposito istituto dei “motivi aggiunti”, autonome e specifiche censure avverso tali atti, solo formalmente impugnati “al buio” nell’epigrafe del ricorso introduttivo.

Tale condotta processuale comporta, pertanto, che vada fatta applicazione, nel caso di specie, del principio di non contestazione affermato dall’art. 64, comma 2, a mente del quale “Il giudice deve porre a fondamento della decisione (….) i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”.

Dal che discende la particolare rilevanza e pregnanza, ai fini della presente decisione, degli atti di cui si tratta e di cui in precedenza si è dato ampio conto.

Di qui anche l’obiettiva esigenza, nell’economia della decisione da rendere, di far “parlare” in primo luogo gli atti del giudizio incontroversi tra le parti.

VII.2. Se ciò vale per i “fatti” di causa, ai fini della disamina dei suoi profili in diritto sussiste l’analoga esigenza di riepilogare preliminarmente le principali coordinate interpretative cui è pervenuta la giurisprudenza amministrativa (specie del Consiglio di Stato, anche in sede consultiva) in tema di sospensione precauzionale di un militare (specie della Guardia di Finanza), la quale giurisprudenza si è consolidata nel senso che:

i) il potere dell’amministrazione di disporre la sospensione facoltativa dall’impiego del militare, che versi nella situazione individuata dall’art. 916 del D. Lgs n. 66/2010 (imputato per un reato da cui può derivare la perdita del grado) è connotato da ambiti ampiamente discrezionali, in ordine alla valutazione della gravità dei fatti e delle ragioni di opportunità connesse con la permanenza in servizio dell'incolpato (Cons. Stato, Sez. IV, 8.2.2016, n. 477, 7/11/2012 n. 5669, 30/11/2010 n. 8350 e n. 5364/2015, quest’ultima concernente un maresciallo della Guardia di Finanza);

ii) la suddetta sospensione dall’impiego, avendo natura di mera misura cautelare, prescinde del tutto dall’accertamento dell’effettiva responsabilità dell'inquisito, fondandosi solo su valutazioni di opportunità relative alla necessità di rimuovere, interinalmente, il pregiudizio derivante dalla permanenza del militare rinviato a giudizio nelle funzioni proprie (citate sentenze nn. 5364/2015 e 477/2016);

iii) sotto questo profilo, l’interesse dell’Amministrazione a vedere tutelata la propria moralità e il proprio decoro risulta preminente e prevalente sulle situazioni soggettive del dipendente (Cons. Stato, sez. II, pareri 20/10/2014, n. 3195/2014 e 16 febbraio 2011, n. 1865/2010);

iv) né si rinviene, in capo all’Amministrazione, un particolare onere motivazionale, in ordine alla necessità di vagliare l’adozione di misure alternative alla sospensione, dal momento che una siffatta eventualità non può sostituirsi alle valutazioni che l’Amministrazione stessa è chiamata ad operare in ordine alla gravità dei fatti addebitati all’imputato e al particolare nocumento arrecato al decoro e al prestigio dell'ente di appartenenza del militare (ancora Sez. II Cons. Stato, 16/10/2014, n. 3142/2014);

v) da quest’ultimo punto di vista non rileva che il militare al momento della sospensione dal servizio sia adibito a mansioni non operative, in quanto, in forza del grado rivestito (nella specie: appuntato scelto della Guardia di Finanza), egli è titolare delle qualifiche di agente di polizia giudiziaria e di agente pubblica sicurezza (Tar Lazio sez. II n. 24 del 2014);

vi) quanto alla situazione economica dell’interessato, è sufficiente che il provvedimento di sospensione ponga in rilievo come la sospensione precauzionale dal servizio consenta, comunque, al medesimo di svolgere altra attività lavorativa provvisoria (autonoma o dipendente), al fine di integrare l’assegno alimentare, senza incorrere nella diffida di cui all’art. 898 del decreto legislativo n. 66/2010, purché tale attività non leda il prestigio o il decoro dell’Amministrazione (ancora, citata sentenza Tar Lazio n. 24/2014);

vii) la sospensione dall’impiego, avendo natura di mera misura cautelare, prescinde del tutto dallo stato di servizio dell’inquisito (che può essere anche ampiamente positivo): Cons. Stato n. 477/2016;

viii) è irrilevante, infine, che l’interessato, nel periodo compreso tra il momento in cui i fatti sono stati denunciati e il suo rinvio a giudizio, abbia tenuto un comportamento ineccepibile (TRGA Bolzano n.163 del 2016).

VII.3. Da quanto sin qui esposto in fatto e diritto emerge la complessiva inconsistenza delle censure, in punto di asserito deficit motivazionale, dedotte in ricorso, mediante i rispettivi secondo e terzo motivo: invero, dal capo d’imputazione di cui alla richiesta di rinvio a giudizio 26 ottobre 2015 nei confronti del ricorrente e dalle proposte 22.1.2016 e 16.2.2016 del Comandante provinciale Regionale Gdf (proposte che fanno un tutt’uno sistemico con il provvedimento 19.2.2016 del Comandante Interregionale) emerge una condotta (quantomeno: introduzione abusiva nel sistema informativo dell'Anagrafe Tributaria e nella Banca Dati SDI W), la cui gravità e obiettiva incompatibilità con la sua permanenza in servizio appare di tutta evidenza, atteso il patologico utilizzo delle prerogative connesse allo status di militare della Guardia di Finanza.

Tenuto conto dei principi giurisprudenziali riportati alle lettere “i, ii e iii” del precedente capo VII.3, occorre concludere che l’impugnato provvedimento 19 febbraio 2016 e la presupposta proposta Comandante Provinciale di Brescia in data 22 gennaio 2016 (cfr. in particolare punto 6 lett. “c”) risultino puntualmente motivati e abbiano fatto corretto uso dell’ampio potere discrezionale di sospensione facoltativa dall’impiego di cui gode l’Amministrazione militare.

L’infondatezza dei suddetti secondo e terzo motivo risulta, poi, completa alla stregua delle ulteriori e specifiche considerazioni che, nei confronti di ciascuno di tali motivi, saranno svolte in appresso.

VII.4. Quanto agli ulteriori e specifici profili di censura dedotti con il secondo motivo, è sufficiente osservare, in contrario, che:

- l’eventuale assegnazione ad altre mansioni o sedi non sarebbe stata, comunque, una soluzione in grado di riparare al vulnus inferto dal rinvio a giudizio de quo, stante la titolarità in capo al ricorrente (in forza del grado rivestito: appuntato scelto della Guardia di Finanza) delle qualifiche di agente di polizia giudiziaria e di agente pubblica sicurezza (arg. da Tar Lazio sez. II n. 24 del 2014, citata alla lett. “v” del capo VII.3.);

- ai fini della compromissione dell’immagine della stessa Guardia di Finanza non va fatto riferimento unicamente all’opinione pubblica, bensì anche e se non di più, all’opinione delle istituzioni (autorità giudiziaria, altre forze dell’Ordine, in primis la Polizia di Stato che ha condotto le indagini) con cui la Guardia di Finanza è abitualmente chiamata a collaborare;

- infine, l’attivazione della stessa Guardia di Finanza nella vicenda di cui è causa è stata più che tempestiva (l’avviso di avvio del procedimento è stato notificato all’interessato a distanza di un mese dal suo rinvio a giudizio), cosicché non è dato ravvisare il presunto ritardo, dedotto nell’ultimo profilo del secondo motivo.

VIII.5. Quanto al terzo motivo:

- non rileva, come osservato da TRGA n.163 del 2016, il comportamento tenuto successivamente ai fatti contestati;

- in ogni caso, le valutazioni di eccellenza dal ricorrente conseguite non sono rilevanti (Cons. Stato n. 477/2016) e, soggiunge il Collegio, esse risultano, comunque, “compensate” dai precedenti disciplinari 2011 e 2013, menzionati al punto 4 della proposta 22.1.2016 del Comandante Provinciale;

- infine, neppure è unico l’episodio addebitato al ricorrente, stante che, prima dell’adozione del provvedimento impugnato, il GUP ha autorizzato (citata udienza 20 gennaio 2016) la contestazione, a suo carico, di un ulteriore capo di imputazione W.2 per rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio e per accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (come evidenziato dalla proposta 16 febbraio 2016 del Comando Regionale).

Da ultimo, va anche ricordato come proprio questa proposta non abbia mancato di sottolineare che la sospensione precauzionale non esclude la possibilità di svolgere altra attività lavorativa (ancorché provvisoria) alle dipendenze di privati, senza incorrere nella diffida ministeriale, purché la stessa non intacchi, comunque, il prestigio o il decoro del Corpo (cfr., sul punto, la sentenza Tar Lazio n. 24/2014).

VII.6. Parimenti infondata è, poi, la specifica questione in diritto prospettata con il primo mezzo di impugnazione e con cui si sostiene, in sintesi, che “l'accesso del ricorrente all'istituto della messa alla prova, avente l’effetto di far caducare tutti gli effetti penali dell'imputazione sollevata nei suoi confronti, farebbe venir meno tutti i presupposti di legge per l'applicazione nei confronti del medesimo della sospensione cautelare dal servizio”.

Invero, non è affatto il semplice accesso del ricorrente al nuovo istituto della messa alla prova ad aver l’effetto caducante ex se degli effetti penali dell’imputazione, in quanto la costante giurisprudenza della Cassazione penale ha puntualizzato:

- che il nuovo istituto della messa alla prova, introdotto nel processo penale ordinario dalla legge n. 67 del 2014 e con cui si è disciplinato un percorso del tutto alternativo rispetto all'accertamento giudiziale penale, non incide affatto sulla valutazione sociale del fatto, la cui valenza negativa rimane, anzi, il presupposto per imporre all'imputato, il quale ne abbia fatto esplicita richiesta, un programma di trattamento alla cui osservanza con esito positivo consegua l'estinzione del reato (sez. IV, 18/09/2015, n. 40941e 30/09/2015, n. 43009);

- il beneficio dell'estinzione del reato è tutt’altro che automatico e consegue solo all'esito positivo della prova (sez. V, 09/06/2015, n. 35721; sez. VI, 28/04/2015, n. 38267; sez. III 14 aprile 2015 n. 22104; sez. II, 09/03/2015, n. 26761):

A sua volta, la giurisprudenza penale di merito ha precisato che l'estinzione del reato deve essere espressamente dichiarata: e ciò solo se all'esito del periodo di sospensione del processo con messa alla prova risulti il corretto comportamento dell'imputato ed il rispetto delle prescrizioni imposte e, dunque, che la prova abbia avuto esito positivo (Tribunale La Spezia, 23/09/2015, n. 1028); invero, in caso di esito negativo il Giudice dispone che il processo (sino ad allora solo sospeso) riprenda il suo corso.

Nel caso del ricorrente, il percorso alternativo al processo penale, lungi dall’essere giunto positivamente alla conclusione, è viceversa alle primissime battute iniziali, poiché egli è stato solo ammesso a usufruire dell’istituto della messa alla prova e anzi, avendo formalizzato tale richiesta il giorno immediatamente precedente (19 gennaio 2016) all’udienza dinanzi al GUP, questi ha disposto il rinvio all'udienza del 19/10/2016, al fine di consentire all'U.E.P.E. di predisporre il programma di trattamento.

All’epoca di adozione della sospensione precauzionale de qua, gli effetti penali dell’imputazione sollevata nei confronti del ricorrente erano, pertanto, ben lungi dall’essere caducati, come da questi invece sostenuto nel primo motivo: per cui, a quella data erano senz’altro sussistenti i presupposti di legge per l’applicazione di detta misura.

IX. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto, siccome infondato.

Le spese seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in una misura che tiene conto della presente e accelerata definizione del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione intimata le spese di lite che liquida in complessivi € 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:




Giorgio Calderoni, Presidente, Estensore

Mauro Pedron, Consigliere

Mara Bertagnolli, Consigliere







IL PRESIDENTE, ESTENSORE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da naturopata »

Gino68 ha scritto:Appunto sentenze non ce ne sono per cui nessuno è mai stato destituito per questo reato.
Grazie
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da panorama »

sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, e la conseguente cessazione dal servizio.
-----------------------

Il CdS rigetta l'Appello del collega CC.

1) - reati di concorso in accesso abusivo aggravato a un sistema informatico o telematico, concorso continuato in rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio e corruzione in atti giudiziari.
-------------------------------------------------------------------------------

SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201402958 - Public 2014-06-10 -

N. 02958/2014 REG. PROV. COLL.
N. 03282/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3282 del 2014, proposto da:
Alessandro P., rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio eletto presso Roberto Mandolesi in Roma, via Paolo Emilio 34;

contro
Ministero della Difesa - Direzione Generale Per il Personale Militare, Comando Generale Arma dei Carabinieri, Commissione di Disciplina, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 00723/2014, resa tra le parti, concernente sanzione della perdita del grado per rimozione


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa - Direzione Generale Per il Personale Militare, di Comando Generale Arma dei Carabinieri e di Commissione di Disciplina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Roberto Mandolesi e l'avvocato dello Stato Giustina Noviello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, il signor P.. Alessandro, appuntato scelto dei Carabinieri, impugna la sentenza 21 gennaio 2014 n. 723, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I-bis, ha respinto il suo ricorso proposto avverso la determinazione con la quale è stata disposta nei suoi confronti la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, e la conseguente cessazione dal servizio.

La sentenza impugnata considera, innanzi tutto, che la sanzione disciplinare consegue alla sentenza 18 ottobre 2012 n. 2056, con la quale il Tribunale di Roma ha disposto l’applicazione al P.. della pena su richiesta delle parti di un anno ed otto mesi di reclusione, per i reati di concorso in accesso abusivo aggravato a un sistema informatico o telematico, concorso continuato in rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio e corruzione in atti giudiziari.

Considerata la efficacia, in sede disciplinare, anche della sentenza di condanna a seguito di cd. patteggiamento (l. n. 97/2001), la sentenza ha verificato come la sanzione irrogata:

- “risulta motivata dal richiamo alla suddetta sentenza, nonché dall’inchiesta comunque svolta nel corso del procedimento disciplinare”;

- risulta altresì “proporzionata alla condotta tenuta dal ricorrente in relazione al suo status di appartenente all’Arma dei Carabinieri”;

- non risulta affetta dal lamentato vizio di ne bis in idem, poiché “la sanzione disciplinare precedentemente irrogata . . . aveva ad oggetto un fatto autonomo (aver intrattenuto rapporti con persone con precedenti)”.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello (come desumibili, in particolare, dalle pagg. 10 – 17 ric.):

error in iudicando, poiché:

a) “la motivazione adottata dall’amministrazione per giustificare l’adozione della massima sanzione espulsiva contiene erronei riferimenti in punto di fatto . . . ed è quindi inidonea allo scopo”.

L’amministrazione non ha considerato “tutto quanto emerso (favorevolmente per l’indagato . . . ) in sede di indagini preliminari”, e cioè l’esclusione del reato ex art. 319-ter; il fatto di non avere mai percepito denaro e/o altre utilità; il fatto che gli “otto accessi informali hanno riguardato procedimento penali già definiti e relativi a ritiro patenti”. In definitiva, i fatti e le condotte addebitate al P.. sono risultati “molto meno gravi di quelli presi in esame dalla stessa (amministrazione) per valutare quale sanzione adottare nel caso di specie”;

b) “il provvedimento censurato non contiene . . . alcuna effettiva motivazione che rende il comportamento . . . dell’appellante non compatibile con il mantenimento della sua posizione di impiego nell’Arma dei Carabinieri”;

c) vi è stata “violazione del principio che presidia la materia disciplinare, di proporzione tra infrazione e sanzione”; né sono stati valutati gli elogi e compiacimenti rivolti al P.. da parte dei titolari della Procura della Repubblica di Roma;

d) anche se “con la prima sanzione è stato censurato un diverso comportamento, quello di relazione”, tuttavia occorre rilevare che “in violazione del principio ne bis in idem, la medesima fattispecie (di reato) ha determinato l’irrogazione di due sanzioni disciplinari distinte, una di corpo e l’altra, successiva, di stato.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa – Comando generale dell’Arma dei Carabinieri.

All’udienza in camera di consiglio per l’esame dell’istanza cautelare il Collegio, ritenute sussistenti le condizioni di cui all’art. 60 Cpa, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Il Collegio (richiamando considerazioni già espresse con riferimento a condizioni di assenza di buona condotta ostative all’arruolamento, ma riferibili anche al caso di specie: Cons. Stato, sez. IV., 29 settembre 2011 n. 5411) innanzi tutto osserva che, in materie quali quella delle sanzioni disciplinari, l’esercizio della discrezionalità da parte dell’amministrazione (ed il conseguente sindacato giurisdizionale del giudice, nei limiti in cui questo è consentito), deve tenere senz’altro conto della particolarità e delicatezza delle funzioni che il militare deve svolgere, essendo confacente ad un corretto uso del potere discrezionale procedere a valutazioni del genere ora considerato, storicizzando l’esercizio del detto potere e quindi contestualizzando l’episodio disciplinarmente rilevante, con la natura delle funzioni.

Ne consegue, in concreto, che un medesimo episodio ben può assumere diversa rilevanza (e dunque, ricevere diversa valutazione, anche in sede disciplinare), a seconda della natura del rapporto di impiego pubblico che lega il soggetto cui l’episodio è riferito all’amministrazione.

D’altra parte, la non riconducibilità del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione (latamente intesa) ad un modello unico (di modo che possono aversi valutazioni differenti di un medesimo episodio in ragione di impieghi diversi), è già desumibile dalla stessa Costituzione, laddove, all’art. 98, comma terzo, prevede che, per determinaste categorie di pubblici dipendenti (tra le quali rientra quella di appartenenza dell’attuale appellante) possano essere disposte limitazioni finanche all’esercizio dei diritti politici (nella specie, iscrizioni ai partiti), purchè con legge ed in evidente considerazione della specificità e delicatezza delle loro funzioni.

Per le medesime ragioni, l’art. 3 d. lgs. n. 165/2001 enuclea una specifica categoria di “personale in regime di diritto pubblico”, sottratto alla c.d. contrattualizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazione, nella quale rientrano, fra gli altri, gli appartenenti alle magistrature ed il personale militare e delle Forze di Polizia di Stato.

Tanto considerato, ed a fronte della discrezionalità riconosciuta all’amministrazione in sede di valutazione degli episodi disciplinarmente rilevanti (pur nei limiti indicati), il sindacato del giudice amministrativo, lungi dal concretizzarsi in una valutazione che si sostituisce a quella legittimamente spettante all’amministrazione - così risolvendosi in un non consentito sindacato sul merito dell’azione amministrativa - deve tendere a verificare innanzi tutto, per il tramite delle figure sintomatiche di eccesso di potere evidenziate con i motivi di ricorso, l’esistenza e sufficienza della motivazione sulla quale si fonda il provvedimento adottato, nonché la non contraddittorietà e ragionevolezza della valutazione effettuata e la logicità della misura concretamente assunta, per effetto della valutazione svolta.

Nel caso di specie, è incontestato che il P.., con sentenza del Tribunale di Roma n. 2056/2012 ha patteggiato una condanna alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione, in relazione ad una pluralità di reati, come riportati in sentenza.

Orbene, l’esistenza di una condanna (sia pure su richiesta delle parti) per una pluralità di condotte sia penalmente (in relazione a reati dolosi) sia disciplinarmente rilevanti, è stata ritenuta dall’Arma dei Carabinieri ostativa alla prosecuzione del rapporto di servizio e tale da comportare l’irrogazione della massima sanzione.

Tale decisione – a fronte della sentenza di condanna, della pena irrogata e dei comportamenti concretamente tenuti dal militare - non appare irragionevole, alla luce delle considerazioni sopra esposte, non potendosi ritenere coerente con tali fatti la prosecuzione di un rapporto che implica uno status di militare, la qualifica di agente di polizia giudiziaria e l’esercizio delle relative funzioni. Né determina diverse conclusioni la emersione di elementi attenuativi della responsabilità e/o della rilevanza e qualificazione giuridica dei fatti contestati (come espone l’appellante), posto che la sanzione penale irrogata e l’esistenza stessa della condanna appaiono già di per sé non irragionevolmente ostativi alla prosecuzione del rapporto.

Inoltre, proprio perché la determinazione dell’amministrazione militare e la individuazione della massima sanzione si fondano sui fatti che hanno portato alla sentenza di condanna ed alla determinazione della pena della reclusione, il provvedimento impugnato appare ex se sufficientemente motivato, non dovendo l’amministrazione aggiungere particolari ed ulteriori considerazioni a ciò che oggettivamente emerge dai presupposti (sentenza di condanna) e dalla misura sanzionatoria conseguentemente adottata.

Infine, non appare sussistente la dedotta violazione del principio generale del ne bis in idem, posto che – come già condivisibilmente chiarito dal giudice di I grado – le sanzioni irrogate attengono a fatti diversi, sia pure iscrivibili in un medesimo contesto comportamentale del militare.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, stante l’infondatezza dei motivi proposti.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da P… Alessandro (n. 3282/2014 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti spese., diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/06/2014
panorama
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

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qui sotto la sentenza richiamata dal CdS di cui sopra relativa al collega CC.
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il Tar Lazio fa riferimento anche:

1) - Vista la legge n. 97/2001 che ha esteso l’efficacia della sentenza penale di condanna, anche se emessa a seguito di patteggiamento, ai fini dell’accertamento della sussistenza dei fatti contestati nel procedimento disciplinare;
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SENTENZA BREVE ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201400723, - Public 2014-01-21 -

N. 00723/2014 REG. PROV. COLL.
N. 10923/2013 REG. RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

con rito abbreviato, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., sul ricorso numero di registro generale 10923 del 2013, proposto da:

Alessandro P.., rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio eletto presso lo stesso avvocato in Roma, via Paolo Emilio, 34;

contro

Ministero della difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l'annullamento
- della determinazione s.p. datata 24.07.2013, notificata il 28.08.13, a firma del Vice Direttore Generale della Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con la quale è stata disposta la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, e la conseguente cessazione dal servizio del ricorrente;

- del verbale della Commissione di disciplina del 18.07.13, con cui lo stesso è stato giudicato non meritevole di conservare il grado;

- di tutti gli atti presupposti, antecedenti, consequenziali.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 il dott. Nicola D'Angelo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Dato avviso nella stessa camera di consiglio della possibile decisione immediata nel merito, ai sensi dell’art. 60 del cod. proc. amm., e sentite le parti;

Considerato che l’impugnata sanzione disciplinare consegue alla sentenza del Tribunale di Roma n. 2056/12 del 18.10.2012, divenuta irrevocabile il 7.11.2012, con la quale il ricorrente ha patteggiato un anno e otto mesi di reclusione in relazione ai reati di concorso in accesso abusivo aggravato a un sistema informatico o telematico, concorso continuato in rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, di concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari;

Vista la legge n. 97/2001 che ha esteso l’efficacia della sentenza penale di condanna, anche se emessa a seguito di patteggiamento, ai fini dell’accertamento della sussistenza dei fatti contestati nel procedimento disciplinare;

Rilevato che l’impugnata sanzione disciplinare risulta motivata dal richiamo alla suddetta sentenza, nonché dall’inchiesta comunque svolta nel corso del procedimento disciplinare (cfr. in particolare verbale della Commissione di disciplina);

Ritenuta la sanzione adottata proporzionata alla condotta tenuta dal ricorrente in relazione al suo status di appartenente all’Arma dei Carabinieri;

Rilevato, inoltre, che non risulta sussistere l’ipotesi di elusione del principio del ne bis in idem prospettata nel ricorso, in quanto la sanzione disciplinare precedentemente irrogata nei confronti del ricorrente aveva ad oggetto un fatto autonomo (aver intrattenuto rapporti con persone con precedenti);

Considerato, pertanto, che il ricorso non appare fondato;

Ritenuto di condannare il ricorrente alle spese di giudizio nella misura indicata in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’intimata Amministrazione che si liquidano in complessivi euro 1500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 21/01/2014
Gino68
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da Gino68 »

Vedo che regna l’ottimismo!
Le sentenze postate sono sempre in concorso con altri reati.
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

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Gino68, potresti specificare cosa realmente è successo per chiedere queste notizie, ossia, se si rischia il licenziamento per fatti attinenti allo SDI?

Potresti essere trasparente?
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da naturopata »

Gino68 ha scritto:Vedo che regna l’ottimismo!
Le sentenze postate sono sempre in concorso con altri reati.

La sentenza TAR Lombardia ed il giudice dicono l'esatto contrario di quello che dici:

“Con l'esercizio dell'azione penale in ordine ai reati di cui agli artt. 81 co. 2, 615 ter co. 1, co. 2 n. 1 e co. 3 c.p. e 12 L. 121/1981, avvenuto mediante l'emissione della Richiesta di rinvio a giudizio (ex artt. 416 e 417 c.p.p.) n. 17325/11 R.G.N.R. Mod. 21 DDA - 69/12 R.G. G.i.P. in data 26 ottobre 2015, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, nell'ambito del procedimento penale in oggetto, il militare ha assunto la qualifica di imputato per ipotesi di reato da cui può derivare la perdita del grado.

Guarda che il reato è solo il 615 ter, perché l'art 81 è la continuazione e l'art 12 l.121 1981 dice la stessa cosa del 615 ter anzi più attenuata:

Articolo 12. Sanzioni
1. Il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a sei mesi.

Ti dico anche il collega della finanza di cui a questa sentenza, verrà irrimediabilmente rimosso e questo ricorso al TAR non andava assolutamente promosso ed è stato condannato anche alle spese, quindi anche con una difesa poco appropriata e con tante inutili spese. Il collega aveva solo due vie, patteggiare (con successiva rimozione e risparmio sulle inutili spese legali) oppure arrivare fine in cassazione (sempre certo della condanna e della rimozione) al solo fine di mantenere l'assegno alimentare ma con enormi spese legali. Io avrei consigliato al collega di patteggiare e incominciare a pensare di provare a fare qualcos'altro.

Per un caso di una dipendente non F.P. e non militare, per alcuni accessi all'AT (e non SDI), solo perché si era invaghita di un soggetto conosciuto per attività di servizio e quindi per sapere dove abitava, ha patteggiato ed ha dovuto fare i salti mortali per vedersi diminuito di quattro mesi la sanzione dal PM e per fortuna accolta dal GUP che altrimenti avrebbe portato al licenziamento e se l'è cavata con il massimo della sospensione (in questo caso 6 mesi), ma non può sgarrare più perché ha già raggiunto il massimo della pena per non essere licenziati.

Qui non si tratta di ottimismo e/o pessimismo, si tratta di concretezza e quindi alla tua domanda se si può essere destituiti per tale reato, la risposta è sempre la stessa, si, che non significa che tutti vengono destituiti, non vengono destituiti anche i soggetti condannati per corruzione, tutto dipende, da tanti fattori, in primis una adeguata linea difensiva.
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da Gino68 »

A carico del graduato risultano attualmente contestati due distinti capi di imputazione:

- il W.1, che sostanzialmente recepisce e conferma l'originario capo di imputazione W. formulato nella "Richiesta di rinvio a giudizio" in data 26 ottobre 2015, aggiungendo l'indicazione delle persone offese;

- il W.2, concernente fatti fino ad oggi non conosciuti ed integranti violazioni degli artt. 110 (Pena per coloro che concorrono nel reato), 326 (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio), 615 ter co. 1, co. 2 n. 1 e cc. 3 (Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico) del c.p. e 12 (Sanzioni) della Legge 121/1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza).
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da Gino68 »

Grazie comunque per le gentili risposte anche se ancora non mi è chiara la gravità del solo reato 615 ter cp ——
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

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Gino68 puoi indicare i fatti che ti ho chiesto?
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da naturopata »

Gino68 ha scritto:Grazie comunque per le gentili risposte anche se ancora non mi è chiara la gravità del solo reato 615 ter cp ——
VII.3. Da quanto sin qui esposto in fatto e diritto emerge la complessiva inconsistenza delle censure, in punto di asserito deficit motivazionale, dedotte in ricorso, mediante i rispettivi secondo e terzo motivo: invero, dal capo d’imputazione di cui alla richiesta di rinvio a giudizio 26 ottobre 2015 nei confronti del ricorrente e dalle proposte 22.1.2016 e 16.2.2016 del Comandante provinciale Regionale Gdf (proposte che fanno un tutt’uno sistemico con il provvedimento 19.2.2016 del Comandante Interregionale) emerge una condotta (quantomeno: introduzione abusiva nel sistema informativo dell'Anagrafe Tributaria e nella Banca Dati SDI W), la cui gravità e obiettiva incompatibilità con la sua permanenza in servizio appare di tutta evidenza, atteso il patologico utilizzo delle prerogative connesse allo status di militare della Guardia di Finanza.

Credo che sia chiaro, il solo (si fa per dire art. 615 ter 2, comma), da solo può prevedere la rimozione, poi, di solito, le informazioni acquisite varranno vagliate al fine di verificare a cosa sono servite e per chi e quindi con l'integrazione dei capi d'imputazione (ma la rimozione è già possibile/dovuta di per se), salvo il fatto che l'accesso sia stato effettuato, ad esempio, per curiosità, per errore e limitato ad un solo sporadico accesso. Oltre ciò poi c'è la valutazione dei superiori che è discrezionale e quindi tutto può essere un terno al lotto. Questo reato è uno dei più pericolosi, perché di facile contestazione e di difficilissima difesa e ci si può cascare anche per sciocchezze ed i superiori possono chiedere i tabulati anche per controlli preventivi.
panorama
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da panorama »

Guardate che poi c'è anche il processo per il Danno all'Immagine, come questo qui sotto che riguarda le sottonotate con diversa funzione/impiego.


1) - la Procura regionale ha convenuto in giudizio i pubblici ufficiali indicati in epigrafe, rispettivamente, cancelliere della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Milano, sottufficiali dell’Arma dei carabinieri, ed agente della Polizia Locale di Milano, per sentirli condannare al pagamento, in solido, di diverse somme in favore del Ministero della Giustizia, della Difesa e del Comune di Milano, a titolo di danno all’immagine correlato alla sistematica e ripetuta intromissione illecita in sistemi informatici protetti, per l’acquisizione di notizie da comunicare, in cambio di utilità di varia natura, alle agenzie di investigazione richiedenti (tra cui la New Global Agency il cui titolare, Sig. OMISSIS, è coinvolto nel procedimento penale a carico degli attuali convenuti).

- ) - (tutti pubblici ufficiali con funzioni di cancelliere, sottufficiale dell’Arma dei carabinieri e agente della Polizia locale del Comune di Milano)

GIUSTO PER NOTIZIA:

2) - Le finalità di accesso ai sistemi informatici sono espressamente considerate dal legislatore che, nel citato Codice della privacy, condiziona l’acquisizione di dati in via telematica da parte delle Forze di polizia al perseguimento delle <<finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, prevenzione, accertamento o repressione dei reati>> (art. 53, co. 1, d.lgs. n. 196 del 2003, richiamato dall’art. 54, co. 1, dello stesso decreto).
- ) - Tali norme, nelle quali vengono cristallizzati i principi di imparzialità e buon andamento della p.a. che dovrebbero ispirare l’attività di ogni pubblico ufficiale, risultano chiaramente violate dai convenuti appartenenti alle Forze di polizia e, in generale, dagli altri pubblici ufficiali, in quanto la natura abusiva degli accessi ai sistemi informatici deriva dalla carenza del fine istituzionale, nella specie risultante per tabulas, in relazione a tutti gli episodi in esame.

3) - Venendo al danno all’immagine, esso consiste nel grave nocumento arrecato al prestigio, all’immagine ed alla personalità pubblica delle amministrazioni pubbliche a seguito dell’illecita condotta tenuta dai convenuti.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 439 20/04/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 439 2016 RESPONSABILITA' 20/04/2016
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SENT 439/2016

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
IIª SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO

composta dai seguenti magistrati
dott. Luciano Calamaro, Presidente
dott. Piero Floreani, Consigliere
dott. Luigi Cirillo, Consigliere
dott.ssa Francesca Padula, Consigliere
dott. Marco Smiroldo, Consigliere relatore
riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente

SENTENZA

- neI giudizio di appello iscritto al n. 39759, del Registro di Segreteria, promosso dal sig. Massimo M…, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Bertolini con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via G. Pacini , n. 19

APPELLANTE PRINCIPALE

- nonché nel giudizio iscritto al n. 39953, del Registro di Segreteria, promosso dalla sig.a Domenica P…, rappresentata e difesa dall’avv. Vito Tucci e dall’avv. Luca Tantalo, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Germanico n. 168;

- ed inoltre nel giudizio iscritto al n. 40584, del Registro di Segreteria, promosso dal sig. Alfonso D. M., rappresentato e difeso dall’avv. Susanna Lollini e dall’avv. Giuseppe Lomboni, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, viale Mazzini 113

APPELLANTI INCIDENTALI

AVVERSO

la sentenza n. 626 della Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, depositata in data 28.10.2010 e notificata in data 18.11.2010 al sig. M.. e in data 22.11.2010 alla sig. P.. e al sig. D. M..

e contro

il Procuratore regionale della Corte dei conti per la regione Lombardia

APPELLATO


Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 15.03.2016 il relatore, consigliere Marco Smiroldo, l’avv. Lollini per D. M., assenti gli altri appellanti; il P.M. in persona del Vice Procuratore Generale Paola Briguori.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con l’impugnata sentenza la Sezione territoriale aveva riconosciuto la responsabilità amministrativa dei sigg.ri P.., D. M., M.. e Pietro T.. (non appellante), per danno all’immagine dell’amministrazione d’appartenenza.

Quest’ultimi, infatti, attraverso una serie di episodi delittuosi integranti gli estremi dei reati di corruzione, accesso abusivo al sistema informatico e telematico delle Forze dell’Ordine, rivelazione di segreti di ufficio e falso, avevano acquisito notizie da comunicare, in cambio di utilità di varia natura, alle agenzie di investigazione richiedenti.

In particolare, gli esiti penali della vicenda avevano portato a suo tempo:

- alla condanna del D. M., da parte del Tribunale di Milano, sezione X penale, con sentenza 29.10.2009, n. 12261, appellata dall’imputato;

- alla sentenza di condanna 19.12.2007, n. 1853, a seguito di giudizio abbreviato nei confronti di vari imputati, tra cui M.. (comminata pena a 4 anni e 4 mesi di reclusione ed € 8.000 di multa), appellata ed attualmente in attesa di fissazione di udienza presso la Corte di appello di Milano, IV sezione penale;

- alla sentenza 21.09.2007, n. 1857, di applicazione della pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p. nei confronti di vari imputati, tra cui P.. (mesi 10 di reclusione) e T.. (mesi 3 di reclusione, sostituiti, ex artt. 55 ss. l. n. 689/1981, in € 3.420), sentenza passata in giudicato in data 17 ottobre 2007.

La Sezione territoriale, respinta l’istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 presentata dalla difesa M… in ragione della mancanza di una sentenza passata in giudicato prevista dall’art. 17, comma 30 ter del DL 78 del 2009, valutati gli elementi di prova versati in atti e provenienti dai vari procedimenti penali, ha ritenuto complessivamente sussistere i presupposti per l’affermazione della responsabilità erariale per danno all’immagine degli odierni appellanti e determinato il danno da risarcire da parte di ciascuno come segue:

- la Sig.ra P.. al pagamento della somma di € 19.000, di cui € 4.000 in solido con il Sig. M.. e il Sig. D. M.., € 2.000 in solido con il Sig. M.., € 9.000 in solido con il Sig. D. M. ed € 1.000 in solido con il Sig. T.;

- il Sig. D. M. al pagamento della somma di € 13.000, di cui € 9.000 in solido con la Sig.ra P.., ed € 4.000 in solido con il Sig. M.. e la Sig.ra P..;

- il Sig. M.. al pagamento della somma di € 6.000, di cui € 2.000, in solido con la Sig.ra P.. ed € 4.000 in solido con la Sig.ra P.. ed il Sig. D. M.;

- il Sig. T.. al pagamento della somma di € 1.000, in solido con Sig.ra P...

2.- Con ricorso in appello (39759) depositato al Ruolo generale in data 17.01.2011 e successivamente notificato in data 21.02.2011, e quindi depositato in data 18.03.2011, al sig. Massimo M.. ha impugnato la sentenza in epigrafe contestando l’uso perentorio e granitico da parte del giudice di prime cure degli elementi di prova forniti dal PM, invocando la presunzione d’innocenza. In tale contesto, la difesa ha ribadito che la non definitività dell’accertamento penale priva di affidabilità la decisione impugnata, i cui fondamenti potrebbero essere revocati in dubbio all’esito del gravame interposto avverso la sentenza penale. In tale prospettiva, la difesa ha rieditato le argomentazioni svolte in primo grado circa la istanza di sospensione, momento d’attesa necessario ai fini del corretto decidere, contestando la sussistenza del danno, e la sua determinazione.

Ha quindi chiesto l’assoluzione ed in subordine, la sospensione del giudizio e la pedissequa nullità ex art. 17, comma 30 ter DL 78 del 2009 in attesa della definizione del procedimento penale.

3.- Con appello incidentale (39953) notificato alla Procura regionale per la Lombardia in data 20.01.2011, e quindi depositato in data 18.02.2011, la sig.ra Domenica P.. ha impugnato la sentenza in epigrafe, chiedendone la riforma e l’assoluzione.

In particolare, la difesa, nel rilevare che nessuna norma impedisce l’acquisizione dei dati anagrafici degli intestatari di utenze di telefonia mobile, ha contestato la carenza di prova della compartecipazione dell’appellante nella commissione dei fatti di falso ideologico in concorso col D. M., il quale in ragione della qualità di operatore di polizia, appariva legittimato a richiedere tali acquisizioni.

Quanto agli accessi abusivi a sistema informatico , nel rilevare la novità dell’illecito di recente emersione all’epoca dei fatti, la difesa ha sottolineato le proporzioni minime dell’ipotetico danno cagionato.

Riguardo agli episodi di corruzione, la difesa ha rilevato l’estrema labilità delle prove al riguardo.

Quanto al danno all’immagine, ricostruitine i tratti essenziali, la difesa ha affermato l’assoluta carenza di prove sul punto, sia sull’an che sul quantum.

Infine, è stata eccepita l’omessa applicazione dell’art. 17, comma 30 ter del DL 78 del 2009, che presuppone per la contestazione del danno all’immagine, una sentenza penale irrevocabile per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Ciò comporterebbe, secondo la difesa, la nullità della citazione, almeno per i fatti concernenti l’ accesso abusivo a sistema informatico ; per le altre ipotesi delittuose contestate, poiché riguardano delitti comuni e delitti propri, e la sentenza non ha operato alcuna distinzione in merito, non è possibile determinare quale parte di danno sia stato richiesto correttamente quale danno all’immagine.

Conclusivamente, la difesa ha chiesto:

- di dichiarare l’annullamento dell’impugnata sentenza;

- dichiarare la nullità della sentenza in relazione agli episodi di falso ideologico ed accesso abusivo a sistema informatico ;

- dichiarare la nullità parziale della sentenza in relazione agli episodi nei quali il danno all’immagine è stato calcolato anche in relazione alle condotte di falso ideologico ed accesso abusivo a sistema informatico ;

- ridurre per effetto della nullità parziale il danno all’immagine liquidato in sentenza.

4.- Con appello incidentale (40584) notificato in data 22.04.2011, e quindi depositato in data 11.05.2011, il sig. Alfonso D. M., contumace in primo grado, ha impugnato la sentenza di condanna eccependo:

- la nullità della notifica dell’atto di citazione e conseguente nullità del giudizio di primo grado per mancata instaurazione del contraddittorio;

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 30 ter del DL 78 del 2009 per mancata declaratoria di improponibilità dell’azione in mancanza di sentenza penale irrevocabile di condanna per delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., ovvero di nullità degli atti istruttori e processuali.

Nel merito, la difesa ha sottolineato che i dati in parola (nominativi dei possessori di utenze telefoniche) non erano dotati del carattere di segretezza ex art. 326 c.p.

Quanto alla percezione a titolo di compenso, la difesa ha rilevato la definitività dell’assoluzione sul punto dinanzi al giudice penale.

Infine, ha rappresentato come il D. M. non abbia avuto alcun contatto con altri che non fosse la sig.ra P.., elemento che avrebbe dovuto esser tenuto nel debito conto in sede di valutazione del danno all’immagine della amministrazioni interessate.

4.- Con memoria del 10.02.2016, la Procura generale ha depositato le proprie conclusioni e chiesto che:

- l’appello M.. sia dichiarato inammissibile per tardività e comunque improcedibile per abbandono ex art. 75 R.D. 1214 del 1934, con condanna alle spese del grado;

- con riferimento all’appello D. M., sia dichiarata infondata la censura concernente la nullità del giudizio di primo grado per mancata notifica dell’atto di citazione, attese le risultanze in atti dell’avvenuta notifica dell’atto di citazione; quanto al danno all’immagine contestato al D. M., ha chiesto di dichiararlo imperseguibile il danno attesa la mancanza di una sentenza definitiva di condanna, con declaratoria di non luogo a provvedere per le spese;

- l’appello P.. venga respinto in quanto infondato sia con riferimento al presupposto della esistenza di una condanna definitiva, sia per ciò che concerne i fondamenti della responsabilità, sussistendo sia il danno all’immagine legato alla commissione di reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, sia una corretta quantificazione del medesimo; con condanna alle spese del grado.

5.- In data 02.03.2016, la difesa D. M. ha depositato la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 6016 del 2013, passata in giudicato il giorno 26.01.2014 che, tra l’altro, lo ha mandato assolto per i reati di rivelazione di segreto d’ufficio contestati nel giudizio di primo grado quali presupposto per l’affermazione del danno all’immagine.

6.- Alla pubblica udienza del 15.03.2016, svolta la relazione del Cons. Marco Smiroldo, nel riportarsi alle conclusioni formulate nei rispettivi atti scritti, l’avv. Lollini ha chiesto l’assoluzione del D. M.; la P.G. ha confermato le conclusioni rassegnate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In via preliminare, ai sensi dell’art. 335 e 350 del c.p.c., il Collegio dispone la riunione degli appelli, per essere gli stessi proposti avverso la medesima sentenza.

2.- In rito, il Collegio ritiene preliminarmente di esaminare la questione attinente all’improcedibilità dell’atto d’appello del sig. M.. sollevata dalla procura generale.

L'art. 1, comma 5 bis, del d.l. n. 453/1993, convertito nella legge n. 19/1994 e modificato dal d.l. n. 543/1996 convertito nella legge n. 639/1996, stabilisce che l'appello davanti a questa Corte è “proponibile dalle parti, dal procuratore regionale competente per territorio o dal procuratore generale, entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, entro un anno dalla pubblicazione. Entro i trenta giorni successivi esso deve essere depositato nella segreteria del giudice d'appello con la prova delle avvenute notifiche, unitamente alla copia della sentenza appellata".

Al riguardo, inoltre, le SS.RR. hanno precisato che “Il termine di trenta giorni per il deposito dell'appello nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti decorre dal giorno in cui la notifica si è perfezionata per il destinatario, non già da quello in cui essa deve considerarsi compiuta per l'appellante” (SSRR, n. 8/2009/QM).

Agli atti risulta che la sentenza impugnata è stata notificata al sig. M.. in data 18.11.2010. Risulta, inoltre, che l’appello è stato depositato al Ruolo generale in data 17.01.2011 e soltanto successivamente notificato in data 21.02.2011, e quindi depositato in data 18.03.2011.

Risulta, pertanto, che l’appello del sig. M.. è stato notificato tardivamente, ossia oltre i sessanta giorni previsti dall’art. 1, comma 5 bis, l. n. 19 del 1994 e s.m.i., rivelandosi per l’effetto inammissibile per tardività, essendosi ormai prodotti gli effetti del giudicato nei suoi confronti.

3 – Con riferimento all’appello P.. il Collegio osserva quanto segue.

In via preliminare, il Collegio rileva come l’eccezione di nullità sollevata con riferimento all’art. 17, comma 30 ter del D.L. 78 del 2009 e s.m.i. sia stata formulata per la prima volta in appello e come tale è inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.

Peraltro, l’eccezione si rivela anche infondata nella prospettazione relativa alla mancanza di una sentenza penale definitiva per i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione in quanto agli atti risulta che la sentenza 21 settembre 2007, n. 1857, di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., nei confronti di P.. è passata in giudicato.

L’inammissibilità dell’eccezione travolge, assorbendoli, anche gli argomenti difensivi che su di essa si fondano.

Nel merito, l’appello P.. non merita di essere accolto.

Infondato è infatti il rilievo circa la mancanza o la labilità delle prove valutate dal giudice di prime cure fondate in sostanza sulla sentenza di patteggiamento.

Quanto alla utilizzabilità della sentenza c.d. di patteggiamento quale fonte di documentazione delle prove raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, il Collegio rileva in primo luogo che dette sentenze costituiscono prove c.d. atipiche, in base alle quali il giudice può formare il proprio libero convincimento ex artt. 115 e 116 c.p.c., fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione (Cass. civ. Sez. III, sent. n. 840 del 2015) non sussistendo nell’ordinamento processuale vigente una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova (cfr. Cass. civ. Sez. II, n. 5965 del 2004 e Cass. civ. Sez. III, n. 1954 del 2003; Corte conti, Sez. II App. n. 52 del 2014; 788 del 2015)

Ciò posto, quanto all’efficacia probatoria degli accertamenti contenuti nelle sentenze ex art. 444 c.p.p. il Collegio osserva che l'art. 445 c.p.p., modificato dall'art. 2 della legge n. 97/2001 e poi dall'art. 2 della legge n. 234/2003, stabilisce: "salvo quanto previsto dall'art. 653" - sull’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare - "la sentenza prevista dall'art. 444 comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna".

Sul punto, la Corte costituzionale ha fatto riferimento a un principio “di sistema ” che parifica, salvo possibili deroghe, “la sentenza di condanna pronunciata all’esito del patteggiamento rispetto alla condanna pronunciata all’esito del giudizio ordinario” (Corte cost. n. 336/2009). E la giurisprudenza di questa Corte ha più volte chiarito che la condanna su richiesta delle parti ha comunque un "particolare valore probatorio vincibile solo attraverso specifiche prove contrarie" (Sez. I n. 334/2004, n. 68/2006, n. 109/2006, n. 209/2008, n. 324/2008, n. 401/2008, n. 295/2009; Sez. III n. 213/2006).

Nella fattispecie, il giudice di prime cure, con motivazione completa, esauriente e diffusa, esente da vizi o salti logico ricostruttivi, e quindi meritevole di essere condivisa, ha dato ragione dei motivi per cui le condotte illecite contestate in sede penale, e in quella sede ammesse dall’interessato, o comunque non confutate attraverso specifiche prove contrarie nel presente giudizio, potevano – ed oggi possono - ritenersi accertate. Ciò anche con riferimento alla loro connotazione soggettiva, poichè diversamente si sarebbe stati in presenza di un diverso esito del processo penale, che è stato definito – si ribadisce – su richiesta della parte stessa con una sentenza equiparata a una pronuncia di condanna.

Infine, quanto alla quantificazione del danno in relazione alle diverse ipotesi criminose contestate, il Collegio rileva come in realtà tra le varie ipotesi delittuose – comuni e proprie dei p.u. - vi sia un rapporto di reciproca interdipendenza e connessione, relazione dalla quale correttamente il giudice di prime cure ha tratto una complessiva valutazione di disvalore per l’immagine della p.a..

4. – Con riferimento all’appello D. M. il Collegio osserva quanto segue.

In via preliminare, l’eccezione di nullità della notifica dell’atto di citazione formulata col primo motivo d’appello è infondata e va respinta.

Come rilevato dalla P.G., risulta agli atti che la notifica dell’atto di citazione si è perfezionata secondo il disposto dell’art. 140 c.p.c. per compiuta giacenza del plico, rinviato al mittente al 10° giorno (C. cost. sent. n. 3 del 2010).

Il contraddittorio era stato quindi regolarmente costituito in primo grado, con conseguente contumacia dell’odierno appellante.

Quanto precede rende inammissibile l’eccezione di nullità ex art. 17, comma 30 ter del DL 78 del 2009 formulata per la prima volta in appello.

Com’è noto, l'eccezione di nullità ex articolo 17 comma 30 ter del Dl 78 del 2009, sia per ciò che riguarda l'esistenza di una notizia specifiche concreta, sia per ciò che concerne il danno all'immagine, non è rilevabile d'ufficio (SSRR n. 13/2011/QM).

Come detto, il signor D. M. è rimasto contumace in primo grado, né quest’ultimo ha fornito prove di ulteriori circostanze che gli avevano impedito di aver conoscenza del processo, o che la costituzione in giudizio era stata impedita da causa a lui non imputabile (v. art. 294 c.p.c.), né tantomeno ha richiesto una rimessione in termini.

Conseguentemente l'eccezione di nullità formulata per la prima volta in appello è inammissibile ex art. 345 c.p.c. e non può costituire elemento di convincimento del giudice.

Nel merito, il terzo motivo dell’appello De Masi è infondato.

Infatti, ancorché assolto dal delitto di rivelazione di segreti d'ufficio (art. 326 c.p.), risulta dalla stessa sentenza d'appello invocata dalla difesa l’esistenza di altri reati di cui il De Masi è stato riconosciuto autore, ancorché prescritti, ossia proprio quei reati valorizzati dal giudice di prime cure ai fini del decidere e che, attesa l'inammissibilità dell’eccezione di nullità per le ragioni sopra richiamate, sono idonee a sostenere la ratio decidendi della sentenza di condanna di primo grado che, per l’effetto, va confermata.

Sul punto il Collegio intende far proprie, condividendole e confermandole, le pregnanti argomentazioni della motivazione della sentenza di prime cure al riguardo (pag. 19, 21 e 23), che qui si intendono integralmente richiamate (cfr. SS.UU. 642 del 2015), con riferimento al clamor fori suscitato nell’opinione pubblica ed all’interno degli enti d’appartenenza.

4. – Il Collegio, pertanto, attese le preclusioni processuali intervenute, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l’appello M.. e respinge gli appelli P.. e D. M..

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dei conti - II Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando:

- riunisce gli appelli in epigrafe;

- dichiara inammissibile l’appello 39759 proposto dal sig. Massimo M..;

- respinge gli appelli n. 39953 e 40584 proposti rispettivamente dalla sig.a Domenica P.. e dal sig. Alfonso D. M..

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese del presente grado che sono liquidate, per ciascuno, in euro 32,00------------------------------(TRENTADUE/00).

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 15.03.2016.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Cons. Marco Smiroldo Pres. Luciano Calamaro
F.to Marco Smiroldo F.to Luciano Calamaro


Depositato in Segreteria il 20/04/2016


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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

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rivelazione di segreti di ufficio aggravato, di accesso abusivo a sistema informatico e di favoreggiamento personale aggravato
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La SEZIONE DI APPELLO PER LA SICILIA spiega,

1) - Con sentenza n. 1247/2012, la Sezione Giurisdizionale, ritenuta la sussistenza del danno all’immagine contestato, quantificava in via equitativa l’importo, condannando il convenuto al risarcimento della somma di € 35.000,00 a favore della Guardia di Finanza, inclusa la rivalutazione monetaria, oltre gli interessi legali decorrenti dal deposito della sentenza al soddisfo.

2) - Come è noto, il diritto all'immagine deve intendersi come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.

Sentenza confermata in Appello.
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SEZIONE DI APPELLO PER LA SICILIA SENTENZA 80 14/03/2013
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SEZIONE DI APPELLO PER LA SICILIA SENTENZA 80 2013 RESPONSABILITA' 14/03/2013



Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana

composta dai magistrati:
dott. Salvatore Cilia Presidente
dott. Luciana Savagnone Consigliere relatore
dott. Salvatore Cultrera Consigliere
dott. Pino Zingale Consigliere
dott. Valter Camillo Del Rosario Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 80/A/2013 resp.

nel giudizio di appello iscritto al n. 4211/A.Resp. del registro di segreteria, proposto da C.. Giuseppe, elettivamente domiciliato a Palermo, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Fragapani, rappresentato e difeso dall’avv. Baldassare Lauria

contro

Procuratore regionale appellante incidentale

avverso
la sentenza n. 1247/2012 del 30 marzo 2012, pubblicata il 18 aprile 2012, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana.

Uditi alla pubblica udienza del 26 febbraio 2013 il relatore, consigliere dott.ssa Luciana Savagnone, l’avv. Angela Lombardo, in sostituzione del difensore dell’appellante, ed il P.M., nella persona del dott. Giovanni Coppola.

Esaminati gli atti e i documenti di causa

Fatto

Con atto di citazione, depositato il 12 luglio 2011, il Procuratore regionale ha convenuto in giudizio il sig. C.. Giuseppe chiedendone la condanna al pagamento della somma di € 80.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, per il danno all’immagine subito dalla Guardia di Finanza in conseguenza della condanna penale, divenuta definitiva a seguito della sentenza n. 42690/2010 della Corte di Cassazione, per i reati di rivelazione di segreti di ufficio aggravato, di accesso abusivo a sistema informatico e di favoreggiamento personale aggravato.

Con sentenza n. 1247/2012, la Sezione Giurisdizionale, ritenuta la sussistenza del danno all’immagine contestato, quantificava in via equitativa l’importo, condannando il convenuto al risarcimento della somma di € 35.000,00 a favore della Guardia di Finanza, inclusa la rivalutazione monetaria, oltre gli interessi legali decorrenti dal deposito della sentenza al soddisfo.

Avverso questa sentenza il sig. C.., rappresentato e difeso dall’avv. Baldassare Lauria, con ricorso depositato il 26 luglio 2012, ha proposto appello.

Con il primo motivo, il difensore ha sostenuto che la domanda risarcitoria doveva essere respinta per avere il presunto danno leso l’immagine del Ministero della giustizia, avendo il C.. sempre svolto il suo servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo.

Con il secondo motivo ha contestato la fondatezza dei fatti addebitati in sede penale al suo assistito, discendendo la condanna dalla mancata ammissione in quella sede della parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, che avrebbe dimostrato la sua non partecipazione al reato.

In subordine, ha lamentato la erronea quantificazione del danno sia per la mancata valutazione del contributo di terzi nella causazione dello stesso, sia per la scarsa incidenza della sua condotta nel verifcarsi del clamor fori. Ha chiesto, altresì, che, ai fini della riduzione dell’addebito, vengano valutati i suoi ottimi precedenti di servizio, come pure la episodicità della condotta accertata.

Il difensore ha rilevato, ancora, l’errata considerazione della condanna penale per il reato per il quale è consentito procedere per il risarcimento del danno all’immagine e, infine, la mancata considerazione da parte del giudice di primo grado della destituzione del maresciallo C.. ai fini della reductio ad integrum della immagine e del decoro della Guardia di Finanza.

Il Procuratore generale, con ricorso depositato il 24 ottobre 2012, ha proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza che ha determinato l’importo del danno erariale, riducendo la richiesta formulata nell’atto di citazione. L’organo inquirente ha sostenuto che, in considerazione della gravità del reato commesso dal funzionario infedele, la valutazione dell’ammontare del danno all’immagine da risarcire è stata eccessivamente benevola.

In data 30 gennaio 2013, il Procuratore generale ha depositato le conclusioni scritte, nelle quali ha contestato i motivi di appello proposti dalla parte e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza dibattimentale, l’avv. Angela Lombardo, in sostituzione del difensore dell’appellante, preliminarmente ha chiesto un rinvio, adducendo l’impossibilità da parte del difensore del C.. di partecipare al dibattimento. Nel merito, ha insistito in tutti i motivi di appello dedotti nel gravame.

Il P.M. si è opposto al rinvio della causa ad altra udienza ed ha chiesto il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento di quello incidentale.

Diritto

Preliminarmente il Collegio esclude che possa essere concesso il rinvio richiesto dall’avv. Angela Lombardo, delegato del difensore dell’appellante, ed al quale il PM si è opposto. Anzitutto, infatti, l’impedimento dell’avv. Lauria non è stato in alcun modo né rappresentato né tantomeno documentato. In ogni caso, la delega conferita al sostituto ha consentito comunque l’esercizio del diritto di difesa nel dibattimento.

Con il primo motivo di impugnazione l’appellante ha denunciato l’errore commesso dal procuratore regionale che ha indirizzato la domanda risarcitoria in favore della Guardia di finanza, piuttosto che in favore del Ministero della giustizia come avrebbe dovuto, avendo il C.. prestato la sua attività sempre presso gli uffici della Procura della repubblica di Palermo.

Il motivo è infondato.

Il danno all’immagine, infatti, è stato subito dal corpo di appartenenza del maresciallo C..,
indipendentemente dagli incarichi e dai singoli servizi che, nel tempo, gli sono stati assegnati. Il vincolo di subordinazione che lo lega al corpo militare della Guardia di finanza, caratterizzato all’esterno da un rapporto di immedesimazione organica, fanno sì che egli, come affermato dal giudice di primo grado, debba rispondere del suo operato all’amministrazione di appartenenza, così come è quest’ultima a subire un pregiudizio alla sua immagine in conseguenza dei comportamenti delittuosi commessi.

Con il secondo motivo di appello il difensore del C.. ha contestato la fondatezza della condanna penale subita, sostenendo che se il giudice penale avesse accolto l’istanza di rinnovazione del dibattimento, sarebbe stata dimostrata la sua estraneità al reato per il quale è stato condannato.

Questo motivo è inammissibile, poiché la statuizione relativa alla condanna penale non è uno dei capi della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado contro cui può proporsi impugnazione, ma costituisce il presupposto della richiesta risarcitoria del Procuratore regionale.

L’art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 cooma1, L. 3 ottobre 2009, n. 141, che ha, a sua volta, apportato modificazioni al decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, consente alle procure della Corte dei conti di esercitare l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. Tale ultima disposizione prevede la responsabilità per tale tipologia di danno erariale solo quando sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti pubblici per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale.

Nella fattispecie, il sig. C.. con sentenza passata in giudicato è stato riconosciuto responsabile del delitto di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, previsto e disciplinato dall’art. 326 c.p.. Tale condanna costituisce presupposto imprescindibile per potere esercitare l’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine, azione risarcitoria che troverà accoglimento ove il giudice ritenga sussistere l’an e il quantum della pretesa, ma che non potrà in alcun modo rimettere in discussione la statuizione definitiva del giudice penale.

Con gli altri motivi di impugnazione l’appellante ha lamentato, sotto vari profili, la eccessiva quantificazione del danno. Ha sostenuto, in proposito, che il giudice di primo grado non avrebbe valutato l’incidenza causale del comportamento di terzi, né l’episodicità della sua condotta, né che, attraverso la sua destituzione, si era già ottenuto il ripristino dell’immagine della Guardia di finanza.

Anche il Procuratore generale ha indirizzato le doglianze mosse alla sentenza nell’appello incidentale, sul capo della decisione che ha quantificato il danno erariale, sostenendo, a sua volta, che la determinazione del quantum risarcitorio sarebbe stata eccessivamente benevola, in considerazione della gravità dei reati commessi da parte del funzionario.

I motivi di impugnazione, come prospettati da entrambe le parti, si presentano infondati.

Come più volte è stato affermato da questo giudice, in presenza di una sentenza di condanna per delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal Capo I, del Titolo II del codice penale, non vi è alcun automatismo dell’azione per una presupposta esistenza del danno all’immagine, dovendo il Procuratore regionale agente fornire, di volta in volta, la prova non solo del quantum ma prima di tutto dell’an della pretesa risarcitoria.

Come è noto, il diritto all'immagine deve intendersi come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica.

In proposito la giurisprudenza di questa Corte, rifacendosi ai principi espressi dalla Corte di Cassazione, ha precisato che è interesse precipuo della pubblica amministrazione fornire un'immagine di sé caratterizzata dal rispetto dei principi di legalità, di buon andamento, di esclusiva ed efficace tutela degli interessi della collettività, in modo da incrementare la fiducia dei cittadini e degli utenti nelle istituzioni e nei servizi pubblici.

In definitiva, il bene protetto da tutelare consiste nella diffusione all'esterno dell’immagine di una P.A. sana ed efficiente, con la conseguenza che, se non vi è una consapevolezza da parte della collettività dei comportamenti delittuosi posti in essere, non può concretizzarsi la grave perdita di prestigio ed il detrimento della personalità pubblica che costituiscono il danno all’immagine.

Nella fattispecie, nessun dubbio può esservi, tanto che neppure l’appellante lo pone in discussione, circa l’esistenza di una grave lesione all’immagine della Guardia di Finanza, non solo per la gravità oggettiva del fatto commesso, ma anche per la risonanza mediatica che la complessiva vicenda ha avuto.

Passando, allora, al quantum della pretesa risarcitoria, ritiene il Collegio che bene ha fatto il giudice di primo grado ad utilizzare per la sua determinazione il criterio equitativo, previsto dall’art. 1226 c.c., ammissibile in caso di difficile od impossibile dimostrazione del danno, adottando un giudizio discrezionale basato su presunzioni e su apprezzamenti di probabilità.

Esaminando la sentenza impugnata sul punto, risulta che il giudice, anzitutto, ha correttamente analizzato i reati oggetto della condanna penale del C.., estrapolando quello per il quale la nuova disciplina giuridica in materia di danno all’immagine consente di chiedere il risarcimento. Ne ha valutato la gravità, in considerazione dei tempi e dei modi della sua commissione, della qualifica dei soggetti agenti e del loro ruolo nell'organizzazione amministrativa e, infine, ha attentamente considerato l’impatto che la diffusione delle notizie sui fatti ha avuto sulla cittadinanza, producendo la lesione dell’immagine della Guardia di finanza.

Ritiene, quindi, questo Collegio che la determinazione dell’ammontare del danno sia totalmente condivisibile e che nessuna delle contestazioni contenute negli scritti delle parti possa essere accolta.

In particolare, appaiono del tutto irrilevanti, ai fini della quantificazione del danno, le denunciate condotte tenute da terzi nella commissione dei reati, mentre l’episodicità dei reati commessi, come pure tutti gli elementi della responsabilità penale di cui fa menzione il Procuratore nell’atto di appello incidentale, sono stati accuratamente vagliati ed hanno supportato la determinazione equitativa che ora si condivide.

Infine, deve essere respinta la richiesta di riduzione dell’addebito, motivata con l’apprezzamento espresso dai superiori circa il servizio reso dal C... Secondo il Collegio tale circostanza non è idonea ad alleggerire la posizione processuale dell’appellante, giacchè gli atti di infedeltà ai suoi doveri si mostrano ancora più gravi proprio in considerazione della maggior fiducia che le istituzioni gli accordavano.

Ugualmente infondata è la richiesta di ritenere sanata l’immagine della Guardia di finanza per l’adozione nei confronti del maresciallo del provvedimento di destituzione, atto di natura disciplinare che conferma, ove ve ne fosse bisogno, la gravità del reato commesso.

Alla luce di tali considerazioni, ritiene il Collegio di dovere respingere entrambi gli appelli, confermando la sentenza di primo grado.

Le spese del giudizio, in virtù del principio della soccombenza legale, devono essere addebitate all’appellante principale e si liquidano in complessivi € 319,42 (trecentodiciannove/42).

P.Q.M.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la regione siciliana

RIGETTA

l’appello principale e l’appello incidentale avverso la sentenza in epigrafe.

Condanna l’appellante principale al pagamento delle spese di questo grado di giudizio, che si liquidano in complessivi € 319,42 (trecentodiciannove/42).

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2013.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.TO (Luciana Savagnone) F.TO (Salvatore Cilia)

Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.


Palermo, 14/03/2013


Il Direttore della Cancelleria
F.TO (dott. Nicola Daidone)
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da Gino68 »

Il collega è indagato per art 615 cp ter per interrogazione di un nominativo allo SDI di persona sconosciuta per motivi di servizio senza diffusione a terze persone in orario di servizio confermato da testimoni il dirigente contestava di averlo fatto in generico con nome e cognome esito negativo e la relazione non è mai arrivata in ufficio benché correttamente compilata da un accertamento in Procura si trova con suo stupore questa notizia di reato iscritta su registro indagati è un tentativo di mobbing da parte dei superiori——————————
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Re: Accesso abusivo al sistema informatico. SDI

Messaggio da angri62 »

Gino68 ha scritto:Il collega è indagato per art 615 cp ter per interrogazione di un nominativo allo SDI di persona sconosciuta per motivi di servizio senza diffusione a terze persone in orario di servizio confermato da testimoni il dirigente contestava di averlo fatto in generico con nome e cognome esito negativo e la relazione non è mai arrivata in ufficio benché correttamente compilata da un accertamento in Procura si trova con suo stupore questa notizia di reato iscritta su registro indagati è un tentativo di mobbing da parte dei superiori——————————
===ma come fà il collega a sapere che è indagato senza avviso di garanzia, o fai una richiesta scritta a tribunale per saperlo, oppure ha utilizzato lo sdi antocontrollandosi. è reato?
Rispondi