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trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: dom mar 24, 2013 9:44 am
da orteip74
Vorrei sapere, per usufruire dei diritti per mandato politico, quali sono le cariche comunali che si posso ricoprire (oltre agli assessori e i consiglieri)
Vorrei un riferimento legislativo.

Grazie

Muzio Pietro
Questura Imperia

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: sab apr 20, 2013 4:06 pm
da Jonny storm
La fonte normativa non te la saprei dire,però il beneficio riguarda il sindaco,il consigliere comunale e l'assessore per tutto il mandato.Il trasferimento definitivo per mandato politico in teoria non esisterebbe,perchè si tratta di una assegnazione temporanea lung,a a fine della quale dovresti rientrare nella sede in cui sei in forza.E' capitato, comunque, che alcuni colleghi siano rimasti in modo definitivo nella sede richiesta per svolgere il loro mandato anche dopo il termine dello stesso.E' comunque una concessione dell'Amministrazione in seguito alla richiesta del dipendente.Tieni presente che Brunetta ha abrogato il giorno di permesso per partecipare ai Consigli Comunali,alle Commissioni Consiliari Permanenti e ai Preconsigli.L'unica cosa che è rimasta è il diritto ad assentarsi dal lavoro il giorno successivo al Consiglio Comunale SOLO, se la seduta termina in orario oltre la mezzanotte.Ciao.

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: dom mag 26, 2013 4:14 pm
da panorama
recupero di somme erogate a seguito del trasferimento dal Commissariato di ………. alla Questura di …… ex art. 53 del DPR n. 335/1982, in quanto si era candidato alle elezioni politiche per la XXIV circoscrizione Sicilia 1.

1) - Tale trasferimento era stato qualificato d’autorità, cosicchè,, gli era stata corrisposta l’indennità di trasferimento prevista dall’art. 1 della l. 29 marzo 2001, n. 86

2) - la Questura gli aveva, però, chiesto la restituzione di tale somma, in quanto ritenuta non dovuta dalla circolare del ministero dell’Interno n. 333 – G/ 2.2.24.04 del 3 marzo 2008, la quale richiamava la decisione del Consiglio di Stato n. 2907/2005.

IL TAR precisa:

3) - Come chiarito nel parere della prima sezione del Consiglio di Stato n. 3156/2008 del 24 settembre 2008 relativo a fattispecie analoga, l’orientamento espresso dalla IV sezione del Consiglio di Stato nella decisione n. 2907/2005 richiamata dalla circolare del Ministero dell’Interno n. 333 – G/ 2.2.24.04 del 3 marzo 2008 era espressione di un orientamento assolutamente consolidato siccome manifestato sia dai giudici di primo grado (vedi TAR Puglia Lecce n. 873/05) sia dallo stesso Consiglio di Stato (vedi decisione della IV sezione n. 1019 del 4 settembre 1996).

4) - Per quanto riguarda il merito della questione, in tale parere, alla cui ampia motivazione per esigenze di sintesi si rinvia, si è, in particolare, condivisibilmente affermato che nel caso considerato dall’art. 53, comma 1, del D.P.R. n. 335/1982 non si è in presenza di un trasferimento in senso tecnico, cioè della assegnazione di autorità del pubblico dipendente ad altra sede di servizio, a prescindere dalla sua volontà per soddisfare esigenze dell’amministrazione di appartenenza, ma di un temporaneo allontanamento dalla sede di servizio in conseguenza del divieto posto dalla stessa norma di “prestare servizio per 3 anni nell’ambito della circoscrizione nella quale il dipendente si è presentato candidato”.

Ricorso PERSO.

Il resto dei motivi leggeteli qui sotto.

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22/05/2013 201301133 Sentenza 1


N. 01133/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01114/2009 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1114 del 2009, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall'avv. Alfonso Napoli, presso il cui studio in Palermo, corso Alberto Amedeo, n. 74, è elettivamente domiciliato;

contro
Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in via Alcide De Gasperi, n. 81, è domiciliato per legge;

per l'annullamento
- del provvedimento del 24 – 28 luglio 2008, con il quale l’ufficio personale della Questura di ….. ha comunicato l’avvio della procedura finalizzata al recupero di somme erogate a seguito del trasferimento dal Commissariato di ………. alla Questura di …… ex art. 53 del DPR n. 335/1982;
- della nota di pari data di comunicazione dell’importo della trattenuta mensile;
- di qualsiasi altro atto presupposto, conseguente o correlato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria dell’Avvocatura dello Stato per l’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore il consigliere Aurora Lento;
Uditi, alla pubblica udienza del 10 maggio 2013, i difensori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato:

FATTO
Con ricorso, notificato il 20 maggio 2009 e depositato il 18 giugno successivo, il signor OMISSIS, poliziotto in servizio presso la Questura di …., esponeva di essere stato trasferito, ex art. 53, comma 1, del DPR n. 335/1982, nel corso del 2006, dal commissariato di ……….., in quanto si era candidato alle elezioni politiche per la XXIV circoscrizione Sicilia 1.

Tale trasferimento era stato qualificato d’autorità, cosicchè, nel periodo 27 ottobre 2006 – 31 luglio 2007, gli era stata corrisposta l’indennità di trasferimento prevista dall’art. 1 della l. 29 marzo 2001, n. 86 per un importo complessivo di € ……..

Con nota del 24 luglio 2008, la Questura di ….. gli aveva, però, chiesto la restituzione di tale somma, in quanto ritenuta non dovuta dalla circolare del ministero dell’Interno n. 333 – G/ 2.2.24.04 del 3 marzo 2008, la quale richiamava la decisione del Consiglio di Stato n. 2907/2005.

Malgrado la presentazione di osservazioni, il Ministero aveva operato le trattenute finalizzate al recupero della indennità di trasferimento con decorrenza dal mese di novembre del 2008.

Aveva, pertanto, proposto ricorso al giudice del lavoro di Trapani, il quale, con ordinanza del 9 febbraio 2009, aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

Ha, pertanto, riassunto, il giudizio innanzi a questo TAR, chiedendo l’annullamento del provvedimento del 24 – 28 luglio 2008, con il quale l’ufficio personale della Questura di …… gli aveva comunicato l’avvio della procedura finalizzata al recupero delle somme in questione.

Il ricorso è stato affidato al seguente motivo:

Violazione dell’art. 1 della l. 29 marzo 2001, n. 86. Eccesso di potere per erronea interpretazione ed applicazione di legge, nonché per disparità di trattamento.

Il trasferimento ex art. 53, comma 1, del DPR n. 335/1982 sarebbe qualificabile come d’ufficio e comporterebbe, pertanto, la erogazione della indennità di trasferimento.

Non potrebbe, comunque, procedersi al recupero in considerazione del fondamento dello stesso su un cambiamento di orientamento giurisprudenziale.

Per l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato, che ha depositato vari documenti.

Alla pubblica udienza del 10 maggio 2013, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO
La controversia ha ad oggetto il recupero delle somme erogate al ricorrente, poliziotto in servizio presso la Questura di ….., a titolo di indennità di trasferimento, per il cambio di sede avvenuto nel 2006 ai sensi dell’art. 53, comma 1, del DPR n. 335/1982, in quanto lo stesso si era candidato alle elezioni politiche.

Tale recupero è stato disposto, in quanto le somme sono state ritenute non dovute alla luce della circolare del Ministero dell’Interno n. 333 – G/ 2.2.24.04 del 3 marzo 2008, la quale conteneva un richiamo alla decisione del Consiglio di Stato n. 2907/2005.

Con unico motivo si deduce: sotto un primo profilo, che il trasferimento in questione sarebbe qualificabile come d’ufficio e comporterebbe, pertanto, la erogazione della indennità di trasferimento; sotto un secondo profilo, che non potrebbe procedersi al recupero in considerazione del fondamento dello stesso su un cambiamento di orientamento giurisprudenziale.

Le doglianze sono infondate.

Come chiarito nel parere della prima sezione del Consiglio di Stato n. 3156/2008 del 24 settembre 2008 relativo a fattispecie analoga, l’orientamento espresso dalla IV sezione del Consiglio di Stato nella decisione n. 2907/2005 richiamata dalla circolare del Ministero dell’Interno n. 333 – G/ 2.2.24.04 del 3 marzo 2008 era espressione di un orientamento assolutamente consolidato siccome manifestato sia dai giudici di primo grado (vedi TAR Puglia Lecce n. 873/05) sia dallo stesso Consiglio di Stato (vedi decisione della IV sezione n. 1019 del 4 settembre 1996).

Per quanto riguarda il merito della questione, in tale parere, alla cui ampia motivazione per esigenze di sintesi si rinvia, si è, in particolare, condivisibilmente affermato che nel caso considerato dall’art. 53, comma 1, del D.P.R. n. 335/1982 non si è in presenza di un trasferimento in senso tecnico, cioè della assegnazione di autorità del pubblico dipendente ad altra sede di servizio, a prescindere dalla sua volontà per soddisfare esigenze dell’amministrazione di appartenenza, ma di un temporaneo allontanamento dalla sede di servizio in conseguenza del divieto posto dalla stessa norma di “prestare servizio per 3 anni nell’ambito della circoscrizione nella quale il dipendente si è presentato candidato”. Ne consegue che, a differenza di quanto previsto per i normali trasferimenti d’ufficio, per i quali la durata della permanenza nelle sede di destinazione è rimessa alla libera e responsabile valutazione dell’amministrazione, in tali ipotesi il dipendente – candidato non eletto – ha un vero e proprio diritto a rientrare, alla scadenza del triennio, nell’ufficio dal quale era stato temporaneamente allontanato.

Con riferimento alla fattispecie in esame deve, pertanto, ritenersi che la indennità di trasferimento era stata indebitamente corrisposta e che l’Amministrazione ne ha legittimamente disposto il recupero, senza che a diversa conclusione possa addivenirsi sulla base di eventuali prassi di segno diverso, poiché in contrasto con la normativa di riferimento.

Concludendo, in forza di quanto esposto, il ricorso è infondato e va rigettato.

Si ritiene di compensare le spese in considerazione del fatto che le somme sono state percepite in buona fede dal ricorrente.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Aurora Lento, Consigliere, Estensore
Maria Cappellano, Primo Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/05/2013

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: sab ott 04, 2014 10:00 pm
da panorama
Il Ministero dell'Interno perde l'Appello al Consiglio di Stato
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TRASFERIMENTO DI COMMISSARIO DI P.S: IN SEGUITO A CANDIDATURA AD ELEZIONI

1) - il commissario non era stato eletto consigliere comunale

IL CONSIGLIO DI STATO afferma:

2) - Al riguardo appare evidente che la ratio del comma 1 dell’art. 53 citato (il candidato alle elezioni non può prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato) è analoga a quella del comma 2 dello stesso articolo 53 ( l’eletto non può prestare servizio nella circoscrizione dove è stato eletto….almeno per tre anni) : cioè è necessario evitare interferenze tra le funzioni di appartenente alle forze di Polizia e l’esercizio dei diritti politici garantito a livello costituzionale al cittadino.

3) - Pertanto. ad avviso del Collegio, privilegiando una interpretazione conforme ai principi costituzionali, il trasferimento alla sede più vicina, quale limite alla discrezionalità organizzativa del Dipartimento di PS introdotto dall’art. 53, comma 2, del DPR n. 335/1982, va riferito anche all’ipotesi del candidato non eletto, rappresentando tale disposizione legislativa un equo contemperamento tra il diritto di esercizio delle funzioni elettive, garantito a tutti dall’art. 51 Cost., . e l’esigenza di preservare l’attività di servizio della Polizia di Stato da interferenze derivanti dal mandato amministrativo o politico.

N.B.: vedi punto n. 2 di cui sopra.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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29/09/2014 201404861 Sentenza 3


N. 04861/2014REG.PROV.COLL.
N. 01794/2006 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1794 del 2006, proposto da:
Ministero Dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
F. M.;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00713/2005, resa tra le parti, concernente TRASFERIMENTO DI COMMISSARIO DI P.S: IN SEGUITO A CANDIDATURA AD ELEZIONI, disposto con decreto del Capo della Polizia 21 giugno 2005.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2013 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e udito per la parte appellante l’Avvocato dello Stato Ferrante Wally;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con istanza del 8 marzo 2005 il Sostituto Commissario di PS F. M., in servizio in Polizia dal 1983 ed assegnato alla Questura di Chieti dal 1989, candidatosi alla carica di consigliere alle elezioni comunali, che si sarebbero svolte a Chieti il 3 e 4 aprile 2005, presentò al Dipartimento di PS domanda di trasferimento, ai sensi del DPR n. 335/1982, art. 53, a Pescara, indicando vari uffici della P.S. a cui, con successiva integrazione, aggiunse anche la Questura di Pescara; nella istanza il Commissario, residente a OMISSIS ( PE) con moglie e figli minori, richiamava anche altra recente domanda di trasferimento nelle stesse sedi di Pescara motivata con la necessità di essere più vicino alla madre, invalida al 100% e residente anch’essa a OMISSIS .

Visto che il commissario non era stato eletto consigliere comunale, il Dipartimento di PS con decreto 21 giugno 2005 notificato il 28 luglio 2005) ne disponeva il trasferimento, ai sensi dell’art. 53 DPR n. 335/1982, al Commissariato distaccato di Lanciano (CH) con decorrenza immediata.

1.1. Avverso tale trasferimento il Commissario ha proposto ricorso al TAR Abruzzo, Sezione di Pescara, che, trattata l’istanza cautelare nella camera di consiglio del 17 novembre 2005, ha deciso la causa nel merito ( ai sensi dell’art. 9 legge 205/2000) e, con sentenza semplificata 28 novembre 2005 n. 713/2005, ha accolto il ricorso, annullando il decreto impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti della PA, spese compensate.

Con appello ritualmente notificato il Ministero dell’Interno ha chiesto la riforma della suddetta sentenza, deducendone la erroneità con riguardo sia alla interpretazione dell’art. 53 del DPR n. 335/1982 sia al difetto di motivazione.

Il Commissario appellato non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 21 giugno 2013, udito l’Avvocato dello Stato presente, la causa è passata in decisione.

2. L’appello è infondato e la sentenza appellata merita conferma.

Viste le disposizioni dell’art. 53, commi 1 e 2, del DPR 335/1982 , ritiene il Collegio che il trasferimento del personale di Polizia alla sede di servizio più vicina è previsto, compatibilmente con la qualifica rivestita, con riguardo non solo agli eletti, ma anche ai candidati che, poi, risultino non eletti.

Al riguardo appare evidente che la ratio del comma 1 dell’art. 53 citato (il candidato alle elezioni non può prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato) è analoga a quella del comma 2 dello stesso articolo 53 ( l’eletto non può prestare servizio nella circoscrizione dove è stato eletto….almeno per tre anni) : cioè è necessario evitare interferenze tra le funzioni di appartenente alle forze di Polizia e l’esercizio dei diritti politici
garantito a livello costituzionale al cittadino.

Inoltre, come ha rilevato la sentenza appellata ( con motivazione analoga ad altra propria pronuncia n. 599/2005 di accoglimento del ricorso proposto da un ispettore in servizio anch’egli a Chieti e candidato non eletto alle elezioni comunali di Chieti), è chiaro che il diritto di esercitare le pubbliche funzioni elettive è speculare e collegato funzionalmente al diritto di elettorato passivo con l’ulteriore conseguenza che ogni compressione dell’esercizio dell’uno si riflette sull’esercizio dell’altro.

2.1. Pertanto. ad avviso del Collegio, privilegiando una interpretazione conforme ai principi costituzionali, il trasferimento alla sede più vicina, quale limite alla discrezionalità organizzativa del Dipartimento di PS introdotto dall’art. 53, comma 2, del DPR n. 335/1982, va riferito anche all’ipotesi del candidato non eletto, rappresentando tale disposizione legislativa un equo contemperamento tra il diritto di esercizio delle funzioni elettive, garantito a tutti dall’art. 51 Cost., . e l’esigenza di preservare l’attività di servizio della Polizia di Stato da interferenze derivanti dal mandato amministrativo o politico.

Tra l’altro, una volta escluso che la ratio del trasferimento alla sede più vicina sia individuata nella finalità di agevolare l’esercizio dell’attività connessa al mandato amministrativo o politico, l’applicazione dell’agevolazione del trasferimento alla sede più vicina alla sola ipotesi del personale di PS eletto, rappresenterebbe anche una irragionevole maggiore gravosità dell’esercizio del diritto a candidarsi in capo al personale di PS, che, per il solo fatto di candidarsi, si esporrebbe al rischio di essere assegnato ad una sede di servizio molto disagevole in quanto distante dalla dimora della sua famiglia, come è accaduto al Commissario appellato, che (in servizio a Chieti dal 1989) è stato trasferito al Commissariato di Lanciano, a distanza di oltre 50 chilometri dalla abitazione familiare situata nel comune di Spoltore ( a km. 5 da Pescare), dove vive con il coniuge e tre figli minori e dove risiede anche la madre invalida al 100% ( vedi domanda di trasferimento da Chieti a Pescara del 8 febbraio 2005).

2.2. D’altra parte, l’impugnato trasferimento al Commissariato di Lanciano, cioè nell’ambito della stessa provincia di Chieti, non rispondeva neanche alle direttive di servizio impartite dal Ministero dell’Interno con la circolare 6 aprile 1995, che, fornendo istruzioni sui casi più incerti, impartisce le seguenti istruzioni : “nel caso di un dipendente in servizio presso la Questura, candidatosi in una circoscrizione ( (collegio) elettorale compreso nella medesima provincia, viene disposto il trasferimento fuori provincia oppure, ove possibile, in uno dei Commissariati distaccati ubicati nella Provincia, la cui circoscrizione, tuttavia, non coincida in tutto o in parte con quella elettorale”.

Quindi, ove il Dipartimento di PS avesse trasferito il ricorrente, anziché al Commissariato di Lanciano, in uno degli uffici di Pescara, avrebbe osservato sia la direttiva che richiede il trasferimento del candidato “fuori provincia”, impartita dalla circolare ministeriale del 1995, sia il limite della “sede più vicina”, dettato dall’art 53 DPR 335/1982 .

Quanto all’ipotesi del trasferimento “fuori provincia”, la diversa lettura della circolare data dall’Avvocatura dello Stato nell’appello all’esame ( il Ministero non si riferirebbe alla provincia più vicina a quella della circoscrizione elettorale) appare, da un lato, immotivata sotto il profilo interpretativo teleologico, e, dall’altro, in contrasto con il principio di ragionevolezza e di proporzionalità in ragione del sotteso intento disincentivante all’esercizio del diritto di elettorato passivo da parte del personale di PS.

2.3. Né tanto meno il trasferimento del ricorrente al Commissariato di Lanciano è sostenuto dalla esposizione di prevalenti esigenze di servizio, non potendosi dare valenza di motivazione alla espressione “valutate altresì le esigenze dell’Amministrazione”, che per la sua genericità e formalismo, come rilevato dalla sentenza appellata, non supera lo scrutinio sul corretto esercizio della discrezionalità, mentre nel ricorso innanzi al TAR l’interessato ha rappresentato che, da un lato, il Commissariato di Lancino non appariva il più sguarnito ( su 45 addetti erano presenti 13 ispettori di cui 2 Sostituti Commissari) e che, dall’altro, il Dipartimento avrebbe potuto considerare le ben più vistose carenze della dotazione organica della Questura di Pescara ( 250 addetti e 6 Sostituti Commissari) e dei vari uffici collegati presenti nella circoscrizione medesima.

3. Per le esposte ragioni l’appello va respinto.

Non vi sono statuizioni in tema di spese di lite, visto che l’appellato non si è costituito.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello in epigrafe.

Nulla per le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/09/2014

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: ven ott 17, 2014 11:27 pm
da panorama
DESTITUZIONE DAL SERVIIO
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1) - destituzione dal servizio per reiterate assenze ingiustificate: avendo fruito di numerosi giorni di permesso ex art. 79, comma 3, D.Lgs. 267/2000, quale consigliere comunale di OMISSIS, aveva infatti omesso, benché richiesto, di documentare correttamente la partecipazione a sedute (di Consiglio e Commissione) in relazione alle quali aveva goduto di permessi per complessivi 24 giorni.

2) - Il ricorrente precisa di avere sempre chiesto la previa autorizzazione all’assenza, che pertanto non era mai ingiustificata, ma soltanto carente di idoneo supporto documentale e, comunque, di avere in buona fede fatto affidamento sulla costante pratica dell’ufficio di continuare ad autorizzare, ciò nonostante, nuove assenze;

3) -Recita l’art. 79, comma 6, del D.Lgs. 267/2000: “l’attività e i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono e ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, devono essere prontamente e puntualmente documentati mediante attestazione dell’ente”.

IL TAR DI BOLGONA precisa:

4) - Ritiene il Collegio che la richiesta preventiva del permesso non costituisca affatto autorizzazione, ma abbia la sola funzione di comunicare l’assenza in via preventiva, mentre la valida costituzione del titolo giustificativo si perfeziona solo “ex post”, con l’attestazione dell’effettivo esercizio del mandato nei giorni richiesti.

5) - Ne consegue che l’assenza previamente comunicata, ma non seguita dalla documentazione di rito, è assenza ingiustificata a tutti gli effetti disciplinari e retributivi.

6) - E’ ovvio, infine, che la richiesta tardiva di congedo ordinario non può avere alcuna efficacia sanante ex post di una condotta illecita già perfezionatasi, ma riguarda soltanto la definizione degli aspetti retributivo-contabili del rapporto (lo stesso dicasi per la mancata attivazione allo stato del giudizio per danno erariale avanti la Corte dei Conti, peraltro sempre azionabile, in ipotesi, nei termini prescrizionali).

Il leggetelo qui sotto.
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13/10/2014 201400963 Sentenza 1


N. 00963/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00209/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 209 del 2013, proposto da:
P. A., rappresentato e difeso dall'avv. Emanuela Mazzola, con domicilio eletto presso la Segreteria Tar in Bologna, Strada Maggiore 53;

contro
Ministero dell'Interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Bologna, via Guido Reni, 4;

per l'annullamento
- del decreto del Ministero dell'Interno, Dipartimento Pubblica Sicurezza prot. 333-D/26822 del 26.11.2012;
- di tutti gli atti del procedimento disciplinare, ivi compresa la deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina;
- di ogni altro atto, connesso, presupposto e o consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2014 il dott. Alberto Pasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il sig. A. P., già Agente scelto della Polizia di Stato, impugna il decreto 26.11.2012 del Capo della Polizia, recante destituzione dal servizio per reiterate assenze ingiustificate: avendo fruito di numerosi giorni di permesso ex art. 79, comma 3, D.Lgs. 267/2000, quale consigliere comunale di OMISSIS, aveva infatti omesso, benché richiesto, di documentare correttamente la partecipazione a sedute (di Consiglio e Commissione) in relazione alle quali aveva goduto di permessi per complessivi 24 giorni.

Il ricorrente precisa di avere sempre chiesto la previa autorizzazione all’assenza, che pertanto non era mai ingiustificata, ma soltanto carente di idoneo supporto documentale e, comunque, di avere in buona fede fatto affidamento sulla costante pratica dell’ufficio di continuare ad autorizzare, ciò nonostante, nuove assenze; lamenta inoltre difetto di motivazione e proporzionalità in ordine all’applicazione dell’art. 7 del regolamento disciplinare ex D.P.R. 737/81, anziché dell’art. 6 che prevede la sospensione dal servizio; infine, stante la previa autorizzazione, non vi sarebbero stati pregiudizi per l’ufficio e per il servizio.

Resiste l’amministrazione.

Recita l’art. 79, comma 6, del D.Lgs. 267/2000: “l’attività e i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono e ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, devono essere prontamente e puntualmente documentati mediante attestazione dell’ente”.

Ritiene il Collegio che la richiesta preventiva del permesso non costituisca affatto autorizzazione, ma abbia la sola funzione di comunicare l’assenza in via preventiva, mentre la valida costituzione del titolo giustificativo si perfeziona solo “ex post”, con l’attestazione dell’effettivo esercizio del mandato nei giorni richiesti.

Il relativo onere di produzione non può però che gravare sull’interessato, la cui eventuale negligenza, o addirittura malafede, l’amministrazione non è certo tenuta sopperire attivando accertamenti autonomi, ulteriori rispetto alla semplice richiesta, al fruitore del permesso, di produrre l’attestazione dell’ente (unica certificazione presa in considerazione dalla norma per consentire la deroga all’obbligo di prestazione del servizio nei giorni di espletamento del mandato elettivo, con la conseguenza che non sono idonei documenti succedanei quali le dichiarazioni sostitutive dell’interessato).

Ne consegue che l’assenza previamente comunicata, ma non seguita dalla documentazione di rito, è assenza ingiustificata a tutti gli effetti disciplinari e retributivi.

In particolare la insussistenza di reati, accertata nella sede giurisdizionale, non vale ad escludere la valutazione discrezionale del fatto da parte della p.a. nella diversa ottica del corretto svolgimento del sinallagma lavorativo e dei doveri istituzionali e deontologici.

Quanto sopra rilevato, in ordine alla incombenza dell’onere probatorio sul dipendente, dà conto anche della pretestuosità della censura di insufficiente istruttoria, dal momento che sarebbe stato sufficiente verificare l’inadempimento dell’interessato non colmato in sede disciplinare, e, peraltro, nemmeno in questa sede giurisdizionale, nonostante la asserita legittimità delle assenze e la pretesa di (continuare ancora a) non conoscere la necessità della loro successiva giustificazione.

La buona fede potrebbe in ipotesi essere utilmente invocata, in funzione esimente della omessa tempestiva produzione, soltanto ove fosse fornita, almeno in questa sede, la giustificazione prima non prodotta, poiché non può residuare alcun dubbio sul fatto che, almeno a partire dall’inizio del procedimento disciplinare, l’incolpato avesse piena contezza dei suoi oneri documentali.

Sulla ascrivibilità del comportamento alla fattispecie ex art. 7 D.P.R. 737/81 non possono sussistere dubbi, trattandosi di “atti…in contrasto con i doveri assunti con il giuramento” (punto 2), segnatamente lealtà e fedeltà ed essendo il ricorrente recidivo (punto 7) per assenze ingiustificate già sanzionate ripetutamente, come risulta dal foglio matricolare depositato dall’amministrazione con il n. 17.

Viceversa, il pregiudizio per l’amministrazione non compare affatto tra i presupposti applicativi del citato art. 7 D.P.R. 737/81, mentre l’apprezzamento della gravità è comunque valutazione discrezionale della P.A., censurabile solo per errori di fatto o illogicità che il Collegio, alla stregua di quanto sopra, non ravvisa affatto nella fattispecie.

Comunque l’invocata sospensione per omessa presentazione in servizio, di cui all’art. 6, c. 10, dello stesso D.P.R. 737/81, è prevista soltanto per assenze che non superino complessivamente i 5 giorni, e quindi non è conferente al caso di specie.

E’ ovvio, infine, che la richiesta tardiva di congedo ordinario non può avere alcuna efficacia sanante ex post di una condotta illecita già perfezionatasi, ma riguarda soltanto la definizione degli aspetti retributivo-contabili del rapporto (lo stesso dicasi per la mancata attivazione allo stato del giudizio per danno erariale avanti la Corte dei Conti, peraltro sempre azionabile, in ipotesi, nei termini prescrizionali).

Conclusivamente, il ricorso va respinto in tutti i motivi dedotti.

Spese secondo soccombenza.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese di causa, che liquida in complessivi € 3.000 (euro tremila) in favore della amministrazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carlo d'Alessandro, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere, Estensore
Ugo Di Benedetto, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/10/2014

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: gio mar 09, 2017 9:44 am
da panorama
Personale della GdF.

Ricorso respinto.
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Ecco alcuni passaggi.

1) - trasferimento d'autorità per esigenze di servizio e per il risarcimento dei danni.

2) - a seguito della propria candidatura alle elezioni amministrative ..... del 17 aprile 2016, ha ricevuto il provvedimento di trasferimento d'autorità ad altra sede di servizio – in particolare ...... – per un periodo di tre anni

3) - Lamenta che in tale provvedimento viene negato il diritto all' indennità ed al rimborso di cui alla legge n. 86 del 2001 (ex lege n.100/1987).

4) - la mancata elezione del ricorrente nella tornata elettorale avrebbe determinato come conseguenza la caducazione del provvedimento di trasferimento e pertanto ha chiesto l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensione dell’efficacia dello stesso, con condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.

IL TAR LAZIO precisa:

5) - si rileva preliminarmente che alla luce dell’orientamento costante della giurisprudenza “…il trasferimento del personale di Polizia alla sede di servizio più vicina è previsto, compatibilmente con la qualifica rivestita, con riguardo non solo agli eletti, ma anche ai candidati che, poi, risultino non eletti.
- ) - Al riguardo, appare evidente che la ratio del comma 1 dell'art. 53 citato (il candidato alle elezioni non può prestare servizio per tre anni nell'ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato)
- ) - è analoga a quella del comma 2 dello stesso articolo 53 (l'eletto non può prestare servizio nella circoscrizione dove è stato eletto ... almeno per tre anni):
- cioè
- ) - è necessario evitare interferenze tra le funzioni di appartenente alle forze di Polizia e l'esercizio dei diritti politici garantito a livello costituzionale al cittadino. In sostanza, è chiaro che il diritto di esercitare le pubbliche funzioni elettive è speculare e collegato funzionalmente al diritto di elettorato passivo con l'ulteriore conseguenza che ogni compressione dell'esercizio dell'uno si riflette sull'esercizio dell'altro” (cfr. Cons.St., sez. III, 29 settembre 2014, n. 4861; C.G.A. Regione siciliana, 17 settembre 2015, n. 597).

6) - Pertanto, ad avviso del Collegio, privilegiando una interpretazione conforme ai principi costituzionali, il trasferimento alla sede più vicina, quale limite alla discrezionalità organizzativa del Comando introdotto dall' art. 53, comma 2, del d.P.R. n. 335 del 1982, va riferito anche all'ipotesi del candidato non eletto, ...

7) - in questo caso non si tratta di un trasferimento d' autorità in senso tecnico, ma di un temporaneo allontanamento dalla sede di servizio in conseguenza del divieto posto dall' art. 53, comma 1 del d.P.R. n. 335 del 1982 di prestare servizio per 3 anni nell' ambito della Circoscrizione nella quale il dipendente si è presentato candidato, non residuando per l’Amministrazione alcuno spazio per esercitare una valutazione discrezionale sull’eventualità di disporre il trasferimento (eccezione posta nell’ipotesi di militari in forza a reparti non operativi);

8) - Infine con riferimento alla doglianza circa il mancato riconoscimento della indennità di cui alla legge n.86/2001 (ex lege n.100/1987) si richiama la posizione della giurisprudenza secondo cui (leggere direttamente in sentenza)

9) - come risulta evidente da tali rilievi, si tratta di un trasferimento che l'Amministrazione si trova nella condizione di dover disporre - in applicazione di una disposizione legislativa - esclusivamente per effetto di una situazione oggettiva in cui il dipendente ha volontariamente scelto di porsi,
- ) - con la conseguenza che l’interessato non ha titolo al trattamento economico di missione, previsto dall'art. 1, l. 10 marzo 1987, n. 100, ciò in quanto il temporaneo allontanamento non è conseguente ad esigenze funzionali ed operative dell'Amministrazione, bensì costituisce atto dovuto al verificarsi dei presupposti di legge (cfr. Cons.Stato, sez. IV, 4 settembre 1996, n.1019; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 22 maggio 2013, n. 1133; Tar Lazio, Roma, sez. I, 11 gennaio 2013, n. 254; Tar Sicilia, Catania, sez. III, 29 maggio 2014, n. 1561).

Per completezza leggete il tutto qui sotto e valutate per il futuro.

N.B.: rileggi i n. 6, 7, 8 e 9 di cui sopra.
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SENTENZA BREVE ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 2T ,numero provv.: 201703087, - Public 2017-03-03 -

Pubblicato il 03/03/2017


N. 03087/2017 REG.PROV.COLL.
N. 12834/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 12834 del 2016, proposto dal signor S. P., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Mammola, domiciliato ex art. 25 cpa presso la Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensiva,
della determinazione prot. n. …../2016 del 15.7.2016 notificata in data 19.7.2016 dal Comando regionale GDF sez. Roma recante il trasferimento d'autorità per esigenze di servizio e per il risarcimento dei danni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2017 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


1.Riferisce il signor S. P., maresciallo capo nella Guardia di finanza, appartenente alla Compagnia di OMISSIS, che a seguito della propria candidatura alle elezioni amministrative del Comune di OMISSIS (stesso) del 17 aprile 2016, ha ricevuto il provvedimento di trasferimento d'autorità ad altra sede di servizio – in particolare alla Compagnia di OMISSIS – per un periodo di tre anni con decorrenza dal 16 luglio 2016, e riassegnazione per esigenze di servizio al reparto di origine allo spirare del triennio. Lamenta che in tale provvedimento viene negato il diritto all' indennità ed al rimborso di cui alla legge n. 86 del 2001 (ex lege n.100/1987).

1.1.Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso ed ha dedotto quali motivi di impugnazione la violazione e falsa applicazione dell' art. 53, comma 2, del d.P.R.n. 335 del 1982 e delle disposizioni in materia di indennità di trasferimento nonché della normativa sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere sotto svariati profili, censurando la erroneità, travisamento e contraddittorietà della individuazione della sede di trasferimento perchè ai sensi della normativa rubricata la sede più vicina non appartenente alla circoscrizione della candidatura sarebbe OMISSIS (dove avrebbe potuto svolgere le mansioni di servizio, attese anche le indicazioni in tal senso delle rappresentanze di Comando apicale), distante 3 km da OMISSIS e non OMISSIS, distante oltre 35 Km. Inoltre l’Amministrazione avrebbe omesso la comunicazione di avvio del procedimento impedendo al ricorrente la corretta partecipazione e l’esercizio del diritto di difesa ed avrebbe fornito una motivazione generica sulle ragioni di servizio di cui alla determinazione assunta, negando altresì il diritto all’indennità di trasferimento e ai rimborsi riconosciuto dalla legge n. 86 del 2001 e succ. mod. ai militari in caso di trasferimento d’autorità.

Infine la mancata elezione del ricorrente nella tornata elettorale avrebbe determinato come conseguenza la caducazione del provvedimento di trasferimento e pertanto ha chiesto l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensione dell’efficacia dello stesso, con condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.

1.2. L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, si è opposta al ricorso ed ha rappresentato le specifiche circostanze in fatto in relazione alla posizione del ricorrente e ai settori di servizio di riferimento ed ha argomentato, alla luce del quadro normativo applicabile in materia e giurisprudenziale riguardo il caso in questione, sulla infondatezza delle censure, concludendo per la reiezione del ricorso.

Alla Camera di consiglio del 21 febbraio 2017 la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta in decisione per essere decisa nel merito con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 del cpa, previe le ammonizioni di rito alle parti presenti in camera di consiglio circa la completezza e regolarità del contraddittorio e dell’istruttoria.

2. Il ricorso è infondato per le seguenti considerazioni.

2.1.Osserva il Collegio che appaiono prive di pregio le censure riguardo i vizi procedimentali per la dichiarata omessa comunicazione dell’avvio del procedimento atteso che, come documentato in atti, il Comando Regionale Lazio con nota prot. n. ……/2016 del 13.6.2016 ha comunicato l’avvio del procedimento per il trasferimento d’autorità alla Compagnia di OMISSIS ai fini di rendere edotto di ciò l’interessato, mediante apposita notifica (tra l’altro, obbligo di comunicazione e di motivazione non più previsto per la tipologia degli “ordini militari”, vedi art. 1349, comma 3 del d.lgs. n. 66 del 2010, Codice dell’ordinamento militare; cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2010, n. 8018; Tar Lazio, Roma sez. I 8 settembre 2016, n. 9576 ). Tale nota è stata riscontrata dalla Compagnia di OMISSIS (con atto prot. n. ……/2016) con cui è stato comunicato che l’avvio del procedimento è stato notificato “all’interessato in data 14.06.2016. Il Maresciallo Capo P. S., con propria dichiarazione scritta che sarà custodita agli atti di questo Reparto, ha dichiarato che non intende avvalersi della facoltà di cui all’art.10 bis della legge n.241/90”.

L’Amministrazione resistente ha depositato altresì (allegato 10) la dichiarazione sottoscritta dal ricorrente che “in merito al contenuto della nota nr. ……/1241 datata 13.06.2016 del Comando Regionale Lazio-Roma, notificatomi in data 14/06/2016….non intende produrre osservazioni”: tale flusso di comunicazioni e atti prodotti riguardo la notifica degli atti prodromici del procedimento smentiscono quanto asserito dal ricorrente sui vizi procedimentali dell’atto impugnato e dimostrano la volontà espressa dell’interessato di non partecipare, rinunciando all’esercizio del diritto di difesa in tale fase.

2.2. Parimenti non condivisibili sono le altre censure sulla violazione e falsa applicazione dell' art. 53 del d.P.R.n.. 335 del 1982 ed erroneità, travisamento e contraddittorietà della individuazione della sede di trasferimento, riguardo le quali si rileva preliminarmente che alla luce dell’orientamento costante della giurisprudenza “…il trasferimento del personale di Polizia alla sede di servizio più vicina è previsto, compatibilmente con la qualifica rivestita, con riguardo non solo agli eletti, ma anche ai candidati che, poi, risultino non eletti. Al riguardo, appare evidente che la ratio del comma 1 dell'art. 53 citato (il candidato alle elezioni non può prestare servizio per tre anni nell'ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato) è analoga a quella del comma 2 dello stesso articolo 53 (l'eletto non può prestare servizio nella circoscrizione dove è stato eletto ... almeno per tre anni): cioè è necessario evitare interferenze tra le funzioni di appartenente alle forze di Polizia e l'esercizio dei diritti politici garantito a livello costituzionale al cittadino. In sostanza, è chiaro che il diritto di esercitare le pubbliche funzioni elettive è speculare e collegato funzionalmente al diritto di elettorato passivo con l'ulteriore conseguenza che ogni compressione dell'esercizio dell'uno si riflette sull'esercizio dell'altro” (cfr. Cons.St., sez. III, 29 settembre 2014, n. 4861; C.G.A. Regione siciliana, 17 settembre 2015, n. 597).

Pertanto, ad avviso del Collegio, privilegiando una interpretazione conforme ai principi costituzionali, il trasferimento alla sede più vicina, quale limite alla discrezionalità organizzativa del Comando introdotto dall' art. 53, comma 2, del d.P.R. n. 335 del 1982, va riferito anche all'ipotesi del candidato non eletto, rappresentando tale disposizione legislativa un equo contemperamento tra il diritto di esercizio delle funzioni elettive, garantito a tutti dall'art. 51 Cost., e l'esigenza di preservare l'attività di servizio della Guardia di finanza da interferenze derivanti da tale candidatura e dal mandato amministrativo o politico.

Nella specie si osserva che l’atto impugnato richiama il flusso di comunicazioni e gli atti presupposti riguardanti il procedimento, rendendolo esente da vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, e riporta la giurisprudenza sul punto, nel senso che in questo caso non si tratta di un trasferimento d' autorità in senso tecnico, ma di un temporaneo allontanamento dalla sede di servizio in conseguenza del divieto posto dall' art. 53, comma 1 del d.P.R. n. 335 del 1982 di prestare servizio per 3 anni nell' ambito della Circoscrizione nella quale il dipendente si è presentato candidato, non residuando per l’Amministrazione alcuno spazio per esercitare una valutazione discrezionale sull’eventualità di disporre il trasferimento (eccezione posta nell’ipotesi di militari in forza a reparti non operativi); quanto alla valutazione sulla sede di trasferimento, va rilevato che trattasi di un trasferimento d’autorità adottato nell’interesse generale dell’Amministrazione e necessitato dalle specifiche prescrizioni di legge – comunque strettamente connesso alle esigenze organizzative dell’Amministrazione e alla disciplina connotante il rapporto di servizio del relativo personale - per il quale nella valutazione sulla destinazione le esigenze personali del dipendente recedono di fronte all’interesse pubblico prioritario al buon andamento dell’Amministrazione, inteso anche nel consentire nella ipotesi di trasferimento del personale la continuità nella tipologia degli impieghi, nel caso specifico di quelli operativi. Ed invero risulta che l’interessato prestava servizio “operativo” nella Sezione Volante del Reparto di OMISSIS e nella vicina sede di OMISSIS è stato dato riscontro della presenza soltanto del Reparto della componente OMISSIS della Guardia di Finanza, nel quale il ricorrente, Ispettore del contingente ordinario, non avrebbe potuto trovare impiego in relazione al ruolo (è stato dato atto che i trasferimenti di personale da OMISSIS ad OMISSIS, evocati dal ricorrente, sono stati disposti nel 2013 nei confronti di sovrintendenti e appuntati, ruoli diversi da quello di appartenenza del medesimo), mentre la Compagnia di OMISSIS sede di destinazione costituisce un Reparto limitrofo di analogo livello a quello di appartenenza. Del resto non può assumere rilievo la nota n. …… in data 11 maggio 2016 del Comandante della Compagnia di OMISSIS, il quale nella formulazione delle valutazioni sulla posizione di impiego ex art. 81 della legge n.121 del 1981, ha proposto di valutare quale possibile Reparto limitrofo la Sezione Operativa OMISSIS di OMISSIS, trattandosi di proposta di un organo gerarchico intermedio, atto meramente endoprocedimentale autonomo e non vincolante per l’Autorità competente della decisione finale (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 gennaio 2006, parere n. 2433/2005).

2.3. Infine con riferimento alla doglianza circa il mancato riconoscimento della indennità di cui alla legge n.86/2001 (ex lege n.100/1987) si richiama la posizione della giurisprudenza secondo cui
nell'ipotesi di cui all'art. 53, comma 1, d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335 – come qualificato nella specie -non si è in presenza di un trasferimento in senso tecnico, cioè della assegnazione di autorità del pubblico dipendente ad altra sede di servizio, a prescindere dalla sua volontà per soddisfare esigenze della p.a. di appartenenza, ma di un temporaneo allontanamento dalla sede di servizio in conseguenza del divieto posto dalla stessa norma di "prestare servizio per tre anni nell'ambito della circoscrizione nella quale il dipendente si è presentato candidato"; come risulta evidente da tali rilievi, si tratta di un trasferimento che l'Amministrazione si trova nella condizione di dover disporre - in applicazione di una disposizione legislativa - esclusivamente per effetto di una situazione oggettiva in cui il dipendente ha volontariamente scelto di porsi, con la conseguenza che l’interessato non ha titolo al trattamento economico di missione, previsto dall'art. 1, l. 10 marzo 1987, n. 100, ciò in quanto il temporaneo allontanamento non è conseguente ad esigenze funzionali ed operative dell'Amministrazione, bensì costituisce atto dovuto al verificarsi dei presupposti di legge (cfr. Cons.Stato, sez. IV, 4 settembre 1996, n.1019; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 22 maggio 2013, n. 1133; Tar Lazio, Roma, sez. I, 11 gennaio 2013, n. 254; Tar Sicilia, Catania, sez. III, 29 maggio 2014, n. 1561).

3. In definitiva il ricorso in quanto infondato va respinto.

La particolarità della vicenda e della materia contenziosa giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando, ai sensi dell’art.60 c.p.a, ,sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Mariangela Caminiti Pietro Morabito





IL SEGRETARIO

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: gio giu 28, 2018 11:33 pm
da panorama
Per opportuna notizia

Personale della Polizia di Stato e agibilità sindacale in costanza di mandato parlamentare; sospensione del procedimento disciplinare attivato prima dell’elezione al parlamento nazionale.
QUESITO.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201801664 - Public 2018-06-28 -

Numero 01664/2018 e data 28/06/2018 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 6 giugno 2018

NUMERO AFFARE 00793/2018

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Personale della Polizia di Stato e agibilità sindacale in costanza di mandato parlamentare; sospensione del procedimento disciplinare attivato prima dell’elezione al parlamento nazionale. QUESITO.

LA SEZIONE
Vista la relazione18 aprile 2018 prot. n. 555/RS/01/10/2/001861 con la quale il Ministero dell’interno - dipartimento della pubblica sicurezza - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo sopra indicato;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Saverio Capolupo.


Premesso e considerato

Il Capo della Polizia di Stato - direttore generale della pubblica sicurezza - con nota prot. n. 555/RS/01/10/2/001861 del 18 aprile 2018 ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine ai seguenti quesiti:

1. “Se l’appartenente alla Polizia di Stato in aspettativa per candidatura o per mandato parlamentare possa contemporaneamente ricoprire cariche sindacali ed esercitare le connesse prerogative”.

2. “Se il procedimento disciplinare attivato in un momento antecedente alla candidatura e alla successiva elezione di un appartenente alla Polizia di Stato debba essere sospeso fino al termine dell’incarico elettivo”.

1° Quesito

“Se l’appartenente alla Polizia di Stato in aspettativa per candidatura o per mandato parlamentare possa contestualmente ricoprire cariche sindacali ed esercitare le connesse prerogative”.

1. Quadro giuridico di riferimento.

Con legge 1 aprile 1981 n. 121 (!Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza”) e con il decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982 n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia) è stata dettata, a motivo della particolarità dei compiti istituzionali espletati, una disciplina autonoma per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Rilevano, ai fini in esame, però, anche alcune specifiche norme costituzionali.

In particolare, ai sensi dell’art. 98 della Costituzione: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.

Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

Relativamente alle norme di comportamento, l’art. 81 della legge 1° aprile 1981 n. 121 dispone che “Gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l’assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall’articolo seguente. È fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni.

Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell’ambito dei rispettivi uffici e in abito civile. Essi, comunque non possono prestare servizio nell'ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati alle elezioni, per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse”.

Il successivo art. 82, relativamente ai diritti sindacali, prevede che Gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno diritto di associarsi in sindacati.

Essi non possono iscriversi a sindacati diversi da quelli del personale di polizia né assumere la rappresentanza di altri lavoratori.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato, fuori dell’orario di servizio, possono tenere riunioni anche in divisa:

a) in locali di pertinenza dell’amministrazione, messi a disposizione dalla stessa, che fissa le modalità d’uso;

b) in luoghi aperti al pubblico.

Possono tenersi riunioni durante l’orario di servizio nei limiti di dieci ore annue. I dirigenti della Polizia di Stato hanno facoltà di fissare speciali modalità di tempo e di luogo per il loro svolgimento”.

In merito alla disciplina dei sindacati della Polizia di Stato, l’art. 83 della legge n. 121/1981 prevede che : “I sindacati del personale della Polizia di Stato sono formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o in quiescenza, e ne tutelano gli interessi, senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi.

Essi non possono aderire, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali”.

Gli effetti della candidatura politiche e amministrative sono disciplinati dall’articolo 53 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 secondo cui “Il personale di cui al presente decreto legislativo, candidato alle elezioni politiche ed amministrative, non può prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato.

Il personale non può prestare servizio nella circoscrizione ove è stato eletto per tutta la durata del mandato amministrativo o politico, e, comunque, per un periodo non inferiore a tre anni, e deve essere trasferito nella sede più vicina, compatibilmente con la qualifica rivestita.

Il personale eletto a cariche amministrative viene collocato in aspettativa, a domanda, per tutta la durata del mandato amministrativo, con il trattamento economico previsto dall’art. 3 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078.

Detto personale, ove non si avvalga della facoltà prevista dal comma precedente, è autorizzato ad assentarsi dal servizio dal Capo dell’ufficio o reparto nel quale presta servizio, per il tempo necessario all’espletamento del mandato amministrativo, con diritto oltre che al trattamento economico ordinario anche agli assegni, alle indennità per servizi e funzioni di carattere speciale, ai compensi per speciali prestazioni ed al compenso per lavoro straordinario, in relazione all’orario di servizio prestato ed ai servizi di istituto effettivamente svolti.

I periodi di aspettativa e di assenza sono considerati a tutti i fini come servizio effettivamente prestato”.

2. Le indicazioni del Ministero dell’interno

Il Ministero dell’interno ritiene che, in relazione all’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 non ci sia spazio in termini di discrezionalità né all’amministrazione né al dipendente circa il collegamento in aspettativa dell’appartenente alla Polizia di Stato eletto al parlamento nazionale per la durata del mandato. “La finalità di questa disposizione squaderna già gli essenziali interessi sottesi immediatamente individuabili nella tutela dell’autonomia, dell’indipendenza e della libertà di mandato e, specularmente, nel buon funzionamento, nell’esclusività e nella imparzialità della pubblica amministrazione di appartenenza”.

Il quadro giuridico di riferimento, esaminato nella sua globalità ed in modo armonico, certamente non recide il legame con l’amministrazione ma funge “da elemento sospensivo del rapporto di impiego, esonerando i dipendenti in aspettativa dall’obbligo di esercitare le proprie funzioni e prestare servizio nell’amministrazione di pertinenza”.

In altri termini, secondo il Ministero richiedente, l’effetto del provvedimento è quello di lasciare sopravvivere il rapporto di impiego “congelando tuttavia le altre prerogative connesse all’azione e, quindi, per quanto di interesse, allo status di appartenente alla Polizia di Stato”.

Ritiene, poi, che la ratio sia quella di “segnare uno iato tra candidato-eletto e amministrazione esigenza che il legislatore ha avvertito anche nel momento successivo alla conclusione della competizione elettorale, tanto da prevedere una clausola di incapacità temporanea a prestare servizio nell’ambito territoriale interessato alla consultazione”.

Il sistema enunciato dal legislatore (pubblica amministrazione-mandato politico) è espressione del principio della separazione dei poteri e conferma “l’indisponibile alternatività tra funzioni amministrazione e funzione di legislazione”.

3. Considerazioni generali

3.1. Indubbiamente, la primaria ed automatica conseguenza della collocazione in aspettativa di un dipendente pubblico in attuazione di una previsione legislativa è costituita, durante l’intero arco temporale del mandato parlamentare, dal mancato esercizio delle sue funzioni derivanti dal rapporto di servizio. Ne segue che il dipendente eletto in Parlamento non può esercitare le funzioni connesse al suo status, di cui resta comunque titolare e, quindi, ottemperare agli obblighi imposti dall’ordinamento dell’amministrazione di provenienza.

Invero, il rapporto organico o d’impiego che s’instaura all’atto dell’assunzione cessa soltanto per il sopraggiungere di talune vicende interruttive; mentre il rapporto funzionaleo (di servizio) concerne lo svolgimento delle funzioni all’interno dell’Amministrazione d’appartenenza per cui può subire nel corso del tempo modificazioni, formali e sostanziali, che rappresentano la storia lavorativa dell’impiegato all’interno della medesima Amministrazione.

In tale contesto l’attività sindacale nella Polizia di Stato è manifestazione di una delle tante modalità in cui può esprimersi il rapporto di servizio, tanto che, per le persone poste in aspettativa per motivi sindacali, com’è chiarito nella relazione del ministero dell’interno, “il rapporto di servizio nell’esercizio di attività sindacali si traduce proprio in toto nell’esercizio esclusivo dell’attività sindacale, nei termini concreti che ciascuna O.S. e ciascun sindacalista ritenga di voler adottare”.

3.2 Come considerazione di carattere generale si premette che, ai fini del presente parere, non viene formulata nessuna considerazione o valutazione in ordine alle prerogative di cui ciascun parlamentare dispone ai sensi dell’articolo 67 della Costituzione e, in particolare, alle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi del successivo art. 68, primo comma.

3.3. Con riferimento al caso di specie la Sezione evidenzia che, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 “i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo, e ai Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, il luogo dell’indennità parlamentare e della nuova indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza, che resta a carico della stessa.

Il collocamento in aspettativa ha luogo all’atto della proclamazione degli eletti: di questa legale dei consigli regionali danno comunicazione all’amministrazione di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti”.

Inoltre, l’articolo 53 del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335 preclude al personale candidato alle elezioni politiche ed amministrative di prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato.

Dalle richiamate norme giuridiche emerge una prima considerazione che va ad integrare quanto disposto dall’articolo 98 della Costituzione il quale prevede, per talune categorie, alcune limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici tra le quali rientrano i funzionari e gli agenti della Polizia di Stato.

La norma costituzionale è integrata dalla portata dell’articolo 81 della legge primo aprile 1981, n. 121 che, oltre a esigere che gli appartenenti alle forze di Polizia di Stato si mantengano al di fuori, in ogni circostanza, delle competizioni politiche, prevede, in modo esplicito, che gli stessi “non possono assumere comportamenti che compromettono l’assoluta imparzialità della loro funzione”.

Il requisito dell’imparzialità per chi esercita attività di polizia se, da un lato, non esclude l’esercizio di taluni diritti di elettorato passivo; dall’altro è mediato dalle limitazioni di cui innanzi la cui valutazione non può che competere al legislatore.

In tal modo si è inteso individuare un punto di equilibrio tra i diritti spettanti a ciascun cittadino, tra i quali quello di esercitare i diritti politici e l’esigenza che gli appartenenti alle forze di polizia, nell’esercizio della loro funzioni, assicurino imparzialità e trasparenza, in aderenza alle aspettative dei cittadini i quali confidano che gli appartenenti a tale categoria mantengano una condotta e pongano in essere comportamenti scevri da qualsiasi condizionamento ed improntati esclusivamente al principio dell’assoluta indipendenza.

Il collocamento in aspettativa “ex lege” di un appartenente alle forze di polizia implica, pertanto, che dalla data di nomina a parlamentare fino alla scadenza del mandato, gli è precluso l’esercizio delle funzioni di polizia.

Ferma restando la permanenza della status giuridico e del conseguente rapporto di impiego, l’elezione a parlamentare determina, quindi, la sospensione del rapporto funzionale o di servizio.

3.3 Anche il libero esercizio dei diritti sindacali trova il suo riconoscimento nell’art. 39 della Costituzione secondo cui “L’organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”.

Anche in tal caso, però, la norma costituzionale dev’essere integrata dalle disposizioni della legge 1° aprile 1981, n. 121 che, oltre ad esigere dal personale dell’amministrazione della pubblica sicurezza, come già evidenziato, comportamenti improntati all’imparzialità nell’esercizio delle funzioni istituzionali, disciplina, in modo autonomo, anche l’esercizio dei diritti sindacali.

In particolare, va richiamato l’articolo 83, comma 1, della legge n. 121/1981 il quale prevede che i sindacati del personale della polizia di Stato siano formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o in quiescenza.

La medesima norma, poi, oltre ad affidare ai sindacati la tutela degli interessi del personale sancisce, in modo esplicito, il divieto della loro interferenza nella direzione dei servizi o nei compiti d’istituto.

Tale disposizione conferma, in modo inequivoco, la volontà del legislatore di escludere qualsiasi tipo di ingerenza, diretta e indiretta, da parte di persone e di strutture estranee alla Polizia di Stato, prevedendo, inoltre, un’ulteriore limitazione “ideologico-funzionale mercè l’indicazione degli obiettivi dei vari sindacati, riassunti nel comune denominatore della tutela degli interessi degli appartenenti alla Polizia di Stato, peraltro delimitato dal rilevante divieto di non interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi, nascente imprescindibile dovere di assicurare il bene giuridico primario dell’Istituzione Polizia di Stato, che è quello di fornire un servizio tendente alla sicurezza del cittadino e all’ordinato vivere collettivo”.

Le limitazioni introdotte dalla legge n. 121/1981, oltre a riguardare il profilo soggettivo trovano un ulteriore ampliamento nel secondo comma del medesimo art. 83 laddove viene fatto divieto di aderire, affiliarsi, o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali.

E’, quindi, evidente l’intento del legislatore di evitare, in considerazione delle delicate funzioni di tutela della sicurezza del Paese che l’ordinamento affida alla Polizia di Stato, sia pure nell’ottica dell’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, “interferenze” esterne all’Amministrazione.

3.5. La collocazione in aspettativa dell’Appartenente alla Polizia di Stato, come già evidenziato, comporta la sospensione dell’esercizio delle sue funzioni di “poliziotto” ancorché permanga il rapporto d’impiego con l’Amministrazione.

Ne consegue che una interpretazione dell’art. 83, comma 1, della legge n. 121/1981, armonizzata con le diverse disposizioni del quadro giuridico di riferimento, costituzionalmente orientata, deve indurre a ritenere che, allorquando il legislatore ha previsto che la formazione, la direzione e la rappresentanza possano essere svolte esclusivamente da “appartenenti alla Polizia di Stato in servizio” abbia inteso riferirsi all’esercizio delle funzioni e non al rapporto d’impiego.

Una diversa interpretazione andrebbe a collidere con la ratio del sistema delle limitazioni e potrebbe, sul piano potenziale, pregiudicare l’imparzialità e l’autonomia comportamentale che, per contro, sono requisiti chiaramente enunciati, ed in modo inderogabile, dal legislatore.

La lettura delle norme giuridiche, pertanto, evidenzia una perimetrazione soggettiva ed oggettiva dell’attività sindacale degli appartenenti alla Polizia di Stato fino ad escludere non solo il divieto di partecipazione di soggetti esterni ma anche l’assunzione della rappresentanza in altre categorie di lavoratori.

Il sistema così delineato, in mancanza di una esplicita deroga legislativa, risulta decisamente ‘blindato’ e qualsiasi tentativo di deroga per via interpretativa volto ad ampliarne la perimetrazione subisce il rigore letterale dell’art. 83 della legge n. 121/1981.

D’altra parte, anche a voler considerare autonomi le attività sindacali e il mandato parlamentare – e quindi, prescindere da qualsiasi considerazione in tema di separazione dei poteri – la legittimazione (per tale via) della contemporanea partecipazione sindacale si presterebbe ai dubbi anche sul piano puramente fattuale.

3.6. Nel contempo, però, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 65 della Costituzione “la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore”.

In materia di incompatibilità parlamentare gli articoli 7 e 8 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 prevedono che, qualora esista o si determini per i membri del Parlamento qualcuna delle incompatibilità “previste negli articoli precedenti” gli accertamenti e le istruttorie delle leggi sono di “competenza della Giunta delle elezioni della Camera dei Deputati o del Senato che è investita del caso dalla presidenza della rispettiva assemblea, secondo che trattasi di un deputato di un senatore” qualora non abbiano optato nel termine di 30 fra le cariche che ricoprono e il mandato parlamentare.

In relazione a tale profilo, la Sezione ritiene che competa esclusivamente alla Giunta delle elezioni verificare se l’esercizio di rappresentante sindacale sia compatibile o meno con l’esercizio del mandato parlamentare.

2. Quesito

Il Ministero chiede di conoscere “se il procedimento disciplinare attivato nei confronto di un appartenente alla Polizia di Stato possa proseguire qualora lo stesso sia posto in aspettativa per mandato parlamentare o se tale procedimento debba essere sospeso fino al termine dell’incarico elettivo”.

1. Considerazioni del Ministero

Il Ministero ritiene che il mandato politico sopraggiunto all’avvio del procedimento disciplinare non incida sul perfezionamento del relativo iter e sul mantenimento del potere sanzionatorio in capo all’Amministrazione di appartenenza “anche in considerazione della antecedenza cronologica degli accadimenti per i quali è stato aperto il procedimento disciplinare rispetto all’elezione parlamentare, dell’estraneità dei fatti all’esercizio dell’attività parlamentare e (soprattutto) della permanenza del rapporto organico o d’impiego tra quest’ultima e il dipendenti in aspettativa per mandato parlamentare”.

2. Considerazioni generali

Al riguardo la Corte costituzionale, sia pure con riferimento ad un rappresentante della magistratura, ha statuito “la resistenza della competenza della sezione disciplinare dell’organo di autogoverno della magistratura ad adottare la sanzione disciplinare, attesa la mancanza di un nesso funzionale con la qualità di parlamentare” (sent. 24 giugno 2002 n. 270).

I principi enunciati con la richiamata pronuncia sono certamente applicabili all’ipotesi in cui si verta in materia di procedimento disciplinare instaurato nei confronti del dipendente dell’amministrazione della pubblica sicurezza le cui funzioni sono riconducibili al potere esecutivo.

Tuttavia, il Ministero non fornisce alcuna indicazione in ordine alla condotta che ha innescato l’avvio del procedimento disciplinare, al tipo di violazione contestata e ai riferimenti temporali, come pure sarebbe stato auspicabile al fine di disporre di ulteriori elementi di valutazione.

Come principio generale, l’articolo 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) prevede che “qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata l’azione il penale procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziata, deve essere sospeso”.

Tale principio non è applicabile alla fattispecie oggetto della richiesta di parere in quanto dagli atti non risulta che l’appartenente alla Polizia di Stato sottoposto a procedimento disciplinare sia, nel contempo, anche assoggettato a procedimento penale.

Ne consegue che, al fine di verificare se il procedimento disciplinare debba essere sospeso o meno, è determinante accertare se i fatti per i quali è stato avviato siano ricollegabili, sia pure indirettamente, all’esercizio delle funzioni del mandato parlamentare.

Fermo restando che la potestà disciplinare resta in capo all’Amministrazione di appartenenza, la sospensione si giustificherebbe qualora fosse necessario tutelare la posizione di indipendenza che il Parlamentare acquisisce per effetto dello status assunto a seguito della sua elezione.

Al riguardo la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che ove i comportamenti del parlamentare incolpato, oggetto del conflitto, non siano qualificabili come opinione “espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, non possono essere ricondotti in alcun modo alla sfera della insindacabilità garantita dall’articolo 68, primo comma, della Costituzione” (Corte Costituzionale, sent. 24 giugno 2002, n. 270).

Trattasi, quindi, di un principio di carattere generale e, in quanto tale, estensibile anche all’appartenente alla Polizia di Stato eletto a membro del Parlamento nazionale.

Ne consegue che, ove le condotte addebitate all’appartenente alla Polizia di Stato, ancorché in aspettativa, siano conseguenza di violazione di un dovere collegato esclusivamente a tale suo status - non potendosi qualificare come espressione di opinione nell’esercizio della sua funzione parlamentare- sono al di fuori delle garanzie di cui all’art. 68 della Costituzione.

Detto principio vale, a maggior ragione, qualora, come nel caso di specie, trattasi di condotte poste in essere dall’incolpato in un periodo precedente alla sua elezione in Parlamento.

Laddove le condotte siano ricollegabili esclusivamente allo suo status di appartenente alla Polizia di Stato e all’adempimento dei connessi doveri, e quindi in nessun modo riconducibili alle funzioni di membro del Parlamento successivamente assunte dallo stesso, la sospensione del procedimento disciplinare, nei termini innanzi definiti, non trova copertura costituzionale.

A conferma la Sezione evidenzia che la Corte costituzionale ha avuto più volte modo di precisare che le opinioni espresse “extra moenia” sono coperte da insindacabilità soltanto se assumono una “finalità divulgativa dell’attività parlamentare” in quanto tale insindacabilità è una “qualità che caratterizza, in sé e ovunque, l’opinione espressa dal parlamentare” la quale, proprio per il fondamento costituzionale che l’assiste, “è necessariamente destinata ad operare, oggettivamente e soggettivamente, erga omnes” (Corte costituzionale, sentenza n. 16 dicembre 2011, n. 334).

Tale principio implica che il loro contenuto risulti sostanzialmente corrispondente alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni non essendo sufficiente né “un semplice collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale né un mero contesto politico entro cui le dichiarazioni extra moenia possono collocarsi né, infine, il riferimento alla generica attività parlamentare o l’inerenza a temi di rilievo generale, seppure dibattuti in Parlamento (Corte costituzionale, sent. 20 luglio 2012, n. 205).

Pertanto, ai fini dell'individuazione del perimetro entro il quale riconoscere la garanzia dell’insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento in contesti diversi dal rigoroso ambito di svolgimento dell'attività parlamentare strettamente intesa, “lo scrutinio deve tenere contemporaneamente conto di due esigenze, entrambe di risalto costituzionale: da un lato, quella di salvaguardare - secondo una tradizione consolidata nelle costituzioni moderne – l’autonomia e la libertà delle assemblee parlamentari, quali organi di diretta rappresentanza popolare, dalle possibili interferenze di altri poteri; dall’altro, quella di garantire ai singoli il diritto alla tutela della loro dignità di persone, presidiato dall'art. 2 della Costituzione oltre che da diverse norme convenzionali” (Corte costituzionale, sent. 7 dicembre, 2013, n. 313).

Ad avviso della Corte, invero, una diversa interpretazione della prerogativa dell’insindacabilità dilaterebbe “il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale ma, di fatto, sostanzialmente personale a vantaggio di chi sia stato eletto a membro del Parlamento”.

Pur essendo consapevole che l’attività politica non coincide necessariamente con la funzione parlamentare (posto che, tra l’altro, questa si esprime, di regola, attraverso atti tipizzati) è pur sempre necessario un collegamento con le opinioni espresse (e comportamenti posti in essere) con atti della funzione che nel caso specifico non sussiste.

Tale conclusione, come ribadito dalla stessa Corte Costituzionale, è in linea anche con le indicazioni fornite dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto necessario distinguere la condotta tenuta dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni e quella tenuta fuori dalla sede tipica “e perciò stesso in assenza di un legame evidente con l’attività parlamentare”, affermando in più occasioni la necessità di un’interpretazione stretta del requisito della ragionevolezza e proporzionalità.

Ne deriva che, nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, si richiede la sussistenza di un “legame evidente” tra l’atto in ipotesi lesivo e l’esercizio della funzione tipica del parlamentare.

In conclusione, il procedimento disciplinare avviato a carico di un appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza per comportamenti anteriori all’assunzione dello status di parlamentare e privi di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con l’esercizio dell’attività parlamentare, dev’essere articolato secondo le sequenze proprie delle norme che lo disciplinano.

P.Q.M.

nelle considerazioni che precedono è il parere del Consiglio di Stato.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Saverio Capolupo Raffaele Carboni




IL SEGRETARIO
Giuseppe Testa

Re: trasferimento o distacco per mandato politico

Inviato: gio gen 17, 2019 7:48 pm
da panorama
Il CdS accoglie l'appello del Ministero dell'Interno

- personale PolStato candidato, senza essere eletto.

- il ricorrente, con il ricorso chiedeva anche l’accertamento del diritto ad ottenere l’indennità di trasferimento prevista dall’art. 1 della legge n. 86/2001.

Il CdS precisa:

1) - Occorre infatti ricordare che il trasferimento del signor P.. presso l’Ufficio Polizia di Frontiera Aerea di Ciampino, impugnato con i secondi motivi aggiunti, non è stato adottato al mero fine di dare esecuzione alle statuizioni cautelari del TAR bensì costituisce una spontanea, esplicita forma di resipiscenza dell’amministrazione la quale, originariamente, non aveva considerato che il trasferimento deve avvenire nella sede più vicina “compatibilmente con la qualifica rivestita” (art. 53, comma 2, del d.P.R. n. 335 del 1982, cit.).

2) - In sostanza, il provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti costituisce anche una, peraltro esplicita, forma di autotutela e quindi di annullamento d’ufficio del primo provvedimento di trasferimento del signor P.. presso il Commissariato di Albano Laziale, oggetto del ricorso principale e dei primi motivi aggiunti.

N.B.: circa la domanda per l'indennità di trasferimento, il CdS precisa che: tuttavia, è palesamente infondata

3) - L’indennità di cui trattasi è finalizzata a compensare i disagi derivanti dai trasferimenti d’autorità, cui non può assimilarsi un temporaneo allontanamento dall’originaria sede di servizio che consegue non già ad esigenze funzionali ed operative dell’amministrazione bensì costituisce un atto dovuto al verificarsi dei presupposti di legge (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1996, n. 1019).

P.S.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201900306 – Public 2019-01-15 -

Pubblicato il 14/01/2019

N. 00306/2019 REG. PROV. COLL.
N. 00388/2018 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 388 del 2018, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
il signor G.. P.., rappresentato e difeso dagli avvocati Giuliano Gruner e Federico Dinelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Dandolo n. 19/A;

per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, n. 10706/2017;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del signore G.. P..;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 6 dicembre 2018 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Giuliano Gruner e l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per il Lazio il signor G.. P.., Assistente Capo della Polizia di Stato, esponeva di essersi candidato per la carica di consigliere circoscrizionale del IV Municipio del Comune di Roma Capitale alle consultazioni amministrative del 5 giugno 2016.

Lo stesso non era poi risultato eletto.

Con nota n. 333-D/75655 del 17 novembre 2016, notificata in data 21 novembre 2016, gli veniva comunicato il suo trasferimento, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. n. 335/1982, dalla Direzione centrale per i Servizi tecnico-logistici per la Gestione del Patrimonio – Ufficio “Attività contrattuale per l’Informatica, gli Impianti tecnici e le Telecomunicazioni”, ubicato in Roma, via Castro Pretorio n. 5 (nel territorio del Municipio III), dove prestava servizio, alla Questura di Roma – Commissariato di Albano Laziale.

Detta nota veniva impugnata innanzi al TAR, unitamente alla Circolare ministeriale n. 333-A/9801.G.D.8 del 6.4.1995, interpretativa della richiamata norma.

I motivi articolati in primo grado erano i seguenti:

1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10 della legge n. 241/1990 - violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.P.R. n. 335/1982 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Nella memoria endoprocedimentale, prodotta dal ricorrente a seguito di comunicazione di avvio del procedimento, lo stesso aveva rilevato l’assenza dei presupposti per disporre il trasferimento in questione e in subordine aveva chiesto la destinazione più consona a coniugare le esigenze di servizio con le incombenze familiari.

Il provvedimento di trasferimento gravato era privo di motivazione, non essendo riportate le ragioni del trasferimento stesso nonché i motivi per i quali si era derogato al criterio della vicinitas, disponendo il trasferimento al Commissariato di Albano; in tal modo sarebbero state poste nel nulla le garanzie partecipative;

2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.P.R. n. 335/1982 – eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, manifesta ingiustizia e illogicità, violazione del principio di proporzione, disparità di trattamento.

La ratio della norma in esame sarebbe quella di evitare interferenze tra attività politica e quella di polizia e in più in generale di garantire l’imparzialità nello svolgimento delle funzioni pubbliche.

Il ricorrente evidenziava, al riguardo, che l’ufficio presso il quale prestava servizio era privo di competenza territoriale, non espletando attività operativa esterna, ed inoltre che egli si era candidato per il IV Municipio di Roma Capitale, mentre detto ufficio ricadeva nell’ambito territoriale del II Municipio.

L’interesse tutelato dalla norma de qua non avrebbe potuto neppure astrattamente essere messo in pericolo dalla permanenza all’interno del territorio del Comune di Roma.

Secondo la circolare, pure censurata, la norma farebbe riferimento alle articolazioni di cui si compone l’organizzazione periferica dell’amministrazione della pubblica sicurezza (ambiti territoriali regionali o interregionali, interprovinciali, comunali o subcomunali).

Essa precisa altresì che “all’espressione circoscrizione non può darsi altro significato che quello elettorale previsto dalle varie leggi che disciplinano le elezioni politiche ed amministrative” e che “occorre che sia preso in considerazione […] l’ambito territoriale su cui si estende la competenza dell’Ufficio ove l’interessato presta servizio e raffrontare detto ambito territoriale con quello della circoscrizione elettorale”; “per individuare l’esatto ambito della circoscrizione elettorale si richiama l’attenzione sulla necessità di fare riferimento […] alle ripartizioni del territorio di ciascun Ente individuate ai fini dei procedimenti elettorali ovvero al territorio compreso nel collegio elettorale per il quale viene presentata la singola candidatura […] pertanto si procede al trasferimento del dipendente candidato ogni qualvolta il territorio del comune sede dell’ufficio coincide in tutto o in parte o, comunque, rientra nell’ambito della circoscrizione (rectius: collegio) elettorale considerata”.

Alla luce di tali previsioni si sarebbe dovuto procedere al trasferimento del sig. P.. soltanto qualora l’ufficio di provenienza fosse stato dotato di operatività esterna e si fosse trovato nella medesima circoscrizione elettorale oggetto della candidatura, vale a dire il Municipio IV.

Illogicamente la Circolare avrebbe previsto invece che “per quanto concerne gli uffici privi di competenza territoriale o per i quali l’ambito territoriale ha rilievo ai soli fini dell’organizzazione interna dell’Amministrazione, la valutazione in ordine all’eventuale incompatibilità dovrà avvenire, riferendo l’ambito territoriale del collegio ove è avvenuta la candidatura al territorio del comune ove è ubicato l’ufficio”.

Conseguentemente si sarebbe attuata una disparità di trattamento. Diverso sarebbe ad esempio il caso del dipendente che – in occasione delle medesime consultazioni amministrative – si sia candidato a Roma alla carica di consigliere comunale, alla cui votazione ed elezione è chiamata a partecipare l’intera cittadinanza.

Egli sarebbe destinatario del medesimo provvedimento (trasferimento presso una sede ubicata al di fuori del Comune di Roma) notificato al ricorrente il quale, tuttavia, a differenza del primo, avrebbe potuto svolgere attività politica soltanto nel limitato perimetro del IV Municipio (peraltro estraneo all’ufficio di appartenenza).

Il ricorrente proponeva poi motivi aggiunti avverso il provvedimento n. 333-D/75655 del 14.12.2016, con cui veniva disposto il trasferimento, affidandolo alle doglianze già articolate con il gravame introduttivo, sopra riportate, chiedendo altresì, in subordine all’annullamento, l’accertamento del diritto ad ottenere l’indennità di trasferimento prevista dall’art. 1 della legge n. 86/2001.

La disposizione citata prevede la corresponsione di un’indennità in favore del personale delle Forze armate e delle Forze di Polizia in caso di trasferimento d’autorità ad altra sede di servizio sita in un Comune diverso da quello di provenienza.

Articolava altresì una ulteriore doglianza avverso la motivazione secondo cui l’accoglimento dei suoi rilievi avrebbe determinato “una palese ed ingiustificata disparità di trattamento” tra coloro che prestano servizio negli uffici privi di rilevanza esterna e coloro che, invece, prestano servizio presso uffici/reparti operativi.

Nessuna disparità di trattamento avrebbe potuto configurarsi, giacché le situazioni prese in esame sono, per l’appunto, differenti, e quindi altrettanto differente deve essere il loro trattamento giuridico.

In altre parole sarebbe stata proprio l’amministrazione che, interpretando la norma come applicabile a tutti gli uffici, indipendentemente dalla loro tipologia e trascurando le obiettive differenze che intercorrono fra gli stessi, avrebbe finito per sottoporre irragionevolmente al medesimo trattamento fattispecie affatto diverse, tradendo la stessa ratio della disposizione in esame.

L’odierno appellato evidenziava poi, nel primo ricorso per motivi aggiunti, che l’amministrazione, disattendendo la preferenza da lui manifestata per la sede di Ciampino, era incorsa nella violazione dell’art. 53 del d.P.R. n. 335 del 1982, nella parte in cui essa afferma il principio della vicinitas, in forza del quale il dipendente «deve essere trasferito nella sede più vicina, compatibilmente con la qualifica rivestita».

Sul punto, invero, nel provvedimento impugnato si legge soltanto che “dalla comparazione delle dotazioni organiche degli uffici proposti dall’Amministrazione e richiesti dal dipendente emerge una maggiore carenza organica del Commissariato di P.S. di Albano (Roma)”.

L’amministrazione aveva tenuto conto solo ed esclusivamente delle proprie esigenze, senza tenere in minima considerazione quelle, di carattere eminentemente familiare, manifestate dal Sig. P.. in sede procedimentale.

L’amministrazione avrebbe dovuto motivare un’eventuale scelta di segno diverso specificando le ragioni per cui vi sarebbe stata incompatibilità tra la sede più vicina e la qualifica rivestita dal dipendente.

2. Il TAR, con ordinanza n. 1429 del 22 marzo 2017, accoglieva la domanda cautelare, proposta col ricorso introduttivo e con i primi motivi aggiunti.

Stante l’inerzia dell’amministrazione nel dare esecuzione a quest’ultimo provvedimento giurisdizionale, su istanza del ricorrente, con ordinanza collegiale n. 6810 del 9.6.2017 ordinava l’esecuzione della predetta ordinanza cautelare n. 1429/2017 con obbligo in capo all’amministrazione di disporre il rientro del sig. P.. presso la precedente sede di servizio.

Nelle more dell’adozione dell’ordinanza n. 6810/2017, con provvedimento datato 1 giugno 2017, notificato il 9 giugno 2017, l’amministrazione “rivalutava in autotutela” la posizione del dipendente e lo trasferiva all’Ufficio di Polizia di Frontiera presso l’Aeroporto di Campino.

Il relativo provvedimento veniva impugnato con un secondo ricorso per motivi aggiunti, nel quale venivano dedotti i seguenti vizi:

1A) Nullità per violazione ed elusione dell’ordinanza del T.a.r. del Lazio n. 1429 del 22.3.2017 – violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, motivazione apparente - eccesso di potere per travisamento, illogicità manifesta e carenza dei presupposti.

Con il provvedimento gravato col secondo ricorso per motivi aggiunti l’amministrazione aveva disposto un nuovo trasferimento in altra sede, che non era previsto nell’ordinanza cautelare n. 1429/2017, avendo questa stabilito l’obbligo, per la stessa, di disporre il rientro del ricorrente presso la precedente sede di servizio. Non vi sarebbe stata quindi alcuna ragione per rivalutare in autotutela la posizione del ricorrente;

2A) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.P.R. n. 335/1982 – eccesso di potere per travisamento, illogicità ed erronea valutazione dei fatti - violazione del principio di parità di trattamento e manifesta ingiustizia.

L’altro motivo che stava alla base del provvedimento impugnato era poi viziato da una falsa interpretazione del disposto dell’art. 53 del d.P.R. n. 335 del 1982, quella stessa denunciata nel ricorso introduttivo e che già affliggeva il provvedimento annullato in autotutela

Il ricorrente si era candidato, senza essere eletto, quale consigliere circoscrizionale per il IV Municipio di Roma. L’interesse tutelato dalla norma non avrebbe potuto in alcun modo essere messo a “rischio” dalla permanenza del ricorrente all’interno della precedente sede di servizio.

La Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici della Gestione Patrimoniale, oltre a non avere alcuna competenza operativa esterna, non ricade neppure nello stesso perimetro circoscrizionale del IV Municipio, essendo collocata nell’ambito del III Municipio.

Analoghi rilievi venivano reiterati avverso la circolare del Ministero dell’Interno n. 333-A/9801.G.D.8 del 6.4.1995, che, travisando gli scopi fondamentali della legge, imporrebbe un sacrificio al ricorrente in nome di una formalistica interpretazione del quadro normativo di riferimento.

3. Con ordinanza n. 3735 del 19.7.2017, il TAR accoglieva la domanda cautelare proposta con quest’ultimo gravame.

Nella resistenza del Ministero dell’Interno, accoglieva poi, nel merito, ricorso principale e motivi aggiunti, annullando i provvedimenti di trasferimento disposti e, in parte qua, la circolare ministeriale.

4. La sentenza è stata appellata dal Ministero dell’Interno che ha articolato i mezzi di gravame che possono essere così sintetizzati:

- contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, nel caso di specie l’amministrazione ha legittimamente ritenuto che gli ambiti circoscrizionali elettorali non coincidano con quelli territoriali dei municipi e, coerentemente con questo presupposto, è al territorio di tutto il Comune di Roma che si è fatto riferimento per ottemperare ai dettami dell'art. 53 del d.P.R. n. 335 /82; risulta pertanto indifferente che il dipendente svolga il proprio servizio presso uffici con competenze territoriali o meno;

- la normativa di cui all’art 53 del d.P.R. n. 335/82 riguarda tutti gli appartenenti alla Polizia di Stato, e si applica ovunque gli appartenenti prestino servizio;

- come noto, alcuni grandi Comuni, con almeno 250.000 abitanti, hanno l’obbligo di istituire le circoscrizioni; per queste città la candidatura in una elezione amministrativa comunale prende come riferimento territoriale il territorio dell'intero comune e pertanto all’incompatibilità di cui all’art 53 del d.P.R. n. 335 del 1982 si ovvia soltanto destinando il candidato ad una sede lavorativa sita fuori del territorio comunale;

- per le elezioni dei Municipi in cui è articolato per statuto il Comune di Roma Capitale, non è stata coniata una norma diversa da quella dell’art 53 DPR 335/82;

- le circoscrizioni comunali disciplinate dall’art. 13 della legge 8 giugno 1990, n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali, ora confluito nell'art. 17 del d.lgs. n. 267/2000, non sono enti locali, in quanto prive di personalità giuridica, ma organi del Comune seppur complessi e dotati di autonomia. In occasione delle elezioni amministrative, non essendo prevista una ulteriore ripartizione in circoscrizioni elettorali, l’elezione del Consiglio di zona avviene contestualmente alle elezioni del Consiglio comunale, nell’ambito di un’unica circoscrizione elettorale.

Pertanto, anche relativamente alla candidatura del ricorrente si è fatto riferimento all'intero territorio comunale di Roma, pur se la candidatura è avvenuta per una specifica circoscrizione;

- la finalità della norma citata è quella di “sottrarre l'attività di polizia ad influenze politiche improprie ed anche di garantire l'imparzialità di tale attività” (così il Consiglio di Stato con parere n. 2271/90, in merito all'interpretazione dell’art. 53 del d.P.R. 335/82), non potendosi prescindere dal divieto fissato nel 1° e 2° comma dell'art. 53 “neppure nei casi in cui l’ambito territoriale, al quale la competenza del dipendente si riferisce, abbia un rilievo ai soli fini dell'organizzazione interna dell'amministrazione”;

- l’aspetto della competenza territoriale dell'ufficio è stato messo in rilievo nella giurisprudenza del Consiglio di Stato nella diversa ipotesi in cui, pur non coincidendo la circoscrizione elettorale col territorio del comune sede dell’ufficio, quest’ultimo estenda competenza anche alla circoscrizione elettorale o a parte di essa. L'attuale modus operandi, disciplinato con la circolare impugnata dal ricorrente ha consentito, finora, un’applicazione univoca della norma, scevra da qualsiasi discrezionalità in ordine all'opportunità di procedere o meno al trasferimento del dipendente che sceglie di candidarsi alle elezioni politiche o amministrative, garantendo, inoltre, imparzialità e parità di trattamento nei confronti di tutti i dipendenti coinvolti.

Detta circolare, infatti, è nata proprio dall'esigenza di uniformare e rendere noti a tutto il personale i criteri adottati dall’amministrazione, in attuazione dei principi delineati dal Consiglio di Stato in materia di trasferimenti ai sensi della normativa in discussione.

L’amministrazione censura poi anche i rilievi mossi dal TAR nei confronti del provvedimento di trasferimento adottato a seguito della prima ordinanza cautelare, con il quale ha deciso di ritirare il primo provvedimento impugnato trasferendo il dipendente presso l’Ufficio Polizia di Frontiera Aerea di Ciampino (peraltro richiesta dallo stesso dipendente), ufficio che, pur facendo salvi i vincoli imposti all’amministrazione dall’art. 53 del d.P.R. 335/82, gli permette di far fronte alle proprie esigenze personali e familiari.

5. Si è costituito, per resistere, il sig. P.., facendo rilevare quanto segue.

L’interpretazione proposta e fatta propria dal Tar sarebbe coerente con la ratio della disposizione in esame poiché, nella fattispecie, non vi sarebbe alcun rischio di interferenza tra funzioni di polizia e attività politica.

Una diversa interpretazione della disposizione di cui all’art. 53 del d.P.R. n. 335 del 1982 sarebbe priva di giustificazione nonché sospetta di illegittimità costituzionale.

Per quanto riguarda l’ “elusione” del giudicato cautelare la sentenza avrebbe poi fatto applicazione dei noti principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato richiamati nel secondo ricorso per motivi aggiunti (cfr., in particolare, Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133).

Ad ogni modo, quand’anche il provvedimento non fosse stato nullo, esso era comunque affetto dagli stessi vizi che inficiano la legittimità del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo e con il primo ricorso per motivi aggiunti, poiché anch’esso è stato adottato in violazione dell’art. 53 del d.P.R. n. 335 del 1982.

Sarebbe comunque irragionevole che, con riferimento agli uffici privi di competenza territoriale, la valutazione della incompatibilità debba essere effettuata, come stabilito dalla impugnata circolare, “riferendo l’ambito territoriale del collegio ove è avvenuta la candidatura al territorio del comune ove è ubicato l’ufficio” poiché in tal modo si sottopone ad un trattamento irragionevolmente più rigoroso proprio il personale rispetto al quale si pone con minore intensità l’esigenza di evitare interferenze tra attività di polizia e attività politica.

6. In via subordinata, il signor P.. ha riproposto la domanda di accertamento del diritto ad ottenere l’indennità di trasferimento prevista dall’art. 1 della l. n. 86 del 2001.

7. L’appello, infine è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 6 dicembre 2018.

8. L’appello è fondato.

Al riguardo, valga quanto segue.

9. Ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. n. 335 del 24 aprile 1982, “Il personale di cui al presente decreto legislativo, candidato alle elezioni politiche ed amministrative, non può prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato” (comma 1).

In particolare, “Il personale non può prestare servizio nella circoscrizione ove è stato eletto per tutta la durata del mandato amministrativo o politico, e, comunque, per un periodo non inferiore a tre anni, e deve essere trasferito nella sede più vicina, compatibilmente con la qualifica rivestita” (comma 2)

La nozione generica di “circoscrizione” cui la disposizione fa riferimento identifica la circoscrizione con il territorio entro i cui confini è estesa la competenza dell’organo politico o amministrativo da eleggere e si svolge la competizione elettorale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2010, n. 2654).

In tale nozione non rientrano le circoscrizioni di decentramento comunale in quanto, come sottolineato dall’amministrazione, esse sono mere articolazioni dell’unico Ente (il Comune) cui le elezioni si riferiscono, né tanto meno le stesse rilevano autonomamente come “collegi” o “circoscrizioni elettorali”.

L’interpretazione letterale delle citate disposizioni trova poi conforto in quella logico – sistematica.

Esse, infatti, mirano a salvaguardare il prestigio dell’amministrazione che potrebbe essere compromesso dalla prosecuzione del servizio in un ufficio ricadente nel medesimo ambito territoriale (coincida quest’ultimo con il territorio di una città o con una sua più limitata articolazione) da parte di un dipendente che, in quanto collegato a formazioni politiche, nelle cui liste si è candidato, possa essere anche solo sospettato di parzialità o partigianeria.

La scelta legislativa mira ad un equo contemperamento tra il diritto di esercizio delle funzioni elettive e l’esigenza di evitare interferenze tra l’attività di servizio e il mandato amministrativo o politico (ovvero anche la sola candidatura), nonché ad evitare il determinarsi di condizioni di privilegio o di possibile influenza nel rispetto del principio di uguaglianza tra i cittadini (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2014, n. 4861).

Sotto il profilo testé evidenziato, nella fattispecie, è pertanto irrilevante la circostanza - su cui si è basato l’accoglimento dell’impugnativa in primo grado - che l’ufficio presso cui l’appellato presta servizio sia ubicato in un Municipio del Comune di Roma diverso da quello per il quale è stata presentata la candidatura e che non operi direttamente sul territorio.

E’ poi evidente il vizio logico della tesi propugnata dal ricorrente in primo grado ed avallata dal TAR.

Gli uffici dell’amministrazione centrale, proprio perché privi di una specifica competenza territoriale, svolgono funzioni che, potenzialmente, possono avere effetti su tutto o parte del territorio nazionale, ivi compresa la circoscrizione elettorale (così come precedentemente definita) entro la quale il dipendente svolge attività politica.

10. L’accoglimento dell’appello comporta la necessità di stabilire quale, tra i provvedimenti di trasferimento disposti dall’amministrazione nel caso di specie, riacquisiti efficacia.

Occorre infatti ricordare che il trasferimento del signor P.. presso l’Ufficio Polizia di Frontiera Aerea di Ciampino, impugnato con i secondi motivi aggiunti, non è stato adottato al mero fine di dare esecuzione alle statuizioni cautelari del TAR bensì costituisce una spontanea, esplicita forma di resipiscenza dell’amministrazione la quale, originariamente, non aveva considerato che il trasferimento deve avvenire nella sede più vicina “compatibilmente con la qualifica rivestita” (art. 53, comma 2, del d.P.R. n. 335 del 1982, cit.).

In sostanza, il provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti costituisce anche una, peraltro esplicita, forma di autotutela e quindi di annullamento d’ufficio del primo provvedimento di trasferimento del signor P.. presso il Commissariato di Albano Laziale, oggetto del ricorso principale e dei primi motivi aggiunti.

Ne deriva che questi ultimi, nella parte impugnatoria, debbono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.

10.1 Residua la domanda, articolata in via subordinata, di accertamento del diritto ad ottenere l’indennità di trasferimento di cui all’art. 1 della l. n. 86 del 2001, riproposta dall’appellato che, tuttavia, è palesamente infondata.

L’indennità di cui trattasi è finalizzata a compensare i disagi derivanti dai trasferimenti d’autorità, cui non può assimilarsi un temporaneo allontanamento dall’originaria sede di servizio che consegue non già ad esigenze funzionali ed operative dell’amministrazione bensì costituisce un atto dovuto al verificarsi dei presupposti di legge (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1996, n. 1019).

11. L’esito del contenzioso, e la parziale, reciproca soccombenza inducono a compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, così provvede:

- dichiara improcedibile il ricorso principale e i primi motivi aggiunti proposti in primo grado per sopravvenuta carenza di interesse;

- respinge i secondi motivi aggiunti.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Antonino Anastasi





IL SEGRETARIO