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Art. 17, lettera a) d.lvo n. 151/2001 Interdizione anticipat

Inviato: mer mag 30, 2012 3:56 pm
da panorama
Per conoscenza.

Interdizione anticipata dal lavoro ai sensi dell’art. 17, lettera a), d.lvo n. 151/2001 “minaccia di aborto”.

Lavoratrici in gravidanza – astensione anticipata per gravidanza a rischio

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N. 01060/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01162/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1162 del 2011, proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avv. Rosanna Perrino, con domicilio eletto in Salerno, via Manzo n. 31, presso l’avv. Sessa;
contro
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliato per legge in Salerno, corso Vittorio Emanuele n.58;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. …. del 26.4.2011, relativo ad interdizione anticipata dal lavoro ai sensi dell’art. 17, lettera a), d.lvo n. 151/2001

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2012 il dott. Ezio Fedullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Deduce la ricorrente che, mediante il provvedimento impugnato, la Direzione Provinciale del Lavoro di Salerno ha respinto l’istanza di interdizione anticipata dal lavoro, per il periodo dal …… al ……., presentata ex art. 17 d.lvo n. 151/2001 in data 2.2.2011, con allegato il relativo certificato medico, in quanto, giunta alla XXIII settimana di gravidanza, risultava affetta da “minaccia di aborto”.
Ella evidenzia altresì che la Direzione Provinciale del Lavoro non provvedeva, nei sette giorni successivi all’inoltro dell’istanza, né all’invio della comunicazione di accoglimento, né alla eventuale richiesta di integrazione né a quella di visita medico-legale: per effetto del silenzio serbato nel termine indicato ella ha ritenuto quindi accolta la domanda per silentium.
Allega inoltre la ricorrente di aver ricevuto, in data 11.4.2011, l’invito a fornire copia del referto medico rilasciato dalla ASL relativamente al periodo suindicato e di aver conseguentemente provveduto a presentare al competente ufficio di Medicina Legale della ASL SA1, in data 13.4.2011, richiesta per il conseguimento “ora per allora” del certificato medico-legale.
Deduce altresì la ricorrente che la ASL SA1, in data 19.4.2011, emetteva il certificato n. …… con il quale veniva confermata la diagnosi e la prognosi ora per allora con riferimento all’intero periodo dal …….. al ……. e dal ……. al……..
Ella lamenta quindi di aver ricevuto il provvedimento di diniego impugnato, il quale, nel respingere l'istanza di interdizione anticipata dal lavoro presentata dalla ricorrente relativamente al periodo …… - ……, richiama la comunicazione del 14.3.2011, prot. n. ….., dalla quale si evince che ella non si è presentata presso l’Ambulatorio Medico-Legale, e la nota prot. n. …… del 5.4.2011, con la quale è stata inutilmente invitata a trasmettere copia del referto medico-legale rilasciato dalla ASL competente relativamente al periodo suindicato.
Mediante le censure formulate in ricorso, viene allegata la violazione degli artt. 17 e 18 d.lvo cit., ai sensi dei quali la D.P.L. è obbligata a provvedere entro sette giorni dalla ricezione della richiesta di astensione: non essendo ciò avvenuto, deduce la ricorrente, deve ritenersi formato il silenzio-assenso.
La ricorrente deduce altresì che si è premurata di acquisire il referto prot. n. ….. del 19.4.2011, ricevendo assicurazione dalla coordinatrice infermieristica, dott.ssa A. A., sul fatto che lo stesso sarebbe stato inoltrato alla D.P.L. di Salerno.
Aggiunge la ricorrente che il suddetto parere medico-legale è vincolante nei confronti della D.P.L. e che l’amministrazione intimata, nel rilevare che la ricorrente non si è presentata presso l’Ambulatorio Medico-Legale, non ha verificato se ella avesse ricevuto l’invito della A.S.L. di sottoporsi a visita.
Infine, viene dedotto il difetto di motivazione inficiante il provvedimento impugnato.
La difesa erariale si oppone all'accoglimento del ricorso, deducendone l'infondatezza.
Tanto premesso, deve rilevarsi la fondatezza della proposta domanda di annullamento.
Il provvedimento negativo impugnato si fonda sulla mancata presentazione della ricorrente presso l’Ambulatorio Medico-Legale per la sua sottoposizione a visita medico-legale e sul fatto che ella, benché sollecitata con nota prot. n. …… del 5.4.2011, non avrebbe trasmesso copia del referto medico-legale rilasciato dalla A.S.L. competente relativamente al periodo ….2011 - …...2011.
Ebbene, la ricorrente ha depositato in giudizio il referto medico-legale della A.S.L. di Salerno 1 prot. n. ….. del 19.4.2011, con il quale “si conferma diagnosi e prognosi ora per allora” con riguardo ai periodi dal …...2011 al …...2011 e dal …..2011 all’…...2011.
La difesa erariale, nel rilevare che il predetto certificato è pervenuto alla D.P.L. in data 11.5.2011, ha altresì prodotto la nota della A.S.L. prot. n. …. del 20.6.2011, con la quale si afferma che “si deve intendere da confermare ora per allora il periodo dal …...2011 gg. 8 e non il periodo dal …...2011 gg.30 confermato ora per allora con certificazione del 19.4.2011 prot. n. ……, per il quale periodo non è mai pervenuta richiesta da parte Vs in tal senso”.
Invero, come affermato dalla difesa erariale, l’unica richiesta della D.P.L. è stata indirizzata alla A.S.L. in data 15.3.2011, con nota prot. n. ….., e riguardava un accertamento “ora per allora” limitatamente al periodo …..2011 – …...2011 (essendo pervenuto in data 9.3.2011 dalla ricorrente un nuovo certificato medico per il suddetto periodo).
Osserva al riguardo il Tribunale che l'amministrazione ha indebitamente pretermesso il suddetto certificato, facendo leva sulla mancanza di una richiesta (della D.P.L.) indirizzata alla sua acquisizione.
Tuttavia, a prescindere dal rilievo secondo cui, come allegato dalla stessa difesa erariale, in data 11.2.2011 l’Ufficio del Lavoro, con nota prot. n. ….., richiedeva l’accertamento medico alla A.S.L. di Sarno, dandone comunicazione alla medesima A.S.L. (oltre che alla ricorrente per posta ordinaria), sì che il certificato del 19.4.2011 ben può correlarsi alla suddetta richiesta, deve osservarsi che l'attitudine certificativa di quest'ultimo non può ritenersi venuto meno sol perché esso non è stato preceduto da una corrispondente richiesta dell'amministrazione interessata.
Né alcuna inerzia (o volontà di non sottoporsi alla visita medico-legale) può essere imputata alla ricorrente, non risultando agli atti del giudizio alcuna prova che la richiesta della D.P.L. di sottoposizione della stessa all'accertamento medico (prot. n. …. dell'11.2.2011), spedita per posta ordinaria, sia stata da lei effettivamente ricevuta.
Quanto poi al fatto che il suddetto certificato è stato ricevuto dall'amministrazione intimata solo in data 11.5.2011, successivamente cioè all'adozione del provvedimento impugnato, ritiene il Tribunale che esso non possa riflettersi negativamente sulla posizione della ricorrente, nei confronti della quale, come si è detto, non è configurabile, alla stregua della documentazione prodotta e delle allegazioni articolate, alcun atteggiamento di negligente inerzia: senza trascurare che ella afferma di aver ricevuto assicurazioni presso la stessa A.S.L. circa il fatto che esso sarebbe stato recapitato d'ufficio alla D.P.L., nel quadro dei rapporti di collaborazione istituzionale di cui all'art. 17, comma 2, d.lvo n. 151/2001.
Per le ragioni esposte, quindi, la proposta domanda di annullamento deve essere accolta, potendo dichiararsi l'assorbimento delle doglianze non esaminate.
Il carattere posteriore del ricevimento del certificato del 19.4.2011 da parte dell'amministrazione intimata, rispetto all'adozione del provvedimento impugnato, pur non elidendo l'oggettiva illegittimità di quest'ultimo, costituisce ragione sufficiente, nell'ottica della valutazione soggettiva della condotta dell'amministrazione intimata propria di tale punto della decisione, per statuire la compensazione delle spese di giudizio sostenute dalle parti della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1162/2011, lo accoglie ed annulla per l’effetto il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Onorato, Presidente
Francesco Mele, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2012

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DECRETO-LEGGE 9 febbraio 2012, n. 5
Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo. (12G0019) (GU n.33 del 9-2-2012 - Suppl. Ordinario n. 27 )
note: Entrata in vigore del provvedimento: 10/02/2012.
Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 4 aprile 2012, n. 35 (in SO n. 69, relativo alla G.U. 06/04/2012, n. 82).


Disciplinare applicazione Ex. Art. 17, comma 2, lettera a), D.Lgs. n.151/2001 modificato dall'art. 15, D.L. 9/2/2012, n. 5.

TESTO:
Art. 15

Misure di semplificazione in relazione all'astensione anticipata dal lavoro delle lavoratrici in gravidanza

1. A decorrere dal 1° aprile 2012, all'articolo 17 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 e' sostituito dal seguente: "2. La Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, secondo quanto previsto dai commi 3 e 4, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata sara' determinata dalla Direzione territoriale del lavoro o dalla ASL per i seguenti motivi: a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.";
b) al comma 3, le parole: "e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro" sono sostituite dalle seguenti: "e' disposta dall'azienda sanitaria locale, con modalita' definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,";
c) al comma 4, le parole: "puo' essere disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro" sono sostituite dalle seguenti: "e' disposta dalla Direzione territoriale del lavoro". Al medesimo comma la parola: "constati" e' sostituita dalla seguente: "emerga";
d) al comma 5, le parole: "dei servizi ispettivi" sono soppresse.

Re: Art. 17, lettera a) d.lvo n. 151/2001 Interdizione antic

Inviato: dom ott 30, 2016 4:01 pm
da panorama
Se può giovare a qualcuno.

Ricorso ACCOLTO.

Cmq. questa sentenza del Tar Lazio prende in esame tutta la materia del Congedo per la tutela della “maternità” e dei benefici economici connessi, pertanto, vi consiglio di leggerla tutta, anche se riguarda quattro ricorrenti, tutte Avvocati dello Stato, poichè potreste "trovare" qualche beneficio che vi spetta di diritto.
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1) - evidenziavano di aver usufruito di periodi di astensione obbligatoria “per maternità”, ai sensi dell’art. 41 del d.p.r. n. 3/1957.

2) - normativa speciale a sostegno e tutela della maternità e paternità, riconducibile al d.lgs. n. 151/2001, il cui art. 1, nello specifico, prevede che il trattamento economico che compete alla donna in congedo obbligatorio per maternità è derogabile solo per effetto di norme di maggior favore, le ricorrenti affermavano che in tale trattamento doveva essere ricompreso l’art. 41 del T.U. n. 3/57, che assicura alla gestante “tutti gli assegni”, specie quando, come quello corrispondente al riparto in questione, hanno certamente natura retributiva, e ciò anche al fine di dare concreta attuazione al principio fondamentale di parità tra generi, ai sensi dell’art. 37 Cost. nonché delle disposizioni ultranazionali di cui all’art. 157 T.F.U.E, all’art. 23 della Carta dei Diritti Fondamentali U.E. e alla direttiva 2006/54/CE, al fine di assicurare alla lavoratrice gestante e madre una situazione di effettiva parità in materia di occupazione, lavoro e retribuzione.

3) - secondo la loro ricostruzione, era avvalorata anche dalla “ratio” della l. n. 53/2000, recante disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, come propugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Organo da cui dipende la stessa Avvocatura dello Stato, nella Circolare n. 14 del 16.11.2000, la quale - sul punto - precisa che: “le lavoratrici madri, durante tutto il periodo di astensione obbligatoria dall’impiego, in applicazione dei contratti collettivi, hanno diritto all’intera retribuzione fissa mensile, nonché al relativo trattamento accessorio.”

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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201610048, - Public 2016-10-05 -

Pubblicato il 05/10/2016

N. 10048/2016 REG.PROV.COLL.
N. 13721/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13721 del 2014, proposto da:
Lucrezia F., Verdiana F., Raffaella F., Wally F., rappresentate e difese dall'avvocato Costantino Ventura C.F. VNTCTN53A03A662M, con domicilio eletto presso Lucrezia Fiandaca in Roma, via San Liberio, 21;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Avvocatura dello Stato, rappresentati e difesi per legge dalla medesima Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di
Marina R., non costituita in giudizio;

per ottenere
in favore di ciascuna delle ricorrenti, e nelle misure che saranno rispettivamente in appresso indicate, previa concessione delle misure cautelari e previa eventuale rimessione di atti e parti dinanzi alla Corte di Giustizia e/o la Corte Costituzionale, la corresponsione delle competenze spettanti ai sensi dell'art. 21 R.D. n. 1611/1933, maturate dalle ricorrenti a titolo di onorari di causa per i periodi di astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio, oltre rivalutazione monetaria e interessi, e con vittoria di spese e rimborso del contributo unificato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Avvocatura Generale dello Stato, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 2182/2016 del 18.2.16;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 20 luglio 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con gravame avanti a questo Tribunale, ritualmente notificato (anche a un soggetto controinteressato) e depositato, le quattro ricorrenti, tutte Avvocati dello Stato con diverse decorrenze e relative classi stipendiali ivi indicate, evidenziavano di aver usufruito di periodi di astensione obbligatoria “per maternità”, ai sensi dell’art. 41 del d.p.r. n. 3/1957, con godimento dell’intero trattamento economico, compresa l’indennità di cui all’art. 2 della L. 6.8.1984 n. 425, ma con esclusione dalla partecipazione al riparto delle competenze di cui all’art. 21 del R.D. 30.10.1933 n. 1611, pur risultando in detti periodi assegnatarie di numerosi affari, con significativo aumento del carico di lavoro complessivo.

Specificavano, inoltre, di aver conosciuto – tramite corrispondenza con l’Avvocatura Generale dello Stato – i compensi goduti dai colleghi in servizio nella medesima classe stipendiale, comprensivi del suddetto “riparto”, e di aver preso atto di nota del Segretario Generale in cui si specificava che la mancata elargizione era dovuta all’applicazione dell’art. 12 del d.p.c.m. 29.2.1972 in cui era stabilito che il diritto al riparto era escluso in tutti i casi di collocamento in aspettativa e in congedo straordinario, facendo salvi solo quelli ex art. 37, 2 co., T.U. n. 3/57 cit., tra i quali non era ricompresa la “maternità”.

Riportando la disposizione di cui all’art. 21 r.d. n. 1611/1933 cit., le ricorrenti proponevano nella sostanza una domanda di accertamento, previa adozione di misure cautelari, del loro diritto ad ottenere ugualmente l’integrale riparto, evidenziandone la piena natura “retributiva”, secondo la relativa nozione “onnicomprensiva” di cui all’art. 2099 c.c., come confermata espressamente anche dal legislatore con l’art. 9 d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014 e con l’art. 157 del T.F.U.E. - dei quali era riportato il testo per la parte di interesse - nonché ai sensi della Circolare I.N.P.S. n. 6 del 16.1.14, pure riportata.

Richiamando, poi, la normativa speciale a sostegno e tutela della maternità e paternità, riconducibile al d.lgs. n. 151/2001, il cui art. 1, nello specifico, prevede che il trattamento economico che compete alla donna in congedo obbligatorio per maternità è derogabile solo per effetto di norme di maggior favore, le ricorrenti affermavano che in tale trattamento doveva essere ricompreso l’art. 41 del T.U. n. 3/57, che assicura alla gestante “tutti gli assegni”, specie quando, come quello corrispondente al riparto in questione, hanno certamente natura retributiva, e ciò anche al fine di dare concreta attuazione al principio fondamentale di parità tra generi, ai sensi dell’art. 37 Cost. nonché delle disposizioni ultranazionali di cui all’art. 157 T.F.U.E, all’art. 23 della Carta dei Diritti Fondamentali U.E. e alla direttiva 2006/54/CE, al fine di assicurare alla lavoratrice gestante e madre una situazione di effettiva parità in materia di occupazione, lavoro e retribuzione.

La stessa direttiva in questione, poi, all’art. 9, indicava tra gli esempi di discriminazione proprio l’interrompere il mantenimento o l’acquisizione dei diritti durante i periodi di congedo per maternità.

Premesso ciò, le ricorrenti precisavano che l’omessa corresponsione del “riparto” in questione era quindi dipesa da una errata interpretazione dell’art. 12 del “Regolamento per la riscossione, da parte dell’Avvocatura dello Stato, degli onorari e delle competenze di spettanza e per la relativa ripartizione” approvato con il richiamato d.p.c.m. del 29.2.1972, nella parte in cui prevedeva che “…Non si ha, inoltre, diritto a riparto per tutto il tempo trascorso in aspettativa, a disposizione, in disponibilità o in congedo straordinario, esclusi i casi previsti dall’art. 37, secondo comma del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3…”.

Per le ricorrenti, la situazione di congedo straordinario considerata dall’art. 12 quale causa di esclusione dal diritto a concorrere al riparto non poteva essere quella di astensione obbligatoria per maternità e puerperio, secondo i principi sopra richiamati, ma unicamente quella di congedo facoltativo, caratterizzato dall’essere fondato su “gravi motivi”, quindi non predeterminati dal legislatore, dall’essere assentibile “discrezionalmente” dall’Amministrazione, con conseguente posizione soggettiva di interesse legittimo dell’interessato e non di diritto soggettivo, dall’essere una forma di tutela “ulteriore” se chiesto dalla lavoratrice come misura ulteriore rispetto al congedo obbligatorio “per maternità”, dall’essere collegato a trattamento economico deteriore disposto dallo stesso legislatore, ai sensi dell’art. 40 T.U. cit.

Il congedo obbligatorio per gravidanza e puerperio, invece – illustravano le ricorrenti – “…a) è concesso solo in ipotesi di maternità e puerperio; b) costituisce un diritto irrinunciabile per la puerpera, sottratto a qualunque valutazione discrezionale da parte della P.A., alla quale è fatto espresso divieto di adibire la donna al lavoro; c) è concesso solo ‘una tantum’, in ragione dell’accertata sussistenza dei presupposti di legge e per un periodo minimo e massimo legislativamente predefinito (periodo compreso tra i due mesi antecedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi alla data del parto stesso); d) costituisce la tutela minima e irrinunciabile di ogni lavoratrice dipendente che si trovi in prossimità del parto; e) è soggetto pertanto a un trattamento economico di maggior favore rispetto a qualsivoglia forma di congedo, ivi compresa la malattia, competendo alla donna in congedo obbligatorio ‘tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario’ senza decurtazione alcuna”.

L’interpretazione dell’art. 12 come proposta dalle ricorrenti, secondo la loro ricostruzione, era avvalorata anche dalla “ratio” della l. n. 53/2000, recante disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, come propugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Organo da cui dipende la stessa Avvocatura dello Stato, nella Circolare n. 14 del 16.11.2000, la quale - sul punto - precisa che: “le lavoratrici madri, durante tutto il periodo di astensione obbligatoria dall’impiego, in applicazione dei contratti collettivi, hanno diritto all’intera retribuzione fissa mensile, nonché al relativo trattamento accessorio.”

Tali principi erano poi confermati nel richiamato d.lgs. n. 151/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), ai relativi artt. 2 e 23, comma 2, ove è presente il riferimento ai trattamenti “accessori” su precisa richiesta del Consiglio di Stato e della Commissione Lavoro pubblico e privato, trattamenti accessori tra cui devono essere ricompresi anche gli onorari e le competenze spettanti agli Avvocati e Procuratori dello Stato, che anche ai fini fiscali e contributivi vengono ritenuti redditi da lavoro dipendente.

Ogni diversa conclusione, pertanto, coincidente con l’interpretazione dell’art. 12 cit. richiamata dall’Avvocatura dello Stato, perverrebbe alla conseguenza di sanzionare, anziché tutelare, la gravidanza, parificandola illogicamente alle altre ipotesi di esclusione dal diritto a parte della retribuzione (abbandono dell’Ufficio senza giustificato motivo, destituzione, decadenza, dispensa dal servizio per scarso rendimento), certamente non assimilabili a quella in discussione.

E ciò con l’aggravante che tale esegesi tratterebbe in modo deteriore l’ipotesi di congedo obbligatorio per maternità, a cui la legge invece riserva un trattamento economico di maggior favore (“tutti gli assegni”, senza alcuna decurtazione), rispetto alle ipotesi di congedo per matrimonio o per esami, soggetti invece alla disciplina di cui all’art. 40 d.p.r. 3/57, cit. e alle relative decurtazioni.

Nel caso di specie, quindi, si profilerebbe un’ipotesi di contrasto del Regolamento, che esclude il diritto ad una parte della retribuzione durante la gravidanza, con la Legge, che invece tale diritto riconosce e assicura, differenziando e privilegiando l’ipotesi del congedo obbligatorio per maternità da ogni altra ipotesi di congedo e assenza, ivi compresa la malattia. Peraltro, aggiungevano le ricorrenti, l’interpretazione secondo la quale l’art. 12 del Regolamento si riferisce anche al congedo straordinario per gravidanza, ne comporterebbe l’inevitabile disapplicazione.

Il Regolamento, infatti, pur se avente natura “sostanzialmente” normativa, non può, per il principio di gerarchia delle fonti, porsi in contrasto con norme di rango superiore e la necessità di disapplicare la disposizione regolamentare in aperto contrasto con la norma primaria è peraltro senza alcun dubbio doverosa anche per il giudice amministrativo, vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva, ed essendo la spettanza delle competenze per cui è causa un vero e proprio diritto soggettivo, secondo soluzioni assolutamente pacifiche e convincenti alle quali è pervenuta la giurisprudenza.

La contestata interpretazione, inoltre, si poneva anche in contrasto con il diritto comunitario, ai sensi della su richiamata direttiva 2006/54/CE (artt. 9, 14 e 15).

Le ricorrenti, in subordine, evidenziavano infatti che, ove si dovesse ritenere che il riferimento contenuto dall’art. 41 T.U. n. 3/57 a “tutti gli assegni” fosse da intendersi come a “tutti gli assegni escluse le competenze di cui all’art 21 del R.D. n. 1611/33”, e il disposto di cui all’art. 23 del t.u. della maternità come riferibile a tutti “i premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice”, ma con l’esclusione degli onorari di causa, si imponeva anche un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle prefate disposizioni, ovvero, in via gradata, la rimessione di tale questione alla Corte Costituzionale e/o alla Corte di Giustizia UE, per evidente contrasto, oltre che con il principio di ragionevolezza, con i puntuali riferimenti normativi e costituzionali prima richiamati.

Le ricorrenti precisavano ulteriormente che i compensi in questione non riguardavano prestazioni di lavoro straordinario, che ovviamente non avevano potuto compiere durante il periodo di astensione obbligatoria, sebbene destinatarie di assegnazioni che avevano incrementato il carico di lavoro rendendo non irrilevante, ai fini della prestazione lavorativa, l’assenza dal servizio (come invece avviene in ipotesi di collocamento “fuori ruolo”, in cui non solo non vengono assegnati nuovi affari, ma vengono riassegnati agli altri colleghi gli affari già in carico).

Anzi, il fatto che le ricorrenti potevano essere - ed erano state - destinatarie di assegnazioni anche durante tale periodo di congedo “obbligatorio”, dimostrava non solo la ingiustificata e illogica differenza rispetto al trattamento economico dei “fuori ruolo”, ma anche l’inesistenza di un nesso di corrispettività non solo tra gli onorari e il lavoro, ma anche tra gli onorari e le assegnazioni degli affari.

Infatti, quanto alle modalità di percezione, le ricorrenti precisavano che gli onorari sono liquidati avendo riguardo alle somme effettivamente recuperate dalle Amministrazioni (spese compensate) o dai privati (spese vinte), all’esito di un complesso procedimento che può essere attivato quadrimestralmente solo dopo che il titolo su cui si fonda il recupero è divenuto “irretrattabile” (art.5 d.p.c.m. cit.).

Ciò sta a significare che il compenso percepito non dipende dal lavoro svolto dai Procuratori e dagli Avvocati dello Stato “in servizio” durante il quadrimestre - il che potrebbe eventualmente giustificare un’esclusione dal riparto – né tantomeno dall’essere o meno destinatari di assegnazioni durante quel periodo (circostanza peraltro che si era concretamente verificata per le ricorrenti) ma che le somme incassate riguardano prestazioni professionali necessariamente rese in un momento antecedente, quindi anche dalle ricorrenti stesse. Con l’aggravante che è l’Avvocatura a decidere quali titoli azionare per prima, per cui le somme incassate in un determinato quadrimestre dipendono in parte dagli adempimenti delle controparti, e dunque dal caso, e in parte dalla solerzia dell’Avvocatura nell’azionare i crediti.

Rinviata la domanda cautelare alla trattazione del merito, si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, con documentazione e una memoria orientata a confutare le ragioni delle ricorrenti nonché, in virtù del carattere di “stabilità” reale del rapporto di pubblico impiego, ad eccepire la prescrizione dei crediti ultraquinquennali dalla notificazione del ricorso o da altro atto interruttivo documentato.

In prossimità della pubblica udienza del 10.2.2016 anche le parti ricorrenti depositavano rituali memorie (le ricorrenti anche “di replica”, ove osservavano che, ad ogni modo, per la sola ricorrente F.. era rinvenibile un breve periodo precedente al quinquennio anteriore alla relativa diffida del 18.9.2014 da considerarsi interruttiva del termine) ad ulteriore sostegno delle rispettive tesi.

Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione disponeva incombenti istruttori, consistenti, per le ricorrenti, nell’integrazione del contraddittorio, anche mediante notificazione per pubblici proclami, nei confronti di tutti i Procuratori e Avvocati dello Stato nonché, per le parti pubbliche, nel deposito di un prospetto completo indicante con precisione, per il periodo in considerazione, la data di assegnazione di ciascun affare a ogni ricorrente, il tipo di affare e il relativo esito, con una dettagliata relazione sulle esatte modalità di ripartizione delle competenze di cui all’art. 21 r.d. cit. tra tutti i Procuratori e Avvocati dello Stato.

Dopo la rituale ottemperanza a tale disposizione per quanto di rispettiva incombenza, le parti depositavano ulteriori memorie in prossimità della successiva udienza pubblica (le ricorrenti anche “di replica”) e, alla data del 20.7.2016, la causa era trattenuta nuovamente in decisione.

DIRITTO

Ai fini di un chiaro approccio alla fattispecie, il Collegio ritiene opportuno richiamarne i fondamenti normativi e regolamentari.

Le norme di rango primario invocate dalle ricorrenti sono le seguenti:

a) l’art. 21, commi 1 e 2, r.d. 30.10.1933, n. 1611 (come sostituiti dall’art. 27 l. n. 103/1979 e poi modificati dall’art. 43, comma 1, n. 69/2009), secondo il quale: “L'avvocatura generale dello Stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione.

Con l'osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre 1971, numero 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello Stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse, siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione…”;

b) l’art. 41 del d.p.r. 10.1.1957, n. 3, secondo cui: “All'impiegata che si trovi in stato di gravidanza o puerperio si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri; essa ha diritto al pagamento di tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario.

Per i periodi anteriore e successivo al parto in cui, ai sensi delle norme richiamate nel precedente comma, l'impiegata ha diritto di astenersi dal lavoro, essa è considerata in congedo straordinario per maternità.

Alle ipotesi previste nel presente articolo, si applica la disposizione di cui all'ultimo comma dell'articolo 40”;

c) l’art. 1, comma 2, d.lgs. 26.3.2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), secondo il quale la disciplina di cui a tale Testo Unico si applica: “…fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione.” nonché gli artt. 16 e 20 d.lgs. cit., per i quali – rispettivamente - è sancita l’obbligatorietà del congedo, con conseguente divieto per le donne di essere adibite al lavoro per i periodi ivi indicati al comma 1, lett. a)-d), e la flessibilità, laddove è prevista per le lavoratrici “…la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.”

A queste, devono aggiungersi le norme di ordine “generale” di cui all’art. 37 Cost. nonché all’art. 2099 c.c. (sulle modalità di retribuzione del prestatore di lavoro) e all’art. 37 d.p.r. n. 3/57 cit. (sul “congedo straordinario”), a cui affiancare quelle di rango “sovranazionale”, quali l’art. 157 del TFUE, l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali della U.E. e la direttiva 2006/54/CE, laddove orientata a sancire il principio di parità di trattamento e protezione della condizione biologica della donna durante la gravidanza e la maternità e il divieto di ogni discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso (art. 4) e, più specificamente, dell’interruzione del mantenimento o dell’acquisizione di diritti durante i periodi di congedo per maternità (art. 9, par. 1, lett. f).

Va detto che ne emerge la corrispettiva qualificazione in termini di “diritto soggettivo” della relativa posizione giuridica della “lavoratrice gestante/madre”, che non è peraltro contestata dalla difesa erariale, la quale, anzi, nell’eccepire la “prescrizione” – fermo quanto sarà in prosieguo specificato sul punto – si richiama ad un istituto proprio dei diritti soggettivi.

Tant’è che l’opposizione alla richiesta delle ricorrenti è stata fondata, secondo il contenuto di note identiche del Segretario Generale in seguito alla presentazione di esplicita diffida, non sull’impedimento riconducibile a norme di rango primario bensì unicamente sulla sussistenza del richiamo alla norma di rango secondario di cui all’art. 12 del d.p.c.m. 29.2.1972 (recante “Regolamento per la riscossione, da parte dell'Avvocatura dello Stato, degli onorari e delle competenze di spettanza e per la relativa ripartizione”), che prevede – secondo la suddetta nota - il mancato “diritto” al riparto ”… tra gli altri, in tutti i casi di collocamento in aspettativa e in congedo straordinario, facendo salvi i casi di congedo straordinario ex art. 37, 2° co. del T.U. n. 3/57...” tra i quali “…non è ricompresa la maternità”.

Per completezza, la norma in questione prevede infatti che: “Non hanno diritto a partecipare al riparto, per il corrispondente periodo, coloro che sono collocati fuori ruolo. Colui che senza giustificato motivo abbandoni l'Ufficio e non ottemperi all'invito di ritornarvi, perde la quota quadrimestrale corrispondente al tempo dell'abusiva assenza. Non si ha, inoltre, diritto a riparto per tutto il tempo trascorso in aspettativa, a disposizione, in disponibilità o in congedo straordinario, esclusi i casi previsti dall'art. 37, secondo comma del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, nonché i casi dell'aspettativa per richiamo alle armi e per infermità per causa di servizio, di cui, rispettivamente, al II comma dell'art. 67 e al VII comma dell'art. 68 del testo unico predetto. Il diritto al riparto viene, altresì, meno per tutto il tempo durante il quale, per qualsiasi causa, non spetti o sia ridotto lo stipendio. Si perde il diritto di concorrere al riparto allorché sia stata comminata la destituzione o dichiarata la decadenza ovvero la dispensa per scarso rendimento; in tali casi la partecipazione al riparto predetto cessa dal momento in cui si è verificato il fatto risolutivo del rapporto d'impiego. Nel caso di collocamento a riposo, di accettazioni di dimissioni volontarie, di passaggio in altre Amministrazioni dello Stato, l'impiegato partecipa al riparto fino alla data di decorrenza del provvedimento”.

E’ senza dubbio corretta, quindi, la ricostruzione delle ricorrenti, secondo le quali l’esclusione dalla partecipazione al riparto richiesto è fondata esclusivamente sulla sussistenza di tale norma regolamentare la quale prevede comunque espressamente un’eccezione, per coloro che risultano collocati in congedo “straordinario”, tipo di congedo peraltro che compete “di diritto”, ai sensi dell’art. 37, comma 2, T.U. n. 3/57 (oltre a periodi di aspettativa per richiamo alle armi o per infermità per causa di servizio), ossia “…quando l'impiegato debba contrarre matrimonio o sostenere esami o, qualora trattisi di mutilato o invalido di guerra o per servizio, debba attendere alle cure richieste dallo stato di invalidità…”.

Il Collegio, quindi, non può fare a meno di osservare che l’ipotesi di deroga al divieto in questione opera allorquando il congedo straordinario sia definibile “di diritto”, vale a dire quando non è nella facoltà discrezionale dell’Amministrazione concederlo o meno (sul punto, già: TAR Lazio, Sez. I, 10.2.1987, n. 285, secondo cui il congedo straordinario per motivi diversi da quelli elencati nell'art. 37, comma 2, cit. inerisce alla sfera degli interessi legittimi dell'impiegato, essendo demandato dalla legge ad apprezzamenti discrezionali della p. a. e pertanto è legittimo che l'esercizio di tale potere sia ispirato al contemperamento fra le pretese del dipendente e le esigenze del servizio, con la conseguenza che il congedo di cui al comma 2 cit. esula dalla discrezionalità in questione).

Sotto tale profilo, però, al Collegio appare innegabile che anche il congedo straordinario per “maternità”, peraltro obbligatorio, rientri nelle ipotesi in cui spetta “di diritto”.

Sul punto, non può che richiamarsi il contenuto dell’art. 16 d.lgs. n. 151/01, secondo cui: E' vietato adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;

b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;

c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art. 20;

d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi

Per quanto riguarda già il T.U. n. 3/57, alla norma di cui al richiamato art. 37, deve, poi, accompagnarsi quanto previsto dai successivi artt. 40 e 41, secondo i quali “…Durante il periodo di congedo ordinario e straordinario, esclusi i giorni di cui al periodo precedente, spettano al pubblico dipendente tutti gli assegni escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale e per prestazioni di lavoro straordinario…I periodi di congedo straordinario sono utili a tutti gli altri effetti” (art. 40, comma 1 e comma 3) e “All'impiegata che si trovi in stato di gravidanza o puerperio si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri; essa ha diritto al pagamento di tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario. Per i periodi anteriore e successivo al parto in cui, ai sensi delle norme richiamate nel precedente comma, l'impiegata ha diritto di astenersi dal lavoro, essa è considerata in congedo straordinario per maternità. Alle ipotesi previste nel presente articolo, si applica la disposizione di cui all'ultimo comma dell'articolo 40” (art. 41, commi 1, 2 e 3 rubricato: Congedo straordinario per gravidanza e puerperio).

In merito, valga richiamare che la Corte dei Conti aveva già nel 1988 precisato che l’art. 41, comma 2, equipara a tutti gli effetti l'astensione facoltativa dal lavoro per maternità al congedo straordinario (Sez. Contr., 14.4.1988, n. 1933).

In sostanza, una lettura costituzionalmente orientata delle norme, in relazione agli artt. 3, 37 e 97 Cost., impone di considerare che quella per gravidanza e puerperio è un’astensione obbligatoria, equiparabile a tutte quelle in cui è previsto un congedo straordinario “di diritto”, e per tale ragione deve essere riconosciuta parità di corresponsione di emolumenti, anche se in presenza di rapporto di lavoro pubblico “non contrattualizzato”, come nel caso di specie.

Per quanto dedotto, quindi, è condivisibile la ricostruzione delle ricorrenti che nel caso di specie individuano un’ipotesi di contrasto del “Regolamento”, che esclude il diritto ad una parte della retribuzione durante la gravidanza, con la “Legge”, che invece tale diritto riconosce e assicura, differenziando e privilegiando l’ipotesi del congedo obbligatorio per maternità da ogni altra ipotesi di congedo e assenza, ivi compresa la malattia, con la conseguenza che l’art. 12 del Regolamento, riferito anche al congedo straordinario per gravidanza e puerperio laddove esclude il riparto delle competenze di cui all’art. 21 r.d. cit., deve essere disapplicato in quanto vertente su diritti soggettivi valutabili in un quadro di giurisdizione esclusiva del g.a. (v. Cons. Stato, Sez. IV, 9.12.10, n. 8654; TAR Lazio, Sez. II bis, 9.5.07, n. 4984).

Le stesse fonti sovraordinate all’ordinamento nazionale, inoltre, muovono in tal senso laddove escludono la possibilità di dare luogo a discriminazioni relative al mantenimento o all’acquisizione di “diritti” nei confronti delle lavoratrici che usufruiscono di periodi di congedo per maternità (art. 9, par. 1, lett. f), direttiva 2006/54/CE), come invece accade nel caso di specie ove il “diritto” (così definito nell’art. 12 d.p.c.m. cit.) è escluso proprio in relazione alla fruizione di periodi di congedi per maternità.

Ne consegue che l’art. 12 d.p.c.m. cit., che limita la deroga all’esclusione del riparto previsto per i Procuratori e Avvocati dello Stato al solo caso di congedo “straordinario” di cui all’art. 37, comma 2, T.U. cit. senza prevedere tra questi anche il congedo per maternità, si pone in contrasto con tutte le richiamate norme, nazionali e sovraordinate.

Per una corretta ricostruzione del quadro esegetico di fondo, quindi, è altresì evidente, a rafforzamento di quanto ora precisato, la condivisibilità delle osservazioni delle ricorrenti, secondo le quali, il congedo “straordinario” cui dovrebbe fare riferimento l’art. 12 d.p.c.m. cit. per escludere il riparto in questione sarebbe il solo congedo da definirsi “facoltativo”, in quanto legato a generici “gravi motivi”, discrezionalmente concedibile dalla p.a., senza durata minima ma solo massima, sottoposto a trattamento economico deteriore rispetto a quello “per maternità” (v. art. 40 T.U. cit.), laddove – diversamente – quest’ultimo è invece fruibile per ipotesi “predeterminata”, è irrinunciabile, è concedibile “una tantum” e per un periodo minimo predefinito per legge ed è sottoposto a trattamento economico di favore rispetto ad altre forme di congedo (art. 41, comma 1, T.U. cit.).

Tale interpretazione è stata anche avallata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui circolare n. 14/2000 richiamata dalle ricorrenti, al punto 4.1. prevede la corresponsione per tutte le “lavoratrici-madri” e per il periodo di astensione obbligatoria il diritto all’intera retribuzione fissa mensile nonché al relativo trattamento “accessorio”. E’ vero che tale circolare riguarda le lavoratrici c.d “contrattualizzate”, secondo le osservazioni in merito della difesa erariale, ma ciò non toglie che il riferimento è utile per segnalare l’attenzione della P.C.M. verso il principio di “non discriminazione” ad esso sotteso, analogo a quello invocato dalle ricorrenti.

Sul punto, poi, valga il richiamo all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 151/2001, secondo cui: “Le indennità di cui al presente testo unico corrispondono, per le pubbliche amministrazioni, ai trattamenti economici previsti, ai sensi della legislazione vigente, da disposizioni normative e contrattuali. I trattamenti economici non possono essere inferiori alle predette indennità.” nonché ai successivi art. 3, per il quale: “È vietata qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti.” e art. 23, commi 1 e 2, secondo cui: “Agli effetti della determinazione della misura dell'indennità, per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità.

Al suddetto importo va aggiunto il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice.”.

Né in senso sostanziale contrario valgono le osservazioni difensive della stessa Avvocatura dello Stato.

Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui la “ratio” della censurata disposizione di cui all’art. 12 d.p.c.m. cit. risponderebbe alla logica di riconoscere il riparto in questione ai soli legali pubblici presenti in ufficio, essa non regge a fronte dell’osservazione per la quale vi sono casi in cui è riconosciuto dal medesimo art. 12 cit. a dipendenti non presenti (che richiama le ipotesi di deroga su ricordate dell’art. 37, comma 2, T.U. cit.).

Inoltre risulta – e la circostanza è provata documentalmente dalle ricorrenti e non smentita dalla difesa erariale – che durante il periodo di astensione siano stati comunque assegnati “affari” a ciascuna di esse, con aggravio del lavoro, sia pure da espletare successivamente, e con la evidente conclusione che le stesse sono state considerate “in servizio”.

E’ vero che l’assegnazione di affari risulta, ad esempio, anche nei confronti dei Procuratori e Avvocati dello Stato durante la fruizione del loro periodo di “ferie” ma a ciò è accompagnato comunque il riparto delle c.d. “propine”, che invece è negato alle ricorrenti, con la conseguenza che il sistema alla base della corresponsione del trattamento economico appare illogico e discriminatorio anche sotto tale profilo, nei limiti di quanto lamentato nel ricorso.

A ciò si aggiunga che il riparto in questione non riguarda il lavoro straordinario – secondo una tesi pure rappresentata dalla difesa erariale – dato che lo stesso Segretario Generale, nel rispondere alle ricorrenti, lo richiama per distinguerlo dal riparto ex art. 12 d.p.c.m. cit. di cui alla fattispecie in esame (per tutte, v. nota del 9.5.12 depositata in giudizio).

Tale riparto è invece riconducibile alle elargizioni di natura “retributiva” e non accessoria, secondo quanto attestato ormai dall’art. 9 d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014, per il primo profilo, e dal punto 3 della circolare INPS n. 6 del 16.1.2014, anche per il secondo profilo.

Ne consegue che non può essere ritenuta condivisibile neanche la tesi della difesa erariale, secondo la quale le ricorrenti – in quanto dipendenti “non contrattualizzate” - comunque beneficerebbero del trattamento “di maggior favore” di cui all’art. 41 T.U. cit. e all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 151/2001 (retribuzione al 100% in luogo dell’80% come invece per le altre lavoratrici alle dipendenza della p.a.), in quanto vi è stata comunque una decurtazione - “retributiva” per quanto detto in precedenza – pari al 50% almeno fino all’entrata in vigore del richiamato art. 9 d.l. n. 90/14 cit.

Altra tesi su cui si è fondata l’Avvocatura dello Stato è quella legata al valore “sostanziale” di norma primaria riconoscibile all’art. 12 d.p.c.m. cit., in virtù dell’espressa indicazione – al fine di “farlo proprio” – del medesimo contenuta nell’art. 21 r.d. n. 1611/33 cit. che si riferisce al regolamento sull’esazione degli onorari di Procuratori e Avvocati dello Stato, con la conseguenza di definire l’art. 12 cit. quale norma speciale che prevale sulle norme invocate dalle ricorrenti, pur ammettendo la stessa difesa erariale che tale regolamento è “attuativo” in virtù del rinvio espresso.

Il Collegio osserva che la natura di regolamento “attuativo” riconosciuta al d.p.c.m. in questione conferma la sua subordinazione alle fonti primarie legislative (Cons. Stato, Sez. IV, 15.9.03, n. 5158), tra cui non possono che richiamarsi quelle sopra descritte a tutela della “maternità”.

A ciò si aggiunga che l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 151/2001, quale norma speciale successiva, ha fatto salve solo le condizioni di maggior favore previste da leggi, regolamenti, contratti collettivi e ogni altra disposizione, tra cui non rientrano quelle di cui all’art. 12 d.p.c.m. cit., di certo non “di maggior favore” nei confronti delle dipendenti in questione in congedo per “maternità”.

Come condivisibilmente osservato anche dalle ricorrenti, infine, quand’anche fosse riconoscibile al d.p.c.m. in esame il rango di “fonte primaria”, esso sarebbe comunque in contrasto con la suddetta direttiva 2006/54/CE per quanto sopra precisato, con conseguente possibilità di disapplicazione “diretta” ad opera del Giudice nazionale (Cons. Stato, Sez. IV, 24.3.04, n. 1559).

Da ultimo, in relazione a giurisprudenza ritenuta contraria a quanto prospettato dalle ricorrenti, secondo il richiamo di cui alla memoria dell’Avvocatura dello Stato per l’ultima udienza pubblica, per quel che riguarda la sentenza TAR Campania, Na, Sez. IV, 15.4.16, n. 1874, il Collegio osserva che essa si riferiva alla ben diversa ipotesi di “esonero” dal servizio ai sensi dell’art. 72 d. l. n. 112/2008, conv. in l. n. 123/2008 (poi abrogato dall’art. 24, comma 14, d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011). Anzi – osserva il Collegio – tale richiamo conferma la tesi di fondo delle ricorrenti, in quanto l’assegnazione di affari nei loro confronti (ben cospicua secondo la documentazione acquisita in giudizio in seguito alla su ricordata ordinanza istruttoria), a differenza da chi era, appunto, “in esonero”, deve far ritenere che le stesse erano state invece considerate dall’Amministrazione a tutti gli effetti “in servizio” e quindi con rapporto di lavoro in atto.

La stessa sentenza del Tar partenopeo, infatti, rileva che la quota c.d. “variabile” del trattamento economico di Procuratori e Avvocati dello Stato postula, per il suo riconoscimento, il perdurante svolgimento dello stesso, trattandosi di prestazioni periodiche temporalmente correlate allo svolgimento del rapporto medesimo, e che ai fini del riconoscimento di tale quota variabile della retribuzione è dunque necessario che vi sia, a giustificazione della percezione di somme, lo svolgimento di attività lavorativa e, dunque, l’esistenza di un “rapporto di lavoro in atto”, mentre la sospensione del rapporto per collocamento “in esonero” determina in capo al dipendente il sorgere di un nuovo “status” giuridico, connotato dal mancato svolgimento del servizio e questa peculiarità impedisce la possibilità di computare emolumenti che trovano il loro necessario presupposto proprio ed esclusivamente nella prestazione dell’attività defensionale. Nel caso di specie tale attività per le ricorrenti vi è stata, in quanto hanno indubbiamente dovuto provvedere a seguire gli affari assegnati in costanza del periodo di “maternità”, senza mutamento di alcuno “status” giuridico, fermo restando che la ripartizione di parte dei proventi richiesti si riferiva anche a periodi precedenti, ove le stesse non avevano ancora fruito del relativo congedo.

Così pure non decisiva è l’ordinanza del TAR Calabria, Rc, 17.6.16, n. 706 – peraltro non avente alcun contenuto decisorio ma un’ampia motivazione sulla ritenuta non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 9, commi 3, 4 e 6, del d.l. n. 90/14 cit., conv. in l. n. 114/14 – in quanto non si riferisce allo specifico profilo della elargizione di compensi durante il congedo “per maternità” ma al generale intervento di cui alla norma suddetta in ordine alla rideterminazione dei compensi professionali degli Avvocati dello Stato. Inoltre, quel TAR ha affrontato la problematica alla sua attenzione in senso generale, evidenziando in un passaggio argomentativo che la componente retributiva “in senso proprio” è caratterizzata da “fissità” a differenza delle altre remunerazioni di prestazioni professionali generalmente rese nell’esercizio delle funzioni istituzionalmente rimesse ad Avvocati e Procuratori dello Stato, che non rientrerebbero nel concetto di “retribuzione in senso proprio”, atteso il carattere di variabilità che ne assiste la commisurazione.

Nel caso di specie all’esame del Collegio, però, non rileva l’individuazione della retribuzione “in senso proprio”, in quanto a fondamento vi è la normativa “speciale” su richiamata sulla tutela della maternità, tra cui in particolare l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 151/01 cit. (da leggersi in correlazione con i successivo artt. 3 e 23), che fa riferimento in realtà a tutti i trattamenti economici previsti ai sensi della legislazione vigente e non alla “retribuzione in senso proprio” quale “quota fissa”, come individuabile ai sensi della normativa sul trattamento economico dei Procuratori e Avvocati dello Stato.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve trovare accoglimento, con conseguente disapplicazione dell’art. 12 del d.p.c.m. 29.2.1972 nella parte in cui prevede il mancato diritto al riparto considerando tra casi di congedo straordinario che lo esclude quello obbligatorio per “maternità”.

Deve quindi darsi luogo alla declaratoria del diritto delle ricorrenti a percepire tutte le competenze spettanti loro ai sensi dell’art. 12 in questione e maturate a titolo di onorari di causa durante i periodi di astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio, secondo la normativa vigente “pro tempore”.

In riferimento al relativo ammontare, il Collegio rileva che la difesa erariale ha eccepito la prescrizione quinquennale del credito, in quanto riferito a pretese avanzate in costanza di rapporto di pubblico impiego dotato di “stabilità reale”

In merito, il Collegio rileva che le ricorrenti hanno osservato – senza contestazione da parte delle Amministrazioni costituite - che solo per l’avv. F.. eventualmente potrebbe rilevare tale eccezione per il breve periodo anteriore al quinquiennio precedente la notifica della diffida del 18.9.2014, quale atto interruttivo (dal 9.7.2009 al 17.9.2009), ma che comunque nel caso di specie non opererebbe l’art. 2948 c.c., in quanto la determinazione quantitativa del credito “da lavoro” è riconducibile interamente all’Amministrazione, previo accertamento delle condizioni necessarie per la relativa liquidazione (Cons. Stato, n. 2232/2007).

In effetti, nel caso di specie, in base alla stessa ricostruzione delle modalità di corresponsione del riparto per cui è causa - come illustrate nell’ultima memoria dell’Avvocatura dello Stato in ottemperanza all’ordinanza collegiale sopra richiamata - emerge che, pur in presenza di rapporto “stabile”, è la stessa Amministrazione a riconoscere e determinare quantitativamente il diritto vantato e con apposito atto formale, per cui nel caso di specie opera la prescrizione ordinaria decennale (Cons. Stato, Sez. V, 5.5.16, n. 1792 e Sez. IV 21.6.07 n. 3363).

Per quanto riguarda, infine, il cumulo tra rivalutazione e interessi, deve invece ritenersi condivisibile il richiamo della difesa erariale all’art. 22, comma 36, l. n. 724/1994 che tale cumulo esclude per i rapporti di lavoro “pubblico”, sia anche non contrattualizzato (Cons. Stato, Sez. IV, 1.7.15, n. 3254).

Ne consegue che deve essere considerata solo la maggior somma derivante, prendendo come riferimento la somma dovuta al netto delle ritenute contributive e fiscali (Cons. Stato, n. 3254/15 cit.).

Per quanto riguarda la specifica domanda di condanna al pagamento delle competenze singolarmente indicate dalle ricorrenti per ciascuna di esse, desumibile dal contenuto delle conclusioni del ricorso integrate nelle ultime memorie, il Collegio – per la complessità dei relativi calcoli da eseguire in conformità a quanto sopra precisato – ritiene di fare ricorso alla disposizione di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a., demandando alle parti di pervenire alla definizione di quanto a ciascuna ricorrente spettante, salvi i rimedi di cui alla medesima disposizione in caso di mancato accordo.

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la peculiarità e novità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 12 d.p.c.m. 29.2.1972 nei limiti dell’interesse delle ricorrenti e per quanto dedotto in motivazione, dichiara il loro diritto a percepire tutte le competenze spettanti in virtù del riparto previsto nell’art. 12 cit. maturate a titolo di onorari di causa per i periodi in cui sono state collocate in astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio, secondo la normativa vigente “pro tempore”, con la maggior somma tra rivalutazione e interessi legali da calcolare al netto delle ritenute contributive e fiscali.

Dispone che l’Avvocatura dello Stato provveda alla specifica liquidazione ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., entro trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Roberta Cicchese, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ivo Correale Carmine Volpe





IL SEGRETARIO