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Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven apr 08, 2016 12:15 pm
da panorama
Dal sito Senato della Repubblica
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Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-02744
Atto n. 3-02744 (in Commissione)

Pubblicato il 6 aprile 2016, nella seduta n. 604

MARTON , SANTANGELO , CRIMI , MORONESE , ENDRIZZI , DONNO , BERTOROTTA , AIROLA , MONTEVECCHI , PAGLINI , GIARRUSSO - Al Ministro della difesa. -

Premesso che il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53", all'articolo 39 (Riposi giornalieri della madre) ha disposto: "1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa», mentre all'articolo 40 (riposi giornalieri del padre) ha disposto: «I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre";

considerato che:

in data 16 settembre 2015, il sottosegretario di Stato alla difesa, Alfano, rispondeva in 4ª Commissione permanente (Difesa) del Senato, ad un'interrogazione, presentata il 3 giugno 2015 (3-01954), relativamente ad una circolare ministeriale che appariva in contrasto con il dettato normativo del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in particolare, l'articolo 40 "riposi giornalieri del padre". La circolare in questione della Direzione generale per il personale militare (prot. n. M_D GMIL 0080676 del 12 febbraio 2015) sembrava non riconoscere al padre i diritti dell'articolo 40, quando la madre fosse lavoratrice autonoma;

nella risposta orale, lo stesso sottosegretario Alfano rassicurava circa l'attuazione relativamente al personale militare di ogni parte della disposizione dell'articolo citato, riconoscendone la legittimità con il richiamo a 2 decisioni del Consiglio di Stato (decisioni n. 4293 del 6 giugno 2008, n. 4618 del 19 giugno 2014), che non lasciano dubbi circa l'estensione del beneficio del riposo al padre, nel caso in cui la madre sia lavoratrice autonoma;

risulta agli interroganti l'emanazione di un'altra circolare (prot. n. M_D GMIL 0431884 22-07-2015), che riconosce in maniera chiara, puntuale e manifesta il beneficio al padre militare dei riposi orari giornalieri, in conformità a quanto stabilito dall'art 40 della legge citata. Inoltre, la circolare, recependo l'ultimo orientamento giurisprudenziale, ribadisce che "il diritto ai riposi giornalieri compete al militare padre anche in tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente in capo alla madre: pertanto, non solo nel caso della madre che svolge attività lavorativa autonoma, ma anche in quello della madre che non svolge alcuna attività lavorativa o che, comunque, svolge un'attività non retribuita da terzi";

a parere degli interroganti, quest'ultima circolare, mette un punto fermo sul riconoscimento, anche in ambito militare, dei diritti genitoriali, in particolare della figura paterna che rispetto alla cura dei propri figli, gode degli stessi benefici di quella materna;

inoltre, risulta agli interroganti, che il parere del Consiglio di Stato (numero 00230/2016 del 3 febbraio 2016) ribadisce l'interpretazione della normativa nel senso di ritenere fruibili i benefici, anche nel caso in cui la moglie sia priva di impiego di qualsiasi natura;

è pervenuto, infine, all'attenzione del primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, un estratto della pubblicazione "C-14" (Compendio normativo in materia di congedi, licenze e permessi del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri) che, al capitolo X, chiarisce ulteriormente nei dettagli le modalità e i requisiti di ottenimento del beneficio dei permessi giornalieri per il minore;

considerato inoltre che a quanto risulta agli interroganti:

in data 22 febbraio 2016 l'Ufficio Comando - Sezione Segreteria e Personale dell'11 Battaglione Carabinieri "Puglia", nella persona del comandante Tenente Colonnello Giuseppe Sportelli, avrebbe determinato il diniego della concessione dei riposi giornalieri del padre, ai sensi della normativa richiamata, richiesti mediante istanza formulata il 5 febbraio 2016 dal brigadiere Massimo Di Ceglie, adducendo a motivazione ragioni di prevalente carattere organizzativo, interpretando la normativa in esame autonomamente, nel senso di poter derogare ai diritti ivi sanciti, anche per il personale militare per ragioni contingenti, connesse alle specifiche circostanze operative di reparto, senza che sia possibile tuttavia rilevare le fonti normative di tale presunto potere di deroga,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

se non ritenga opportuno attivare le procedure ispettive e conoscitive di competenza al fine di prendere in considerazione ogni eventuale profilo di mancata conformità tra il provvedimento di diniego e la ratio della normativa richiamata, ed, eventualmente, provvedere ad avviare ogni azione di competenza idonea a prevenire situazioni analoghe, oltre a ripristinare, nel caso di specie, la corretta applicazione delle previsioni normative e il buon andamento dell'attività amministrativa.

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Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven apr 29, 2016 9:17 am
da panorama
Ottimo, il Comando BTG "Puglia" di Bari fa marcia indietro.
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Legislatura 17ª - 4ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 173 del 27/04/2016

DIFESA (4ª)

MERCOLEDÌ 27 APRILE 2016

173ª Seduta

Presidenza del Presidente
LATORRE

Interviene il sottosegretario di Stato per la difesa Rossi.


La seduta inizia alle ore 15,10.


SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

OMISSIS

PROCEDURE INFORMATIVE

Interrogazioni

Il sottosegretario ALFANO risponde quindi all'interrogazione n. 3-02744, a firma del senatore Marton e di altri e relativa alla presunta mancata applicazione della normativa di tutela della paternità in un caso in Puglia osservando che la disciplina dei riposi giornalieri della madre e del padre, prevista dagli articoli 39 e 40 del decreto legislativo n. 151 del 2001, impone al datore di lavoro di consentire alle lavoratrici e ai lavoratori due ore di riposo, anche cumulabili nella giornata, durante il primo anno di vita del bambino.

Tali disposizioni sono state peraltro oggetto di numerose pronunce del Consiglio di Stato, sia in sede giurisdizionale che consultiva, con cui è stato chiarito (tra le molte sentenza n. 4618 del 2014) che trattandosi di normativa rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall’articolo 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di casalinga), che la distolgano dalla cura del neonato.

Nel caso in esame, rileva quindi che il Comando dell’11° Battaglione carabinieri "Puglia" che in un primo tempo aveva negato al richiedente la fruizione del beneficio del riposo giornaliero, successivamente, sulla base dei principi interpretativi forniti dalla giurisprudenza amministrativa, ha provveduto all'annullamento in autotutela del provvedimento di diniego ed ha adottato un nuovo provvedimento autorizzatorio del beneficio in questione.

Replica nuovamente il senatore MARTON (M5S), osservando che l'applicazione delle normative in questione da parte dell'Amministrazione della Difesa appare connotata da eccessiva discrezionalità; sottolinea perciò l'opportunità che il tema sia oggetto di un apposito intervento interpretativo al fine di vincolare tutte le strutture del Ministero.

Si dichiara pertanto insoddisfatto dei chiarimenti forniti dal rappresentante del Governo.


Il PRESIDENTE dichiara quindi concluse le odierne procedure informative.

La seduta termina alle ore 15,30.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mer apr 19, 2017 3:43 pm
da parabellum82
Salve, sebbene appaia chiaramente che detta concessione trovi applicazione nel contesto "padre Militare-mamma Casalinga", ad oggi, tra i colleghi CC, non ho mai trovato nessuno che abbia usufruito di detto permesso, tantomeno ne ho solo sentito parlare.
Dopo averne letto la materia che lo disciplina, la mia curiosità volge alla materiale applicazione del permesso in questione. Ovvero, ammesso che venga accettato dal superiore comando, come funziona?
1) - Il permesso vale in funzione dell'orario di servizio assegnato o no?
Spiego meglio: Il militare, in funzione del turno assegnatogli (es. 18-24 piantone), inizia o termina due ore prima il turno?
O deve essere il militare a presentare preventivamente le due ore di cui abbisogna nel giorno/i seguente/i così da poter essere eventualmente impiegato in altro turno lavorativo che rimarrebbe comunque di sei ore? Es. Il giorno prima viene richiesto il permesso dalle 10-12 ed il comandante in funzione di ciò, non potendolo impiegare agevolmente la mattina lo impiega in normale turno 18-24 di fatto accontentando la richiesta del militare sebbene vanificando il senso del c.d. "permesso per allattamento".
2) - L'orario può eventualmente essere spezzato?
Supponiamo che abbisogni di due ore dalle 10 alle 12 e venga comunque segnato di servizio esterno 08-14, cosa accade? Alle 10 interrompe il servizio per fruire del permesso e poi fa rientro al lavoro? O deve fruirne in maniera che non si spezzi il turno (es. 08-12 e due ore di permesso o 10-14 con due ore di permesso all'inizio)?
3) - E' vero che può essere richiesto solo a partire dal termine del terzo mese del pargoletto, seppur trattandosi di casalinga?
Grazie a chi vorrà porre delle delucidazioni in tal senso.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mer apr 19, 2017 5:29 pm
da panorama
Se leggi bene le sentenze qui postate, trovi che alcuni hanni fa, un collega APS. CC. effettivo al Comando Provinciale - Nucleo informativo - ha vinto il ricorso e a fruito dei permessi come da legge.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mer apr 19, 2017 5:30 pm
da panorama
Comando Provinciale di Cuneo.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: gio apr 20, 2017 12:33 pm
da parabellum82
Cito testualmente una frase estratta dal compendio C-14 dell'Arma dei CC, relativa ai "Riposi giornalieri della madre e del padre: natura del beneficio", oggetto della presente discussione:

[...] I riposi giornalieri non spettano al militare padre, quando la madre non svolge alcuna attività lavorativa, eccetto il caso in cui sia affetta da grave infermità. [...]

Tale affermazione contrasta nettamente con quanto impartito dal Min. della Difesa-Direzione Generale per il personale Militare con foglio datato 22.07.2015, reperibile qualche pagina indietro nella presente discussione, che riporto di seguito nella sola parte di interesse:

[...] Si precisa, inoltre, che, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale, il richiamato diritto ai riposi giornalieri compete al militare padre anche in tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente in capo alla madre: pertanto, non solo nel caso della madre che svolge attività lavorativa autonoma, ma anche in quello della madre che non svolge alcuna attività lavorativa [casalinga ndr] o che, comunque, svolge un' attività non retribuita da terzi. [...]

Mi chiedo se può una pubblicazione interna all'Arma, andare in deroga a quanto disposto dal Min. della Difesa.
Grazie.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven apr 21, 2017 3:02 pm
da panorama
C.G.A. - SM - Ufficio Legislazione - n. 72/87-5-1-2001 del 26 gennaio 2016.

vedi/leggi e scarica PDF se d'interesse.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven giu 09, 2017 12:53 pm
da panorama
La norma.

26 GIUGNO 2015 - "TUTELA DELLA MATERNITA' / PATERNITA' "

Sono disponibili gli aggiornamenti apportati al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 dal Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 80 recante "Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183" (pubblicato in S.O. n. 34 relativo alla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 144 del 24 giugno 2015).
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Testo in vigore dal: 10-2-2012

Art. 17 Estensione del divieto (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10)

1. Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.

((2. La Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, secondo quanto previsto dai commi 3 e 4, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 12, comma 2, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dalla Direzione territoriale del lavoro o dalla ASL per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.)) ((23))

3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 ((è disposta dall'azienda sanitaria locale, con modalità definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,)), secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice. ((23))

4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 ((è disposta dalla Direzione territoriale del lavoro)), d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attività di vigilanza ((emerga)) l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima. ((23))

5. I provvedimenti ((. . .)) previsti dai presente articolo sono definitivi. ((23))

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AGGIORNAMENTO (23) Il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2012, n. 35, ha disposto (con l'art. 15, comma 1, alinea) che le modifiche di cui al presente articolo decorrono dal 1° aprile 2012.

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Ricorso Accolto

1) - rigetto della richiesta di interdizione dal lavoro fino a sette mesi di età del figlio, ai sensi dell'art. 17, comma 2, lettera b) e c), del decreto legislativo del 26 marzo 2001 n.151.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201701342 - Public 2017-06-08 -

Numero 01342/2017 e data 08/06/2017 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 24 maggio 2017

NUMERO AFFARE 00547/2016

OGGETTO:
Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione territoriale di Cremona.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla signora A. O. contro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali avverso il provvedimento della Direzione territoriale del lavoro di Cremona, prot. n.10000, del 09 luglio 2015, di rigetto della richiesta di interdizione dal lavoro fino a sette mesi di età del figlio, ai sensi dell'art. 17, comma 2, lettera b) e c), del decreto legislativo del 26 marzo 2001 n.151.

LA SEZIONE
Vista la relazione n.000505.17 del 17 marzo 2016 con la quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Antonella Manzione.

Premesso e considerato:

La signora O., in servizio presso la casa circondariale di OMISSIS con funzioni di vice comandante, ha avanzato istanza di interdizione dal lavoro fino a sette mesi di età del figlio, nato il OMISSIS, ai sensi dell’art. 17, comma 2, lett. b) e c), del d.lgs. n. 151/2001. L’istruttoria di suddetta istanza, presentata il 25 marzo 2015, è correttamente avvenuta per il tramite dell’Amministrazione di appartenenza. Pertanto, in data 12 maggio 2015, il direttore dell’istituto, con provvedimento n. 11907, la inoltrava alla competente Direzione territoriale del lavoro di Cremona, specificando chiaramente, in particolare al punto 4 delle premesse, che “..non è possibile modificare temporaneamente l’orario di lavoro della lavoratrice, né spostare la stessa ad altre mansioni compatibili con il suo stato di allattamento, viste le funzioni di vice comandante di reparto attribuite dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e l’impossibilità di sostituzione durante la reperibilità nelle ore notturne, in caso ricopra il ruolo di Comandante di Reparto in assenza del Titolare”.

Malgrado tale precisa indicazione sul potenziale danno per il neonato e per la puerpera, che costituisce la base motivazionale cui il d.lgs. 8 marzo 2001, n.151, “Testo Unico delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2001, n.53”, condiziona la fruizione di determinati istituti di tutela, la Direzione territoriale del lavoro rigettava l’istanza con l’atto oggi impugnato dalla O...

La ricorrente lamenta molteplici violazioni di legge tra le quali quelle degli artt. 1, 2 e 21-bis della l.241/1990; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001; violazione degli artt. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 16, 17 del d.lgs. n. 151/2001 in relazione agli artt. 23 del d.lgs. n. 626/1994 e 13 del d.lgs. n. 81/2008; violazione della circolare del Direttore generale del 6 luglio 1999, incompetenza assoluta.

La Sezione ritiene il ricorso fondato, valutando sufficienti, sintetiche ed esaustive le motivazioni di cui alla relazione dell’Amministrazione riferente, in quanto assorbenti di ogni altra doglianza.

Risulta chiaro, infatti, che non sussiste alcun vizio in ordine alla competenza, essendo stato il procedimento regolarmente incardinato presso il datore di lavoro della ricorrente, istruito sotto il profilo delle previste valutazioni di spettanza dello stesso e successivamente inoltrato alla Direzione del lavoro di Cremona, in ossequio al combinato disposto degli artt. 9 e 17 del d.lgs. n. 151/2001. Del tutto immotivatamente suddetta Direzione del lavoro non ha invece tenuto conto delle chiare indicazioni della Direzione del carcere e ha negato l’interdizione dal lavoro fino a 7 mesi dopo il parto, per contro spettante in attuazione di quanto previsto dall’art. 7, comma 6 e dall’articolo 17, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 151/2001.

Suddetto provvedimento, infatti, avrebbe dovuto basarsi de relato sulla valutazione tecnico-sanitaria favorevole effettuata dall’Amministrazione della pubblica sicurezza e tener conto dell’avvenuto inoltro della stessa unitamente alla richiesta di interdizione prolungata avanzata da suddetta Amministrazione nell’interesse della lavoratrice, preso atto della oggettiva impossibilità di adibirla a mansioni non implicanti turnazioni e reperibilità, anche notturne.

La Sezione ritiene pertanto le motivazioni del diniego all’interdizione dal lavoro palesemente carenti e comunque illegittime.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Antonella Manzione Gabriele Carlotti




IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mer nov 01, 2017 12:08 pm
da panorama
Il Ministero dell'Interno vince l'Appello.

Il CdS ci ripensa su tutta la norma circa la moglie casalinga e sulle sentenze precedenti, sia per Militari che per le FF.OO..

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Il CdS scrive:

1) - Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.

N.B.: i punti cruciali sono indicati al n. 11.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201704993 - Public 2017-10-30 -
Pubblicato il 30/10/2017


N. 04993/2017REG.PROV.COLL.
N. 00140/2017 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 140 del 2017, proposto da Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Friuli – Venezia Giulia n. 323 del 24 giugno 2016, resa tra le parti, concernente rigetto di istanza di fruizione di periodi di riposo ex art. 40, lett. c), d.lgs. n. 151/2001.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato dello Stato Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. -OMISSIS-, sovrintendente della Polizia di Stato, ha proposto ricorso di fronte al T.a.r., competente ai sensi dell’art. 13, comma 2, c.p.a., avverso il provvedimento del Questore di Gorizia prot. n. ... del 26 giugno 2012, con cui è stata rigettata la sua istanza di fruizione dei periodi di riposo previsti dall’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 del 2001 (ai sensi del quale “I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore … c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”).

1.1. Il sig. -OMISSIS- ha chiesto, sul presupposto della spettanza del diritto alla fruizione dei periodi in parola, l’annullamento del provvedimento e la conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale subito, di importo “pari al numero dei permessi negati”.

1.2. Il ricorrente, in particolare, ha censurato l’esegesi della disposizione operata dall’Amministrazione ed ha, di contro, sostenuto di avere diritto a fruire dei periodi di riposo, giacché la sua compagna, in quanto casalinga, non sarebbe per definizione una “lavoratrice dipendente”.

2. Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r. ha accolto il ricorso quanto all’istanza demolitoria, mentre ha rigettato, per difetto dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, la conseguente richiesta risarcitoria.

2.1. Il Tribunale ha in particolare sostenuto, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151, che, “trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di "casalinga" ), che la distolgano dalla cura del neonato”.

3. Il Ministero dell’interno ha interposto appello, interamente incentrato sulla critica dell’esegesi dell’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 sostenuta in prima cure.

4. Il sig. -OMISSIS-, nonostante la regolarità della notifica, non si è costituito in giudizio.

5. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 28 settembre 2017, merita accoglimento.

6. Il Collegio, preliminarmente, affronta la problematica dell’applicazione, al personale della Polizia di Stato, della normativa dettata dal d.lgs. n. 151.

7. Per esigenze sistematiche, lo scrutinio di siffatta questione viene effettuato nell’ambito della più ampia disamina circa l’applicabilità della disciplina in questione anche alle Forze Armate (ed alle Forze di Polizia ad ordinamento militare).

7.1. Inizialmente la giurisprudenza, chiamata ad occuparsi dell’istituto della “assegnazione temporanea” contemplato dall’art. 42-bis (come noto introdotto nel corpo del d.lgs. n. 151 dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350), escluse, con valutazioni per vero potenzialmente estensibili a tutte le misure di ausilio alla genitorialità introdotte da detto decreto, che l’istituto in questione potesse essere applicato al personale appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia tutte, in relazione al particolare status rivestito e agli speciali compiti istituzionali svolti da tali organizzazioni (ex multis Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2010, n. 3278, tutte peraltro relative ad appartenenti alla Polizia di Stato).

7.2. La successiva giurisprudenza, tuttavia, ha mutato indirizzo.

7.2.1. In particolare questa Sezione, proseguendo una traiettoria esegetica anticipata dalle sentenze della Sesta Sezione 21 maggio 2013, n. 2730 e della stessa Quarta Sezione 10 luglio 2013, n. 3683, ha da ultimo ribadito, con la pronuncia 23 maggio 2016, n. 2113, relativa ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri, che “in linea generale deve osservarsi che il t.u. n. 151 del 2001 (in particolare gli artt. 1 e 2), non contiene alcuna limitazione soggettiva capace di escludere dal suo ambito applicativo gli appartenenti alle Forze armate e di Polizia, anzi, dall’esame degli artt. 9 e 10 si desume che esso potesse trovare integrale applicazione a tali categorie di personale; si tenga poi presente che l’art. 10 cit. è stato riassettato all’interno del codice (sub art. 1494), con sua contestuale abrogazione, per cui risulta ancor più evidente l’applicazione della specifica normativa al personale militare”.

7.2.2. La pronuncia, peraltro, aggiunge che il primario valore degli interessi pubblici perseguiti dalle Forze Armate e di Polizia rende non automatico e meccanicistico l’accoglimento degli istituti plasmati per l’impiego civile e, in particolare, di quelli individuati dal decreto n. 151; di contro, molteplici spunti normativi inducono a ritenere che l’introduzione di tali istituti nella disciplina ordinamentale delle Forze Armate e di Polizia incontri il limite della concreta compatibilità con le peculiarità del relativo impiego.

8. Invero, questo spunto pretorio trova una solida base normativa in alcuni articoli del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010).

8.1. Giova richiamare, in particolare:

- l’articolo 625, che stabilisce espressamente il principio, di generale valenza (anche ermeneutica, ai sensi dell’art. 12, primo comma, delle preleggi), della specificità ed autosufficienza dell’ordinamento del personale militare;

- l’art. 1465, secondo cui, premesso che “ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, “per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali”;

- l’art. 1493, di rilevante interesse nella presente vicenda, che subordina l’applicazione della normativa vigente per il personale delle Pubbliche Amministrazioni in materia di maternità e paternità alle condizioni proprie del “particolare stato rivestito” dal militare.

8.2. La disciplina dettata dal codice dell’ordinamento militare - coerentemente con la propria natura codicistica ed in applicazione della Costituzione, che all’art. 52, si riferisce espressamente ad un vero e proprio “ordinamento” delle Forze Armate - è, ove apprezzata con un approccio ermeneutico di ampio respiro, con ogni evidenza atta a connotare l’impiego militare di un carattere certamente separato dalle altre forme di impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e connotato da forti elementi di specialità (in questo senso, ex plurimis e da ultimo, Corte cost., n. 268 del 2016; Cons. stato, sez. IV, ord. 4 maggio 2017, n. 2043).

8.3. In particolare, l’osmosi con gli istituti dettati per gli impieghi civili alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è mediata, filtrata e conformata da un principio generale di preservazione delle specificità settoriali delle Forze Armate e di tutti i Corpi di Polizia, traguardate non come valore finale in sé, bensì come ineludibile esigenza strumentale, necessaria per consentire l’ottimale perseguimento delle peculiari e delicate funzioni loro proprie (ossia la difesa militare dello Stato per terra, mare ed aria e la prevenzione e repressione, anche con l’uso della forza, dei reati).

8.4. Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la trasposizione in ambiente militare (ivi incluse le Forze di Polizia ad ordinamento militare), fra l’altro, degli istituti a tutela della paternità e maternità dettati dall’ordinaria disciplina privatistica del rapporto di lavoro (e, dunque, applicabili anche all’impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, come noto retto da stilemi privatistici – cfr., del resto, gli artt. 2, comma 1, lett. e] del d.lgs. n. 151 del 2001 e 2, commi 2 e 3, t.u. n. 165 del 2001), sebbene sia in linea generale possibile giacché i militari sono pur sempre lavoratori dipendenti, è comunque in concreto limitata dalle eventuali “ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (così la richiamata sentenza n. 2113, cui si opera integrale riferimento).

8.5. Questa specificità strutturale dell’impiego militare è, per vero, propria anche del rapporto d’impiego alle dipendenze della Polizia di Stato, benché retta da un ordinamento civile.

8.5.1. Pur se estranee all’ambito ordinamentale propriamente militare, infatti, le Forze di Polizia ad ordinamento civile (la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria) sono state escluse dalla generale riconduzione a stilemi privatistici della disciplina del pubblico impiego (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001): evidentemente, la specificità dei relativi compiti è tale che, pur se con un ordinamento di carattere non militare, comunque le Forze di Polizia partecipano di quella stretta connessione con il nucleo vivo del pubblico potere da non tollerare l’assoggettamento all’ordinaria regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.

8.5.2. D’altronde, mentre la natura giuridica degli elementi portanti ordinamentali ha rilievo per così dire “interno” al Corpo, quale connotato della sua struttura, l’esclusione dalla generale privatizzazione del pubblico impiego riveste, ai fini della presente disamina, un significato ben maggiore, in quanto dimostra per tabulas la ontologica specificità del lavoro prestato da un poliziotto rispetto a quello prestato da un dipendente civile dello Stato.

8.5.3. La pregnanza del vincolo di dipendenza funzionale dai superiori, l’esercizio di poteri afferenti alla libertà personale dei cittadini, la strutturale dotazione di strumenti, quali le armi, di norma non disponibili per l’ordinario civis, la previsione di una normativa speciale di carattere sia ampliativo (art. 53 c.p.) sia riduttivo (art. 195, comma 4, c.p.p.) rispetto alle normali facoltà del cittadino costituiscono elementi oggettivi di rottura della continuità tipologica rispetto alle ordinarie forme di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione che, come hanno determinato sul piano legislativo l’esclusione dalla privatizzazione, così impongono, sul crinale interpretativo, di ritenere che l’applicazione degli istituti dettati con riferimento generale al lavoro dipendente (di diritto privato) debba avvenire nei limiti e con le modulazioni necessarie a preservare le peculiari connotazioni strutturali del Corpo.

8.6. In linea, del resto, con l’opinione di un’applicazione non automatica degli istituti del d.lgs. n. 151 all’impiego militare e di polizia (sia civile sia militare) è il vigente disposto dell’art. 32 del d.lgs. n. 151, novellato nel 2015: infatti, a tenore del comma 1-bis del menzionato articolo: “Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo” parentale.

8.7. E’, d’altronde, nota la teorica dei “diritti tiranni” elaborata dalla Corte costituzionale: la Corte, nella sentenza 9 maggio 2013 n. 85, ha statuito che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, tra cui vi è anche la difesa militare dello Stato (che l’art. 52 della Carta definisce “sacra”) e la prevenzione e repressione dei reati, condotte violative dell’ordine costituito che minacciano le libertà ed i diritti fondamentali dell’individuo, la cui pronta ed efficace tutela è condizione imprescindibile per la preservazione stessa dell’assetto costituzionale.

8.8. Tali affermazioni del Giudice delle leggi sono state, poi, riprese e consolidate in più recenti pronunce anche nell’ottica della tutela multilivello dei diritti fondamentali dell’uomo (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24; 2 marzo 2016, n. 63).

8.9. Può, pertanto, concludersi questa necessaria premessa osservando che gli istituti introdotti dal decreto n. 151 trovano sì applicazione per le Forze Armate e di Polizia (sia civile sia militare), ma con i limiti ed i vincoli rivenienti dalle specificità ordinamentali, operative ed organizzative di tali Corpi.

8.10. Per quanto qui di interesse, dunque, le istanze volte ad ottenere permessi e riposi a tutela della genitorialità debbono essere preliminarmente vagliate dall’Amministrazione, titolare in proposito di un potere valutativo – da esercitare caso per caso in considerazione delle complessive esigenze degli uffici ed in base a criteri di rigorosa proporzionalità e di necessaria strumentalità – teso non a delibare l’an del diritto, per vero stabilito a monte dalla legge, bensì a conformarne il quomodo in relazione alla tutela di puntuali, oggettive ed ineludibili ragioni organizzative, operative o logistiche.

8.11. Peraltro, si aggiunge incidenter tantum, benché la tutela della genitorialità non sia contenuta nell’elenco delle materie oggetto di concertazione di cui agli articoli 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 195 del 1995, cionondimeno le disposizioni dei vari provvedimenti di concertazione susseguitisi nel tempo hanno normato in ordine, tra l’altro, ai riposi giornalieri, per vero con disposizioni che non consentono né giustificano approdi ermeneutici diversi da quelli appena divisati.

8.11.1. In particolare:

- il d.p.r. n. 164 del 2002, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003”, ha stabilito che per le Forze di Polizia ad ordinamento civile si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” e che, per le Forze di Polizia ad ordinamento militare, “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del testo unico a tutela della maternità non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità” (articoli 17, comma 1 e 58, comma 8);

- il d.p.r. n. 170 del 2007, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il biennio economico 2006-2007” ha previsto, con riferimento a tutte le Forze di Polizia che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità” (articoli 15, comma 8 e 33, comma 8);

- il d.p.r. n. 51 del 2009, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007”, ha statuito, con riferimento a tutte le Forze di Polizia, ad ordinamento tanto civile quanto militare, che si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” (articoli 18 e 41).

8.11.2. Di contenuto analogo i provvedimenti di concertazione relativi al personale delle Forze Armate: l’art 14, comma 9, del d.p.r. n. 163 del 2002 e l’art. 15, comma 8, del d.p.r. n. 171 del 2007 stabiliscono che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità”, mentre l’art. 17 del d.p.r. n. 52 del 2009 prevede che al personale delle Forze armate si applica “quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”.

8.11.3. Viene, dunque, ribadita l’applicabilità settoriale delle disposizioni recate, in punto di riposi giornalieri, dal d.lgs. n. 151, senza, però, aggiungere (con previsione questa sì innovativa) che l’Amministrazione non ha, in proposito, quella discrezionalità in ordine al quomodo della relativa fruizione che, secondo l’impostazione esegetica qui accolta, è di contro intrinseca alle funzioni, all’assetto, alla struttura stessa delle Forze Armate e di Polizia e che può esplicarsi sia con provvedimenti di carattere generale, sia con (rigorosamente motivate) decisioni afferenti a singole istanze.

9. Tutto quanto sopra premesso, può ora passarsi alla specifica problematica oggetto del presente giudizio, ossia l’interpretazione da riconoscere al mentovato art. 40 del decreto in commento.

9.1. Giova, preliminarmente, rilevare che l’Amministrazione ha fondato la reiezione dell’istanza del sig. -OMISSIS- solo sull’esegesi dell’art. 40 e non (come pure in linea teorica avrebbe potuto) su specifici profili di concreta incompatibilità della fruizione dei riposi, così come richiesti, con le esigenze operative del Corpo.

9.2. Orbene, il d.lgs. n. 151, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, stabilisce, inter alia, il diritto rispettivamente della madre (art. 39) e del padre (art. 40) lavoratori dipendenti alla fruizione di “riposi giornalieri” al fine di accudire il neonato nel corso del suo primo anno di vita.

9.2.1. In particolare, l’art. 39 dispone che “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.

2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.

3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.

9.2.2. L’art. 40, similmente, prevede che “1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.

10. L’orientamento esegetico della giurisprudenza di questo Consiglio è, per vero, ondivago in ordine all’interpretazione da riconoscere alla locuzione “lavoratrice dipendente” di cui alla riferita lett. c) dell’art. 40.

10.1. Inizialmente la Sez. VI, nella sentenza 9 settembre 2008 n. 4293, ha ritenuto che, “posto che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.

In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.

10.2. Di lì a poco, tuttavia, la Sez. I, con il parere del 22 ottobre 2009 relativo all’affare n. 2732/2009, ha sostenuto la tesi diametralmente opposta.

10.2.1. In tale arresto la Sezione, premesso un articolato excursus circa la materia del diritto di famiglia con particolare riferimento ai vari istituti normativi di ausilio alla genitorialità, ha premesso che l’articolo 40 del d.lgs. n. 151 costituisce espressione del principio dell’alternatività della cura del minore, cui la legge vuole assicurare la presenza di almeno uno dei due genitori, stimati ambedue parimenti idonei a prestare la necessaria assistenza.

10.2.2. In tale ottica, ha argomentato la Sezione, la donna casalinga non può, ai sensi e per gli effetti della disposizione in esame, essere parificata alla donna “non lavoratrice dipendente”, posto che “la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”; d’altronde, “l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.

10.2.3. In definitiva, ha concluso la Sezione, con la disposizione in commento “il legislatore ha inteso tutelare le esigenze” del minore “garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale)”.

10.3. In seguito, tuttavia, la Sezione III, con la pronuncia 10 settembre 2014, n. 4618 è tornata all’iniziale orientamento, sulla base di rilievi sia testuali sia sistematici.

10.3.1. Sul crinale testuale, si è ivi sostenuto che il tenore letterale della disposizione (“nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”) include, “secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula <<nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente>>. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa”.

10.3.2. Sul crinale sistematico-teleologico, poi, si è affermato che “Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.

10.4. Su una posizione intermedia si è collocato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con la pronuncia 20 dicembre 2012, n. 1241, sostenendo che “il padre”, cui la legge non riconoscerebbe “un diritto «proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre” alla fruizione dei riposi giornalieri, “deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie casalinga (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino”.

10.5. In direzione analoga si era orientata anche la giurisprudenza di merito.

10.5.1. In particolare, la sentenza del T.a.r. per la Liguria, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 222 (relativa ad un appartenente alla Polizia di Stato e poi, peraltro, riformata dalla menzionata sentenza di questo Consiglio n. 4618 del 2014) sosteneva, nell’ambito di un articolato iter motivazionale, che, “con riguardo al diritto di fruire, ai sensi degli art. 39 e 40 d.leg. n. 151 del 2001, di due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non è giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio in favore del padre; ciò non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga; ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari); deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’amministrazione di appartenenza”.

11. Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.

11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.

11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.

11.3. Del resto, benché l’istituto in questione - de jure condito scisso dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi - non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.

11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l’interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.

11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l’inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all’art. 147 c.c., doverosa nell’an, è comunque rimessa, in concreto, all’articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.

11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un’attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.

11.7. L’attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l’attenzione ai bisogni del neonato.

11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.

11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l’istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l’interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.

11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l’istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.

11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.

11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l’altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un’inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.

11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 – 69 e 70 - 73 del d.lgs. n. 151.

11.14. Peraltro, se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un’esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma.

11.15. In proposito il Collegio rileva che non risulta che il sig. -OMISSIS- abbia dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l’assistenza domestica alla prole: l’unico elemento addotto, per vero, è rappresentato dall’allegata mancanza, in capo alla signora, della patente di guida, profilo che, tuttavia, non è materialmente di ostacolo alla prestazione domestica di cure al neonato.

11.16. Più in generale, il Collegio osserva che il tenore testuale della disposizione, dettata nell’ambito della disciplina privatistica del rapporto di lavoro, lumeggia l’intenzione del Legislatore di raggiungere una soluzione bilanciata che consenta di tutelare il fondamentale interesse del bambino con il minimo sacrificio possibile per il datore di lavoro e, in generale, per le esigenze della produzione, cui pure è annesso (e dalla norma in questione implicitamente riconosciuto e qualificato) un rilievo sì recessivo e cedevole, ma non del tutto obliterabile (cfr. la richiamata teorica dei “diritti tiranni”).

11.17. A fortiori, in considerazione del rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento.

12. In conclusione, l’appello merita accoglimento, con conseguente integrale rigetto del ricorso svolto in prime cure dal sig. -OMISSIS-.

13. La particolarità e novità della quaestio juris sottesa alla presente causa giustifica, a mente del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli





IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mar gen 30, 2018 10:34 pm
da panorama
Il CdS accoglie l'appello dell'Amministrazione e si sta andando in discesa.
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- ) - PolStato, coniugato con moglie casalinga.

- ) - sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269

Il CdS precisa:

1) - Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016.

2) - Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga.

3) - Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA BREVE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201800628
- Public 2018-01-30 -

Pubblicato il 30/01/2018

N. 00628/2018 REG. PROV. COLL.
N. 08831/2017 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 8831 del 2017, proposto dal Ministero dell'interno - Dipartimento della P.S., Direzione centrale per le risorse umane - Questura di Gorizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Dato atto che per le parti nessuno è comparso;


Il signor -OMISSIS-, sovrintendente P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato con moglie casalinga.

Con provvedimento del Questore di Gorizia del 6 aprile 2017, la domanda è stata respinta.

Il signor -OMISSIS- ha impugnato il diniego mediante un ricorso che il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, ha accolto con sentenza in forma semplificata 2 agosto 2017, n. 269, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite. Nel motivare, il Tribunale territoriale ha richiamato la propria precedente decisione 24 giugno 2016, n. 323.

L’Amministrazione dell’interno ha impugnato la sentenza n. 269/2017, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, ricordando il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato.

L’originario ricorrente non si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

Alla camera di consiglio del 18 gennaio 2018, nella quale nessuna delle parti è comparsa, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Nella sussistenza dei presupposti di legge, il Collegio è dell’avviso di poter definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016. Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga. Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.

A tale precedente il Collegio stima di conformarsi integralmente ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.

Di conseguenza - come detto - l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Tenuto conto delle ricordate incertezze della giurisprudenza, solo di recente stabilizzatasi, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Castiglia Filippo Patroni Griffi





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mar mar 06, 2018 1:58 pm
da naturopata
Per quanto d'interesse la nuova circolare M_D GMIL REG2018 0160908 05-03-2018:

MINISTERO DELLA DIFESA
DIREZIONE GENERALE PER IL PERSONALE MILITARE

Indirizzo Postale: Viale dell’Esercito, 186 – 00143 ROMA
Posta Elettronica: persomil@postacert.difesa.it persomil@persomil.difesa.it

All.: 3; ann.: //.
OGGETTO: Riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento). Modifica delle disposizioni vigenti.


A (VEDASI ELENCO INDIRIZZI IN ALLEGATO A)


^^^ ^^^ ^^^ ^^^ Seguito:
a. circolare n. M_D GMIL 0080676 del 12 febbraio 2015 (Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari);
b. circolare n. M_D GMIL 0431884 del 22 luglio 2015;
c. circolare n. M_D GMIL 0855250 del 3 dicembre 2015 (Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi).
^^^ ^^^ ^^^ ^^^

1. I riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento), previsti dagli artt. 39 e 40 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono stati disciplinati da questa Direzione Generale con il compendio a seguito a., come successivamente modificato dalla circolare a seguito b..

2. L’istituto in esame è stato oggetto negli ultimi anni di un contrasto giurisprudenziale relativamente alla concessione dei riposi giornalieri al lavoratore padre nel caso di madre casalinga.
Con sentenza n. 4993/2017, il Consiglio di Stato ha definitivamente risolto i dubbi interpretativi, affermando, in sostanza, che al padre non spetta il beneficio nel caso di madre casalinga, in quanto la presenza domestica di quest’ultima rende possibile l’attenzione ai bisogni del neonato; l’Alto Consesso ha, comunque, riconosciuto al padre la possibilità di fruirne in casi eccezionali, e cioè quando la madre casalinga non possa attendere alla cura del neonato per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni.

3. Sono state, pertanto, apportate le dovute modifiche al:
 paragrafo 7 del Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari (Allegato B alla presente circolare);
 a pagina 17 dell’allegato B dello Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi
(Allegato C alla presente circolare).

4. Gli Enti in indirizzo sono invitati a curare la capillare diramazione della presente circolare, consultabile, tra l’altro, sul sito http://www.persomil.difesa.it" onclick="window.open(this.href);return false; di questa Direzione Generale, a tutti i Comandi/Enti dipendenti.

d’ordine
IL VICE DIRETTORE GENERALE
(C.A. Enrico GIURELLI)

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mar mar 06, 2018 3:57 pm
da panorama
vedi leggi e scarica PDF se d'interesse

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mar mar 06, 2018 4:09 pm
da panorama
vedi allegati B e C

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven lug 13, 2018 8:48 pm
da panorama
1) - La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

2) - I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi.

3) - Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

La Corte Costituzionale con sentenza 158/2018 ha concluso così:

4) - dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

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Deposito 13/07/2018 (dalla 158 alla 158)

S. 158/2018 del 23/05/2018

Udienza Pubblica del 22/05/2018, Presidente: LATTANZI, Redattore: SCIARRA

Norme impugnate: Art. 24 del decreto legislativo 26/03/2001, n. 151.
_________________________

Oggetto: Maternità e infanzia - Indennità giornaliera di maternità - Condizioni - Previsione che tra la sospensione del rapporto di lavoro e l'inizio del periodo di congedo di maternità non siano decorsi più di sessanta giorni - Mancata previsione, tra le ipotesi di deroga al computo dei sessanta giorni, dell'assenza per congedo straordinario per l'assistenza al coniuge con grave disabilità.
________________________

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale

Atti decisi: ord. 130/2017; 47/2018

------------------------

SENTENZA N. 158
ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre 2017, iscritte rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2017 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione di E.T.R. F.;

udito nella udienza pubblica del 22 maggio e nella camera di consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 aprile 2017, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, d.lgs. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di 60 giorni».

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della necessità di assistere un coniuge gravemente disabile, del congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1° luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».

La ricorrente nel giudizio principale ha chiesto di condannare l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere «il trattamento economico di maternità per l’intera durata del congedo di maternità, compreso il periodo di interdizione anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le sarebbe stato originariamente negato sul presupposto che l’interdizione anticipata del lavoro per gravidanza a rischio era «avvenuta senza effettiva ripresa dell’attività lavorativa da parte della ricorrente».

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la disposizione censurata impedisce di riconoscere l’indennità di maternità alla parte ricorrente, «in ragione della sua pregressa assenza dal lavoro per più di 60 giorni».

All’inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da più di sessanta giorni del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001. Per questa specifica ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro la legge non prevede che sia comunque corrisposto il trattamento di maternità, come nelle altre fattispecie tassativamente previste dall’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo muove dalla premessa che l’indennità di maternità miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che la lavoratrice possa essere pregiudicata a causa degli impegni connessi alla cura del bambino.

Per effetto della disposizione censurata, la lavoratrice in gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l’assistenza del coniuge disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’inizio del periodo di astensione obbligatoria e rischierebbe di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le «complicanze della gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine di un congedo straordinario».

Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso, del «diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare» e, per altro verso, del «diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile», scegliendo liberamente il momento in cui diventare madre.

In particolare, nel negare l’indennità di maternità quando il rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessità di assistere il coniuge disabile, la disciplina censurata pregiudicherebbe la speciale protezione della maternità, sancita dagli artt. 31 e 37 Cost.

Il rimettente assume, inoltre, che la disposizione in esame contrasti con «il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.», in quanto nega l’indennità di maternità alla lavoratrice che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessità di assistere il coniuge disabile e determina una disparità di trattamento priva di «ogni giustificazione razionale» tra tale fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela», e le ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento, della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede che l’indennità di maternità sia corrisposta anche alla lavoratrice assente dal servizio da più di sessanta giorni.

Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che enunciano «il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternità retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale in caso di maternità». Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», integrerebbe, difatti, una discriminazione a causa del sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità come espressamente enunciato dall’art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva 2006/54 e trasposto nell’ordinamento all’art. 2 bis del d.lgs. n. 198/06», e a causa della disabilità, in contrasto con le previsioni «della direttiva 2000/78, attuata col d.lgs. n. 216/03», e in particolare con «il divieto di discriminazione fondato sull’handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche a chi gli presta assistenza.

Il rimettente, in ragione della tassatività delle ipotesi in cui il trattamento di maternità è corrisposto anche a prescindere da una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo superiore a sessanta giorni, reputa impraticabile l’interpretazione adeguatrice e ravvisa la necessità di investire la Corte costituzionale per la soluzione del dubbio di costituzionalità.

Questa necessità non potrebbe dirsi superata dal fatto che il conflitto tra norme interne e norme dell’Unione europea di diretta applicazione possa essere risolto disapplicando la norma interna incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il conflitto della norma interna con i principi della Costituzione riconosciuti anche dal diritto euro unitario può essere risolto solo attraverso un espresso sindacato di legittimità sull’atto legislativo ordinario da parte dell’Organo competente», e non già attraverso la disapplicazione delle norme di rango legislativo in ipotesi contrastanti con i precetti costituzionali.

2.– Con atto depositato il 24 ottobre 2017, si è costituita E.T.R. F., chiedendo di accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.

Il trattamento economico di maternità, al pari del congedo di maternità e del divieto di licenziamento, attuerebbe la speciale protezione che l’art. 37 Cost. assicura alla madre lavoratrice e al bambino, e il principio di eguaglianza sostanziale presidiato dall’art. 3, secondo comma, Cost.

Il sostegno economico alla lavoratrice madre perseguirebbe l’obiettivo di tutelare la salute della donna e del nascituro e di salvaguardare la libertà della lavoratrice di essere madre, senza limitazioni o condizionamenti derivanti dalla prospettiva della perdita del reddito lavorativo.

Il congedo straordinario regolato dall’art. 42 d.lgs. n. 151 del 2001 adempirebbe alla funzione di tutelare la salute psico-fisica del disabile e di promuoverne l’integrazione all’interno della famiglia, che svolge un fondamentale ruolo di assistenza. Tale fattispecie di congedo straordinario meriterebbe, ai fini del trattamento economico di maternità, la medesima tutela riconosciuta nelle altre ipotesi, in cui la legge concede l’indennità di maternità anche a lavoratrici che non siano in servizio da più di sessanta giorni.

La disposizione censurata, nel negare l’indennità di maternità alla madre lavoratrice che dapprima sia stata assente dal lavoro per assistere il coniuge disabile e poi sia stata collocata in interdizione anticipata dal lavoro a causa di gravi complicanze nella gestazione, vanificherebbe la speciale protezione accordata dagli artt. 31 e 37 Cost.

Tale disciplina sarebbe irragionevole e lesiva del principio di non discriminazione in ragione del sesso e della disabilità, enunciato dagli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE.

3.– Con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 2018, il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui […] non annovera anche il congedo straordinario ex art. 42 co. 5 e co. 5ter d.lgs. 151/2001 (spettante al genitore di soggetto affetto da handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4 co. 1 L. 5.2.1992, n. 104) tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio dell’assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo di congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

3.1.– Il rimettente riferisce di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice che, dal 4 aprile 2016, fruisce di un congedo straordinario per l’assistenza di un figlio in condizione di disabilità grave e dal maggio 2016 ha iniziato una nuova gravidanza.

La domanda di indennità giornaliera di maternità è stata respinta dall’INPS, in quanto erano trascorsi più di sessanta giorni dall’inizio del congedo straordinario.

3.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, in virtù della disposizione censurata, il ricorso dovrebbe essere rigettato, in quanto, all’inizio del periodo di congedo di maternità (23 agosto 2016), il rapporto di lavoro era sospeso da più di sessanta giorni. Già dal 4 aprile 2016 la parte ricorrente godeva del congedo straordinario per assistere il figlio minore gravemente disabile e, dal 23 agosto 2016, in forza di provvedimento dell’azienda sanitaria, ha dovuto astenersi in anticipo dal lavoro.

Il rimettente puntualizza, sulla scorta delle affermazioni della sentenza 24 marzo 2017, n. 7675, della Corte di cassazione, sezione lavoro, che i periodi di assenza volontaria dal lavoro a titolo di aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione non sono esclusi dal computo dei sessanta giorni che precedono l’inizio del congedo di maternità.

3.3.– In merito alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo muove dal presupposto che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il fondamento della protezione sia ricondotto alla maternità in quanto tale e non più allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata.

L’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2011 prevede che non si debba tener conto, ai fini del computo dei sessanta giorni di sospensione del rapporto di lavoro, delle assenze dovute a malattia e a infortuni sul lavoro, del periodo di congedo parentale fruito per una precedente maternità, del congedo per la malattia del figlio, del periodo di assenza per accudire minori in affidamento, del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Il legislatore ha dunque recepito le indicazioni della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l’assenza facoltativa non retribuita per una precedente maternità (si menziona la sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidati in preadozione (il richiamo è alla sentenza n. 332 del 1988).

Per altro verso, il legislatore ha scelto di escludere dal computo dei sessanta giorni anche il congedo per la malattia del figlio e l’assenza prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Ad avviso del rimettente, l’assetto delineato dal legislatore si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, senza alcuna giustificazione ragionevole, pur trattandosi di situazioni «espressive di esigenze di tutela assai simili», annovera il congedo per la malattia del figlio ex art. 47 d.lgs. n. 151 del 2001 ed esclude, per contro, il congedo straordinario che spetta al genitore di un figlio con handicap in situazione di gravità accertata «tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio della assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo del congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

Sarebbero violati anche l’art. 31 e l’art. 37, primo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata, nell’escludere dal godimento dell’indennità di maternità la donna che da più di sessanta giorni benefici del congedo straordinario per assistere un figlio gravemente disabile, contrasterebbe con i princìpi di tutela della maternità e comprometterebbe la speciale protezione della madre e del bambino, che l’istituto dell’indennità di maternità concorre a garantire.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

5.– All’udienza del 22 maggio 2018, E.T.R. F., unica parte costituita, ha ribadito le conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Torino e il Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non annovera il congedo previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per l’assistenza, rispettivamente, al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), tra i periodi di cui non si tiene conto ai fini del computo di quell’arco temporale di sessanta giorni tra l’inizio della sospensione o dell’assenza e l’inizio del periodo di congedo di maternità, superato il quale l’attribuzione dell’indennità di maternità risulta preclusa.

Entrambi i rimettenti, dopo aver posto in risalto la specifica funzione dell’indennità di maternità, volta a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare ogni pregiudizio connesso alla libera scelta della maternità, argomentano che il diniego dell’indennità di maternità, quando siano trascorsi più di sessanta giorni tra l’inizio della fruizione del congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, vanifica la speciale protezione della maternità garantita dalla Carta fondamentale (artt. 31 e 37 della Costituzione).

Il Tribunale di Torino, in particolare, rileva che la disciplina censurata «pregiudica il diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare ed il diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile (laddove impone a quest’ultima, qualora insorga uno stato di gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’astensione obbligatoria)» e, in pari tempo, sacrifica «la libertà della lavoratrice di scegliere quando diventare madre», esponendola al rischio di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le complicazioni della gestazione impediscano «la ripresa del servizio al termine del congedo straordinario».

La disciplina censurata sarebbe lesiva, altresì, dell’art. 3 Cost., in quanto, in difetto di ogni ragionevole giustificazione, riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice costretta ad assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili.

Il Tribunale di Torino, in particolare, denuncia la violazione del «principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.». La lavoratrice che si dedica all’assistenza al coniuge disabile non sarebbe «meritevole di una minor tutela» rispetto alla lavoratrice assente per «malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento» o rispetto all’ipotesi «della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione».

Il Tribunale di Trento ravvisa il contrasto con il «principio di eguaglianza formale ex art. 3 co. 1 Cost.» e indica come specifico termine di raffronto la fattispecie «della lavoratrice madre che si trova in congedo ex art. 47 segg. d.lgs. 151/2001 per assistere il figlio ammalato» e perciò beneficia dell’esclusione di tale congedo dal computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

Il Tribunale di Torino prospetta anche il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», contravverrebbe al divieto di discriminazione con riguardo al sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità», e alla disabilità, divieto che tutela anche chi presti al disabile la necessaria assistenza.

2.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in larga parte coincidenti, relative alla disciplina del computo dei sessanta giorni tra l’inizio del congedo straordinario e l’inizio del periodo di congedo di maternità. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

3.– Le questioni sono fondate, nei termini e per i motivi di séguito esposti.

4.– Il testo unico del 2001 appresta una disciplina articolata delle diverse ipotesi di sospensione e di interruzione dell’attività lavorativa, anteriori all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, e delle fattispecie in cui l’indennità di maternità è concessa anche quando sia trascorso un periodo superiore a sessanta giorni tra l’assenza e la sospensione e l’inizio dell’astensione obbligatoria. Su tale disciplina, che è utile ripercorrere nella sua evoluzione diacronica, si è innestata la giurisprudenza di questa Corte, come si vedrà in seguito.

La legge, in particolare, accorda l’indennità giornaliera di maternità anche alle «lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate», purché «tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni» (art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001).

L’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 esclude dal computo dei sessanta giorni le «assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali», il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità», il «periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento» e il «periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale».

Una disciplina peculiare è dettata a favore della lavoratrice che, all’inizio del periodo di congedo di maternità, fruisca dell’indennità di disoccupazione (art. 24, commi 4 e 5, d.lgs. n. 151 del 2001), del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni (art. 24, comma 6, d.lgs. n. 151 del 2001) o dell’indennità di mobilità (art. 24, comma 7, d.lgs. n. 151 del 2001).

La normativa vigente ha riprodotto le previsioni dell’art. 17 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), che già menzionava le assenze dovute a malattia e infortunio e disciplinava le fattispecie del godimento dell’indennità di disoccupazione e del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni, recependo anche gli interventi di questa Corte, che hanno via via esteso l’àmbito applicativo del beneficio dell’indennità di maternità.

L’art. 17, secondo comma, legge n. 1204 del 1971 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima nella parte in cui non escludeva – dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro – l’assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice gestante avesse goduto in séguito a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidatile in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La declaratoria di illegittimità costituzionale ha poi investito lo stesso art. 17, secondo comma, nella parte cui negava l’indennità giornaliera di maternità alle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell’attività lavorativa, allorché il periodo di astensione obbligatoria avesse avuto inizio più di sessanta giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro (sentenza n. 132 del 1991).

5.– La disciplina censurata si colloca, come già anticipato, nell’evoluzione normativa, ripercorsa nei suoi tratti salienti.

I giudici a quibus muovono dalla premessa che l’elencazione dell’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001 sia tassativa e non possa essere integrata attraverso un’interpretazione adeguatrice. La legge, in particolare, non contemplerebbe il congedo straordinario che l’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 prevede a favore del coniuge convivente e della madre per l’assistenza a «soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104».

I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi. Queste precise richieste delimitano il tema del decidere devoluto all’esame di questa Corte.

Il dubbio di costituzionalità è originato da una plausibile premessa ermeneutica.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’attribuire carattere tassativo alle deroghe delineate dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 14 luglio 2017, n. 17524 e 24 marzo 2017, n. 7675), in coerenza con l’orientamento di questa Corte, che riconduce alla valutazione discrezionale del legislatore l’individuazione delle particolari fattispecie in cui non rileva una cesura superiore a sessanta giorni tra l’assenza della lavoratrice e la sospensione del suo rapporto di lavoro, da un lato, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, dall’altro (sentenza n. 106 del 1980, punto 5. del Considerato in diritto).

6.– Il legislatore, pur nell’àmbito di tali scelte discrezionali, si propone di apprestare una tutela effettiva e coerente con il dettato costituzionale, che conferisce alla Repubblica il compito di proteggere la maternità e l’infanzia, «favorendo gli istituti necessari a tale scopo» (art. 31, secondo comma, Cost.), e prescrive «una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.) per la madre e il bambino, accomunati in una prospettiva di tutela unitaria, in armonia con l’unicità della relazione esistenziale che li lega (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto).

La Carta fondamentale impone di proteggere la salute fisica della donna e del bambino e tutto il complesso rapporto che si instaura tra madre e figlio, con le «esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino» (sentenze n. 61 del 1991, punto 4. del Considerato in diritto, e n. 1 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto), e di «impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie» (sentenza n. 423 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto).

Nel definire i presupposti dell’indennità di maternità, «crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), le scelte legislative, pur diversamente modulate con riferimento alle peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il fondamento della tutela costituzionale della maternità, che risiede nella maternità in quanto tale (sentenza n. 361 del 2000, punto 4.1. del Considerato in diritto) e vieta «una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela» (sentenza n. 405 del 2001, punto 2.1. del Considerato in diritto)

7.– La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

7.1.– La legge riconosce il diritto a percepire l’indennità di maternità se si può ritenere, in ragione della brevità del tempo trascorso «tra la cessazione del lavoro e l’inizio del periodo di astensione obbligatoria» o in ragione di altri specifici elementi, che la lavoratrice sia «ancora inserita nel circuito del lavoro allorquando il periodo di astensione obbligatoria ha avuto inizio» (sentenza n. 132 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto), o se ricorrano esigenze preminenti di tutela, connesse a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) o alla cura di un minore affidato in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La disposizione censurata non annovera tra le esigenze preminenti di tutela la necessaria assistenza del coniuge o del figlio disabili, in forza di un congedo straordinario concesso ai sensi dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001.

7.2.– Questa omissione è posta al centro delle censure mosse dai rimettenti.

Nel negare l’indennità di maternità alla madre che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, benefici da più di sessanta giorni di un congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o al figlio in condizioni di grave disabilità, la disposizione censurata sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che l’art. 37, primo comma, Cost. accorda alla madre lavoratrice e al bambino. Quest’ultima previsione specifica e rafforza la tutela della maternità e dell’infanzia già sancita in termini generali dall’art. 31, secondo comma, Cost.

L’esclusione del congedo straordinario si rivela irragionevole anche alla luce delle speciali previsioni dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei sessanta giorni tra l’inizio dell’assenza e l’inizio dell’astensione obbligatoria il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità». La deroga prevista per tali congedi si ispira a un’esigenza preminente di tutela, cosicché l’indennità di maternità è dovuta anche quando la discontinuità del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni.

Nelle due ipotesi di congedo straordinario per assistere il coniuge o un figlio in condizioni di grave disabilità emergono esigenze di tutela egualmente rilevanti.

Si tratta, infatti, di congedo straordinario subordinato a presupposti oggettivi e temporali rigorosi, non equiparabile ad altre assenze, giustificate da motivi personali e di famiglia, che incidono sul computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

La giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a scandire l’evoluzione del beneficio in esame e ad ampliarne l’àmbito applicativo. Dapprima esteso ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità accertata, i cui genitori siano totalmente inabili (sentenza n. 233 del 2005), il congedo straordinario ha successivamente riguardato, in via prioritaria, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, in difetto di altri soggetti idonei, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009) e il parente o l’affine entro il terzo grado convivente (sentenza n. 203 del 2013).

L’estensione dei beneficiari del congedo straordinario risponde all’esigenza di garantire la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, allo scopo di tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.

L’assetto prefigurato dal legislatore pregiudica la madre che si faccia carico anche dell’assistenza al coniuge o al figlio disabili, e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. Con l’imporre una scelta tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata determina l’indebito sacrificio dell’una o dell’altra tutela. In tal modo essa entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.

La tutela della maternità e la tutela del disabile, difatti, pur con le peculiarità che le contraddistinguono, non sono antitetiche, proprio perché perseguono l’obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.). Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

8.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost.

Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevede che, ai fini del computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001, non si tenga conto del periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, legge n. 104 del 1992.

Restano assorbite le ulteriori censure del Tribunale di Torino, incentrate sulla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della CDFUE.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2018.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mar gen 21, 2020 1:32 pm
da panorama
Tar Lazio 2020 ricorso respinto su CC.

- è stata negata al ricorrente la concessione dei periodi di riposo di cui all'art. 40 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001

1) - la figura di collaboratrice dell'impresa familiare non è contemplata all'art. 40 del d.lgs 151/2001, che prevede che i riposi siano riconosciuti al padre solo nel caso in cui la madre risulti essere lavoratrice;
in data 05.2.13 il ricorrente presentava le proprie osservazioni, precisando che la moglie esplicava attività lavorativa presso l'impresa familiare del padre regolarmente iscritta all'INAIL e all'INPS, altresì specificando che l'autocertificazione della moglie compilata con la dicitura “collaboratrice dell'impresa famigliare” andava sostituita con quella di “coadiuvante dell'impresa artigiana”;

Il TAR precisa:

2) - E, invero, la moglie dell’odierno esponente è «coadiuvante» nell'impresa artigiana del padre, vale a dire, è un collaboratore familiare dell'imprenditore che, in virtù della sua particolare posizione, non assume la veste di lavoratore subordinato, non è tenuto al rispetto di un orario predeterminato di lavoro, ancorché la sua attività deve essere svolta con carattere di abitualità e prevalenza, e ha diritto al sostentamento/mantenimento da parte del proprio parente artigiano, senza possibilità di percepire alcun tipo di compenso per l'attività prestata nell'impresa artigiana; così come, d’altra parte, per la sua particolare condizione, non può ricondursi alla figura del lavoratore autonomo o in proprio, non possedendone i requisiti previsti.

3) - La moglie del ricorrente, dunque, non rientra in alcuna delle fattispecie contemplate dall'art. 41, comma 1, lettere b) e c) del d. lgs. 151/2001, non essendo lavoratrice dipendente né lavoratrice autonoma, e neppure lavoratrice casalinga.