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Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: gio mar 06, 2014 7:15 pm
da panorama
Discriminazione sul lavoro, CGUE: no a esclusione da corso di formazione per congedo maternità

L’esclusione automatica di una lavoratrice da un corso di formazione a causa della fruizione di un congedo di maternità obbligatorio costituisce un trattamento contrario al diritto UE, perché discriminatorio:
la lavoratrice, infatti, non può beneficiare, al pari dei suoi colleghi, di un miglioramento delle condizioni di lavoro.

E’ quanto si legge nella sentenza odierna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che interviene nella causa tra il Ministero della giustizia e una lavoratrice italiana.

La donna in questione ha superato nel 2009 un concorso per la nomina a vice commissario della polizia penitenziaria ed è stata ammessa a partecipare al corso di formazione.

Essendo in attesa, in conformità alla normativa nazionale, è stata posta in congedo obbligatorio di maternità per un periodo di 3 mesi.

L’Amministrazione penitenziaria ha informato la lavoratrice del fatto che, decorsi i primi 30 giorni del periodo di congedo di maternità, sarebbe stata dimessa dal corso, con perdita della retribuzione.

Il Tar del Lazio, cui la signora ha fatto ricorso, ha chiesto alla CGUE se la direttiva sulla parità di trattamento fra uomini e donne osti a una normativa nazionale che prevede l’esclusione di una donna, per aver preso un congedo obbligatorio di maternità, da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego e che la stessa deve obbligatoriamente seguire per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare quindi di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare al corso di formazione successivo, il cui periodo di svolgimento è tuttavia incerto.

Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che, secondo il diritto dell’Unione, un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso.

Peraltro, alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.

Quindi l’esclusione dal corso di formazione ha avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro della lavoratrice:
infatti, i suoi colleghi hanno avuto la possibilità di seguire tale corso per intero e di accedere, prima di lei, al superiore livello di carriera di vice commissario, percependo al contempo la retribuzione corrispondente.

Si tratta quindi di un trattamento sfavorevole non conforme neanche al principio di proporzionalità, visto che le autorità competenti non sono obbligate a organizzare il corso di formazione a scadenze predeterminate.

Per garantire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale:
le autorità nazionali potrebbero conciliare l’esigenza della formazione completa dei candidati con i diritti della lavoratrice, predisponendo all’occorrenza, per colei che rientra da un congedo di maternità, corsi paralleli di recupero equivalenti, di modo che possa essere ammessa in tempo utile all’esame e accedere quindi il prima possibile a un livello superiore di carriera.

In tal modo l’evoluzione della carriera della lavoratrice non risulterebbe rallentata rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore dello stesso concorso e ammesso allo stesso corso di formazione iniziale.

La Corte termina sottolineando che le disposizioni della direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.

Pertanto, il giudice nazionale incaricato di applicarle ha l’obbligo di garantirne la piena efficacia disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: lun lug 07, 2014 10:39 pm
da panorama
l’odierna appellante, premesso di aver lavorato a tempo determinato in qualità di ostetrica

1) - astensione anticipata dal lavoro ai sensi delle legge n. 1204/1971, chiedeva la condanna dell’Amministrazione convenuta al pagamento dell’indennità giornaliera di maternità, di cui agli articoli 15 e 17 della legge n. 1204/1971.

2) - IL C.d.S afferma che: la giurisdizione è esclusiva del giudice amministrativo e rimette la causa, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., al giudice di primo grado, che deciderà anche sulle spese del presente grado di giudizio.
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07/07/2014 201403444 Sentenza 3


N. 03444/2014REG.PROV.COLL.
N. 01004/2009 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1004 del 2009, proposto da:
G. T.,
rappresentata e difesa dall’avv.to Vincenzo Parato ed ex lege domiciliata presso la Segreteria della Terza Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13,

contro
- AZIENDA SANITARIA LOCALE di Lecce (subentrata ex lege alla soppressa AZIENDA OSPEDALIERA “VITO FAZZI”),

in persona del Direttore Generale p.t.;
- ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE – INPS,
in persona del legale rappresentante p.t.,

non costituitisi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA di LECCE - SEZIONE II n. 00308/2008, resa tra le parti, concernente diritto a percepire l'indennita' giornaliera per astensione obbligatoria.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto che non si sono costituite in giudizio le Amministrazioni appellate;
Vista la memoria prodotta dall’appellante a sostegno delle sue domande;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 12 giugno 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace, nessuno essendo ivi comparso per l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 20 febbraio 1998 e depositato presso il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce in data 18 marzo 1998, l’odierna appellante, premesso di aver lavorato a tempo determinato alle dipendenze dell’ AZIENDA OSPEDALIERA “VITO FAZZI” di Lecce in qualità di ostetrica per il periodo dal 24 febbraio 1997 al 23 agosto 1997 e di essersi vista accolta dal competente Ispettorato del Lavoro l’istanza di astensione anticipata dal lavoro ai sensi delle legge n. 1204/1971 prima per il periodo dal 18 settembre 1997 al 16 novembre 1997 e poi per il periodo dal 17 novembre 1997 al 15 gennaio 1998, chiedeva la condanna dell’Amministrazione convenuta al pagamento dell’indennità giornaliera di maternità, di cui agli articoli 15 e 17 della legge n. 1204/1971.

Il ricorso veniva con la decisione qui impugnata respinto dal Tribunale Amministrativo Regionale, il quale, in punto di giurisdizione, affermava la natura previdenziale del rapporto e perciò l’appartenenza della lite alla giurisdizione del giudice ordinario.

Contro la sentenza di primo grado l’appellante deduce, anche con successiva memoria, l’erroneità della pronuncia declinatoria della giurisdizione, riproponendo, nel mérito, la tesi della spettanza della pretesa indennità.

Non si sono costituite in giudizio le Amministrazioni appellate.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 12 giugno 2014.

DIRITTO

L’appello è fondato in punto di giurisdizione.

Per effetto dell'art. 8 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, il trattamento economico di maternità, previsto dagli artt. 15 e 17 della legge n. 1204 del 1971, spetta alle lavoratrici assunte a tempo determinato dalle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici, salvo che i relativi ordinamenti prevedano condizioni di migliore favore. Il trattamento viene corrisposto direttamente dalle amministrazioni o enti di appartenenza.

Trattasi di disposizione che interpreta autenticamente l'art. 13 della legge n. 1204 cit., che indicava nei soggetti pubblici suddetti i titolari passivi del debito previdenziale in questione.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, già anteriormente ad essa, avevano affermato l'appartenenza delle controversie relative al giudice amministrativo, giacché la pretesa dell'assicurata trovava titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego anziché in un distinto rapporto previdenziale ( Cass. 3 aprile 1989, n. 1597 ).

Tale affermazione è stata poi ripetuta da Cass., 11 novembre 1992, n. 12149 e da Consiglio di Stato, sez. V, 27/02/1998, numero 205, che ha sottolineato che il trattamento economico di maternità per le dipendenti delle Amministrazioni dello Stato e degli altri Enti pubblici non grava sugli Enti che gestiscono l'assicurazione di malattia ( giusta quanto previsto dal successivo art. 15, comma 3, della stessa legge n. 1204/1971 ), bensì sullo stesso datore di lavoro, secondo le previsioni dei varii ordinamenti degli Enti medesimi, come, peraltro, previsto dal medesimo art. 13, che espressamente esclude dalla sua applicazione le dipendenti pubbliche, nonché dall'art. 21 della legge 1204/1971, il quale, nell'elencare i vari settori lavorativi per cui è previsto l'obbligo contributivo per la copertura degli oneri derivanti dalla legge stessa, non contempla il settore pubblico ( cfr. anche Cass., SS.UU., 8 agosto 1995, n. 8674 ).

Ne consegue che la pretesa della dipendente di un ente pubblico ( quale l'odierna appellante ), avente per oggetto la corresponsione, da parte del datore di lavoro, dell'indennità giornaliera di maternità, trovando titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, anziché in un rapporto previdenziale autonomo e distinto da esso, introduce una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Nel mérito, la cognizione della pretesa è preclusa a questo Giudice d’appello, atteso che la riforma della sentenza che ha declinato la giurisdizione comporta, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., la rimessione della causa al Giudice di primo grado, dinanzi al quale le parti dovranno riassumere il processo ai sensi del comma 3 dell’art. 105 cit. e che pronuncerà anche sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e rimette la causa, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., al giudice di primo grado, che deciderà anche sulle spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 12 giugno 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/07/2014

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: lun lug 21, 2014 11:06 pm
da panorama
Ricorso perso.
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diniego della domanda di fruizione di permessi giornalieri ex art 40 del D Lgs 151/2001

1) - Il diniego è motivato con lo status di casalinga della moglie del ricorrente.

IL TAR scrive:

2) - Le interpretazioni della giurisprudenza sono state diverse, il Consiglio di Stato con la pronuncia 2737 del 2002 ha considerato anche la possibilità che la madre sia una lavoratrice casalinga, per cui al padre lavoratore spetterebbe il permesso.

3) - Lo stesso Consiglio di Stato peraltro in sede consultiva prima sezione 2732 del 2009 ha dato un'interpretazione opposta della normativa.

4) - Ritiene questo collegio che l'interpretazione restrittiva del beneficio sia quella corretta.

Il resto leggetelo qui sotto.
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21/07/2014 201400395 Sentenza 1


N. 00395/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00209/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 209 del 2013, proposto da:
S. A., rappresentato e difeso dall'avv. Eva Casi, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R. in Trieste, piazza Unita' D'Italia 7;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

Stato Maggiore dell'Esercito;

per l'annullamento
- del diniego contenuto nella comunicazione prot. n. …. dd 17/5/2013 emesso dall' Aiutante Maggiore in 1^ in servizio presso il Reggimento "Genova Cavalleria" (4°) Palmanova di conferma del rigetto dell’istanza proposta dal ricorrente per la fruizione dei permessi ex art. 40 del Dgls 151/2001;
- della comunicazione precedente. n. …. dd 17/5/2013 cod. id. …. contenente disposizioni applicative relative alla richiesta di beneficiare dei riposi giornalieri;
- e della lettera dd. 26/06/2012 di conferma sul diniego di fruizione dei permessi in oggetto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2014 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente, aiutante maggiore dell'esercito, impugna il diniego della domanda di fruizione di permessi giornalieri ex art 40 del D Lgs 151/2001 la pregressa comunicazione del 17 maggio 2012 la lettera del 26 giugno 2012 e le comunicazioni poste alla base del diniego stesso.

Fa presenta di aver presentato la domanda a seguito della nascita della figlia in data 13 dicembre 2011. Il diniego è motivato con lo status di casalinga della moglie del ricorrente. Osserva come non sia stato comunicato al ricorrente l'autorità cui fare ricorso e le modalità, il che sanerebbe il ritardo nella sua proposizione.

A sostegno deduce la violazione delle norme costituzionali in tema di eguaglianza e diritto della difesa e cita la giurisprudenza che consente anche al padre di usufruire dei permessi anche ove la madre sia casalinga. Deduce poi la manifesta disparità di trattamento l'irragionevolezza, l'illogicità e il difetto di motivazione.

Resiste in giudizio il Ministero che eccepisce la tardività del ricorso e la sua infondatezza.

Infine, nella pubblica udienza del 9 luglio 2014 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

Va innanzitutto rilevato come il ricorso sia ricevibile, in quanto l'amministrazione non ha indicato in nessuno dei provvedimenti impugnati il termine e le modalità del ricorso giurisdizionale. Si tratta di una mera irregolarità non in grado di inficiare la validità dell'atto impugnato ma idonea comunque a rimettere in termini l'interessato nella proposizione del ricorso.

Venendo al merito, la questione giuridica all'esame di questo collegio riguarda l'interpretazione e l'applicazione dell'articolo 40 comma primo lettera C del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, ai sensi del quale i periodi di riposo giornalieri previsti dall'articolo 39 della medesima legge, spettano anche al padre lavoratore in alternativa alla madre lavoratrice che non se ne avvale, anche nel caso in cui la madre non sia una lavoratrice dipendente ma come nel caso lavoratrice casalinga.

Le interpretazioni della giurisprudenza sono state diverse, il Consiglio di Stato con la pronuncia 2737 del 2002 ha considerato anche la possibilità che la madre sia una lavoratrice casalinga, per cui al padre lavoratore spetterebbe il permesso. Lo stesso Consiglio di Stato peraltro in sede consultiva prima sezione 2732 del 2009 ha dato un'interpretazione opposta della normativa.

Ritiene questo collegio che l'interpretazione restrittiva del beneficio sia quella corretta. Ovviamente non sono in discussione i principi costituzionali ed europei sull'assoluta eguaglianza dei coniugi rispetto alla prole, sulla tutela prioritaria dei minori e della famiglia.

Peraltro, nel bilanciamento tra gli interessi del datore di lavoro, nel caso pubblico, e gli interessi del lavoratore va considerato che ove la tutela del minore in tenera età sia garantita, nel caso con l’assistenza della madre che non è lavoratrice dipendente ma casalinga, il diniego sia giustificato, con l’eccezione di casi particolari, non sussistenti nella fattispecie, in cui la madre casalinga non sia in grado di fornire piena assistenza al minore.

In altri termini, l’eguaglianza tra i coniugi prevale qualora la loro situazione lavorativa sia analoga, in quanto tutti e due lavoratori dipendenti, mentre nel caso di lavoro casalingo questo – che pur gode di pari dignità – per sua natura consente un’elasticità di gestione impossibile nel lavoro dipendente, in modo da poter garantire al minore, che è il soggetto tutelato in via prioritaria dalla norma, una congrua e adeguata assistenza.

Per le sue indicate ragioni il ricorso va rigettato.

Le incertezze giurisprudenziali peraltro inducono questo collegio compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente, Estensore
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Manuela Sinigoi, Primo Referendario


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/07/2014

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven set 19, 2014 11:32 pm
da panorama
Congratulazioni al collega e alla difesa legale.

Adesso possiamo avere qualche speranza in più.
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diniego riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001

1) - Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente”

IL CONSIGLIO DI STATO ha Accolto l'Appello del collega della PolStato.

2) - Il ricorso va accolto nei termini che seguono.

3) - La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.
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10/09/2014 201404618 Sentenza 3


N. 04618/2014REG.PROV.COLL.
N. 03752/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3752 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall’avv.to Emanuela Mazzola ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa, in Roma, via Tacito, 50,

contro
- il MINISTERO dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza,
in persona del Ministro p.t.;

- la QUESTURA di Genova,
in persona del Questore p.t.,
costituitisi in giudizio, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - SEZIONE II n. 00222/2014, resa tra le parti, concernente diniego concessione riposi.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52 del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196, commi 1 e 2;
Data per letta, alla camera di consiglio del 19 giugno 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa camera di consiglio, l’avv. Emanuela Mazzola per l’appellante e l’avv. Attilio Barbieri dello Stato per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. - Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria ed ivi rubricato al n. R.G. 448/2013, l’odierno appellante, assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Genova, ha chiesto:

- il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, previo annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza volta al godimento dei riposi stessi;

- il pagamento delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestate per mancata fruizione di detti riposi.

Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente” ( pag. 12 sent. ).

La sentenza è appellata dall’originario ricorrente, che ne contesta puntualmente le argomentazioni.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno, limitando la sua attività difensiva al deposito di documenti.

La causa, chiamata alla camera di consiglio del 19 giugno 2014 per la trattazione della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, è stata ivi trattenuta per la decisione in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., previa audizione delle parti sul punto.

Il ricorso va accolto nei termini che seguono.

La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.

Le norme di riferimento, ossia gli artt. 39 e 40 del citato T.U., così dispongono:

« Art.39. Riposi giornalieri della madre: 1 - Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2 - I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3 - I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

« Art. 40. Riposi giornalieri del padre: 1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre».

Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza del C.d.S. n. 4293 del 9.9.2008 ( che, esaminando la medesima problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente ), l’opposto diniego si riveli illegittimo.

Ha rilevato infatti tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività ( nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato.

A sostegno della condivibisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principii di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.

E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non. lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).

Ritiene tuttavia il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).

Del resto, proprio perché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909) è del tutto incongruo dedurne, coma ha fatto il Giudice di primo grado, “l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico” ( pag. 12 sent. ); laddove, invece, è dato di comune esperienza che l’attività dalla stessa esercitata in àmbito familiare spesso necessita, alla nascita di un figlio, di aiuti esterni ( collaboratore/rice familiare e/o baby-sitter ), utilmente surrogabili, nel caso delle famiglie mono-reddito, proprio mediante ricorso al godimento dei permessi di cui all’art. 40 cit. da parte dell’altro genitore lavoratore dipendente.

Ancora, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità ( Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’ònere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.

Proprio, in conclusione, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone comunque la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore ( T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332 ).

Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore ( ed in tal senso è da intendersi il principio dell'alternatività richiamato dal T.A.R. ), ma, allorché uno dei due genitori per una ragione qualsiasi non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e dunque anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

2. – Il ricorso va dunque accolto nel suo petitum di riconoscimento del diritto e di annullamento dell’atto in primo grado impugnato.

Non può invece accogliersi la domanda risarcitoria, atteso che, in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini della ammissibilità della relativa domanda, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.

Secondo la giurisprudenza, la colpa dell'Amministrazione è configurabile quando l'esecuzione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza ( Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091; da ultimo, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1644 ).

Nella fattispecie, i contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma e l’adesione dell’Amministrazione all’indirizzo scaturito dal parere del Consiglio di Stato del 22 ottobre 2009 dimostrano sufficientemente la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell’azione amministrativa.

3. – L’appello va dunque accolto nei limiti di cui sopra.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.

P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado quanto al riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio ed all’annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013.

Condanna l’Amministrazione dell’Interno alla rifusione di spese ed onorarii del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, liquidandoli in complessivi euro 4.000,00=, oltre agli accessori dovuti per legge, fra i quali il rimborso del contributo unificato, se versato.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
Così deciso in Roma, addì 19 giugno 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2014

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: sab set 20, 2014 8:15 am
da panorama
premetto che la sentenza di cui sopra fa riferimento anche:

- sentenza del C.d.S. sez. VI n. 4293 del 9.9.2008

- Parere del C.d.S, sez. I, 22.10.2009, n. 2732

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven ott 03, 2014 9:30 am
da panorama
La lista delle vittorie si allunga.

Ricorso ACCOLTO
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25/09/2014 201402427 Sentenza Breve 2


N. 02427/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01884/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1884 del 2014, proposto da:
Consigliera di Parità della Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Fina, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;

contro
Ministero dell'Interno, Questura di Lecce, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Lecce, via Rubichi;

per l'annullamento
della nota 22.5.2014 , notificata al sig. -OMISSIS- in data 29.5.2014, con cui la Questura di Lecce, Ufficio del Personale, ha rigettato la richiesta di fruizione dei riposi giornalieri avanzata dal sig. -OMISSIS-;

nonchè, ove occorra, della nota 24.6.2014 con cui la Questura di Lecce ha respinto la diffida avanzata dalla Consigliera di Parità della Provincia di Lecce nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, ivi comprese la nota 8.11.2013 prot. n. 333_A/9807.F.6.2/7471-201;
nonchè per l'accertamento del sig. -OMISSIS- a fruire dei riposi richiesti e il risarcimento del danno dallo stesso patito a causa del diniego impugnato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2014 il dott. Marco Rinaldi e uditi nei preliminari l’avv. F.sco Fina per la ricorrente e l’avv. dello Stato G. Pedone;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

1. La Consigliera di Parità della Provincia di Lecce ha chiesto l’annullamento degli atti con cui la Questura di Lecce, Ufficio del Personale, ha rigettato la domanda di fruizione dei riposi giornalieri avanzata dall’Assistente Capo della Polizia di Stato, sig. -OMISSIS-, padre di un neonato e coniugato con una casalinga: ha, altresì, richiesto il risarcimento del danno.

2. L’Amministrazione ha contrastato le avverse pretese.

3. Il ricorso merita parziale accoglimento.

3.1. La più recente giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la lettera c) dell'art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla "madre che non sia lavoratrice dipendente", si applica non solo alla lavoratrice "autonoma" ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice "casalinga" (cfr: Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10 settembre 2014 n. 4618; Consiglio di Stato, Sez. III, Ordinanza 30/08/13 n. 3386: Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4293/08).

Tale conclusione appare in sintonia con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (Cass., sez. III, n. 20324 del 20 ottobre 2005), in quanto impegnata in attività che comunque la distolgono dalla cura del neonato.

La prospettata interpretazione estensiva della lettera c) dell'art. 40 citato è stata ritenuta maggiormente aderente alla ratio legis, volta a garantire al lavoratore padre la cura del bambino in tutte le ipotesi in cui l'altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgano dall'assolvimento di tale compito (per Consiglio di Stato, Sez. III– sentenza 10 settembre 2014 n. 4618 “E’ illegittimo il provvedimento con il quale la P.A. ha respinto la domanda di un dipendente (nella specie si trattava di un assistente della Polizia di Stato) volta ad ottenere il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del D.L.vo 26 marzo 2001 n. 151 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, motivato con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D.Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice. Infatti, poiché l’art. 40 del T.U. 151/2001 costituisce una norma volta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall’art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga”), che la distolgano dalla cura del neonato”).

Alla luce delle suesposte considerazioni va annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha negato al sig. -OMISSIS- la fruizione dei permessi giornalieri ex art. 40 lett c) Dlgs 151/2001.

3.2. Non spetta, invece, l’invocato risarcimento del danno, difettando nella specie la colpa della P.A.: l’oscurità del dato normativo, che non disciplina espressamente l’ipotesi all’esame, e l’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia (es. T.A.R. Liguria, Sez. II, n. 222/2014, TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 21 luglio 2014, n. 395 e, in sede consultiva, Cons. Stato, Sez. I, 22 ottobre 2009, n. 2732 hanno negato i permessi in oggetto al padre lavoratore con moglie casalinga) inducono, infatti, a ritenere che l’Amministrazione sia incorsa in un errore scusabile.

4. Spese compensate in ragione della controvertibilità delle questioni trattate e dell’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi del sig. -OMISSIS- manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Manca, Presidente FF
Carlo Dibello, Consigliere
Marco Rinaldi, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2014

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mer dic 03, 2014 3:33 pm
da panorama
Personale PolStato
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1) - veniva negata la concessione dei permessi giornalieri in materia di tutela di padri lavoratori

2) - veniva comunicato il diniego della concessione dei c.d. "permessi giornalieri" previsti dall'art. 40 D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001, richiesti in relazione alla cura della propria figlia minore

3) - il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 40, co. 1, lett.c, dell’art. 41 del D.Lgs n. 151/2001.

4) - La questione controversa, infatti, attiene al se l’attività di casalinga, svolta dalla moglie del ricorrente, possa farsi rientrare nell’ipotesi dell‘art. 40 D.Lgs. n.151/2001co.1 lett. c) che riguarda il caso in cui una donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente, sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio.

5) - L’amministrazione resistente richiama il parere reso dal Consiglio di Stato, Commissione Speciale Pubblico Impiego n.2732 del 23/09/2009

6)- La disposizione, invece, non prevede espressamente alcunché nell’ipotesi di madre casalinga.

7) - Nel caso di specie il ricorrente ha documentato lo stato di salute della figlia, la degenza post operatoria della suocera, la necessità che il primogenito sia accompagnato a scuola sicchè, in buona sostanza, ha dato la prova che la moglie non potesse dedicarsi alla figlia.

Ricorso Accolto.
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SENTENZA ,sede di CATANZARO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201401962 2014-11-25


N. 01962/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00689/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 689 del 2012, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Cono Cantelmi, con domicilio eletto presso Cono Cantelmi in Catanzaro Lido, via Torrazzo,22;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;

per l'annullamento, previa sospensiva, del decreto n 1779/c5/e 21.10/737 del 16/04/2012 adottato dal Ministero dell’Interno- Dipartimento della Pubblica Sicurezza- OMISSIS, con il quale veniva negata la concessione dei permessi giornalieri in materia di tutela di padri lavoratori;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2014 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso del 12/06/2012 il ricorrente, dipendente del Ministero dell’Interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza- con la qualifica di Assistente Capo della Polizia di Stato, in servizio presso la OMISSIS sede di Catanzaro, proponeva impugnativa del Decreto prot. n. 0001779/C5/E21.10/737 emesso dal Direttore della OMISSIS della Polizia di Stato sede di OMISSIS, a mezzo del quale gli veniva comunicato il diniego della concessione dei c.d. "permessi giornalieri" previsti dall'art. 40 D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001, richiesti in relazione alla cura della propria figlia minore OMISSIS.

Il ricorrente espone che, in data 22 marzo 2012, diveniva padre della secondogenita OMISSIS che, dopo pochi giorni dalla nascita e, precisamente in data 27 marzo 2012, veniva ricoverata presso il Reparto OMISSIS. Nella prima decade del mese di marzo 2012 la suocera veniva sottoposta ad un delicato intervento chirurgico cui seguiva una degenza effettuata presso la di lui abitazione.

In data 31 marzo 2012 presentava istanza per ottenere i permessi giornalieri di cui all’art. 40 D.lgs. n.151/2001. In data 2 aprile 2012 gli veniva notificato avviso ex art. 10 bis L. n.241/1990.

Con il decreto impugnato l’amministrazione resistente, nel richiamare il parere del Consiglio di Stato-Prima Sezione- Adunanza del 23/9/2009, rigettava l’istanza sia per carenza dei presupposti previsti dall’art. 40 D.Lgs. n.151/2001 sia perchè il ricorrente era stato autorizzato a svolgere attività extra-professionale d’insegnamento.

Si costituiva il Ministero dell'Interno chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 26/07/2013 l’istanza cautelare formulata in sede di ricorso veniva discussa e rigettata dal Collegio in diversa composizione.

All’udienza pubblica del 17 ottobre 2014 la causa veniva introitata per la decisione.

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 40, co. 1, lett.c, dell’art. 41 del D.Lgs n. 151/2001. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e disparità di trattamento, illogicità e irragionevolezza manifesta, difetto e carenza di motivazione.

Il provvedimento impugnato fonda la propria principale motivazione sul rilievo della non estensibilità della fattispecie legale all’ipotesi, che qui ricorre, di madre casalinga e non affetta da infermità grave.

La questione controversa, infatti, attiene al se l’attività di casalinga, svolta dalla moglie del ricorrente, possa farsi rientrare nell’ipotesi dell‘art. 40 D.Lgs. n.151/2001co.1 lett. c) che riguarda il caso in cui una donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente, sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio.

L’amministrazione resistente richiama il parere reso dal Consiglio di Stato, Commissione Speciale Pubblico Impiego n.2732 del 23/09/2009, secondo il quale, in sintesi, non è riconosciuto il diritto di fruire dei permessi giornalieri al lavoratore padre in caso di casalinga, poiché, in tale caso, il preminente interesse del minore, posto a fondamento del riconoscimento del beneficio in oggetto, sarebbe pienamente soddisfatto dalla presenza della madre nell’ambito domestico, che renderebbe possibile conciliare l’espletamento delle incombenze generalmente assolte dalla donna casalinga con quelle per la cura del bambino.

In senso contrario al citato parere si è espressa però la giurisprudenza civile e amministrativa (Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293; Tar Sardegna, sez. I, 23 novembre 2013, n. 745; Tar Abruzzo - L’Aquila- sez. I n. 332/2012) che hanno assimilato l’attività domestica a quella lavorativa tout court, richiamando i principi di cui agli artt.4,33,36 e 37 della Costituzione.

Le ipotesi contemplate dal precitato art. 40 D.Lgs. n.151/2001 prevedono testualmente il riconoscimento del diritto del padre al riposo ordinario sul presupposto che la madre non possa o non voglia, per ragioni giuridiche, fisiche o per scelta, provvedere, usufruendo dei riposi giornalieri nel primo anno di vita, alla cura del minore.

La ratio del combinato disposto degli artt. 39 e 40, in virtù dell’interpretazione sistematica evincibile dal contesto normativo esaminato, deve dunque individuarsi nell’esigenza di garantire la presenza, alternativamente, di uno dei due genitori (con la eccezione del parto plurimo disciplinata dall’art 41, in cui le ore aggiunte a quelle ordinarie possono essere utilizzate da entrambi).

La disposizione, invece, non prevede espressamente alcunché nell’ipotesi di madre casalinga.

Ha osservato, condivisibilmente, la richiamata giurisprudenza che l’originale beneficiario della tutela è il bambino e la sua crescita psichica ed affettiva e, in questa ottica, non si può non tener conto del fatto che una donna impegnata in lavori domestici all’interno del proprio nucleo familiare è, esattamente al pari di una lavoratrice non dipendente, comunque distolta dalla cura del bambino.

Non si può negare, invero, il carattere di attività lavorativa delle funzioni svolte dalla casalinga, laddove appunto la gestione delle cure domestiche involge, sia pure con caratteristiche del tutto peculiari, l’impiego di mezzi fisici e psicologici propri del lavoro, sicché l’attribuzione del beneficio de quo solo a favore delle lavoratrici autonome appare illogico e comunque non consono ai principi di solidarietà sociale incline sempre più a riconoscere all’attività di casalinga non solo valenza sociale ma anche dignità sostanziale e formale di lavoro vero e proprio.

A ben vedere, come sottolineato dal Tar Toscana –Firenze sez. I, n.550/2012 l’opinione più restrittiva, una volta ravvisata nella presenza quotidiana di almeno uno dei genitori lavoratori (il padre in subordine alla madre), la garanzia che il sistema appresta al figlio nel primo anno di età, con riferimento alla madre casalinga si avvale di una sorta di presunzione, quella secondo cui la libera gestione del tempo quotidiano di lavoro domestico consentirebbe sempre e comunque alla donna di organizzarsi per accudire il figlio, impedendo il verificarsi del presupposto per la surroga del padre nella fruizione dei permessi giornalieri.

Ma se così è, un punto di mediazione fra i due indirizzi può essere individuato nel reputare tale presunzione aperta alla prova contraria ogniqualvolta, in concreto, la madre, pur attendendo all’attività di lavoro domestico, per qualche ragione non abbia la libertà di dedicarsi anche al figlio: l’abbandono di prese di posizione dogmatiche appare, del resto, l’atteggiamento più idoneo ad assicurare, caso per caso, il corretto bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, vale a dire il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli, in funzione di protezione dei minori e di promozione della famiglia, e le specifiche esigenze del datore di lavoro, la cui rilevanza sociale non può essere disconosciuta.

Nel caso di specie il ricorrente ha documentato lo stato di salute della figlia, la degenza post operatoria della suocera, la necessità che il primogenito sia accompagnato a scuola sicchè, in buona sostanza, ha dato la prova che la moglie non potesse dedicarsi alla figlia.

La censura, pertanto, deve essere accolta.

Il secondo motivo di diniego si fonda sul rilievo che il ricorrente era stato autorizzato a svolgere attività extra professionale d’insegnamento.

Tale attività d’insegnamento, come dedotto dal ricorrente, aveva avuto inizio prima della nascita della figlia e, comunque, era destinata ad esaurirsi con le rimanenti 20 ore talchè i permessi potevano essere autorizzati per il periodo successivo alla scadenza delle lezioni.

Peraltro il ricorrente ha documentato che nel primo anno di vita della propria figlia OMISSIS prestava servizio presso il OMISSIS unitamente ad altre 3 unità operative sicchè, nell’ottica del bilanciamento tra i due principi costituzionali (famiglia e lavoro), la programmazione dei diversi turni di lavoro poteva essere fatta in modo tale da consentirgli di essere impiegato dalle 8:00 alle 12:00 concedendo il permesso richiesto e non pregiudicando alcuna attività lavorativa.

Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento impugnato.

La controversa natura delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Guido Salemi, Presidente
Emiliano Raganella, Referendario, Estensore
Raffaele Tuccillo, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/11/2014

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: dom apr 26, 2015 7:39 pm
da panorama
Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari del Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare.

Per i colleghi CC., le citate disposizioni sono già contenute nella Pubblicazione C-14 “Compendio normativo in materia di congedi, licenze e permessi.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven giu 05, 2015 9:17 am
da panorama
Ricorso al TAR Accolto.
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SENTENZA BREVE ,sede di VENEZIA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201500606 - Public 2015-05-29 -


N. 00606/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00491/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 491 del -OMISSIS-, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Laura Branco, Clara Rensi, Antonella Pietrobon, con domicilio eletto presso Antonella Pietrobon in Venezia, San Polo, 2988; -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avv. Laura Branco, Antonella Pietrobon, Clara Rensi, con domicilio eletto presso Antonella Pietrobon in Venezia, San Polo, 2988;

contro
Ministero della Giustizia;

per l'annullamento
previa misura cautelare,

del diritto a godere dei riposi-permessi giornalieri previsti dal D.Lgs. n. 151/2001 art. 40 c);

per l’annullamento degli atti emanati o emanandi dal Ministero della Giustizia;

per il risarcimento del danno subito;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile -OMISSIS- la dott.ssa Silvia Coppari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

1. Con ricorso ritualmente notificato, due dipendenti del Ministero della Giustizia entrambi assegnati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, -OMISSIS-, con l’interevento ex art. 105, comma 2, c.p.c. della -OMISSIS-, hanno chiesto l’accertamento del diritto a godere dei riposi giornalieri previsti dal d.lgs. n. 151/2001, art. 40, lettera c).

1.1. Il primo dei ricorrenti, -OMISSIS-, riferisce che la propria famiglia è allo stato composta dalla moglie, dal figlio minore -OMISSIS- (-OMISSIS-) -OMISSIS--OMISSIS-, -OMISSIS-, in relazione a tale ultima figlia, di godere dei permessi giornalieri previsti dal d.lgs. n. 151/2001, art. 40, lettera c) (cfr. doc. 4 di parte ricorrente), dal momento che la moglie è occupata nella gestione dell’altro figlio minore e che tale nucleo familiare non può contare sul sostegno delle famiglie di origine di alcuno dei genitori.

1.2. Il secondo dei ricorrenti, -OMISSIS-, ha del pari allagato che la propria famiglia è allo stato composta dalla moglie -OMISSIS--OMISSIS-(cfr. doc. 7 di parte ricorrente), in relazione a tale ultima figlia, di godere dei permessi giornalieri previsti dal d.lgs. n. 151/2001, art. 40, lettera c), dal momento che la moglie, casalinga, -OMISSIS- e che tale nucleo familiare non può contare sul sostegno delle famiglie di origine di alcuno dei genitori. Precisa altresì che, come emerge dalla documentazione prodotta (cfr. annotazione in calce alla domanda), tali permessi sarebbero stati “concessi”, ma il ricorrente non avrebbe di fatto mai goduto (così punto “11b” del ricorso).

1.3. Con due atti distinti, rispettivamente assunti in data -OMISSIS-, l’Amministrazione penitenziaria negava la sussistenza dei presupposti normativi per la concessione dei permessi richiesti da -OMISSIS- e da -OMISSIS-, sul presupposto che, in entrambi i casi, “il coniuge risulta[va] casalinga e quindi non rientra[va] nelle ipotesi tassative previste” dall’art. 39 d.lgs. n. 151/2001.

1.4. Gli odierni ricorrenti (-OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-) proponevano quindi ricorso gerarchico, sollecitandone la definizione. L’Amministrazione investita della decisione, senza rendere la decisione finale al riguardo, in data -OMISSIS-, faceva presente di aver investito “i centrali Uffici del Dipartimento per una definizione dei dubbi applicativi rilevati” in merito all’applicazione della normativa invocata dagli esponenti.

2. A fronte del perdurante silenzio dell’Amministrazione oltre i 90 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico, in data -OMISSIS-, gli odierni ricorrenti hanno agito in giudizio con l’odierna impugnativa chiedendo, oltre all’accertamento del proprio diritto al godimento dei permessi in questione dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita delle rispettive figlie e fino compimento di un anno di vita delle minori medesime, anche il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito quantificandolo, per -OMISSIS-, in € 2.218,80 e per -OMISSIS- in € 3.010,48, “sulla base dei giorni di lavoro effettivamente prestati dalla maturazione del diritto in questione” sino al mese di marzo -OMISSIS-, oltre al successivo che sarà maturato o, in ogni caso, nella “diversa somma ritenuta di giustizia”.

2.1. I ricorrenti hanno altresì richiesto una misura cautelare urgente, considerato il rischio imminente di perdere irreparabilmente il proprio diritto con il compimento di un anno delle rispettive figlie.

3. All’udienza camerale del 23 aprile -OMISSIS-, in sede di decisione della domanda cautelare, ricorrendo tutti i presupposti previsti dall’art. 60 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione per definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.

4. Il ricorso è fondato.

4.1. Il diritto ai riposi giornalieri invocato dagli odierni ricorrenti è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 39 e 40 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, che così dispongono: «art. 39 (Riposi giornalieri della madre) 1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa».

«Art. 40 (Riposi giornalieri del padre)
1. I periodi di riposo di cui all' articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore:

a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre».

4.2. Ritiene il Collegio, condividendo quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza della III sezione, n. 4618 del 2014, che il diniego al riconoscimento dei permessi in questione sia illegittimo.

4.3. Come è stato sottolineato in detta pronuncia, infatti, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato.

4.4. Il Collegio non disconosce che il Consiglio di Stato in sede consultiva si è espresso in senso diametralmente opposto affermando che «In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio» (Consiglio di Stato, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).

4.5. Si ritiene, tuttavia, di dovere aderire all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con la già citata sentenza della III sezione, n. 4618 del 2014, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: comprendendo quindi oltre all’ipotesi della donna che svolga attività lavorativa autonoma, anche quella di colei che non svolga alcuna attività lavorativa o che comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (come nel caso della casalinga).

4.6. Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

4.7. Né può dubitarsi che in entrambi i casi oggetto di scrutinio, tenuto conto delle circostanze di fatto allegate dai ricorrenti, ricorra un’oggettiva difficoltà di cura della prole da parte delle rispettive madri casalinghe, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).

5. Del resto, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità ( Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’ònere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.

5.1. Ed invero, come rilevato dal Consiglio di Stato, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone comunque la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore ( T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332 ).

5.2. Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, e, allorché uno dei due genitori per una ragione qualsiasi non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e dunque anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

6. Pertanto alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto relativamente alla richiesta di accertamento del riconoscimento del diritto a favore di entrambi i ricorrenti con contestuale annullamento degli atti di diniego impugnati, con la conseguenza che l’Amministrazione dovrà riconoscere il beneficio in questione per l’intero periodo previsto dalla legge.

6.1. Dall’accoglimento della domanda di annullamento nei termini suddetti non appaiono sussistenti i presupposti per un favorevole esame della domanda di risarcimento, rispetto alla quale difetterebbe in ogni caso anche la prova dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’Amministrazione.

6.2. Non appare potersi dubitare, infatti, che gli innegabili contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma dimostrino sufficientemente la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell’azione amministrativa.

7. In conclusione il ricorso deve essere accolto secondo quanto sopra osservato.

8. Le spese di giudizio possono essere compensate in ragione della peculiarità della questione sollevata.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, riconosce il diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita delle figlie minori dei ricorrenti, annullando i provvedimenti del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, -OMISSIS-, -OMISSIS-.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile -OMISSIS- con l'intervento dei magistrati:
Bruno Amoroso, Presidente
Silvia Coppari, Referendario, Estensore
Roberto Vitanza, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2015

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven giu 05, 2015 12:22 pm
da panorama
L. n. 1204/71
----------------------------------------------------------------------------
Legge 30 dicembre 1971, n. 1204
"Tutela delle lavoratrici madri"
(Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 gennaio 1972, n. 14)

Nota bene: testo aggiornato con le modifiche apportate dalla legge 8 marzo 2000, n. 53

Nota bene: la presente legge è stata abrogata dal Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"


Articolo 4. È vietato adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto.

L'astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.

Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali.

Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto.

Articolo 4-bis. - 1. Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
--------------------------------------------------------

Articolo 7. - 1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:

a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi.

3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.

4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.

5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven giu 05, 2015 2:44 pm
da panorama
1) - corresponsione dell’indennità giudiziaria durante i periodi di congedo per maternità.

2) - corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, c. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria ex artt. 4 e 7 della L. n. 1204/71 (nel 1997-98 in relazione al figlio OMISSIS , nato a OMISSIS 1997 e nel 2000-01 in relazione al figlio OMISSIS, nato a OMISSIS 2000) oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.

3) - Parere del CdS "SOSPESO" e interessata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea

4) - Cmq. il Parere del CdS “NON definitivo” richiama diversi diritti e benefici dei lavoratori, quindi bisogna leggerlo attentamente per eventuali altri fattori e studi di settore.

RISERVA futura.
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PARERE INTERLOCUTORIO ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501665
- Public 2015-06-04-


Numero 01665/2015 e data 04/06/2015 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 22 aprile 2015 e del 13 maggio 2015

NUMERO AFFARE 03815/2007

OGGETTO:
Ministero della Giustizia.

Ministero della Giustizia, Direzione Generale dell’Organizzazione Giudiziaria del Personale e dei Servizi - Direzione Generale dei Magistrati del Ministero. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla dott.ssa O. M. C. E., magistrato ordinario, per l’annullamento del provvedimento in data 30 marzo 2007 con cui il Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, ha respinto l’istanza di corresponsione dell’indennità giudiziaria durante i periodi di congedo per maternità, presentata dall’interessata in data 5 marzo 2007.

LA SEZIONE
Vista la relazione firmata in data 3 ottobre 2007, trasmessa con nota n. 4436/2007 CONT./10597, pervenuta il giorno 16 successivo, dell’ Ministero della Giustizia (Direzione Generale dei Magistrati) di richiesta di parere sull’affare indicato in oggetto;

Visto il parere interlocutorio espresso nell’adunanza del 29.01.2008 dalla III Sezione (alla quale nel frattempo è succeduta questa II Sezione), trasmesso al Ministero riferente – Gabinetto – con nota del S.G. n. 1204 in data 4/03/2008;

Vista la nota ministeriale 0042978.U in data 7.4.2015, pervenuta il giorno 21 successivo;

Vista l’ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale;

Esaminati gli atti e udito il relatore, presidente Sergio Santoro;

I. I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CONTROVERSIA E LE RAGIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE.

1. Con istanza del 23 febbraio 2007 pervenuta all’Amministrazione della Giustizia il 5 marzo successivo, la dott.ssa M. C. E. O. Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di OMISSIS, chiedeva la corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, c. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria ex artt. 4 e 7 della L. n. 1204/71 (nel 1997-98 in relazione al figlio OMISSIS , nato a OMISSIS 1997 e nel 2000-01 in relazione al figlio OMISSIS, nato a OMISSIS 2000) oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.

Con nota prot. n. 9054/MGG/3913 del 30 marzo 2007 la D.G. Magistrati - comunicava all’interessata i motivi del rigetto dell’istanza.

2. Con il ricorso in esame proposto il 30 luglio 2007 l’interessata impugnava tale provvedimento chiedendo il riconoscimento del diritto all’indennità giudiziaria per i due periodi di congedo per maternità del 1997-98 e 2000-01, anteriori alla L. 311 del 2004. A sostegno del diritto alle differenze retributive ricordava, richiamando il contenuto dell’istanza, che l’art. 3, comma 1° della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo novellato dall’art. 1, c. 325 della Legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, troverebbe applicazione anche per quelle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima, rispetto alle quali non si fosse maturato il periodo di prescrizione estintiva del relativo diritto, decorrente da tale medesima data (secondo il comma 572 dell’art. 1 della L.311/2004, “La presente legge entra in vigore il 1° gennaio 2005”).

Contestava, quindi, le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza opposte dall’Amministrazione, sostenendone l’illogicità e l’infondatezza, sia con riguardo al principio generale di irretroattività delle norme di cui all’art.11 c.c. - in relazione al quale formulava (in via incidentale e subordinata) eccezione di costituzionalità della norma, in relazione agli artt. 3, c. 2 e 97 della Cost., se interpretata come non retroattiva - sia con riferimento alla ritenuta impossibilità dell’estensione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Lombardia n. 161/2007.

3. Con relazione 9 ottobre 2007 la D.G. dei Magistrati escludeva l’applicazione retroattiva della nuova disciplina, richiamando l’ordinanza con la quale la IV sez. di questo Consiglio (n. 2287/2007 del 13 aprile 2007), aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della norma invocata dalla ricorrente, nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 238/1990, che per prima aveva escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., seguita poi nello sesso senso dalla sentenza n. 407/1996 e dalle ordinanze nn. 422/1996, 106/1997, 346/2008, 272/1999.

4. Con pronuncia interlocutoria resa nell’adunanza del 29.01.2008 la Terza Sezione del Consiglio di Stato, rilevato che la IV Sezione dello stesso Consiglio aveva già sollevato in sede giurisdizionale (con ordinanza n.2278/2007 cit.) questione di costituzionalità dell’art. 3, c. 1°, L. 27/81, nel testo anteriore alla novella recata dalla L. finanziaria 2005, in relazione ai periodi di astensione per maternità anteriori al 1° gennaio 2005, riteneva opportuno sospendere l’esame del ricorso in attesa della ulteriore pronuncia della Corte Costituzionale (in applicazione dell’art. 295 c.p.c.).

A seguito della trasformazione della Terza Sezione da consultiva a giurisdizionale, disposta dal Presidente del Consiglio di Stato nel 2010, questa Seconda Sezione consultiva proseguiva la trattazione del ricorso straordinario in esame.

5. Il Ministero riferente, infine, con nota 13 aprile 2015 pervenuta nella segreteria della Sezione il 5 maggio successivo, trasmetteva a questa Sezione, in vista della conclusione del giudizio, l’ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), nella parte in cui esclude la corresponsione dell'indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, sollevata dal Consiglio di Stato con riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Erano conformi nello stesso senso le ordinanze 302/2006, 346/2008, e la sentenza 295/2012 della Corte Costituzionale, tutte negative circa la possibile invocata retroattività della novella del 2004.

6. Il ricorso è stato, quindi, riportato all’esame di questa Sezione all’odierna adunanza, nella quale il Collegio ritiene di sottoporre d’ufficio alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, anche per impedire il formarsi o il consolidarsi di una giurisprudenza nazionale che possa comportare, in ipotesi, eventuali errori di interpretazione od erronea applicazione di disposizioni del diritto dell’Unione che interessano il caso per cui è causa. Va anche premesso che tale questione è senza dubbio rilevante nel giudizio, dal momento che la sentenza della Corte Costituzionale 137/2008 cit. ha stabilito in via definitiva che la modifica recata dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, all'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, con l'ammettere il diritto all’indennità giudiziaria per il periodo di congedo per maternità, non può considerarsi retroattiva, e che conseguentemente non può applicarsi a fattispecie in cui il diritto stesso è riferito a periodi anteriori all’entrata in vigore della novella legislativa, e cioè al 1° gennaio 2005, come appunto nel caso di specie.

7. Le ragioni per le quali la Sezione ritiene di porre la questione pregiudiziale ex art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, muovono sostanzialmente dall'esigenza di completare l'interpretazione, da parte della giurisprudenza comunitaria, delle disposizioni del diritto dell'Unione e dalle altre pronunce delle Istituzioni europee in tema di tutela, sotto il profilo retributivo, della lavoratrice madre, al fine di chiarirne l'applicazione nel giudizio.

8. Come detto nelle premesse al punto I, dopo le numerose pronunce della Corte Costituzionale che hanno escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., almeno come prospettato nelle ordinanze di rimessione dai giudici “a quo”, la questione che residua ed è ancor più rilevante nel presente giudizio è se il medesimo art. 3, primo comma, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sia compatibile con il diritto comunitario, nelle varie disposizioni in cui vi si assicura la tutela della maternità e la non discriminazione tra i sessi, anche sotto il profilo retributivo riferito al lavoro dipendente.

Il trattamento deteriore che un magistrato di sesso femminile, come la ricorrente, ha subito durante il periodo di congedo obbligatorio per maternità fruito anteriormente al 1° gennaio 2005, rispetto alla generalità dei suoi colleghi, per effetto dell’art. 3, primo comma, cit. nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (si noti, l’unica applicabile al caso in esame, per effetto della giurisprudenza della Corte costituzionale sopra citata), potrebbe infatti integrare una violazione dei principi, validi per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, contenuti nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, negli artt. 157 (ex art.141 TCE), in quanto discriminazione nel trattamento retributivo fondata sul sesso, e 158 (ex art. 142 TCE), secondo cui “gli Stati membri si adoperano a mantenere l'equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito”.

9. Il principio della parità retributiva tra lavoratori di sesso maschile e femminile per lavori identici o di equivalente impegno, inizialmente rivolto a prevenire distorsioni della concorrenza all’interno del mercato comune riconducibili a casi patologici di sottoretribuzione del lavoro femminile, è poi divenuto, per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e delle intuibili implicazioni di politica sociale, un vero e proprio diritto fondamentale della persona (cfr. la direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, del 5 luglio 2006, cui in Italia è stata data attuazione soltanto con il d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5).

Il Giudice comunitario ne ha affermato l’efficacia diretta nei confronti non solo degli Stati membri ma anche dei singoli datori di lavoro, in quanto “principio fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario” (cfr. Corte di Giustizia, 10 febbraio 2000, in causa C-50/96, Deutsche Telekom, cit., e Corte di Giustizia, 26 giugno 2001, in causa C-381/99, Brunnhofer v. Bank der Österreichischen Postsparkasse AG). La giurisprudenza comunitaria ha estensivamente compreso, nella nozione di retribuzione, “il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo”. Natura retributiva è stata quindi riconosciuta, ad esempio, alle indennità di malattia pagate dal datore di lavoro od alle somme che lo stesso corrisponde, in virtù della legge o di convenzioni collettive, ad una lavoratrice durante il congedo di maternità, in quanto fondate sul rapporto di lavoro. Perché sussista una discriminazione rilevante ed incompatibile con il diritto comunitario, la verifica deve effettuarsi su ciascuna voce retributiva e non sul trattamento economico complessivamente considerato, accertando se le eventuali differenze possano considerarsi esenti o meno da qualsiasi discriminazione basata sulla diversità di sesso (cfr. Corte di Giustizia, 13 luglio 1989, in causa 171/88, Rinner-Kuehn v. FWW Spezial- Gebaeudereinigung GmbH & Co KG; 13 febbraio 1996, in causa C-342/93, Gillespie e a. v. Northern Health and Social Services Board; 27 ottobre 1998, in causa C-411/96, Boyle e a. v. Equal Opportunities Commission; 30 marzo 2004, in causa C-147/02, Alabaster v. Woolwich; 6 aprile 2000, in causa C-226/98, Jørgensen v. Foreningen af Speciall&ger e Sygesikringens Forhandlingsudvalg; 26 giugno 2001, in causa C-381/99, Brunnhofer, cit.).

10 È poi fondamentale la distinzione data dalla giurisprudenza comunitaria tra forme di discriminazione diretta ed indiretta, alla cui verifica occorre che uomo e donna si trovino in situazioni lavorative effettivamente comparabili, ad esempio sotto l’aspetto della qualificazione professionale dei lavoratori, e che possano essere ricondotte ad unico datore di lavoro in ipotesi responsabile della disuguaglianza, pur non essendo necessario che i lavoratori posti a confronto si trovino alle dipendenze di un datore di lavoro della medesima natura (Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-320/00, Lawrence e a. v. Regent Office Care Ltd, Commercial Catering Group e Mitie Security Services Ltd.; 13 gennaio 2004, in causa C-256/01, Allonby v. Accrington & Rossendale College; 27 ottobre 1993, in causa C-127/92, Pamela Mary Enderby v. Frenchay Health Authority e Secretary of State for Health). Del resto, la Corte di Giustizia ha più volte affermato che, qualora il pregiudizio arrecato a una donna sia dovuto al suo stato di gravidanza, la stessa sarà considerata oggetto di discriminazione diretta basata sul sesso, senza necessità di un termine di confronto (sentenza 8 novembre 1990, causa C-177/88, Dekker c. Stichting Vormingscentrum voor Jong Volwassenen Plus; nello stesso senso, sentenza 14 luglio 1994, causa C-32/93, Webb c. EMO Air Cargo Ltd).

11. La giurisprudenza comunitaria ha altresì fatto applicazione dei principi di parità e non discriminazione in relazione alla situazione della lavoratrice in congedo per maternità, riconoscendo innanzitutto la legittimità di una disciplina speciale a protezione della maternità per la speciale condizione della donna lavoratrice nel periodo della gestazione e del puerperio, giustificando così le specifiche misure per “garantire una sostanziale parità” della donna lavoratrice (direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 sulle pari opportunità e la parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, al ventiquattresimo Considerando, ma lo stesso principio era già espresso nell’art. 2, comma 7, della direttiva 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE).

12. Per converso, e nella stessa ottica, non sono stati ritenuti discriminatori i benefici concessi alla sola lavoratrice in relazione allo stato di maternità o comunque agli oneri connessi alla crescita del figlio, “qualora il vantaggio concesso al solo lavoratore di sesso femminile sia destinato a compensare svantaggi professionali derivanti ad un tale lavoratore in seguito all’allontanamento dal posto di lavoro che il congedo di maternità comporta”.

Tutta la citata giurisprudenza comunitaria, quindi, è univocamente orientata a far sì che lo stato di maternità non determini una condizione deteriore nel rapporto di lavoro della lavoratrice madre interessata.

Già la direttiva 76/207 disponeva che “un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE costituisce una discriminazione” (art.2, comma 7). Analoga previsione è oggi contenuta nell’art. 2, comma 3, lett. c) della direttiva n. 54 del 2006, la quale, al ventitreesimo Considerando, ricorda, inoltre, come "dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso”, della quale non sono ammesse ragioni giustificative (cfr. Corte di Giustizia, 18 novembre 2004, in causa C- 284/02, Land Brandenburg v. Sass, che ha negato che la lavoratrice madre possa subire un trattamento sfavorevole con riguardo ai requisiti necessari ad accedere ad un livello superiore della gerarchia professionale).

13. Non possono pertanto ammettersi trattamenti sfavorevoli di alcun tipo che possano anche solo indirettamente dipendere dalla circostanza che la lavoratrice ottenga o abbia ottenuto un congedo per maternità, e ciò per non incorrere in una discriminazione direttamente fondata sul sesso, nel senso inteso dalla direttiva 76/207 (v. sentenze 13 febbraio 1996, causa C342/93, Gillespie e a.; 30 marzo 2004, causa C147/02, Alabaster). Nello stesso senso, la Corte UE ha ritenuto incompatibile col diritto comunitario una disciplina che posticipava la data di entrata in servizio della lavoratrice alla fine del congedo di maternità, senza prendere in considerazione tale periodo ai fini dell’anzianità di servizio:, affermando che “un lavoratore di sesso femminile è tutelato, nel suo rapporto di lavoro, contro ogni trattamento sfavorevole motivato dalla circostanza che egli usufruisca o abbia usufruito di un congedo per maternità” e “una donna che subisca un trattamento sfavorevole a causa di un'assenza per congedo di maternità è vittima di una discriminazione che ha origine nella sua gravidanza e nel detto congedo” (Corte di Giustizia, 16 febbraio 2006, causa C-294/04, Sarkatzis Herrero v. Instituto Madrileño de la Salud p. 39). Ed ancora, è stata dichiarata incompatibile con l’art. 6, n. 1, lett. g), della direttiva 86/378, come modificata dalla direttiva 96/97, una disposizione che aveva l’effetto di interrompere l’acquisto dei diritti ad una rendita assicurativa durante i congedi obbligatori di maternità, in quanto imponeva come condizione che la lavoratrice percepisse un reddito imponibile durante tali congedi (Corte di Giustizia, 13 gennaio 2005, causa C-356/03, Mayer v. Versorgungsanstalt des Bundes und der Lander), e ritenuta altresì una diretta discriminazione la pretesa del datore di lavoro di motivare con lo stato di gravidanza della lavoratrice il diniego di reintegrazione nel posto di lavoro prima della scadenza del congedo parentale (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, in causa C-320/01, Bush v. Klinikum Neustadt GmbH & Co. Betriebs-KG; 30 aprile 1998, in causa C-136/95 Caisse Nationale d'assurance vieillesse des travailleurs salariés (CNAVTS) v. Thibault, ove si è testualmente (punto 32) affermato che “una donna che subisce un trattamento sfavorevole per quanto riguarda le sue condizioni di lavoro, nel senso che viene privata del diritto di ricevere il suo rapporto informativo annuale e, conseguentemente, di ottenere una promozione, a causa di un'assenza per maternità, è vittima di una discriminazione che ha origine nella sua gravidanza e nel suo congedo di maternità.

Un comportamento del genere costituisce una discriminazione direttamente basata sul sesso ai sensi della direttiva”.

In modo ancor più esplicito, la sentenza della Corte UE 6 marzo 2014 causa C 595/12 Loredana Napoli v. Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP) ha affermato che:

- l’art. 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento;

- l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 non si applica a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attività ai soli lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso a tale attività da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternità obbligatorio;

- le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.

A conferma, “a contrariis”, di quanto sopra riportato, la Corte di giustizia in due sentenze della Grande Sezione dell’8 marzo 2014, nelle cause C-167/12 C.D. v. S.T. e C-363/12 Z. v. A., ha anche affermato che il diritto dell’Unione europea non riconosce alla madre committente, che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, il congedo retribuito equivalente al congedo di maternità o di adozione.

14. Quanto alla determinazione dell’ammontare della retribuzione/indennità dovuta alla lavoratrice in congedo di maternità (con specifico riferimento all’art.8 della direttiva 92/85/CEE del 19 ottobre 1992), la Corte ha ritenuto che una lavoratrice gestante, con una retribuzione anteriore all’assegnazione temporanea ad altro posto composta da uno stipendio di base e da una serie di integrazioni dovute all’esercizio di specifiche funzioni essenzialmente dirette a compensare gli inconvenienti collegati a tale esercizio (per esempio lavoro notturno, lavoro domenicale, lavoro straordinario), non può esigere la conservazione dell’intera retribuzione percepita prima della temporanea assegnazione. Essa però conserva oltre allo stipendio di base il diritto a percepire le integrazioni che si ricollegano al suo status professionale, legate per esempio alla sua qualità di superiore gerarchico, alla sua anzianità e alle sue qualifiche professionali (sentenza del 1° luglio 2010, causa C-471/08, Parviainen v. Finnair Oyj). In un diverso caso in cui la ricorrente aveva richiesto di mantenere il diritto al pagamento dell’indennità per servizi di guardia, nel periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per motivi di sicurezza e salute (art. 5 n.3 della direttiva 92/85/CEE del 19 ottobre 1992), la Corte questa volta ha assimilato, ai fini del calcolo della retribuzione da corrisponderle, la posizione della lavoratrice dispensata dal lavoro (art. 5 par. 3) con quello della lavoratrice in congedo di maternità (art. 8). In entrambi i casi la Corte ha concluso che fosse compatibile con la direttiva 92/85/CEE una normativa nazionale che riconosce alla lavoratrice il diritto a una retribuzione equivalente allo stipendio medio dalla stessa percepito nel corso di un periodo di riferimento anteriore all’inizio della gravidanza o all’inizio del congedo, con l’esclusione però dell’indennità per servizi di guardia. La Corte ha però aggiunto che nessuna disposizione della direttiva 92/85/CEE impedisce agli Stati membri o, eventualmente, alle parti sociali di prevedere il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione, compresa quindi anche la suddetta indennità (sentenza 1° luglio 2010, causa C 194/08 Gassmayr v. Bundesminister für Wissenschaft und Forschung).

15. Nella Carta sociale europea (riveduta), firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, si afferma (Parte I, art. 8) che “le lavoratrici, in caso di maternità, hanno diritto ad una speciale protezione….Per garantire l'effettivo esercizio del diritto delle lavoratrici madri ad una tutela, le Parti s'impegnano…a garantire alle lavoratrici prima e dopo il parto … un congedo retribuito sia mediante adeguate prestazioni di sicurezza sociale o con fondi pubblici”. Né può infine trascurarsi la recente “Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2015 sui progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell'Unione europea nel 2013 n. 2014/2217 (INI)”, dove si afferma, tra l’altro, nel considerando B, “il principio della parità di trattamento fra donne e uomini comporta il divieto di qualunque discriminazione, diretta o indiretta, anche per quanto riguarda la maternità, la paternità e il fatto di condividere responsabilità familiari”; al punto 12 si “insiste sull'impellente necessità di ridurre i divari retributivi e pensionistici tra donne e uomini” ed al punto 13 si “deplora con la massima durezza il fatto che le donne non ricevano la stessa retribuzione nei casi in cui svolgono le stesse funzioni degli uomini o funzioni di pari valore”.

16. A conclusione dell'excursus, e sempre per ribadire la rilevanza della questione in questo giudizio, non può non farsi notare che all'indennità giudiziaria è stata implicitamente riconosciuta la natura di componente non eventuale della retribuzione del magistrato, e comunque del tutto indipendente e svincolata dal collocamento in congedo obbligatorio, e ciò per effetto dello stesso comma 325 della L. 311/2004, che l'ha appunto estesa al servizio trascorso in congedo per maternità (anche se a decorrere dal 2005).

Quanto ad un diverso profilo della rilevanza della sollevata questione di legittimità comunitaria, in relazione alla eventuale prescrizione del diritto qui azionato, si fa notare che la relativa eccezione non è mai stata proposta dall'Amministrazione in questo giudizio e dunque non può essere presa in esame, tanto meno per la verifica della rilevanza della questione comunitaria, e ciò per la preclusione derivante dagli artt. 2938 del codice civile e 112 del codice di procedura civile.

II. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE DA SOTTOPORRE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA.

17. Preliminarmente, va segnalato che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quando il Consiglio di Stato, in sede Consultiva, emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, esercita una funzione giurisdizionale ed è quindi un organo di giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (così Corte di Giustizia CE del 16 ottobre 1997, nei procedimenti riuniti da C-69/96 a C-79/96), ora art. 267 del TFUE.

Oltretutto, la funzione giustiziale del Consiglio di Stato, in sede consultiva, è stata medio tempore assimilata a quella giurisdizionale, per effetto sia dell’allineamento dei limiti del proprio sindacato giustiziale alle materie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. art. 7, comma 8, del D.lgs 2 luglio 2010, n. 104), sia della nuova formulazione degli artt. 13 e 14 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 disposta dall’art 69 della L. 18 giugno 2009, n. 69, in ordine alla possibilità di sollevare innanzi alla Corte Costituzionale incidenti di costituzionalità delle leggi e alla vincolatività dei propri pareri.

Non vi è dubbio inoltre, nonostante l’art. 267 del TFUE nel secondo paragrafo riporti testualmente "questione … sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri", che tale questione possa sollevarsi anche d'ufficio, e non soltanto su eccezione delle parti (cfr. Corte di Giustizia UE, grande sezione 15 gennaio 2013 C-416/10, Jozef Križan e A. v. Slovenská inšpekcia životného prostredia).

22. Alla luce di quanto sopra, ritiene questo Collegio di sottoporre all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), le seguenti questioni in ordine all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell'Unione:

«se l’art.11, paragrafo 1 nn.1, 2 lett. b), 3 e l’ultimo e penultimo Considerando della direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, nonché gli artt. 157 TFUE (ex art.141 TCE), paragrafi 1, 2, e 4; l’art. 158 TFUE (ex art. 142 TCE), ove prescrive che “gli Stati membri si adoperano a mantenere l'equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito”; gli artt. 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, in combinato disposto tra loro, nonché l’art. 15 ed il 23° e 24° Considerando della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, ed infine l’art.23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea 2000/C 364/01, ostino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non consenta di corrispondere l’indennità ivi prevista per i periodi di congedo obbligatorio per maternità anteriori al 1° gennaio 2005».

IV. ATTI DA TRASMETTERE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE.

23. Ai sensi della “nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali” 2011/C 160/01, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea 28 maggio 2011, è dato mandato alla Segreteria della Sezione di trasmettere, mediante plico raccomandato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cour de Justice de l’Union Européenne – Palais de la Cour de Justice, Boulevard Konrad Adenauer, Kirchberg, L - 2925 Luxeembourg), i seguenti atti:

- copia dei provvedimenti impugnati con il ricorso straordinario;
- copia del ricorso straordinario, nonché della relazione dell'Amministrazione e delle memorie prodotte dalle parti;
- copia dell'ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale;
- copia del presente parere interlocutorio;
- copia delle seguenti norme nazionali: art. 7 del codice del processo amministrativo; D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 nel testo attualmente in vigore; art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27; art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO.

24. Il presente giudizio viene sospeso ai sensi dell’art. 267 del TFUE, nelle more della definizione dell’incidente pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e ogni ulteriore pronuncia è riservata alla definizione dell’incidente medesimo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione II, rimette la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinché decida, ai sensi dell’art. 267, lett. a) e comma 2, TFUE, sul quesito sopra specificato.

Insta affinché la questione pregiudiziale di cui ai quesiti suddetti sia trattata secondo la procedura accelerata di cui all’art. 105 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 settembre 2012.

Nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sospende l’emissione del richiesto parere sul ricorso straordinario.

Ordina la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a cura della Segreteria.



IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Sergio Santoro




IL SEGRETARIO
Marisa Allega

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: ven ago 14, 2015 1:27 pm
da panorama
per la partecipazione a tutti gli interessati.

Ministero Difesa: compendio Tutela della maternità e paternità "riposi orari giornalieri dei genitori".

Modifiche.

vedi/leggi e scarica PDF se d'interesse.

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: sab ott 17, 2015 8:11 pm
da panorama
per gli interessati all'argomento
-------------------------------------------

M.D.: compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari del M.D. - D.G.P.M. -

Decreto legislativo n. 80/2015 " Misure per la conciliazione delle esigenze di cure, di vita e di lavoro, in attuazione della legge 183/2014" - (aspetti normativi di diretto interesse per il personale militare D.Lgs. 151/2001 modificato dal D.Lgs. 80/2015 - vds. Artt. 16, 32, 33, 34, 36 e 53)

Circ. n. M_D GMIL 0413180 datata 15.07.2015

quanto sopra è stata girata anche dal C.G.A. CC. - SM - Uff. Legislazione con foglio 72/87-4-2001 in data 11/10/2015 ed è presente in bacheca area intranet

vedi/leggi e scarica PDF

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: mer nov 11, 2015 6:02 pm
da panorama
Ricorso in parte ACCOLTO e in parte respinto.
------------------------------------------------------------------

SENTENZA BREVE ,sede di CAGLIARI ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501078, - Public 2015-10-21 -


N. 01078/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00727/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 727 del 2015, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Trullu, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, Via Cugia N. 43;

contro
Ministero dell'Interno, Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Cagliari, Via Dante N.23;

per l'annullamento
1) del provvedimento Div. I Cat OMISSIS di prot. ris. Del 14.8.2015, con il quale si denegavano le istanze presentate al Dirigente del R.P.C. Sardegna, da parte dell’Agente Scelto di Polizia di Stato, OMISSIS, in data 03 e 13 luglio 2015 (quest’ultima ad integrazione della precedente), per poter ottenere il beneficio dell’esonero dall’invio in missione fuori sede e dai turni cd. “notturni”;

2) del provvedimento Div. I Cat. OMISSIS di prot. Ris. Sempre del 14.8.2015 dello stesso Dirigente (Commissario Capo) della Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna, con il quale si negava l’istanza presentata dall’agente OMISSIS, ai sensi degli artt. 39 e 40 L.gs 23.3.2001 n. 151, come modificato ed integrato dall’art. 18 del D.P.R. 16.4.2009 n. 51, tendente ad ottenere il beneficio dei riposi giornalieri per il cd. “allattamento”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 il dott. Francesco Scano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Considerato:

che il diritto ai riposi giornalieri, previsto dall’articolo 39 del D.lgs. n. 151 del 2001 è stato riconosciuto, dalla giurisprudenza assolutamente prevalente, al padre del bambino anche nell’ipotesi in cui la madre sia casalinga;

che la contraria pronuncia del Consiglio di Stato, parere n. 2732/2009, richiamata dalla difesa Erariale, è stata superata dalla sentenza del Consiglio di Stato n.4618/2014 che ha preso puntuale posizione sul contrario avviso espresso nel 2009 dalla Sezione consultiva;

che la difesa Erariale non ha proposto alcuna argomentazione per contrastare le argomentazione della citata sentenza del 2014;

che il Collegio, condividendo le argomentazione della sentenza 4618/2014, ritiene di accoglie la domanda di annullamento del provvedimento, sub 2 dell’epigrafe, relativo al diniego dei riposi giornalieri di cui al citato articolo 39, per violazione dell’articolo 40 del D.lgs. prima indicato;

che la domanda di annullamento del provvedimento sub 1 dell’epigrafe, relativo al diniego del beneficio dell’esonero dei turni notturni e dell’esonero dall’invio in missione fuori sede, va invece respinta perché: con riferimento al primo beneficio, previsto dall’art. 53, lo stesso è concedibile al padre solo in “alternativa” alla madre lavoratrice (mentre la madre del bambino è casalinga); riguardo al secondo beneficio il ricorrente non propone alcuna specifica censura alla motivazione del provvedimento impugnato e, comunque, esso è collegato all’esonero dai turni notturni, fruibile alternativamente nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano lavoratori;

che, in conclusione, il ricorso deve essere in parte accolto ed in parte respinto, con parziale compensazione delle spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
Respinge la domanda di annullamento del provvedimento indicato al n. 1 dell’epigrafe, mentre accoglie la domanda di annullamento di quello indicato al n. 2 e per l'effetto:

a) annulla il provvedimento OMISSIS del 14 agosto 2015.

Compensa per metà le spese del giudizio, mentre l’altra metà le pone a carico del Ministero dell’Interno e lo condanna al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva di € 1000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente, Estensore
Antonio Plaisant, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/10/2015

Re: Permessi al padre lavoratore per "ALLATTAMENTO"

Inviato: gio feb 04, 2016 9:36 am
da panorama
per la partecipazione a tutti i colleghi - in particolare i CC - .
------------------------------------------------------------------------------------

Con il presente Parere espresso dal CdS in favore del collega CC., il CdS precisa:

(ecco alcuni brani)

1) - Il ricorso è fondato, nei sensi di cui appresso.

2) - La questione, sottoposta all’esame odierno, concerne l’interpretazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. In particolare, si dibatte se con l’espressione “non ... lavoratrice dipendente” il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa.

3) - Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando analoga problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente), l’opposto diniego si riveli illegittimo.

4) - Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
- Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque, quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga), e pur se l’attività si svolga prettamente tra le mura domestiche, maggiormente a contatto, dunque, con il bambino da assistere.
- Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”.
- La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

5) - In tal senso, peraltro, si è pronunciato, più di recente, questo Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione III, n. 4618 del 19 giugno 2014.

6) - Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

7) - Proprio, dunque, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone, comunque, la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore.

8) - Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, ma, allorché uno dei due, per una ragione qualsiasi, non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e, dunque, anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

Cmq. leggete tutto il contesto qui sotto.

Auguri per il collega.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201600230 - Public 2016-02-03 -

Numero 00230/2016 e data 03/02/2016


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 4 novembre 2015

NUMERO AFFARE 03228/2013

OGGETTO:
Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dall’App. Sc. dei Carabinieri Gianluigi Pellegrino per l’annullamento del provvedimento di diniego prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009 dei permessi giornalieri di due ore previsti dagli articoli 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001 e di ogni atto antecedente, connesso e/o conseguenziale.

LA SEZIONE
Vista la nota prot. n. 50/6 datata settembre 2013, con la quale il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha trasmesso la relazione istruttoria e quella integrativa, con le quali chiede il prescritto parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore, consigliere Nicolò Pollari;

Premesso:

L’Appuntato Scelto dei Carabinieri Gianluigi Pellegrino, in servizio presso il Nucleo Informativo del Comando Provinciale Carabinieri di Cuneo, successivamente alla nascita della figlia, avvenuta nel maggio del 2008, presentava istanza in data 7.11.2008, al fine di beneficiare dei permessi giornalieri di due ore, che il combinato disposto degli articoli 39 e 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, riconosce ai lavoratori padri durante il primo anno di vita del bambino, nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.

Tale richiesta veniva avanzata nonostante la moglie fosse casalinga, evidenziando all’uopo la presenza in famiglia di altri sei figli, di età compresa tra i dodici e i cinque anni, e, insieme, richiamando la decisione n. 4293/08 del Consiglio di Stato- Sezione VI, in cui l’attività di casalinga viene assimilata a quella della lavoratrice autonoma.

Con provvedimento prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009, il Comando di Corpo respingeva la richiesta, ritenendo che la decisione del Consiglio di Stato, invocata dall’interessato, “costituisce un orientamento isolato, che, allo stato, non giustifica un intervento emendativo delle disposizioni vigenti, aderenti sia al tenore letterale della norma che alla complessiva sistematica del decreto legislativo in questione”.

A seguito di un primo ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Consiglio di Stato ha dichiarato la sua inammissibilità, difettando il previo esperimento del ricorso gerarchico avverso l’atto non definitivo.

Al contempo, rilevando che il Comando Legione Piemonte e Valle d’Aosta aveva erroneamente indicato in calce all’atto impugnato la possibilità di esperire ricorso al tribunale amministrativo regionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha invitato l’Amministrazione a rimettere il ricorrente nei termini (per errore scusabile), per un’eventuale presentazione del ricorso gerarchico.

L’interessato, quindi, ha presentato ricorso gerarchico, che è stato rigettato dall’Amministrazione.

Con l’odierno ricorso straordinario al Capo dello Stato, datato 19 marzo 2013, l’App. Sc. Gianluigi Pellegrino ha dunque chiesto:

- l’annullamento del provvedimento prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009, di ogni altro atto antecedente, preordinato e conseguenziale ad esso, nonché delle direttive gerarchiche - linee guida - circolari - orientamenti - compendi normativi del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, relativamente alla mancata previsione della concessione dei benefici ex art. 40 D.Lgs. 151/2001 nel caso di coniuge casalinga;

- l’accertamento del proprio diritto alla fruizione dei periodi di riposo giornalieri richiesti, con relativo trattamento economico dalla nascita sino al compimento di un anno di vita della figlia;

- il pagamento di un importo commisurato al numero dei permessi di cui all’art. 40, lett. c), D.Lgs. n. 151/20001 non fruiti perché negati, comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria;

- il risarcimento del danno economico, morale ed esistenziale, patito dall’intero nucleo familiare, in considerazione nella mancata conclusione del procedimento amministrativo nei termini previsti dall’art. 2 della Legge n. 241/1990;

- il pagamento, da parte dell’Amministrazione, del contributo unificato relativo al ricorso, non dovuto nell’anno 2009, nella considerazione che il ritardo nella sua presentazione sarebbe a lei imputabile per averlo indotto in errore mediante l’atto impugnato.

Il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
Violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione degli artt. 39 e 40 del D. Lgs. n. 151/2001; - violazione degli artt. 31 29, 30 e 31 della Costituzione;
violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione dei principi giurisprudenziali in materia di permessi di cui all’art. 40 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001;
violazione dell’art. 1 del D. Lgs. n. 198/2006 e violazione della normativa in materia di pari opportunità fra uomo e donna (D. Lgs. n. 5/2010) e della parità di trattamento sul lavoro di entrambi i sessi (Legge n. 903/1977);
violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione dell’art. 1493 del D. Lgs. n. 66/2010;
violazione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa e dell’art 97 della Costituzione; violazione delle preleggi (artt. 3 e 4) e dei principi in materia di gerarchia delle fonti; violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione degli artt. 2 e 2 bis della Legge n. 241/1990;
eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione;
ingiustizia manifesta, disparità di trattamento.

Assume, nella sostanza, il ricorrente l’illegittimità del provvedimento impugnato, che, nel non accordargli la possibilità di fruire dei permessi di riposo giornalieri per accudire la figlia nel suo primo anno di vita, ai sensi dell’art. 40 del D. Lgs. n.151/2001, si porrebbe in contrasto con il principio della parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne, posto a base dell’istituto in questione, e con quell’orientamento interpretativo giurisprudenziale che equipara la madre casalinga alla lavoratrice non dipendente, così come affermato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sent. n. 4293/2008.

Evidenzia che il successivo parere n. 2732 del 22.10.2009 del Consiglio di Stato, che ha fornito una diversa chiave di lettura alla richiamata sentenza, esprimendo un orientamento contrario alla concessione del beneficio, rappresenterebbe posizione isolata e minoritaria.

Pertanto, sostiene il ricorrente, poiché la casalinga va equiparata alla donna lavoratrice, i permessi dalla stessa non fruiti debbono essere attribuiti al padre.

Richiama, al riguardo, una serie di recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa, che si sarebbe attestata in linea con tale interpretazione. In tal senso, si sarebbero mossi anche il Ministro del Lavoro e l’INPS, che con diverse circolari avrebbero riconosciuto il diritto del padre lavoratore di fruire dei riposi giornalieri anche qualora la madre svolga attività di lavoro casalingo.

Illegittima sarebbe la motivazione posta a base del provvedimento di diniego, in quanto tutte le disposizioni regolamentari citate dall’Amministrazione a sostegno del rigetto dell’istanza debbono ritenersi a loro volta illegittime, in quanto contrastanti con norme di rango superiore e principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, nonché della Costituzione.

Sussisterebbe, inoltre, violazione dell’art. 1493 del D. Lgs. n. 66/2010 per disparità di trattamento del personale militare rispetto agli altri settori dell’impiego pubblico e privato, ove viene concesso il beneficio di cui si discorre.

Evidenzia, altresì, di aver subito un danno grave e irreparabile dal diniego impugnato, nonché dal ritardo con cui l’Amministrazione ha definito il procedimento amministrativo, in violazione dell’art. 2 della L. 241/1990, essendo stato il provvedimento gravato notificato all’interessato oltre il termine di trenta giorni previsto dalla citata normativa.

Il Ministero riferente ritiene il ricorso infondato.

Nel procedere ad una ricostruzione dell’istituto di cui al D.Lgs. n. 151/2001, il Ministero osserva come il Consiglio di Stato, con il parere n. 2732 del 22 ottobre 2009, abbia espresso avviso contrario all’assimilabilità dell’attività della casalinga a quella della lavoratrice autonoma, ai fini della configurazione del presupposto utile per ammettere il padre al godimento del beneficio in tema, evidenziando come la statuizione della Sezione VI del medesimo Consiglio di Stato (n. 4293/2008) attenga alla valutazione economica del lavoro domestico, in relazione a profili di natura previdenziale e risarcitoria, mentre non risulta estensibile alle norme sulla tutela della maternità e della paternità.

Né, sostiene il Ministero, possono essere richiamate nel caso di specie norme (tra le quali quella del C.o.m., ex art. 1493 D.Lgs.n.66/2010, secondo il quale “al personale militare femminile e maschile si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità, nonché le disposizioni dettate dai provvedimenti di concertazione”) ed interpretazioni (riferite a sentenze della giurisprudenza amministrativa di primo grado) più favorevoli al ricorrente, ma successive alla presentazione dell’istanza (7.11.2008), dovendo la rivalutazione del provvedimento impugnato avvenire alla luce delle disposizioni normative e del quadro interpretativo vigenti al momento della sua adozione, che a quel tempo chiaramente escludevano il riconoscimento del beneficio richiesto in caso di lavoro casalingo svolto da altro genitore.

Con atto in data 2 giugno 2013, il ricorrente, nel confermare quanto già dedotto nel ricorso principale, controbatte alle argomentazioni poste a fondamento della relazione ministeriale, contestando, in particolare, la presunta, errata affermazione della dicitura “ogni atto va valutato secondo la normativa vigente al momento del suo compimento”, in ragione della possibile emanazione nell’ordinamento di “leggi ordinarie con efficacia retroattiva con possibile effetto ablativo di tutti gli atti posti in essere in applicazione di quelle norme (che siano suscettibili di valutazione perché non ancora definitivi)”. Peraltro, secondo il ricorrente, il quadro normativo di settore prevedeva sin dal momento della presentazione della sua richiesta in data 07.11.2008 la concessione dei permessi anche al padre lavoratore nel caso in cui la moglie sia casalinga, come stabilito, in particolare, dalla sentenza n. 4293/2008 del 09.09.2008 del Consiglio di Stato (tra l’altro, confermativa di una precedente pronuncia del Tar Toscana n. 2737 del 25.11.2002), laddove, invece, il successivo parere del Consiglio di Stato n. 2732/2009, assunto dal Ministero della Difesa a sostegno della propria posizione, risale all’ottobre 2009, ossia ad un’epoca successiva rispetto alla nascita della figlia, avvenuta oltre un anno prima.

Osserva che sul sito internet del Ministero della Difesa, nella sezione dedicata al personale civile, è presente una nota di commento alla norma in discussione in favore della concessione del beneficio in parola. Tale evidenza mostrerebbe come la posizione assunta dall’Amministrazione della Difesa incorra in una disparità di trattamento tra personale appartenente allo stesso comparto.

Conclude evidenziando che il diniego dei permessi sia divenuto un atto definitivo in data 24.12.2012 (con l’emanazione del provvedimento che, in sede di esame del ricorso gerarchico, ha confermato nel merito l’atto impugnato), allorquando, quindi, era già vigente un quadro normativo e giurisprudenziale favorevole alla concessione dell’agevolazione nel senso auspicato dall’interessato.

Il Ministero nella propria relazione integrativa conferma tutto quanto già dedotto in sede di relazione principale. Afferma, in particolare, che “non è stata emanata alcuna disposizione normativa che dia efficacia retroattiva all’art. 40 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001 e, pertanto, deve necessariamente applicarsi il richiamato principio [tempus regit actum]”. Evidenzia, inoltre, che il provvedimento adottato nel 2012, a seguito di annullamento dell’atto impugnato per meri vizi di forma, è stato assunto secondo le norme vigenti nel 2008 e, pertanto, con identica valutazione di merito a quello del 2009 e, in ordine alla nota di commento presente sul sito del comparto Difesa per il personale civile, che la stessa non risulta avere alcuna rilevanza per ciò che qui interessa, trattandosi di personale in diverso regime giuridico.

Considerato:

Il ricorso è fondato, nei sensi di cui appresso.

La questione, sottoposta all’esame odierno, concerne l’interpretazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. In particolare, si dibatte se con l’espressione “non ... lavoratrice dipendente” il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa.

L’istituto del riposo giornaliero è stato introdotto nel nostro ordinamento come un beneficio strettamente collegato al parto ed alle esigenze fisiologiche ad esso connesse, come si ricava chiaramente dall’art. 9 della Legge 26 agosto 1950 n. 860, che lo condizionava alla necessità di soddisfare i bisogni dell’allattamento.

Successivamente, l’art. 10 della Legge n. 1204 del 1971, non menzionando più la necessità dell’allattamento e, anzi, prescindendo espressamente da essa, ha modificato la natura e la finalità dell’istituto, il cui scopo è divenuto (come, del resto, indicato nella relazione illustrativa alla legge) quello di consentire alla madre di attendere ai molteplici compiti, tutti delicati e impegnativi, connessi con l’assistenza del bambino nel primo anno di vita.

Tale finalità è stata ribadita dall’art. 10 del D.P.R. 25 novembre 1776 n. 1076 (Regolamento di esecuzione della Legge n. 1204 del 1971), in cui si è affermato che “i riposi di cui all’art. 10 devono assicurare alla lavoratrice la possibilità di provvedere alla assistenza diretta del bambino”.

Sennonché, una volta spostato il centro di attenzione della tutela legislativa dalla donna al minore, non poteva non essere presa in considerazione, nell’ambito del principio paritario affermato nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia di cui alla Legge 19 maggio 1975, n. 151, e di quello sulla parità di trattamento sul lavoro di entrambi i sessi, di cui alla Legge 9 dicembre 1977 n. 903, anche la posizione del padre.

In particolare, l’art. 7 di quest’ultima legge aveva attribuito al lavoratore padre la possibilità di usufruire - in alternativa alla madre o quando il figlio fosse a lui solo affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la durata di sei mesi nel primo anno di vita del bambino, riconoscendo, così, l’idoneità anche dell’uomo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore, senza, peraltro, estendere allo stesso l’istituto del riposo giornaliero.

E’, pertanto, con riferimento al descritto quadro normativo, venutosi a delineare anche a seguito dell’intervento del giudice delle leggi, che va valutato il disposto dell’art. 6 ter, introdotto, nella Legge n. 903 del 1977, dalla Legge 8 marzo 2000, n. 53, ai sensi del quale “i periodi di riposo di cui all’articolo 10 della Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, e i relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Norma, quest’ultima, poi recepita nell’art. 40 del Testo unico di cui al D. Lgs. 26 marzo 2001 n. 151 (del quale si discute in questa sede).

E’ necessario, in particolare, valutare se la madre “casalinga” possa farsi rientrare nell’ipotesi di cui alla lett. c) del più volte citato art. 40, che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio. La soluzione affermativa, che ha indotto l’Amministrazione a richiedere il parere di questo Consiglio di Stato, si fonda essenzialmente sull’evoluzione della giurisprudenza del giudice civile, secondo la quale chi svolge attività domestica nell’ambito del proprio nucleo familiare (attività tradizionalmente attribuita alla “casalinga”), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge, tuttavia, un’attività lavorativa (ovviamente non dipendente), suscettibile di valutazione economica. Da qui, la conclusione della equiparabilità della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, ai sensi e per gli effetti dell’attribuzione al padre del beneficio del riposo giornaliero nel primo anno di vita del bambino.

Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando analoga problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente), l’opposto diniego si riveli illegittimo.

Ha rilevato, infatti, tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio, allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e, pur tuttavia, impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga”), che la distolgano dalla cura del neonato.

A sostegno della condivisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.

E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).

Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque, quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga), e pur se l’attività si svolga prettamente tra le mura domestiche, maggiormente a contatto, dunque, con il bambino da assistere. Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.

In tal senso, peraltro, si è pronunciato, più di recente, questo Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione III, n. 4618 del 19 giugno 2014.

Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).

Del resto, è stato spesso ribadito come i compiti esercitati dalla casalinga risultino di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909). Ciò vale ancor di più nel caso di specie, se si considera la necessità di accudire ben sei figli.

Come evidenziato dalla menzionata sentenza n. 4618/2014, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità (Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’onere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo. Proprio, dunque, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone, comunque, la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore. Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, ma, allorché uno dei due, per una ragione qualsiasi, non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e, dunque, anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.

Si ritengono, infine, assorbite le richieste del ricorrente tese al ristoro dei pregiudizi patiti, peraltro inammissibili in sede di ricorso straordinario.

P.Q.M.

esprime il parere il ricorso debba essere accolto, nei sensi di cui in motivazione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Nicolo' Pollari Gerardo Mastrandrea




IL SEGRETARIO
Maria Grazia Nusca