Con questa sentenza della Corte dei Conti Sardegna sul ricorso presentato dai colleghi CC., la Corte precisa alcune cose, anche se non lo ha accolto:
Ricorso anche per il risarcimento del danno.
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Ecco alcuni brani:
1) - A sostegno della pretesa, premesso che alcuni ricorrenti sono stati assunti dopo il 31 dicembre 1995 ed altri, alla medesima data, avevano un'anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni, di talché dovrebbero vedersi calcolare l'ordinario trattamento di quiescenza col criterio c.d. "contributivo" oppure con quello c.d. " misto", notevolmente inferiore a quello assicurato dal previgente sistema retributivo, è stato evidenziato quanto di seguito si riassume.
2) - esistenza di un disegno di legge (DDL) S. 2381 XVII Legislatura - disposizioni in materia di previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del soccorso pubblico – presentato in Senato in data 11.05.16 ed assegnato il successivo 28 giugno all’11° Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) in sede referente, che si prefiggerebbe l’obiettivo di porre rimedio all’annosa questione (il cui testo è stato riportato nell’atto difensivo).
3) - Vi è, infine, da considerare che i ricorrenti (e gli altri dipendenti del comparto difesa e sicurezza), sono gli unici nell’ambito del pubblico impiego per i quali non ha trovato attuazione il disegno legislativo sulla previdenza complementare, prevista dalla riforma del 1995, né hanno sortito effetto le iniziative giudiziarie portate avanti.
4) - Con la legge n. 335 del 1995 è stato introdotto il nuovo sistema di calcolo contributivo delle pensioni, allo scopo (come sottolineato, da ultimo, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 23 del 26/01/2017) di favorire il riequilibrio finanziario e di rimuovere le sperequazioni e le diseguaglianze provocate dal calcolo retributivo (relazione dell’undicesima commissione permanente, Lavoro e Previdenza sociale, al disegno di legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).
5) - Trattasi, dunque, di una nuova architettura legislativa del “sistema pensioni” che, in quanto tale, non può essere disapplicata dal giudice.
6) - Peraltro, va considerato che il giudice può procedere alla disapplicazione di una norma interna (ma non di una legge), secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, nei casi in cui la stessa sia in contrasto con una fonte normativa comunitaria di diretta applicazione nell’ordinamento giuridico nazionale (circostanza non ravvisabile nella specie), potendo, in caso contrario, sollecitare, laddove ne ritenga la rilevanza e la non manifesta infondatezza, l’intervento del giudice delle leggi (cfr., Sezione Lazio, sentenza n. 83 del 02/03/2016).
7) - A ben vedere, ed in linea generale, la invocata disparità di trattamento si radica, nella stessa prospettazione di parte attrice, non nelle norme sindacate, ma nella mancata attuazione delle medesime, come desumibile dall’analisi della diversa operatività della previdenza complementare privata e pubblica, e dei riflessi che tale differenza comporta sul piano economico, operata da parte ricorrente a sostegno della domanda subordinata.
8) - In tale ottica, innegabile appare che il sistema contributivo, in sé considerato, sia tutt’altro che irrazionale, ricollegando il trattamento pensionistico alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e assicurando, mediante la capitalizzazione della contribuzione e il coefficiente di trasformazione alla stessa applicabile, che sia data attuazione alla garanzia costituzionale dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, in un quadro di compatibilità con le risorse finanziarie disponibili e con le grandezze macroeconomiche rilevanti (cfr. sentenza Corte Cost. n. 23/2017).
9) - In primo luogo, rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta di regolare in un certo modo un determinato regime pensionistico, informato al principio della pluralità delle coperture previdenziali, soltanto in parte garantite dall'assicurazione generale obbligatoria per l'I.V.S., gestita dall'I.N.P.S.
10) - Seppure, per effetto della riforma del 1995, il trattamento di pensione maturato nel regime dell’AGO-IVS (e, per quanto qui interessa, nelle forme sostitutive, esclusive o esonerative), sia stato sensibilmente ridimensionato rispetto al passato,
- ) - non vi è motivo di ritenere che non sia, di per sé solo,
- ) - sufficiente ad assicurare al lavoratore in quiescenza mezzi adeguati alle esigenze di vita, cui devono provvedere organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato, data anche la salvaguardia del trattamento minimo, “riconducibile al secondo comma dell'art. 38 della Costituzione e parzialmente derogatoria del principio di proporzionalità della pensione ai contributi versati a vantaggio del principio di solidarietà” (v. C. cost., sent. 119 del 1997, e giurisprudenza ivi richiamata).
11) - Ciò comporta che la costituzione di fondi pensione di categoria e la definizione delle relative caratteristiche, anche in punto di contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro, ben può essere demandata a successive procedure negoziali tra i lavoratori e il datore di lavoro, con scelta tutt’altro che incoerente rispetto ai valori costituzionali.
12) - A non voler considerare che pur in mancanza (o in attesa) della costituzione di un fondo negoziale “chiuso” di categoria,
- ) - qualunque lavoratore ha comunque la concreta possibilità di aderire a un fondo pensione “aperto”,
- ) - fruendo degli stessi benefici fiscali in relazione ai contributi versati, ai rendimenti maturati sul proprio montante individuale e alle prestazioni erogate,
mentre
- ) - la mancata trasformazione del TFS del personale non contrattualizzato in TFR, pur pregiudicando, nell’attualità, la possibilità di conferire il TFR stesso a un fondo pensione,
- ) - comporta per converso la conservazione di un regime di calcolo di regola più vantaggioso e non ha influenza, in ogni caso, sul trattamento obbligatorio a carico dello Stato.
13) - Deve essere, dunque, conclusivamente affermato che l’asserita incostituzionalità non deriva,
- ) - come già in precedenza sottolineato dalla applicazione immediata del sistema contributivo (o misto),
- ) - quanto dall’omessa previsione legislativa di eventuali meccanismi procedimentali o assetti normativi anche sostitutivi volti,
- ) - in ipotesi, a rendere obbligatoria la costituzione dei fondi pensione, e la possibilità di conferimento ad essi del TFR entro un tempo prestabilito:
- ) - facoltà queste che, all’evidenza, attengono alla diversa sfera, normativa e politica insieme,
- ) - destinata a regolare gli assetti contrattuali della generalità del comparto,
- ) - attraverso le previste procedure di concertazione e negoziazione, nelle quali i singoli soggetti intervengono per il tramite delle loro rappresentanze sindacali, o degli organi a tal fine individuati.
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SARDEGNA SENTENZA 168 20/12/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SARDEGNA SENTENZA 168 2017 PENSIONI 20/12/2017
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Sent. N. 168/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere Maria Elisabetta LOCCI, quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23.936 del registro di Segreteria, proposto dai signori: ( OMISSIS per questione di spazio n. 454 ricorrenti ), tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Roberto MANDOLESI (CF: MNDRRT64P20D542C; PEC:
robertomandolesi@ordineavvocatiroma.org ), presso il cui studio, sito in Roma, via Paolo Emilio n. 34, hanno eletto domicilio, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, in persona del Ministro pro tempore, il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, entrambi domiciliati ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Cagliari via Dante n. 23/25, e l’INPS, Gestione Dipendenti Pubblici.
Uditi, nella pubblica udienza del 23 novembre 2017 il difensore dei ricorrenti, Avvocato Stefania SCAMUTZI, per delega dell’Avvocato Roberto MANDOLESI, e l’Avvocato Alessandro DOA per l’INPS.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso depositato in data 22 febbraio 2017 i ricorrenti, dipendenti in servizio appartenenti, con diversi gradi/qualifiche, alle Forze di Polizia, hanno chiesto:
a) in via principale, che venga accertato il proprio diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico spettante — sino all'effettiva attuazione della previdenza complementare — secondo il criterio cosiddetto "retributivo", previa eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge n. 335/1995, e dell'art. 3, co.2, d.lgs. n.252/2005, in parte qua, e previo eventuale annullamento e/o disapplicazione degli atti a ciò ostativi ed, in particolare, delle leggi, decreti e circolari disciplinanti la materia de qua; nonché dei vari provvedimenti ad essi consequenziali e/o connessi, comunque lesivi dei loro diritti; e che, di conseguenza, siano condannate le Amministrazioni convenute, ognuna per le rispettive competenze, ad adottare il sistema di calcolo del trattamento pensionistico spettante - sino all'effettiva attuazione della previdenza complementare - secondo il metodo c.d. "retributivo”;
b) in via subordinata, che siano condannate le Amministrazioni al risarcimento dei danni economici effettivamente subiti dai ricorrenti conseguenti al mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della connessa e conseguente istituzione della previdenza complementare (c.d. "Secondo Pilastro"); danni da liquidarsi in misura pari ai valori finali indicati in euro nella perizia tecnico-contabile versata agli atti, ovvero - sulla scorta di tali valori - in via del tutto equitativa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari.
A sostegno della pretesa, premesso che alcuni ricorrenti sono stati assunti dopo il 31 dicembre 1995 ed altri, alla medesima data, avevano un'anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni, di talché dovrebbero vedersi calcolare l'ordinario trattamento di quiescenza col criterio c.d. "contributivo" oppure con quello c.d. " misto", notevolmente inferiore a quello assicurato dal previgente sistema retributivo, è stato evidenziato quanto di seguito si riassume.
Sussisterebbe in primo luogo la giurisdizione della Corte dei conti, in quanto la controversia verterebbe principalmente sull'accertamento del diritto a percepire il trattamento pensionistico ad essi spettante secondo il sistema retributivo più favorevole, vigente nel periodo antecedente la riforma attuata con la legge n. 335/1995, come riconosciuto dal Giudice amministrativo in casi analoghi (ex multis: TAR Roma, n. 5024/14 e n.2721/09; TAR Perugia n. 432/13).
Nel merito del ricorso, ricostruita l’evoluzione normativa nella materia pensionistica e le sperequazioni che verrebbero a crearsi tra pensionati ante e post “riforma Dini”, con l’introduzione del metodo di calcolo misto e/o contributivo, è stato posto l’accento sul fatto che lo stesso Legislatore del 1995, avvedutosi di tale problema, aveva previsto, accanto alla previdenza obbligatoria (il cosiddetto "Primo Pilastro", volto ad assicurare in siffatta maniera la pensione di base), anche il cosiddetto "Secondo Pilastro” ossia la previdenza complementare, per il tramite dei "Fondi Pensione".
La previdenza complementare avrebbe dovuto attuarsi "immediatamente" (per evitare che vi fosse una diminuzione della copertura pensionistica rispetto al reddito), attraverso una contribuzione reale anche a carico dello Stato e, per le quote non coperte dal predetto stanziamento, con i cosiddetti "accreditamenti figurativi".
Ad avviso dei ricorrenti, secondo lo stesso Legislatore, la costituzione del c.d. "Secondo Pilastro" era condizione necessaria per garantire adeguati livelli di copertura previdenziale a tutti quei lavoratori penalizzati dall'introduzione dei nuovi (e più deleteri, dal punto di vista economico) sistemi di calcolo del trattamento pensionistico.
A tali fini, è stato evidenziato che, dopo numerosi solleciti, reiterati annualmente dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative delle forze di polizia ad ordinamento civile, e dai consigli centrali della rappresentanza militare, e dopo l’invio di formali atti di diffida da parte dei diretti interessati, il competente TAR, specificamente adito, aveva accolto i ricorsi per annullamento del silenzio rifiuto, dichiarando l’obbligo per le resistenti amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo entro 180 giorni (ex multis: TAR Roma, sent. n. 2721/2010). Persistendo l’inadempimento delle predette amministrazioni, veniva, di poi, accolto il connesso ricorso per l’esecuzione del giudicato, e nominato a un commissario ad acta.
Quest’ultimo, peraltro, sentito il TAR (nota del 19.11.2013), non avrebbe potuto fare altro che diffidare nuovamente il ministero competente ad avviare le procedure di concertazione e contrattazione per l’intero comparto difesa e sicurezza, interessando allo scopo le organizzazioni sindacali e i consigli centrali di rappresentanza e dandone informazione ai ricorrenti, diretti interessati, affinché potessero tenerne conto nel sollecitare l’avvio delle procedure stesse.
Ma anche tali ulteriori solleciti, stando a quanto rappresentato in atti, non avrebbero avuto riscontro pratico, di talché permarrebbero le ragioni di sperequazione, in punto di trattamento pensionistico, poste a base del ricorso, non essendo stata data la possibilità di compensare, mediante la previdenza complementare, il trattamento stesso, in violazione dell’espressa volontà del legislatore.
Ad avviso della difesa dei ricorrenti, dunque, in presenza di una tale situazione, gravida di risvolti incostituzionali, sarebbe più che legittima la pretesa ad ottenere — quanto meno sino al momento in cui sarà stata attuata la cosiddetta "previdenza complementare", un trattamento previdenziale da calcolarsi (anche per essi) secondo il tradizionale metodo "retributivo".
Diversamente ragionando, dovrebbe sollevarsi questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge in materia, nella parte in cui esse siano interpretate nel senso di rendere applicabile la “riforma Dini” al personale del comparto difesa e sicurezza, senza che sia stata parallelamente resa effettiva la possibilità, anche per questi ultimi, di accedere alle forme di previdenza complementare indissolubilmente legate alla riforma stessa (secondo il principio equitativo del simul stabunt, simul cadent).
Pertanto, l’applicazione parziale della “riforma Dini”, ovvero l’introduzione del sistema contributivo non accompagnata dalla possibilità di accedere alla previdenza complementare, violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (stante la macroscopica, ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento tra la situazione dei dipendenti privati e quella dei dipendenti pubblici e, all’interno di quest’ultima categoria, tra coloro a favore dei quali i fondi pensione sono stati attivati e coloro che, come i ricorrenti, non si sono visti riconosciuta tale legittima possibilità). Violerebbe, altresì, i principi di equa retribuzione e proporzionalità di cui agli articoli 36 e 38 della Costituzione, posto che il sistema contributivo di per sé solo, senza l’effettiva creazione del secondo pilastro, non garantirebbe la proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, né l’adeguatezza di tale forma di retribuzione differita alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia.
Per tale via, analoghe censure di non conformità a Costituzione (artt. 3; 36, co. l; e 38, co .2), sono state mosse nei confronti dell’art. 3, co. 2, del d.lgs. n. 252/05, norma emanata in attuazione della legge-delega n. 243/2004 (cosiddetta "Riforma Maroni"), nella parte in cui (reiterando, di fatto, pedissequamente la disposizione di cui all'art. 3 del d. lgs. n. 124/93), nello stabilire che la previdenza integrativa è istituita mediante Accordi o Contratti collettivi, non avrebbe attribuito ai singoli lavoratori alcun mezzo per l'esercizio effettivo del diritto (id est: per reagire all'eventuale inerzia delle OO.SS.).
In via subordinata, i ricorrenti hanno rilevato come il “mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della connessa - e conseguente -istituzione della previdenza complementare”, abbia comportato un danno risarcibile attuale e concreto, allegando ai fini della quantificazione e del nesso causale, perizia tecnico-contabile a firma del Prof. Daniele Pace (il danno è stato stimato tenendo conto dell’impossibilità di fruire, sul piano fiscale, della deduzione dei versamenti al fondo pensione e dell’impossibilità di destinare al fondo pensione stesso il TFR, aumentando per tal via il montante previdenziale).
Tale danno sarebbe conseguenza dell’inadempimento delle convenute Amministrazioni il cui comportamento omissivo, oltre che dal riferito contenzioso davanti al Giudice amministrativo, sarebbe stato stigmatizzato (quale vulnus normativo) finanche con un'interrogazione parlamentare (versata in atti).
L’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica e del Ministero della Difesa, si è costituita in giudizio in data 9.6.2017, depositando articolata memoria difensiva con la quale ha chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità e/ o improponibilità del ricorso e delle avverse domande, ovvero che sia respinto nel merito perché infondato, previa, occorrendo, declaratoria di non rilevanza e manifesta infondatezza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale. Con vittoria di spese.
A sostegno delle rassegnate conclusioni è stato dedotto quanto segue.
In via preliminare, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad agire in quanto i ricorrenti sono tutti in servizio, e nei loro confronti non si è ancora perfezionata la fattispecie costituiva del diritto a pensione. Ciò, alla luce della giurisprudenza contabile, priverebbe di rilevanza anche la prospettata questione di legittimità costituzionale, in ragione dell'insussistenza di una condizione dell'azione. Peraltro, detta questione sarebbe, comunque, da ritenersi manifestamente infondata, stante la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha statuito che spetta al Legislatore il potere di determinare il trattamento pensionistico da riconoscere ai pubblici dipendenti, variandone la consistenza e le modalità in relazione alle circostanze temporali, senza che da ciò derivi una discriminazione tra pensionati costituzionalmente rilevante, fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (Corte Cost., n. 30/2004 e Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio, n. 1127 in data 7 novembre 2012).
In ogni modo, per quanto concerne la dedotta ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento, gli stessi ricorrenti avrebbero riferito l’effetto lesivo alla mancata piena attuazione delle norme censurate, non venendo in rilievo, conseguentemente, profili di incostituzionalità discendenti dalle medesime disposizioni (Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per la Regione Piemonte sentenza n. 4/2016, e Sez. Giurisdizionale per la Regione Lazio sentenza n. 208 del 15.6.2016).
Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ha sottolineato la correttezza dell’operato delle Amministrazioni convenute, rilevando come, in relazione ai contenziosi promossi per il mancato avvio delle trattative negoziali, la giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva, o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione, sono titolari di un interesse finale e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti "negoziali". Quest’ultimo sarebbe rinvenibile esclusivamente in capo alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e/o ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali di interessi collettivi (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5698/ 2011; T. A.R Lazio, sez. I, sentenze n. 2092/2011 e nn. 7448, 7456 e 7458 del 2010).
Del pari improponibile ed inammissibile, sia sotto il profilo del difetto di giurisdizione, sia per difetto di un interesse concreto e attuale, e comunque del tutto infondata ed indimostrata, sarebbe la domanda risarcitoria avanzata dai ricorrenti in via subordinata.
Difatti, in pendenza del rapporto di lavoro, e in assenza di maturazione dei requisiti per il riconoscimento del diritto a pensione, non sarebbe ravvisabile alcun pregiudizio attuale derivato da inadempimento di obbligazioni o prestazioni pensionistiche (Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Regione Piemonte n. 4 del 18.1.2016).
Peraltro, la richiesta di liquidazione dell'asserito danno in via equitativa sarebbe inammissibile anche sotto il diverso profilo della mancata prova della sussistenza del medesimo, ovvero di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata (Cass. n. 15585/2007 e n. 4948/2013).
È stata, infine, eccepita l'intervenuta prescrizione dei diritti e crediti a qualunque titolo azionati dai ricorrenti, e formulata specifica contestazione degli assunti e conclusioni della perizia di parte nonché degli avversi conteggi e tabelle riassuntive.
L’INPS si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 9 giugno 2017, con la quale sono state formulate le seguenti conclusioni:
a) in via preliminare, che sia dichiarato il parziale difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, in merito alle domande relative a TFS o TFR, comunque formulate;
b) sempre in via preliminare, che sia dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'INPS, con riferimento alla domanda di risarcimento danni e di mancato avvio della previdenza complementare;
c) nel merito, che il ricorso sia respinto, in quanto infondato in fatto e diritto, anche con riferimento all'eccepita inammissibilità, e, comunque, non provato nei confronti dell’INPS. In ogni caso, col favore delle competenze professionali come per legge.
Nell’articolato atto defensionale l’Istituto previdenziale ha mosso preliminari eccezioni di inammissibilità avuto riguardo, per un verso, alla mancanza di una previa istanza amministrativa (ex art. 71 lett. b) del R.D. 13 agosto 1933 n. 1038, poi sostituito dall’art. 153 lett. B, D.lgs. n. 174/2016), come da sempre affermato, e da ultimo ribadito dalla giurisprudenza contabile (ex multis Sezione Toscana n. 105/2015; n. 62/2016; n. 6/2017), mentre per altro profilo, il ricorso sarebbe inammissibile per estrema genericità, mancando qualsiasi elemento utile ad identificare le singole posizioni asseritamente lese, non essendo stata indicati in ricorso, né altrimenti documentati, gli elementi che connotano la posizione individuale di ciascuno dei ricorrenti.
Ha anche eccepito il difetto parziale di giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alla domanda di "condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni conseguenti al mancato avvio delle procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto" e, comunque, in merito a tutte le domande relative a TFS o TFR, trattandosi di materia estranea a quella rimessa al giudice contabile, e soggetta alla giurisdizione del Tribunale ordinario quale Giudice del Lavoro, ovvero del Giudice Amministrativo.
Ha, ancora, eccepito la carenza di propria legittimazione passiva, con conseguente estromissione del giudizio, in ragione del fatto che l'attuale quadro normativo non assegna all'Ente previdenziale alcun ruolo attivo nella "creazione e/o istituzione" dei Fondi di previdenza complementare.
Nel merito, ripercorsa la disciplina normativa dettata in materia di previdenza complementare e di trattamento di fine rapporto/servizio, ha evidenziato come, in ossequio ai principi generali, spetterebbe solamente al Legislatore stabilire tempi e modalità di eventuali riforme in tema o, al più, laddove espressamente previsto, ad accordi la cui sottoscrizione vede protagoniste le Organizzazioni sindacali, in rappresentanza delle categorie dei lavoratori interessati.
Pertanto, nessuna responsabilità potrebbe essere attribuita all'INPS, giacché privo di qualunque potere al riguardo.
A non voler considerare che, allo stato attuale, nessun pregiudizio potrebbe dirsi dimostrato e dimostrabile, sia sotto il profilo dell'an che del quantum, essendo i ricorrenti tuttora in servizio; difatti, solamente al momento del loro collocamento a riposo sarà possibile verificare, alla luce delle disposizioni di legge in vigore, la misura del trattamento pensionistico concretamente conseguito rispetto a quello che sarebbe spettato in forza di diverse disposizioni di legge e così determinare, ove ne ricorrano i presupposti, quella eventuale variazione in peius, solo asserita nell’atto introduttivo del giudizio, come precisato dalla stessa giurisprudenza contabile (sentenze Sez. giurisdizionale Lazio, n. 1127 del 2012 e n. 83 del 2016).
Sul punto, è stato ulteriormente rilevato che i conteggi contenuti nella perizia versata in atti dai ricorrenti (cfr. doc. 17 del fascicolo di parte), espressamente contestati, non solo sarebbero inutilizzabili nei confronti dell’INPS, ma altresì del tutto ipotetici, e comunque errati, perché non conformi alle norme che disciplinano la materia, sia in ordine al criterio proposto, fondato su scelte soggettive dei parametri di riferimento, che per il quantum preteso; mancherebbe, inoltre, ogni riferimento alla posizione dei singoli ricorrenti, in ragione dell’assenza di qualsivoglia elemento idoneo a chiarirne la posizione contributiva, fermo restando che trattasi in ogni caso di materia che esulerebbe dalla giurisdizione della Corte dei Conti.
Con riferimento, infine, alla prospettata violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché dei principi di equa retribuzione e proporzionalità, di cui agli artt. 36 e 38 Cost., l’INPS ha precisato che la questione di legittimità costituzionale sarebbe manifestamente infondata, sia perché mancherebbe, in riferimento all’art. 3 Cost., il tertium comparationis, sia in quanto la giurisprudenza della Consulta sarebbe ormai del tutto consolidata nel ritenere che spetti alla discrezionalità del Legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, ma ciò alle stregua delle risorse finanziare attingibili e fatta salva, ovviamente, la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (C. Cost. sent. n. 30 del 2004).
Con memoria depositata in data 09.06.2017 il difensore dei ricorrenti, in riscontro alle eccezioni sollevate dalle convenute amministrazioni, ha insistito per l’accoglimento del ricorso, specificando ulteriormente quanto segue:
a) sussisterebbe l’interesse attuale e concreto dei ricorrenti, come di recente riconosciuto dalla Sez. Abruzzo, con sentenza n. 40/2017, stante la compiuta esposizione delle ragioni di fatto e diritto poste a fondamento della domanda giudiziale, sia quella principale concernente il sistema pensionistico da applicare, sia quella subordinata riguardante la richiesta risarcitoria, alla prima indissolubilmente legata, contenente gli elementi necessari per la quantificazione del danno;
b) non rileverebbe, inoltre, la mancanza di una previa istanza amministrativa, stante il sostanziale silenzio-rifiuto dell’Amministrazione di appartenenza a provvedere sulle istanze presentate, come stabilito dalla Sez. Lazio, con sentenza n. 83/2016, con la quale è stato altresì riconosciuto il diritto dei ricorrenti ad avere una pronuncia di merito, dopo la corretta declaratoria di difetto di giurisdizione del Tar Lazio al quale si erano rivolti;
c) contrariamente a quanto dedotto dalle Amministrazioni convenute, sarebbero stati forniti gli elementi utili al fine di rendere pronuncia nel merito della vicenda, avuto riguardo alla posizione giuridica lesa: tutti i ricorrenti, accomunati dall’avere un’anzianità di servizio che al 31.12.1995 non superava i 18 anni, o dall’essere neoassunti dall’1.1.1996, dopo l’entrata in vigore della legge di riforma (c.d. Dini), si sarebbero visti, indistintamente, mutare il sistema di calcolo del loro trattamento pensionistico (da “retributivo” a “contributivo”), e trattenere i correlati contributi previdenziali.
Tale posizione giuridica “fattuale”, chiaramente espressa nel ricorso introduttivo del giudizio, sarebbe l’elemento essenziale per valutare, in via principale, la disapplicazione di una norma di legge per incostituzionalità, essendo stati tutti penalizzati dal diverso sistema di calcolo della futura pensione introdotto con la legge n.335/1995.
Per la domanda di risarcimento del danno, avanzata in subordine, è stato evidenziato che la mancanza di alcuni dati personali dei ricorrenti, sebbene necessari ai fini del calcolo del quantum effettivamente dovuto a ciascuno di loro, non precluderebbe una pronuncia giudiziale di mero accertamento, secondo i criteri indicati in perizia e non contestati, rinviando a momenti e sedi diverse la quantificazione dell’effettivo danno subito dai singoli, o disponendo a tal fine una consulenza tecnica d’ufficio, previa acquisizione dei dati personali dei ricorrenti presso le Amministrazioni convenute, in applicazione del c.d. principio dispositivo, avendo i ricorrenti medesimi, per parte propria, prodotto in atti le prove documentali che è stato possibile reperire ai fini dell’accertamento dell’an e del quantum del danno patrimoniale richiesto.
Il legale di parte ricorrente ha specificato, inoltre, che sussisterebbe la legittimazione passiva delle Amministrazioni convenute e dell’INPS, e la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alla domanda subordinata di risarcimento del danno, fondata non tanto sulle mancate prestazioni (TFR) relative alla c.d. previdenza complementare, quanto sulla mancata colpevole attivazione del secondo pilastro pensionistico e sul connesso silenzio-rifiuto formatosi al riguardo.
Ha, quindi, insistito per l’accoglimento del ricorso, ritenendo attuale la domanda proposta, non emergendo, dagli interventi legislativi succedutisi nel tempo, una riconsiderazione della materia in termini più favorevoli per i ricorrenti, pur dando atto dell’esistenza di un disegno di legge (DDL) S. 2381 XVII Legislatura - disposizioni in materia di previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del soccorso pubblico – presentato in Senato in data 11.05.16 ed assegnato il successivo 28 giugno all’11° Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) in sede referente, che si prefiggerebbe l’obiettivo di porre rimedio all’annosa questione (il cui testo è stato riportato nell’atto difensivo).
Con note d’udienza depositate in data 19 giugno 2017, l’Avvocato MANDOLESI, nel ribadire la peculiarità della questione, ha evidenziato come le Amministrazioni convenute, nel dispiegare difese identiche a quelle formulate per altri ricorsi, avrebbero particolarmente insistito per la condanna alle spese. Al riguardo, nel sottolineare la novità e la unicità della vicenda nel panorama del pubblico impiego, ha chiesto, nella scongiurata ipotesi di rigetto del ricorso, l’integrale compensazione delle spese.
Venuto in discussione il giudizio all’udienza del 21 giugno 2017, con ordinanza n. 117/2017, in applicazione degli artt. 29 CGC e 182 c.p.c., è stato assegnato alla parte ricorrente il termine perentorio del 24 ottobre 2017, per il deposito in Segreteria di una valida procura alle liti, posto che quelle esibite, trasmesse mediante posta elettronica certificata in allegato al messaggio con il quale è stato trasmesso il ricorso, non contenevano riferimenti univoci al giudizio instaurato (ex art. 5, comma 6 del decreto del Presidente della Corte dei conti n. 98 del 21 ottobre 2015).
Con nota pervenuta alla Segreteria della Sezione il 23 ottobre 2017, l’Avvocato MANDOLESI, precisato che tutti i ricorrenti appartengono all’Arma dei Carabinieri , ha fatto presente che i signori M. G.; A. R. M. e V. P. sono stati indicati due volte nel ricorso introduttivo, e che per i signori E. B., R. F. e A. P. erano stati commessi errori di trascrizione nei dati anagrafici (sempre nel ricorso).
Ha poi, compiuto un’elencazione dei ricorrenti, distinguendo tra coloro che avevano conferito la procura alle liti, depositata in ottemperanza all’ordinanza e quelli che invece detta procura non avevano conferito.
Dal riscontro operato con gli atti di causa risulta non esibita la procura alle liti, oltre che per i ricorrenti indicati dalla difesa, anche per i signori D. M. A.; M. A. R. e V. P., i quali, va precisato, non figurano nella memoria in atti neppure tra coloro i quali hanno conferito detta procura.
Con ulteriore memoria integrativa, depositata in data 10 novembre 2017, la difesa dei ricorrenti, in relazione all’eccepita inammissibilità del ricorso per mancanza di una previa istanza amministrativa, ha specificato che in casi analoghi l’INPS si sarebbe limitato a riscontrare le specifiche domande sempre in termini generali e con clausole di stile e che, nel caso di specie, non rileverebbe né la singola posizione pensionistica lesa, né il previo esperimento della via amministrativa, essendo l’Istituto obbligato ad adottare, per legge, il sistema di calcolo delle pensioni secondo il metodo contributivo. Infine, con riferimento alle spese di giudizio, ha sottolineato che, in casi analoghi, anche due recentissime pronunce della Sezione Lombardia ne avrebbero disposto la compensazione (sentenze n. 81/2017 e 99/2017).
Con successive note d’udienza, pervenute in data 15 novembre 2017, l’Avvocato MANDOLESI ha ulteriormente rimarcato la stretta connessione intercorrente tra la riforma pensionistica e l’attuazione della previdenza complementare, come peraltro implicitamente riconosciuto dalle Amministrazioni convenute (il Ministero dell’Interno, nella memoria depositata per analogo giudizio, e l’INPS, Direzione Centrale Pensioni, nella nota trasmessa al difensore dei ricorrenti in risposta a diffide inoltrate da altri soggetti, versata in atti e priva di data).
La causa è stata esaminata all'udienza del 23 novembre 2017, nel corso della quale l’Avvocato SCAMUTZI, nell’interesse dei ricorrenti, ha integralmente richiamato le memorie in atti.
L’Avvocato DOA, per l’INPS, nel richiamare a sua volta le difese e conclusioni in atti, ha insistito per il difetto di legittimazione passiva dell’Istituto.
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FINE PRIMA PARTE