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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun feb 27, 2012 1:23 pm
da panorama
Perdita del grado a seguito di sentenza penale di patteggiamento.

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Questa è tutta un'altra vicenda ma cmq. riguarda la perdita del grado a seguito di inchiesta interna relativa a fatti oggetto di sentenza penale di patteggiamento, per cui il Maresciallo Capo era stato rimosso dal grado e collocato in congedo in pari data come sodato semplice, che alla data del congedo poteva vantare una anzianità contributiva pari a 24 anni, 5 mesi e 5 giorni.


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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PUGLIA Sentenza 247 2012 Pensioni 09-02-2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI Sent.247/2012
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA

in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico
Consigliere dott. Pasquale Daddabbo
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23719/PC del Registro di Segreteria, proposto dal sig. OMISSIS, nato OMISSIS ed ivi residente OMISSIS, elettivamente domiciliato in Bari alla via Napoli n. 312/O presso lo studio dell’avv. OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS

contro
il Ministero dell’Economia e delle Finanze,
il Comando Generale della Guardia di Finanza e
la Direzione Generale dell’INPDAP a cui, dopo la soppressione, è subentrato ex lege l’INPS.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Vista la legge n. 205/2000;
Uditi, nella pubblica udienza del 13 gennaio 2012, l’avv. OMISSIS per il ricorrente, il Maresciallo OMISSIS per il Comando Generale della Guardia di Finanza e l’avv. Marcella Mattia per l’INPS; non comparso il Ministero convenuto.

FATTO
Con ricorso, notificato il 17.3.2004 e depositato nella Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale il 31.3.2004, il sig. OMISSIS - allegando di essere stato alle dipendenze della Guardia di Finanza con il grado di Maresciallo Capo, che a seguito di inchiesta interna relativa a fatti oggetto di sentenza penale di patteggiamento, con determinazione del 6.5.2003 del Comandante Generale della Guardia di Finanza era stato rimosso dal grado e collocato in congedo in pari data come sodato semplice, che alla data del congedo poteva vantare una anzianità contributiva pari a 24 anni, 5 mesi e 5 giorni, che il 13.12.2003 aveva prodotto, mediante atto stragiudiziale di diffida, apposita istanza al Comando Regionale della Guardia di Finanza per ottenere la pensione ai sensi di quanto disposto dall’art. 52 del D.P.R. 1092/1973 - ha impugnato il provvedimento del 14.1.2004 del Comando Regine Puglia della Guardia di finanza che ha negato il trattamento pensionistico.
A fondamento del ricorso il sig. OMISSIS ha dedotto la violazione dell’art. 52, comma 3, del D.P.R. 29.12.1973 n. 1092, in relazione a quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 557 del 1989 - che aveva dichiarato costituzionalmente illegittime alcune norme della legge 599 del 1954 nella parte in cui non prevedevano che i sottufficiali dei Carabinieri (e categorie equiparabili), collocati in congedo per perdita del grado, possono conseguire la pensione al compimento di quindici anni di servizio elevati a venti per effetto dell’art. 52, comma 3, del TU 1092/73. Il rincorrente ha inoltre dedotto che erroneamente il Comando della Guardia di Finanza aveva ritenuto applicabili al caso di specie le disposizioni previste dal D. Lgs 30.4.1997 n. 165 e dalla legge 27.12.1997 n. 449 - che aveva introdotto la sospensione dei trattamenti pensionistici anticipati a decorrere dal 1° gennaio 1998 - in quanto tale normativa non avrebbe comportato alcuna innovazione rispetto a quella sopra indicata, concernente la possibilità di accedere a pensione con anzianità di almeno venti anni di servizio per coloro che siano stati congedati per effetto di procedimento di destituzione e rimozione del grado.
Il ricorrente ha concluso chiedendo, previa sospensione del provvedimento impugnato, l’accertamento del diritto al pensionamento, a decorrere dal 6.5.2003, con condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla corresponsione dei ratei di pensione arretrati oltre interessi e rivalutazione monetaria con obbligo dell’INPDAP di provvedere al pagamento.
Il Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Puglia della Guardia di Finanza ha depositato, in data 4.6.2004, una memoria difensiva con cui ha dedotto che la disposizione la cui applicazione è stata invocata dal ricorrente (art. 52 del TU 1092/1973), è stata superata da quanto previsto per il conseguimento della pensione di anzianità, anche per il personale che cessa dal servizio per perdita del grado, prima dal d.lgs. n. 165/1997 - che per l’anno 2003 prevedeva una anzianità contributiva di 35 anni ed una età anagrafica di 53 anni - e poi dall’art. 59, comma 6, tabella D della legge 449/1997 che, per l’anno 2003, richiedeva un’età anagrafica di 55 anni ed anzianità contributiva di 35 anni o, a prescindere dall’età anagrafica, un’anzianità contributiva di 37 anni. Allegando che il ricorrente alla data del congedo vantava soltanto una anzianità contributiva di 24 anni, 5 mesi e 5 giorni, il Comando della Guardia di Finanza ha chiesto il rigetto del ricorso.
In data 20.9.2004 l’avv. OMISSIS ha depositato memoria difensiva nell’interesse del ricorrente con cui ha dedotto la mancata applicazione dell’art. 20 della legge 18.10.1961 come modificato dall’art. 9 della legge 1.2.1989 n. 53, ritenuta legge speciale non abrogata dalla successiva normativa applicata dall’amministrazione.
Con ordinanza n. 364/2004 del 11.10.2004 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta contestualmente al ricorso.
In data 21.12.2011 l’avv. OMISSIS ha depositato altra memoria difensiva con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso ribadendo che nella specie troverebbe applicazione l’art. 20 della legge 18.10.1961 n. 1168.
Con memoria depositata in data 3.1.2012, il Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Puglia della Guardia di Finanza ha ribadito le deduzioni proposte nel precedente scritto richiamando tutta la legislazione intervenuta nel tempo in tema di pensione di anzianità (legge 335/1995, d.l. 3.11.1997 n. 375, legge 449/1997, d. lgs. 165/1997) ed ha insistito per il rigetto del ricorso eccependo, in ogni caso, la prescrizione quinquennale dei ratei pensionistici pregressi.
All’udienza del 13 gennaio 2012 l’avv. OMISSIS si è riportata al ricorso ed agli atti scritti insistendo per l’accoglimento. Il maresciallo OMISSIS ha chiesto il rigetto del ricorso per le motivazioni contenute nelle memorie difensive e l’avv. Marcella Mattia, in rappresentanza dell’INPS, giusta disposizione di cui all’art. 21, comma 2 bis, della legge 214 del 2011, ha depositato una memoria difensiva con cui, deducendo che il ricorrente non aveva maturato l’anzianità contributiva minima ai fini di pensione prevista dal combinato disposto di cui al decreto legislativo n. 3 del 1992 e della legge 724 del 1994, si chiede il rigetto del ricorso. Non comparso il Ministero delle Finanze, il ricorso è stato definito come da dispositivo, letto nella stessa udienza, di seguito trascritto.

DIRITTO
Il ricorrente ha impugnato la nota del 14.1.2004 con cui il Comando Regione Puglia della Guardia di Finanza gli aveva comunicato, in sostanza, di non aver raggiunto, alla data di cessazione dal servizio (6 maggio 2003), i requisiti previsti dalla legislazione vigente, che aveva sostituito quelli previsti originariamente dall’art. 52 del TU n. 1092/1973, per accedere alla pensione di anzianità.
Il ricorso è privo di giuridico fondamento e va, pertanto, rigettato.
Le norme richiamate dai difensori del ricorrente, ossia l’art. 20 della legge 18.10.1961 n. 1168 e l’art. 52 del D.P.R. 29.12.1973 n. 1092, non trovano applicazione nel caso di specie trattandosi di dipendente cessato dal servizio in data 6 maggio 2003 allorquando la sopravvenuta legislazione ha introdotto più restrittivi requisiti di anzianità contributiva ed anagrafica per l’accesso al trattamento anticipato di pensione.
Invero, successivamente al decreto legislativo n. 503 del 1992, recante il primo “riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici” applicabile anche agli appartenenti alle Forme Armate per quanto concerne la disciplina sui pensionamenti di anzianità recata dall’art. 8 – è intervenuto il decreto legislativo n. 165 del 1997 che costituisce attuazione delle deleghe conferite, tra l’altro, dall’art. 2, comma 23, della legge n. 335 del 1995 in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare.
Orbene l’art. 6 del d.lgs. n. 165 del 1997 ha previsto, al comma 1, che “il diritto alla pensione di anzianità si consegue secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 25, 26, 27 e 29, della legge 8 agosto 1995, n. 335”; ha previsto, poi, al comma 2, che “in considerazione della specificità del rapporto di impiego e delle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività, il diritto alla pensione di anzianità si consegue, altresì, al raggiungimento della massima anzianità contributiva prevista dagli ordinamenti di appartenenza, così come modificata in ragione dell'aliquota annua di rendimento di cui all'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, senza le riduzioni percentuali previste dalla citata legge n. 335 del 1995, ed in corrispondenza dell’età anagrafica fissata nella tabella B allegata al presente decreto”; e la richiamata tabella B indica per gli anni 2001-2003 un’età anagrafica di anni 51.
E’ poi intervenuta la legge n. 449 del 1997, il cui art. 59 ha variamente inciso sul diritto alla pensione di anzianità.
In particolare, ai sensi del comma 6 dell’art. 59, per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria ed alle forme di essa sostitutive “il diritto per l'accesso al trattamento si consegue … al raggiungimento dei requisiti di età anagrafica e di anzianità ovvero di sola anzianità contributiva indicati nella tabella D allegata alla presente legge per i lavoratori dipendenti pubblici iscritti alle forme esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria”; e la tabella D indica, per l’anno 2003, l’età di anni 56 in concorso con un’anzianità di anni 35, ovvero un’anzianità di anni 37.
Il comma 12 dello stesso art. 59 ha disposto, tra l’altro, la sostituzione della “tabella B” richiamata dall’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 1997; e la nuova tabella B eleva ad anni 53 l’età anagrafica per il periodo successivo al 30 giugno 2002.
Dall’excursus normativo sopra richiamato risulta, in definitiva, che anche applicando la disposizione più favorevole e, cioè, quella recata dall’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 1997, come modificata dall’art. 59, comma 12, della legge n. 449 del 1997, per le cessazioni dal servizio aventi corso – come nella specie – nell’anno 2003 il diritto alla pensione di anzianità si consegue se si è raggiunta l’età di anni 53. (cfr. Corte Conti, Sez. Seconda Appello, sent. n. 732 del 22.12.2011).
Alla luce della suesposta normativa di riferimento deve escludersi che il ricorrente alla data di cessazione dal servizio per perdita del grado (6.5.2003) avesse maturato i requisiti anagrafici e di servizio utili per accedere al trattamento di pensione.
Invero, a tale data, il ricorrente aveva soltanto 42 ani ed una anzianità contributiva di 24 anni, requisiti di gran lunga distanti da quelli suesposti, previsti dalla legislazione di riferimento.
Tenuto conto della particolarità della fattispecie, reputa questo giudice che sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI
la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso n. 23719 proposto dal sig. OMISSIS.
Spese compensate.
Così deciso, in Bari, all'esito della pubblica udienza del 13 gennaio 2012.

IL GIUDICE
F.to(Pasquale Daddabbo)

Depositata in Segreteria il 09/02/2012
IL DIRIGENTE
Il Direttore di Cancelleria
Il Funzionario di Cancelleria
F.to (dott. Pasquale ARBORE)

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: mar feb 28, 2012 9:09 am
da panorama
Requisiti pensione

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA Sentenza 760 2011 Pensioni 20-12-2011

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Sent. n.760/11

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

pronuncia la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27119 del registro di Segreteria, proposto dal sig. Antonio R., nato a OMISSIS il ../08/1969, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe CONDOSTA, contro l’Arma dei Carabinieri, Comando Legione Carabinieri Lombardia.
Udito, nella pubblica udienza del 15 dicembre 2011, l’avv. Giuseppe CONDOSTA per il ricorrente. Non costituita l’amministrazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
FATTO
Con ricorso depositato il 23/06/2011, il ricorrente, ex Appuntato dei Carabinieri, congedatosi dal servizio in data 31/12/2002 senza aver conseguito il diritto a pensione, ha chiesto che sia accertato e riconosciuto il suo diritto alla maggiorazione del quinto del servizio utile a pensione ex art. 3, comma 5 della legge n. 284 del 1977.
In sintesi, espone il ricorrente che l’amministrazione resistente avrebbe errato nel provvedere alla costituzione della sua posizione assicurativa presso l’INPS, in quanto ha tenuto conto solo del servizio effettivo da lui prestato, mentre avrebbe dovuto considerare anche l’aumento di un quinto del suddetto servizio, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 284/1977 e dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo una corretta interpretazione di detta normativa (in tal senso è stata richiamata giurisprudenza di questa Sezione e delle sezioni centrali d’appello).
L’amministrazione resistente non si è costituita in giudizio.
Nell’udienza del 15 dicembre 2011, il difensore del ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
La causa è stata decisa come da dispositivo letto in udienza, per le motivazioni di seguito esposte in

DIRITTO
La questione sulla quale si incentra il presente giudizio ha formato oggetto di due distinte pronunce delle Sezioni riunite di questa Corte (sentenze n. 8/2011/QM del 27-05-2011 e n. 11/2011/QM del 21-06-2011), di contenuto peraltro assolutamente convergente, con le quali sono state enunciate, rispettivamente, le seguenti massime di diritto:
- “ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>” (sentenza n. 8/2011);
- “all’ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo senza aver maturato i requisiti di accesso al trattamento pensionistico normale, non spetta, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS prevista dall’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’aumento del quinto del periodo di servizio prestato con percezione dell’indennità di istituto, previsto dall’art. 3 della legge n. 284 del 27.5.1977” (sentenza n. 11/2011).
Il suddetto orientamento è stato motivato con la considerazione che l’articolo unico della legge n. 322 del 2.4.1958, abrogato solo dall’art. 12, comma 12 undecies, del d.l. n. 78 del 2010 convertito nella legge n. 122 del 2010, aveva stabilito: “In favore dei lavoratori iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che abbiano dato titolo all’esclusione da detta assicurazione, dev’essere provveduto, quando viene a cessare il rapporto di lavoro che aveva dato luogo alla iscrizione alle suddette forme o trattamenti di previdenza senza il diritto a pensione, alla costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa nella assicurazione obbligatoria per l’invalidità, le vecchiaia e i superstiti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione. L’importo di tali contributi è portato in detrazione, fino a concorrenza del suo ammontare, dell’eventuale trattamento in luogo di pensione spettante all’avente diritto”. In tal modo, secondo le SSRR., il legislatore aveva fatto espresso riferimento al “periodo di iscrizione” presso “forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti”, senza prevedere alcuna maggiorazione per particolari servizi.
Pertanto, se l’art. 124 d.P.R. n. 1092 del 1973 avesse voluto abbandonare questo criterio e riferirsi invece al “servizio utile”, comprensivo delle maggiorazioni previste per particolari servizi, l’avrebbe affermato espressamente. Ha invece disposto: “1. Qualora il dipendente civile ovvero il militare in servizio permanente o continuativo cessi dal servizio senza aver acquistato il diritto a pensione per mancanza della necessaria anzianità di servizio, si fa luogo alla costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, per il periodo di servizio prestato. 2. L'importo complessivo delle quote dei relativi contributi a carico del lavoratore e del datore di lavoro, da versarsi al predetto istituto, è portato in detrazione dall'indennità per una volta tanto spettante agli interessati; l'eventuale onere differenziale fa carico allo Stato. 3. Ove non spetti l'indennità suddetta, l'intero onere è assunto dallo Stato …”.
In sostanza, è stato fatto riferimento al “periodo” in cui il militare ha “prestato” servizio, senza alcuna menzione delle maggiorazioni nel computo di periodi di servizio previste dallo stesso d.P.R. o anche, come nella fattispecie in esame, da una legge speciale.
D’altra parte, è stato evidenziato che nel sistema delineato dal d.P.R. n. 1092 del 1973 il “servizio utile”, comprensivo cioè delle maggiorazioni riconosciute per particolari servizi, non è un servizio rilevante a tutti gli effetti pensionistici in sostituzione di quello “effettivo”, come avverrebbe se si trattasse di un intangibile “patrimonio” o “status” previdenziale, sempre e comunque utilizzabile.
Ad esempio, il “servizio utile” viene considerato dall’art. 54 per la misura della pensione spettante al militare. Ma per la misura della “pensione spettante al personale civile” viene considerato dall’art. 44 solo dopo “l’anzianità di quindici anni di “servizio effettivo”, al fine di determinare gli aumenti spettanti appunto per ogni “ulteriore anno di servizio utile”. Il “servizio utile” viene poi considerato, insieme con quello “effettivo” e per il conseguimento del diritto a pensione del personale militare, dal primo comma dell’art. 52, che richiede appunto “una anzianità di almeno quindici ani di servizio utile di cui dodici di servizio effettivo”. Ma per l’art. 42, il “servizio utile” non rileva per il conseguimento del diritto alla “pensione normale” del “dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio” (primo comma) e “nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio” (secondo comma). E non viene parimenti in alcun modo considerato dall’art. 52 per il conseguimento del diritto a pensione da parte dei militari che “cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado” (terzo comma) e da parte dei “militari non appartenenti al servizio permanente e continuativo” (quarto comma).
In definitiva, ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, e in mancanza di qualsiasi richiamo alle maggiorazioni previste per specifici servizi, l’espressione “periodo di servizio prestato” deve intendersi come “servizio effettivo” e non come “servizio utile”.
Si è aggiunto che tale conclusione non contrasta con il fatto che per la costituzione della posizione assicurativa a favore del “personale militare volontario” sia l’art. 128 del d.P.R. n. 1092 del 1973, che l’art. 1861, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 15.3.2010, che ha approvato il “codice dell’ordinamento militare”, aggiungono all’espressione “periodo di servizio prestato” l’aggettivo “effettivo”, che non si rinviene nell’art. 124 del d.P.R.
Ad avviso delle SSRR. si tratterebbe di una tralatizia ridondanza - l’art. 128 del d.P.R. n. 1092 del 1973 deriva dall’art. 6, comma 1, della legge n. 447 del 10.6.1964 sulla costituzione della posizione assicurativa INPS per i “volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica” ove era appunto già contenuta l’espressione “per l’effettivo periodo di servizio prestato” - priva in realtà di effetti pratici.
Infatti, sia per la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS a favore dei militari in servizio permanente e continuativo, che per l’analoga costituzione di posizione assicurativa a favore di volontari, il d.P.R. n. 1092 del 1973 intende comunque riferirsi al servizio realmente, in concreto, effettivamente prestato, senza alcuna maggiorazione in ragione della particolare gravosità di alcuni servizi.
Con riguardo al fatto che l’interpretazione accolta finisca per comportare una differenza di trattamento per i dipendenti che cessano dal servizio avendo conseguito il diritto a pensione - a favore dei quali il “servizio utile”, comprensivo delle maggiorazioni riconosciute per alcuni servizi, viene considerato nel calcolo della misura del trattamento pensionistico - rispetto a quelli invece che non hanno conseguito il diritto pensione, a favore dei quali la costituzione della posizione assicurativa INPS considera il solo “servizio effettivo”, le SSRR. osservano che si tratta solo di uno dei vari cambiamenti di regime cui era soggetto, e in parte lo è ancora, il militare passato dal regime pensionistico “pubblico” a quello “privato” (a titolo esemplificativo è stato fatto richiamo alle rilevanti diversità tra un sistema pensionistico di tipo retributivo, quale quello a suo tempo delineato dal d.P.R. n. 1092 del 1973, e uno invece di tipo contributivo, quale quello vigente presso l’Assicurazione Generale Obbligatoria gestita dall’INPS).
Le considerazioni appena riportate, formulate nella sentenza n. 8/QM del 2011 con riferimento in genere alla costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS prevista dall’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, sono state ritenute idonee anche per escludere che agli stessi fini possa essere considerato l’aumento del servizio previsto dall’art. 3, ultimo comma, della legge n. 284 del 25.5.1977, che ha disposto: “ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni, il servizio comunque prestato con percezione dell’indennità per servizio di istituto o di quelle indennità da esse assorbite per effetto della legge 22 dicembre 1969 n. 967, è computato con l’aumento del quinto”.
Si è solo evidenziato, ad abundantiam, che nella disposizione appena riportata viene espressamente precisato che l’aumento del “servizio comunque prestato” rileva (unicamente) “ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni”. E la “costituzione della posizione assicurativa” presso l’INPS evidentemente non consiste in una liquidazione o riliquidazione di pensione, ma solo in una ricongiunzione di servizi, come affermava espressamente il titolo della legge n. 322 del 2.4.1958.
Questa Sezione, condividendo integralmente le motivazioni per le quali le SSRR. hanno enunciato il principio di diritto sopra riportato, ritiene quindi che il ricorso debba essere rigettato.
Quanto alle spese del giudizio, non è luogo a pronuncia, in quanto l’amministrazione resistente non si è costituita in giudizio.

PER QUESTI MOTIVI
il ricorso di Antonio R. è respinto.
Nulla per le spese.
Per il deposito della sentenza è fissato il termine di quindici giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Milano, nell’udienza del 15 dicembre 2011.
Il Giudice unico
(Antonio Marco CANU)

Depositata in Segreteria il 20 dicembre 2011

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: mer feb 29, 2012 6:49 pm
da panorama
Per notizia:

Cessazione dal servizio per perdita del grado.

Alla data della cessazione dal servizio, aveva maturato la seguente anzianità contributiva: 33 anni; 3 mesi e 6 giorni.

L'Appuntato Scelto dei C.C. è stato collocato in congedo il 11.03.2009 per rimozione dal servizio per perdita di grado.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
MOLISE Sentenza 206 2011 Pensioni 19-12-2011

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sent.206/2011


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MOLISE
IL GIUDICE PER LE PENSIONI

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 3042 del registro di segreteria, proposto in data 6.4.10 dal Sig. G. A., nato a omissis, il omissis elettivamente domiciliato in Campobasso, alla Via Mazzini n. 104, presso lo studio dell’Avv.to Tommaso David, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli Avv.ti Antonio e Paolo Sassi

CONTRO
Ministero della Difesa Roma
L’INPDAP, sede di Roma e Isernia
Visti il ricorso e gli atti del giudizio;
Uditi, alla pubblica udienza del giorno 23.11.11, con l’assistenza del segretario Michele Galasso, l’Avv. Paolo Sassi e l’Avv. Carlo LANDOLFI per l’INPDAP,
ritenuto in

PREMESSO
Risulta agli atti che il Sig. G. A. si arruolava nell’Arma dei Carabinieri in data 13.05.1980.
In data 27.08.1999 il G. veniva sospeso precauzionalmente dal servizio per motivi penali;
A quella data il G. aveva svolto oltre dodici anni di servizio effettivo ed aveva maturato oltre venti anni di anzianità contributiva.
In data 14.09.2004, il G. veniva riammesso in servizio fino alla data dell’8.07.2008 quando veniva nuovamente sospeso.
A seguito di condanna penale definitiva, il Sig. G. cessava dal servizio per perdita del grado.
Tale ultima decisione veniva assunta con provvedimento ministeriale dell’11.03.2009 (nr. ……./D-3-16) notificato al G. in data 07.04.2009.
Alla data della cessazione dal servizio, il G. A. aveva maturato la seguente anzianità contributiva: 33 anni; 3 mesi e 6 giorni.
Alla data 27.08.1999, quando G. veniva sospeso dal servizio, lo stesso aveva svolto oltre 12 anni di servizio effettivo.
Alla data del 01.01.1998, data di entrata in vigore delle riforme citate dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, il G. A. aveva maturato la seguente anzianità contributiva: 23 anni di cui almeno 12 di servizio effettivo.
Con istanza inoltrata al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, il G. chiedeva di essere collocato in congedo. Detta istanza veniva riscontrata dal Comando Gen. dell’Arma con provvedimento N. ……../1-1 PND di prot. notificato al G. in data 27/10/2009;
In detto provvedimento si assumeva che la richiesta avanzata dal G. non poteva trovare accoglimento stante la normativa vigente di cui all’art. 1, comma 32, L. n. 335/1995, all’art. 6 del D.Lgs. N. 165/1997 e art. 59, comma 6, L. n. 449/1997.
Con provvedimento del 9.11.2009, notificato al G. il 9.12.2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri rigettava l’istanza avanzata dal G. per i seguenti motivi:
in caso di intervenuta perdita del grado, la cessazione dal servizio permanente deve intendersi avvenuta, ad ogni effetto per tale causa;
L’acquisizione del diritto a pensione per l’anno 2009, per il personale militare, è subordinato al possesso dei sotto indicati requisiti previsti dall’art. 59, comma 6, della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 e art. 6 del Decreto Legislativo 30 aprile 1997, n. 165:
• aver maturato la massima anzianità contributiva per l’ordinamento di appartenenza ed un’età anagrafica non inferiore ai 53 anni;
• aver maturato il requisito contributivo di 40 anni di servizio……
la S.V. non ha maturato i requisiti anzidetti per accedere al trattamento di pensione normale…….
Considerando altresì che per effetto dell’art. 1, comma 32, dell L. 08.08.1995, n. 335 le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e di decorrenza dei trattamenti pensionistici (quali il disposto di cui all’art. 20 dell L. 18.10.1961, n. 1168) trovano applicazione residuale solo nei casi di cessazione dal servizio per infermità.
Con l’interposto gravame depositato il 06.04.10 il Sig. G. evidenzia quanto segue.
Le ragioni per le quali l’istanza del G. è stata rigettata dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri sono state individuate in primo luogo nel fatto che il richiedente non sarebbe in possesso dei requisiti previsti dall’art. 59, comma 6, della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 e dall’art. 6 del Decreto Legislativo 30 aprile 1997, n. 165.
Le motivazioni sopra esposte possono essere esaminate unitariamente atteso che l’art. 59, comma 6, della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 ha apportato modifiche al sistema d’accesso alla pensione di anzianità previsto dalla normativa di cui alla Legge n. 335/1995.
In sostanza le due discipline si pongono sullo stesso piano, dettando una normativa del sistema pensionistico di carattere generale.
Il Decreto Legislativo 30 aprile 1997, n. 165 invece (pure citato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri) ha disciplinato l’accesso alla pensione di anzianità per il personale militare, in attuazione della delega Legislativa contenuta nella Legge n. 335/1995.
Detto Decreto Legislativo 30 aprile 1997, n. 165 dunque detta la disciplina del sistema di accesso alla pensione per il settore militare.
Dunque è una legge speciale.
Detto Decreto Legislativo, tuttavia, rinvia ad alcune disposizioni della Legge delega (a loro volta modificate dalla Legge n. 449/1997).
Avendo il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri citato in combinato disposto l’art. 59 comma 6 della L. 449/97 e l’art. 6 del D.L.gs. n. 165/97, dobbiamo ritenere che il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri abbia ritenuto che il rinvio operato dal D.Lgs. del 1997 alle disposizioni della L. 335/1995 sia da considerarsi “mobile” cioè da considerarsi riferibile anche alle successive modificazioni apportate alle norme di rinvio.
In dottrina è pacifico che l’abrogazione risulta dalla incompatibilità tra norme cronologicamente disposte sicchè la norma successiva prende il posto della precedente regolando per intero la medesima classe di comportamenti regolata dalla precedente.
Ritornando al caso in esame, le norme richiamate dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e succedutesi nel tempo sono le seguenti:
• Legge n. 1168 del 1961;
• Legge n. 335/1995
• D.Lgs n. 165/1997;
• L.449/1997.
Assume il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri che la normativa contenuta nella Legge n. 1168 del 1961 e richiamata dal ricorrente sia stata abrogata dalla normativa dettata successivamente.
In base alle regole sopra richiamate, questo assunto non può assolutamente condividersi.
La legge n. 1168 del 1961 è dettata specificamente per il personale dell’Arma dei Carabinieri ed in particolare disciplina lo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell’Arma dei Carabinieri.
Dunque è legge speciale.
Pertanto le disposizioni contenute nella Legge n. 335/95 non possono abrogare quelle contenute nella legge 1168/61, a meno che non prevedano espressamente detta abrogazione.
Per quanto riguarda il personale militare, inoltre, la citata Legge n. 335/1995, all’art. 2, ha conferito specifiche deleghe al Governo per armonizzare i trattamenti pensionistici dei dipendenti della P.A. ai principi ispiratori della riforma pensionistica.
Detta delega è stata attuata, come anticipato, dal D.Lgs. 165/1997 (che, infatti, è così rubricato: “Attuazione delle deleghe conferite dall’art. 2, comma 23, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e dall’articolo 1, commi 97, lettera g), e 99, della l. 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego”)
Questa è dunque la normativa di settore da prendere in considerazione ai fini della verifica dell’attuale vigenza delle disposizioni contenute nella Legge del 1961 n. 1168.
Il D.Lgs. n. 165/1997, all’art. 6 recita: “Accesso alla pensione di anzianità”. Il diritto alla pensione di anzianità si consegue secondo le disposizioni di cui all’art. 1, commi 25,26,27 e 29, della legge 8 agosto 1995, n. 335….”)
Come si vede, detta norma richiama solo alcuni commi della’art. 1 della Legge n. 335 del 1995.
Facendo applicazione delle regole generali sopra indicate dobbiamo trarre una prima conclusione.
L’accesso alla pensione militare per il personale militare è disciplinato dal D.Lgs. n. 165/1997; sia perché è una norma successiva rispetto alla L. 335/1995 sia perché è norma speciale rispetto ad essa.
Il fatto che nel d.lgs. N. 165/1997 siano stati richiamati espressamente solo alcuni commi dell’art. 1 L. 335/95 consente di affermare con assoluta certezza che solo le disposizioni contenute nei commi richiamati si applicano al personale militare.
Al personale militare non si applica, per ciò che più interessa la presente trattazione, il comma 32 dell’art. 1 della legge n.335/95 e dunque, in caso di pensionamento anticipato previsto da norme specifiche alla data del 30 aprile 1995, non si applicano le limitazioni contenute nel comma 32 della legge 335/95.
Occorre da ultimo esaminare la posizione del Sig. G..
Come detto in premessa, il Sig. G. ha cessato anticipatamente il servizio a seguito di perdita di grado.
Orbene, alla data del 30.04.1995 esistevano norme specifiche che disciplinavano il caso della cessazione anticipata dal servizio per perdita del grado.
Detta disciplina si rinviene nell’art. 20 del Capo III, Titolo II, della Legge n. 1168 del 1961.
In base a quanto sopra detto, il legislatore del 1997 ha mostrato chiaramente di voler conservare detta normativa senza alcuna limitazione.
Il Decreto Legislativo del 1997, infatti, non ha richiamato proprio quella norma contenuta nella Legge n. 335/95 che aveva introdotto limitazioni all’applicazione della disciplina previgente dettata in caso di pensionamento anticipato.
Secondo il disposto dell’art. 20 del Capo III, Titolo II, della Legge n. 1168/1961 “Il militare di truppa dell’Arma dei Carabinieri che cessa dal servizio continuativo per età, per infermità non proveniente da causa di servizio, per scarso rendimento, per inosservanza delle disposizioni di legge sul matrimonio:
a) Se ha venti o più anni di servizio effettivo , consegue la pensione a norma delle vigenti disposizioni;
b) Se ha meno di venti anni di servizio effettivo, ma quindici o più anni di servizio utile per la pensione dei quali dodici di servizio effettivo, consegue la pensione considerando come se avesse compiuto venti anni di servizio effettivo anche se cessi dal servizio per la perdita del grado.
c) Se ha meno di quindici anni di servizio utile per la pensione, ovvero quindici o più anni di servizio utile, ma meno di dodici anni di servizio effettivo, consegue una indennità una volta tanto, pari a tanti ottavi degli assegni pensionabili quanti sono gli anni di servizio utile per la pensione.
Al militare di truppa cessato dal servizio per infermità o per scarso rendimento sono corrisposti per un periodo di tre mesi gli interi assegni spettanti ai pari grado in servizio; Tali assegni non sono cumulabili con quelli di quiescenza”.
A proposito della norma riportata, occorre sottolineare che l’inciso “anche se cessi dal servizio per perdita del grado” è stato inserito nella Legge dall’art. 9, L. 01.02.1989, n. 53, dopo che la norma era stata dichiarata illegittima costituzionalmente nella parte in cui non prevedeva il diritto a pensione del carabiniere che cessasse dal servizio per perdita del grado, con un’anzianità inferiore a venti anni ma superiore a quindici (Sentenza 29 dicembre 1982, n. 255).
E’ evidente che al G. si debba applicare detta norma ed in particolare la lettera b) della stessa che, si ripete, recita: “Art. 20…. b) se ha meno di venti anni di servizio effettivo, ma quindici o più anni di servizio utile per la pensione dei quali dodici di servizio effettivo, consegue la pensione considerando come se avesse compiuto venti anni di servizio effettivo anche se cessi dal servizio per perdita del grado”.
In ultimo occorre verificare quale sia la normativa che prevede il trattamento pensionistico di coloro che, come il G., rientrano nella previsione di cui alla lettera b) dell’art. 20 L. n. 1168 del 1961.
La norma che trova applicazione è l’art. 52 del D.P.R. n. 1092/1973 il quale si riporta testualmente: “ Diritto al trattamento normale. L’ufficiale, il sottufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo hanno diritto alla pensione normale se hanno raggiunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo. Nel caso di cessazione dal servizio permanente o continuativo per raggiunti limiti di età il militare consegue la pensione normale anche se ha un’anzianità inferiore a quella indicata nel comma precedente. L’ufficiale, il sottoufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado hanno diritto alla pensione normale se hanno compiuto almeno venti anni di servizio effettivo.
In base a tale ricostruzione normativa il G. ha diritto senza dubbio al riconoscimento della pensione normale, con tutte le conseguenze di legge.
Il G. ha diritto ad ottenere il trattamento pensionistico richiesto anche ragionando in altra direzione.
Occorre infatti considerare che il G. alla data di entrata in vigore delle riforme apportate al sistema pensionistico con le leggi citate dal Comando dell’Arma dei Carabinieri 01.01.1998, aveva già maturato il diritto al trattamento pensionistico.
Al 01.01.1998, il Sig. G. aveva maturato 18 anni di servizio effettivo, oltre ad aver riscattato 41 mensilità.
Tutto ciò premesso si chiede di:
1. Accertare e dichiarare che il Sig. G. A. ha il diritto al trattamento pensionistico previsto dalla normativa speciale indicata in premessa;
2. Per l’effetto ordinare agli Enti preposti la corresponsione del trattamento economico mensile di quiescenza con decorrenza 07.04.2009.
Con memoria di costituzione in giudizio del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri del 15.04.2010 si evidenzia quanto segue.
Il sig. A. G., già Appuntato Scelto dei C.C. nato il OMISSIS, collocato in congedo il 11.03.2009 per rimozione dal servizio per perdita di grado.
Per chiarezza espositiva, appare doveroso evidenziare i sottonotati eventi relativi alla posizione del ricorrente, sig. A. G., già Appuntato Scelto dei C.C., nato a OMISSIS:
1. Vicende di servizio:
• In data 12.11.1981, arruolato quale allievo Carabiniere;
• In data 27.02.1982, iscritto al fondo;
• In data 12.11.1996, promosso Appuntato Scelto;
• In data 11.03.2009, collocato in congedo a seguito di determinazione del Ministero della Difesa con cui è stato stabilita “la sanzione disciplinare di perdita del grado, per rimozione, per motivi disciplinari…. Cessando pertanto dal servizio permanente…”;
• In data 07.04.2009, il decreto di cui sopra è stato notificato al Sig. G. A.;
• In data 03.09.2009 presentava istanza avente ad oggetto la “domanda di pensione…. a seguito di destituzione per perdita del grado”
• In data 02.10.2009, il CNA, con lettera n. ……./1-1 PND in riscontro all’istanza, comunicava che all’accoglimento delle suindicate richieste osta(va) la normativa di seguito elencata:
o L’articolo 1, comma 32, della legge 8 agosto1995, n.335;
o L’articolo 6, comma 2, del Decreto Legislativo 30 aprile 1997 n. 165;
o L’articolo 59, comma 6, della Legge 27 dicembre 1997, n. 499”;
• In data 29.10.2009, l’interessato ha presentato nuova istanza-diffida;
• In data 09.11.2009, il CNA, con lettera n. ……./1-3 l’ND ha ribadito quanto evidenziato con il provvedimento di diniego.
Evidenzia parte convenuta che:
Il ricorso presentato dal Sig. A. G., già Appuntato Scelto dei C.C. appare essere infondato. Va infatti osservato che la domanda giudiziale posta dal ricorrente, finalizzata all’ottenimento del trattamento economico di quiescenza è assolutamente priva di pregio e infondata.
1. La materia trova principale riferimento nel complesso quadro normativo costituito:
a) dalla Legge 18.10.1961 n. 1168 che, in materia di “ norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari dell’Arma dei Carabinieri”:
• all’articolo 12 recita “il militare di truppa dell’Arma dei Carabinieri….anche prima del raggiungimento del limite di età….può cessare dal servizio continuativo per…perdita del grado”:
• all’articolo 22 altresì precisa che “il militare di truppa dell’Arma dei Carabinieri…..cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare” ed espressamente prevede che “qualora il procedimento si concluda con una sentenza….che importi la perdita del grado, la cessazione del militare dal servizio continuativo si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tali cause…”;
• all’articolo 34 chiarisce che “il militare di truppa dell’Arma dei Carabinieri incorre nella perdita del grado per…interdizione giudiziale…(o) condanna….nei casi in cui, ai sensi, della legge penale militare, importa la pena accessoria della rimozione”;
b) Dal D.P.R. 1092/1973 in materia di “approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato” che:
• All’articolo 52, comma 1, prevede che “l’ufficiale, il sottoufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo hanno diritto alla pensione normale se hanno raggiunto un’anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo”;
• All’articolo 52, comma 3, prevede che “l’ufficiale, il sottoufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda per decadenza o per perdita del grado, hanno diritto alla pensione normale se hanno compiuto almeno 20 anni di servizio effettivo”;
c) Dalla Legge 335/1995 che in materia di “riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” prevede all’Articolo 1, comma 32 che “le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e di decorrenza dei trattamenti pensionistici di anzianità continuano a trovare applicazione nei casi di cessazione dal servizio per invalidità derivanti o meno da cause di servizio: nei casi di trattamenti di mobilità previsti dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 : nei casi di pensionamenti anticipati previsti da norme specifiche alla data del 30 aprile 1995 in connessione ad esuberi strutturali di manodopera; per lavoratori privi di vista”;
d) Dalla Legge 449/1997 recante “misure per la stabilizzazione della finanza pubblica” che espressamente prevede all’articolo 59, comma 6 che: “con effetto sui trattamenti pensionistici di anzianità decorrenti dal 1° gennaio 1998 a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti per i lavoratori dipendenti e autonomi e delle forme di esso sostitutive ed esclusive, il diritto per l’accesso al trattamento si consegue, salvo quanto previsto al comma 7, al raggiungimento dei requisiti di età anagrafica e di anzianità ovvero di sola anzianità contributiva indicati nella tabella C, allegata alla presente legge per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed alle forme di essa sostitutive….( nel caso di specie 57 anni e 35 contributivi ovvero 38 utili)”;
e) Dal D.Lgs. 165/1997 in materia di “attuazione delle deleghe conferite dall’articolo 2, comma 23, della L. 8 agosto1995 n. 335 e dell’articolo 1 commi 97, lettera g), e 99, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego” che prevede all’articolo 6 comma 1 che “il diritto alla pensione di anzianità consegue secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 25,26,27 e 29 della legge 8 agosto 1995, n.335 “ ovvero:
• Comma 25, che “il diritto alla pensione di anzianità dei lavoratori dipendenti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e delle forme di essa sostitutive ed esclusive si consegua: al raggiungimento di un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni, in concorrenza con almeno 57 anni di età anagrafica: al raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni”.
• Comma 26, che “ per i lavoratori dipendenti iscritti alle forme previdenziali di cui al comma 25, fermo restando il requisito dell’anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni nella fase di prima applicazione, il diritto alla pensione di anzianità si consegue in riferimento agli anni indicati nell’allegata tabella B, con il requisito anagrafico di cui alla medesima tabella B, comma 1, ovvero, a prescindere dall’età anagrafica, al conseguimento della maggiore anzianità contributiva di cui alla medesima tabella B, colonna 2”;
2. Le fonti appena riportate ed i fatti innanzi esposti, consentono di giungere alla formulazione delle seguenti incontrovertibili considerazioni:
a) La perdita del grado investe il militare dell’Arma dei Carabinieri, qualunque sia la sua posizione di stato, producendo in capo allo stesso, se in servizio permanente effettivo, l’estinzione del rapporto di impiego. La legge di stato giuridico n. 1168/1961 infatti annovera (art. 34 citato) proprio tra le cause di perdita del grado, la rimozione a seguito di condanna che comporti, come pena ulteriore, la degradazione militare come accessoria alla principale:
b) Il complesso quadro normativo di riferimento in materia di accesso al trattamento previdenziale, costituito:
• Dal Testo Unico delle Pensioni, nella sua iniziale stesura (DPR 1092/1973 citato);
• Dalle norme innanzi citate, sopravvenute al fine di riassestare il sistema pensionistico statale (provvedimenti normativi 335/1995; 449/1997 e 165/1997.
• Dalle disposizioni dello stato giuridico del personale militare che regolamentano, assieme ad altri, anche l’istituto dell’accesso al trattamento pensionistico avendo riguardo sia alle peculiarità del rapporto di impiego militare che delle diversificate configurabili ipotesi di cessazione dal servizio attivo (legge 1168/1961 citata), emerge l’indirizzo che consente di definire l’identificazione delle norme previdenziali tuttora “viventi” e produttive di effetti, in quanto non colpite da meccanismi di abrogazione tacita ovvero non espressamente caducate dal Legislatore degli anni ‘90, in occasione del riammodernamento del sistema previdenziale e che, in altri termini, consente di affrontare la preventiva verifica delle disposizioni che, tra tutte quelle enunciate siano ancora vigenti in materia di accesso al trattamento previdenziale e quindi produttive di effetti all’interno dell’ordinamento positivo;
• sottoponendo le norme richiamate alle regole che sottendono ai meccanismi di abrogazione delle fonti, in particolare previsti dall’art. 15 della preleggi al Codice Civile, a tenore del quale “le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa dal legislatore o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”, emerge il requisito:
• generale della massima anzianità contributiva, per ciascuna delle cause di collocamento in congedo indicate dalla legge di stato giuridico, anche rispetto – per quanto attiene in particolare al presente ricorso – alle ipotesi originariamente previste (e mai espressamente abrogate) dall’articolo 52 del T.U. 1092/1973;
• dei quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo previsto in particolare dall’articolo 52, 1° comma del T.U. D.P.R. n. 1092/1973, per la sola residuale ipotesi di collocamento in congedo per inabilità/riforma, non riconducibile al caso in esame.
In relazione a quanto sopra esposto, la parte convenuta evidenzia che il ricorrente avrebbe dovuto avere, per conseguire utilmente il diritto a pensione, in luogo di quello effettivamente posseduto sotto la data del collocamento in congedo (11.3.09) il requisito di anzianità dei 38 anni contributivi ovvero di 35 anni maturati e contestualmente e 57 anni anagrafici già compiuti ai sensi dell’art. 59 c. 6 legge 27.12.1997, n. 449 e dell’art. 6 comma 1, del D.Lgs. 165/1997;
Con memoria di costituzione del 26.10.11 dell’ INPDAP si evidenzia quanto segue:
Preliminarmente occorre chiarire che questo istituto, previa intesa con il Ministero della Difesa e con il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, ha acquisito le competenze in materia pensionistica del personale della stessa Arma con decorrenza 01.01.2010 (cfr. Circ. N. 16 del 06.05.2011, all. A, adottata congiuntamente dal Ministero Economia e Finanze e INPDAP).
La fattispecie in esame, pertanto, non rientra nella competenza di questo Istituto che infatti non ha adottato alcun provvedimento, né è stato destinatario di alcuna istanza da parte del ricorrente.
Tuttavia, al fine di poter fornire ogni elemento utile alla soluzione del caso in esame, si allega alla presente, la Circolare INPDAP n. 22 del 18.09.2009 (alla quale integralmente ci si riporta) che descrive dettagliatamente i requisiti previsti dalla normativa vigente per la concessione della pensione di anzianità.
Alla luce di quanto sopra, si rassegnano le seguenti conclusioni:
in rito,
a) estromettere l’INPDAP per carenza di legittimazione passiva;
nel merito,
a) rigettare il proposto ricorso e quindi dichiarare la legittimità del provvedimento impugnato, con ogni conseguenza di legge;
Con successiva memoria defensionale dell’Avv. Sassi, depositata il 15.11.11, si ribadisce che la normativa applicabile nel presente caso va rinvenuta nelle norme di settore in quanto “lex specialis” ex L. n.1168/61 e D.P.R. 1092/73.
Inoltre l’ulteriore conferma della vigenza della citata Legge 1168/61, almeno al momento della proposizione del ricorso, deve ravvisarsi nella circostanza che, solo successivamente alla data di proposizione del ricorso, la stessa è stata espressamente abrogata (cfr. Decreto Legislativo n. 66 del 15.03.2010, entrato in vigore cinque mesi dopo la sua pubblicazione).
Da tale ultima circostanza si deduce inequivocabilmente che, prima dell’abrogazione, la normativa di riferimento era in vigore, come correttamente affermato da questa difesa nel ricorso introduttivo.
Ancora, a favore della fondatezza delle argomentazioni esposte nel ricorso introduttivo depone anche la circostanza che nessuna delle parti resistenti ha fornito argomenti in senso contrario rispetto a quelli prospettati dal ricorrente: nemmeno la difesa del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, unica difesa tra quelle delle amministrazioni resistenti ad aver affrontato la questione nel merito, ha fornito una spiegazione logica e coerente del motivo per cui la normativa di settore richiamata dal ricorrente nel ricorso non debba trovare applicazione al caso di specie.
Le altre amministrazioni non hanno preso posizione sul punto, limitandosi a contestare genericamente e apoditticamente l’avversa richiesta.
Né sono state sollevate obiezioni riguardo alle considerazioni, svolte dal G. in via subordinata, secondo cui lo stesso avrebbe comunque diritto al trattamento pensionistico richiesto in quanto, pur aderendo alla tesi contraria che ritiene abrogate le norme di legge, richiamate dal G. nel ricorso introduttivo alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 165/1997 (1 gennaio 1998), il G. aveva già maturato il diritto al trattamento richiesto secondo la normativa previgente.
In ultimo, va sottolineato che è priva di pregio l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato circa la pretesa prescrizione dei ratei pensionistici ultraquinquennali alla data del ricorso, in quanto tale prescrizione evidentemente non si è verificata: il trattamento pensionistico è stato richiesto con decorrenza dal 07.04.2009 e il ricorso è stato proposto nel 2010.
Si insiste in conclusione per il riconoscimento della predetta normativa speciale e conseguente trattamento di pensione del 07.04.09 oltre interessi e rivalutazione.
In sede di udienza dibattimentale l’Avv. P. Sassi per il ricorrente e l’Avv. Carlo Landolfi si riportano ai rispettivi scritti difensivi e concludono in conformità.

DIRITTO
Preliminarmente deve riconoscersi il difetto di legittimazione passiva dell’INPDAP, trattandosi di rapporto sorto antecedentemente al 01.01.10 (cfr. circ. n. 16 del 06.05.11, adottata congiuntamente dal Ministero dell’Economia e Finanze e dall’INPDAP) data fissata per il totale subentro dell’Istituto alle Forze Armate e all’Arma dei Carabinieri.
La pretesa di parte attrice, rivolta al riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico di anzianità, non può avere accoglimento in quanto infondata nel merito.
Occorre sottolineare, così come indicato in narrativa che il G. alla data del 27.08.99 veniva sospeso precauzionalmente dal servizio per motivi penali.
Tale condizione veniva poi a consolidarsi a seguito di condanna penale definitiva, cessando così dal servizio per perdita di grado (decisione questa comunicata all’interessato con provvedimento ministeriale dell’11.03.09).
Orbene, l’art. 52 e 1 del D.P.R. 1092/73 prevede che “l’ufficiale, il sottoufficiale e il militare di truppa che cessano dal servizio permanente o continuativo hanno diritto alla pensione normale se hanno raggiunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo”.
Il successivo comma 3, tuttavia eleva ad almeno 20 anni di servizio effettivo, (cui il ricorrente non perviene) il requisito necessario per accedere alla pensione nel caso di cessazione dal servizio per: “perdita del grado”.
Ne consegue che, nel caso di specie, non può che farsi applicazione del predetto requisito, atteso che il possesso della condizione di dodici anni di servizio effettivo (di cui il ricorrente dispone), ex art.52 1° c D.P.R. 1092/73, inerisce alla sola e diversa ipotesi del collocamento in congedo per “inabilità/riforma”, non riconducibile alla presente fattispecie.
Il ricorrente avrebbe potuto avere accesso alla pensione di anzianità laddove avesse maturato, alla data di collocamento in congedo (11.03.09), in un sistema di calcolo retributivo e misto, i requisiti anagrafici e contributivi prescritti dall’art. 59 comma 6, L. 449/97, ossia 57 anni di età con una anzianità contributiva di 35 anni, ovvero, a prescindere dall’età anagrafica, almeno quaranta anni di anzianità contributiva.
Elementi questi che non sono rinvenibili con riferimento alla parte attrice.
Pertanto la pretesa attrice non può trovare accoglimento.

PQM
Il Giudice Unico delle pensioni presso la Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Molise
Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione respinge il ricorso in epigrafe.
Non vi è luogo a provvedere delle spese di giudizio poiché vige, al riguardo, il principio di gratuità posto, per le cause previdenziali, dall’art. 10 della Legge 11 agosto 1973, n. 553.
Quanto alle spese legali, invece, data la particolare complessità e tecnicità della materia e il complesso iter interpretativo che ha caratterizzato la seguente questione oggetto del giudizio, si ritiene sussistano giusti motivi e che “concorrono gravi ed eccezionali ragioni”, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c. per dichiarare la compensazione delle stesse fra le parti del giudizio.

Così deciso in Campobasso il 23.11.11.
Il Giudice Unico
(Massimo Gagliardi)

Depositata in segreteria il giorno 19 dicembre 2011

IL RESPONSABILE DELLA SEGRETERIA

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: dom mar 25, 2012 2:30 pm
da panorama
Ricorso straordinario al PDR contro la sentenza Corte dei Conti, terza sezione giurisdizionale centrale d’appello.

Ricorso dichiarato inammissibile, poichè il ricorso straordinario al presidente della repubblica è un mezzo per impugnare gli atti amministrativi che si ritengano illegittimi. Esula invece dai poteri del presidente della repubblica quello di porre nel nulla le sentenze, come vorrebbe il ricorrente.

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Numero 01356/2012 e data 20/03/2012

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 14 marzo 2012

NUMERO AFFARE 00844/2011

OGGETTO:
Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ricorso straordinario al presidente della repubblica, con istanza sospensiva, proposto dal signor OMISSIS, contro la sentenza corte dei conti, terza sezione giurisdizionale centrale d’appello, 24 settembre 2010 n. 591/2010.

LA SEZIONE
Vista la relazione inviata con nota 28 gennaio 2011 n. 5155 e pervenuta il 23 febbraio 2011, con la quale la presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della funzione pubblica, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario sopra indicato;
vista la nota 4 marzo 2011 n. 4329 con la quale la segreteria della sezione ha richiesto alla presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della funzione pubblica, l’originale del ricorso e gli allegati, non trasmessi con la relazione;
vista la nota d’adempimento 26 aprile 2011 n. 26784, pervenuta il 4 maggio 2011;
visto il ricorso, proposto con atto spedito al ministero della funzione pubblica il 26 novembre 2010;
esaminati gli atti e udito il relatore, presidente Raffaele Carboni.

Premesso.
Il signor OMISSIS, maresciallo capo dei carabinieri in congedo, con il ricorso in esame ha impugnato la sentenza della corte dei conti sopra indicata - che ha riformato la sentenza di primo grado favorevole al ricorrente - affermandone l’erroneità e pregando il presidente della repubblica di sospenderne temporaneamente gli effetti, di ripristinare la decisione di primo grado e di ordinare all’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche di ottemperare a quest’ultima.

Considerato.
Il ricorso straordinario al presidente della repubblica è un mezzo per impugnare gli atti amministrativi (ossia atti delle pubbliche autorità, non giurisdizionali né legislativi) che si ritengano illegittimi. Esula invece dai poteri del presidente della repubblica quello di porre nel nulla le sentenze, come vorrebbe il ricorrente.
Pertanto il ricorso, e con esso l’istanza della sospensione degli effetti della sentenza, vanno dichiarati inammissibili.
P.Q.M.
esprime parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.



IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Raffaele Carboni


IL SEGRETARIO

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: dom mar 25, 2012 2:45 pm
da panorama
Sentenza del 2010 della Corte dei Conti - Terzo Appello - su Pensione Privilegiata di 1^ ctg. e indennità speciale annua nella misura prevista dagli artt. 1 e 2 legge 29 gennaio 1987 n° 13 e dall’art. 7 dPR 30 dicembre 1981 n° 834.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA APPELLO Sentenza 591 2010 Pensioni 24-09-2010
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591/2010


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello
composta dai magistrati:
dott. Ignazio de Marco Presidente
dott. Enzo Rotolo Consigliere
dott. Tommaso Miele Consigliere
dott. Fulvio Maria Longavita Consigliere
dott. Salvatore Nicolella Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio d’appello iscritto al n° 29898 del registro di segreteria, promosso dall’Inpdap - Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica [nella persona del Presidente pro tem¬pore, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Assumma], contro il sig. OMISSIS [rappresentato e difeso dagli avv.ti G. F. e G. D’.], av¬verso la sen¬tenza della Se¬zione giu¬risdizionale per la regione Veneto 2 novembre 2006 n° 917/06.
Uditi nel pubblico dibattimento del 4 giugno 2010, con l’assistenza del segretario sig.ra Gerarda Calabrese, il relatore consigliere Sal¬vatore Nicolella e, su delega dell’avv. Assumma, l’avv. Giuseppe Fiorentino.
Visti tutti gli atti e documenti di causa.
Ritenuto in

FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Sezione giurisdizionale per la regione Veneto ha riconosciuto il diritto del sig. OMISSIS, titolare di pensione privilegiata di 1^ ctg., all’indennità speciale annua nella mi¬sura prevista dagli artt. 1 e 2 legge 29 gennaio 1987 n° 13 e dall’art. 7 dPR 30 dicembre 1981 n° 834.
Avverso la pronuncia ha interposto appello l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica [Inpdap], nella persona del Presidente pro tem¬pore, rappresentato e difeso dal- l’avv. Maria Assumma, chiedendo il suo annullamento/riforma e la conseguente dichiarazione della non spettanza del beneficio.
A tal fine l’appellante sostiene che la decisione del primo Giu¬dice comporta una duplicazione di benefici, in quanto l’art. 25 [primo comma] dPR 23 dicembre 1978 n° 915, come sostituito dall’art. 7 dPR 30 dicembre 1981 n° 834, ha introdotto l’indennità in parola quale 13^ mensilità per le pensioni di guerra, che ne erano sprovviste al contrario dei trattamenti degli invalidi per servizio, ai quali ultimi analogo emo¬lumento era già stato attribuito ex artt. 94 e 111 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092.
Il pensionato si è costituito in giudizio col patrocinio degli avv.ti G. F. e G. D’., chiedendo il rigetto del gravame.
Nella memoria depositata in tale occasione e nel successivo scritto, prodotto in limine litis, i difensori hanno fornito un’ampia analisi del quadro normativo e delle circolari ministeriali di riferimento, oltre che della posizione del proprio assistito, affermando che il diritto del medesimo si fonda sull’equiparazione degli assegni accessori corrisposti alle due categorie di grandi invalidi e sulla riconducibilità dell’indennità in discussione a siffatta tipologia di benefici e sostenendo che l’interpretazione della disciplina de qua va comunque condotta sulla scorta dei princìpi dettati dalle preleggi, tenendo conto, in ultima analisi, delle esigenze sociali che informano la speciale materia, della natura dell’indennità, dei suoi destinatari e dello scopo perseguito, nonché della stessa esegesi offerta dal Ministero del tesoro.
Alla pubblica udienza del 4 giugno 2010 l’avv. F. ha insistito per l’accoglimento del gravame.
In tale stato il giudizio è passato in decisione.

Considerato in

DIRITTO

1. La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne l’attribuibilità all’appellato, quale grande invalido per servi¬zio titolare di pensione privilegiata di 1^ ctg., dell’indennità speciale annua [ISA] in¬trodotta, per i mutilati e invalidi di guerra, dall’art. 25 dPR 23 dicembre 1978 n° 915, come modificato dall’art. 7 dPR 30 dicem¬bre 1981 n° 834.
Al riguardo va precisato che quest’ultima disciplina ha previsto la corre-sponsione ai grandi invalidi di guerra di una speciale indennità pari a una mensilità del trattamento pensionistico complessivo ai medesimi spettante alla data del 1 dicembre di ciascun anno, compresi i relativi assegni accessori [e ciò indipendentemente dal mancato svolgimento di un'attività lavorativa (dipendente o in proprio), che inizialmente, in forza del primo comma dell’art. 25 dPR 23 dicembre 1978 n° 915, condizionava l'attribuzione del beneficio].
Sul punto la Sezione reputa di dover chiarire che la sentenza impugnata si fonda, in pratica, su una non corretta interpretazione della portata dell’equiparazione tra le due categorie di grandi invalidi, quale attuata dal Legislatore, in particolare, con la di¬sciplina introdotta con la legge 29 gennaio 1987 n° 13.
Invero è ben noto che tra le due categorie un’equiparazione è intervenuta in sede legislativa anche a carattere permanente, ma la stessa è rimasta contenuta a talune materie e settori, quale quello dell'assunzione obbligatoria al lavoro [cfr. art. 5, comma 1, legge 3 aprile 1958 n° 474].
E’ altrettanto vero che una tale parificazione è rimasta esclusa per quanto attiene al trattamento pensionistico [cfr. art. 5, comma 2, legge 3 aprile 1958 n° 474], di guisa che, allo stato, il concetto e la portata della stessa non può che restare contenuto entro i ristretti limiti e ambiti imposti dalle norme di riferimento, nonché all’accertata corri-spondenza degli istituti messi a confronto.
Venendo a quel che qui interessa, rileva il Collegio che l'ade¬guamento dei cosiddetti assegni accessori spettanti alla categoria dei grandi invalidi per servizio, sulla base della misura di quelli dovuti ai grandi invalidi di guerra, resta ancorato nella legge 29 gennaio 1987 n° 13 alla sussistenza della condizione di “corrispondenza” tra i bene-fici messi a raffronto; di guisa che é solo in ragione dell'esito positivo di una tale verifica che la parificazione può ritenersi operante.
Nella specie, è solo nel nomen juris utilizzato dal Legislatore che può ravvisarsi corrispondenza tra l'indennità speciale annua in pa¬rola e l'analogo beneficio concesso ex art. 111 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092 a favore dei mutilati e invalidi per servizio di 1^ ctg., restando invero tali istituti nettamente diversificati dalle rispettive normative di riferimento.
Infatti, mentre per gli invalidi di guerra il beneficio è pari a “una mensilità del trattamento pensionistico complessivo spettante” comprensivo dei re¬lativi assegni accessori, per gli invalidi per servizio il ripetuto art. 111 contiene il riferimento al mero “importo differenziale” tra il trattamento mensile complessivo in godimento e l’importo della 13^ mensilità; di modo che è proprio questa a essere esclusa dalla com-misurazione dell’indennità, con la conseguenza che la sua inclusione verrebbe, nella sostanza, a concretare quell’ingiustificata duplica¬zione a cui, cor¬rettamente, ha fatto riferimento l’Istituto appellante [in terminis: questa Sezione, 14 settembre 2009 n° 375].
Sulla base delle considerazioni che precedono l’appello va accolto e la sentenza impugnata va riformata, nel senso di negare il di¬ritto del pensionato di per-cepire l’indennità speciale annua [ISA] introdotta, per i mutilati e invalidi di guerra, dall’art. 25 dPR 23 dicembre 1978 n° 915, come modificato dall’art. 7 dPR 30 dicem-bre 1981 n° 834.
Ne deriva il venir meno anche delle statuizioni rese dal primo Giu¬dice in tema di accessori sugli arretrati pretesi per il titolo de quo.
2. Non vi è luogo a provvedere sulle spese di giudizio poiché, al riguardo, vige il principio di gra¬tuità posto, per le cause previden¬ziali, dall’art. 10 della legge 11 agosto 1973 n° 533, principio al quale la giurispru¬denza di questa Corte [cfr. Sezione 4^ pensioni militari, 9 feb¬braio 1989 n° 73062, 21 novembre 1990 n° 76190, 27 dicem¬bre 1991 n° 77639], in contrasto con quella del Giudice ordinario [cfr. Corte di cassazione, 17 no¬vembre 1979 n° 5996] ma in coe¬renza con la rubrica della predetta disposizione, attribuisce ca¬rattere di generalità.
Va solo chiarito, trattandosi di norma abrogata con l’art. 24 decreto legge 25 giugno 2008 n° 112, convertito in legge 6 agosto 2008 n° 133, che il presente giudizio d’appello è stato instaurato in data anteriore alla decorrenza dell’abrogazione stessa e che, comunque, innanzi a questa Corte non trovano applicazione le regole sul “contributo unificato”, il che depone per il sostanziale persistere del principio in parola nell’ambito processuale che ne occupa.
Le spese legali, invece, vanno compensate tra le parti, considerata la complessità delle questioni oggetto di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

questa Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pro¬nunciando, accoglie l’appello prodotto dall’Inpdap avverso la sentenza in epigrafe, che riforma nei termini di cui in motivazione, compensando le spese legali.
Nulla per le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 giugno 2010.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to dott. Salvatore Nicolella F.to dott. Ignazio de Marco
Depositata in Segreteria il giorno 24 settembre 2010
IL DIRIGENTE
IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
F.to Dott. Nicola Fabio

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: dom apr 08, 2012 2:27 pm
da panorama
Sentenza della Corte dei Conti per la Toscana su: "Indennità integrativa speciale in misura intera su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento". Ricorso Accolto.

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ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA Sentenza 130 2011 Pensioni 14-04-2011

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SENT. N. 130/2011


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA

IL GIUDICE UNICO

Nella persona della dr.ssa Paola Briguori, nella pubblica udienza del 30 marzo 2011 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul giudizio introdotto con ricorso iscritto al n. 51528PM del registro di segreteria, proposto da B. S., come in atti generalizzato, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Ceni, ed elettivamente domiciliato nello studio di questi, sito in Firenze alla via dei Servi n.12

CONTRO

• INPDAP Grosseto

per

il riconoscimento e l’accertamento del diritto alla concessione della indennità integrativa speciale in misura intera su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento.

Visto l'art. 5 della legge 21 luglio 2000 n. 205;
Uditi, per il ricorrente, l’avv. Stefano Ceni, per l’Inpdap, la dr.ssa Rosa Caira;
Esaminati gli atti e i documenti di causa.
Ritenuto in

FATTO

1. Con il ricorso odierno e con successiva memoria del 21.3.2011, B. S., titolare di duplice trattamento pensionistico, chiedeva la corresponsione della indennità integrativa speciale ( di seguito denominata IIS ) in misura intera su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento ed, in particolare, su quello erogato dall’Inpdap.
Nella memoria del 21.3.2011 il ricorrente precisava la domanda siccome circoscritta, appunto, alla richiesta di cumulo della doppia IIS sul duplice trattamento previdenziale in godimento, richiamando la giurisprudenza di questa Corte formatasi in materia di trattamento pensionistico di guerra tabellare e assimilato e mostrando di non avere più interesse per l’altro capo della domanda relativo alla richiesta di cumulo della IIS in costanza di rapporto di lavoro.
2. All’udienza del 3.11.2010 questo Giudice pronunciava l’ordinanza n.173/2010 con la quale ordinava a tutte le parti in giudizio di chiarire la natura del trattamento pensionistico militare percepito dal ricorrente ed, in particolare, di far conoscere <<se si tratta di pensione Privilegiata ordinaria tabellare, assimilabile al trattamento privilegiato di guerra, spettante ai militari in servizio di leva i quali, abbiano subito una menomazione dell’integrità personale invalidante, allegando – ove in possesso – copia del relativo provvedimento>>.
3. L’Inpdap si costituiva tempestivamente eccependo l’infondatezza della domanda ed in subordine, in caso di accoglimento, la prescrizione quinquennale dei ratei maturati. Eccepiva, altresì, il difetto di legittimazione passiva per quanto riguarda le doglianze mosse sull’erogazione della pensione tabellare in costanza di rapporto di lavoro.
Con successiva memoria in data 19.4.2010, nel richiamare la memoria già depositata, in riferimento all'ordinanza n° 173/10, precisava che la pensione n° ……. intestata al signor S. B., erogata dall’istituto, era stata conferita in qualità di ex dipendente dell'Amministrazione Comunale di Castiglione della Pescaia e, pertanto, trattasi di pensione ordinaria diretta. In particolare, si trattava di pensione diretta con decorrenza 05/09/1989, liquidata pertanto in applicazione della normativa previgente alla Legge n. 335/1995, già erogata in misura superiore al minimo INPS e completa di tredicesima mensilità, sulla quale non viene corrisposta la IIS a seguito del divieto di cumulo recato dall'art. 99 Legge n. 1092/1973. Precisava, altresì, che B. gode di pensione privilegiata militare tabellare amministrata dalla Ragioneria Territoriale dello Stato di Grosseto in ordine alla quale rinnovava l'eccezione di difetto di legittimazione passiva. Pertanto, la richiesta di corresponsione di somme riferite al periodo durante il quale il B. ha prestato attività lavorativa, e cioè fino al 04/09/1989, non avrebbe potuto essere avanzata nei confronti dell'INPDAP, in quanto non competente ad adottare alcun corrispondente provvedimento utile, a beneficio del ricorrente, ma solo alla Ragioneria Territoriale dello Stato di Grosseto.
La Direzione Territoriale dell’Economia e Finanze di Arezzo, con nota 19.1.2011 ed il Ministero della Difesa con nota 18.12.2011, in esecuzione dell'ordinanza n.173/2010, comunicavano che al ricorrente viene erogata la pensione privilegiata ordinaria tabellare concessa dal Ministero della Difesa.
Pertanto, dagli atti risultava chiaro che il ricorrente percepisce due trattamenti pensionistici, di cui uno militare tabellare: a) la pensione ordinaria diretta n. ……….. erogata dall’Inpdap, conferita in qualità di ex dipendente dell'Amministrazione Comunale del Comune di Castiglione della Pescaglia con decorrenza 05/09/1989, liquidata in applicazione della normativa previgente alla Legge n. 335/1995, sulla quale viene corrisposta la tredicesima mensilità ma non la Indennità Integrativa Speciale; b) la pensione militare privilegiata tabellare n. …….., concessa dal Ministero della Difesa, su cui la IIS è erogata in misura intera.
4. Alla successiva udienza del 30 marzo 2011 la causa era trattenuta in decisione.
Considerato in

DIRITTO

1. Preliminarmente, si rileva – sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte attrice - che la domanda deve intendersi circoscritta alla richiesta di liquidazione della IIS in misura intera sul duplice trattamento pensionistico in godimento. Dal che deriva che non si procede all’esame delle argomentazioni svolte e delle eccezioni sollevate in ordine alla domanda di riconoscimento del cumulo della IIS in costanza di rapporto di servizio.
2. Ciò premesso, ritiene questo giudice che la domanda odierna meriti accoglimento in considerazione della particolare natura del trattamento militare tabellare.
Deve rilevarsi che, per giurisprudenza costante della Suprema Corte, le pensioni privilegiate ordinarie per eventi dannosi subiti durante il servizio militare presentano natura di trattamento risarcitorio, indennitario e non previdenziale, che esclude l'applicazione del divieto di cumulo sulle pensioni di trattamenti collegati al costo della vita ( Cass. sez. lavoro, 11.2.2010 n. 3109; 13.5.2009 n. 11010 ). La Corte di Cassazione ha, tra l’altro, evidenziato che tale trattamento si differenzia dalla pensione privilegiata ordinaria, diretta o indiretta, spettante ai dipendenti dello Stato, o ai loro superstiti, attesa la natura previdenziale di quest'ultima, alla stregua degli artt. 65, 66 e 67 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, che presuppone l'esistenza di un rapporto di servizio con la P.A. in dipendenza del quale sia stata contratta un'infermità.
Nonostante la giurisprudenza di legittimità citata si sia formata in relazione alla disciplina di adeguamento al costo della vita delle pensioni dell'assicurazione generale obbligatoria fondata sulla corresponsione di quote aggiuntive, ritiene questo Giudice che non possa essere messa in dubbio la valenza generale del principio espresso e la sua applicazione anche nell’ambito della pensionistica pubblica in materia del divieto di cui all’art. 99, TU 1092/73 e art. 19, comma, L. n. 843 del 1978.
Ne consegue che anche nel suddetto ambito la natura non previdenziale del trattamento tabellare rende inoperante il divieto di cumulo di doppia IIS, che resta riferito solo all’ipotesi di percezione di duplice trattamento previdenziale.
3. Ciò considerato, poiché il ricorrente ha in godimento un trattamento pensionistico ordinario ed un trattamento militare tabellare, nei suoi confronti non può trovare in alcun modo applicazione il divieto di cumulo suddetto.
Pertanto, l’odierna pretesa risulta fondata e, per l’effetto, deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente a percepire l’indennità integrativa speciale su entrambe le pensioni in godimento senza l’operatività di decurtazioni, fatti salvi gli effetti dell’eccepita prescrizione quinquennale per i ratei antecedenti la data della notifica della domanda introduttiva del presente giudizio, non essendo stata rinvenuta in atti copia di una previa istanza trasmessa in via amministrativa.
Su quanto dovuto spettano, interessi legali e rivalutazione monetaria, ex artt. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo, da liquidarsi cumulativamente, nel senso di una possibile integrazione degli interessi legali ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi (SS.RR. 10/2002).
4. Trattandosi di controversia che coinvolge una materia di particolare complessità, si ritengono sussistenti giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Toscana – in composizione monocratica – definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, accoglie il ricorso iscritto al n. 51528PM del registro di segreteria, proposto da B. S., e, per l’effetto:

- riconosce il suo diritto a percepire l’I.I.S. in misura intera su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento;
- condanna l’Inpdap a liquidare in suo favore la IIS in misura intera sulla pensione ordinaria n° ……….., fatti salvi gli effetti dell’eccepita prescrizione quinquennale per i ratei antecedenti la data della notifica della domanda introduttiva del presente giudizio (18.3.2002), con conseguente diritto ai benefici accessori nei limiti di legge, come meglio precisato in parte motiva;

- compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso, in Firenze, all’udienza del 30 marzo 2011.
IL GIUDICE UNICO
F.to Paola Briguori
Depositata in Segreteria il 14 APRILE 2011

IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
F.to Paola Altini

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: dom apr 08, 2012 6:13 pm
da panorama
Il ricorrente, arruolato presso la Polizia di Stato in data 01.03.1978, ha prestato servizio sino al 20.11.1999, data in cui ha cessato l’impiego perchè destituito.

Alla data della cessazione dell’impiego aveva maturato anni 21, mesi 8 e giorni 19 di servizio, compresi i sei mesi di corso, e che con l’aumento di cui all’art. 3, comma 5, della legge n. 284/1977, ha raggiunto anni 26 e mesi 1 di servizio.
Pertanto ha chiesto il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico ordinario, ai sensi dell’art. 42, comma 2, del d.p.r. n. 1092/1973.

il ricorrente, avendo, alla data del 29.11.1999, anni 40 e un servizio effettivo di 21 anni, mesi 3 e giorni 28 non aveva diritto alla pensione ordinaria.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA Sentenza 866 2012 Pensioni 16-03-2012

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REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popoli Italiano
Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giuseppe Colavecchio

ha emesso la seguente

SENTENZA N. 866/2012

ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge n. 205/2000

sul ricorso in materia di pensione, iscritto al n. 31483 del registro di segreteria, proposto da
• C. V., nato a omissis, il omissis.., rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Valguarnera e dall’avv. Minica Vitale, giusta procura a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Palermo, via Puglisi Bartolino n. 2;

contro

• Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro-tempore;
• I.N.P.S. già I.N.P.D.A.P. in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Assunta e dall’avv. Antonino Rizzo, giusta procura a margine della memoria depositata in data 14.02.2012, ed elletivamente domiciliato in Palermo, negli uffici dell’ex Avvocatura I.N.P.D.A.P., via Resuttana Colli n. 360.

Sentito, nella pubblica udienza del 29.02.2012, l’avv. Alessandro Agueci per delega dell’avv. Fabio Valguarnera procuratore del ricorrente, per mandato in atti; non rappresentate le Amministrazioni convenute.

Ritenuto in

FATTO

Il ricorrente, arruolato presso la Polizia di Stato in data 01.03.1978, ha prestato servizio presso la Questura di Caltanissetta sino al 20.11.1999, data in cui ha cessato l’impiego perchè destituito.
L’attore, nell’impugnare la nota del Ministero dell’Interno prot. n. 333/H/…… del 24.01.2003 con la quale è stata respinta la domanda di concessione della pensione ordinaria, presentata il 29.10.2002, ha chiesto il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico ordinario, ai sensi dell’art. 42, comma 2, del d.p.r. n. 1092/1973, con gli arretrati dal giorno della domanda e con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria; ha esposto che alla data della cessazione dell’impiego aveva maturato anni 21, mesi 8 e giorni 19 di servizio, compresi i sei mesi di corso, e che con l’aumento di cui all’art. 3, comma 5, della legge n. 284/1977, ha raggiunto anni 26 e mesi 1 di servizio.
L’istante ha esposto che la normativa di cui al decreto legislativo n. 165/1997 e di cui alla legge n. 449/1997, che ha mutato i requisiti per ottenere la pensione ordinaria, non ha espressamente o implicitamente abrogato l’art. 42, comma 2, del d.p.r. n. 1092/1973 secondo il quale il dipendente cessato dal servizio per destituzione ha diritto alla pensione ordinaria se ha compiuto venti anni di servizio effettivo.
Il Ministero dell’Interno, con memoria agli atti (la segreteria non ha apposto alcun timbro di deposito), ha chiesto il rigetto del ricorso giacchè, per coloro che sono cessati dal servizio nell’anno 1999, il diritto a pensione si acquisisce, rispettivamente, o al conseguimento dell’anzianità massima prevista per l’ordinamento di appartenenza (calcolata tenuto conto del disposto dell’art. 17, comma 1, della legge n. 724/94 e del disposto di cui all’art. 59, comma 1, lett. “b” della legge n. 449/97) unitamente all’età anagrafica di anni 51 (art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 165/97 come modificato dall’art. 59, comma 12, della legge n. 449/97) ovvero al compimento di anni 35 di servizio utile e anni 55 di età o al compimento di anni 37 di servizio utile (tabella D allegata alla legge n. 449/97 e art. 59, comma 6, della stessa legge); in subordine, ha eccepito la prescrizione.

Il Collegio, con ordinanza n. 57/2004, ha rigettato l’istanza cautelare.

L’I.N.P.S., subentrato all’I.N.P.D.A.P. - ai sensi dell’art. 21 del decreto legge n. 201/2011 convertito in legge n. 214/2011 - e costituitosi in giudizio - ai sensi dell’art. 302 c.p.c. - con memoria depositata in data 14.02.2012, ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto per gli appartenenti alla Polizia di Stato, cessati dal servizio dopo l’01.01.1998, si applicano integralmente le norme di cui alla legge n. 449/1997 che dettano una nuova ed unica disciplina per i trattamenti anticipati di anzianità, “a prescindere dalla causa di cessazione dal servizio che abbia determinato il pensionamento anticipato”, salvo le eccezioni disciplinate dall’art. 59, comma 7, tra le quali non rientra la destituzione.
Previa camera di consiglio il Giudicante ha dato lettura, al termine dell’udienza, del dispositivo della presente decisione.

Considerato in

DIRITTO

1. Preliminarmente, deve darsi atto che secondo la giurisprudenza oramai maggioritaria è ammissibile la motivazione per relationem ad altra sentenza della quale si condividono le argomentazioni logico-giuridiche ovvero i punti e gli elementi essenziali, soprattutto con riferimento alla decisione adotta in sede di gravame che richiama quella emessa dal giudice di prime cure (ex multis Cassazione, sezione I, n. 2045/2005; sezione lavoro n. 662/2004; sezione V n. 1539/2003; sezioni unite n. 5612/1998).
In particolare, per ciò che concerne il processo pensionistico innanzi alla Corte dei Conti la motivazione della sentenza, in presenza delle condizioni (assunzione della decisione in forma semplificata, nel rispetto della completezza del contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare ovvero fissata d’ufficio a seguito dell’esame istruttorio previsto dall’art. 44, comma 2, del regio decreto 26 giugno 1924 n. 1054) e dei casi (manifesta fondatezza ovvero manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso) contemplati dall’art. 9, comma 1, della legge n. 205/2000 “può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”, precedente che, comunque, deve essere espressamente indicato in modo da far comprendere e palesare la ratio decidendi del giudice secondo il principio cogente posto dall’art. 111 della Costituzionale (Corte dei Conti, sezione I centrale d’appello, n. 117/2006 e n. 160/2004; sezione Abruzzo n. 199/2006; sezione Toscana n. 166/2006).

Il Consiglio di Stato, inoltre, ha sostenuto, che qualora il giudice amministrativo ravvisi la manifesta infondatezza del ricorso giurisdizionale, può pronunciarsi con sentenza succintamente motivata ex art. 26 della legge n. 1034/1971, nel testo novellato dall’art. 9, comma 1, della legge n. 205/2000, anche se la causa sia stata trattata in udienza pubblica (ex multis sezione IV n. 5371/2005; sezione V n. 268/2001).
Alla luce di quanto argomentato, a maggior ragione il Giudice unico delle pensioni può adottare sentenze in forma semplificata in udienza pubblica, con riferimento a precedenti conformi alla propria decisione, soprattutto in materie nella quali si discuta, come nel caso in esame, sull’interpretazione di norme giuridiche.

2. Ciò posto, il ricorso non è meritevole di accoglimento secondo le ampie e condivisibili motivazioni contenute nelle sentenze n. 1275/2003 e n. 68/2011 di questa Sezione e nella sentenza n. 94/2012 della locale Sezione di Appello che hanno ritenuto, a decorrere dall’01.01.1998, definitivamente superata la disciplina normativa di cui all’art. 42, comma 2, in combinato con l’art. 52 del d.p.r. n. 1092/1973, che prevedeva il riconoscimento della pensione ordinaria all’impiegato destituito/decaduto che avesse maturato venti anni di servizio effettivo.

In particolare, il citato orientamento giurisprudenziale sostiene che tutta la materia pensionistica è stata, compiutamente, regolamentata dal combinato disposto dell’art. 2, comma 23, lett. a) della legge n. 335/1995, degli artt. 6 e 8 del decreto legislativo n. 165/1997, dell’art. 59 della legge n. 449/1997, con la conseguenza che il ricorrente, avendo, alla data del 29.11.1999, anni 40 e un servizio effettivo di 21 anni, mesi 3 e giorni 28 non aveva diritto alla pensione ordinaria.

3. Stante la particolarità e la novità della questione trattata in relazione al momento del deposito del ricorso, sussistono giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana - in composizione monocratica del Giudice Unico per le pensioni, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso; spese compensate.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 29 febbraio 2012.
Il Giudice
F.to Cons. Giuseppe Colavecchio
Depositata oggi in segreteria nei modi di legge.

Palermo, 16 Marzo 2012.
Il Funzionario Amministrativo
F.to Piera Maria Tiziana Ficalora

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun apr 16, 2012 10:38 am
da panorama
Per notizia questa è da leggere:

1)- Parte ricorrente, collocata a riposo con decorrenza 1° aprile 1998, avrebbe goduto di un trattamento pensionistico provvisorio superiore al dovuto.

2)- il patrocinante di parte attrice ha sottolineato l’orientamento favorevole dei giudici di primo grado ed il ricorso è stato spedito a sentenza sulla base della documentazione e delle argomentazioni acquisite agli atti.

3)- Nel merito della questione il ricorso merita accoglimento in relazione alla non debenza delle somme in contestazione per l’illegittimità della procedura seguita dall’INPDAP.

4)- l’Amministrazione comunale di Chianni (PI) nel trasmettere all’INPDAP i dati previdenziali ha commesso errori materiali che hanno determinato l’erogazione di somme provvisorie superiori al dovuto.

5)- Tale omissione non può ricadere sulla parte privata che, in materia, atteso lo stato di assoluta buona fede, gode del c.d. beneficium excussionis (cfr. Sez. Toscana n.187/10).


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ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA Sentenza 171 2012 Pensioni 03-04-2012

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SENTENZA N. 171/2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
in composizione monocratica nella persona del GIUDICE UNICO Cons.Carlo GRECO ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso, iscritto al n.58983/PC del registro di Segreteria, proposto da L. F. nato a “omissis” il 1°ottobre 1939, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Daniele BRAGONI e Claudia BRACCI del Foro di Pisa con studio in L.no B.Buozzi n.20, avverso la nota di recupero emessa dall’INPDAP di Pisa in data 13 aprile 2011.

Alla pubblica udienza del 28 marzo 2012, con l'assistenza del segretario Armando GRECO, udito l’Avv.Daniele BRAGONI per la parte ricorrente e la D.ssa Rosa CAIRA per l’Istituto previdenziale;
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Visto il decreto legge 15 novembre 1993 n.453 convertito in legge 14 gennaio 1994 n.19;
Visto il decreto legge 23 ottobre 1996 n.543 convertito in legge 20 dicembre 1996 n.639;
Vista la legge 21 luglio 2000 n.205;

Ritenuto in
FATTO

Con il ricorso in esame parte attrice ha contestato l’azione di recupero intentata dall’INPDAP di Pisa con la nota-provvedimento citata in epigrafe.
In particolare la parte ricorrente, collocata a riposo con decorrenza 1° aprile 1998, avrebbe goduto di un trattamento pensionistico provvisorio superiore al dovuto, successivamente formalizzato con determina di pensione definitiva n. OMISSIS emesso dall’INPDAP di Pisa in data 8 aprile 2011.
Al riguardo l’INPDAP ha quantificato l’indebito con la nota impugnata del 13 aprile 2011.
Tutto ciò premesso, questo Giudice nella precedente udienza camerale del 9 novembre 2011 ha accolto l’istanza cautelare per insussistenza di entrambi i necessari requisiti di legge.
Fissata l’odierna udienza di merito sono pervenute note conclusionali da entrambe le parti.
Al riguardo mentre l’Istituto previdenziale, si é richiamato al tenore dello scritto integrato dal richiamo a recente giurisprudenza di Appello (Sez. I. n.48/2012) che avrebbe affrontato e risolto un caso analogo, il patrocinante di parte attrice ha sottolineato l’orientamento favorevole dei giudici di primo grado ed il ricorso è stato spedito a sentenza sulla base della documentazione e delle argomentazioni acquisite agli atti.

Considerato in
DIRITTO

Nel merito della questione il ricorso merita accoglimento in relazione alla non debenza delle somme in contestazione per l’illegittimità della procedura seguita dall’INPDAP.
In primo luogo deve essere accolta l’eccezione di prescrizione per cui le somme richieste oltre il decennio dalla nota recupero sono comunque e sempre prescritte per tabulas e si tratta delle somme maturate dal 1°aprile 1998 al 12 aprile 2001.
Oltre quanto sopra, l’errata determinazione del trattamento pensionistico, sempre per tabulas, ricade solo ed esclusivamente sulle Amministrazioni pubbliche.
Dagli atti emerge, infatti, che l’Amministrazione comunale di Chianni (PI) nel trasmettere all’INPDAP i dati previdenziali ha commesso errori materiali che hanno determinato l’erogazione di somme provvisorie superiori al dovuto.
Quanto sopra ha determinato l’onere per l’INPDAP (ai sensi e per gli effetti dell’art.8 della legge 538/86) di rivolgersi in via preventiva alla ex Amministrazione di appartenenza, senza quindi procedere all’integrazione del giudizio ma riproponendolo solo nei confronti dell’Ente locale.
Tale omissione non può ricadere sulla parte privata che, in materia, atteso lo stato di assoluta buona fede, gode del c.d. beneficium excussionis (cfr. Sez. Toscana n.187/10).
Tale previsione legislativa è stata completamente disattesa dall’INPDAP (pur sollecitata in tal senso in sede di istanza cautelare) che solo in questa fase ha chiesto in via preliminare la chiamata in causa del Comune di Chianni (PI).
Quanto sopra travolge il richiamo alla sentenza della Sez. I n.48/12 la quale attiene ad altro problema (diritto-dovere dell’INPDAP di disporre sempre la ripetizione dell’indebito), questione non attuale in questa sede atteso che l’azione di recupero intentata non è stata preceduta dalla procedura (ben nota all’INPDAP che, tra l’altro richiede anche una pronuncia sul diritto di rivalsa nei confronti dell’Ente locale) ex DPR 538/86.

Per completezza di indagine questo Giudice ritiene che il recupero, oltre che parzialmente prescritto, sia illegittimo e comunque (ad abundantiam) anche infondato.

Al riguardo la giurisprudenza contabile ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente, ed in maniera non univoca, in materia di recupero di indebito derivante dal conguaglio tra trattamento provvisorio e definitivo.
A fronte di un iniziale orientamento (SS.RR. 1/QM/1999 nonché Sez.I 180/06) secondo cui era sempre e comunque ripetibile l’indebito pensionistico, è stato affermato in materia il principio opposto.
Sussiste, pertanto, nel sistema normativo previdenziale, un principio idoneo a legittimare in alcuni casi la tutela dell’affidamento, anche di trattamenti provvisori di pensione.
In particolare le SS.RR n.7/QM/2007 (su cui, peraltro non concordano pienamente SS.RR. n.7/QM/2011) hanno statuito che dopo la procedimentalizzazione disposta dalla legge n.241/90 (che ha introdotto termini precisi per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza), l’irrazionale protrarsi del tempo di definizione della pratica pensionistica, nonché l’assenza di responsabilità del percettore nell’insorgenza dell’errore, siano elementi tali da rendere ingiustificata l’azione di recupero promossa dall’Amministrazione.
Tali principi, considerata peraltro l’assenza di dolo dell’interessato, vengono condivisi da questo Giudice.
D’altro canto la citata sentenza delle Sezioni riunite n.7/QM/2011 pone il principio di diritto secondo cui “gli artt. 203,204 e 205 del d.p.r. n. 1092 del 1973 non si applicano al trattamento provvisorio di cui all’art. 162 del summenzionato Testo unico sulle pensioni, con la conseguenza che, sino all’adozione del provvedimento definitivo di pensione, sono possibili modifiche del trattamento provvisorio stesso, attesa la sua natura interinale”. In altri termini si tratta della possibilità di rettificare gli importi dovuti a titolo di pensione ma non dispone nulla in ordine all’eventuale indebito che una tale modifica possa avere creato (cfr. Sez.I n.451 del 7 ottobre 2011).
Oltre quanto sopra la successiva sentenza delle SS.RR. n. 16/QM/2011, nel considerare inammissibile la questione sollevata, ha ritenuto consolidato, tra le Sezioni di secondo grado, l’orientamento espresso dalle SS.RR. 7/2007/QM.

Tutto ciò premesso l'azione di recupero si appalesa illegittima nonché infondata con il riconoscimento dell'irripetibilità delle somme indebitamente percepite e conseguente obbligo di restituzione degli importi medio-tempore recuperati dall'Amministrazione.

Al riguardo questo Giudice precisa che l'obbligazione di restituzione a carico dell'INPDAP, non trovando ragione e fondamento nel credito previdenziale ma bensì nell'accoglimento del ricorso non origina il diritto alle c.d somme aggiuntive (cfr. Sez.III n.347 del 18 dicembre 2000 – Sez. Appelli Sicilia n.39 del 5 marzo 2004 – Sez.Calabria n.46 del 17 gennaio 2006 - Sez. I n.216 del 2 aprile 2009).

La complessità della vicenda, sul piano fattuale e di diritto, comporta la compensazione delle spese.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana - definitivamente pronunciando in relazione al ricorso proposto da L. F. dichiara:
A) la prescrizione delle somme in contestazione limitatamente al periodo 1°aprile 1998 - 12 aprile 2001;

B) respinge l’istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di CHIANNI;

C) sussistere ex lege il diritto di rivalsa nei confronti del Comune di Chianni.

D) l’illegittimità dell’azione di recupero per mancata attivazione della procedura ex DPR n.538/86;

E) la restituzione delle somme medio-tempore recuperate, senza corresponsione di interessi e rivalutazione.

Dispone la trasmissione degli atti alle Amministrazioni interessate per gli ulteriori adempimenti di competenza.
Spese compensate.

Così deciso in Firenze previa lettura del dispositivo, ai sensi e per gli effetti del primo comma dell’art. 429 c.p.c., nella pubblica udienza del 28 marzo 2012.
In esito alla riserva ivi contenuta la presente sentenza è emessa, nei termini di legge, nella camera di consiglio del 2 aprile 2012 ed in pari data è stata comunicata alla Segreteria per il seguito di competenza.
IL GIUDICE UNICO
F.TO Carlo Greco

Depositata in Segreteria il 3 aprile 2012

IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
F.TO PAOLA ALTINI

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun apr 16, 2012 10:49 am
da panorama
Per notizia.

Diritto all’adeguamento dell’importo dell’assegno di cura relativo alla pensione privilegiata,

MOTIVI DELLA DECISIONE

1)- Ai sensi dell’art. 108 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092:

2)- Ai sensi dell’art. 59, comma 4, Legge 27 dicembre 1997, n. 449:

3)- Ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Perequazione automatica delle pensioni):

La Corte dei Conti ha precisato quanto segue:

1)- A mente del combinato disposto delle norme sopra richiamate spetta al ricorrente il diritto alla riliquidazione dell’assegno di cura nella misura risultante dall’applicazione del meccanismo di perequazione automatica previsto dalle norme sopra citate.

2)- Il riconoscimento di questo diritto deve essere effettuato nei limiti della eccepita prescrizione.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO Sentenza 387 2012 Pensioni 05-04-2012

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SENT. 387/2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio

GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del dr. Andrea Lupi, con l'assistenza della signora Domenica Laganà,
nella pubblica udienza del giorno 30 marzo 2012, ha pronunziato

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 70676 del registro di segreteria, proposto con ricorso da C. B., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Lippi elettivamente domiciliati in Roma via Baiamonti, 4, contro
Ministero Economia e Finanze - Direzione Territoriale di Roma
ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il ricorso in epigrafe il sig. C. chiede il riconoscimento del diritto all’adeguamento dell’importo dell’assegno di cura relativo alla sua pensione privilegiata, con il pagamento degli arretrati dal dovuto al saldo, nonché il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria sugli arretrati stessi dal dovuto al saldo.
L’Amministrazione resistente ha chiesto il rigetto del ricorso, eccependo comunque la prescrizione quinquennale a ritroso dal deposito del ricorso e contestando la domanda di rivalutazione monetaria.
Nell’udienza, l'avvocato Lippi ha insistito per l'accoglimento del ricorso, mentre la dottoressa Angela Spadaro per l'amministrazione dell'economia e delle finanze ha insistito per il rigetto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ai sensi dell’art. 108 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092:
“A favore dei titolari di pensione od assegno privilegiato per infermità tubercolare o di sospetta natura tubercolare, che non abbiano assegno di superinvalidità, è attribuito un assegno di cura non riversibile nella misura di annue L. 96.000, e si tratti di infermità ascrivibile ad una delle categorie dalla seconda alla quinta, e di annue lire 48.000 se l'infermità stessa sia ascrivibile alle categorie dalla sesta all'ottava della tabella A annessa alla legge 18 marzo 1968, n. 313”.

Ai sensi dell’art. 59, comma 4, Legge 27 dicembre 1997, n. 449:
“4. A decorrere dal 1° gennaio 1998, per l'adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3 trova applicazione esclusivamente l'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all'evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio. Con effetto sui trattamenti liquidati a decorrere dal 1° gennaio 1998 dalle medesime forme pensionistiche si applicano le disposizioni in materia di cumulo tra prestazioni pensionistiche e redditi da lavoro dipendente o autonomo previste dalla disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria”.

Ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Perequazione automatica delle pensioni):
“1. Gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali si applicano, con decorrenza dal 1994, sulla base del solo adeguamento al costo vita con cadenza annuale ed effetto dal primo novembre di ogni anno (1). Tali aumenti sono calcolati applicando all'importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente. Si applicano i criteri e le modalità di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 24 della legge 28 febbraio 1986, n. 41.

2. Ulteriori aumenti possono essere stabiliti con legge finanziaria in relazione all'andamento dell'economia e tenuto conto degli obiettivi rispetto al PIL indicati nell'art. 3, comma 1, della L. 23 ottobre 1992, n. 421, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Con effetto dal 1° gennaio 2009 i predetti aumenti saranno stabiliti nel limite di un punto percentuale della base imponibile a valere sulle fasce di pensione fino a lire dieci milioni annui.

A mente del combinato disposto delle norme sopra richiamate spetta al ricorrente il diritto alla riliquidazione dell’assegno di cura nella misura risultante dall’applicazione del meccanismo di perequazione automatica previsto dalle norme sopra citate.

Il riconoscimento di questo diritto deve essere effettuato nei limiti della eccepita prescrizione.

La prescrizione di ciascuna differenza di quota di pensione decorre dalla data della sua maturazione, poiché è da tale data, ai sensi dell'art. 143, ultimo comma, del d.P.R. n. 1092/1973, che l'interessato, attraverso la comunicazione delle proprie competenze mensili, prende conoscenza di ciò che gli viene liquidato.

Il diritto vantato dal ricorrente poteva essere azionato dalla data di mancata corresponsione, quindi il termine di prescrizione previsto dal primo comma dell'art. 2 del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295 (modificato con gli attuali commi primo e secondo che così sostituiscono l'originario comma primo per effetto dell'art. 2, l. 7 agosto 1985, n. 428), decorre dal giorno in cui, con riferimento a ciascun rateo, la riduzione della pensione è stato portato a conoscenza dell'interessato.

Deve dunque essere accolta l’eccezione di compiuta prescrizione del diritto ai ratei a decorrere dal quinquennio precedente dalla istanza prodotta dal ricorrente all'amministrazione in data 23 aprile 2010.

Pertanto devono essere corrisposte al ricorrente le somme differenziali spettanti a seguito della riliquidazione del beneficio pensionistico, nei limiti della intervenuta prescrizione, con liquidazione di interessi e rivalutazione sulle somme tardivamente pagate secondo i criteri stabiliti dalla sentenza 18.10.2002 n. 10/2002/QM delle Sezioni riunite di questa Corte.
Sussistono giusti motivi, data la particolarità del caso, per la compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,

ACCOGLIE

la domanda proposta col ricorso indicato in epigrafe e dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione dell’assegno di cura nella misura risultante dall’applicazione del meccanismo legale di perequazione automatica, con la conseguente corresponsione delle somme differenziali spettanti a seguito della riliquidazione del beneficio pensionistico, nei limiti della intervenuta prescrizione, con liquidazione di interessi e rivalutazione sulle somme tardivamente pagate secondo i criteri stabiliti dalla sentenza 18.10.2002 n. 10/2002/QM delle Sezioni riunite di questa Corte.
Spese di giudizio compensate.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2012.

IL GIUDICE
f.to Andrea Lupi

Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 05/04/2012

P. Il Direttore
IL RESPONSABILE DEL SETTORE PENSIONISTICO
f.to Paola ACHILLE

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun apr 16, 2012 4:50 pm
da panorama
1)- Il ricorrente, in quiescenza quale dipendente del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dal 20.9.2002 per infermità, premesso che il trattamento di pensione provvisoria decorreva dal 21.10.2002 e che a seguito della liquidazione del decreto di pensione definitiva in data 29.11.2006, si era determinato un conguaglio a suo favore, adiva questa Corte lamentando l’inesatta decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria dovuta, calcolati dal Ministero a far data dal 22 maggio 2006 anziché dalla data di collocamento in quiescenza (20.9.2002).

2)- Il Ministero della Giustizia, con la memoria depositata il 20 gennaio 2012 deduceva di aver rispettato di aver rispettato la tempistica procedimentale fissata dal regolamento di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge n. 241 del 1990 (D.M. n. 540/1995 modificato dalle tabelle introdotte dal D.M. 7 novembre 1997 n. 488) per un totale di 1.435 giorni al termine dei quali iniziava la decorrenza degli interessi legali o della rivalutazione monetaria.


- DIRITTO

1)- La questione all’esame riguarda l’accertamento del diritto del ricorrente a percepire interessi e/o rivalutazione monetaria dal dì del collocamento in quiescenza, avvenuto il 20.9.2002, anziché dalla data – posteriore - del 22 maggio 2006.

2)- Il ricorso merita l’accoglimento.

3)- Al riguardo, come efficacemente sintetizzato dalla sentenza di questa Corte, Sez. Giur. Reg. Emilia Romagna n. 1739/2010 (e da molte altre della stessa Sezione) in materia di corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme dovute a titolo di arretrati pensionistici, si sono espresse le Sezione Riunite di questa Corte le quali, con sentenza n 10/2002/QM, hanno così risolto la questione di massima ad esse deferita:

OMISSIS, (leggete direttamente dalla sentenza)


4)- In ragione di quanto sopra dedotto vanno respinte, perché infondate, le considerazioni svolte dal Ministero della Giustizia in ordine al rispetto dei termini del procedimento amministrativo adottato, a prescindere poi dal fatto per cui non si comprende il perché debba sommarsi al termine di 450 giorni relativo alla liquidazione del trattamento di quiescenza con quello di 985 giorni per la contrattazione stipendiale/provvedimento di inquadramento, ipotesi che qui non ricorre. Infatti, il superamento dei termini procedimentali investe la diversa questione del danno da ritardo ma non certo la maturazione degli accessori che sono ontologicamente connaturati al credito.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA Sentenza 155 2012 Pensioni 21-03-2012

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SENTENZA N. 155/2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA TOSCANA
in composizione monocratica e in funzione di giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio sul ricorso iscritto al n. 58351/PC presentato il 3 febbraio 2010 dal sig. S. G., nato a “OMISSIS” e residente in “OMISSIS” , rappresentato e difeso dall’Avv. Ugo Scirè del Foro di Prato (C.F. …………) ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Massimiliano Manzo n Firenze, Via V. Alfieri n. 28, giusta procura a margine del ricorso introduttivo (comunicazioni alla mail studiolegalescire@tin.it; fax 055/8739328), contro il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore e l’INPDAP, avverso il decreto n. ……. del D.A.P. del Ministero della Giustizia.
Visto l'atto introduttivo del giudizio e vista la memoria difensiva;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi la dottoressa Rosa Caira in rappresentanza dell’INPS e l’Avv. Ugo Scirè per il ricorrente, all’udienza dell’8 marzo 2012; con l’assistenza della Segretaria signora Carmina Carlini.

Ritenuto in
FATTO

- Con il ricorso all’esame il sig. S., in quiescenza quale dipendente del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dal 20.9.2002 per infermità, premesso che il trattamento di pensione provvisoria decorreva dal 21.10.2002 e che a seguito della liquidazione del decreto di pensione definitiva in data 29.11.2006 giusta decreto ministeriale n. ……, si era determinato un conguaglio a suo favore, adiva questa Corte lamentando l’inesatta decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria dovuta, calcolati dal Ministero a far data dal 22 maggio 2006 anziché dalla data di collocamento in quiescenza (20.9.2002). Si richiamava il disposto del D.M. n. 352 del 1.9.1998 che all’art. 2 stabiliva che gli oneri accessori dovevano essere liquidati ex officio a prescindere dalla causa del ritardo, essendo completamente svincolati dall’accertamento della colpa del debitore ed essendo dovuti unicamente sulla base del mancato pagamento.

- Pertanto si insisteva per la declaratoria del diritto a percepire gli oneri accessori decorrenti sui singoli ratei di pensione con decorrenza 20.9.2002 nella misura – salvo errori ed omissioni – pari a euro 5.211,83 lordi come da prospetto allegato.
Nelle more, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, l’INPDAP è stato soppresso a far data dal 1° gennaio 2012, e le sue attribuzioni sono transitate nell’INPS.
Questo si costituiva il 12 gennaio 2012 facendo rilevare che sulla decorrenza delle somme già corrisposte a titolo di interessi legali o rivalutazione monetaria a decorrere dal 22 maggio 2006, la competenza era del Ministero della Giustizia in qualità di ordinatore primario. L’Istituto previdenziale aveva dato puntuale applicazione al decreto n. ….. del 26.11.2006 del Ministero che precisava la decorrenza dal 22 maggio 2006.

In ordine alle modalità di calcolo degli interessi e rivalutazione monetaria l’Amministrazione si era rifatta al D.M. n. 352 del 1998. Pertanto si chiedeva la reiezione del ricorso e in subordine di tenere indenne l’INPDAP dalle spese del giudizio.

Il Ministero della Giustizia, con la memoria depositata il 20 gennaio 2012 deduceva di aver rispettato di aver rispettato la tempistica procedimentale fissata dal regolamento di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge n. 241 del 1990 (D.M. n. 540/1995 modificato dalle tabelle introdotte dal D.M. 7 novembre 1997 n. 488) per un totale di 1.435 giorni al termine dei quali iniziava la decorrenza degli interessi legali o della rivalutazione monetaria.

- All’udienza dell’8 marzo 2012 cui si perveniva dopo un rinvio di ufficio dalla precedente udienza fissata al 9 febbraio 2012, la dottoressa Caira per l’INPDAP si riportava alla memoria e l’Avv. Scirè per il ricorrente insisteva per il ricorso e la causa era posta in decisione.

- DIRITTO

La questione all’esame riguarda l’accertamento del diritto del ricorrente a percepire interessi e/o rivalutazione monetaria dal dì del collocamento in quiescenza, avvenuto il 20.9.2002, anziché dalla data – posteriore - del 22 maggio 2006.

Il ricorso merita l’accoglimento.

Al riguardo, come efficacemente sintetizzato dalla sentenza di questa Corte, Sez. Giur. Reg. Emilia Romagna n. 1739/2010 (e da molte altre della stessa Sezione) in materia di corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme dovute a titolo di arretrati pensionistici, si sono espresse le Sezione Riunite di questa Corte le quali, con sentenza n 10/2002/QM, hanno così risolto la questione di massima ad esse deferita:

1) all'art. 5 della legge n. 205 del 2000, nonché all'art. 429 c.p.c. da quella norma richiamato, va riconosciuta sia una natura processuale che sostanziale;

2) l'art. 429 comma 3 del c.p.c. ha introdotto il generale diritto del titolare di trattamento pensionistico, per il caso di ritardata liquidazione dello stesso, a vedere riconosciuti, contestualmente alla prestazione principale, gli interessi e la rivalutazione monetaria;

3) l'art. 429, comma 3 del c.p.c. trova applicazione in tutti i giudizi pensionistici di cognizione della Corte dei conti, compresi quelli afferenti alle pensioni di guerra ed alle pensioni militari c.d. tabellari;

4) l'art. 429 comma 3 del c.p.c., oltre che nei nuovi giudizi, trova applicazione in tutti i giudizi pensionistici pendenti avanti il giudice monocratico alla data (10 agosto 2000) di entrata in vigore della legge n 205 del 2000 al medesimo trasferiti dalla precedente sede collegiale, nonché nei giudizi d'appello sia che i pregressi processi pensionistici, in primo grado, siano stati decisi in composizione monocratica o collegiale;

5) la menzionata norma codicistica trova applicazione anche nei giudizi afferenti a rapporti creditori maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n 205 del 2000;

6) il principio del cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria, stabilito dall'art. 429 comma 3 del c.p.c., non va inteso in senso “integrale”, quale matematica sommatoria dell'una e dell'altra componente accessoria del credito pensionistico liquidato in ritardo, bensì “parziale”, quale possibile integrazione degli interessi legali, ove l'indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi;

7) il maggior danno da svalutazione nell'eventuale importo differenziale nonché gli interessi legali, costituiscono componenti essenziali legate da automatismo giuridico al credito pensionistico soddisfatto in ritardo, per cui gli indicati accessori, anche nel caso di pensioni di guerra e pensioni militari cd “tabellari”, debbono essere attribuiti d'ufficio dal giudice, anche in sede di appello, senza necessità di costituzione in mora o di richiesta di parte, né prova del danno, con decorrenza degli interessi medesimi e dell'eventuale credito differenziale da svalutazione, determinato alla stregua degli indici fissati ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ. dal giorno della maturazione del diritto;

8) il calcolo del c.d. “maggior importo” tra interessi e rivalutazione va operato ex art. 429, 3° comma del c.p.c., tenuto conto delle percentuali degli interessi legali e dell'indice ISTAT ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ. rilevati anno per anno, da applicare agli importi pensionistici spettanti alle singole scadenze a far data dal momento di maturazione del diritto pensionistico, fino al soddisfo, salvi i limiti indotti dall'eventuale prescrizione del credito o dei suoi ratei.

In ragione di quanto sopra dedotto vanno respinte, perché infondate, le considerazioni svolte dal Ministero della Giustizia in ordine al rispetto dei termini del procedimento amministrativo adottato, a prescindere poi dal fatto per cui non si comprende il perché debba sommarsi al termine di 450 giorni relativo alla liquidazione del trattamento di quiescenza con quello di 985 giorni per la contrattazione stipendiale/provvedimento di inquadramento, ipotesi che qui non ricorre. Infatti, il superamento dei termini procedimentali investe la diversa questione del danno da ritardo ma non certo la maturazione degli accessori che sono ontologicamente connaturati al credito.

Di conseguenza il ricorso va accolto con la riliquidazione a cura dell’INPS – ex INPDAP, Sede Provinciale di Firenze, di interessi e/o rivalutazione monetaria a far data dal collocamento in quiescenza (20 settembre 2002).

Le spese seguono la soccombenza ai sensi dell'articolo 91 del vigente codice di procedura civile come modificato dall’art. 45, comma 10, della legge 18 giugno 2009 n. 69 (ricorso depositato 3 febbraio 2010) e vanno rifuse dal Ministero della Giustizia - nella misura, quantificata in via forfettaria, di euro 200 in favore del ricorrente, mentre vanno compensate tra quest’ultimo e l’INPS.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Toscana, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, in accoglimento del ricorso dichiara il diritto di S. G. alla riliquidazione degli interessi e rivalutazione monetaria secondo quanto disposto in motivazione.

Visto l’art. 91 c.p.c. condanna il Ministero della Giustizia alla rifusione di spese, diritti e onorari di lite nella misura, quantificata in via forfettaria, di euro 200.
Compensa le spese tra il ricorrente e l’INPS.
Così deciso in Firenze, a seguito dell’udienza pubblica dell’8 marzo 2012.
Il Giudice Unico delle pensioni
F.TO Elena Tomassini

Depositata in Segreteria il 21 marzo 2012

IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
F.TO PAOLA ALTINI

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: mer mag 23, 2012 11:07 am
da panorama
- Tabella di cui all’art.2 della legge 111/1984.

- domanda di riconoscimento del diritto all’attribuzione dell’intero assegno di “super invalidità” lettera h, anziché ½ lettera H.

- essendo il ricorrente titolare di trattamento pensionistico privilegiato di I categoria, lo stesso ha diritto, dall’1/4/1987, data di decorrenza del trattamento di pensione privilegiata di prima categoria, anche all'assegno di superinvalidità nella misura intera prevista per gli invalidi di guerra.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA Sentenza 1262 2012 Pensioni 19-04-2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. Tommaso BRANCATO

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A N. 1262/2012

sul ricorso in materia di pensione militare iscritto al n° 40244 del registro di segreteria, proposto da S. S., nato OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Gaetano Sardo e Giuseppe Caristia ed elettivamente domiciliato a Palermo in via Dante n. 25, presso lo studio dell’avvocato Marcello Zampardi, contro

• L’INPS successore ex lege del soppresso INPDAP ai sensi dell’art. 21 del D.L. n. 201 del 06/12/2011 conv. In L. 214/2001.

• Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati.
Visti: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205, ed in particolare gli artt. 5 e 9;
Alla pubblica udienza del 16 aprile 2012, con l'assistenza del Segretario, sig.ra Francesca Inzerillo, è presente l’avvocato Maria Grazia Sparacino per l’INPS.
Esaminati gli atti ed i documenti della causa.
Ritenuto in

FATTO
Con l’atto introduttivo del presente giudizio, il sig. S. S., titolare di pensione d’invalidità conseguente ad un infortunio verificatosi nel periodo in cui prestava servizio militare, proponeva ricorso, previa domanda di sospensiva, avverso il provvedimento con il quale la Direzione provinciale del tesoro di Catania comunicava l’errata attribuzione dell’assegno superinvalidità lettera H, anziché ½ lettera H, e contestualmente disponeva il recupero della presunta indebita percezione di somme, mediante ritenute a decorrere dall’agosto 1998.

Con memoria del 5/12/2005, si costituiva l’INPDAP chiedendo il rigetto del ricorso per violazione del principio del “ne bis in idem”, facendo presente che sulla domanda del ricorrente si era già pronunciata questa Corte dei conti con sentenza n.2766/2004.

Con ordinanza n.59/2006 era rigettata l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, in considerazione del fatto che questa Corte dei conti, con la sentenza n.2766/2004, si era già pronunciata sulla questione.

La parte ricorrente, difesa dall’avv. Gaetano Sardo, con memoria del 13/10/2011, chiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della Difesa, insistendo, per il resto, sulla richiesta di riconoscimento del diritto a percepire l’indennità di “super invalidità” nella misura prevista dalla lettera H della tabella di cui all’art.2 della legge 111/1984.

All’udienza del 24/10/2011, questo Giudice, con ordinanza n.279/2011, disponeva la chiamata in giudizio del Ministero della Difesa, rinviando la trattazione della causa a data odierna.

Il Ministero della Difesa si costituiva con memoria del 13/3/2012, chiedendo il rigetto del ricorso e, in subordine, eccependo la prescrizione dei ratei di pensione maturati precedentemente al quinquennio.

In data 10/4/2012, si costituiva l’INPS, subentrato ex lege all’INPDAP, sostenendo l’infondatezza del ricorso e la prescrizione quinquennale dei diritti maturati anteriormente il quinquennio decorrente dal primo atto interruttivo utile.
La causa è posta in decisione.

DIRITTO
Con decreto n.219 del 15/10/1989, il Ministero della Difesa assegnava all’odierno ricorrente, con decorrenza dall’1/4/1987 a vita, la pensione di invalidità di prima categoria, conseguente a un infortunio verificatosi nel periodo in cui prestava il servizio militare. Con il decreto menzionato, l’Amministrazione della difesa riconosceva contestualmente l’assegno di “super invalidità” ½ lettera H di lire 1.200.000 annue a decorrere dall’1/4/1987 a vita.
Tuttavia, da quanto risulta dagli atti, la medesima Amministrazione liquidava l’importo per intero della lettera H.

Nell’agosto 1998, con il provvedimento impugnato in questa sede, l’Amministrazione contestava l’indebita percezione di somme (liquidate in misura corrispondente per intero alla lettera H) e, pertanto, ne disponeva il recupero.

In altri termini, da quanto emerge dagli atti, l’Amministrazione, nonostante l’indicazione nel decreto n.219 del 15/10/1989, della spettanza di ½ lettera H, avrebbe corrisposto l’intero importo previsto dalla stessa lettera H.

Con la sentenza n.2766/2004, questa Corte dei conti stabiliva il diritto dello S. a ritenere le somme richieste dall’Amministrazione con il provvedimento n.4904 del 28/8/1998, relativamente ai maggiori importi corrisposti a titolo di assegno di “super invalidità”.

L’odierno giudizio, invece, ha come oggetto la domanda di riconoscimento del diritto all’attribuzione dell’intero assegno di “super invalidità” lettera h, anziché ½ lettera H.

Fatta questa premessa, si osserva che l'art. 1 della legge n. 13 del 1986 ha stabilito che: ”Sono destinatari delle norme di cui alla presente legge gli invalidi per servizio di 1ª categoria appartenenti alle categorie dei militari in servizio di leva o richiamati nelle Forze armate, nei Corpi armati e nei Corpi militarmente ordinati gli allievi carabinieri, gli allievi della Guardia di finanza, gli allievi del Corpo delle ex guardie di pubblica sicurezza e gli allievi della Polizia di Stato, gli allievi del Corpo degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato, gli allievi della 1ª classe dell'Accademia navale, gli allievi delle scuole e collegi militari, i militari volontari o trattenuti nonché quelli appartenenti alle altre categorie di dipendenti dello Stato”.
L'art. 2 della stessa legge, inoltre, ha stabilito che: ” A decorrere dal 1° luglio 1986, gli assegni accessori dei grandi invalidi per servizio titolari di pensione privilegiata ordinaria di cui all'articolo 1 sono corrisposti nelle stesse misure (importo base e assegno aggiuntivo) dei corrispondenti assegni accessori previsti per le pensioni dei grandi invalidi di guerra.
Dalla data di cui al comma 1 è abrogato il primo comma dell'articolo 5 della legge 2 maggio 1984, n. 111”.
In conseguenza, a decorrere dal 01-07-1986, il diritto ai predetti assegni accessori spetta per il solo fatto di fruire di trattamento pensionistico privilegiato di I categoria.
Ne deriva che, essendo il ricorrente titolare di trattamento pensionistico privilegiato di I categoria, lo stesso ha diritto, dall’1/4/1987, data di decorrenza del trattamento di pensione privilegiata di prima categoria, anche all'assegno di superinvalidità nella misura intera prevista per gli invalidi di guerra.

In conseguenza, il ricorso va accolto.

Deve, peraltro, essere respinta l’eccezione di prescrizione prospettata dall’INPS e dal Ministero della Difesa, atteso che lo stesso ricorrente, con un precedente ricorso depositato in data 14/11/1998 (definito con la sentenza n.2766/2004), aveva validamente contestato il recupero delle somme ritenute indebitamente percepite, interrompendo, in tal modo, la prescrizione del diritto ai ratei di pensione nella misura conseguente al riconoscimento del beneficio economico richiesto con l’atto introduttivo del presente procedimento.
Condanna le Amministrazione convenute al pagamento, sulle somme dovute al ricorrente, a termini dell’art. 429, comma 3 c.p.c., degli interessi legali rilevati anno per anno, integrati, per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura, dell’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice ISTAT relativo all’anno di riferimento ai sensi dell’art. 150 disp. att. cod. proc. civ.
Si ritiene che le spese del presente grado di giudizio vadano integralmente compensate, attesa la novità e complessità della questione.

P.Q.M.
la Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana - in funzione di Giudice unico delle pensioni definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto dichiara il diritto della parte ricorrente all’intero assegno di superinvalidità lettera H a decorrere dall’1/4/1987.
Condanna le Amministrazione convenute al pagamento sulle somme dovute dal ricorrente, a termini dell’art. 429, comma 3 c.p.c., degli interessi legali rilevati anno per anno, integrati, per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura dell’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice ISTAT relativo all’anno di riferimento ai sensi dell’art. 150 disp. att. cod. proc. civ.
Spese compensate.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 16 aprile 2012.
Il Giudice
F.to dott. Tommaso Brancato

Depositata in segreteria nei modi di legge.
Palermo, 19 aprile 2012
Il Collaboratore di Cancelleria
F.to Dr Virgilio David

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun giu 04, 2012 9:20 am
da panorama
- Lunghissimo tempo trascorso prima della richiesta di recupero, chiedendo la declaratoria di irripetibilità dell’intero indebito con conseguente istanza di restituzione delle somme trattenute.

La Corte dei Conti ha precisato:

1) - Con riferimento alla richiesta di sospensione del giudizio, avanzata in via pregiudiziale dall’Avvocatura dell’INPDAP, questo Giudice non ravvisa, allo stato, gli estremi per l’accoglimento della predetta istanza, in funzione, da una parte, delle articolate argomentazioni di seguito esplicitate, le quali risultano sicuramente avvalorate dalle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Riunite nella Sentenza nr. 7/QM/2007, ma certamente non si identificano integralmente con le medesime, dall’altra, della circostanza, di rilievo assorbente, secondo cui la pronuncia delle citate Sezioni Riunite, in ogni caso, non riveste efficacia vincolante per il Giudice di primo grado, in relazione al chiaro principio di diritto affermato dallo stesso Consesso nella Sentenza nr. 8/QM/2010.

2) - D’altra parte, anche nella giurisprudenza più recente del Giudice amministrativo si rinvengono massime che prendono l’abbrivo dall’esigenza di tutelare il canone del legittimo affidamento rispetto all’azione della Pubblica Amministrazione, il quale richiama i principi di diritto comune della correttezza e della buona fede: (omissis leggere direttamente dalla sentenza poichè ne cita tante).

3) - Il principio di tutela dell’affidamento e della buona fede ha trovato cittadinanza anche nell’ordinamento tributario, ricevendo una formale consacrazione normativa per effetto dell’entrata in vigore della Legge nr. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il cui articolo 10 stabilisce espressamente che i rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria devono essere improntati al canone della collaborazione e della buona fede; al riguardo, giova mettere in risalto che la Suprema Corte, Sezione V, ha costantemente precisato in numerose pronunce (ex multis Sentenze nr. 17576 del 2002 e nr. 21513 del 2006) che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, con riferimento al canone della certezza e della sicurezza giuridica, ha valenza costituzionale, sul rilievo che trova il suo principale e diretto fondamento nel postulato di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla Legge propugnato dall’articolo 3 della C.; ne discende, secondo la Corte di Cassazione, che la protezione dell’affidamento è invocabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore all’entrata in vigore del citato Statuto del contribuente.

4) - Per quanto esposto in narrativa, deve essere dichiarata l’irripetibilità integrale delle maggiori somme a valere sul trattamento pensionistico, pari ad Euro 9.535,84 percepite dal ricorrente nel periodo dall’08.06.1999 alla data di accertamento dell’indebito, con conseguente obbligo dell’Istituto previdenziale di restituire gli importi recuperati.

Il resto del giudizio e del fatto potete leggerlo direttamente in sentenza che è interessante.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE Sentenza 83 2012 Pensioni 16-05-2012


SENT. N. 83/12

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PIEMONTE

In composizione monocratica nella persona del Giudice Unico Consigliere Dr. Tommaso Parisi, quale Magistrato a ciò delegato;

Visto il ricorso in materia di pensioni militari iscritto al nr. 18897/M del Registro di Segreteria, promosso da C. D., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dagli Avvocati Paolo e Davide Solivo, presso il cui studio sito in Biella, Via della Repubblica, nr. 49, ha eletto domicilio, avverso la determinazione dell’INPDAP di Vercelli e Biella nr. …. del 19.04.2011;
Uditi, nella pubblica Udienza del 19.04.2012, il relatore Dr. Tommaso Parisi, l’Avvocato Davide Solivo e l’Avvocato Giorgio Ruta per l’Istituto previdenziale;
Esaminati gli atti ed i documenti tutti della citata causa;
Visto il T.U. delle Leggi sulla Corte dei Conti approvato con il R.D. 12 luglio 1934 nr.1214 ed il relativo Regolamento di procedura;
Visto il Decreto Legge 15 novembre 1993 nr. 453 convertito nella Legge 14 gennaio 1994 nr. 19;
Visto il Decreto Legge 23 ottobre 1996 nr. 543 convertito nella Legge 20 dicembre 1996 nr. 639;
Vista la Legge 21 luglio 2000 nr. 205;
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
Fatto e Diritto
Il ricorrente ha impugnato la determinazione in epigrafe con la quale l’Istituto previdenziale ha individuato nei suoi confronti un debito complessivo pari ad Euro 9.535,84, a fronte delle maggiori somme percepite, rispetto a quelle effettivamente spettanti, a valere sul proprio trattamento pensionistico, iscrizione nr. ….., nel periodo dall’08.06.1999 alla data di accertamento dell’indebito.
Dagli atti risulta che parte attrice, già Appuntato scelto nell’Arma dei Carabinieri, è stato collocato in congedo per inabilità a decorrere dall’08.03.1999, con relativo trattamento provvisorio di quiescenza corrisposto a partire dall’08.06.1999; con decreto nr. … dell’01.12.2010 il Comando Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta ha attribuito al ricorrente la pensione definitiva di inabilità per un importo inferiore rispetto all’assegno provvisorio.
A seguito dell’applicazione del citato decreto è emerso a carico dell’interessato un debito di Euro 9.535,84, per il periodo sopra indicato, che l’Istituto previdenziale ha intimato di rifondere con il provvedimento impugnato, disponendo, nel contempo, il recupero della citata somma mediante una ritenuta cautelativa mensile sull’assegno di quiescenza di Euro 328,82.
Nell’atto introduttivo del giudizio la difesa di parte attrice deduce la buona fede del proprio assistito ed il lunghissimo tempo trascorso prima della richiesta di recupero, chiedendo la declaratoria di irripetibilità dell’intero indebito con conseguente istanza di restituzione delle somme trattenute.
L’INPDAP si è costituito in giudizio, con memoria depositata in data 30.09.2011, in previsione della Camera di Consiglio fissata per l’esame dell’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, chiedendo il rigetto del gravame.

Questa Sezione Giurisdizionale, con Ordinanza nr. 49/2011 del 18.11.2011, ha respinto la predetta istanza di sospensione cautelare del provvedimento di recupero.
La difesa del ricorrente ha depositato, in data 06.04.2012, una memoria con la quale ha ulteriormente precisato le argomentazioni dedotte nel ricorso introduttivo, invocando l’applicazione della Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 7/QM/2007.
L’Avvocatura dell’INPDAP si è costituita in giudizio come INPS ai sensi dell’articolo 21, comma 2 bis, del D.L nr. 201 del 2011, convertito dalla Legge nr. 214 del 2011, con articolata memoria depositata in data 06.04.2012, formulando, in via pregiudiziale, istanza di sospensione del giudizio in attesa delle pronuncia delle Sezioni Riunite di questa Corte, nuovamente investite in merito alla questione dell’indebito pensionistico dalla III Sezione Giurisdizionale Centrale con Ordinanza nr. 6 del 2012, e di integrazione del contraddittorio con l’Ente datore di lavoro, mentre nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso nonché il riconoscimento del diritto di rivalsa nei confronti della suddetta Amministrazione.
Nel corso della discussione il legale dell’Istituto previdenziale ha insistito sulla richiesta di sospensione del giudizio, cui si è opposta la difesa del ricorrente.

Ciò premesso, il ricorso si appalesa fondato.

Con riferimento alla richiesta di sospensione del giudizio, avanzata in via pregiudiziale dall’Avvocatura dell’INPDAP, questo Giudice non ravvisa, allo stato, gli estremi per l’accoglimento della predetta istanza, in funzione, da una parte, delle articolate argomentazioni di seguito esplicitate, le quali risultano sicuramente avvalorate dalle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Riunite nella Sentenza nr. 7/QM/2007, ma certamente non si identificano integralmente con le medesime, dall’altra, della circostanza, di rilievo assorbente, secondo cui la pronuncia delle citate Sezioni Riunite, in ogni caso, non riveste efficacia vincolante per il Giudice di primo grado, in relazione al chiaro principio di diritto affermato dallo stesso Consesso nella Sentenza nr. 8/QM/2010.
Sempre in via pregiudiziale, la richiesta di integrazione del contraddittorio formulata dall’Avvocatura dell’INPDAP non sollecita il favorevole scrutinio di questo Giudice, in relazione alle motivazioni concernenti la domanda subordinata dell’Istituto previdenziale per il riconoscimento del diritto di rivalsa nei confronti dell’Ente datore di lavoro, espresse nel prosieguo della presente pronuncia. Merita evidenziare, inoltre, che il provvedimento di recupero impugnato, oggetto esclusivo della presente causa, è stato emesso autonomamente dall’Istituto previdenziale.
In merito alla domanda prospettata dal ricorrente, questo Giudice non ignora l’autorevole arresto delle Sezioni Riunite di questa Corte dei Conti, esplicitato nella Sentenza nr. 1/QM/99, e la giurisprudenza del Giudice amministrativo invocata dall’Istituto previdenziale, ma non ritiene di potervi prestare assoluta ed incondizionata adesione laddove ricorra la circostanza, come nella presente fattispecie, di un trattamento provvisorio di quiescenza perpetuatosi ingiustificatamente per un periodo lunghissimo ed abnorme, a fronte dell’obbligo dell’Amministrazione, a partire dall’entrata in vigore della Legge nr. 241 del 1990, di concludere il procedimento volto alla liquidazione dell’assegno definitivo, nell’ipotesi di pensioni ordinarie, entro termini molto brevi e già prefissati dalla Legge e dai rispettivi Regolamenti; in tale ottica, cade opportuno enfatizzare un elemento ulteriore atto a suffragare il proprio contrario avviso, rispetto al principio affermato dalle Sezioni Riunite, identificato dalla constatazione che l’indebito deriva esclusivamente da un errore commesso dall’Amministrazione nella definizione del trattamento provvisorio di pensione, che pertanto non può ricadere a distanza di moltissimi anni, in armonia con il precetto contenuto nell’articolo 38 della Costituzione coordinato con il principio di solidarietà ad esso sotteso, in danno delle ragioni del percettore, sorrette da incontestabile buona fede (ex multis III Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 236 del 2006, Sezione Giurisdizionale Trentino - Alto Adige - Bolzano, Sentenza nr. 48 del 2006, Sezione Giurisdizionale Basilicata, Sentenza nr. 111 del 2005, Sezione Giurisdizionale Umbria, Sentenza nr. 247 del 2002).

La Sezione, in linea con quest’ultimo assunto, evidenzia che una parte della giurisprudenza della Corte dei Conti, in contrapposizione con il suddetto orientamento esegetico più rigido, facendo leva su un’interpretazione estensiva dell’articolo 206 del D.P.R. nr. 1092/1973, attribuisce rilevanza, in tema di ripetizione dell’indebito correlato al pagamento di pensioni provvisorie, da parte dell’Istituto previdenziale o, in sede di rivalsa, dell’ex Amministrazione di appartenenza, alla buona fede del pensionato ed al lunghissimo intervallo temporale trascorso tra l’inizio dell’erogazione delle maggiori somme a valere sul trattamento di quiescenza, ordinariamente destinate al soddisfacimento dei bisogni primari del soggetto, attesa la loro modesta entità, e la notifica del provvedimento di recupero, idoneo a generare un legittimo affidamento nel percipiente, giuridicamente tutelabile, circa l’esattezza dell’importo dell’assegno in pagamento, frutto di un complesso ed articolato conteggio i cui eventuali errori non sono certamente riconoscibili dall’interessato (ex multis Sezione I Centrale, Sentenze nnrr. 99 del 2006, 426 del 2007, 509 del 2007, 311 del 2009 e 194 del 2011, Sezione II Centrale, Sentenze nnrr. 36, 142, 149 e 223 del 2011, Sezione III Centrale, Sentenze nnrr. 161 e 199 del 2011, Sezione Giurisdizionale Campania, Sentenza nr. 406 del 2001, Sezione Giurisdizionale Piemonte, Sentenze nnrr. 640 del 2000, 1005 del 2003 e 1999 del 2003, Sezione Giurisdizionale Sicilia, Sentenza nr. 1 del 2004, Sezione Giurisdizionale Marche, Sentenza nr. 783 del 2006).

Del resto, occorre assumere come parametri di riferimento anche i cosiddetti principi di garanzia elaborati dal Diritto comunitario, in quanto tali non derogabili dal legislatore nazionale, tanto più in funzione della scelta compiuta dal novellato articolo 1, comma 1, della Legge nr. 241 del 1990: la sottoposizione, in termini generali, dell’attività amministrativa ai canoni di matrice comunitaria. Fino a questo momento, infatti, le norme di Legge nazionali che richiamavano tali postulati operavano un rinvio settoriale, limitato ai principi elaborati nella materia regolata; un rinvio, quindi, meramente ricognitivo, in considerazione della riconosciuta prevalenza della fonte comunitaria in ipotesi di contrasto con la fonte interna, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte Costituzionale. Nel contesto della normativa attualmente vigente, invece, come dimostra la lettura della cennata disposizione della Legge nr. 241 del 1990 e la sede individuata per consacrare l’innovazione, l’universo del procedimento e dell’azione amministrativa è interamente pervaso, per espressa formulazione della Legge, dai principi dell’ordinamento comunitario, con il corollario che determinati canoni rappresentano prescrizioni irrinunciabili per il legislatore nazionale e per l’interprete, in quanto patrimonio giuridico comune nell’ottica di una sempre più penetrante integrazione europea. Tra i diversi principi di garanzia viene costantemente evocato quello della tutela del legittimo affidamento; nel Diritto comunitario il canone della tutela delle “legittimate expectations” è volto a garantire l’affidamento ragionevole formatosi in relazione a date circostanze di fatto e di diritto, quale derivazione del più generale postulato della certezza del diritto (ex multis Corte di Giustizia, Decisione Mavridis del 1983, in causa C-289/81, Decisione Falck s.p.a. del 2002, in cause riunite C-74/00 e C-75/00). Nel nostro ordinamento il principio si traduce, secondo giurisprudenza ormai consolidata, in un preciso limite all’adozione di provvedimenti negativi o sfavorevoli, quando siano emanati a notevole distanza temporale dal verificarsi della fattispecie legittimante, ovvero in presenza di elementi che rendano razionalmente ammissibile la conservazione di effetti prodotti da provvedimenti illegittimi, ovvero in presenza di un contegno tenuto dall’Amministrazione che sia idoneo a suscitare legittimi affidamenti (ex multis Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, Decisione nr. 20 del 1992), tutte circostanze che si attagliano perfettamente all’ipotesi, oggetto della presente controversia, di avvio dell’azione di recupero di somme indebitamente percepite dopo moltissimi anni dall’inizio dell’erogazione ed in assenza di colpa del percettore. D’altra parte, anche nella giurisprudenza più recente del Giudice amministrativo si rinvengono massime che prendono l’abbrivo dall’esigenza di tutelare il canone del legittimo affidamento rispetto all’azione della Pubblica Amministrazione, il quale richiama i principi di diritto comune della correttezza e della buona fede: “tra le condizioni che conferiscono consistenza alla posizione soggettiva va annoverato il decorso del tempo, che consolida l’affidamento sulla piena legittimità dell’assetto degli interessi disposto dall’Amministrazione con l’atto” (Consiglio di Stato, Sezione V, Decisione nr. 5133 del 2002); “la considerazione della situazione giuridica del privato è in funzione del decorso del tempo, dovendosi ritenere che, quando l’annullamento d’ufficio sopravviene dopo un significativo lasso di tempo, l’affidamento che il privato pone sul provvedimento oggetto di annullamento si sia ormai consolidato” (Consiglio di Stato, Sezione V, Decisione nr. 6554 del 2004); “l’inosservanza del termine per provvedere dà luogo ad un danno (da ritardo) risarcibile ex se, in quanto lede l’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa” (Consiglio di Stato, Sezione IV, Decisione nr. 875 del 2005); “la certezza del diritto e la stabilità dei rapporti giuridici tendono a prevalere, in determinati casi, sul principio di legalità; atti dell’Autorità - seppure illegittimi - possono, cioè, aver prodotto nei destinatari un affidamento circa i vantaggi loro assicurati, affidamento che non può essere sacrificato in ragione di motivi di interesse pubblico” (TAR Lazio, Sezione III, Decisione nr. 76 del 2007); “l’affidamento è l’aspettativa di coerenza dell’Amministrazione con il proprio precedente comportamento, la quale è fonte di un obbligo, per l’Amministrazione, di comportarsi secondo buona fede tenendo in adeguata considerazione l’interesse dell’amministrato, la cui protezione non si presenta come il prodotto, accessorio, della cura dell’interesse pubblico, ma come l’oggetto di una autonoma pretesa, contrapposta all’interesse dell’Amministrazione” (TAR Lombardia, Milano, Sezione III, Decisione nr. 1455 del 2010).

Il principio di tutela dell’affidamento e della buona fede ha trovato cittadinanza anche nell’ordinamento tributario, ricevendo una formale consacrazione normativa per effetto dell’entrata in vigore della Legge nr. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il cui articolo 10 stabilisce espressamente che i rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria devono essere improntati al canone della collaborazione e della buona fede; al riguardo, giova mettere in risalto che la Suprema Corte, Sezione V, ha costantemente precisato in numerose pronunce (ex multis Sentenze nr. 17576 del 2002 e nr. 21513 del 2006) che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, con riferimento al canone della certezza e della sicurezza giuridica, ha valenza costituzionale, sul rilievo che trova il suo principale e diretto fondamento nel postulato di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla Legge propugnato dall’articolo 3 della C.; ne discende, secondo la Corte di Cassazione, che la protezione dell’affidamento è invocabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore all’entrata in vigore del citato Statuto del contribuente.
Nella medesima prospettiva, infine, non è superfluo sottolineare che la stessa Corte Costituzionale, nella Sentenza nr. 166 del 1996, ha nuovamente evidenziato, riecheggiando un canone già affermato nella pronuncia nr. 431 del 1993, che nel settore previdenziale sembra essersi affermato un principio di settore per cui “diversamente dalla regola civilistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatti aventi come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta”.

Chiarite tali premesse in termini generali, nella presente fattispecie ricorrono entrambe le descritte condizioni enucleate dalla suddetta giurisprudenza, atteso che il provvedimento dell’INPDAP impugnato, contenente la richiesta di recupero delle somme indicate in premessa, è intervenuto a distanza di quasi dodici anni dall’esordio della corresponsione del trattamento provvisorio di quiescenza, mentre la buona fede del pensionato non può essere messa in discussione. Tale assunto è suffragato anche dalla Sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte nr. 7/QM/2007; al riguardo, la Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 7/QM/2011, invocata dall’INPDAP nella memoria di costituzione, non si riferisce direttamente alla questione dell’indebito pensionistico, ma attiene al diverso profilo dell’eventuale cristallizzazione del trattamento di quiescenza provvisorio in funzione del decorso del tempo, con il precipitato che le ulteriori affermazioni del menzionato Consesso sulla tematica oggetto della presente controversia rivestono il tenore di semplici “obiter dictum”, non idonei ad assurgere al rango di principio di diritto in materia.

Quanto alla tesi suggestiva incentrata sul danno da ritardo, teorizzata dall’Istituto previdenziale in relazione alle argomentazioni di cui alla Sentenza della I Sezione Giurisdizionale Centrale di questa Corte nr. 449 del 2011, che peraltro sino a questo momento si inserisce nel filone minoritario della giurisprudenza (Sezioni Riunite, Sentenza nr. 16/QM/2011), questo Giudice reputa che il menzionato istituto, disciplinato dall’articolo 2 bis della Legge nr. 241 del 1990 introdotto dall’articolo 7 della Legge nr. 69 del 2009, non sia compatibile con la specifica fattispecie afferente all’indebito pensionistico; in tale ottica, è sufficiente osservare, a prescindere dalla natura cumulativa e non certo esclusiva della predetta tutela a beneficio del cittadino, che il citato danno da ritardo, il quale presuppone evidentemente il verificarsi di un pregiudizio ingiusto, si collega pur sempre, secondo la pacifica giurisprudenza del Giudice amministrativo, alla figura dell’interesse legittimo nei termini di una posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo intimo ed inscindibile, ad un concreto interesse materiale del titolare ad un “bene della vita”, ciò nondimeno nell’ipotesi del suddetto indebito il “bene della vita”, rappresentato dall’erogazione dell’assegno di quiescenza, non solo è stato immediatamente conseguito dall’interessato all’atto del collocamento in congedo, ma addirittura in misura superiore rispetto all’importo effettivamente spettante.
La domanda subordinata formulata dall’INPDAP, tendente ad ottenere in questa sede la condanna dell’Ente datore di lavoro alla rifusione di una parte delle somme erogate al ricorrente, si appalesa inammissibile, sul rilievo che, in disparte la questione di giurisdizione, già di per sé incerta, da una parte, non sussiste, allo stato, alcuna controversia con il menzionato Ente, né, tanto meno, risulta possibile instaurare il relativo contraddittorio, in quanto la richiesta dell’INPDAP esula completamente dall’oggetto specifico del presente gravame identificato dal “petitum” e dalla “causa petendi” prospettati da parte attrice, introducendo un tema del tutto nuovo rispetto al titolo che contraddistingue il ricorso introduttivo, nei confronti peraltro di un soggetto diverso dal ricorrente ed estraneo al giudizio, dall’altra, osta alla richiesta dell’Istituto previdenziale la chiara disciplina riveniente dagli articoli 62 del R.D. nr. 1214 del 1934 e 71, lettera b) del R.D. nr. 1038 del 1933, come interpretati dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui è necessario che la domanda promossa in sede giurisdizionale sia stata preceduta da una valutazione dell’Amministrazione in via amministrativa e che, in difetto, il ricorso non possa considerarsi ammissibile (ex multis Sezioni Riunite nr. 66/C del 1987, III Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 237 del 2004, II Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 5 del 2005, I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 121 del 2007). Al riguardo, l’Istituto previdenziale potrà eventualmente valutare la possibilità di agire nei confronti dell’Ente datore di lavoro nell’ambito di un autonomo e distinto giudizio.

Per quanto esposto in narrativa, deve essere dichiarata l’irripetibilità integrale delle maggiori somme a valere sul trattamento pensionistico, pari ad Euro 9.535,84 percepite dal ricorrente nel periodo dall’08.06.1999 alla data di accertamento dell’indebito, con conseguente obbligo dell’Istituto previdenziale di restituire gli importi recuperati.
Sussistono eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti, considerate la natura e la complessità della presente controversia, nonché le difficoltà interpretative rivenienti dal quadro normativo di riferimento in materia e le oggettive oscillazioni giurisprudenziali, anche tenendo conto che l’invocata Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 7/QM/2007, non riveste efficacia vincolante per il Giudice di primo grado, in funzione del principio di diritto affermato dalle stesse Sezioni Riunite nella Sentenza nr. 8/QM/2010.

P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando
ACCOGLIE
Il ricorso proposto da C. D. e, per l’effetto, dichiara l’irripetibilità integrale delle maggiori somme a valere sul trattamento pensionistico, percepite dal ricorrente nel periodo dall’08.06.1999 alla data di accertamento dell’indebito, con conseguente obbligo dell’Istituto previdenziale di restituire gli importi recuperati.
Spese di giudizio compensate.
Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 19.04.2012.
IL GIUDICE UNICO
(F.to Dr. Tommaso Parisi)

Depositata in Segreteria il 16 Maggio 2012
Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio Cinque)

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun giu 04, 2012 9:47 am
da panorama
1) - Riliquidazione della pensione in applicazione degli artt. 19 e 23 della Legge n.78/83, in funzione delle variazioni della indennità di aeronavigazione o di volo.

2) - la ricorrente, già vedova di ufficiale pilota, espone le doglianze di cui in epigrafe, richiamandosi a precedenti giurisprudenziali ed a una interpretazione della normativa in riferimento favorevole alle tesi di gravame.

3) - Per il giudicante il ricorso è fondato, per le seguenti ragioni le quali seguono il tracciato di esaustiva e convincente decisione delle SS.RR. della Corte dei Conti (n.3/2002/QM).

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA Sentenza 259 2012 Pensioni 22-05-2012


SENTENZA N. 259/2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
in composizione monocratica nella persona del GIUDICE UNICO Cons.Carlo GRECO ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso, iscritto al n.58393/PM del registro di Segreteria e proposto da L. G. C., parte ricorrente meglio generalizzata e domiciliata come in atti, per il “diritto patrimoniale della scrivente ad ottenere la riliquidazione della pensione in applicazione degli artt. 19 e 23 della Legge n.78/83, in funzione delle variazioni della indennità di aeronavigazione o di volo”

Alla pubblica udienza del 2 maggio 2012, con l'assistenza del segretario d.ssa Paola ALTINI, non comparse tutte le parti interessate;
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Visto il decreto legge 15 novembre 1993 n.453 convertito in legge 14 gennaio 1994 n.19;
Visto il decreto legge 23 ottobre 1996 n.543 convertito in legge 20 dicembre 1996 n.639;
Vista la legge 21 luglio 2000 n.205;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’atto di ricorso in esame la ricorrente, già vedova di ufficiale pilota, espone le doglianze di cui in epigrafe, richiamandosi a precedenti giurisprudenziali ed a una interpretazione della normativa in riferimento favorevole alle tesi di gravame.

Per il giudicante il ricorso è fondato, per le seguenti ragioni le quali seguono il tracciato di esaustiva e convincente decisione delle SS.RR. della Corte dei Conti (n.3/2002/QM).

Al riguardo, si premette che le indennità di impiego operativo sono attualmente disciplinate dalla legge 23 marzo 1983, n. 78, innovativa del previgente regime (l. 5 maggio 1976, n. 187), e consistono in un trattamento economico accessorio corrisposto "In relazione alla peculiarità dei doveri che distinguono la condizione militare nelle sue varie articolazioni" da cui deriva uno status "contrassegnato da particolari requisiti di idoneità psico-fisica, dalla assoluta e permanente disponibilità al servizio ed alla mobilità di lavoro e di sede, dalla specialità della disciplina, dalla selettività dell'avanzamento e dalla configurazione dei limiti di età" per cui le indennità operative rappresentano il "compenso per il rischio, per i disagi e per le responsabilità connessi alle diverse situazioni di impiego derivanti dal servizio" (art. 2).

Tali situazioni sono dettagliate in una molteplicità di previsioni normative (artt. 3-16), con riguardo alle specializzazioni ed alle attività dei militari, ferma restando l'attribuzione di un'indennità di impiego operativo di base, consistente in una maggiorazione mensile spettante a tutti i militari a seconda del grado e dell'anzianità di servizio (art. 2). Tutte le altre indennità - supplementari e le altre ordinarie - sono rapportate, in percentuale, agli importi della predetta indennità di base.

La decorrenza delle nuove disposizioni è stabilita dall'art. 23, l. n. 78 del 1983, secondo cui "Le indennità ed i compensi previsti dalla presente legge decorrono dal 1° gennaio 1983. Ai soli fini del trattamento di quiescenza i benefici della presente legge decorrono dal 1° gennaio 1982".

Il legislatore della riforma, inoltre, ha reso integralmente pensionabili le indennità operative (art. 18), in linea con il processo già avviato con l'art. 147 della legge 11 luglio 1980, n. 312 e, prima ancora, con l'art. 59, del d.P.R. n. 1092 del 1973 (testo originario).

La pensionabilità delle indennità operative è generalmente attuata con l'applicazione dell'aliquota pensionabile su tali emolumenti - secondo il regime di computo comune alle altre indennità accessorie - ferma restando la particolare computabilità nella pensione delle indennità di aeronavigazione e volo, prevista dall'art. 59 del d.P.R. n. 1092 del 1973 in termini di "aumento" della pensione (normale) già calcolata.

Ai sensi della predetta disposizione per gli ufficiali, i sottufficiali e i militari di truppa dell'Arma aeronautica, che abbiano percepito le indennità di aeronavigazione o di volo, la pensione normale è aumentata "di una aliquota corrispondente a tanti ventottesimi dei nove decimi delle indennità di aeronavigazione o di volo percepite, calcolate ad anno, per quanti sono gli anni di servizio effettivo prestati con percezione di dette indennità e con il massimo di venti ventottesimi, per i primi venti anni di servizio di aeronavigazione e di volo". Per ogni anno successivo, la pensione è aumentata di una ulteriore aliquota pari all'1,30 % delle indennità di aeronavigazione o di volo spettanti in servizio fino ad un massimo dell'80% dell'importo complessivo fruito a tale titolo (art. 59 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come sostituito dall'art. 19, della l. 23 marzo 1983, n. 78).

Tratteggiati gli istituti giuridici invocati da parte ricorrente le domande dedotte in giudizio, sono intese ad estendere i miglioramenti recati dalla l. n. 78 del 1983 ai militari già in quiescenza alla data del 1° gennaio 1982 i quali abbiano fruito, durante il servizio, delle indennità di aeronavigazione o di volo, e dall’art. 149 della L. 312 del 1980.

Quanto al primo tema, vi è sentenza favorevole alla ricorrente delle SSRR della Corte dei conti.

Il postulato da cui muovono le SS.RR. (sentenza n. 3/2002/QM) nel decidere in senso favorevole la predetta questione, è dato dalla natura derogatoria dell'art. 59 del d.P.R. n. 1092 del 1973 (sostituito dall'art. 19 della l. n. 78 del 1983), promosso a lex specialis, appunto, rispetto alla regola generale posta dall'art. 53 del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo cui la base pensionabile per il personale militare è "costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga".

Ma, se la rinovellata disposizione dell'art. 59 è innovativa sull'entità dei benefici (fissando all'1,30% delle indennità di aeronavigazione o volo percepite in servizio l'aliquota precedentemente fissata all'1%, ex art. 148, l. n. 312 del 1980), gli effetti pensionistici sono regolati - per tutte le indennità operative, tra cui quelle di aeronavigazione e di volo - dall'art. 23, co. 2, della l. n. 78 del 1983, secondo cui "Ai soli fini del trattamento di quiescenza i benefici della presente legge decorrono dal 1° gennaio 1982".

In assenza di un chiaro riferimento normativo circa la retrodatazione degli effetti pensionistici al personale in quiescenza, l'organo nomofilattico ha considerato ius receptum l'univoca giurisprudenza della Sezione II giurisdizionale, non contraddetta da altre Sezioni centrali, fondando così l'ammissibilità della questione di massima su di un contrasto virtuale, generato dalle perplessità del giudice remittente in ordine alla condivisione della giurisprudenza favorevole richiamata nell'ordinanza di remissione (sentenza n. 3/2002/QM, pag. 13).

Sul punto si richiama la conforme giurisprudenza di Appello (Sez.I n.392/10 - Sez.I n.320/11).

Il ricorso pertanto può essere accolto con il riconoscimento della pensionabilità dell’indennità di volo a decorrente dal 1°gennaio 1982, nei limiti della prescrizione eccepita dalla Amministrazione (26 gennaio 2005 pari al quinquennio dalla notifica dell’atto di ricorso avvenuta il 26 gennaio 2010).

Spettano inoltre, su quanto dovuto, interessi legali e rivalutazione monetaria, ex art.429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo, da liquidarsi cumulativamente nel senso di una possibile integrazione degli interessi legali ove l'indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi (cfr. SS.RR. 18 ottobre 2002 n.10/2002/QM e successive conferme in grado di Appello ex Sez.III n.252 del 3 giugno 2003 – Sez.III n.502 del 11 novembre 2003 - Sez.I n.37 del 3 febbraio 2004 – Sez.I n.45 del 9 febbraio 2005).

Appare tuttavia equo disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio in ragione della complessità della questione.

P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Toscana, in composizione monocratica, accoglie il ricorso proposto da L. G. C. e dispone la spettanza e rivalutazione dell’indennità di volo a decorrere dal 1°gennaio 1982, nei limiti però della maturata prescrizione al 26 gennaio 2005.
Segue il riconoscimento delle somme aggiuntive da corrispondersi come indicato in parte motiva, a decorrere dal 26 gennaio 2005.

Spese compensate.

Così deciso in Firenze, previa lettura del dispositivo, ai sensi e per gli effetti del primo comma dell’art. 429 c.p.c., nella pubblica udienza del 2 maggio 2012.
In esito alla riserva ivi contenuta la presente ordinanza è emessa, nei termini di legge, nella camera di consiglio del 17 maggio 2012 ed in pari data è stata comunicata alla Segreteria per il seguito di competenza.
IL GIUDICE UNICO
F.to Carlo Greco

Depositata in Segreteria il 22 MAGGIO 2012
IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
F.to Paola Altini

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun lug 02, 2012 3:13 pm
da panorama
1) - Riconoscimento del diritto alla irripetibilità dell’indebito, nonché la restituzione delle somme indebitamente trattenute, con gli interessi legali.

2) - Richiesta di restituzione della somma di € 19.626,63, già in fase di recupero a far data dal marzo 2011, con l’applicazione della ritenuta cautelativa mensile sulla pensione della ricorrente di € 90,25.

3) - La parte attorea fonda essenzialmente tali pretese sulla base di quanto statuito dall’art. 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ritenendo esistenti entrambi i presupposti richiesti dalla legge per dichiarare irripetibili le somme indebitamente percepite dalla pensionata, ovvero, la definitività del provvedimento pensionistico poi modificato e l’assenza di dolo da parte della beneficiaria.

4) - Il trattamento pensionistico di reversibilità della Sig.ra S. F., divenuto definitivo a seguito dell’emissione del decreto della Prefettura di Milano n. 7970 del 3 dicembre 2002 è stato per ben due volte modificato a seguito dei successivi decreti definitivi.

5) - Ora, con riferimento specifico alla seconda modifica, questa altro non è che una rideterminazione della pensione definitiva, per la quale trova applicazione l’art. 206 del T.U. n. 1092 del 1973.

Ricorso Accolto.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA Sentenza 295 2012 Pensioni 24-05-2012


SENT. N. 295/2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott. Eugenio Madeo
nella pubblica udienza del 15 maggio 2012 ha pronunciato

SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 27328 del registro di segreteria, sul ricorso presentato dal Sig.ra S. F. …OMISSIS… rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Teresa Minniti, con elezione di domicilio presso lo studio dell’Avv. Davide Gambara in Milano, via Tortona, n. 37 - 3B.
CONTRO:
- I.N.P.D.A.P. - sede di Pavia (ora I.N.P.S., così come previsto dal comma, art. 21 del Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201);
- Prefettura di Milano;
- Ministero dell’Interno.

AVVERSO il provvedimento dell’I.N.P.D.A.P., sede di Pavia n. ……/09 del 28 aprile 2011.

PER il riconoscimento del diritto alla irripetibilità dell’indebito, nonché la restituzione delle somme indebitamente trattenute, con gli interessi legali.

VISTI: il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038; il decreto legge 15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19; la legge 21 luglio 2000, n. 205 e, in particolare, gli artt. 5, 9 e 10; il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, artt. 60 e 74.
UDITE le parti costituite e comparse come da verbale di udienza.
ESAMINATI gli atti e i documenti della causa.
Ritenuto in

FATTO
Con ricorso ritualmente notificato alle controparti la Sig.ra S. F. si duole della richiesta di restituzione della somma di € 19.626,63, già in fase di recupero a far data dal marzo 2011, con l’applicazione della ritenuta cautelativa mensile sulla pensione della ricorrente di € 90,25. La ripetizione è stata disposta dall’Ente previdenziale per somme in più corrisposte dal 1° marzo 2001 al 28 febbraio 2011, risultanti dal conguaglio tra il decreto definitivo n. 7970/bis del 25 marzo 2003 ed il decreto definitivo n. 7970/ter del 24 luglio 2004. In definitiva, la Sig.ra S. F. chiede l’annullamento del provvedimento avversato e, di conseguenza, il riconoscimento del diritto alla irripetibilità della somma richiesta dall’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) a titolo di recupero di indebito, pari ad € 19.626,63, la restituzione delle somme già trattenute a titolo cautelativo con interessi legali e la condanna dell’Ente previdenziale alle spese, diritti ed onorari di causa. La parte attorea fonda essenzialmente tali pretese sulla base di quanto statuito dall’art. 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ritenendo esistenti entrambi i presupposti richiesti dalla legge per dichiarare irripetibili le somme indebitamente percepite dalla pensionata, ovvero, la definitività del provvedimento pensionistico poi modificato e l’assenza di dolo da parte della beneficiaria.

La Prefettura di Milano si è costituita in giudizio con memoria depositata il 27 aprile 2012. In tale documento si descrive in sintesi tutta la fase procedimentale che ha portato all’emissione dell’ultimo decreto definitivo n. 7970/ter del 19 luglio 2004 che ha sostituito ed annullato i precedenti decreti definitivi nn. 7970 e 7970/bis. A tal proposito risulta ultronea la notifica del ricorso anche al Ministero dell’Interno essendo la Prefettura Organo del predetto Dicastero.

L’I.N.P.S. quale successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P. si è costituito in giudizio con memoria depositata il 4 maggio 2012. In via preliminare l’istituto eccepisce la propria carenza di legittimazione passiva essendo ordinatore secondario di spesa. Nel merito, l’Istituto ha fatto rilevare che essendo ordinatore secondario di spesa è tenuto a disporre il recupero delle somme indebitamente corrisposte al pensionato, salvo diversa indicazione da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro. A tal proposito richiama gli artt. 162 e 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, come sostituito dall’art. 7 del D.P.R. n. 138 del 1986 ed afferma il proprio diritto al recupero dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 del codice civile. Ancora, l’Ente afferma che nel caso di accoglimento del ricorso sia da condannare direttamente l’Amministrazione datrice di lavoro ovvero, in alternativa, accertare il diritto di rivalsa dell’I.N.P.S. nei confronti della stessa, condannando, quindi, quest’ultima alla rifusione in favore dello stesso I.N.P.S. delle somme dichiarate irripetibili. L’Istituto precisa ancora che, sempre nel caso di accoglimento del ricorso, non potranno essere liquidati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria essendo l’eventuale obbligo di restituzione delle trattenute effettuate solo un correttivo in caso di indebita erogazione del trattamento, non avente natura pensionistica, bensì di mero obbligo di valuta, soggetto al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c. che determina, di conseguenza l’esclusione dell’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 429 c.p.c. e 1284 c.c.. In conclusione, l’Istituto chiede in via principale di respingere il ricorso in quanto infondato per i motivi sopra esposti ed in subordine, in caso di accoglimento del ricorso, condannare direttamente l’Amministrazione datrice di lavoro a corrispondere le somme dichiarate irripetibili, dichiarando comunque non dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme eventualmente dichiarate irripetibili, con vittoria di spese ed onorari di causa.

All’udienza, sentite le parti presenti, si è data lettura del dispositivo di cui si illustrano i motivi in fatto e in diritto.
Considerato in

DIRITTO
Preliminarmente, questo Giudice osserva che l’Istituto previdenziale
eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, in considerazione del ruolo di ordinatore secondario di spesa tenuto dallo stesso nella vicenda di causa. In sostanza, chiede di essere estromesso dalla causa, giacché carente d’interesse a contraddire alla domanda, ai sensi di quanto previsto dall’art. 100 c.p.c. Tale eccezione è priva di pregio per i motivi di seguito esposti.

Infatti, va al riguardo precisato che a seguito dell’emanazione del Decreto legislativo n. 479 del 30 giugno 1994, che ha istituito l’I.N.P.D.A.P. (art.4), e della Legge n.335 dell’8 agosto 1995, (art.2), che ha creato, a far tempo dal 1° gennaio 1996, presso l’Istituto la gestione separata dei trattamenti pensionistici ai dipendenti delle Amministrazioni statali (Cassa dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato: C.T.P.S.), l’Ente previdenziale, con decorrenza 1° ottobre 2005, ha assunto la competenza a liquidare ed erogare i trattamenti pensionistici anche di tale ultimo personale con l’eccezione degli appartenenti alle Forze Armate (compresi i dipendenti civili) e alle Forze di Polizia ad ordinamento militare (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n.67, del 16 dicembre 2004, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.32, del 27 dicembre 2004).

Con successivi atti normativi interni (si veda la Circolare n.18, per il personale addetto al Corpo della Guardia di Finanza, n. 19, per il personale dell’Esercito Italiano, n. 20, per il personale dell’Aeronautica Militare, n. 21, per i dipendenti della Marina Militare, n. 22, per gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, tutte datate 18 settembre 2009), previ accordi con gli Enti interessati, l’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) ha assunto, dal 1° gennaio 2010, le competenze in tema di liquidazione dei trattamenti pensionistici, decorrenti dalla predetta data, esclusivamente nei confronti dei finanzieri, militari e carabinieri collocati direttamente nella posizione di riserva o di congedo assoluto (ossia personale collocato a riposo a domanda, per infermità o perdita del grado) mentre è rimasto di competenza delle amministrazioni di appartenenza la liquidazione dei trattamenti pensionistici del personale che transita in posizione di ausiliaria, nonché la determinazione di tutti i provvedimenti pensionistici riferiti al personale collocato in riserva anteriormente al 1° gennaio 2010, anche con riguardo alla definizione di domande di riscatto, prosecuzione volontaria, ricongiunzione, computo e sistemazione contributiva per le istanze presentate anteriormente alla predetta data. Ne conseguiva, quindi, che, “ratione temporis”, la competenza ad emanare il trattamento definitivo pensionistico indiretto della ricorrente, emanato dal 1° aprile 1999, era, in via esclusiva, dell’Amministrazione datrice di lavoro, mentre alla Direzione Provinciale del Tesoro e all’I.N.P.D.A.P. (in subentro) spettava l’effettivo pagamento ed il conguaglio delle somme previste dai provvedimenti in questione. Ora, nell’ipotesi di causa, non si controverte sul contenuto (merito) del provvedimento definitivo di pensione, per il quale non sono in discussione le prerogative dell’Amministrazione datrice di lavoro (peraltro già evocata nel presente giudizio), ma solo dell’indebito tout court da esso scaturito,
per effetto del conguaglio con le poste attribuite con il precedente decreto definitivo, e contestato dall’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) al pensionato. In sostanza, non essendo la domanda, del ricorrente, diretta a contestare la legittimità del decreto definitivo di pensione, quindi, a mantenere fermo l’originario maggiore trattamento ricevuto, deve confermarsi la legittimazione passiva dell’I.N.P.S. nel giudizio odierno. Onde, la Corte, ravvisa in fattispecie un concreto interesse a contraddire, ex art 100 c.p.c., in capo all’I.N.P.S., sia perché soggetto promotore, per previsione normativa (nel caso di specie art. 3, del R.D.L. 19 gennaio 1939, n.295, art. 3, del D.P.R. n.1544, del 30 giugno 1955, nonché art.162, comma 7, del T.U. n.1092/1973), della relativa procedura recuperatoria, sia per i conseguenti propri adempimenti che scaturirebbero da un eventuale accoglimento della domanda d’irripetibilità dell’indebito (cfr. Corte dei Conti, Sezione 2°, sent. n.62/2008, del 12 febbraio 2008). E, invero, l’art. 3, del D.P.R. 30 giugno 1955, n. 1544, ha demandato agli Uffici Provinciali del Tesoro, poi Direzioni Provinciali del Tesoro e, in subentro, in universum ius, I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.), “ … il compito di provvedere al recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni effettuate da dipendenti dello Stato in attività di servizio o da pensionati ed altri assegnatari in relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa che detti Uffici amministrano. Il recupero predetto deve essere effettuato osservando le disposizioni di cui all’art. 3 del regio decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295”. La succitata disposizione trovava conferma nel comma 7, dell’art. 162, del T.U. n. 1092/1973 (così come sostituito dall’art. 7, del D.P.R. n.138, del 19 aprile 1986), che così statuiva: “Qualora l’importo della pensione definitiva diretta o di reversibilità risultante dal decreto di concessione registrato alla Corte dei Conti non sia uguale a quello attribuito in via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro (I.N.P.D.A.P) provvede alle necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito”. Disposizioni correttamente interpretate dall’Ente previdenziale che ha operato il conguaglio a debito, poi ingiunto alla ricorrente. In sostanza, la legittimazione passiva (legittimatio ad causam) consiste nella correlazione tra il soggetto nei cui confronti è chiesta la tutela e l’affermata titolarità, in capo al medesimo, del dovere (asseritamente violato) in relazione al diritto per cui si agisce, risolvendosi nell’accertare, da parte del giudice, se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, il convenuto assuma la veste di soggetto tenuto a “subire” la pronuncia giurisdizionale. Orbene, tale condizione è ravvisabile, nell’ipotesi di causa, nei confronti dell’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.), dal quale, la ricorrente, ha ricevuto l’ingiunzione restitutoria, di cui la stessa chiede l’annullamento con rimborso delle somme già trattenute.

Tanto premesso, Il trattamento pensionistico di reversibilità n. Omissis della Sig.ra S. F., divenuto definitivo a seguito dell’emissione del decreto della Prefettura di Milano n. 7970 del 3 dicembre 2002 è stato per ben due volte modificato a seguito dei successivi decreti definitivi nn. 7970/bis e 7970/ter emessi rispettivamente nelle date 25 maggio 2003 e 24 luglio 2004. Ora, con riferimento specifico alla seconda modifica, questa altro non è che una rideterminazione della pensione definitiva, per la quale trova applicazione l’art. 206 del T.U. n. 1092 del 1973. Ciò perché, come esplicitamente detto nella stessa memoria difensiva della Prefettura di Milano trattasi di errore nella determinazione della misura del trattamento pensionistico. Ciò posto, si rammenti che tale disposizione di legge stabilisce che, nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento di pensione definitiva revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità, risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato.

Nel caso di cui si tratta, certamente non sussiste il dolo della percipiente, atteso che la rideterminazione e il conseguente accertamento dell’indebito è avvenuto a seguito, come già detto, di conguaglio effettuato direttamente dall’I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.).

Infine, questo Giudice deve esaminare la domanda dell’I.N.P.S., formulata nella memoria di costituzione nei confronti della Prefettura di Milano, con la quale si chiede di condannare direttamente l’Amministrazione datrice di lavoro a corrispondere alla ricorrente le somme dichiarate irripetibili. La formulazione della domanda tende a configurare un rapporto di garanzia tra I.N.P.S. e la Prefettura di Milano tale da dare luogo alla pretesa di “manleva” per l’ipotesi di condanna alla restituzione. È opportuno a tal punto rilevare che petitum e causa petendi che caratterizzano l’azione dell’I.N.P.S. nei confronti dell’Ente datore di lavoro non sono in alcun modo ricollegabili al diverso titolo su cui si fonda la domanda proposta dal pensionato con il ricorso. La domanda appare infatti del tutto autonoma rispetto all’oggetto principale del giudizio e non può trovare accesso avanti a questo Giudice, tenuto conto che vengono in rilievo accertamenti di responsabilità reciproche nel rapporto tra enti, estranee rispetto all’ambito della giurisdizione propria del Giudice contabile, in quanto in alcun modo ricollegabili alla determinazione del quantum pensionistico. A norma dell'art. 13 R.D. n. 1214 del 12 luglio 1934 (T.U. delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti) rientrano infatti, in via esclusiva, nella giurisdizione della Corte dei conti le controversie concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, comprese quelle aventi ad oggetto gli elementi integrativi ed accessori nonché quelle che involgono la soluzione di questioni comunque incidenti sul contenuto del diritto e sull'ammontare del trattamento. La controversia tra la Prefettura di Milano e l’I.N.P.S. esula quindi dalla giurisdizione di questa Corte dei conti, non configurandosi una controversia sulla misura o sul diritto a pensione. Ciò posto, questo Giudice non ignora l’orientamento, anche richiamato dalla difesa dell’I.N.P.S., delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo il quale “la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di pensioni dei pubblici dipendenti (nella specie di Enti locali, prevista dall'art. 60 del r.d.l. n. 680 del 1938) si estende alle controversie relative ad atti di recupero di ratei di pensione erogati in misura superiore a quella dovuta, a causa di errate comunicazioni da parte dell'ente datore di lavoro, proposte, ai sensi dell'art. 8, secondo comma, del d.p.r. n. 538 del 1986, dall'ente erogatore nei confronti dell'ente datore di lavoro dell'ex dipendente (oltre che dal datore di lavoro nei confronti del pensionato in sede di rivalsa), atteso che venendo in discussione il quantum del trattamento pensionistico e, quindi, la sussistenza del diritto alla pensione di un certo ammontare, rileva il contenuto pubblicistico del rapporto dedotto in giudizio” (sentenza n. 23731 del 16.11.2007). Proprio in considerazione delle argomentazioni svolte dalla Suprema Corte si ritiene peraltro che la giurisdizione sia riconosciuta dall’Organo della nomofilachia in capo al giudice contabile, con riferimento alle domande proposte in forza dell’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 538 del 1986, laddove il legislatore ha previsto sia l’obbligo dell’Ente, responsabile di errate comunicazioni, di rifondere all’Ente pagatore le somme indebitamente corrisposte, sia l’azione di rivalsa del predetto nei confronti del proprio dipendente in quanto questioni che, per il Giudice di legittimità, incidono, comunque, sul contenuto del diritto e sull’ammontare del trattamento pensionistico e ascrivibili, pertanto, alla giurisdizione del giudice contabile. Tale disposizione non risulta applicabile nel caso di specie, in cui la domanda dell’I.N.P.S. è rivolta nei confronti della Prefettura di Milano (Corte dei conti, Sez. Giurisdizionale Veneto, n.724/2011). L'art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 538 dell’8 agosto 1986, prevede infatti specifica ipotesi di responsabilità del datore di lavoro a fronte di errate comunicazioni agli enti di previdenza, solo nell'ambito delle gestioni delle ex casse pensioni degli istituti di previdenza, non essendo prevista analoga norma in relazione alle pensioni dei dipendenti civili e militari dello Stato, disciplinate dal citato T.U. n. 1092 del 1973 (Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte, n. 2/2012). Ciò posto, nel caso di specie, non emergono elementi tali da far ritenere venute meno le distinzioni che, sul piano normativo, differenziano la gestione dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato rispetto ai trattamenti di quiescenza degli iscritti alle ex casse pensioni degli istituti di previdenza trovando le prime la loro specifica disciplina nel D.P.R. n. 1092 del 1973. Pertanto la pretesa dell’I.N.P.S., tesa ad accollare, con intento restitutorio, all’amministrazione di appartenenza del pensionato la responsabilità del conferimento dei maggiori importi, in ipotesi di dichiarata irripetibilità dell’indebito costituirebbe applicazione analogica del citato art. 8, del D.P.R. cit., in realtà, non consentita in quanto operazione ermeneutica estensiva, stante la specificità delle normative previdenziali del settore statale e di quello degli enti locali. Quindi, l’estensione, per via analogica, dell’applicabilità della predetta disposizione di cui all’art. 8 D.P.R. n. 538/1986 non può trovare ingresso in questa sede considerato che, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, i diversi sistemi pensionistici hanno una loro specificità e la circostanza che le discipline in essi previste non siano uniformi non giustifica una sovrapponibilità delle diverse normative (sent. n. 345 del 1999). Di conseguenza, va declinata la giurisdizione contabile rispetto alla domanda proposta dall’I.N.P.S. individuando il Giudice ordinario quale titolare della giurisdizione in ordine alla cognizione del predetto rapporto obbligatorio tra enti (in tal senso altresì Corte dei Conti, Sez. Veneto sentenze nn. 835, 901/2010 e n. 42/2011).

In definitiva, sulla scorta di quanto espressamente stabilito dall’art. 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973, la Sig.ra S. F. ha diritto a non ripetere l’indebito pari ad euro 19.626,63, limitatamente alla sola sorte capitale (rivalutazione monetaria ed interessi esclusi) trattandosi comunque di somme percepite senza legittimo titolo di cui viene solo negata la legittimità della ripetizione (cfr. in terminis Corte Conti Sez. Lazio n. 597 del 2003; Sez. Veneto n. 94 del 2003 e n. 1136 del 2008; questa stessa Sezione n. 393 del 1998).

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia
nella sua composizione di Giudice unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:

ACCOGLIE
1. nei termini di cui in motivazione il ricorso in epigrafe e per l’effetto
dichiara irripetibile l’indebito di complessivi € 19.626,63 posto a recupero nei confronti della Sig.ra S. F.;
2. nella misura in cui l’indebito è stato già recuperato dall’Amministrazione previdenziale mediante trattenute sulla pensione in pagamento, condanna l’Amministrazione stessa a restituire alla ricorrente le somme già incamerate, peraltro con restituzione limitata alla sola sorte capitale, interessi e rivalutazione esclusi;
3. compensa le spese di lite.
Così deciso in Milano il 15 maggio 2012.
IL GIUDICE
(Eugenio Madeo)

Depositata in Segreteria il 24/05/2012
IL DIRIGENTE

Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici

Inviato: lun lug 02, 2012 3:29 pm
da panorama
1) - Revocata la pensione, di cui all’art. 2 della L. n. 335/1995.

2) - Al riccorente fu conferita, a decorrere dal 20.2.2002, pensione per inabilità assoluta, ai sensi dell’art. 2, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335.

3) - La revisione del trattamento pensionistico è stata disposta in conformità al verbale della Commissione Medica di verifica n. 236/IM del 22/7/2007, che ha giudicato il pensionato “non inabile a qualsiasi attività lavorativa” e ”non idoneo in maniera assoluta e permanente ai compiti e mansioni del profilo di appartenenza e a proficuo lavoro”.

4) - A tal fine, il C. sostiene che la revisione non è prevista dall’ordinamento pensionistico e che, comunque, le proprie condizioni di salute non sarebbero assolutamente mutate dal momento del riconoscimento dell’inabilità nel 2002.

5) - Pertanto, nella specie, l'aver previsto una visita di revisione a distanza di cinque anni dall'accertamento dello stato di inabilità, è un fatto logicamente incompatibile con il carattere “assoluto” e “permanente” che detta inabilità dovrebbe avere per poter essere dichiarata ai sensi dell'art. 2, comma 12, della legge n. 335 del 1995.

Ricorso Accolto.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LIGURIA Sentenza 71 2012 Pensioni 12-03-2012

Sent. 71/2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
In persona del
GIUDICE UNICO
Cons. Tommaso Salamone
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18827 del registro di segreteria, proposto dal Sig. C. E., nato il omissis, rappresentato e difeso dall’Avv Andrea Bava ed elettivamente domiciliato nello studio dello stesso in Genova, Via alla Porta degli Archi n. 10/6, contro l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, ora Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) – Sede di La Spezia, avverso la Determinazione n. 150 del 6/8/2007, con cui è stato revocata la pensione, di cui all’art. 2 della L. n. 335/1995, e avverso la Determinazione n. SP2002/167 del 30/7/2002, per il ripristino del trattamento revocato.

Uditi, nella pubblica udienza del 7 marzo 2012, l’avv. Andrea Bava per la parte ricorrente e il dott. Nicolò Monterosso per l’INPDAP;

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Ritenuto in

FATTO
Al sig. C. E., già dipendente dell’Azienda Consortile Acqua e Metano, fu conferita, a decorrere dal 20.2.2002, pensione per inabilità assoluta, ai sensi dell’art. 2, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Il provvedimento concessivo venne adottato sulla base del parere della C.M.O. dell’Ospedale militare Marittimo della Spezia, che, in relazione alla diagnosi di “1) Miocardiopatia dilatativa con severa compromissione della funzione globale ventricolare sinistra; 2) fibrillazione atriale; 3) diabete mellito Tipo 2; sindrome del tunnel carpale sinistra”, lo giudicò “inabile a svolgere qualsiasi attività lavorativa per anni cinque a decorrere dal 20/2/2002”.

Con la determinazione n. 150 del 6/8/2007, oggetto di impugnazione, l'I.N.P.D.A.P. ha riliquidato all’interessato il trattamento di quiescenza ordinario a decorrere dal 21/2/2007, revocando il beneficio, di cui all’art. 2, comma 12, della legge n. 335/1995, già concesso, in quanto il medesimo non è risultato più in possesso del requisito della “inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa”, ed ha proceduto conseguentemente a recuperare i maggiori emolumenti corrisposti al pensionato.

La revisione del trattamento pensionistico è stata disposta in conformità al verbale della Commissione Medica di verifica n. 236/IM del 22/7/2007, che ha giudicato il pensionato “non inabile a qualsiasi attività lavorativa” e ”non idoneo in maniera assoluta e permanente ai compiti e mansioni del profilo di appartenenza e a proficuo lavoro”.

Avverso il predetto provvedimento l’interessato ha proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo la riforma “in parte qua” dei provvedimenti impugnati e la concessione della pensione di inabilità assoluta ex art. 2, comma 12, della l. n. 335/1995, a decorrere dal 20.2.2002, a vita, con interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo. Vinte spese, diritti ed onorari di causa.

In gravame, il ricorrente contesta innanzi tutto la legittimità del provvedimento concessivo di pensione di inabilità assoluta “provvisoria”, cioè per un tempo determinato, essendo tale pensione legata alla inidoneità non solo assoluta ma anche permanente del lavoratore. La pensione di inabilità nell’ordinamento pensionistico pubblico si innesterebbe infatti, a suo avviso, in un sistema che prevede la revoca del diritto solo entro tre anni, ai sensi dell’art. 203 del D.P.R. 23 dicembre 1973, n. 1092.
Parte ricorrente si duole inoltre che nella visita del 2007 non si sia tenuto conto di tutte le patologie valutate nella precedente visita e, specificatamente, della cardiopatia dilatativa e del diabete mellito di Tipo 2., che, ove considerate, avrebbero certamente portato alla conferma dello stato patologico invalidante.

L’INPDAP ha depositato in data 30 settembre 2011 memoria con cui rappresenta di avere legittimamente operato in applicazione dell’art. 10 DM n. 187 del 1979, emesso in attuazione dell’art. 2 della legge n. 335/1995, che prevede espressamente la revoca in caso di recupero delle capacità fisiche o dello svolgimento di attività lavorativa.

Ha, pertanto, concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Discussa la causa all’udienza dell’11 ottobre 2011, la Sezione, al fine di avere più sicuri elementi di giudizio, richiedeva consulenza tecnica all’Organo di consulenza medico legale presso l’Azienda Ospedaliera “Ospedale San Martino” di Genova e Cliniche universitarie convenzionate (DISSAL), che in data 17 febbraio 2012 faceva pervenire alla Segreteria della Sezione parere con il quale, nel dare risposta al quesito posto, concludeva che il paziente nel 2002 era affetto da miocardiopatia dilatativa con severa compromissione della funzione globale ventricolare sinistra; fibrillazione atriale; diabete mellito Tipo 2; sindrome del tunnel carpale sinistra, per cui deve ritenersi che alla visita di revisione del giugno 2007 le condizioni generali fossero tali da determinare l’assoluta e permanente impossibilità del sig. C. E. a qualsiasi attività lavorativa.

L’Avv. Bava ha presentato n. 2 memorie.

All’odierna pubblica udienza, le parti intervenute hanno illustrato le argomentazioni svolte nelle difese scritte, di cui hanno ribadito le conclusioni; la causa è stata pertanto decisa con sentenza, dando lettura del dispositivo e fissando un termine per il deposito della stessa, ai sensi dell’ultima parte dell’art. 429, comma 1, ultima parte, c.p.c., come sostituito dall’art. 53 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
Considerato in

DIRITTO
Il ricorrente, già dipendente dell’Azienda Consortile Acqua e Metano, chiede il ripristino della pensione di inabilità a lui già concessa, ai sensi dell’art. 2, comma 12, della L. n. 335 del 1995, a decorrere dal 21.2.2002 (Det. dell’INPDAP di La Spezia del 3.7.2002), e revocata con successiva Determinazione n. 150 del 6.8.2007, a seguito di revisione delle proprie condizioni di salute.

A tal fine, il C. sostiene che la revisione non è prevista dall’ordinamento pensionistico e che, comunque, le proprie condizioni di salute non sarebbero assolutamente mutate dal momento del riconoscimento dell’inabilità nel 2002, essendo la revoca da ricollegare alla erroneità dell’accertamento del 2007, non avendo la Commissione medica di verifica tenuto conto della cardiopatia dilatativa con severa compromissione della funzione ventricolare sinistra e del Diabete mellito Tipo 2, patologie che erano state valutate nella precedente visita in cui l’interessato fu riscontrato assolutamente inabile.

Al riguardo, si osserva che l’art. 2, comma 12, della L. n. 335 del 1995 riconosce il più favorevole trattamento di quiescenza, dalla stessa introdotto con effetto dal 1° gennaio 1996 a favore dei dipendenti pubblici, i quali, possedendo i requisiti contributivi previsti per la pensione di inabilità, di cui all’art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222, siano cessati dal servizio per infermità non ricollegabili alla medesima prestazione per le quali “si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”.

Sulla base della richiamata normativa di riferimento, il trattamento pensionistico di inabilità, di cui all'art. 2, comma 12, della legge n. 335 del 1995, è condizionato alla sussistenza dello stato di assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Orbene, detta situazione, come già osservato da questa Sezione (sent. n. 528 del 2006, confermata dalla Sezione Terza d’appello con sent. n. 85 del 2011) presuppone che l'inabilità abbia “carattere stabile e continuativo e non che si tratti di uno stato di infermità temporaneo o transeunte, come tale suscettibile di miglioramento”.

Pertanto, nella specie, l'aver previsto una visita di revisione a distanza di cinque anni dall'accertamento dello stato di inabilità, è un fatto logicamente incompatibile con il carattere “assoluto” e “permanente” che detta inabilità dovrebbe avere per poter essere dichiarata ai sensi dell'art. 2, comma 12, della legge n. 335 del 1995.

Né, con specifico riferimento al caso di specie, ha alcun fondamento normativo il riconoscimento di una inabilità assoluta e permanente limitata nel tempo: se la Commissione Medico Ospedaliera riteneva che la patologia potesse migliorare nel giro di qualche anno, non avrebbe dovuto dichiarare il ricorrente assolutamente e permanentemente inabile. Tuttavia, una volta che tale status è stato riconosciuto, non può essere revocato neppure sulla base di altra visita medica, versandosi in ipotesi in cui l'intervenuta statuizione dell'Amministrazione, formalizzata con decreto definitivo, non può essere modificata.

Ed invero, ai trattamenti di quiescenza per inabilità, ex art. 2, comma 12, della l. n. 335/1995, si applicano le disposizioni normative generali riguardanti i pensionati delle amministrazioni pubbliche, che prevedono la revoca e la modifica del trattamento di quiescenza definitivo solo in presenza di particolari presupposti e per un tempo determinato (v. artt. 203-208 del T.U. approvato con D.P.R. n. 1092 del 29.12.1973 per i dipendenti civili e militari dello Stato, estesi agli iscritti alle Casse pensioni degli istituti di previdenza dall’art. 8 del D.P.R. 8.8.1986, n. 538).

In particolare, l'art. 203 del D.P.R. n. 1092/1973 prevede che il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza possa essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso solamente per le ragioni indicate al successivo articolo 204, cioè quando: “a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.

Orbene, è del tutto evidente che nella specie nessuna delle circostanze sopra riportate possa essere invocata a fondamento della revoca.

D’altra parte, deve anche osservarsi, a riprova della permanente diversità di disciplina tra le pensioni di invalidità del settore privato e quelle del settore pubblico, che l’art. 2, comma 12, della l. n. 335/95, non ha uniformato integralmente la tutela dell’invalidità pensionabile, estendendo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni l’intera disciplina della l. n. 222/84.

L’estensione integrale di tale disciplina avrebbe, infatti, comportato anche per i dipendenti del settore pubblico la possibilità di fruire dell’assegno ordinario d’invalidità in caso di riduzione della capacità lavorativa di solo due terzi.

Tale specifica disciplina, applicabile solo ai pensionati del settore privato, consente di revocare la pensione di invalidità in caso di riacquisto parziale della capacità di lavoro, senza tuttavia lasciare sprovvisto di ogni mezzo di sostentamento il pensionato dotato soltanto di una residua capacità lavorativa.
Quanto poi all’art. 10 del Decreto del Ministero del Tesoro n. 187 dell'8.5.1997 (attuativo dell’art. 2, comma 12, della legge n. 335/95), invocato dall’Amministrazione a supporto della legittimità dell’intervenuta revoca, si osserva che nessuna delle norme contenute nel predetto regolamento prevede la possibilità di revoca della pensione di inabilità a seguito di visita di revisione.

In ogni caso, ove le norme regolamentari dovessero essere intese come volte a disciplinare la revoca della pensione di inabilità per intervenuto miglioramento delle condizioni di salute, le stesse sarebbero illegittime, e quindi da disapplicare in questa sede, sia perché eccedenti la delega data dalla legge n. 335/95 ai Ministri del tesoro, della funzione pubblica e del lavoro e della previdenza sociale “a determinare le modalità applicative del comma 12 dell’art. 2” della legge stessa e non a stabilire condizioni per la revocabilità della pensione, le quali hanno un evidente contenuto di natura sostanziale, sia perché si porrebbero in contrasto con le surriferite disposizioni aventi forza di legge (artt. 203-208 del d.p.r. n. 1092), in materia di revocabilità dei trattamenti di quiescenza dei pensionati della Pubblica Amministrazione
D'altra parte, ad opinare diversamente, si verrebbero a legittimare situazioni paradossali, come quella del ricorrente, il quale, dopo aver avuto risolto per inabilità il proprio rapporto di lavoro, si vede ora revocare la pensione, senza poter però rientrare in servizio. Ed invero, a prescindere dal fatto che, in caso di revoca della pensione di inabilità per riacquisto totale o parziale della capacità lavorativa, non è previsto il contestuale reintegro in servizio, l’Amministrazione gli preclude comunque tale possibilità, sostenendo che l'infermità sofferta, pur non determinando l'assoluta e permanente inabilità a qualsiasi attività lavorativa e, quindi, il diritto alla pensione per inabilità assoluta, non permette all’interessato lo svolgimento delle mansioni relative alla figura professionale rivestita al momento della risoluzione, nel cui profilo lavorativo potrebbe avvenire l’eventuale ricostituzione del rapporto di lavoro.

Pur essendo le suesposte ragioni giuridiche sufficienti per l’accoglimento del ricorso, per esigenza di esaustività, deve rilevarsi che, nella specie, il ricorrente ha diritto al ripristino della pensione di inabilità assoluta anche sotto il profilo meramente sanitario.

Ed infatti, il consulente interpellato, il Dipartimento di Scienze della salute – Sezione di Medicina legale e Bioetica dell’Università di Genova, ha reso parere medico-legale nel quale ha conclusivamente affermato che il paziente nel 2002 era affetto da miocardiopatia dilatativa con severa compromissione della funzione globale ventricolare sinistra; fibrillazione atriale; diabete mellito Tipo 2; sindrome del tunnel carpale sinistra, per cui deve ritenersi che anche alla visita di revisione del giugno 2007 le condizioni del C. fossero tali da determinare l’assoluta e permanente impossibilità dello stesso a qualsiasi attività lavorativa, atteso che la patologia miocardica di cui soffre il pensionato non è per sua natura suscettibile di miglioramento, consistendo in una perdita o degenerazione permanente del muscolo miocardico.

Questo giudice non ha motivo per discostarsi dal parere acquisito, in quanto lo stesso appare sorretto da valutazioni tecnico sanitarie ineccepibili e coerente con le risultanze degli atti medici e della restante documentazione versata in giudizio.

Per le considerazioni svolte, deve essere riconosciuto il diritto della ricorrente al ripristino della pensione con i benefici previsti dall’art. 2, comma 12, della L. n. 335 del 1995, già concessa a decorrere dal 21.2.2002, anche per il periodo successivo al 20.2.2007 e da durare a vita.

Su quanto dovuto per effetto della presente sentenza spetta il maggior importo tra interessi e rivalutazione monetaria – determinata, quest’ultima, secondo gli indici Istat, di cui all’art. 150 disp. att. c. p. c. – dalla data di maturazione di ciascun rateo fino al pagamento (Corte dei conti, SS.RR., sent. n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002).

Le spese legali seguono la soccombenza e si liquidano per onorari in Euro 1000,00 (mille/00), oltre a I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Nulla per le spese di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, riconosce il diritto del sig.C. E. al ripristino della pensione con i benefici previsti dall’art. 2, comma 12, della L. n. 335 del 1995, già concessa a decorrere dal 21.2.2002, anche per il periodo successivo al 20.2.2007 e da durare a vita.

Su quanto dovuto per effetto della presente sentenza spetta la somma maggiore tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalla scadenza di ciascun rateo fino al soddisfo.

Condanna l’INPS al pagamento delle spese legali, che vengono liquidate in Euro 1000,00 (mille/00), oltre a I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Fissa, ai sensi dell’art. 429 c.p.c, comma primo, come modificato dall’art. 53 d.l. n. 112 del 2008, conv. con modifiche, dalla l. n. 133 del 2008, il termine di giorni 15 (quindici) per il deposito della sentenza.
Così deciso in Genova, il 7 marzo 2012.
IL GIUDICE
(Tommaso Salamone)

Deposito in Segreteria il 12/3/2012