PERMESSI ALLATTAMENTO AL PADRE

Diritto Militare e per le Forze di Polizia
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TEODORO3

PERMESSI ALLATTAMENTO AL PADRE

Messaggio da TEODORO3 »

Buongiorno Avvocato,
volevo riuscire a capire un pò meglio i benefici previsti dagli artt.39 e 40 del decreto legislativo del 26 marzo 2001,n.151 con moglie casalinga.
Sono un sott.le appartenente alle FF.AA. e del decreto ne son venuto a conoscenza con la nascita del mio secondo bimbo (nato a febbraio 2010), solo nel mese di maggio 2010.
Ho presentato una regolare domanda al mio comandante che mi ha concesso tali permessi .
Poi all'improvviso il 20 gennaio 2011 mi sono visto negare questi permessi inquanto è giunta al comando una comunicazione dall'ente centrale facente riferimento
al foglio M_D ARM001 0090801 del 04/11/2010.
Ora mi chiedo una comunicazione fatta dal mio ente centrale può annulare un decreto legge parzialmente e non tenere presente di alcune sentenze che ci sono state negli anni passati.

P.S. Nel paese in cui vivo siamo io mia moglie e due bimbi senza l'aiuto di parenti e genitori inquanto distanti circa 1000km.

Grazie per la sua Attenzione.
Porgo Distinti Saluti.


panorama
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Re: PERMESSI ALLATTAMENTO AL PADRE

Messaggio da panorama »

Diritto della madre lavoratrice ad usufruire del congedo in potesi di parto prematuro – Corte Costituzionale, Sentenza n. 116/2011
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.

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Corte Costituzionale, Sentenza n. 116 del 07/04/2011
Lavoro e occupazione – Lavoratrici madri – Ipotesi di parto prematuro con neonato necessitante di un periodo di ricovero ospedaliero – Diritto della madre lavoratrice ad usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare – Mancata previsione – Ingiustificato deteriore trattamento rispetto a quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 1204/1971, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 270 del 1999, nonché a quanto previsto dall’art. 14, comma 5, del d.P.R. n. 163/2002 per il personale delle Forze Armate.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Palermo nel procedimento vertente tra C. C. e l’INPS ed altra con ordinanza del 30 marzo 2010, iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
udito l’avvocato Antonietta Coretti per l’INPS.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare».
2. — Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunziarsi nel giudizio di merito, iniziato dalla signora C. C. nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) e di Telecom Italia Mobile (TIM) Italia Spa ai sensi dell’art. 669-octies del codice di procedura civile ed espone che l’attrice, la cui figlia era stata ricoverata fin dalla nascita presso il Policlinico di Palermo in terapia intensiva, venendo dimessa soltanto l’8 agosto 2005, era stata posta in congedo obbligatorio dall’INPS, in base all’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, a far tempo dalla data del parto medesimo.
La lavoratrice aveva inoltrato all’ente previdenziale la richiesta di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall’ingresso della neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione lavorativa fino ad una di tali date, ma l’INPS aveva respinto detta richiesta.
Pertanto – aggiunge il rimettente – la parte privata aveva promosso un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., in esito al quale il Tribunale di Palermo, in accoglimento del ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi dall’attività lavorativa a far data dall’8 agosto 2005 e per i cinque mesi successivi, fissando il termine perentorio di trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito, instaurato con domanda diretta ad ottenere la declaratoria del diritto della signora C. C. ad astenersi dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Ciò premesso, il giudicante – ritenuta rilevante la questione sollevata, in quanto dalla dichiarazione d’illegittimità costituzionale della norma censurata dipenderebbe l’accoglimento della domanda nel merito – richiama il dettato di tale norma che, disciplinando il congedo di maternità, vieta di adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto dall’art. 20 d.lgs. n 151 del 2001; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto. Inoltre, richiama il successivo art. 17 che disciplina l’estensione del divieto, nonché l’art. 18 il quale sanziona con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni de quibus.
In questo quadro, il Tribunale osserva che l’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001 trova un precedente nell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), come modificato dall’art. 11 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città).
Il detto art. 4, poi abrogato con l’intera legge n. 1204 del 1971 dall’art. 86 d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il parto.
Questa Corte, con sentenza n. 270 del 1999, dichiarò l’illegittimità costituzionale della norma, «nella parte in cui non prevede(va) per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino».
Il rimettente osserva che, anche in base al tenore del citato art. 16, la domanda della attrice, diretta ad usufruire dell’intero periodo di congedo (tre mesi più due mesi) dalla data d’ingresso della figlia nella casa familiare, ovvero dalla data presunta del parto, non potrebbe essere accolta, neppure in via parziale, restando l’obbligo del datore di lavoro, sanzionato penalmente, di non adibire la donna al lavoro dopo il parto, per il periodo già detto.
Il Tribunale rileva che il giudice del procedimento cautelare ha dato luogo ad una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, in guisa da consentire, nell’ipotesi in esame, la decorrenza dell’intero periodo di congedo obbligatorio dal momento dell’ingresso in famiglia della neonata. Ritiene, però, di non poter condividere la detta interpretazione, in quanto essa trova un ostacolo non aggirabile per effetto del citato art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001, il quale punisce l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 con l’arresto fino a sei mesi.
Pertanto, ad avviso del rimettente, la nuova disciplina della materia presenta gli stessi vizi di legittimità costituzionale riscontrati da questa Corte con riferimento all’art. 4 della legge n. 1204 del 1971, perché il circoscritto intervento del legislatore non sarebbe sufficiente.
La norma censurata, infatti, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., tra il caso di parto a termine e quello di parto prematuro, consentendo soltanto nel primo caso un’adeguata tutela della maternità e la salvaguardia dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo familiare (artt. 29, 30, 31, 37 Cost.).
Invero, come già sottolineato da questa Corte nella sentenza citata, finalità dell’istituto dell’astensione obbligatoria (oggi congedo) dal lavoro sarebbe sia la tutela della puerpera, sia la tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio, che si instaura fin dai primi attimi di vita in comune ed è decisiva per il corretto sviluppo del bambino e per lo svolgimento del ruolo di madre.
La norma censurata, non prevedendo la possibilità di differire il congedo obbligatorio fino al momento in cui il bambino può fare ingresso in famiglia dopo il ricovero successivo alla nascita, non garantirebbe la suddetta esigenza di tutela, specialmente quando, come nel caso in esame, la dimissione del bambino coincide con il termine del congedo.
Inoltre, la detta norma non consentirebbe alla puerpera di tornare al lavoro se non con il decorso di cinque mesi dal parto, anche quando, pur non potendo svolgere il suo ruolo di madre e di assistenza del minore affidato alle cure dei sanitari, le sue condizioni di salute lo permetterebbero.
Sarebbe innegabile, dunque, che anche la norma in esame sia in contrasto con il principio di parità di trattamento e con i valori costituzionali di protezione della famiglia e del minore, con conseguente violazione dei predetti parametri costituzionali.
In definitiva, ad avviso del rimettente, la norma censurata non ha colmato il vuoto normativo già posto in evidenza con la citata sentenza della Corte costituzionale; e, a sostegno della necessità di un ulteriore intervento del giudice delle leggi, andrebbe richiamato l’art. 14, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163 (Recepimento dello schema di concertazione per le Forze armate relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003), alla stregua del quale «In caso di parto prematuro, al personale militare femminile spetta comunque il periodo di licenza di maternità non goduto prima della data presunta del parto. Qualora il figlio nato prematuro abbia necessità di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, la madre ha facoltà di riprendere servizio richiedendo, previa presentazione di un certificato medico attestante la sua idoneità al servizio, la fruizione del restante periodo di licenza di maternità post-parto e del periodo ante-parto, qualora non fruito, a decorrere dalla data di effettivo rientro a casa del bambino».
3. — Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), depositando il 3 settembre 2010 una memoria, con la quale ha chiesto che la questione sollevata dal rimettente sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
Dopo aver riassunto i fatti esposti nell’ordinanza di rimessione, l’INPS osserva che, ad avviso del rimettente, la disparità di trattamento sussisterebbe tra «la fattispecie di parto e termine e quella di parto prematuro», in quanto l’art. 16, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 151 del 2001 (nonché le connesse disposizioni di cui agli artt. 17 e 18 dello stesso decreto), nel disporre che, in caso di parto prematuro, il congedo obbligatorio dal lavoro (cinque mesi) si colloca soltanto nel periodo immediatamente successivo al parto, consentirebbe che solo in caso di parto a termine si realizzi «un’adeguata tutela della maternità e una salvaguardia dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo familiare (artt. 29, 30, 31, 37)».
Tale questione – prosegue l’Istituto – fu già affrontata da questa Corte con la sentenza n. 270 del 1999. Con tale pronuncia (cosiddetta additiva di principio), fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971 (ora art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001), nella parte in cui non prevedeva, per l’ipotesi di parto prematuro, una decorrenza dei termini del periodo di astensione obbligatoria idonea ad assicurare un’adeguata tutela della madre e del bambino.
La citata sentenza indicò «delle possibili soluzioni da adottare per risolvere la questione oggi in esame», aggiungendo che la scelta spettava al legislatore.
Orbene, la norma qui censurata prevede (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro le donne «durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto».
Pertanto, ad avviso dell’INPS, il legislatore, in caso di parto prematuro, avrebbe stabilito che il periodo di astensione obbligatoria sia comunque pari a cinque mesi complessivi, prescindendo dalla data del parto, e, qualora la nascita avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, avrebbe previsto che i giorni non goduti (cioè quelli correnti tra la data presunta e quella effettiva) siano aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. Tale soluzione sarebbe in armonia con altre disposizioni del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in particolare, con l’art. 18 dello stesso decreto, che sanziona con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17. In altri termini, si sarebbe ritenuto inderogabile ancorare la decorrenza del congedo obbligatorio alla data del parto.
In questo quadro l’Istituto eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
Infatti il legislatore del 2001, proprio a seguito della menzionata sentenza n. 270 del 1999, avrebbe adottato una delle possibili soluzioni idonee a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo, equilibrando così la situazione tra il caso di parto a termine e quello di parto prematuro.
Al contrario di quanto sostenuto dal giudice a quo, la richiesta di pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata. Nella vicenda in esame, la possibilità di diverse soluzioni con le quali risolvere il problema della decorrenza dell’astensione obbligatoria in caso di parto prematuro sarebbe stata posta in evidenza dalla stessa Corte costituzionale; circostanza, quest’ultima, che confermerebbe come la questione sollevata rientri nell’ambito della discrezionalità del legislatore.
In ogni caso, la detta questione sarebbe non fondata.
La soluzione adottata dal legislatore sarebbe idonea a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo.
In realtà, proprio l’invocato intervento additivo «non solo comporterebbe un inammissibile esercizio della discrezionalità politica riservato al legislatore, ma darebbe anche origine ad effettive disparità di trattamento».
Infatti, un’eventuale diversa disciplina della decorrenza del congedo obbligatorio per il caso di parto prematuro, con degenza ospedaliera del neonato, determinerebbe un’effettiva discriminazione rispetto al caso di parto a termine con neonato affetto da malattia necessitante di ricovero ospedaliero.
I principi costituzionali richiamati dal rimettente sarebbero ben salvaguardati sia dalla norma denunciata sia dagli altri istituti contemplati dal vigente ordinamento, come il congedo per malattia del figlio e il congedo facoltativo.
Sarebbe vero che la ratio dell’astensione obbligatoria è volta alla tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio, che s’instaura fin dai primi atti della vita in comune, ma sarebbe vero del pari che tale istituto è diretto anche a favorire il recupero psico-fisico della partoriente. Consentire alla puerpera di rientrare al lavoro subito dopo il parto potrebbe dar luogo ad un abbassamento della tutela della sua salute.
Infine, il richiamo all’art. 14, comma 5, d.P.R. n. 163 del 2002 non sarebbe pertinente, in quanto tale normativa non potrebbe costituire un idoneo tertium comparationis, dato il suo carattere eccezionale, «siccome riferita ad una categoria di lavoratrici che presta prestazioni lavorative del tutto speciali (personale militare), non estensibile, pertanto, fuori del sistema considerato».
Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel presente giudizio.
Considerato in diritto
1. — Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita – in riferimento agli articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare».
2. — Il giudice a quo premette che una lavoratrice dipendente – avendo avuto un parto prematuro perché la figlia, la cui nascita era prevista per il primo luglio 2005, era venuta alla luce il 25 marzo 2005, con immediato ricovero in terapia intensiva presso il Policlinico di Palermo, da cui era stata dimessa soltanto l’8 agosto 2005 – aveva chiesto all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall’ingresso della neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione lavorativa fino ad una di tali date, ma l’INPS aveva respinto la richiesta. Pertanto la lavoratrice aveva promosso, nei confronti del detto Istituto e di Telecom Italia Mobile (TIM) Italia Spa, un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, in esito al quale il Tribunale di Palermo, accogliendo il ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi dall’attività lavorativa a far data dall’8 agosto 2005 e per i cinque mesi successivi, fissando il termine perentorio di trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito, che era stato instaurato con domanda diretta ad ottenere la declaratoria del diritto dell’attrice all’astensione dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Ciò premesso, il Tribunale osserva che la norma censurata trova un precedente nell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), come modificato dall’articolo 11 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Il detto art. 4, poi abrogato con l’intera legge n. 1204 del 1971 dall’art. 86 del d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il parto.
Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 270 del 1999, dichiarò l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 4, «nella parte in cui non prevede(va) per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino». Osserva che, anche in base al tenore del citato art. 16, la domanda dell’attrice, diretta ad usufruire dell’intero periodo di congedo (tre mesi più due mesi) dalla data d’ingresso della figlia nella casa familiare, ovvero dalla data presunta del parto, non potrebbe essere accolta, restando l’obbligo del datore di lavoro, sanzionato penalmente (art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001), di non adibire la donna al lavoro dopo il parto, per il periodo già detto.
Inoltre egli rileva di non poter condividere l’interpretazione compiuta dal giudice cautelare, avuto riguardo alla sanzione penale prevista dal citato art. 18 per l’inosservanza delle disposizioni contenute nell’art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001, e solleva questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 16, in riferimento ai parametri sopra indicati (come esposto in narrativa).
3. — In via preliminare, la difesa dell’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sostenendo che il legislatore del 2001, a seguito della sentenza di questa Corte n. 270 del 1999, avrebbe adottato «una delle possibili soluzioni idonee a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dal lavoro dopo il parto effettivo, equilibrando così la situazione tra la fattispecie di parto a termine e quella di parto prematuro».
Pertanto, la richiesta pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata, ma rientrerebbe tra le scelte possibili rimesse alla discrezionalità del legislatore, come, del resto, proprio questa Corte avrebbe posto in evidenza con la statuizione sopra indicata.
L’eccezione non è fondata.
E’ vero che la sentenza n. 270 del 1999, dopo aver rilevato «l’incongruenza della disposizione in parola nell’ipotesi di parto prematuro», osservò che si proponevano diverse soluzioni «con specifico riguardo alla decorrenza del periodo di astensione, spostandone l’inizio o al momento dell’ingresso del neonato nella casa familiare, o alla data presunta del termine fisiologico di una gravidanza normale» (punto 5 del Considerato in diritto). La stessa sentenza mise in luce che la prima soluzione era analoga a quella relativa all’ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza n. 332 del 1998), mentre la seconda era parsa meritevole di essere seguita dal disegno di legge n. 4624, recante «Disposizioni per sostenere la maternità e la paternità e per armonizzare i tempi di lavoro, di cura e della famiglia», presentato dal Governo alla Camera dei Deputati in data 3 marzo 1998. Essa aggiunse che «La scelta tra le diverse possibili soluzioni spetta al legislatore», pervenendo comunque alla declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971, nella parte in cui non prevedeva per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino.
Ciò posto, a parte quanto sarà detto di qui a poco, allorché si esaminerà il merito della questione, una riflessione ulteriore va compiuta in ordine al carattere, vincolato o discrezionale, dell’individuazione della data dalla quale far decorrere il congedo obbligatorio di maternità nell’ipotesi di parto prematuro.
Essa non può decorrere dalla data presunta del termine fisiologico di una gravidanza normale. Questo criterio è giustificato per calcolare i due mesi precedenti la data presunta del parto (art. 16, lettera a, d.lgs. n. 151 del 2001), perché è l’unico utilizzabile in relazione ad un evento non ancora avvenuto, il cui avveramento però è ragionevolmente certo e riscontrabile. Non altrettanto può dirsi nel caso di parto prematuro, perché in detta circostanza con il richiamo alla data presunta si opera un riferimento ipotetico ad un evento che, in realtà, è già avvenuto, onde il criterio si risolve in una mera fictio che non consente la verifica della sua idoneità ad assicurare una tutela piena ed adeguata della madre e del bambino per l’intero periodo di spettanza del congedo. Del resto, lo stesso legislatore, collegando rigidamente il decorso del congedo post partum alla data del parto, mostra di volere per la detta decorrenza un riferimento certo.
Pertanto, per individuare il dies a quo della decorrenza del periodo di astensione in caso di parto prematuro, resta la soluzione di ancorare – al termine del ricovero – la relativa data all’ingresso del neonato nella casa familiare, vale a dire ad un momento certo, sicuramente idoneo a stabilire tra madre e figlio quella comunione di vita che l’immediato ricovero del neonato nella struttura ospedaliera non aveva consentito. Tale soluzione, dunque, appare l’unica percorribile, con conseguente infondatezza dell’eccezione sollevata dall’ente previdenziale.
4. — Nel merito, la questione è fondata.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 270 del 1999, n. 332 del 1988, n. 1 del 1987), il congedo obbligatorio, oggi disposto dall’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, senza dubbio ha il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino.
Il citato art. 16, che apre il capo recante la disciplina del congedo di maternità, vieta di adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’art. 20 (che contempla la flessibilità del detto congedo); b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’art. 20. La lettera d), infine, dispone che il divieto opera anche durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
Come si vede, il principio secondo cui il congedo obbligatorio post partum decorre comunque dalla data di questo è rimasto immutato, anche in relazione ai casi, come la fattispecie in esame, nei quali il parto non è soltanto precoce rispetto alla data prevista, ma avviene con notevole anticipo (cosiddetto parto prematuro), tanto da richiedere un immediato ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, dove deve restare per periodi anche molto lunghi.
In siffatte ipotesi – come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare (sentenza n. 270 del 1999) – la madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato. Nel frattempo, però, il periodo di astensione obbligatoria decorre, ed ella è obbligata a riprendere l’attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. Né per porre rimedio a tale situazione può considerarsi sufficiente aggiungere al periodo di congedo di maternità dopo il parto gli ulteriori giorni non goduti prima di esso, trattandosi comunque di un periodo breve (al massimo due mesi), che non garantisce la realizzazione di entrambe le finalità (sopra richiamate) dell’istituto dell’astensione obbligatoria dal lavoro.
Basta considerare che, nel caso di specie, rispetto alla data prevista per il 1° luglio 2005, la bambina venne alla luce il 25 marzo 2005 e rimase ricoverata in ospedale fino all’8 agosto 2005, vale a dire quasi per l’intera durata dell’astensione obbligatoria della madre ante e post partum.
In simili casi, com’è evidente, il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Tale situazione è inevitabile quando la donna, per ragioni di salute (alla cui tutela il congedo obbligatorio post partum è anche finalizzato), non possa riprendere l’attività lavorativa e, quindi, debba avvalersi subito del detto congedo. Non altrettanto può dirsi quando sia la stessa donna, previa presentazione di documentazione medica attestante la sua idoneità alle mansioni cui è preposta, a chiedere di riprendere l’attività per poter poi usufruire del restante periodo di congedo a decorrere dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
In detta situazione l’ostacolo all’accoglimento di tale richiesta, costituito dal rigido collegamento della decorrenza del congedo dalla data del parto, si pone in contrasto sia con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento – privo di ragionevole giustificazione – tra il parto a termine e il parto prematuro, sia con i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia (artt. 29, primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.).
La tesi dell’ente previdenziale, secondo cui i principi dettati sarebbero ben salvaguardati da altri istituti contemplati nel vigente ordinamento, come il congedo per malattia del figlio e il congedo facoltativo, non può essere condivisa. Si tratta, infatti, d’istituti diversi, diretti a garantire una tutela diversa e ulteriore, che però non possono essere invocati per giustificare la carenza di protezione nella situazione ora evidenziata.
Quanto alla decorrenza del congedo obbligatorio dopo il parto, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, essa va individuata nella data d’ingresso del bambino nella casa familiare al termine della degenza ospedaliera. Si richiamano, al riguardo, le considerazioni svolte nel punto 3 che precede.
5. — Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, lettera c), d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non consente, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
Infine, è il caso di chiarire, con riguardo all’art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001, che punisce con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 del medesimo decreto, che la suddetta pronuncia non estende l’area della punibilità della fattispecie penale. Essa, infatti, non modifica i destinatari della norma né la sanzione, limitandosi ad introdurre per la donna lavoratrice la facoltà di ottenere una diversa decorrenza del congedo obbligatorio, che rimane pur sempre nell’ambito applicativo della norma censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.
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Re: PERMESSI ALLATTAMENTO AL PADRE

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Auguri al collega della Penitenziaria.


N. 00680/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00351/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 351 del 2011, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dagli OMISSIS , con domicilio eletto presso lo studio del primo sito in Palermo, via omissis;
contro
Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale per la Sicilia Ufficio Personale e della Formazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Palermo, via A. De Gasperi n. 81; Direzione Casa Circondariale omissis;
per l'annullamento
del decreto n. omissis emesso dal Provveditorato Regionale per la Sicilia Ufficio del Personale e della Formazione notificato in data 24 gennaio 2011;
del provvedimento del 7 ottobre 2010 emesso dal Direttore della Casa Circondariale omissis;
della nota prot. n. omissis del 26 gennaio 2011 della Direzione Casa Circondariale omissis di revoca di concessione dei riposi giornalieri concessi con provvedimento del 28 ottobre 2010;
di ogni altro atto presupposto, consequenziale e connesso.
Nonché per l’accertamento del proprio diritto a vedersi concedere i periodi di riposo giornalieri richiesti con relativo trattamento economico sino al compimento di un anno di vita dei propri figli.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale per la Sicilia Ufficio Personale e della Formazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2011 il dott. Pier Luigi Tomaiuoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Con ricorso ritualmente notificato all’Amministrazione resistente e depositato il 16.2.2011 omissis, premesso di avere presentato, in data 29.9.2010 ed in prossimità del parto gemellare della moglie, istanza di concessione in suo favore dei periodi di riposo di cui agli artt. 40, comma 1, lett. c) e 41 del D.Lg.vo 151/2001; che la Direzione, con provvedimento del 7.10.2010, aveva rigettato tale istanza sul presupposto che i riposi giornalieri non spettassero nel caso in cui la madre non svolga alcuna attività lavorativa; che in data 28.10.2010 aveva reiterato l’istanza per due ore ai sensi dell’art. 40, 1 comma, lett. c, riservandosi il ricorso gerarchico per il riconoscimento delle altre due ore di cui all’art. 41; che la Direzione aveva concesso la fruizione dei permessi giornalieri limitatamente a due ore; che per ottenere la fruizione anche delle altre due ore di cui all’art. 41 il OMISSIS aveva quindi proposto ricorso gerarchico al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Regione Sicilia; che il Provveditore aveva rigettato l’istanza chiedendo alla Direzione di uniformarsi al proprio avviso, secondo cui al ricorrente non spetterebbero neanche le ore concesse ex art. 40, comma 1, lett. c) con il provvedimento del 28.10.2010; che la Direzione della Casa Circondariale omissis aveva infine provveduto a revocare il provvedimento di concessione dei permessi giornalieri concessi ex art. 40, comma 1, lett. c); tutto quanto sopra premesso, ha impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati lamentandone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 del D.Lg.vo 151/2001 - eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e di diritto - violazione dell’art. 31 Cost..
All’adunanza camerale dell’8.3.2011 si è costituita l’Amministrazione resistente, senza depositare memoria scritta ed instando per il rigetto del ricorso avversario.
All’esito della medesima adunanza il ricorso, su concorde richiesta dei procuratori delle parti, è stato trattenuto in decisione.
Ritiene, preliminarmente, il Collegio che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata emessa ai sensi dell’art. 60 del Codice del processo amministrativo ed adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, stante l’integrità del contraddittorio e l’avvenuta, esaustiva, trattazione delle tematiche oggetto di giudizio; possibilità espressamente indicata alle parti, dal Presidente del Collegio, in occasione dell’adunanza camerale fissata per la trattazione della predetta istanza cautelare.
Il ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati, con i quali il Provveditore regionale per la Sicilia e la Direzione della Casa Circondariale Omissis hanno rispettivamente rigettato il ricorso gerarchico del ricorrente volto all’ottenimento della fruizione di due ore giornaliere di riposo ex art. 41 del D. Lg.vo 151/2001 e revocato la concessione di due ore di riposo giornaliere “per allattamento” ex art. 40, comma 1, lett. c) del D. Lg.vo 151/2001 (uniformandosi all’avviso espresso dal predetto Provveditore in seno al provvedimento impugnato).
Entrambi i provvedimenti si fondano sull’assunto che i permessi giornalieri in questione non spetterebbero al padre nell’ipotesi in cui la madre svolga l’attività di casalinga.
Sull’interpretazione dell’art. 40, comma 1, lett. c) del D. Lg.vo 151/2001, ai sensi del quale i periodi di riposo giornalieri di cui all’art. 39 spettano al padre lavoratore nell’ipotesi in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, in effetti, si registrano orientamenti differenti.
Pronunziandosi sull’identica fattispecie prima prevista dall’art. 6 ter l. 903/77 (introdotto dalla legge 59/00), il Consiglio di Stato, Sez. VI, 09.09.2008 n. 4293 ha osservato che, “premesso che il padre, che non sia affidatario esclusivo, può beneficiare dei congedi solo se la madre sia lavoratrice, e non intenda avvalersi dei congedi spettatigli o non sia lavoratrice dipendente, correttamente il TAR ha ritenuto che l'espressione contenuta nell'ultima fattispecie possa dirsi comprensiva della "lavoratrice" casalinga. Posto, infatti, che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell'ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest'ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall'art. 31 della Costituzione. In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un'interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato” (nello stesso senso cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, 25.11.2002, n. 2737, la Circolare dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali B/2009 del 12.05.2009, nonché la circolare INPS 25/11/2009 n. 118).
In senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: “In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore "nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente", deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione "non. lavoratrice dipendente" il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre "casalinga" non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio” (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).
Ritiene il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all’educazione della prole, principio che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.
Né può condividersi l’assunto secondo cui “la considerazione dell’attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l’innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell’istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).
Siffatta interpretazione è già di per sé motivo sufficiente di accoglimento anche della domanda di annullamento del provvedimento di revoca delle ulteriori ore di permesso di cui all’art. 41 del D. Lg.vo 151/2001 che il legislatore prevede in ipotesi di parto plurimo.
Osserva il Collegio, peraltro, che tali permessi aggiuntivi spetterebbero al ricorrente in ogni caso, anche laddove si volesse accedere all’interpretazione restrittiva che nega la fruibilità dei permessi al padre in ipotesi di madre che svolga attività domestica, poiché, per come sottolineato dallo stesso C.d.S. in sede consultiva nel parere sopra ricordato, la predetta interpretazione non si estende all’ipotesi “del parto plurimo disciplinata dall’art. 41, in cui le ore aggiuntive a quelle ordinarie possono essere utilizzate da entrambi”.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, i provvedimenti con esso impugnati devono essere annullati.
Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Amministrazione resistente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti con esso impugnati.
Condanna l’Amministrazione resistente a rifondere al ricorrente le spese di lite che liquida in € 2.000,00 oltre iva e cpa come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Nicola Maisano, Consigliere
Pier Luigi Tomaiuoli, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2011
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Re: PERMESSI ALLATTAMENTO AL PADRE

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Ricorso perso.
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diniego della domanda di fruizione di permessi giornalieri ex art 40 del D Lgs 151/2001

1) - Il diniego è motivato con lo status di casalinga della moglie del ricorrente.

IL TAR scrive:

2) - Le interpretazioni della giurisprudenza sono state diverse, il Consiglio di Stato con la pronuncia 2737 del 2002 ha considerato anche la possibilità che la madre sia una lavoratrice casalinga, per cui al padre lavoratore spetterebbe il permesso.

3) - Lo stesso Consiglio di Stato peraltro in sede consultiva prima sezione 2732 del 2009 ha dato un'interpretazione opposta della normativa.

4) - Ritiene questo collegio che l'interpretazione restrittiva del beneficio sia quella corretta.

Il resto leggetelo qui sotto.
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21/07/2014 201400395 Sentenza 1


N. 00395/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00209/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 209 del 2013, proposto da:
S. A., rappresentato e difeso dall'avv. Eva Casi, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R. in Trieste, piazza Unita' D'Italia 7;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

Stato Maggiore dell'Esercito;

per l'annullamento
- del diniego contenuto nella comunicazione prot. n. …. dd 17/5/2013 emesso dall' Aiutante Maggiore in 1^ in servizio presso il Reggimento "Genova Cavalleria" (4°) Palmanova di conferma del rigetto dell’istanza proposta dal ricorrente per la fruizione dei permessi ex art. 40 del Dgls 151/2001;
- della comunicazione precedente. n. …. dd 17/5/2013 cod. id. …. contenente disposizioni applicative relative alla richiesta di beneficiare dei riposi giornalieri;
- e della lettera dd. 26/06/2012 di conferma sul diniego di fruizione dei permessi in oggetto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2014 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente, aiutante maggiore dell'esercito, impugna il diniego della domanda di fruizione di permessi giornalieri ex art 40 del D Lgs 151/2001 la pregressa comunicazione del 17 maggio 2012 la lettera del 26 giugno 2012 e le comunicazioni poste alla base del diniego stesso.

Fa presenta di aver presentato la domanda a seguito della nascita della figlia in data 13 dicembre 2011. Il diniego è motivato con lo status di casalinga della moglie del ricorrente. Osserva come non sia stato comunicato al ricorrente l'autorità cui fare ricorso e le modalità, il che sanerebbe il ritardo nella sua proposizione.

A sostegno deduce la violazione delle norme costituzionali in tema di eguaglianza e diritto della difesa e cita la giurisprudenza che consente anche al padre di usufruire dei permessi anche ove la madre sia casalinga. Deduce poi la manifesta disparità di trattamento l'irragionevolezza, l'illogicità e il difetto di motivazione.

Resiste in giudizio il Ministero che eccepisce la tardività del ricorso e la sua infondatezza.

Infine, nella pubblica udienza del 9 luglio 2014 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

Va innanzitutto rilevato come il ricorso sia ricevibile, in quanto l'amministrazione non ha indicato in nessuno dei provvedimenti impugnati il termine e le modalità del ricorso giurisdizionale. Si tratta di una mera irregolarità non in grado di inficiare la validità dell'atto impugnato ma idonea comunque a rimettere in termini l'interessato nella proposizione del ricorso.

Venendo al merito, la questione giuridica all'esame di questo collegio riguarda l'interpretazione e l'applicazione dell'articolo 40 comma primo lettera C del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, ai sensi del quale i periodi di riposo giornalieri previsti dall'articolo 39 della medesima legge, spettano anche al padre lavoratore in alternativa alla madre lavoratrice che non se ne avvale, anche nel caso in cui la madre non sia una lavoratrice dipendente ma come nel caso lavoratrice casalinga.

Le interpretazioni della giurisprudenza sono state diverse, il Consiglio di Stato con la pronuncia 2737 del 2002 ha considerato anche la possibilità che la madre sia una lavoratrice casalinga, per cui al padre lavoratore spetterebbe il permesso. Lo stesso Consiglio di Stato peraltro in sede consultiva prima sezione 2732 del 2009 ha dato un'interpretazione opposta della normativa.

Ritiene questo collegio che l'interpretazione restrittiva del beneficio sia quella corretta. Ovviamente non sono in discussione i principi costituzionali ed europei sull'assoluta eguaglianza dei coniugi rispetto alla prole, sulla tutela prioritaria dei minori e della famiglia.

Peraltro, nel bilanciamento tra gli interessi del datore di lavoro, nel caso pubblico, e gli interessi del lavoratore va considerato che ove la tutela del minore in tenera età sia garantita, nel caso con l’assistenza della madre che non è lavoratrice dipendente ma casalinga, il diniego sia giustificato, con l’eccezione di casi particolari, non sussistenti nella fattispecie, in cui la madre casalinga non sia in grado di fornire piena assistenza al minore.

In altri termini, l’eguaglianza tra i coniugi prevale qualora la loro situazione lavorativa sia analoga, in quanto tutti e due lavoratori dipendenti, mentre nel caso di lavoro casalingo questo – che pur gode di pari dignità – per sua natura consente un’elasticità di gestione impossibile nel lavoro dipendente, in modo da poter garantire al minore, che è il soggetto tutelato in via prioritaria dalla norma, una congrua e adeguata assistenza.

Per le sue indicate ragioni il ricorso va rigettato.

Le incertezze giurisprudenziali peraltro inducono questo collegio compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente, Estensore
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Manuela Sinigoi, Primo Referendario


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/07/2014
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