Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare

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luigiv
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Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare

Messaggio da luigiv »

Salve Avvocato
sono un sottufficiale della Guardia di Finanza, desidererei conoscere il suo parere in merito alla vicenda che mi ha reso protagonista. Dopo aver richiesto le giustificazioni hanno inviato tutto alla Procura Militare come disobbedienza aggravata. Il gip ha archiviato escludendo la sussistenza del reato ipotizzato, l'assenza dell'elemento psicologico ed affermando che le mie giustificazioni erano valide.
Alla chiusura giudiziaria ha fatto seguito la convocazione di una commissione consultiva ai sensi dell'art. 67 del regolam.; addebitandomi anche i fatti su cui l' AG militare si è già espressa.
La mia domanda e questa :" possono giudicarmi sui fatti già valutati dall 'AG militare?"
Da quello che mi risulta ,nell'azione disciplinare conseguente ad un procedimento penale definitosi favorevolmente per il militare, devono essere valutati "aspetti ulteriori e diversamente qualificabili, inoltre l'art. 653 del cpp (efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare) credo che si possa applicare per analogia anche alla fattispecie in questione (decreto di archiviazione con la motivazione sopra espressa).

La ringrazio anticipatamente per i chiarimenti che vorrà fornirmi e per la sua disponibilità.


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Iscritto il: sab ott 13, 2007 4:10 pm

Re: Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare

Messaggio da Admin »

In attesa della risposta dell'avv. Carta, di seguito potrà leggere un estratto della Guida tecnica - “Norme e procedure disciplinari” ed. 2008 edito dal Ministero della Difesa che riguarda l'esame del giudicato penale ai fini disciplinari.

ESAME DEL GIUDICATO PENALE AI FINI DISCIPLINARI

L’esame del giudicato penale trova il suo fondamento negli articoli 29 della legge n. 113/1954, 20 della legge n. 599/1954, 9 e 10 della legge n. 1168/1961 (modificata dall'articolo 30, secondo comma, del D. Lgs. n. 198/1995), 26 e 30 del D. Lgs. n. 196/1995, nonché nell’art. 65, settimo comma, lettera b), del DPR n. 545/1986 (R.D.M.) e nell’art. 653 c.p.p..

1. Generalità.
L’esame del giudicato penale ai fini disciplinari consiste nel complesso di attività che l’Amministrazione Militare pone in essere al fine di stabilire la sussistenza dei presupposti necessari per avviare il procedimento disciplinare di stato (inchiesta formale disciplinare) o di corpo.

Esso è, in definitiva, una serie di letture (a livello gerarchico differenziato) del provvedimento conclusivo di un procedimento penale, che mira a stabilire, attraverso le valutazioni dei rapporti esistenti tra i fatti emersi dal procedimento penale stesso e le norme disciplinari dell’ordinamento militare, l’opportunità di disporre l’apertura di una inchiesta formale disciplinare (o di un procedimento disciplinare di corpo) a carico di quel militare il cui comportamento è stato già valutato irrevocabilmente dal Giudice Penale.
I rapporti tra giudicato penale e procedimento disciplinare sono regolati dai principi dell'autonomo accertamento e dell'autonoma valutazione in sede disciplinare dei fatti già accertati e valutati in sede penale.

a. Il principio dell'autonomo accertamento dei fatti in sede disciplinare consiste nella facoltà per l’amministrazione procedente di raccogliere elementi di prova a carico e a discarico del militare in sede di accertamenti preliminari (cioè prima ancora di contestargli gli addebiti, nel corso dell’esame del giudicato penale), quindi in sede di inchiesta formale ed infine, se necessario, in sede di Consiglio o Commissione di Disciplina, attraverso l'apposito supplemento di istruttoria. Tale principio non trova applicazione qualora ricorrano i presupposti stabiliti dall'articolo 653 del c.p.p., atteso che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso; la sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso ha pari efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità.

b. Il principio dell'autonoma valutazione dei fatti che impone all'autorità disciplinare di fare riferimento ai fatti materiali in cui si concreta la condotta dell'inquisito (vds. Parte Seconda, Capitolo A, Paragrafo 2) al fine di ponderare discrezionalmente la gravità degli stessi, è stato affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 971 in data 14 ottobre 1988 e dalla legge n. 19/1990. Costituiscono eccezioni a tale principio le ipotesi in cui siano applicate in sentenza le pene militari accessorie della degradazione o della rimozione, ai sensi degli articoli 28, 29 e 33 c.p.m.p. e le pene accessorie comuni dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ai sensi degli articoli 28 e 29 c.p. e dell'estinzione del rapporto di impiego o di lavoro, ai sensi dell’articolo 32 quinquies del c.p., come risulta modificato dall'articolo 5 della legge n. 97/2001.

2. Il principio dell’autonomo accertamento dei fatti nelle sentenze c.d. “patteggiate” (analisi giurisprudenziale).

Alcune annotazioni si rendono necessarie per quanto riguarda le sentenze pronunciate con l'applicazione di pena su richiesta delle parti (c.d. “patteggiamento” ai sensi degli articoli 444 e seguenti del c.p.p.). Tali sentenze sono considerate pronunce di condanna ai fini del giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle Pubbliche Autorità. Infatti, ai sensi dell’art. 653, primo comma bis, del c.p.p., nel testo novellato dagli articoli 1 e 2 della legge n. 97/2001, la sentenza penale di condanna, anche se resa a seguito di patteggiamento, ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e alla sua commissione da parte dell’imputato (tanto vale secondo Sentenza della Corte Cost. n. 394 del 10-25 luglio 2002, quanto alle sentenze di patteggiamento successive all’entrata in vigore della legge n. 97/2001).

Il Consiglio di Stato in molte sentenze (Cons. St., Sez.VI, n.4647/2000, Cons. St., sez. IV, n. 3156/2000) ha però precisato che l’efficacia di giudicato prevista dal combinato disposto dell’art. 445 c.p.p. con il 653 c.p.p, riguardi, in realtà, l’accertamento dei fatti svolto dal giudice, non avendo l’autorità disciplinare alcun dovere istruttorio di ricostruzione della vicenda ove la sentenza contenga un esaustivo accertamento dei fatti, rimanendo viceversa libera di procedere ad una diversa ricostruzione dei fatti ove le indagini penali risultino incomplete o comunque carenti sotto qualche profilo.
Dunque, l’Amministrazione, non diversamente da quando si trovi in presenza di una sentenza di condanna, deve considerare accertati e provati i fatti come acclarati dal giudice penale, dovendo compiere un’autonoma valutazione solo in ordine alla loro rilevanza disciplinare (in tal senso Cons. St., sez. VI, n. 7108/2006; sez. IV, n. 2941/2002, TAR Friuli Venezia Giulia n. 825/05).

Dinnanzi ad una sentenza di patteggiamento, quindi, occorre distinguere i due diversi profili dell’affermazione di responsabilità (contenuta nel dispositivo) e dell’accertamento della responsabilità (contenuto in motivazione); in nessun caso l’inquirente potrà recepire acriticamente l’affermazione di responsabilità contenuta nella pronuncia penale, dovendo valutare l’accertamento di responsabilità desumibile attraverso la motivazione della sentenza stessa e l’accesso agli atti di indagine inseriti nel fascicolo del pubblico ministero.

3. Provvedimenti conclusivi del procedimento penale presupposto del procedimento disciplinare.

L'articolo 653, primo comma, del c.p.p., come modificato dall'articolo 1 della legge n. 97/2001, dispone che «La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso».
L'autorità disciplinare, orbene, rimane vincolata al giudicato penale quando siano concomitanti i seguenti presupposti di cui al citato articolo 653 del c.p.p.:
- emanazione di una sentenza di assoluzione;
- affermazione nel dispositivo di una delle seguenti formule di assoluzione:
   * perché il fatto non sussiste;
   * perché l'imputato non lo ha commesso;
- passaggio in giudicato della sentenza.

L'esercizio dell'azione disciplinare è quindi precluso in presenza dei citati presupposti, fatte salve le ipotesi in cui i fatti, la cui sussistenza materiale non è stata esclusa dal Giudice Penale, assumono rilevanza sotto il profilo della responsabilità disciplinare, dei quali occorre comunque accertare con attenzione la ricorrenza attraverso l’esame del giudicato penale.

Al riguardo va precisato che non si realizza l'effetto preclusivo di cui all'articolo 653, primo comma, del c.p.p. se:

a. la sentenza contiene una delle sottonotate formule:
- non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita (art. 529 c.p.p. commi 1 e 2);
- non doversi procedere per estinzione del reato ( per amnistia, prescrizione ecc.) ( art. 531 c.p.p. commi 1e 2);
- assoluzione perché il fatto non costituisce illecito penale (essa comprende le formule assolutorie, ai sensi dell’art. 530 del c.p.p., come il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il proscioglimento per difetto di imputabilità, per insufficienza di prove, perché il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima (parere del Cons. St., Sez. III, parere n. 847/2002 in data 26 marzo 2002). Occorre specificare tuttavia che nel caso di assoluzione per vizio totale di mente (difetto di imputabilità) l'azione disciplinare non è ammessa per mancanza assoluta dell'elemento soggettivo del reato. Qualora, invece, il militare, benché assolto per mancanza di imputabilità dovuta alla totale incapacità di intendere e volere, sia sottoposto ad una delle misure di sicurezza personali previste dall'art. 215 c.p., potrà incorrere nella perdita del grado per decisione del Direttore Generale per il Personale Militare, previo parere della Corte Militare d'Appello (in tal senso vedi att. 70 legge 113/54 e 60 legge 599/54).

b. i fatti oggetto dell'azione disciplinare non coincidono con quelli oggetto dell'accertamento in sede penale (ossia con le fattispecie di reato per le quali è stata formulata l’imputazione);

c. è stato emesso decreto di archiviazione, per il quale si deve, comunque, provvedere al vaglio disciplinare dei fatti che determinarono l’iscrizione della notizia di reato;

d. è stata pronunciata sentenza penale di condanna in dibattimento o con rito alternativo (giudizio abbreviato, applicazione di pena su richiesta delle parti, giudizio immediato, giudizio direttissimo);

e. è stato emesso decreto penale di condanna.
alfaomega033
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Re: Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare

Messaggio da alfaomega033 »

Più chiari di così....
luigiv
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Iscritto il: dom ott 11, 2009 9:27 pm

Re: Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare

Messaggio da luigiv »

Grazie per le informazioni anticipate che per sommi capi rispecchiano quelle della circolare interna della G.di F. Purtroppo non riesco ad avere ancora chiarezza nella mia situazione, per quanto ho specificato nel primo messaggio, spero che lei Avvocato voglia chiarire questi miei dubbi. Grazie anticipatamente
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