Trattam. econom. da includere in quata A e B

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Trattam. econom. da includere in quata A e B

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Trattamento economico da includere in quota A e B.
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La Corte dei Conti del Veneto precisa:

1) - Sul tema oggetto del presente giudizio si è già pronunciata di recente la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze n. 202/17 204/17 e 205/17 del 4 aprile 2017,

2) - In particolare la Sezione centrale nelle decisioni citate rileva che:
<<....l'art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell'art, 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla "determinazione della base contributiva e pensionabile ",
- ) - per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con elencazione che e tassativa (art. 12 cit. comma 5) , "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza del rapporto di lavoro ", - - ) - ma ha anche precisato che takinnovazione ha effetto dal 1° gennaio 1996 e che la retribuzione definita secondo le nuove disposizioni concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma I lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 503 (comma l).

3) - Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1 .1996 — ai quali per l'ari. 1 commi 12 e 13 della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di una anzianità contributiva superiore a 18 anni)
o in parte
(se in possesso di una anzianità inferiore) il sistema pensionistico retributivo -
che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
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VENETO SENTENZA 137 17/11/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 137 2017 PENSIONI 17/11/2017
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N. 137/2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto
GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del Cons. Maurizio Massa,

nella pubblica udienza del giorno 14-11-2017, ha pronunziato
SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 30448, del registro di segreteria, proposto con ricorso da
1) B. M. c.f. OMISSIS;
2) R. G. c.f. OMISSIS;
3) P. V. c.f. OMISSIS;
4) B. M. c.f. OMISSIS;
5) B. P. c.f. OMISSIS;
6) M. V. c.f. OMISSIS;
7) F. M. c.f. OMISSIS;
8) T. A. c.f. OMISSIS;
9) M. A. c.f. OMISSIS;
10) M. A. c.f. OMISSIS;
11) V. E. c.f. OMISSIS;
12) C. S. c.f. OMISSIS;
13) M. M. c.f. OMISSIS;
14) T. S. c.f. OMISSIS;
15) O. L. c.f. OMISSIS;
16) C. R. F. S. c.f. OMISSIS;
17) S. A. c.f. OMISSIS;
18) M. F. c.f. OMISSIS;
tutti elett.te domiciliati in Roma via Attilio Regolo 12/D, presso lo studio dell'Avv. Angelo Lanzilao e Massimiliano Fazi entrambi del foro di Roma, che li rappresentano e difendono nel presente procedimento ed eleggono domicilio presso lo studio dell'Avv. Giuseppe TESSARIN, via Romea Vecchia 203, Taglio di Po (RO),
RICORRENTI

contro
LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,
non costituita, RESISTENTE

per il riconoscimento del diritto dei ricorrenti alla riliquidazione del trattamento di quiescenza mediante il calcolo dell'"indennità di funzione" o "operativa" di cui all'art. 18 del DPCM n. 8 del 1980, corrisposta in servizio e non valutata in quiescenza dall'Amministrazione. Con conseguente condanna dall'amministrazione al pagamento delle differenze dovute e non corrisposte oltre interessi.

VISTI il regio decreto 13.8.1933, n. 1038; il decreto-legge 15.11.1993, n. 453, convertito dalla legge 14.1.1994, n. 19; gli articoli 5 e 9 della legge 21.7.2000, n. 205.

ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;

Nell’udienza, udite le parti presenti, come da verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 14/9/2017, - notificato alla controparte -, parte ricorrente ha chiesto a questa Corte dei Conti quanto indicato in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si deve dichiarare la contumacia della parte convenuta, stante la sua mancata costituzione a seguito di rituale notifica avvenuta sia per posta con raccomandata a.r. (il 27-9-2017), che tramite PEC ai sensi della legge n. 53 del 1994 (il 19-9-2017).

Accertata la regolare costituzione del contradditorio si può esaminare il merito in assenza di questioni pregiudiziali.

La difesa dei ricorrenti deduce in fatto quanto segue.

Tutti i ricorrenti hanno prestato servizio presso gli Organismi di Informazione e Sicurezza di cui alla L. 801 del 1977 (ora denominati D.I.S. - Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza, a seguito dell'intervento normativo di cui alla L. 124/2004) nella speciale consistenza organica istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e già collocati in congedo.

In applicazione delle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale appartenente agli Organismi 1.55., i ricorrenti hanno fruito del trattamento economico previsto dall'art. 18 comma 1 del D.P.C.M. 21.11.1980 n. 8.

In aggiunta al trattamento stipendiale di cui sopra è stata loro corrisposta in costanza di servizio l'indennità di funzione (spettante ai dirigenti) od operativa (per i non dirigenti), definita "non pensionabile" dal comma 3 dello stesso art. 18 D.P.C.M 8/1980.

Collocati a riposo nel nuovo rapporto d'impiego con diritto al trattamento pensionistico , questo gli veniva liquidato senza il computo dell'indennità di funzione/operativa percepita durante il servizio prestato, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per integrare il trattamento di quiescenza con il computo dell'indennità, sia ostandovi il disposto normativo di cui all'art. 18 co. 3 DPCM 8/80 che ne esclude espressamente la pensionabilità, sia per le generali disposizioni di cui all'art. 43 DPR 1092/73, applicabile al personale dei Servizi, in forza del rinvio di cui all'art. 56 del medesimo DPCM, per il quale il detto personale ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza nei termini e con le modalità previste dalle vigenti disposizioni per gli impiegati dello Stato, trattandosi, infatti, di una indennità omnicomprensiva, corrisposta a titolo di rimborso forfetario delle spese comunque sostenute e che non ha natura retributiva.

Sul tema oggetto del presente giudizio si è già pronunciata di recente la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze n. 202/17 204/17 e 205/17 del 4 aprile 2017, a cui questo Giudice fa riferimento, nella parte motiva del riconoscimento del diritto analogo a quello azionato in questo giudizio, ed a cui si rinvia espressamente per relationem per l’integrazione della motivazione della presente sentenza.

In particolare la Sezione centrale nelle decisioni citate rileva che: <<....l'art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell'art, 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla "determinazione della base contributiva e pensionabile ", per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con elencazione che e tassativa (art. 12 cit. comma 5) , "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza del rapporto di lavoro ", ma ha anche precisato che takinnovazione ha effetto dal 1° gennaio 1996 e che la retribuzione definita secondo le nuove disposizioni concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma I lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 503 (comma l). Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1 .1996 — ai quali per l'ari. 1 commi 12 e 13 della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di una anzianità contributiva superiore a 18 anni) o in parte (se in possesso di una anzianità inferiore) il sistema pensionistico retributivo - che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.

Orbene, "indennità di funzione per i dirigenti e "indennità operativa" per il restante personale previste per il servizio presso gli Organismi di informazione e sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977 dall'art. 18, comma 3 del DPCM n 8/80 e dalla stessa norma dichiarate "non pensionabili" andavano corrisposte per i periodi di servizio effettiva, ente prestato e di congedo ordinario": determinate con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l'aggiornamento tecnico-professionale". queste indennità non sono comprese nell'elencazione delle somme escluse dalla base imponibile contenuta nell'art. 12 della L. 153/1969 e richiamata dall'art 2 della L. n. 335/1995. sono divenute pertanto pensionabili dal 10/1/1996 e vanno computate nella quota B della pensione. ».

Pertanto il ricorso deve essere accolto nei termini indicati nelle decisioni della Sezione centrale di appello sopra citate.

Le oscillazioni giurisprudenziali, la controvertibilità e la complessità delle questioni trattate, e l’epilogo del processo giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese c.d. legali.

Non è luogo, invece, a provvedere sulle spese c.d. di giudizio in considerazione del principio di sostanziale gratuità delle cause previdenziali, contenuto nell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, principio al quale la giurisprudenza di questa Corte attribuisce carattere di generalità.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica,

ACCOGLIE

il ricorso indicato in epigrafe.

Spese legali compensate.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di 20 giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Venezia, il 14-11-2017.
IL GIUDICE
f.to (Cons. Maurizio Massa)


Depositata in Segreteria il 17/11/2017

Il Funzionario preposto
f.to Nadia Tonolo

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LEGGE 8 agosto 1995, n. 335
Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

Art.2.
(Armonizzazione)

OMISSIS
9. Con effetto dal 1 gennaio 1996, per i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, si applica, ai fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, l'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni. Con decreto del Ministro del tesoro sono definiti i criteri per l'inclusione nelle predette basi delle indennità e assegni comunque denominati corrisposti ai dipendenti in servizio all'estero.

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N.B.: - Questa qui sotto è una delle 3 sentenze d'Appello richiamate dalla Corte dei Conti per il Veneto, uguale alle altre.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 202 05/04/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 202 2017 PENSIONI 05/04/2017
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SECONDA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO

composta dai magistrati
dott. Stefano Imperiali Presidente relatore
dott.ssa Angela Silveri Consigliere
dott. Piero Floreani Consigliere
dott. Vincenzo Palomba Consigliere
dott. Antonio Buccarelli Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio sull’appello n. 42544 del registro di segreteria, proposto dai sigg. A. D. F. e G. F., rappresentati e difesi dagli avvocati Massimiliano Fazi e Angelo Lanzilao, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 2022 del 2.11.2010.

Visti gli atti del giudizio;

Uditi all’udienza del 4.4.2017 il relatore e l’avv. Massimiliano Fazi;

Non costituito in giudizio l’appellato;

Ritenuto in
FATTO

1. Con sentenza 2022 del 2.11.2010, la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha respinto il ricorso dei dipendenti del Ministero della Difesa in epigrafe indicati, collocati in quiescenza da data successiva all’entrata in vigore della legge n. 335/1995, proposto per il computo ai fini pensionistici dell’“indennità di funzione/operativa” prevista, dall’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 21.11.1980, per il servizio presso gli Organismi di Informazione e di Sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977.

2. Con appello notificato il 14.12.2011 e depositato il 12.1.2012, è stata lamentata l’“omessa statuizione in ordine alla applicabilità” della legge n. 335/1995 ed è stata pertanto chiesta la riforma della sentenza.

3. All’udienza del 4.4.2017, l’avv. Massimiliano Fazi ha insistito per l’accoglimento dell’appello.

Considerato in
DIRITTO

1. L’art. 13 del d.lgs. n. 503/1992 ha stabilito: “Per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall’INPS, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente all’1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dall’1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto”.

2. Successivamente, l’art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell’art. 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla “determinazione della base contributiva e pensionabile”, per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con “elencazione” che è “tassativa” (art. 12 cit., comma 5), "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro". Ma ha anche precisato che tale innovazione ha “effetto dal 1 gennaio 1996” (comma 9) e che “la retribuzione” definita secondo le nuove disposizioni “concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” (comma 11).

Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1.1996 - ai quali per l’art. 1, commi 12 e 13, della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di un’anzianità contributiva superiore a 18 anni) o in parte (se in possesso di un’anzianità inferiore) il sistema pensionistico “retributivo” - che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.

3. Orbene, l’“indennità di funzione” per i dirigenti e l’“indennità operativa” per il “restante personale”, previste per il servizio presso gli Organismi di Informazione e di Sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977 dall’art. 18, comma 3, del d.P.C.M. n. 8/1980 e dalla stessa norma dichiarate “non pensionabili”, andavano “corrisposte per i periodi di servizio effettivamente prestato e di congedo ordinario”: “determinate con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico-professionale”.

Queste “indennità” non sono comprese nell’ “elencazione” delle “somme” escluse dalla “base imponibile” contenuta nell’art. 12 della legge n. 153/1969 e richiamata dall’art. 2 della legge n. 335/1995. Sono divenute pertanto pensionabili dal 1°.1.1996 e vanno computate nella quota B di pensione.

4. L’appello in esame va in definitiva parzialmente accolto, con riforma della sentenza impugnata. Spetta sui ratei arretrati il maggior importo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, in applicazione dell’art. 5 della legge n. 205/2000 e in conformità ai principi definiti dalla sentenza delle Sezioni Riunite n. 10/QM/2002.

Alcune incertezze giurisprudenziali inducono a compensare le spese di giudizio.

P. Q. M.

la Corte dei conti, Seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello,
accoglie parzialmente l’appello proposto dai sigg. A. D. F. e G. F. e per l’effetto, in riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 2022 del 2.11.2010, dichiara che le indennità previste dall’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 21.11.1980, dagli stessi percepite, vanno computate nella quota B di pensione. Con il maggior importo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sui ratei arretrati. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 aprile 2017.
Il Presidente
Stefano Imperiali
f.to Stefano Imperiali

Depositata in Segreteria il -5 APR. 2017

Il Dirigente
Dott.ssa Sabina Rago
f.to Sabina Rago


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Re: Trattam. econom. da includere in quata A e B

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in allegato la legge 153/1969 dal titolo: " Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale".
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Re: Trattam. econom. da includere in quata A e B

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D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 165

5. Computo dei servizi operativi e riconoscimento dei servizi prestati pre-ruolo.

1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli aumenti del periodo di servizio di cui all'articolo 17, secondo comma, della legge 5 maggio 1976, n. 187 , agli articoli 19, 20, 21 e 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 , all'articolo 8, quinto comma, della legge 27 dicembre 1973, n. 838 , e all'articolo 3, quinto comma, della legge 27 maggio 1977, n. 284 , e successive modificazioni ed integrazioni, computabili ai fini pensionistici, non possono eccedere complessivamente i cinque anni.

2. Per il personale il cui trattamento pensionistico è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335 , gli aumenti del periodo di servizio di cui al comma 1 nel limite massimo di cinque anni complessivi sono validi ai fini della maturazione anticipata dei quaranta anni di anzianità contributiva necessari per l'accesso alla pensione di vecchiaia. In tale caso si applica il coefficiente di trasformazione corrispondente al 57° anno di età indicato nella tabella A allegata alla citata legge n. 335 del 1995 .

3. Gli aumenti dei periodi di servizio nei limiti dei cinque anni massimi stabiliti, sono computabili, a titolo in parte oneroso, anche per periodi di servizio comunque prestato.

4. Il servizio militare comunque prestato, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, è ricongiungibile ai fini del trattamento previdenziale.

5. Per il personale in ferma di leva prolungata o breve l'amministrazione provvede al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali previsti dalla normativa vigente.

6. I periodi pre-ruolo per servizio militare comunque prestato, nonché quelli utili ai fini previdenziali, anche antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono riscattabili ai fini dell'indennità di fine servizio.
panorama
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Re: Trattam. econom. da includere in quata A e B

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Quesito per sapere:
se l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 abbia abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa’.


SEZIONI RIUNITE SENTENZA 2 29/01/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SEZIONI RIUNITE SENTENZA 2 2018 PENSIONI 29/01/2018
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Sentenza n. 2/2018/QM


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE

composta dai seguenti Magistrati:
Dott. Alberto Avoli Presidente
Dott. Antonio Galeota Consigliere relatore
Dott.ssa Chiara Bersani Consigliere
Dott. Piero Floreani Consigliere
Dott.ssa Stefania Fusaro Consigliere
Dott.ssa Anna Bombino Consigliere
Dott.ssa Elena Tomassini Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio su questione di massima, iscritto al n. 572/SR/QM del registro di Segreteria delle Sezioni riunite, deferita dalla Sezione Seconda giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti con ordinanza n. 36/2017, depositata il 22 giugno 2017, pronunciata in esito al giudizio di appello n. 42491, proposto dai signori Marcello Morelli, Orlando Martis, Luigi Grimaldi, Ferruccio Tixi, Osvaldo Toschi, Gianfranco Pacaccio, Benedetto Traversi, Giovanni Boba, Guglielmo Moggio, Mario Maccono, Pietro Franco Bosco, Giancarlo D’Antoni, Eduardo Monda, Francesco Noia, Bruno Garibardi, Romualdo Molinari, Maria Vozzi, Franco Minchiella e Federico Carbonari, rappresentati e difesi dagli avvocati Angelo Lanzilao e Luigi Napolitano, elettivamente domiciliati in Roma, via Attilio Regolo n. 12/d, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata ex lege dalla Avvocatura Generale dello Stato avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio n. 989 del 28 giugno 2011;

Visti gli atti di causa.

uditi, alla pubblica udienza del giorno 15 novembre 2017, con l’assistenza del segretario, Dott.ssa Adele Mei, il relatore, Cons. Antonio Galeota, l’avvocatura dello Stato nella persona dell’avv. Fabrizio Fedeli per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli avvocati Luigi Napolitano e Massimiliano Fazi (per delega dell’avv. Angelo Lanzilao) per gli appellanti nel giudizio “a quo”, nonché il P.G. nella persona del VPG Antongiulio Martina;

FATTO

Con l’ordinanza in epigrafe, la Sezione Seconda giurisdizionale centrale di appello ha deferito alle Sezioni riunite la questione di massima così formulata: ‘se l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 abbia abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa’.

Rileva, in narrativa, il Giudice remittente che i ricorrenti, già dipendenti del Ministero della Difesa ed appartenenti agli organismi di informazione e sicurezza, collocati a riposo posteriormente al 1° gennaio 1996, con atto depositato il 27 dicembre 2011 hanno impugnato la sentenza in epigrafe a mezzo della quale la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha negato loro il diritto alla rideterminazione del trattamento pensionistico con il computo dell’indennità di funzione od operativa percepita in costanza del servizio prestato nella consistenza organica dei ricordati organismi.

Gli appellanti sostengono l’ingiustizia della sentenza in quanto non avrebbe considerato l’applicabilità dell’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335, disposizione che, a differenza dell’art. 18 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 1980, non esclude la pensionabilità delle indennità qui considerate.

Concludono pertanto per l’accertamento del diritto alla riliquidazione del loro trattamento di quiescenza con il riconoscimento a fini pensionistici dell’indennità di funzione o operativa di cui all’art. 18 del DPCM n. 8 del 1980, con la conseguente condanna alle differenze dovute, oltre agli interessi e con il favore delle spese.

Con memoria prodotta per l’udienza, gli interessati hanno confermato le conclusioni già formulate.

L’Amministrazione si è costituita con memoria depositata il 1° giugno 2017, nella quale ha sostenuto l’infondatezza del gravame, osservando, in particolare, che le indennità previste dal ricordato art. 18 costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico-professionale, sottratte all’obbligo di contribuzione e non sono corrisposte con carattere costante, puntualizzando che l’art. 18 del DPCM in questione è disposizione di legge speciale che sopravvive alla posteriore e generale recata dall’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335, concludendo nel merito per l’infondatezza dell’appello e chiedendo comunque la rimessione della causa alle Sezioni riunite della Corte dei conti, stante l’emersione di un contrasto giurisprudenziale in ordine a questione di massima di particolare importanza.

La Sezione remittente ha considerato che nella fattispecie dovesse comunque farsi questione circa l’applicazione della Legge 8 agosto 1995, n. 335, stante il fatto che gli appellanti risultano essere tutti dipendenti statali pensionati posteriormente al 1° gennaio 1996. Come è noto, l’art. 2, nono comma, della predetta legge 335/95 prevede che, con effetto da tale data, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del Decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, si applichi, ai fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, l'articolo 12 della Legge 30 aprile 1969, n. 153 e successive modificazioni ed integrazioni. La retribuzione pensionabile deve pertanto ritenersi composta da tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro, fatte salve le eccezioni espressamente previste con tassativa elencazione (cfr. art. 12, quinto comma). Va, inoltre, tenuto presente che la retribuzione definita dalle disposizioni di cui ai commi nono e decimo concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall'articolo 13, primo comma, lettera b), del Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503. Ne consegue, altresì, che per i dipendenti precedentemente in servizio, soggetti in tutto o in parte al sistema pensionistico retributivo in ragione del possesso di un’anzianità contributiva superiore o inferiore a diciotto anni, le componenti del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti devono essere valorizzate nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili soltanto per effetto della Legge n. 335 del 1995 devono invece essere ricomprese nella quota B.

In ragione di tale percorso argomentativo, la medesima Sezione Seconda di appello, qui remittente, con le sentenze 5 aprile 2017 nn. 202, 204 e 205, in accoglimento degli appelli relativi, ha affermato che le indennità qui considerate, in quanto non comprese nell’elencazione delle somme escluse dalla base pensionabile ai sensi dell’art. 12 della Legge 30 aprile 1969, n. 153, sono divenute pensionabili a far tempo dal 1° gennaio 1996 e computabili nella quota B di pensione.

Diversamente, la Sezione Terza centrale d’appello, pronunciatasi in numerosi casi, ha affermato che la limitazione alla computabilità delle indennità, in virtù del rinvio operato dall’articolo 56 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 alle disposizioni vigenti per i pensionati statali, deriva, comunque, dall’art. 43 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (cfr., tra le tante, 16 marzo 2002 n. 156; 17 marzo 2003 n. 113; 2 maggio 2003 nn. 199, 200, 201, 203 e, soprattutto, 4 agosto 2003 n. 353).

In tali occasioni la Sezione Terza ha tuttavia ritenuto inammissibile o irrilevante la questione circa l’avvenuta abrogazione dell’art. 18 del menzionato D.P.C.M. ad opera della Legge n. 335 del 1995, atteso che nelle relative controversie veniva in rilievo il trattamento pensionistico di soggetti posti in quiescenza anteriormente al 1° gennaio 1996; sicché non si profilerebbe, per il Giudice “a quo”, in tale evenienza, un contrasto effettivo di giurisprudenza, quanto, piuttosto, l’esigenza di affrontare un’incertezza interpretativa più ampia, quella cioè attinente all’abrogazione della norma regolamentare, contenuta nel ricordato art. 18, ad opera dell’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335, ovvero alla sua sopravvivenza in ragione del carattere speciale della norma correlata alla particolarità del settore di pubblica amministrazione interessato (lex posterior generalis non derogat legi priori speciali). La questione invero è già stata prospettata dinanzi alla Sezione Terza, con riguardo soltanto al profilo dell’ipotetica abrogazione, ma non definita espressamente.

Invero, soltanto con la sentenza 4 agosto 2003 n. 353, la Sezione III centrale d’appello, ancorché abbia rilevato l’inammissibilità del motivo concernente l’applicazione del ricordato art. 2, nono comma, ne ha affermato, in via di obiter dictum, l’infondatezza, osservando che per i dipendenti pubblici continua ad applicarsi l’art. 43 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, non modificato dalla norma sopravvenuta.

In ogni caso viene in rilievo, per la Sezione remittente, una questione di massima di obiettiva non agevole soluzione, in relazione all’esigenza unitaria di assicurare uniformità di orientamento e che appare investire una problematica giuridica di particolare importanza, in ragione dell’idoneità della soluzione ad incidere sensibilmente nella regolamentazione dei rapporti d’impiego nel particolare settore coinvolto ed a comportare effetti economici notevoli, anche con riferimento al regime contributivo al quale sarebbero assoggettate le indennità che si considerano.

Attesa la rilevanza ai fini della definizione della causa, ha ritenuto pertanto il Giudice remittente di investire le Sezioni riunite sulla questione di massima in ordine all’avvenuta abrogazione, da parte dell’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 dell’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980, osservando come paiano sussistere i requisiti richiesti dall’art. 114 del Decreto Legislativo 26 agosto 2015, n. 174.

Sul punto hanno prodotto memorie gli appellanti nel giudizio “a quo”, l’Avvocatura dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Procura Generale di questa Corte.

Con memoria depositata il 31.10.2017 gli appellanti hanno chiesto che queste SS.RR. vogliano dirimere la questione di massima deferita dalla Sezione Seconda Giurisdizionale centrale di appello con l’affermazione del principio di diritto secondo il quale l’art. 2, nono comma, della legge 8 agosto 1995, n. 335 ha abrogato l’art. 18 del DPCM n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione e operativa per le ragioni che seguono.

Sul punto gli appellanti affermano che “Se è certamente da riconoscere la specialità della normativa del peculiare settore degli organismi di informazione e sicurezza dell’amministrazione pubblica, è altrettanto certo che non sono parte di tale specialità le disposizioni che regolano il collocamento a riposo e il trattamento di quiescenza e di previdenza del personale dipendente degli organismi stessi. Tale certezza deriva esplicitamente proprio dal più volte citato DPCM n. 8 del 1980, che all’art. 56 stabilisce che il rapporto di impiego cessa secondo le disposizioni vigenti per i dipendenti dello Stato e che alla cessazione dal servizio l’impiegato ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza nei limiti e con le modalità previsti dalle vigenti disposizioni per gli impiegati dello Stato. Il che esclude con tutta evidenza ogni specialità della disciplina del collocamento a riposo e del trattamento di quiescenza e di previdenza del personale dipendente degli organismi di informazione e sicurezza”

Ne deriva, opinano gli appellanti, che la determinazione della base pensionabile per tale categoria di dipendenti pubblici non può che essere riferita all’art. 2, nono comma della legge 335/95 il quale – facendo rinvio all’art. 12 della legge 153/1969 – ha stabilito che la retribuzione pensionabile debba essere composta da tutto ciò che il lavoratore abbia ricevuto dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro in denaro o in natura al lordo di qualsiasi ritenuta, fatte salve le eccezioni espressamente previste con l’elencazione che lo stesso art. 12, quinto comma, definisce tassativa. Ne deriva che l’indennità, definita non pensionabile dal menzionato art. 18 del DPCM 8 del 1980, è divenuta pensionabile a far data dal 1 gennaio 1996 perché non compresa nell’elencazione tassativa delle esclusioni di cui all’art. 12 della legge 153/1969.

Il suesposto costrutto argomentativo troverebbe ulteriore conferma con riferimento alla normativa che disciplinava (antecedentemente alla suesposta e sopravvenuta normativa) la base pensionabile, costituita dall’art. 43 del DPR 1092/1973 e s.m.i. il quale stabiliva, al primo comma, che la base pensionabile fosse costituita dall’ultimo stipendio o retribuzione o indennità, con la specificazione, contenuta nel secondo comma, secondo cui “agli stessi fini, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile, possono essere considerati se la relativa disposizione non ne prevede espressamente la valutazione nella base pensionabile”. Ma la sopravvenuta normativa, così come interpretata dagli appellanti del giudizio “a quo” non consentirebbe l’esclusione delle indennità che ci occupano, anche alla luce del principio della “armonizzazione” dei trattamenti pensionistici di cui alla stessa epigrafe del più volte evocato art. 2 della legge 335/1995.

Secondo l’Avvocatura Generale dello Stato, che si è costituita con memoria del 31.10.2017 e che rappresenta e difende la Presidenza del Consiglio dei Ministri, va negata la pensionabilità della indennità di funzione/operativa per le ragioni che seguono.

In sede di inquadramento normativo generale, ritiene la P.d.C. che i regolamenti riferiti al personale degli OO.I.S. vigenti all’atto della determinazione dei trattamenti pensionistici spettanti agli appellanti, comprendevano due “blocchi” di disposizioni:

a) da un lato, disposizioni particolari, emanate in attuazione di una delega a disciplinare materie anche in deroga alle leggi primarie. In tale contesto si inserisce la norma di cui all’art. 18, commi 2 e 3 del DPCM 8/1980, che, nel prevedere la corresponsione di una indennità di funzione/operativa la connota quale “rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico – professionale” espressamente dichiarato non pensionabile;

b) dall’altro lato, si situano disposizioni vigenti per gli impiegati dello Stato applicabili al personale degli OO.I.S. in quanto espressamente richiamate da norme speciali (art. 56, comma 2 DPCM 8/1980).

Tanto premesso, ritiene la P.d.C. che la tesi degli appellanti, secondo cui le norme contenute nel regolamento 8/1980 sarebbero soggette ad abrogazione per effetto delle norme generali sopravvenute in materia di trattamento previdenziale del p.i., non è condivisibile, anzitutto, in base al generale principio secondo cui lex posterior generalis non derogat legi priori speciali; in secondo luogo, tale tesi, ove accettata, vanificherebbe quanto espressamente stabilito sia dalla legge 801/77 che dalla legge 124/2007 e cioè che il suddetto regolamento potesse disporre del trattamento giuridico ed economico del personale del Comparto anche in deroga alla legge; infatti, ove si accogliesse la tesi degli appellanti, le statuizioni regolamentari sarebbero necessariamente destinate ad essere “assorbite” e caducate per effetto di norme generali valide per il pubblico impiego ed anche, in tesi, per il personale degli OO.I.S.

Viceversa, ritiene la P.d.C. che permangano, nell’ordinamento, esigenze di specialità del Comparto che giustificano, sia in costanza di servizio che anche dopo il collocamento in quiescenza, una disciplina differenziata per il personale degli OO.I.S. (quale, esemplificativamente, quella riguardante le modalità di assunzione, l’osservanza di orari di servizio non predeterminati, la recessività degli interessi personali rispetto alla sede di servizio ed alle mansioni attribuite). Tanto premesso, non si pone, quindi, alcuna questione di una normativa speciale che – a mezzo del DPCM 8/1980 - disciplinerebbe “in pejus” il trattamento pensionistico dell’indennità di funzione/operativa, atteso che non sarebbe ontologicamente possibile confrontare ciò che non può essere confrontato e cioè la normativa speciale del Comparto e quella dettata per la generalità del p.i.

Il regime di specialità nel trattamento del Comparto, del resto, si rivelerebbe anche in materia pensionistica, sia in ordine alle Autorità competenti alla erogazione delle pensioni (qui il Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza), sia per i presupposti per il collocamento in quiescenza, sia per l’adeguamento della stessa e la perequazione annuale.

In sostanza, la speciale indennità in tanto si giustifica in quanto concorre a ristorare il dipendente pubblico in servizio di quelle “limitazioni” che il peculiare regime normativo associa allo status di appartenente agli OO.I.S. che viene meno all’atto del collocamento in quiescenza.

D’altra parte, a smentire, a giudizio della P.d.C., che l’attuale, complessivo, trattamento pensionistico degli appellanti sia definibile “in pejus” rispetto agli altri dipendenti pubblici è la esistenza di altre disposizioni che concedono condizioni di favore agi appartenenti agli OO.I.S; si riferisce la P.d.C. al meccanismo di maggiorazione di 1/5 del servizio prestato nel Comparto, che si riverbera anche sulla misura del trattamento pensionistico; al trattamento pensionistico di privilegio, istituto che risulta abrogato per la generalità degli impiegati civili dello Stato ex art. 6 d.l. 201/2011, conv. nella l. 214/2011); trattasi di istituti che hanno trovato concreta applicazione in ragione di specifiche previsioni presenti nel regolamento speciale in deroga a quanto previsto per a generalità degli impiegati civili dello Stato.

Per tali motivi, conclusivamente, deve escludersi, per la P.d.C., che la legge generale (l. 335/95, art. 2, comma 9) possa aver avuto l’intenzione di abrogare la norma speciale anteriore o che la loro coesistenza sia incompatibile; non va, infine trascurata la considerazione secondo cui una interpretazione come quella caldeggiata dagli appellanti si riverbererebbe negativamente sui conti previdenziali e sul più generale equilibrio di bilancio.

Il P.G., con memoria depositata il 3.11.2017, ha chiesto, in via principale, di dichiarare inammissibile la presente questione di massima e, in subordine, di dare soluzione negativa al quesito proposto per le ragioni che seguono.

In rito, espone il P.G. che “, come evidenziato con l’ordinanza di rimessione, con riferimento alla questione oggetto di deferimento non è dato riscontrare, allo stato, un contrasto orizzontale in grado di appello. A quanto consta, le uniche pronunce che hanno affrontato la questione, sono le pronunce emesse dalla stessa Sezione rimettente di cui è menzione nell’ordinanza di deferimento”.

E pur vero, infatti, che sia ben possibile adire queste SS.RR. anche in assenza di un contrasto orizzontale in grado d’appello ma ciò può avvenire solo in presenza di una questione interpretativa complessa, riferita a disposizioni che non hanno ancora avuto applicazione, e tuttavia suscettibili di generalizzata ed estesa applicabilità.

Se ne desume che, in difetto di un contrasto se non reale, quanto meno virtuale, di orientamenti, il deferimento della questione di massima possa ammettersi solo quando, sulla questione, non sia intervenuta alcuna pronuncia.

Di converso, quando, invece, le norme abbiano ricevuto applicazione, sicché sulla questione siano già intervenute pronunce che, in ragione della loro univocità, esprimano un determinato orientamento, per cui non sussista, in atto, un contrasto orizzontale in grado di appello, deve ritenersi che l’ammissibilità del deferimento della questione di massima postuli la sussistenza, quanto meno, di un contrasto virtuale.

Sicché, se in presenza di uno o più pronunce emesse da una Sezione d’appello che, in relazione alla loro univocità, esprimano un determinato orientamento su una questione, può ammettersi che, pur in assenza di un contrasto orizzontale in atto, altra Sezione d’appello, chiamata a pronunciarsi sulla medesima questione, nutrendo dubbi sulla correttezza della soluzione già adottata (e, pertanto, in presenza di un contrasto che potremmo definire solo “virtuale”), possa sollevare una questione di massima, evitando, così, che il contrasto da “virtuale” si trasformi in “reale”, di converso, non appare ammissibile, per il P.G., il deferimento della questione di massima da parte della stessa Sezione d’appello, già in precedenza pronunciatasi sulla questione, quando sulla stessa non siano sopravvenute pronunce che siano andate di contrario avviso, a nulla rilevando che la rimessione sia stata disposta in accoglimento della richiesta formulata in tal senso da una delle parti interessata ad avversare l’orientamento già espresso dalla stessa Sezione.

Sicché, avuto riguardo al caso di specie, deve ritenersi preclusiva del deferimento della questione di massima la circostanza che la stessa Sezione rimettente si sia già pronunciata sulla questione con le summenzionate sentenze nn. 202, 204 e 205 del 2017.

Come vieppiù palesato all’evidenza dal rilievo che l’ordinanza di deferimento non ha esposto le ragioni per le quali, re melius perpensa, la questione già decisa – non importa se in termini condivisibili o meno - con le summenzionate pronunce sarebbe ora divenuta “di obiettiva non agevole soluzione”, né si è data ragione della dedotta “esigenza unitaria di assicurare uniformità di orientamento”, a fronte di pronunce, allo stato, emesse solo in termini uniformi dalla stessa Sezione rimettente.

Per la P.G. la questione, altresì, è da considerarsi inammissibile sotto un diverso ed ulteriore profilo.

Ed invero, rileva il P.G che, a termini dell’art. 2, decimo comma, L. 335/1995, la base e contributiva e pensionabile di cui al precedente nono comma dello stesso articolo, viene in rilievo solo per l’eventuale eccedenza rispetto alla retribuzione e gli altri emolumenti espressamente inclusi nella base pensionabile ex D.P.R. 1092/1973 con la maggiorazione ivi prevista, la qual cosa comporta che la questione deferita potrebbe considerarsi rilevante solo se e in quanto fosse positivamente accertata la sussistenza della suddetta eccedenza.

Ai fini della valutazione in ordine alla rilevanza della questione, la Sezione rimettente avrebbe dovuto, quindi, farsi carico di accertare se, avuto riguardo ai trattamenti pensionistici oggetto della controversia a quo, l’ipotetica inclusione nella base pensionabile ex art. 2, nono comma, L. 335/1995 dell’indennità di funzione/operativa, avrebbe evidenziato, a termini del successivo decimo comma, una “eccedenza”, nei sensi innanzi esposti, che costituisce presupposto imprescindibile perché possa ritenersi che il quesito sottoposto all’esame dell’organo nomofilattico sia suscettibile di assumere pratico rilievo nel giudizio a quo.

Considerato che, nell’ordinanza di rimessione non si rinviene menzione di alcuna valutazione in tal senso, evidentemente inammissibile, anche sotto tale diverso aspetto, è la deferita questione di massima.

In subordine, chiede il P.G. che alla questione di massima debba darsi risposta negativa, in primo luogo, per il principio generalissimo, valido anche nella presente fattispecie, desumibile da una corretta applicazione delle disposizioni stabilite dall’art. 15 delle preleggi, secondo cui “lex posterior generalis non derogati legi priori speciali”, non sussistendo alcuna abrogazione da parte dell’art. 2, comma 9 della legge 335/95 rispetto all’art. 18 del DPCM 8/1980 che, per l’appunto, è caratterizzato da spiccati profili di specialità. Non sussistono, poi, gli eccezionali casi in cui la Suprema Corte ha ritenuto possibile la abrogazione di una norma speciale da parte di una successiva norma generale. La disposizione di cui al più volte menzionato art. 2, comma 9 l. 335/1995, infatti, non ha carattere assoluto, prevedendo che con un decreto del MEF poi emanato il 9.1.1996 – si definissero “i criteri per l’inclusione nelle predette basi delle indennità e assegni comunque denominati corrisposti ai dipendenti in servizio all’estero” ed enucleando, al successivo comma 16, una ulteriore categoria di soggetti bisognevoli di una particolare disciplina nella materia previdenziale.

Deve quindi escludersi che l’art. 18, comma 3 DPCM 8/1980 possa ritenersi implicitamente abrogato, per incompatibilità, dall’art. 2, comma 9 della l. 335/95, considerazione valida a fortiori quando, come nella specie, il regolamento sia stato “autorizzato” a disciplinare la materia anche in deroga ad ogni disposizione vigente (anche di carattere primario).

Infine, è il caso di rilevare, per il P.G., che l’art. 7 della legge 801/77 non è stato abrogato dall’art. 2, comma 9 citato, ma al pari dell’intera legge che lo conteneva, da parte della l. 124/2007 che, però, ha fatto salve le norme dei decreti attuativi che “interessano il contenzioso del personale in quiescenza… ai fini della tutela giurisdizionale di diritti e interessi”, con ciò ritenendo di far salve e assicurare l’ultrattività delle disposizioni in materia pensionistica dettate dal DPCM 8/1980.

Nella odierna pubblica udienza le parti hanno ulteriormente argomentato in ordine a quanto già espresso nei rispettivi atti scritti, ai quali si sono comunque richiamate.

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Fine Prima parte
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Re: Trattam. econom. da includere in quata A e B

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Inizio Seconda parte
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DIRITTO

1) Il Collegio deve, preliminarmente, valutare l’ammissibilità e la rilevanza nel giudizio a quo della questione di massima, messe in dubbio dal P.G. nella propria memoria di costituzione.

L’art. 1, comma 7, del d.l. n. 453 del 15.11.1993, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 19 del 14.01.1994, come integrato dal comma secondo dell’articolo 42 della legge 18 giugno 2009 n. 69 disponeva che “Le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del Procuratore generale”.

La disposizione non prevede quale presupposto della rimessione alle Sezioni riunite l’esistenza di “contrasti giurisprudenziali”, innovando in tal senso rispetto alla disciplina dell’istituto dettata, anteriormente alla normativa di riforma del 1993/1994, dall’art. 4 della l. n.161 del 21.03.1953 (recante “Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti”).

L’art. 42, comma 2, della l. n. 69 del 18.06.2009 ha aggiunto al predetto comma 7 dell’art. 1, in fine, i seguenti periodi: “Il Presidente della Corte dei conti può disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione in diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza. Se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio”.

La evocata disposizione ha ripristinato il potere del Presidente di interpellare le Sezioni riunite, previsto dalla citata l. n. 161 del 1953, al riguardo delle “questioni di massima di particolare importanza”, estendendola anche a quelle interessate da contrasti giurisprudenziali.

Il Collegio non ha motivi per discostarsi dall’approdo giurisprudenziale raggiunto dalle Sezioni Riunite, secondo il quale il deferimento della questione di massima ai sensi del comma settimo è possibile in presenza di:

- un contrasto orizzontale tra sezioni di appello, che svolgono “un primo essenziale ruolo nomofilattico di armonizzazione e di consolidamento interpretativo del diritto vivente” (SS.RR. n. 10/QM/2011; nello stesso senso id n. 1/QM/2010 e n. 8/QM/2010) e che si configura in presenza di “una pluralità di pronunce rese da giudici diversi in un periodo di tempo più o meno ampio”, che integri un contrasto “tra orientamenti” (SS.RR. n. 10/QM/2011 cit.);

- una questione di massima in senso lato.

Queste SS.RR., in numerose occasioni, hanno delineato gli elementi che integrano la seconda ipotesi (sent. nn. 19/QM/2016 del 15.09.2016 e 22/QM/2016 del 22.09.2016).

Si tratta di questioni che presentano “difficoltà interpretative di particolare rilevanza per la necessità di risolvere un punto di diritto specificamente controverso” (SS.RR. n. 22/QM/1998 del 30.09.2008), anche in assenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto dedotto (SS.RR. n. 16/QM/1998 del 20.07.1998).

Le questioni di massima devono investire “problematiche giuridiche di particolare importanza ed obiettiva complessità”; la difficoltà interpretativa “può presentarsi sin dalle prime applicazioni di una norma”, e ”ancor prima del formarsi di un qualsivoglia indirizzo giurisprudenziale”, o “in ipotesi di difformità giurisprudenziale in primo grado” (SS. RR. n. 5/QM/2004 del 31.03.2004; nello stesso senso id. 4/QM/2010 del 23.04.2010; id. n. 2/2010/QM dell’8.03.2010; id. n. 13/QM/2011 del 03.08.2011).

Il problema di diritto “di non poco momento” (SS.RR. n. 8/QM/2015 del 19.03.2015) può presentare “profili di generalizzata applicazione ad un numero potenzialmente indefinito di vertenze”, imponendo “pertanto una soluzione uniforme, al fine di evitare inammissibili differenziazioni tra vicende processuali identiche” (SS.RR. n. 4/QM/2010 cit.; nello stesso senso id. n. 13/QM/2011 cit.; id. n. 1/QM/2012 del 13.01.2012).

Del resto, l’approdo giurisprudenziale cui sono pervenute queste Sezioni Riunite può dirsi recepito dal d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016, recante il codice di giustizia contabile, il quale, agli articoli 11, comma 3, e 114, ha previsto che le Sezioni riunite in sede giurisdizionale decidono … “sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali d'appello, dal Presidente della Corte dei conti, ovvero a richiesta del procuratore generale”, deferimento che, ai sensi del successivo art. 114, può avvenire “d'ufficio o anche a seguito di istanza formulata dal procuratore generale o da ciascuna delle parti del giudizio d'impugnazione”.

Anche nella vigenza del nuovo codice di giustizia contabile, resta quindi fermo che il presupposto per la rimessione della questione di massima da parte delle Sezioni di appello non è solo il rilevante contrasto fra le sezioni medesime, bensì anche la prospettazione di una questione connotata da oggettiva particolare complessità e da specifica valenza innovativa, questione di per sé idonea ad essere riferita ad una ampia platea di giudizi.

Tanto si desume dall’interpretazione letterale e funzionale del primo comma dell’articolo 114, là dove non si rinviene alcun riferimento al contrasto.

Considerato conclusivamente quanto esposto in narrativa e quanto rappresentato dalla Sezione remittente, il Collegio ritiene che la questione all’esame sia connotata vuoi dalla rilevanza, data l’incidenza pregiudiziale della risoluzione della medesima sulla decisione nel merito del giudizio, pendente presso la Sezione seconda centrale, vuoi dalla ammissibilità, per le ragioni sopra evidenziate.

Ne deriva, alla luce della suesposta giurisprudenza nomofilattica di queste Sezioni Riunite, che il quesito sottoposto alla attenzione del Collegio è da giudicarsi ammissibile.

Infatti la problematica giuridica, ancorché non abbia dato luogo ad un consolidato contrasto di orientamenti giurisprudenziali in appello alla data del deferimento, come riconosciuto nella stessa ordinanza di rimessione:

- concerne una questione riguardante un trattamento pensionistico di una categoria di impiegati pubblici che, pur disciplinato da tempo, presenta, nella sua attuale conformazione, come sottoposta alla Sezione remittente, profili di novità anche rispetto alla giurisprudenza delle Sezioni di appello (e, in particolare, della Sezione III di questa Corte) più risalente nel tempo;

- è suscettibile di applicazione ad un numero indeterminato di casi;

- si presenta complessa, tenuto conto che sulla materia risultano possibili - o anzi, già elaborate, vedasi sentt. 200, 202 203 e 204 della Sez. II di appello - soluzioni ermeneutiche (e conseguenti provvedimenti applicativi), opposte (a vantaggio o a detrimento dei soggetti beneficiari), ove si condivida l’uno o l’altro disegno sistematico elaborato dalle parti in controversia.

2) Può ora accedersi allo scrutinio nel merito della questione sottoposta.

Ai fini di una matura decisione, appare indispensabile analizzare la normativa di riferimento.

L’art. 7, terzo comma, della L. 24/10/1977, n. 801 (avente riguardo alla “Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato”) dopo aver previsto, al primo comma, che il personale di ciascuno dei Servizi istituiti dagli articoli 4 (e cioè il SISMI - Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) e 6 (e cioè il SISDE - Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) e del Comitato di cui all'articolo 3 (e cioè del CESIS - Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza) “è costituito da dipendenti civili e militari dello Stato che vengono trasferiti, con il loro consenso, alle esclusive dipendenze dei Servizi stessi, nonché da personale assunto direttamente…..”, dispone, al secondo comma, che “la consistenza dell'organico del Comitato di cui all'articolo 3 e di ciascun Servizio, i casi e le modalità relativi al rientro dei dipendenti pubblici nelle amministrazioni di originaria appartenenza, il trattamento giuridico-economico e i casi e le modalità di trasferimento ad altra amministrazione dello Stato del personale assunto direttamente, sono stabiliti, anche in deroga ad ogni disposizione vigente, rispettivamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro per la difesa e dal Ministro per l'interno su parere conforme del Comitato interministeriale di cui all'articolo 2 e di concerto con il Ministro per il tesoro. Il trattamento giuridico ed economico del personale del Comitato di cui all'articolo 3 e dei Servizi di cui agli articoli 4 e 6, non può comunque essere inferiore a quello delle qualifiche corrispondenti del pubblico impiego”.

L'art. 7 ha quindi operato una delegificazione della materia, devolvendo, in via permanente, al Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero al Ministro della Difesa od al Ministro dell'Interno, su parere del Comitato interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza, di concerto con il Ministro del Tesoro, la relativa potestà normativa, esercitabile anche in deroga alle disposizioni legislative vigenti, in considerazione della specialità del complesso ordinamentale, che trae origine dalla peculiarità delle attribuzioni proprie degli Organismi.

In attuazione delle suddette disposizioni normative di cui all’art. 7 della legge n. 801/1977, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri della Difesa e dell’Interno, di concerto con il Ministro del Tesoro, n.8 del 1980 del 21.09.1980, del quale, ai fini che qui rilevano, vanno considerati, in particolare, come versati in atti, l’art.18, terzo e quarto comma, che contempla l’indennità di funzione e l’indennità operativa, l’art. 25, rubricato “competenze in materia di pensione” e l’art. 56, rubricato “collocamento a riposo e trattamento”.

La successiva legge del 03.08.2007, n. 124 ha riordinato il sistema di informazione per la sicurezza e la disciplina del segreto di Stato ed ha disposto, all’art. 44, primo comma, l’abrogazione della L. 801/1977, stabilendo che “sono altresì abrogate tutte le disposizioni interne e regolamentari in contrasto o comunque non compatibili” con la stessa legge “tranne le norme dei decreti attuativi che interessano il contenzioso del personale in quiescenza dei servizi di informazione per la sicurezza ai fini della tutela giurisdizionale di diritti e interessi”.

L’art. 21 (rubricato “contingente speciale del personale”) della L. 124/2007, dopo aver previsto al primo comma che “con apposito regolamento è determinato il contingente speciale del personale addetto al DIS e ai servizi di informazione per la sicurezza, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri”, dispone al successivo secondo comma che “il regolamento disciplina altresì, anche in deroga alle vigenti disposizioni di legge e nel rispetto dei criteri di cui alla presente legge, l'ordinamento e il reclutamento del personale garantendone l'unitarietà della gestione, il relativo trattamento economico e previdenziale, nonché il regime di pubblicità del regolamento stesso della cit. L. 124/2007”.

Il trattamento pensionistico del personale dei servizi di informazione è disciplinato dall’art. 56, secondo comma, del cit. D.P.C.M. 8/1980 che prevede che “alla cessazione dal servizio l’impiegato ha diritto al trattamento di quiescenza e di previdenza nei limiti e con le modalità previste dalle vigenti disposizioni per gli impiegati dello Stato”.

In proposito, si osserva che la disciplina del trattamento pensionistico degli impiegati statali, è stata interessata dagli interventi di riforma degli anni ’90 nel senso, fra l’altro, della progressiva armonizzazione dei regimi pensionistici rispettivamente previsti per i dipendenti pubblici e privati.

L’art. 2 (rubricato “armonizzazione”) della L. 08/08/1995, n. 335, di “riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”, ha disposto che “con effetto dal 1° gennaio 1996, per i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, si applica, ai fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, l'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni” che nel testo vigente all’epoca, prevedeva (sub specie di novella degli artt. 1 e 2 del D.L. 01.08.1945, n. 692, recepiti negli artt. 27 e 28 del t.u. assegni familiari di cui al D.P.R. 30.05.1955, n. 797 e 29 del t.u. delle disposizioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui al D.P.R. 30.06.1965, n. 1124), che, per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro, con le sole esclusioni delle somme corrisposte per i titoli contemplati con elencazione di carattere tassativo, sub nn. da 1 a 7 e sub lettere da a) ad f) dello stesso articolo.

Il richiamato art. 12 della L. 153/1969 è stato, poi, modificato dal D.Lgs. 02.09.1997, n. 314 che, in attuazione della delega al Governo, contemplata dall’art. 3 della legge 23.12.1996, n.662, ha unificato, in via di principio, le basi imponibili fiscale e previdenziale.

Per effetto della riforma da ultimo menzionata sono utili a pensione, a decorrere dal 1° gennaio 1998, gli emolumenti di cui agli artt. 49 e 51 (ex artt. 46 e 48) del T.U.I.R. approvato con D.P.R. 22.12.1986, n. 917 e successive modificazioni e integrazioni; in particolare l’art. 51 cit. prevede, al primo comma, l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente e, quindi, la totale imponibilità di tutto ciò che il lavoratore consegue in relazione al rapporto di lavoro (da assumersi, a fini contributivi, al lordo di qualsiasi contributo e trattenuta), con conseguente superamento, ai fini dell’assoggettamento a contribuzione di un emolumento, della necessità di individuare la sussistenza o meno del nesso sinallagmatico tra retribuzione e prestazione di lavoro; i successivi commi dell’art. 51 cit. contemplano, in deroga al principio dell’onnicomprensività, una serie di esenzioni con previsioni valide anche a fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, con riferimento alla quale si aggiungono, inoltre, le ulteriori esenzioni previste dall’art. 12 del D.P.R. n. 153/1969.

Per effetto dell’estensione, ad opera dell’art.2, nono comma, L. 335/1995, alla generalità dei dipendenti pubblici della disciplina di cui all’art. 12 L. 153/1969 (sia secondo il regime precedente alla riforma di cui al cit. D.Lgs. 314/1997 sia secondo la disciplina dallo stesso introdotta), ai fini della determinazione del relativo trattamento pensionistico sono, in via di principio, computabili, salve le previste eccezioni, non solo la retribuzione ma anche gli elementi accessori del relativo trattamento economico, antecedentemente esclusi dal calcolo della pensione, secondo la disciplina di cui all’art. 43 D.P.R. 1092/1973.

Ai sensi dell’art. 1, tredicesimo comma, L.335/1995, per i lavoratori che – come gli appellanti nel giudizio a quo - alla data del 31 dicembre 1995 potessero far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, il trattamento pensionistico è interamente liquidato secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo.

L’art. 18, terzo comma, D.P.C.M. n. 8 del 1980 dopo aver previsto che al personale che riveste la qualifica di Direttore di Divisione, vice direttore di Divisione e Direttore di Sezione, in relazione al livello di dirigenza affidatogli compete un indennità di funzione; al restante personale compete un’indennità operativa, in relazione ai compiti svolti”, dispone che “tali indennità, non pensionabili, sono corrisposte per i periodi di servizio effettivamente prestato e di congedo ordinario” e che “la loro corresponsione viene sospesa per i periodi di aspettativa e di congedo straordinario, tranne nei casi in cui l’assenza sia determinata da ricovero ospedaliero e fino al momento della guarigione, da invalidità temporanea conseguente ad infortunio riportato nell’adempimento degli obblighi di servizio, da malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio nonché nei casi di assenza per ricovero in stabilimenti o luoghi di cura per attendere alle cure balneo - termali, idropiniche, inalatorie ed altre complementari previste per le patologie riconosciute dipendenti da causa di servizio”.

Il successivo quarto comma prevede che “tali indennità, determinate con provvedimento del P.C.M., sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico professionale.

Una parte di essa viene accantonata per costituire un fondo previdenziale”.

La previsione della relativa corresponsione oltre che per i periodi di servizio effettivamente prestato, anche nei periodi di congedo ordinario e di assenza determinata da ricovero ospedaliero, da invalidità temporanea etc., non contraddice la natura di rimborso forfettario delle indennità de quibus, dovendosi ritenere che la “ratio” sottesa alle stesse, ricorra anche nei suddetti periodi di assenza dal servizio, in ragione della permanenza, anche in detti periodi, in capo al personale degli organismi di informazione e di sicurezza, degli obblighi derivanti da tale particolare “status”.

L’art. 18, terzo comma, D.P.C.M. 8/1980 è inequivoco nell’escludere la pensionabilità dell’indennità di funzione e dell’indennità operativa.

Gli appellanti insistono nel sottolineare che le indennità de quibus non rientrano in alcuna delle esclusioni dalla base pensionabile tassativamente previste, a termini dell'art. 12 della citata legge n. 153, sia nel testo vigente alla data del 01.01.1996, sia nel testo conseguente alle modifiche di cui all’art. 6 del D.Lgs. 02.09.1997, n. 314.

3) Alla stregua delle coordinate normative sopra sommariamente esposte, è convincimento di queste Sezioni Riunite che l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 non abbia abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa’.

Il tema in diritto che si pone è anzitutto, in termini formali, quello dell’abrogazione di una norma pregressa da parte di una norma sopravvenuta per incompatibilità, tacita ovvero implicita.

Va in proposito rammentato che a norma dell'art. 15 delle Disposizioni preliminari al Codice civile, vi è abrogazione inespressa di una legge quando vi è incompatibilità fra nuove e precedenti leggi (abrogazione tacita), ovvero quando la nuova regola l’«l’intera materia» già regolata dalla anteriore (abrogazione implicita): per cui detta incompatibilità sussiste se vi sia una contraddizione tale da rendere impossibile la contemporanea applicazione delle due leggi in comparazione, sì che dall'applicazione ed osservanza della nuova derivi necessariamente la disapplicazione o l'inosservanza dell'altra (ex multis, Cass., I, 21 febbraio 2001, n. 2502). Si rammenta che la giurisprudenza ha convenuto che il principio lex posterior generalis non derogat priori speciali - che ha la sua ragione nella migliore e più adeguata aderenza della norma speciale alle caratteristiche della fattispecie oggetto della sua previsione - non può valere, e deve quindi cedere alla regola dell'applicazione della legge successiva, allorquando dalla lettera e dal contenuto di detta legge si evinca la volontà di abrogare la legge speciale anteriore o allorquando la discordanza tra le due disposizioni sia tale da rendere inconcepibile la coesistenza fra la normativa speciale anteriore e quella generale successiva (es. Cass., 20 aprile 1995, n. 4420, Cass. 13.1.2012, n. 392, Cass.20.6.2012, n. 10127) e il canone interpretativo di cui si tratta, del resto non specificamente positivizzato nell’ordinamento giuridico, non corrisponde quindi ad un principio superiore ed inderogabile, ma è, tuttavia, un criterio orientativo di temperamento del primato che in omaggio al criterio cronologico occorre riconoscere alla lex posterior.

Ritiene questo Collegio che tale incompatibilità inespressa in fattispecie non sussista.

In proposito, premesso che la disciplina di cui al D.P.C.M. 8/1980 è caratterizzata da evidenti e non contestati connotati di specialità, resi del resto palesi dalla stessa fonte della potestà regolamentare (e cioè dall’art. 7, secondo comma della L. 801/1977), con cui il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri della Difesa, dell’Interno e del Tesoro sono stati autorizzati ad emanare un apposito regolamento "anche in deroga ad ogni disposizione vigente", si osserva come debba, innanzi tutto, escludersi, alla stregua di quanto esposto, l’ipotesi dell’abrogazione per incompatibilità, giusto il suesposto principio “lex posterior generalis non derogat priori speciali”, che, in questa fattispecie, si giustifica per la migliore aderenza della norma speciale alle caratteristiche intrinseche oggetto della sua previsione.

Tali caratteristiche intrinseche si radicano, come opportunamente fatto presente dalla Amministrazione di appartenenza degli appellanti, nella “atipicità” del rapporto di pubblico impiego qui considerato.

Invero, il caso di specie (ordinamento del personale degli organismi di informazione per la sicurezza della Repubblica) rappresenta il massimo di specialità nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, come è desumibile dal regime di eccezionalità e di “deroghe” alla disciplina generale, di cui sono prove non esaustive le modalità di assunzione (nessuno degli appellanti, secondo quanto asserito dalla ex Amministrazione di appartenenza, è stato assunto negli OO.I.S. per concorso), con attribuzione di una posizione di inquadramento non predeterminata; l’obbligo di fornire la prestazione lavorativa secondo orari di lavoro non rigorosamente predeterminati, essendo a tal fine stabilito soltanto un orario minimo di servizio, con obbligo di estensione fino al cessare delle esigenze operative; la recessività degli interessi personali e familiari rispetto alla sede di servizio ed alle mansioni attribuite, la possibilità che il rapporto di lavoro termini in qualunque momento per esigenze di servizio, anche in assenza di un comportamento negativo del dipendente.

Né la presenza di “deroghe”, rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, può essere di per sé ritenuta costituire una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di imparzialità e buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.).

Da quanto esposto, consegue che “la natura eccezionale delle funzioni svolte dagli appartenenti agli organismi di informazione, il fatto che le stesse afferiscono alla indipendenza e sicurezza della stessa Repubblica, alla tutela dei suoi principi democratici, al conseguente mantenimento delle garanzie costituzionali per i cittadini, non può che costituire, per un verso, fondamento di una lata discrezionalità nelle previsioni di organizzazione dei servizi, anche con riferimento allo status giuridico ed economico dei soggetti ad essi appartenenti; per altro verso, costituisce parametro interpretativo delle disposizioni concretamente adottate, potendosi le stesse ritenere illegittime nella misura in cui risultino violative di fondamentali diritti dell’uomo e di garanzie costituzionali inalienabili, ovvero appaiono di totale irragionevolezza” (così Cons. di Stato, sent. 5422/2013).

Aggiungasi che non può condividersi l’interpretazione assolutizzante operata dagli appellanti del giudizio “a quo”, dell’art. 56 del DPCM 8/1980 che richiama la applicabilità alla categoria di dipendenti pubblici qui esaminata delle norme vigenti per gli impiegati civili dello Stato, in quanto tale interpretazione appare decontestualizzata dal complessivo articolato normativo (che prevede, per l’appunto, una assai ampia pluralità di norme speciali, quali – oltre a quelle sopra evidenziate - quelle relative, ad esempio, ex art. 25 alla competenza del Presidente del Consiglio nella determinazione della pensione, ex art. 19 agli effetti del servizio prestato, ex art. 30 alla rendicontazione della relativa spesa, ex artt. 52 e 53 ai presupposti per il diritto a pensione), da cui emerge, come già precedentemente dimostrato, uno spiccato profilo di specialità della complessiva normativa disciplinante lo status di tale particolare categoria di dipendenti pubblici.

Orbene, proprio il corpus normativo sopra sommariamente evidenziato, senza dubbio incidente in maniera profonda anche sul più complessivo sistema di vita degli appartenenti agli OO.I.S., giustifica l’attribuzione agli stessi di una indennità di funzione o operativa, che si atteggia ad indennizzo di ogni prestazione di impiego, a copertura dei disagi e dei pericoli connessi alla attività svolta, nonché a rimborso forfettario e omnicomprensivo di qualsivoglia altro indeterminato onere sostenuto (o eventualmente sostenibile) per l’espletamento dei compiti istituzionali.

Tali rischi, disagi e oneri, per definizione, vengono meno al momento di cessazione del servizio attivo e, contestualmente, viene meno la necessità della corresponsione della menzionata indennità che continua, coerentemente a quanto già statuito dall’art. 18 più volte menzionato, a non essere pensionabile, non essendo stata abrogata, per i suesposti motivi, dall’art. 2, comma 9 della legge 335/1995.

4) D’altronde, a conforme conclusione porta anche un ulteriore ragionamento che percorre un diverso iter argomentativo.

Va, infatti, considerato che il D.P.C.M. 8/1980 è stato emanato sulla base di una potestà regolamentare attribuita dalla disposizione di cui all’art. 7, secondo comma, L. 801/1977, di tal che per ipotizzarne l’abrogazione nella parte in cui prevede l’esclusione della pensionabilità dell’indennità di funzione/operativa occorrerebbe postulare la (parziale) abrogazione tacita dell’art. 7, secondo comma, L. 801/1977 ad opera dell’art. 2, nono comma, L. 335/1995.

Abrogazione che deve assolutamente escludersi, sia per le considerazioni sopra esposte, che hanno trovato la propria scaturigine nel brocardo secondo cui “lex posterior generalis non drogat priori speciali”, sia in base alla ulteriore osservazione secondo cui nel disporre, all’art. 44, l’abrogazione della L. 801/1977, e di “tutte le disposizioni interne e regolamentari in contrasto o, comunque, non compatibili”, la legge 124/2007 (e non già la legge 335/1995) ha espressamente eccettuato “le norme dei decreti attuativi che interessano il contenzioso del personale in quiescenza dei servizi di informazione per la sicurezza ai fini della tutela giurisdizionale di diritti e interessi”, con cui il legislatore ha inteso fare salva l’ultrattività delle disposizioni in materia pensionistica dettate dal DPCM 8/1980; non senza puntualizzare, infine, che disposizioni successive (D.P.C.M. nn. 1 del 2008 e 1 del 2011) hanno ulteriormente confermato la non pensionabilità delle indennità qui considerate.

5) Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, al quesito “se l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 abbia abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa” va data risposta negativa.

Non vi è luogo a provvedere per le spese processuali.

P.Q.M.

la Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale:

- ritenuta l’ammissibilità della questione di massima deferita;

- ritenuta la rilevanza della questione nel giudizio a quo con riferimento al giudizio di appello promosso;

- richiamate le precisazioni di cui in motivazione;

afferma

il seguente principio di diritto: “l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 non ha abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa”

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di cui all’art. 116, comma 3, del d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 15 novembre 2017.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Antonio Galeota) (Alberto Avoli)


Depositata in Segreteria in data 29 gennaio 2018


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Re: Trattam. econom. da includere in quata A e B

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La Corte, richiama la pronuncia delle Sezione Riunite di cui alla sentenza n. 2/2018/QM e da me sopra postata, rigettando il ricorso.

1) - calcolo dell’indennità di funzione (per i dirigenti) e operativa (per i non dirigenti)

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VENETO SENTENZA 32 28/02/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 32 2018 PENSIONI 28/02/2018
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N° 32/2018


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Nella pubblica udienza del 21 febbraio 2018 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio iscritto al n. 30525 del registro di segreteria, proposto da B. F. (c.f. OMISSIS), P. G. (c.f. OMISSIS), A. G. (c.f. OMISSIS), N. L. (c.f. OMISSIS), P. N. (c.f. OMISSIS), A. B. (c.f. OMISSIS), D. F. B. (c.f. OMISSIS), P. G. (c.f. OMISSIS), B. E. (c.f. OMISSIS), F. M. (c.f. OMISSIS), I. G. (c.f. OMISSIS), D.M. G. (c.f. OMISSIS),
Tutti elettivamente domiciliati in Roma, Via Attilio Regolo 12/d presso lo studio dell’Avv. Angelo Lanzilao e Massimiliano Fazi che li rappresentano e difendono;

Contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata ex lege dall’Avvocatura dello Stato, riconoscimento del diritto dei ricorrenti alla riliquidazione del trattamento di quiescenza mediante il calcolo dell’ “indennità di funzione” o “operativa” di cui all’art. 18 del DPCM n. 8 del 1980, corrisposta in servizio e non valutata in quiescenza dall’Amministrazione, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle differenze dovute e non corrisposte, oltre interessi;

ESAMINATI il ricorso ed i documenti con esso depositati in causa nonché l’atto e i documenti fatti pervenire dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Sentito all’odierna udienza l’Avv. G. Tessarin in sostituzione dell’Avv. Massimiliano Fazi come da delega depositata in udienza, nessuno per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 14 novembre 2017 ed iscritto al n. 30525 del registro di segreteria, i ricorrenti, premesso di aver prestato servizio, con diverse qualifiche, presso gli Organismi di Informazione e Sicurezza, di cui alla L. 801 del 1977 e di essere oggi collocati in congedo, lamentano che il trattamento pensionistico sia stato loro liquidato senza tener conto dell’indennità di Funzione/operativa percepita in servizio.

Ciò in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per integrare il trattamento di quiescenza con il computo dell’indennità di cui sopra, ostandovi l’art. 18, comma 3 del D.P.C.M. 8/80 che ne esclude espressamente la pensionabilità.

A giudizio dei ricorrenti tale prospettazione non appare condivisibile, ponendosi in contrasto con il principio secondo cui il parametro base del trattamento pensionistico non può che essere la retribuzione in tutte le sue componenti, diversamente profilandosi il contrasto con le disposizioni costituzionali (art. 3, 36 1^ co e 38 2^ co Cost.).

Tale interpretazione troverebbe conforto nella legge 335/1995 (art. 2, co 8) che, integrando e modificando l’art. 43 del D.P.R. 1092/73, ha superato ed abrogato l’art. 18 succitato che, in ogni caso, non potrebbe trovare applicazione in quanto violerebbe la riserva assoluta di legge in materia pensionistica.

In data 5 dicembre 2017 perveniva una “relazione illustrativa” da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la quale quest’ultima si è costituita in giudizio a mezzo di proprio dirigente, contestando nel merito la fondatezza delle pretese dei ricorrenti e formulando eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso “in quanto proposto nella forma del ricorso collettivo in assenza dei prescritti presupposti” e di parziale inammissibilità nei confronti dei ricorrenti D. F. B. e I. G. per violazione del principio del ne bis in idem, avendo questi ultimi già proposto identica domanda, respinta, con formazione del relativo giudicato in data anteriore alla proposizione del presente giudizio.

In data 8 febbraio 2018 perveniva nota integrativa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la quale veniva richiamata la sentenza n. 2/2018/QM con la quale la Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, ha affermato il principio di diritto secondo cui “l’art.2, nono comma, della legge 335/95 non ha abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui non prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa”, confermando le conclusioni già formulate.

All’udienza odierna, nessuno presente per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il procuratore dei ricorrenti ha contestato la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere stato proposto nelle forme del ricorso collettivo in difetto dei presupposti, essendo le questioni dedotte le medesime in relazione a tutti i ricorrenti e in merito all’eccezione di parziale inammissibilità per violazione del ne bis in idem si è rimesso al Giudicante. Nel merito, il procuratore ha ribadito le ragioni poste alla base del ricorso chiedendone l’accoglimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità avanzate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In primo luogo, viene eccepita l’inammissibilità del ricorso per carenza di motivi in relazione alla posizione di sei ricorrenti, collocati a riposo in data successiva al 10 settembre 2008, data di entrata in vigore del DPCM 1/2008 di attuazione dell’art. 21 della legge 3.8.2007 n. 124, che ha espressamente abrogato la legge 801/1977 (di cui il DPCM 8/80 invocato dai ricorrenti era, a sua volta, attuazione).

La questione, diversamente da quanto ritenuto dall’eccepiente, non si colloca nell’alveo dell’ammissibilità del ricorso: pur avendo i ricorrenti formulato il motivo di ricorso con riferimento all’art. 18 del DPCM 8/80, hanno chiaramente delineato la propria domanda come di accertamento del “diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza mediante il calcolo dell’indennità di funzione (per i dirigenti) e operativa (per i non dirigenti) di cui all’art. 18 del DPCM n. 8 del 1980, corrisposta in servizio e non valutata in quiescenza”.

La questione relativa alla computabilità o meno di detta indennità (indipendentemente dalla identificazione della norma in base alla quale è stata corrisposta e che prevede la non computabilità a fini pensionistici) è questione attinente al merito della domanda e con esso viene decisa.

L’eccezione di inammissibilità, pertanto, è infondata e va respinta.

In secondo luogo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri rileva che il ricorso, stante la oggettiva diversità delle situazioni facenti capo ai singoli ricorrenti, non potrebbe essere proposto nella forma del ricorso collettivo.

L’eccezione è infondata, coincidendo petitum e causa petendi per tutti i ricorrenti, irrilevante essendo il fatto che taluni di essi, allorchè in servizio, rivestissero la qualifica di dirigenti e talaltri no: la disposizione che attribuisce l’indennità (di funzione per gli uni, operativa per gli altri) e ne prevede la non pensionabilità è, infatti, la medesima, come rilevato dal procuratore dei ricorrenti in udienza.

Infine, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha rappresentato che due degli odierni ricorrenti, D.F.B. e I. G. hanno già presentato innanzi a questa Sezione Giurisdizionale ricorso formulando la medesima domanda.

I rispettivi ricorsi sono stati entrambi respinti -vengono prodotte, infatti, le relative sentenze- e su di essi si è formato il giudicato. Il ricorso, in parte de qua, sarebbe dunque inammissibile per violazione del giudicato e del principio del ne bis in idem.

Alla luce della documentazione prodotta e delle risultanze della Sezione l’eccezione è fondata e va accolta, con dichiarazione di parziale inammissibilità del ricorso in relazione alla posizione dei due suddetti ricorrenti.

Venendo al merito della domanda formulata dai ricorrenti, la questione sottoposta al vaglio di questa Sezione ha ad oggetto il riconoscimento del diritto alla computabilità ai fini della liquidazione del trattamento pensionistico dell’indennità di funzione (per i dirigenti) o operativa (per i non dirigenti) prevista inizialmente dal DPCM n. 8 del 1980 (e successivamente dal DPCM n. 9 del 2008 e dal DPCM 1/2011, come ricordato dalla convenuta, ma si tratta del medesimo istituto: il succedersi delle diverse disposizioni regolatrici non muta l’oggetto della domanda. Come è noto, poi, le norme abrogate continuano a trovare applicazione per i casi sorti nella loro vigenza).

Si tratta di questione già plurime volte sottoposta alla Corte dei Conti e sulla quale si è formata ampia giurisprudenza.

Da ultimo si sono pronunciate le Sezione Riunite in sede giurisdizionale con la sentenza n. 2/2018/QM.

Le Sezioni Riunite con la pronuncia richiamata, dopo aver ripercorso ed ampiamente analizzato la normativa di riferimento, ha esaminato la natura dell’indennità di cui si discute, riconoscendone la natura di rimborso forfetario (art. 18 quarto comma: “tali indennità, determinate con provvedimento del P.C.M., sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico professionale.

Una parte di essa viene accantonata per costituire un fondo previdenziale”), non rilevando che essa sia riconosciuta anche per periodi di assenza dovuta a malattia o infortunio per causa di servizio, “dovendosi ritenere che la “ratio” sottesa alle stesse, ricorra anche nei suddetti periodi di assenza dal servizio, in ragione della permanenza, anche in detti periodi, in capo al personale degli organismi di informazione e di sicurezza, degli obblighi derivanti da tale particolare “status”.

Contrariamente a quanto sostenuto anche dagli odierni ricorrenti, le Sezioni Riunite, alla stregua della ricostruzione normativa operata, sono giunte ad affermare l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 non abbia abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa: “Va in proposito rammentato che a norma dell'art. 15 delle Disposizioni preliminari al Codice civile, vi è abrogazione inespressa di una legge quando vi è incompatibilità fra nuove e precedenti leggi (abrogazione tacita), ovvero quando la nuova regola l’«l’intera materia» già regolata dalla anteriore (abrogazione implicita): per cui detta incompatibilità sussiste se vi sia una contraddizione tale da rendere impossibile la contemporanea applicazione delle due leggi in comparazione, sì che dall'applicazione ed osservanza della nuova derivi necessariamente la disapplicazione o l'inosservanza dell'altra (ex multis, Cass., I, 21 febbraio 2001, n. 2502). Si rammenta che la giurisprudenza ha convenuto che il principio lex posterior generalis non derogat priori speciali - che ha la sua ragione nella migliore e più adeguata aderenza della norma speciale alle caratteristiche della fattispecie oggetto della sua previsione - non può valere, e deve quindi cedere alla regola dell'applicazione della legge successiva, allorquando dalla lettera e dal contenuto di detta legge si evinca la volontà di abrogare la legge speciale anteriore o allorquando la discordanza tra le due disposizioni sia tale da rendere inconcepibile la coesistenza fra la normativa speciale anteriore e quella generale successiva (es. Cass., 20 aprile 1995, n. 4420, Cass. 13.1.2012, n. 392, Cass.20.6.2012, n. 10127) e il canone interpretativo di cui si tratta, del resto non specificamente positivizzato nell’ordinamento giuridico, non corrisponde quindi ad un principio superiore ed inderogabile, ma è, tuttavia, un criterio orientativo di temperamento del primato che in omaggio al criterio cronologico occorre riconoscere alla lex posterior. Ritiene questo Collegio che tale incompatibilità inespressa in fattispecie non sussista.”

Non vi è dubbio, infatti che la disciplina di cui al D.P.C.M. 8/1980 sia caratterizzata da “evidenti e non contestati connotati di specialità, resi del resto palesi dalla stessa fonte della potestà regolamentare (e cioè dall’art. 7, secondo comma della L. 801/1977)”, anche in ragione della “atipicità” del rapporto di pubblico impiego qui considerato, “né la presenza di “deroghe”, rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, può essere di per sé ritenuta costituire una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di imparzialità e buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.)”.

Le Sezioni Riunite, inoltre, hanno escluso la rilevanza del richiamo all’art. 56 del DPCM 8/1980, che rinvia alle norme vigenti per gli impiegati civili dello Stato, “in quanto tale interpretazione appare decontestualizzata dal complessivo articolato normativo (che prevede, per l’appunto, una assai ampia pluralità di norme speciali, quali – oltre a quelle sopra evidenziate - quelle relative, ad esempio, ex art. 25 alla competenza del Presidente del Consiglio nella determinazione della pensione, ex art. 19 agli effetti del servizio prestato, ex art. 30 alla rendicontazione della relativa spesa, ex artt. 52 e 53 ai presupposti per il diritto a pensione), da cui emerge, come già precedentemente dimostrato, uno spiccato profilo di specialità della complessiva normativa disciplinante lo status di tale particolare categoria di dipendenti pubblici.”, specialità che giustifica, tra l’altro, proprio “l’attribuzione agli stessi di una indennità di funzione o operativa, che si atteggia ad indennizzo di ogni prestazione di impiego, a copertura dei disagi e dei pericoli connessi alla attività svolta, nonché a rimborso forfettario e omnicomprensivo di qualsivoglia altro indeterminato onere sostenuto (o eventualmente sostenibile) per l’espletamento dei compiti istituzionali”.

Infine, le Sezioni Riunite osservano che “il D.P.C.M. 8/1980 è stato emanato sulla base di una potestà regolamentare attribuita dalla disposizione di cui all’art. 7, secondo comma, L. 801/1977, di tal che per ipotizzarne l’abrogazione nella parte in cui prevede l’esclusione della pensionabilità dell’indennità di funzione/operativa occorrerebbe postulare la (parziale) abrogazione tacita dell’art. 7, secondo comma, L. 801/1977 ad opera dell’art. 2, nono comma, L. 335/1995. Abrogazione che deve assolutamente escludersi, sia per le considerazioni sopra esposte, che hanno trovato la propria scaturigine nel brocardo secondo cui “lex posterior generalis non drogat priori speciali”, sia in base alla ulteriore osservazione secondo cui nel disporre, all’art. 44, l’abrogazione della L. 801/1977, e di “tutte le disposizioni interne e regolamentari in contrasto o, comunque, non compatibili”, la legge 124/2007 (e non già la legge 335/1995) ha espressamente eccettuato “le norme dei decreti attuativi che interessano il contenzioso del personale in quiescenza dei servizi di informazione per la sicurezza ai fini della tutela giurisdizionale di diritti e interessi”, con cui il legislatore ha inteso fare salva l’ultrattività delle disposizioni in materia pensionistica dettate dal DPCM 8/1980; non senza puntualizzare, infine, che disposizioni successive (D.P.C.M. nn. 1 del 2008 e 1 del 2011) hanno ulteriormente confermato la non pensionabilità delle indennità qui considerate.”

Concludendo il proprio percorso argomentativo le Sezioni Riunite hanno formulato il seguente principio di diritto: “l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 non ha abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa”, principio al quale questo Giudicante è tenuto a conformarsi, non essendo stati rappresentati, peraltro, nel caso di specie profili ed elementi di giudizio che si discostino da quelli presi in esame dall’indicata pronuncia.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto in quanto infondato.

Stante la parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese (art. 31, comma 3, c.g.c.).

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sul ricorso iscritto al n. 30525 del registro di segreteria
-dichiara l’inammissibilità del ricorso con riferimento a D.F.B. e I. G.;

-respinge le ulteriori eccezioni preliminari di parte convenuta;

-respinge, nel merito, il ricorso;

-compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio all’esito dell’udienza pubblica del 21 febbraio 2018.
Il Giudice Unico delle Pensioni
F.to Primo Ref. Daniela Alberghini

Il G.U.P., ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del D.Lgs 196/03, dispone che, a cura della Segreteria della Sezione, venga apposta l’annotazione di cui al co 3 del medesimo art. 52 nei riguardi dei ricorrenti.

Il G.U.P.
F.to Primo Ref. Daniela Alberghini



Depositata in Segreteria il 28/02/2018


Il Funzionario Preposto
F.to Nadia Tonolo

In esecuzione del provvedimento del G.U.P. ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.


Venezia, 28/02/2018


Il Funzionario preposto
F.to Nadia Tonolo
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Re: Trattam. econom. da includere in quata A e B

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Fa seguito al post del 07 gennaio 2018 ( sentenza n. 137/2017, del 17 novembre 2017, della C.d.C. Veneto ).

La CdC sezione 3^ d'Appello da ragione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

1) - computo nel trattamento pensionistico dell’indennità di funzione ed operativa ex art. 18, comma 3, D.P.C.M. n. 8/1980, percepita in servizio ed espressamente qualificata “non pensionabile” dalla citata norma.

La CdC d'appello precisa:

2) - Con sentenza n 2/QM/2018, il Supremo Consesso ha dato risposta negativa al quesito.

3) - Il Collegio condivide integralmente la citata pronuncia ed il principio di diritto ivi espresso dall’organo di nomofilachia di non “pensionabilità” dell’indennità di funzione di cui al d.P.C.M. n.8 del 21.09.1980.
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Sezione TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA

Anno 2019 Numero 200 Pubblicazione 24/10/2019

Sent. 200/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello

composta dai seguenti magistrati
dr. Angelo Canale, Presidente
dr.ssa Giuseppa Maneggio, Consigliere
dr.ssa Giuseppina Maio, Consigliere relatore
dr.ssa Patrizia Ferrari, Consigliere
dr. Giovanni Comite, Consigliere

SENTENZA

nel giudizio di appello iscritto al n. 53580 del ruolo generale, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Via dei Portoghesi 12, Roma;

contro
i sig.ri XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX, XX XX e XX XX, rappresentati e difesi dall’Avv. Massimiliano Fazi, unitamente all’Avv. Luca Di Raimondo per i sig.ri XX XX, XX XX, XX XX, e XX XX; tutti elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Massimiliano Fazi in Roma, alla Via Attilio Regolo, n. 12D;

per l’annullamento della sentenza, n. 137/2017, depositata il 17 novembre 2017, della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto;

Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 16 ottobre 2019, con l’assistenza del segretario, sig.ra Maria Elisabetta Sfrecola, il relatore, dr.ssa Giuseppina Maio, l’Avv. Massimiliano Fazi in rappresentanza di parte appellante e l’Avv. Luca di Raimondo nell’interesse dei sig.ri XX XX, XX XX, XX XX, XX XX;

Ritenuto in
FATTO

1. Con la sentenza n. 137/2017, la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, ha accolto il ricorso collettivo proposto da ex dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri inquadrati negli Organismi di informazione e sicurezza, volto ad ottenere il computo nel trattamento pensionistico dell’indennità di funzione ed operativa ex art. 18, comma 3, D.P.C.M. n. 8/1980, percepita in servizio ed espressamente qualificata “non pensionabile” dalla citata norma.

In particolare, la Sezione, richiamando la disposizione dell'art. 18 del DPCM n. 8/1980, sia le generali disposizioni di cui all'art. 43 DPR 1092/73, applicabile al personale dei Servizi, in forza del rinvio di cui all'art. 56 del medesimo DPCM, ha evidenziato che sul tema del giudizio si è pronunciata la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze nn. 202/17, 204/17 e 205/17 della Corte dei Conti, ad esse rinviando espressamente per relationem al fine di integrare la motivazione della pronuncia.

2. Avverso la sentenza ha proposto appello la Presidenza del consiglio deducendo vari motivi di gravame.

2.1. Con riferimento alla posizione degli appellati XX-vedova XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX, XX - vedova XX, XX e XX: ha dedotto la violazione e falsa applicazione del DPCM n. 8/1980, attuativo della Legge n. 801/1977, nonché violazione dell’art. 21 della Legge 3 agosto 2007, n. 124, dell’art. 103, comma 1, lett. d) DPCM n. 1/2008 e dell’art. 105, comma 1, lett. d), del DPCM 23 marzo 2011, n. 1.

Ha, preliminarmente, evidenziato che il Giudice di primo grado, recependo acriticamente talune recenti decisioni d'appello, non ha considerato che tali pronunce sono del tutto inconferenti rispetto alla posizione di alcuni dei ricorrenti che sono stati collocati in quiescenza dopo il 10 settembre 2008, data di entrata in vigore del DPCM n. 1/2008, di attuazione dell'art. 21 della Legge 3 agosto 2007, n. 124 (che ha espressamente abrogato la Legge n. 801/1977).

2.2. Violazione dell’art. 2 della Legge 8/8/1995 n. 335, dell’art. 12 della Legge n. 153/1969, con riferimento agli artt. 1- 43 DPR 29/12/1973 n. 1092 e all’art. 18 DPCM 8/1980 previsto dalla Legge n. 801/1977, nonché all’art. 103 del DPCM n. 1/2008 e all’art. 105 del DPCM n. 1/2011, previsi dalla L. n. 124/2007.

Ha sostenuto “che l'indennità di funzione, disciplinata dalla normativa speciale relativa al personale degli OO.I.S. (oggi ai sensi del DPCM n. 1/2011), proprio in ragione della sua peculiarietà di rimborso forfettario e non pensionabilità è oggetto di una specifica ed autonoma disciplina, sicché è da escludere che la Legge generale (n. 335/1995, art. 2, comma 9) possa aver avuto l’intenzione di abrogare la norma speciale anteriore, o che la loro coesistenza sia “incompatibile”; al contrario, sarebbe errato affermare l’opposto, ossia che il Legislatore del 1995 abbia voluto far confluire nella base pensionabile del personale degli OO.I.S. un emolumento che non vi è mai stato inserito e che, per la sua natura, non determina alcuna contribuzione previdenziale.”.

2.3. Ha poi evidenziato sulla materia oggetto di controversia si sono espresse le Sezioni Riunite della Corte dei Conti con sentenza n. 2/2018/QM del 29 gennaio 2018, che ha in ampia misura condiviso le considerazioni difensive svolte dall’Amministrazione.

3. Si sono costituiti in giudizio tutte le parti appellate con unica memoria depositata in data 13 marzo 2019, sostenendo che la fondatezza del ricorso che ha portato in primo grado alla decisione di accoglimento in quanto le indennità non sia venuta meno anche alla luce dell’intervento delle SSRR in quanto l’art. 2, comma 9, della legge 335/1995 ha riconosciuto, indistintamente, per tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione e, soprattutto, per i dipendenti statali, che il parametro base del trattamento stipendiale e pensionistico non potrebbe che essere la retribuzione in tutte le sue componenti, comprensiva di tutte le somme corrisposte, in costanza di servizio, in misura continuativa e fissa a titolo non occasionale; che la norma, fa espresso rinvio all'art. 12 della l. n. 153/1969, secondo cui “si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro [...] l’elencazione degli elementi esclusi dal calcolo della retribuzione imponibile ha carattere tassativo” e che, pertanto, sarebbe conseguenza logica, l’applicabilità di tale disposizione al caso di specie, costituendo jus superveniens idoneo a integrare la rigida prescrizione di cui all'art. 43 d.P.R. n. 1092/1973, e a determinare l’abrogazione dell'art. 8 d.P.C.M. n. 8/1980, che escludeva la pensionabilità delle predette indennità.

Ha pertanto chiesto il rigetto dell’appello ed in via gradata, la rimessione della questione alla Corte costituzionale, in quanto l’ art. 18 d.P.C.M. 8/1980, alla luce della sopravvenuta pronuncia resa dall’organo di nomofilachia (SS.RR. n. 2/QM/2018), presenterebbe profili di illegittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 36 e 38 Cost. per violazione del principio di ragionevolezza (1° e II° co. art. 3) e di uguglianza e parità di trattamento economico (riferimento artt. 36 e 3) nonché di eccesso di delega (art. 76 Cost.) in quanto viene ad incidere anche attraverso lo strumento del decreto delegato su una materia (trattamento di quiescenza del personale 00.I.S. collocato a riposo) coperto da riserva assoluta di legge generale dello Stato.

In data 15 ottobre 2019 è stata depositata dai sig.ri A. T.., A. S.., F. M.., R. F. S. C.. memoria di costituzione di nuovo difensore nella persona dell’Avv. Luca di Raimondo;

4. All’udienza del 16 ottobre 2019, dopo l’esposizione introduttiva del relatore, le parti presenti si sono riportate agli atti scritti e alle richieste conclusive ivi rassegnate.

In particolare l’Avv. Luca di Raimondo ha depositato, previo consenso di parte avversa, note di udienza e l’ordinanza n. 188/2019 con cui la Sezione giurisdizionale per la regione Lazio in caso analogo, previa istanza di parte ricorrente ha disposto l’acquisizione di varia documentazione.

Ha, poi evidenziato che sussiste una speciale disciplina per il trattamento pensionistico del personale dei servizi di informazione e sicurezza, confermato anche dai d.p.c.m. n. 1/2008 e n. 1/2011 e dalle relative circolari applicative, delle quali chiede, in via istruttoria, l’acquisizione. Ha altresì sostenuto che la natura retributiva dell’indennità di funzione sarebbe, confermata dal relativo regime fiscale.

La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

Considerato in
DIRITTO

L’appello merita accoglimento.

A tale riguardo, va preliminarmente rilevato che la questione riguarda l’applicabilità in fattispecie della legge 335/95 con riferimento agli artt. 1- 43 DPR 29.12.1973 n.1092”.

Ebbene, la questione in diritto, dedotta quale motivo d’appello, è stata oggetto di specifico deferimento alle Sezioni Riunite della Corte chiamate a pronunciarsi sul seguente quesito: “se l’art. 2, nono comma, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 abbia abrogato l’art. 18 del D.P.C.M. n. 8 del 1980 nella parte in cui prevede la non pensionabilità dell’indennità di funzione od operativa”.

Con sentenza n 2/QM/2018, il Supremo Consesso ha dato risposta negativa al quesito. Premettendo che “la disciplina di cui al D.P.C.M. 8/1980 è caratterizzata da evidenti e non contestati connotati di specialità, resi del resto palesi dalla stessa fonte della potestà regolamentare (e cioè dall’art. 7, secondo comma della L. 801/1977), con cui il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri della Difesa, dell’Interno e del Tesoro sono stati autorizzati ad emanare un apposito regolamento "anche in deroga ad ogni disposizione vigente”, il giudice nomofilattico ha evidenziato “come debba, innanzi tutto, escludersi, alla stregua di quanto esposto, l’ipotesi dell’abrogazione per incompatibilità, giusto il suesposto principio “lex posterior generalis non derogat priori speciali”, che, in questa fattispecie, si giustifica per la migliore aderenza della norma speciale alle caratteristiche intrinseche oggetto della sua previsione Tali caratteristiche intrinseche si radicano, come opportunamente fatto presente dalla Amministrazione di appartenenza degli appellanti, nella “atipicità” del rapporto di pubblico impiego qui considerato. Invero, il caso di specie (ordinamento del personale degli organismi di informazione per la sicurezza della Repubblica) rappresenta il massimo di specialità nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, come è desumibile dal regime di eccezionalità e di “deroghe” alla disciplina generale, di cui sono prove non esaustive le modalità di assunzione (nessuno degli appellanti, secondo quanto asserito dalla ex Amministrazione di appartenenza, è stato assunto negli OO.I.S. per concorso), con attribuzione di una posizione di inquadramento non predeterminata; l’obbligo di fornire la prestazione lavorativa secondo orari di lavoro non rigorosamente predeterminati, essendo a tal fine stabilito soltanto un orario minimo di servizio, con obbligo di estensione fino al cessare delle esigenze operative; la recessività degli interessi personali e familiari rispetto alla sede di servizio ed alle mansioni attribuite, la possibilità che il rapporto di lavoro termini in qualunque momento per esigenze di servizio, anche in assenza di un comportamento negativo del dipendente.”.

Il giudice nomofilattico ha altresì evidenziato i motivi della espressa “non pensionabilità” della indennità in questione proprio in ragione della sua stessa ratio giustificatrice. Ed invero, “… proprio il corpus normativo sopra sommariamente evidenziato, senza dubbio incidente in maniera profonda anche sul più complessivo sistema di vita degli appartenenti agli OO.I.S., giustifica l’attribuzione agli stessi di una indennità di funzione o operativa, che si atteggia ad indennizzo di ogni prestazione di impiego, a copertura dei disagi e dei pericoli connessi alla attività svolta, nonché a rimborso forfettario e omnicomprensivo di qualsivoglia altro indeterminato onere sostenuto (o eventualmente sostenibile) per l’espletamento dei compiti istituzionali. Tali rischi, disagi e oneri, per definizione, vengono meno al momento di cessazione del servizio attivo e, contestualmente, viene meno la necessità della corresponsione della menzionata indennità che continua, coerentemente a quanto già statuito dall’art. 18 più volte menzionato a non essere pensionabile, non essendo stata abrogata, per i suesposti motivi, dall’art. 2, comma 9 della legge 335/1995..”.

Il Collegio condivide integralmente la citata pronuncia ed il principio di diritto ivi espresso dall’organo di nomofilachia di non “pensionabilità” dell’indennità di funzione di cui al d.P.C.M. n.8 del 21.09.1980

Quanto alla questione di legittimità costituzionale “dell’impianto normativo così come delineato dall’interpretazione delle SSRR che porta ad escludere la pensionabilità dell’indennità in questione, con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.” sollevata in via subordinata dalla difesa degli appellati nella memoria di costituzione, ritiene la Sezione che la stessa per come formulata, rasenti l’inammissibilità, avendo omesso di individuare e specificare il coacervo di norme oggetto di censura, oltre ad essere priva di fondamento.

Osserva, il Collegio che già le Sezioni Riunite nella sentenza citata hanno escluso che “la presenza di “deroghe”, rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, può costituire una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di imparzialità e buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.)”.

D’altronde, il principio di uguaglianza è violato quando la legge, senza un ragionevole motivo, disciplini in modo diverso situazioni eguali (sent. Corte Cost. n. 15 del 1960), “poiché l’art. 3 Cost. vieta disparità di trattamento di situazioni simili e discriminazioni irragionevoli” (sent. Corte Cost. n. 96 del 1980). Pertanto, “si ha violazione dell’art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondono situazioni non sostanzialmente identiche” (sent. Corte Cost. n. 340 del 2004).

Ciò, stante l’indubbia specialità che connota il comparto in esame rispetto alle altre categorie del pubblico impiego, giustifica una disciplina differenziata per il personale degli OO.I.S., sia in costanza di servizio che dopo il collocamento in quiescenza.

Né pare ravvisabile l’eccepita violazione degli artt. 36-38 della Costituzione atteso che la Consulta ha più volte ribadito che non è ravvisabile un’automatica ed integrale “coincidenza tra il livello delle pensioni e l’ultima retribuzione, poiché è riservata al legislatore una sfera di discrezionalità per l’attuazione anche di tale principio”; anzi, ha sottolineato che la garanzia ex art. 38 Cost. non è “agganciata” a quella dell’art. 36 Cost. “in modo indefettibile e strettamente proporzionale” (v. C. Cost. n. 173/2016; n.250/2017).

La delibazione di questo giudice non può estendersi, poi, alle ulteriori doglianze, non veicolate in appello, ma dedotte dal nuovo difensore di alcuni degli appellanti, che ha ampliato la prospettazione impugnatoria formulando ulteriori argomentazioni (v. note depositate all’odierna udienza) estranee al motivo d’appello che, come noto, circoscrive il petitum devolutum in questo grado di giudizio (la cui natura è quella della revisio prioris istantiae e non già di un novum iudicium, cfr. Cass. SU n. 27199/2017).

Inconferente è anche la richiesta di acquisizione di ulteriore documentazione che non è stata oggetto, (ne tantomeno ne è stata richiesta l’acquisizione) di esame da parte del primo giudice. Conclusivamente, l’appello è fondato e va accolto, con assorbimento di ogni altra questione pregiudiziale o preliminare.

La novità della questione e della recente pronuncia delle Sezioni riunite in materia, giustifica la compensazione delle spese del grado ex art. 31, comma 3 CGC.

Nulla per le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Terza Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, annulla la sentenza della Sezione giurisdizionale per la regione Veneto n. 137/2017 depositata il 17 novembre 2017.

Compensa integralmente tra le parti le spese.

Manda alla Segreteria, per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso, in Roma, nelle camera di consiglio del 16 ottobre 2019
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Dr.ssa. Giuseppina Maio F.to Dr. Angelo Canale


Depositata in Segreteria il giorno 24 ottobre 2019


Il Dirigente
F.to Dott. Salvatore Antonio Sardella
Il Collegio ravvisati gli estremi per l'applicazione dell'art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (Codice in materia di protezione di dati personali), dispone che, a cura della Segreteria di questa Sezione, venga apposta l'annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52 nei riguardi del ricorrente.
IL PRESIDENTE
F.to Dott. Angelo Canale
Depositata in Segreteria il giorno 24 ottobre 2019
Il Dirigente
F.to Dott. Salvatore Antonio Sardella
Rispondi