Stabilimenti militari di pena ed altro correlato

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Stabilimenti militari di pena ed altro correlato

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Il qui sotto Parere del CdS non è definitivo.

Lo posto per quanti ne vogliono sapere di più.
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01/08/2014 201401137 Interlocutorio C Adunanza di Sezione 24/07/2014


Numero 02580/2014 e data 01/08/2014 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza di Sezione del 24 luglio 2014

NUMERO AFFARE 01137/2014

OGGETTO:
Ministero della difesa ufficio legislativo.

Parere sullo schema di regolamento ministeriale recante “Norme interne di servizio per gli stabilimenti militari di pena”.

LA SEZIONE
Vista la relazione n. 24027 del 06 giugno 2014 con il quale il Ministero della difesa ufficio legislativo ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e uditi i relatori Damiano Nocilla ed Elio Toscano;

Premesso:

Riferisce l’Amministrazione che, per quanto riguarda l’ordinamento penitenziario militare, le relative disposizioni normative di rango primario possono rinvenirsi negli articoli da 76 a 86 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, recante “Codice dell’ordinamento militare”, e quelle di rango secondario nell’art. 531 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (recante “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”). “Il completamento della disciplina è demandato a un decreto ministeriale, ai sensi dell’art. 77 del citato d.lgs. n. 66, il tutto entro la cornice di legittimità definita dal precedente art. 76, per cui ‘se non è espressamente o diversamente previsto dalle disposizioni del presente codice o da altre norme penali militari, si applicano le disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune, sostituite, se necessario, le autorità competenti ordinarie con quelle militari’ ”.

Poiché il decreto ministeriale previsto dal citato art. 77 non è mai stato, sinora, adottato (la normativa previgente al d.lgs. n. 66 (del 2010, infatti, non lo prevedeva) “il funzionamento interno delle ‘carceri giudiziarie militari’ (come erano definitive nel regio decreto n. 306 del 1943) era regolato dal direttive impartite dai rispettivi comandanti (attuazione del potere ordinativo gerarchico-militare, perché comunque le carceri militari erano, e sono sempre rimaste, reparti militari, seppure sui generis), per prassi sottoposte all’approvazione del Ministro della difesa. Da ultimo, sette ‘Regolamenti interni di servizio’, uno per ogni ‘stabilimento militare di pena’ allora esistente (nuova denominazione delle ‘Carceri giudiziarie miliari’), furono approvati dal Ministro il 31 agosto 1990 e poi sostituiti, il 16 novembre 2005, da un unico ‘Regolamento interno di servizio per le carceri militari’ ”. Il provvedimento ha natura regolamentare in senso tecnico: è infatti indubbio che la disciplina ivi recata comporti l’esplicitazione di precetti che impattano direttamente nella sfera giuridica di una platea, non determinabile a priori, di soggetti estranei alla pubblica amministrazione (ad esempio, i parenti che si recano a colloquio con i detenuti o i giornalisti che chiedono di intervistarli). Il decreto reca norme giuridiche erga omnes, e conseguentemente trova applicazione la procedura prevista all’art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

L’Amministrazione precisa inoltre che:

A – In primo luogo, si segnala una peculiarità dell’ordinamento penitenziario militare connessa con lo status giuridico dei detenuti. “Gli stabilimenti militari penitenziari sono nati, storicamente, per custodire il personale militare in espiazione di pena militare detentiva, oppure soggetto a carcerazione preventiva per reati militari. Dal 1981 tuttavia, ai sensi dell’art. 79 della legge n 121, gli appartenenti alle forze di polizia individuate dall’art. 16 della medesima legge possono fare richiesta di scontare negli stabilimenti militari penitenziari anche le pene comuni (irrogate per reati comuni o anche, quando previsto, per reati militari) nonché le misure cautelari detentive applicate per reati comuni. Infine, dal 2010, ai sensi degli artt. 80 e 82 del d.lgs. n 66 del 2010, anche i militari possono chiedere di scontare presso gli stabilimenti militari penitenziari le pene comuni, e devono comunque esservi custoditi (a prescindere da una loro richiesta nel senso) quando sono soggetti a misura cautelare detentiva per reati comuni La popolazione carceraria degli stabilimenti militari penitenziari, quindi, è oggi variegata, comprendendo sia militari che civili (solo se appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile), in stato di custodia cautelare oppure in espiazione di pena e, in questo secondo caso, condannati a una pena militare oppure comune”;

B – “E’ frequente la riproposizione di norme di legge, e in particolare la ripetizione (spesso letterale) di disposizioni recate, per l’ordinamento penitenziario comune, dalla legge n. 354 del 1975 (oltre che dal d.P.R. n. 230 del 2000)” di “un’esigenza derivante dalla peculiarità degli stabilimenti militari penitenziari: per effetto dei congiunto operare del principio di specificità dell’ordinamento militare, da un lato, e del rinvio all’ordinamento penitenziario comune operato dal già citato art. 76 del d.lgs. n 66 del 2010, dall’altro, talvolta l’operatore potrebbe ‘, trovarsi in dubbio in ordine all’effettiva applicabilità di una specifica disposizione. Ne consegue – ad avviso dell’Amministrazione - che è preferibile, per esigenze di certezza del diritto, sciogliere il preventivamente dubbio, con un richiamo positivo nel presente regolamento, tutte le volte in cui appare possibile”.

L’Amministrazione spiega inoltre le ragioni per le quali il provvedimento normativo in esame non dà attuazione, agli artt. 85, comma 2 e 6, comma 3 del d.lgs. n. 66 del 2010, ai sensi dei quali con il decreto del Ministro della difesa, previsto dall’art. 77 del medesimo decreto legislativo, devono essere disciplinati – rispettivamente - la misura della retribuzione dei detenuti militari e il funzionamento della Cassa militare delle ammende.

Secondo l’Amministrazione “questa scelta è dettata da precise e stringenti esigenze di omogeneità contenutistica. Infatti, il presente regolamento stabilisce le norme per il ‘funzionamento interno’ degli stabilimenti militari di pena (come precisato all’art. 2), un ambito da cui è palesemente avulso sia l’aspetto retributivo che il funzionamento di un organo esterno agli stabilimenti stessi (la Cassa, infatti, è istituita presso il Comando che è sovraordinato agli stabilimenti di pena, ai sensi del citato art. 86). Del resto, neanche il “Regolamento” del 2005, che qui si intende novellare, faceva alcun riferimento alla retribuzione o alla Cassa .

Si ritiene quindi che la misura delle retribuzioni e il funzionamento della Cassa dovranno essere disciplinati con altro e successivo provvedimento, che – peraltro - si connoterà – sempre ad avviso dell’Amministrazione - come mero atto di alta amministrazione, anziché come regolamento. Infatti, la disciplina di tali materie non comporta l’emanazione di norme erga omnes, concernendo esse profili finanziari che non ineriscono direttamente alla vita interna degli istituti di pena (oggetto del presente regolamento), ma sono solo cronologicamente connessi con essa. Tale disomogeneità non è ignota al legislatore, il quale infatti prevede, per queste due sole materie, che il relativo decreto del Ministro della difesa sia emanato previo concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Del resto, rinviare l’attuazione di queste disposizioni non arreca un vulnus all’ordinamento giuridico. L’art. 85, infatti, riassetta gli artt. 12 e 13 del regio decreto n. 306 del 1943, che estendeva, a favore dei detenuti militari che non avessero grado di ufficiale, la ‘paga giornaliera’ dei militari di leva. Infatti, prima della professionalizzazione delle Forze armate, i militari di truppa - privi di rapporto d’impiego, in quanto soggetti a coscrizione obbligatoria - non percepivano una retribuzione, ma unicamente un ‘soldo’ di modico importo, denominato appunto ‘paga giornaliera’. In tale conteso, le norme segnalate valevano a precisare che il ‘soldo’ era dovuto al militare anche quando il suo trattenimento in servizio si fondava non sulla coscrizione obbligatoria, bensì sullo status di detenuto. Oggi questa previsione non è necessaria, dato che la coscrizione obbligatoria è sospesa sino alla (improbabile) ripresentazione dello stato di guerra, ed anche i militari di truppa, essendo professionisti, ricevono comunque una retribuzione connessa con il rapporto d’impiego. Per quanto attiene l’art. 86, esso riassetta l’articolo 18 del citato regio decreto n. 306 del 1943, che già prevedeva l’emanazione di disposizioni sul funzionamento della Cassa militare delle ammende; emanazione rimasta quindi inattuata per oltre 70 anni”.

L’Amministrazione fa presente, però, “che il Consiglio della magistratura militare, nell’esprimere il proprio parere (obbligatorio ma non vincolante, ai sensi dell’art. 62, comma 3 lettera “b”, del decreto legislativo n. 66 del 2010) sul presente regolamento, ha auspicato che si dia attuazione anche ai citati artt. 85 e 86, paventando il timore che ‘la mancata contestuale adozione delle necessarie determinazioni relative all’importo della retribuzione dovuta determinerà, nell’immediato, significative difficoltà nel dare concreta attuazione al diritto al lavoro remunerato’ e ritenendo ‘altrettanto critica la scelta di rinviare la costituzione della cassa militare delle ammende correlata anch’essa a dare pratica attuazione ai diritti, anche lavorativi, dei detenuti”. Queste osservazioni – sempre secondo l’Amministrazione - sembrano non tener conto di numerose circostanze: il lavoro dei detenuti è già previsto e praticato anche a normativa vigente, prescindendo quindi dall’attuazione dell’art. 85; la retribuzione ai detenuti militari, a seguito della professionalizzazione, è comunque erogata in virtù del rapporto di impiego; la Cassa militare delle ammende è già stata costituita ope legis, seppur si configuri, da oltre 70 anni, come un istituto giuridico inattivo; l’inattività della Cassa non ha comunque precluso l’impiego, secondo legge, delle somme che vi potrebbero confluire, atteso che, ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. n. 66 del 2010, per quanto non diversamente previsto, si applicano, all’ordinamento penitenziario militare, le disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune.

Quanto, poi, al contenuto degli articoli, di cui si compone il testo, l’art. 1 reca le definizioni utili ai fini della comprensione del provvedimento. Va notato come venga denominato “carcere” anche la reclusione militare di cui alla lett. b) dell’art. 78 d.lgs. n. 66 del 2010.

L’art. 2 definisce l’ambito di applicazione del regolamento, parlando di norme per il funzionamento interno del carcere e chiarendo che il regolamento si applica anche, quando occorre, al personale militare che presta servizio negli istituti, oltre che ai detenuti ivi ristretti, e precisando che per magistratura di sorveglianza deve intendersi la magistratura militare di sorveglianza, per quanto attiene a detenuti militari in espiazione di pena per reati militari.

L’art. 3 ripete una disposizione prima contenuta all’art. 2 del “Regolamento” del 2005.

L’art. 4 precisa che, sebbene la giurisdizione sul personale detenuto appartenga, secondo i casi, al magistrato di sorveglianza ordinario o a quello militare, solo quest’ultimo esercita un potere di controllo (analogo a quello previsto, nell’ordinamento penitenziario comune, dall’art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 230) sul funzionamento degli istituti penitenziari nel loro complesso.

L’art. 5 esplicita, ai commi 1 e 2, le categorie di personale che possono essere custodite negli stabilimenti militari penitenziari e precisa, al comma 3, quando i detenuti debbano comunque esservi ricevuti ai sensi di legge, ancorché non possano esservi custoditi (e necessitino quindi di successivo trasferimento a un istituto penitenziario ordinario). Il comma 4 precisa che possono essere trattenuti solamente “militari” che abbiano tale status. L’art. 83 del d.lgs. n. 66 del 2010 medesimo, infatti, specifica che se il detenuto perde lo status militare per degradazione (pena militare accessoria, disciplinata dall’art. 28 del codice penale militare di pace) deve essere trasferito in un istituto penitenziario comune. Analogamente si deve quindi procedere qualora lo status militare sia perso per effetto di altri e diversi provvedimenti.

L’art. 6 descrive le incombenze che devono essere assolte all’entrata dei detenuti negli stabilimenti militari penitenziari.

L’art. 7 contempla le disposizioni in materia di uscita dei detenuti per scarcerazione o per trasferimento.

L’art. 8, a sua volta, fissa gli orari di “chiusura” degli stabilimenti militari penitenziari, precisando quali categorie di persone possano comunque entrare o uscire dagli istituti quando sono “chiusi”; mentre l’art. 9 concerne i registri che devono essere tenuti dagli stabilimenti militari
penitenziari.

L’art. 10 prevede l’esecuzione dell’osservazione scientifica della personalità, mediante un rinvio alle corrispondenti norme dell’ordinamento penitenziario comune.

L’art. 11 disciplina i controlli cui sono soggette le persone che entrano od escono dalla cosiddetta “area attiva” degli stabilimenti militari penitenziari, trattandosi di controlli che sono previsti anche nell’organizzazione penitenziaria comune, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 354 del 1975.

L’art. 12 disciplina le visite di autorità agli stabilimenti militari penitenziari, rinviando alla corrispondente previsione dell’ordinamento penitenziario comune e, per le visita dei parlamentari, alle norme vigenti e ripetendo la previsione di cui all’art. 117 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’art. 13 disciplina i colloqui dei detenuti, trovando riscontro nell’art. 18 della legge n. 354 del 1975 e nell’art. 37 del d.P.R. n. 230 del 2000; l’articolo è stato scandito in 4 parti: enunciazione del diritto (comma 1); limiti ed eccezioni (commi 2 e 3); autorizzazioni (commi 4 e 5); modalità attuative (commi da 6 a 13).

L’art. 14 disciplina le telefonate dei detenuti e corrisponde all’art. 39 del d.P.R. n. 230 del 2000; anche questo articolo, come il precedente, è stato scandito, per semplificarne la lettura, in 4 parti: enunciazione del diritto (comma 1); limiti ed eccezioni (commi 2 e 3); autorizzazioni (comma 4); modalità attuative (commi da 5 a 7).

L’art. 15 disciplina, in una disposizione ad hoc, la materia delle interviste giornalistiche.

L’art. 16 precisa le modalità attraverso cui i detenuti possono intrattenere una corrispondenza epistolare con l’esterno, mentre l’art. 17 disciplina le limitazioni e i controlli sulle comunicazioni dei detenuti con l’esterno.

Per quanto riguarda gli oggetti che i detenuti possono o non trattenere presso di sé, la definizione degli oggetti “consentiti” e “non consentiti” viene ora recata all’art. 18, che non ha carattere innovativo, limitandosi a esplicitare precetti comunque già desumibili dalle norme in vigore. Appare importante sottolineare che non si tratta di un’elencazione non tassativa, potendo alcune varianti essere disposte ad personam dal comandante dell’istituto, su disposizione dell’autorità giudiziaria oppure su parere del gruppo di osservazione scientifica della personalità. In particolare, al comma 4, si prevede che, pur essendo vietato il trasferimento tra detenuti della proprietà dei valori (custoditi ai sensi del successivo art. 19) o di oggetti,, ne è comunque consentita la cessione se il valore medesimo è modico.

Il successivo art. 19 precisa le modalità di custodia dei valori e degli oggetti dei detenuti, riprendendo le disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune.

Gli artt. 20 e 21 disciplinano la ricezione, negli stabilimenti militari penitenziari, di pacchi destinati ai detenuti e gli alimenti e i beni che i detenuti possono acquistare o ricevere dall’esterno, mentre l’art. 22 aggiunge la facoltà di acquisto della stampa periodica.

Gli articoli 23 e 24 disciplinano il trattamento e le attività dei detenuti. Per quanto riguarda in particolare le attività, l’articolo 84, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010 prevede l’impiego, in attività quotidiane, dei soli detenuti militari in espiazione di pena, sicché la disposizione viene così riproposta all’articolo 24, comma 1; per gli altri detenuti si richiama l’articolo 15 della legge n. 354 del 1975, che prevede la partecipazione a “richiesta” dell’interessato.

L’articolo 25 indica il regime sanzionatorio disciplinare applicato ai detenuti, secondo quanto previsto per la generalità dei militari e tenuto conto del peculiare status di limitazione della libertà personale. Si è comunque evitato di ripetere il contenuto di norme di legge, ricorrendo invece alla tecnica del rinvio.
L’articolo 26 tratta della materia dell’isolamento, che trova riscontro nell’articolo 5, paragrafo “c” e all’articolo 21 del “Regolamento” del 2005. Si precisa in relazione che le sanzioni disciplinari e l’isolamento sono previste nell’ordinamento penitenziario comune agli articoli 33, 36, 38, 39 e 40 della legge n. 354 del 1975 e all’articolo 22, commi da 2 a 7, 73 e da 78 a 81 del d.P.R. n. 230 del 2000: “Sebbene in questo settore le disposizioni militari e comuni appaiano prima facie non perfettamente allineate (in quanto agli istituti militari deve applicarsi lo speciale regime disciplinare previsto dal decreto legislativo n. 66 del 2010), in realtà tuttavia non esiste alcuna incompatibilità: in particolare, merita evidenziare come l’esclusione dalle attività in comune sia, nella legge n. 354 del 1975, la massima sanzione disciplinare e, nel presente regolamento, l’effettiva conseguenza dell’isolamento disciplinare che, a sua volta, è la modalità di espiazione della consegna di rigore, massima sanzione disciplinare”.

L’art. 27 disciplina l’impiego della forza fisica e dei mezzi di coercizione nei confronti dei detenuti, ripetendo il contenuto delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune in materia, di cui all’articolo 41 della legge n. 354 del 1975 e all’articolo 82 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’art. 28 concerne i provvedimenti da adottare in caso di evasione di un detenuto, adeguando al contesto militare la previsione di cui all’articolo 90 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’art. 29 indica i provvedimenti conseguenti a decesso o grave infermità di un detenuto, rinviando alla normativa comune (articoli 63 e 92 del d.P.R. n. 230 del 2000) e, in quanto si applichi, a quella di settore (art. 749 del d.P.R. n. 90 del 2010, che reca disposizioni da applicarsi in caso di decesso di un militare).

L’art. 30 disciplina il diritto di istanza e reclamo dei detenuti, previsto nell’ordinamento penitenziario comune all’articolo 35 della legge n. 354 del 1975 ed all’articolo 75 del d.P.R. n. 230 del 2000. I commi 3 e 4 valgono invece quale rinvio al procedimento di “reclamo giurisdizionale”, di cui agli articoli 35-bis e 69, comma 6, della legge n. 354 del 1975 (introdotti con decreto-legge n. 146 del 2013), apportando le rettifiche discendenti dalla specificità dell’ordinamento penitenziario militare (con particolare riferimento al tipo di sanzioni disciplinari applicate). Il comma 5, infine, funge da collegamento con l’articolo 735 del d.P.R. n. 90 del 2010, che consente a tutti i militari di chiedere un colloquio con i propri superiori.
L’art. 31 tratta dei permessi rinviando alla normativa comune.

Gli artt. 32 e 33 riguardano l’esecuzione delle perquisizioni sui detenuti e nei locali degli istituti penitenziari, materia che nell’ordinamento penitenziario comune è disciplinata all’articolo 34 della legge n. 354 del 1975 e agli articoli 23 comma 1, 74 e 83 comma 2 del d.P.R. n. 230 del 2000. Per quanto attiene, in particolare, alla competenza a eseguire la perquisizione personale, l’articolo 32 dello schema dispone che si proceda “ai sensi di legge”; infatti, nelle more di un intervento di rango legislativo che chiarisca chi, nel peculiare ordinamento penitenziario militare, è autorizzato a esercitare il relativo potere, “ non può che farsi riferimento all’articolo 301 del codice penale militare di pace, ai sensi del quale i comandanti di corpo (categoria nella quale rientrano i comandanti degli stabilimenti militari di pena) sono ufficiali di polizia giudiziaria militare”.

L’articolo 34 disciplina il diritto dei detenuti a esercitare le pratiche di culto, in conformità all’articolo 84 del decreto legislativo n. 66 del 2010, il quale dispone che “si applicano i principi dell’ordinamento penitenziario comune e, in quanto compatibili, le relative disposizioni regolamentari di esecuzione”. Tali principi e disposizioni si rinvengono all’articolo 26 della legge n. 354 del 1975 e all’articolo 58 del d.P.R. n. 230 del 2000, compatibili con la disposizione regolamentare in esame.

Gli artt. da 35 a 39 alle attività garantite ai detenuti a fini ludici e ricreativi (previsti in linea generale, nell’ordinamento penitenziario comune, dall’articolo 27 della legge n. 354 del 1975 e dall’articolo 59 del d.P.R. n. 230 del 2000). Nel dettaglio, l’articolo 35 disciplina i giochi consentiti, (nell’ordinamento penitenziario comune, essi formano oggetto del regolamento interno dei singoli istituti, ai sensi dell’articolo 36, comma 2, del d.P.R. n. 230 del 2000); l’articolo 36 disciplina l’uso di apparati elettronici personali (per l’ordinamento penitenziario comune, artt. 6, commi 3 e 4, e 40 del d.P.R. n. 230 del 2000);

l’articolo 37 disciplina il servizio di biblioteca, (vedasi art. 12 della legge n. 354 del 1975 e artt. 21 e 69 del d.P.R. n. 230 del 2000); l’art. 38 disciplina le proiezioni cinematografiche e televisive; l’articolo 39 indica le affissioni consentite ai detenuti nelle loro camere, (nell’ordinamento penitenziario comune, essi formano oggetto del regolamento interno dei singoli istituti, ai sensi dell’articolo 36, comma 2, del d.P.R. n. 230 del 2000).

L’art. 40 detta norme in materia di vestiario e corredo, specificando anche (attesa la natura militare degli istituti) le modalità di uso dell’uniforme.

Gli articoli 41 e 42 disciplinano il ricorso ai servizi igienici e di barberia e parrucchiere. Trovano riscontro, nell’ordinamento penitenziario comune, nell’articolo 8 della legge n. 354 del 1975 e negli articoli 7 e 8 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’articolo 43 disciplina il servizio di lavanderia. La stessa materia è trattata negli articoli 9, commi 8 e 9, e 10 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’art. 44 stabilisce le funzioni della “Commissione di controllo per il servizio cucina”. Della Commissione fa parte un rappresentante dei detenuti, ai sensi dell’articolo 49. Nell’ordinamento penitenziario comune, il diritto al trattamento alimentare è sancito all’articolo 9 della legge n. 354 del 1975, che prevede una “rappresentanza dei detenuti”, corrispondente alla Commissione disciplinata dall’articolo in esame.

L’Amministrazione proponente non ritiene necessario prevedere, per gli stabilimenti militari penitenziari, dettagliate regole corrispondenti a quelle contenute negli articoli 11, 12 e 13 del d.P.R. n. 230 del 2000, in quanto “ - essendo gli stabilimenti militari penitenziari dei reparti, seppur sui generis, delle Forze armate - trova applicazione la ben più articolata e garantista disciplina in materia di somministrazione del vitto a favore dei militari alle armi”.

Gli articolo 45 e 46 riguardano l’assistenza sanitaria dei detenuti, con riferimento sia alle prestazioni del servizio sanitario interno, sia ai ricoveri urgenti in strutture esterne. Il contenuto degli articoli è compatibile con le disposizioni di cui agli artt. 11 e 21-ter della legge n. 354 del 1975 e 17, 18 e 19 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’articolo 47 detta norme in materia di igiene degli ambienti. Nell’ordinamento penitenziario comune, la materia è trattata nell’articolo 6 della legge n. 354 del 1975 e nell’articolo 8 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’art. 48 prevede che idonei locali siano destinati a sezione femminile e ad asilo nido (secondo quanto previsto dall’articolo 11, nono comma, della legge n. 354 del 1975).

L’art. 49 disciplina le rappresentanze dei detenuti per il servizio di cucina (inserito nella commissione di cui all’articolo 44), per la biblioteca e per le attività culturali, ricreative e sportive, come previsto dagli artt. 9 (sesto comma), 12 (terzo comma), 27 (secondo comma) e 31 della legge n. 354 del 1975 e dalle disposizioni di dettaglio che si rinvengono agli articoli 59 e 67 del d.P.R. n. 230 del 2000.

L’art. 50 attribuisce ai comandanti degli stabilimenti militari penitenziari un potere dispositivo che, ordinariamente, vale a integrare le disposizioni del regolamento (comma 1) ed eccezionalmente, per straordinarie esigenze di ordine o sicurezza dell’istituto, può sospenderle e integrarle (comma 2). Le disposizioni impartite ai sensi del comma 2 devono essere immediatamente comunicate alla scala gerarchica e alla magistratura, per consentire la doverosa attività di controllo (comma 3). Infine, i medesimi comandanti hanno esplicita facoltà di proporre modifiche al regolamento (comma 4). Il potere di cui al comma 1 trova esplicito riferimento di legge all’articolo 77, comma 3, del decreto legislativo n. 66 del 2010. Il potere di cui al comma 2, invece, è previsto dall’ordinamento penitenziario comune (articolo 41-bis, commi 1 e 2, della legge n. 354 del 1975), che però lo attribuisce al Ministro della giustizia; la possibilità di delegarlo ai comandanti degli istituti è tuttavia coerente con la natura di reparti militari degli stessi, da cui discende la vincolatività degli ordini impartiti dal comandante (in ipotesi, anche contra legem, purché non manifestamente criminosi, come si evince dall’articolo 1349 del decreto legislativo n. 66 del 2010).

L’art. 51 reca una norma di chiusura, volta ad assicurare la completezza e la certezza del sistema. In particolare, il comma 1 trasferisce nell’ambito regolamentare il principio generale di applicabilità delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune nei termini di cui all’articolo 76 del decreto legislativo n. 66 del 2010. Il comma 2, invece, sopperisce all’intervenuta abrogazione del secondo comma dell’articolo 20 del regio decreto 10 febbraio 1943, n. 306 (“Ove sorga dubbio relativamente alla applicabilità dei principi predetti, decide insindacabilmente il ministro per la guerra, sentito il procuratore generale militare del Re Imperatore”), aggiornandone il contenuto anche alla luce delle competenze della magistratura militare di sorveglianza.

L'articolo 52, infine, sancisce l’abrogazione del “Regolamento” del 2005 e precisa che dall’attuazione del presente regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Considerato:

La disposizione di rango primario, sulla quale si fonda l’atto di esercizio del potere regolamentare oggetto del parere di competenza, viene interpretata dall’Amministrazione (e dagli enti che hanno espresso il proprio avviso su di esso) in modo tale che si rischia di perdere il senso della portata innovativa degli artt. dal 76 all’86 (Sez. IV del Capo VI del Titolo III del libro I) d.lgs. n. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare). Questi, infatti, lungi dal configurare le norme, che regolano l’ordinamento penitenziario militare, come un ordinamento speciale, stabiliscono all’art. 76 che “Per gli stabilimenti militari di pena e per l’espiazione delle pene detentive militari, se non è espressamente o diversamente previsto dalle disposizioni del presente codice o da altre norme penali militari, si applicano le disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune, sostituite, se necessario, le autorità competenti ordinarie con quelle militari”.

Ciò sta a significare che le disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune (in particolare la legge 26 luglio 1975, n. 354 e il d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) si applicano all’interno degli stabilimenti militari di pena omisso medio, purchè non derogate espressamente da norme di rango primario dell’ordinamento militare; e non assumono perciò natura di fonte di integrazione di un ordinamento speciale, se non per la parte, appunto, in cui esse sono derogate da norme di rango primario. Il legislatore delegato, in altri termini, sembra aver voluto disciplinare l’ordinamento penitenziario militare facendo rinvio all’ordinamento penitenziario comune, anche perché negli stabilimenti militari di pena sono presenti non solo militari in attesa di giudizio o condannati per reati militari o comuni, ma anche appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, che abbiano optato per la detenzione preventiva e per l’espiazione della pena in stabilimenti militari di pena, invece che in un istituto penitenziario.

L’estensione agli stabilimenti militari di pena dell’ordinamento penitenziario comune risponde, del resto, alla evoluzione del trattamento dei detenuti secondo i princìpi dell’art. 27, co. 3, Cost. Nell’ultimo venticinquennio del secolo scorso, con l’entrata in vigore della legge n. 354 del 1975, si è avviato un processo di democratizzazione della vita degli istituti di pena, nel quale il detenuto e le problematiche relative al suo recupero hanno assunto un ruolo centrale. Conseguentemente lo status del detenuto è profondamente cambiato: da soggetto passivo di doveri e restrizioni a titolare di diritti connessi ad un trattamento che ne garantisce la dignità.

Di tale processo evolutivo non potevano non partecipare gli stabilimenti penitenziari militari; ed il Codice dell’ordinamento militare prende atto di tale evoluzione, sicchè in forza dell’art. 76, ordinamento penitenziario militare ed ordinamento penitenziario comune tendono a coincidere (con esclusione di quanto disposto in via derogatoria dallo stesso Codice dell’ordinamento militare e dalle leggi penali militari), mentre al regolamento ministeriale l’art. 77 demanda, al primo comma, di stabilire le “norme interne di servizio per gli stabilimenti militari di pena”, che il secondo comma specifica trattarsi, oltre che della disciplina delle “modalità di trattamento” e della “disciplina del personale detenuto”, delle seguenti materie: a) gli orari di apertura e chiusura degli stabilimenti militari di pena; b) gli orari relativi all’organizzazione della vita quotidiana della popolazione detenuta; c) le modalità relative allo svolgimento dei vari servizi predisposti per i detenuti; d) gli orari di permanenza nei locali comuni; e) gli orari, i turni e le modalità di permanenza all’aperto; f) i tempi e le modalità particolari per i colloqui, la corrispondenza e le comunicazioni anche telefoniche; g) le affissioni consentite e le relative modalità; h) i giochi consentiti; i) l’importo della retribuzione dovuta ai detenuti militari assegnati al lavoro. Stabilisce, infine, il co. 3 che, “ferme restando le attribuzioni del Tribunale e dell’Ufficio militare di sorveglianza, le materie non disciplinate” con il suddetto decreto ministeriale “e quelle che necessitano, per l’esecuzione, di specifiche direttive, sono demandate alla competenza di ciascun comandante degli stabilimenti militari di pena, secondo le modalità indicate nello stesso decreto del Ministro della difesa”.

Ora, se si fa mente al fatto che il succitato art. 77 corrisponde – come ricorda la stessa relazione dell’Amministrazione – in modo pressoché letterale al co. 2 dell’art. 36 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, che disciplina, sulla base dell’art. 16 l. 26 luglio 1975, n. 354, il procedimento di adozione e l’ambito di competenza del regolamento interno di ciascun istituto penitenziario, non può non constatarsi come il regolamento ministeriale, di cui all’art. 77 del d.lgs. n. 66 del 2010, sia autorizzato a disciplinare un gruppo ben delimitato di materie, che per una minima parte eccedono quelle contemplate nel succitato art. 36 d.P.R. n. 230 del 2000, ma per larga parte sono con queste ultime coincidenti o, addirittura, non sono specificamente previste, pur avendole lo stesso art. 36 demandate ai regolamenti interni di istituto.

Per quanto riguarda il primo gruppo di materie (quelle cioè che vanno oltre quelle contemplate dall’art. 36 d.P.R. n. 230 del 2000), occorre far riferimento al dato letterale del co. 2 dell’art. 77 del Codice dell’ordinamento militare e considerare: a) le norme interne di servizio per gli stabilimenti militari di pena; b) la disciplina del personale detenuto; c) l’importo della retribuzione dovuta ai detenuti militari assegnati al lavoro (v. anche art. 85, co. 2, d.lgs. n. 66 del 2010). Il complesso di tali materie non autorizza, perciò, il regolamento ministeriale in oggetto ad intervenire su diritti e doveri dei detenuti negli stabilimenti militari di pena, scaturendo questi ultimi o dalle norme primarie del Codice dell’ordinamento militare (e tutt’al più dall’art. 531 d.P.R. 25 febbraio 2012, n. 90) o dall’ordinamento penitenziario comune. Quelle materie, infatti, si riferiscono all’autorizzazione a disciplinare l’organizzazione dei servizi interni dello stabilimento, all’applicazione della disciplina militare ai detenuti che hanno lo status di militare ed alla entità della retribuzione del lavoro dei detenuti (il diritto al lavoro di questi ultimi scaturisce, invece, direttamente dall’ordinamento penitenziario comune).

Il secondo gruppo di materie, coincidenti con quelle demandate ai regolamenti interni dei singoli istituti penitenziari, attiene a disposizioni di estremo dettaglio riguardanti elementi di tipo tecnico organizzativo;

fra queste materie rientrano indubbiamente la disposizione dell’art. 8, quella dell’art. 11, dell’art. 12 (salvo che i commi 1 e 3 non fanno che ripetere quanto previsto nell’ordinamento penitenziario comune), dell’art. 15 del progetto di regolamento in esame.

Mentre il terzo gruppo di materie, quelle cioè previste dall’art. 36 d.P.R. n. 230 del 2000, ma non previste dal co. 2 dell’art. 77, è costituito dalla normativa riguardante la rappresentanza dei detenuti ed internati, i controlli cui devono sottoporsi coloro che accedono agli istituti penitenziari, le direttive che l’amministrazione impartisce a riguardo dei diversi gruppi di detenuti ed internati, il vestiario ed il corredo, gli oggetti ed il vestiario di proprietà personale, il vitto giornaliero, i locali per la confezione del vitto e l’uso di fornelli, la ricezione, l’acquisto ed il possesso di oggetti e generi alimentari, i colloqui, le perquisizioni.

Tutto ciò sembra confermare che il regolamento ministeriale non può attribuire e regolare diritti e doveri dei detenuti o dei soggetti estranei all’organizzazione dello stabilimento di pena, se non per quanto può riguardare la loro incidenza sull’organizzazione dello stabilimento di pena e la mera fruizione dei diritti o le semplici modalità di adempimento dei doveri all’interno di tale organizzazione. Il suo contenuto pertanto dovrebbe corrispondere a quello dei regolamenti interni dei singoli istituti di pena, previsti dall’ordinamento comune, integrato tutt’al più dalle direttive generali, che l’ordinamento penitenziario comune demanda all’Amministrazione centrale. Ad esempio, mentre il co. 3 dell’art. 6 non fa altro che ripetere quanto già previsto dal combinato disposto dell’art. 11, co. 5, l. n. 354 del 1975 con il co. 1 dell’art. 23 d.P.R. n. 230 del 2000, gli artt. 45 e 46, senza nulla prevedere in ordine al diritto dei detenuti al trattamento sanitario, disciplinano il servizio sanitario in modo sostanzialmente diverso rispetto alla disciplina dell’art. 11 l. n. 354 del 1975 e dell’art. 17 d.P.R. n. 230 del 2000. Con riferimento poi allo stesso art. 6, co. 2, lett. b), si rileva come vi sia contenuta una disciplina del diritto del detenuto sostanzialmente diversa da quella recata dall’art. 29 l. n. 354 del 1975.

Se la suesposta interpretazione della normativa di rango primario dovesse essere confermata, vari aspetti della bozza di regolamento, sul quale viene richiesto il parere di competenza, meriterebbero una profonda revisione.

Innanzitutto, il regolamento in oggetto sembra redatto secondo una logica, per la quale l’ordinamento penitenziario comune costituirebbe una fonte integrativa di disciplina dell’ordinamento penitenziario militare (v. art. 51 della bozza di regolamento in oggetto), sicchè diritti e doveri dei detenuti dovrebbero scaturire esclusivamente dal regolamento in oggetto (pur ispirato ai princìpi dell’ordinamento penitenziario comune) e, solo per quanto da esso non disposto, si dovrebbe far riferimento alla normativa riguardante i comuni istituti di pena. Si spiega perché, mentre l’ordinamento penitenziario comune è redatto secondo la logica della previsione dei diritti soggettivi di detenuti ed internati, la bozza di regolamento in oggetto parte dal diverso presupposto di indicare i doveri dei detenuti e di quanti entrino a contatto con lo stabilimento penitenziario.

Lo schema di regolamento in oggetto contiene, perciò, molte disposizioni meramente ed inutilmente ripetitive di quanto già previsto nell’ordinamento penitenziario comune: anche se talora formulate in modo differente (v., ad es., l’art. 6, co. 3; i commi 1 e 3 dell’art. 12; i commi 1, 2, 3, 4, 6, 10, 11, 12 e 13 dell’art. 13; l’art. 14).

In secondo luogo, esso “rassetta” (per usare un’espressione frequente nella relazione illustrativa) il testo del 16 novembre 2005 (a prescindere dall’esatta collocazione di quest’ultimo nel sistema delle fonti), che costituiva, però, prima dell’entrata in vigore del Codice dell’ordinamento militare l’unica fonte normativa riguardante organizzazione e funzionamento degli stabilimenti militari di pena. Un indice di ciò è costituito dall’art. 1 della bozza di regolamento in oggetto che si riferisce a taluni termini, quale “Carcere”, senza tener conto del fatto che nel frattempo sono intervenute qualificazioni diverse delle diverse istituzioni.

Tale operazione di “rassettamento”, però, se si collega alle esigenze di speditezza dell’azione dell’Amministrazione, sembra contrastare con lo spirito della riforma voluta dal Codice dell’ordinamento militare e con i nuovi orientamenti della politica penitenziaria.

In terzo luogo, esso sembra eccedere l’ambito autorizzato dall’art. 77, 1 e 2 co., d.lgs. n. 66 del 2010. Per fare qualche esempio non sembra che il regolamento in oggetto, all’art. 13, co. 1, possa regolare quali colloqui con i detenuti siano ammissibili e quali no; esso potrebbe regolare e4sclusivamente tempi e modalità per i colloqui, così come previsto dai co. 6, 9, 10 e 11 dello stesso art. 13. Gli artt. 18, 19, 20 e 21 della bozza di regolamento in esame, pur disciplinando una materia non ricompresa tra quelle che l’art. 77 del Codice dell’ordinamento militare attribuisce alla potestà regolamentare del Ministro della difesa, potrebbero giustificarsi considerando che l’art. 14 d.P.R. n. 230 del 2000 demanda ai regolamenti interni dei singoli istituti disciplinare la materia degli oggetti che possono restare nel possesso dei detenuti o possono da essi essere ricevuti o acquistati (ma tale giustificazione non farebbe che confermare quanto precedentemente sostenuto: che cioè il decreto ministeriale in esame non potrebbe eccedere per gli stabilimenti militari di pena l’ambito di disciplina, che l’ordinamento penitenziario comune attribuisce ai regolamenti interni dei singoli istituti penitenziari comuni). Analogamente potrebbe ragionarsi per quel che riguarda le disposizioni sul vestiario, sul vitto giornaliero e così via. Né va trascurato come si noti nel testo in esame una particolare propensione a restringere fortemente, rispetto all’ordinamento comune, la possibilità che i detenuti detengano e usino denaro proprio (v. la peculiare disciplina di cui all’art. 19, co. 1, dei due libretti: quello personale, per l’uso relativo ad acquisti da effettuare all’interno dello stabilimento, e quello di risparmio per le somme eccedenti i 250,00 €).

Il complesso delle suesposte considerazioni da una parte rende evidente che la detenzione presso gli stabilimenti militari di pena non modifica né le finalità rieducativa del trattamento, né i diritti dei detenuti, nè gli strumenti a disposizione dell’autorità preposta all’esecuzione della pena; dall’altra fa emergere alcune criticità, derivanti dalla copresenza negli stabilimenti penitenziari in questione di detenuti militari e non militari.

La prima criticità si riscontra nell’art. 24 dello schema, che regola le attività previste per i detenuti. Al riguardo si rileva che, a fronte dell’intendimento di privilegiare l’istruzione e il lavoro, quali strumenti rieducativi, manifestato dal legislatore nell’art. 15 della l. n. 354 del 1975, il testo regolamentare disattende tale principio, limitandosi a prescrivere genericamente che i detenuti militari sono occupati nei giorni feriali con istruzioni civili e militari, mentre la partecipazione alle attività lavorative dei detenuti non militari è subordinata alla scelta individuale.

Non può sfuggire l’inadeguatezza della formulazione dell’art. 24, che sembra prefigurare la possibilità di trattamenti diversificati tra detenuti a differente status rispetto al tassativo disposto del sopra citato art. 15, secondo comma, della legge n. 354 del 1975, che riconosce al detenuto il “diritto al lavoro”, nonché rispetto al principio di eguaglianza nel trattamento dei detenuti affermato dalla stessa legge.

Un seconda criticità riguarda il regime disciplinare dei detenuti.

Pur comprendendo le difficoltà dell’Amministrazione proponente per l’incompletezza del quadro legislativo di riferimento, rimasto tale anche dopo l’approvazione del codice dell’ordinamento militare, la Sezione ritiene che l’art. 25 e l’art. 26 non risolvano alcuni problemi di fondo.

Innanzitutto, nel testo si richiamano indistintamente sia le disposizioni del codice dell’ordinamento militare relative al procedimento e alle sanzioni disciplinari di corpo, che è da ritenere siano applicabili esclusivamente al personale militare, sia le infrazioni disciplinari e le sanzioni previste dall’art. 77 del d.P.R. n. 230 del 2000 per i detenuti comuni, senza precisare se e in che misura i due sistemi disciplinari interagiscono, quantomeno nella individuazione dei comportamenti sanzionabili, e senza alcun richiamo ai profili procedimentali, che specie per le sanzioni di corpo potrebbero necessitare di un qualche adattamento imposto dalla realtà penitenziaria.

Inoltre, non appare sostenibile l’equiparazione della consegna di rigore all’isolamento disciplinare con la generica considerazione che si tratta delle sanzioni più elevate comminabili nei sistemi disciplinari considerati; semmai l’allineamento potrebbe ritenersi ammissibile soltanto nel caso di corrispondenza delle fattispecie punibili con la sanzione più grave.

Un altro motivo di criticità concerne la disciplina delle perquisizioni personali: l’aver precisato, nell’art. 32, comma 2, che la perquisizione “è eseguita ai sensi di legge” non risolve il problema dell’indisponibilità, nell’organizzazione penitenziaria militare, di personale con la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, che andrebbe comunque sanata con un intervento legislativo urgente, come del resto riconosciuto dalla stessa Amministrazione proponente.

Ancora in tema di salvaguardia dei diritti dei detenuti, si ritiene debba essere introdotta una limitazione al potere dispositivo del Comandante di sospendere o modificare le disposizioni del regolamento, prevista all’art. 50 comma 2, escludendo che l’esercizio di detto potere possa comunque riguardare il diritto di rivolgere istanze e reclami regolato dall’art. 30.

Inoltre, le eventuali incertezze sull’applicabilità delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario comune non potranno essere risolte soltanto dal magistrato militare di sorveglianza, come indicato nell’art. 51, comma 2, ma dovrà necessariamente prevedersi che il Comandante possa porre il quesito anche al magistrato di sorveglianza competente, in ragione dell’oggetto e delle situazioni personali coinvolte.

L’insieme delle osservazioni sin qui espresse esige che l’Amministrazione riesamini il provvedimento normativo in oggetto alla loro luce e chiarisca più approfonditamente come esso si inserisce, nella attuale formulazione, nella normativa dettata dagli artt. 76 e 77 del Codice dell’ordinamento militare.

Quanto, poi, al fatto che l’Amministrazione demanda a futuri regolamenti l’attuazione degli artt. 85 ed 86 del Codice dell’ordinamento militare, si ritiene che – poiché il decreto ministeriale contiene norme di estremo dettaglio, destinate ad integrare l’ordinamento penitenziario comune e la normativa dettata dal Codice dell’ordinamento militare (nonché del successivo regolamento contenuto nel d.P.R. n. 90 del 2010) - il relativo potere non si esaurisce uno actu; e pertanto il d.m. può essere sempre integrato e modificato con la medesima procedura e sempre senza eccedere i limiti ad esso fissati dalla normativa primaria.

Tuttavia appare auspicabile che esso si caratterizzi, così come, del resto, il d.P.R. n. 230 del 2000, per la sua completezza e che gli eventuali regolamenti integrativi, ipotizzati dall’Amministrazione per attuare gli artt. 85 e 86 del d.lgs. n. 66 del 2010, si configurino come completamento del provvedimento in oggetto e non come autonomi e separati atti, anche perché solo con l’adozione delle norme relative all’importo della retribuzione dei detenuti assegnati al lavoro potrà avere concreta attuazione uno degli elementi fondamentali della riforma, e cioè il recupero del detenuto attraverso il lavoro.

Tuttavia, a prescindere da tali considerazioni di carattere generale e con riserva di valutare quanto l’Amministrazione vorrà chiarire a tale proposito, vale la pena – per economia degli atti e riservando ad una nuova e più approfondita valutazione il testo, che l’Amministrazione vorrà eventualmente rivedere – formulare talune prime osservazioni sul testo, sul quale viene richiesto il parere di competenza.

Sarà necessario, innanzi tutto, rivedere la formulazione del preambolo in relazione alla funzione da assegnare al regolamento in oggetto. Inoltre si suggerisce, ove si dovesse mantenere fermo l’impianto della bozza di regolamento:

- all’art. 1 lett. c) sarebbe forse opportuno sostituire alla parola “carcere”, ovunque ricorra, l’espressione “stabilimento militare di pena”;

- all’art. 2
al co. 2 meglio sarebbe sostituire la parola “alle indagini” con l’espressione “a misura cautelare detentiva”;

- all’art. 3
al co. 2 sostituire l’espressione “secondo le rispettive competenze” con le altre “nel rispetto delle competenze ad esso attribuite”;

- all’art. 5
al co. 1 lett. b) potrebbero sopprimersi le parole “non appartenenti alle forze di polizia”, così come al co. 2 lett. b);
al co. 2 lett. c) potrebbe essere soppressa la parola “altre”;
al co. 4 si potrebbero sopprimere le parole “non appartenente alle forze di polizia”.
Si segnala, infine, che la relazione illustrativa fa riferimento ad un sesto comma, che non esiste nel testo dell’articolo;

- all’art. 6
al co. 1 lett. a) si suggerisce la seguente formulazione: “Verifica che siano acquisiti i provvedimenti che giustificano la restrizione della libertà personale e, nel caso di persona in stato di arresto in flagranza o di fermo come indiziato di delitto, che attestano che la prescritta informazione all’autorità giudiziaria è già stata resa”
al co. 2 lett. d) occorrerebbe sostituire l’espressione “esperto dell’osservazione e del trattamento” con l’altra “appartenente al gruppo di osservazione di cui all’art. 10”;
al co. 4 non vi è alcuna indicazione sui tempi per l’invio dei detenuti che presentano sintomi di tossicodipendenza al Centro militare di medicina legale;
al co. 5 andrebbe specificato che la segnalazione degli aspetti di rischio andrebbe fatta al magistrato di sorveglianza competente, atteso che questo può anche non essere il magistrato militare di sorveglianza;

- all’art. 7
al co. 3, terzo periodo, non risulta chiaro quale sia l’autorità destinataria della richiesta di trasformazione della “reclusione militare” in reclusione;
al quarto periodo andrebbe specificato che il magistrato di sorveglianza è quello competente;

- all’art. 13
all’u.c. ci si deve domandare se anche ai colloqui con i difensori si applichi il controllo a vista;

- all’art. 14
al co. 4 lett. b) andrebbe specificato che il magistrato di sorveglianza è quello competente;

- all’art. 15
al co. 1 si nota un’incongruenza, che va chiarita con un intervento sul testo, tra l’attribuzione allo Stato maggiore esercito del potere di autorizzare le visita e le interviste ai detenuti da parte dei giornalisti ed il parere, di cui alla lett. c) che lo stesso Stato maggiore deve esprimere;
al co. 2 il richiamo va fatto al co. 5 dell’art. 14 e non al co. 6;

- all’art. 16
deve essere chiarito che il magistrato di sorveglianza è quello competente;

- all’art. 17
al co. 1 l’espressione “sostituito il Comandante al direttore dell’istituto” andrebbe sostituita con l’altra “. In questo caso le competense del direttore dell’istituto sono esercitate dal Comandante”, in modo che la scrittura del comma risulti per così dire più elegante;
al co. 4 lett. g) sembrerebbe più corretta e comprensiva la formulazione: “g) agli organismi internazionali preposti alla tutela dei diritti dell’uomo e dei quali l’Italia fa parte”;

- all’art. 18
al co. 1 si nota l’assenza della previsione della possibilità per il detenuto di trattenere presso di sé appunti di carattere personale;

- all’art. 19
al co. 2 si fa riferimento al magazzino materiali del Reparto vigilanza, del quale non si indicano né la disposizione istitutiva né le competenze;

- all’art. 21
al co. 2 andrebbe meglio esplicitato, all’ultimo periodo, come si configura il divieto di acquisto e consumo di quanto indicato dall’art. 18, co. 3 lett. b) e dall’art. 20 co. 3.
Si nota, poi, come manchi completamente il co. 3;
al co. 4 non si comprende con quali modalità e secondo quale procedimento possano essere registrate le spese sul libretto individuale di cui all’art. 19, co. 1, quando quest’ultimo costituisce esclusivamente un libretto di deposito di denaro;

- all’art. 22
al co. 2 andrebbe specificato trattarsi del magistrato di sorveglianza competente.

- all’art. 32
al co. 3, andrebbe sostituito “ lettera e)” con “lettera c)”:

- all’art. 50
al co. 2 andrebbe specificato che la sospensione delle disposizioni del regolamento non può riguardare le norme di favore riconosciute ai detenuti dall’art. 30;

- all’art. 51
al co.2 l’indicazione del “magistrato militare di sorveglianza” andrebbe corretta con “magistrato di sorveglianza competente”;

- all’art. 52
qualora si intenda inserire nel testo l’abrogazione del “Regolamento interno di servizio per le carceri militari” approvato in data 16 novembre 2005, di fatto abrogabile per il principio del contrarius actus con una determinazione del Ministro, il co. 2, che esclude nuovi oneri finanziari, dovrebbe essere espunto e riproposto in un distinto articolo.

P.Q.M.
Sospende l’espressione del parere in attesa che l’Amministrazione fornisca i chiarimenti e le delucidazioni esposti in motivazione.



GLI ESTENSORI IL PRESIDENTE
Damiano Nocilla, Elio Toscano Franco Frattini




IL SEGRETARIO
Maria Luisa Salvini


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