Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

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Marco Metello
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Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

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Per tutti gli utenti del forum comunico la bellissima vittoria ottenuta per mio conto innanzi al Tar Lazio (Sez. 1^ bis), contro il Ministero della Difesa - Comando Generale Arma dei Carabinieri da parte dell'Avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta e Giuseppe Piscitelli (sono stati dei grandi professionisti che ancora una volta hanno dato voce a chi voce non l'aveva piú).



N. 05027/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07532/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7532 del 2013, proposto da:
Giuseppe Terracciano, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Parioli, 55;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Antonino Verrecchia;
per l'annullamento
della determinazione n. 61/4-43-4-2012 di protocollo del 26 giugno 2013 (notificata l'8 luglio 2013), con la quale il Direttore dell'Ufficio concorsi e contenzioso del Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha escluso il ricorrente "dal concorso, per titoli, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 350 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri, poichè privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. d) del relativo bando; del decreto n. 203 di protocollo del 19 novembre 2012 (divenuto lesivo per il ricorrente soltanto il 18 maggio 2013), con il quale il Direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa ha bandito il concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri; di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e/o conseguenti ai predetti provvedimenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 marzo 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi l’avv. Piscitelli e l’avv. dello Stato Marina Russo per l’Amministrazione resistente.

Il ricorrente premette di aver partecipato al concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri indetto con decreto n. 203 del 19.11.2012. Espone altresì di essere stato escluso una prima volta dal concorso in parola con decreto del 19.4.2013 in quanto risultava privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. b) del relativo bando poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande (31.12.2012) risultava essere imputato in un procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Nola per effetto dell’atto di citazione diretta in giudizio del 22.11.2012; atto che, tuttavia, successivamente è stato ritenuto non idoneo a far acquistare al ricorrente la qualità di indagato sicchè l’Amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento di esclusione ed ha inserito il ricorrente nella graduatoria finale del concorso tra i vincitori con decreto n. 69 del 16.5.2013.
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto del 26.6.2013 con cui è stato nuovamente escluso dal concorso in parola per i medesimi motivi in quanto, nelle more, era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in data 22.4.2013 per i medesimi fatti; impugna altresì, quale atto presupposto, la medesima clausola del predetto bando (art.3, comma 1, lett. d) che prescriveva che il requisito in questione dovessero essere posseduto “fino alla data di effettivo inizio del corso di formazione”
Il ricorso è affidato a censure con cui si denuncia l’illogicità, irragionevolezza ed illegittimità costituzionale della previsione del bando in questione e dell’art. 635 del COM da esso riprodotta per contrasto con gli artt. 27 co. 2 e 3 co. 1 della Costituzione in quanto, nella sostanza, finisce con l’equiparare l’imputato (e quindi un soggetto che si deve presumere innocente) al medesimo trattamento giuridico del condannato.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva.
Con ordinanza n. 3339/2013 l’istanza di sospensiva è stata respinta per difetto di fumus boni iuris sulla base dei precedenti della Sezione (TAR Lazio, Sez. I bis N. 7277/2014 E 11519/2014) che avevano disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.
Successivamente all’ intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente in data 28.1.2015, il predetto ha ripresentato l’istanza cautelare che è stata tuttavia nuovamente respinta con ordinanza n. 2233 del 28.5.2015. Il Consiglio di Stato con ordinanza n.3781 del 28.8.2015 ha accolto l’appello cautelare solo “ai fini della fissazione della udienza di discussione ai sensi dell’art. 55 vo. 10 CPA” ritenendo immediatamente ravvisabile il fumus boni iuris (ed infatti specifica che “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 in relazione all'evocato contrasto con gli art. 3 comma 1 e 27 comma 2 Cost. richiede delibazione nella sede propria del merito”).
In vista dell’udienza di trattazione del merito il ricorrente ha presentato memoria conclusionale.
All’udienza pubblica del 2.3.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata inizialmente affrontata dalla Sezione con sentenza n. 10943/2015 che ha disatteso la richiesta di “un’interpretazione costituzionalmente orientata delle clausole del bando di concorso in contestazione, finalizzata a renderlo compatibile con l'art. 27 della Costituzione” - che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – ritenendo tale lettura non pertinente in quanto la controversia in esame concerne i requisiti di partecipazione a un concorso e di ammissione a un pubblico impiego, sicchè risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall'art. 27, secondo comma, Cost. e dell'analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia (vedi, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).
Con la medesima sentenza inoltre veniva affrontata la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – recentemente intervenuta a favore di parte ricorrente, riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
La sentenza in parola dava atto anche del recente, più favorevole orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015, secondo cui “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”. In tale ottica è stato annullato il provvedimento di decadenza del 17 giugno 2010, adottato un anno e mezzo prima della sentenza di assoluzione, intervenuta in data 14 dicembre 2011, in considerazione dell“l’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante”.
A quel momento, tuttavia, la Sezione aveva ritenuto di potersi discostare da quella che, allora pareva costituire una isolata decisione osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) - ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico - e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme - oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015).
In quell’occasione, pertanto, la Sezione ha ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato ben tre anni prima; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione, in tal modo ribadendo l’orientamento tradizionale del giudice di appello (cfr., relativamente al trasferimento per incompatibilità di personale già in servizio, Cons. St., Sez. III, 3411/2015, nel senso che “ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento stesso, in base al principio tempus regit actum, deve aversi riguardo alla situazione in fatto ed in diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto (…). A quella data il processo penale per reati connessi ai compiti della qualifica era ancora in corso e della sua pendenza l’ Amministrazione (…) poteva tenere pienamente conto, in ordine ai riflessi sull’immagine dell’ufficio di originaria applicazione del ricorrente e sul sereno adempimento da parte dell’interessato dei compiti di istituto. La sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può, tutt’al più, costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione).
Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015) ritenendo “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098).
In tal modo la Sezione ha condiviso il percorso argomentativo del Supremo Consesso che ha chiarito che la ratio della disposizione del bando in contestazione “può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il ricorrente dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili. Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti. (…). Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità. A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione (…). Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (…) In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo. L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.
Da tale impostazione ermeneutica il Collegio non intende discostarsi nel caso in esame in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio per lesioni personali a seguito di una vicenda scaturita da una lite condominiale per l’uso esclusivo di pertinenze comuni in cui non ha avuto ruolo di colpevole, bensì di ausilio, come si evince dalla sentenza di assoluzione, con formula pienamente liberatoria, che ha ritenuto il ricorrente «totalmente estraneo a tale aggressione (…) in considerazione non solo del fatto che questi è certamente sopraggiunto quando già l’aggressione era conclusa, ma anche dell’atteggiamento del tutto diverso che questi ha assunto … a fronte della patita aggressione della omissis, essendosi cioè subito prestato a darle aiuto».
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, in applicazione dei principi sanciti dall’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente (considerato pure che “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena.
Sussistono tuttavia giusti motivi vista la natura interpretativa della controversia per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in esame e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.


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Marco Metello ha scritto:Per tutti gli utenti del forum comunico la bellissima vittoria ottenuta per mio conto innanzi al Tar Lazio (Sez. 1^ bis), contro il Ministero della Difesa - Comando Generale Arma dei Carabinieri da parte dell'Avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta e Giuseppe Piscitelli (sono stati dei grandi professionisti che ancora una volta hanno dato voce a chi voce non l'aveva piú).



N. 05027/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07532/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7532 del 2013, proposto da:
xxxxxxxx, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Parioli, 55;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Antonino Verrecchia;
per l'annullamento
della determinazione n. 61/4-43-4-2012 di protocollo del 26 giugno 2013 (notificata l'8 luglio 2013), con la quale il Direttore dell'Ufficio concorsi e contenzioso del Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha escluso il ricorrente "dal concorso, per titoli, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 350 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri, poichè privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. d) del relativo bando; del decreto n. 203 di protocollo del 19 novembre 2012 (divenuto lesivo per il ricorrente soltanto il 18 maggio 2013), con il quale il Direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa ha bandito il concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri; di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e/o conseguenti ai predetti provvedimenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 marzo 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi l’avv. Piscitelli e l’avv. dello Stato Marina Russo per l’Amministrazione resistente.

Il ricorrente premette di aver partecipato al concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri indetto con decreto n. 203 del 19.11.2012. Espone altresì di essere stato escluso una prima volta dal concorso in parola con decreto del 19.4.2013 in quanto risultava privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. b) del relativo bando poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande (31.12.2012) risultava essere imputato in un procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Nola per effetto dell’atto di citazione diretta in giudizio del 22.11.2012; atto che, tuttavia, successivamente è stato ritenuto non idoneo a far acquistare al ricorrente la qualità di indagato sicchè l’Amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento di esclusione ed ha inserito il ricorrente nella graduatoria finale del concorso tra i vincitori con decreto n. 69 del 16.5.2013.
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto del 26.6.2013 con cui è stato nuovamente escluso dal concorso in parola per i medesimi motivi in quanto, nelle more, era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in data 22.4.2013 per i medesimi fatti; impugna altresì, quale atto presupposto, la medesima clausola del predetto bando (art.3, comma 1, lett. d) che prescriveva che il requisito in questione dovessero essere posseduto “fino alla data di effettivo inizio del corso di formazione”
Il ricorso è affidato a censure con cui si denuncia l’illogicità, irragionevolezza ed illegittimità costituzionale della previsione del bando in questione e dell’art. 635 del COM da esso riprodotta per contrasto con gli artt. 27 co. 2 e 3 co. 1 della Costituzione in quanto, nella sostanza, finisce con l’equiparare l’imputato (e quindi un soggetto che si deve presumere innocente) al medesimo trattamento giuridico del condannato.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva.
Con ordinanza n. 3339/2013 l’istanza di sospensiva è stata respinta per difetto di fumus boni iuris sulla base dei precedenti della Sezione (TAR Lazio, Sez. I bis N. 7277/2014 E 11519/2014) che avevano disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.
Successivamente all’ intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente in data 28.1.2015, il predetto ha ripresentato l’istanza cautelare che è stata tuttavia nuovamente respinta con ordinanza n. 2233 del 28.5.2015. Il Consiglio di Stato con ordinanza n.3781 del 28.8.2015 ha accolto l’appello cautelare solo “ai fini della fissazione della udienza di discussione ai sensi dell’art. 55 vo. 10 CPA” ritenendo immediatamente ravvisabile il fumus boni iuris (ed infatti specifica che “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 in relazione all'evocato contrasto con gli art. 3 comma 1 e 27 comma 2 Cost. richiede delibazione nella sede propria del merito”).
In vista dell’udienza di trattazione del merito il ricorrente ha presentato memoria conclusionale.
All’udienza pubblica del 2.3.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata inizialmente affrontata dalla Sezione con sentenza n. 10943/2015 che ha disatteso la richiesta di “un’interpretazione costituzionalmente orientata delle clausole del bando di concorso in contestazione, finalizzata a renderlo compatibile con l'art. 27 della Costituzione” - che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – ritenendo tale lettura non pertinente in quanto la controversia in esame concerne i requisiti di partecipazione a un concorso e di ammissione a un pubblico impiego, sicchè risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall'art. 27, secondo comma, Cost. e dell'analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia (vedi, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).
Con la medesima sentenza inoltre veniva affrontata la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – recentemente intervenuta a favore di parte ricorrente, riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
La sentenza in parola dava atto anche del recente, più favorevole orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015, secondo cui “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”. In tale ottica è stato annullato il provvedimento di decadenza del 17 giugno 2010, adottato un anno e mezzo prima della sentenza di assoluzione, intervenuta in data 14 dicembre 2011, in considerazione dell“l’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante”.
A quel momento, tuttavia, la Sezione aveva ritenuto di potersi discostare da quella che, allora pareva costituire una isolata decisione osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) - ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico - e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme - oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015).
In quell’occasione, pertanto, la Sezione ha ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato ben tre anni prima; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione, in tal modo ribadendo l’orientamento tradizionale del giudice di appello (cfr., relativamente al trasferimento per incompatibilità di personale già in servizio, Cons. St., Sez. III, 3411/2015, nel senso che “ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento stesso, in base al principio tempus regit actum, deve aversi riguardo alla situazione in fatto ed in diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto (…). A quella data il processo penale per reati connessi ai compiti della qualifica era ancora in corso e della sua pendenza l’ Amministrazione (…) poteva tenere pienamente conto, in ordine ai riflessi sull’immagine dell’ufficio di originaria applicazione del ricorrente e sul sereno adempimento da parte dell’interessato dei compiti di istituto. La sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può, tutt’al più, costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione).
Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015) ritenendo “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098).
In tal modo la Sezione ha condiviso il percorso argomentativo del Supremo Consesso che ha chiarito che la ratio della disposizione del bando in contestazione “può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il ricorrente dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili. Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti. (…). Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità. A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione (…). Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (…) In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo. L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.
Da tale impostazione ermeneutica il Collegio non intende discostarsi nel caso in esame in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio per lesioni personali a seguito di una vicenda scaturita da una lite condominiale per l’uso esclusivo di pertinenze comuni in cui non ha avuto ruolo di colpevole, bensì di ausilio, come si evince dalla sentenza di assoluzione, con formula pienamente liberatoria, che ha ritenuto il ricorrente «totalmente estraneo a tale aggressione (…) in considerazione non solo del fatto che questi è certamente sopraggiunto quando già l’aggressione era conclusa, ma anche dell’atteggiamento del tutto diverso che questi ha assunto … a fronte della patita aggressione della omissis, essendosi cioè subito prestato a darle aiuto».
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, in applicazione dei principi sanciti dall’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente (considerato pure che “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena.
Sussistono tuttavia giusti motivi vista la natura interpretativa della controversia per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in esame e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Marco Metello
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Re: Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

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Marco Metello ha scritto:Per tutti gli utenti del forum comunico la bellissima vittoria ottenuta per mio conto innanzi al Tar Lazio (Sez. 1^ bis), contro il Ministero della Difesa - Comando Generale Arma dei Carabinieri da parte dell'Avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta e Giuseppe Piscitelli (sono stati dei grandi professionisti che ancora una volta hanno dato voce a chi voce non l'aveva piú).



N. 05027/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07532/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7532 del 2013, proposto da:
xxxxxxxx, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Parioli, 55;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
xxxxxxx;
per l'annullamento
della determinazione n. 61/4-43-4-2012 di protocollo del 26 giugno 2013 (notificata l'8 luglio 2013), con la quale il Direttore dell'Ufficio concorsi e contenzioso del Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha escluso il ricorrente "dal concorso, per titoli, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 350 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri, poichè privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. d) del relativo bando; del decreto n. 203 di protocollo del 19 novembre 2012 (divenuto lesivo per il ricorrente soltanto il 18 maggio 2013), con il quale il Direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa ha bandito il concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri; di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e/o conseguenti ai predetti provvedimenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 marzo 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi l’avv. Piscitelli e l’avv. dello Stato Marina Russo per l’Amministrazione resistente.

Il ricorrente premette di aver partecipato al concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri indetto con decreto n. 203 del 19.11.2012. Espone altresì di essere stato escluso una prima volta dal concorso in parola con decreto del 19.4.2013 in quanto risultava privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. b) del relativo bando poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande (31.12.2012) risultava essere imputato in un procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Nola per effetto dell’atto di citazione diretta in giudizio del 22.11.2012; atto che, tuttavia, successivamente è stato ritenuto non idoneo a far acquistare al ricorrente la qualità di indagato sicchè l’Amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento di esclusione ed ha inserito il ricorrente nella graduatoria finale del concorso tra i vincitori con decreto n. 69 del 16.5.2013.
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto del 26.6.2013 con cui è stato nuovamente escluso dal concorso in parola per i medesimi motivi in quanto, nelle more, era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in data 22.4.2013 per i medesimi fatti; impugna altresì, quale atto presupposto, la medesima clausola del predetto bando (art.3, comma 1, lett. d) che prescriveva che il requisito in questione dovessero essere posseduto “fino alla data di effettivo inizio del corso di formazione”
Il ricorso è affidato a censure con cui si denuncia l’illogicità, irragionevolezza ed illegittimità costituzionale della previsione del bando in questione e dell’art. 635 del COM da esso riprodotta per contrasto con gli artt. 27 co. 2 e 3 co. 1 della Costituzione in quanto, nella sostanza, finisce con l’equiparare l’imputato (e quindi un soggetto che si deve presumere innocente) al medesimo trattamento giuridico del condannato.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva.
Con ordinanza n. 3339/2013 l’istanza di sospensiva è stata respinta per difetto di fumus boni iuris sulla base dei precedenti della Sezione (TAR Lazio, Sez. I bis N. 7277/2014 E 11519/2014) che avevano disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.
Successivamente all’ intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente in data 28.1.2015, il predetto ha ripresentato l’istanza cautelare che è stata tuttavia nuovamente respinta con ordinanza n. 2233 del 28.5.2015. Il Consiglio di Stato con ordinanza n.3781 del 28.8.2015 ha accolto l’appello cautelare solo “ai fini della fissazione della udienza di discussione ai sensi dell’art. 55 vo. 10 CPA” ritenendo immediatamente ravvisabile il fumus boni iuris (ed infatti specifica che “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 in relazione all'evocato contrasto con gli art. 3 comma 1 e 27 comma 2 Cost. richiede delibazione nella sede propria del merito”).
In vista dell’udienza di trattazione del merito il ricorrente ha presentato memoria conclusionale.
All’udienza pubblica del 2.3.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata inizialmente affrontata dalla Sezione con sentenza n. 10943/2015 che ha disatteso la richiesta di “un’interpretazione costituzionalmente orientata delle clausole del bando di concorso in contestazione, finalizzata a renderlo compatibile con l'art. 27 della Costituzione” - che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – ritenendo tale lettura non pertinente in quanto la controversia in esame concerne i requisiti di partecipazione a un concorso e di ammissione a un pubblico impiego, sicchè risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall'art. 27, secondo comma, Cost. e dell'analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia (vedi, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).
Con la medesima sentenza inoltre veniva affrontata la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – recentemente intervenuta a favore di parte ricorrente, riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
La sentenza in parola dava atto anche del recente, più favorevole orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015, secondo cui “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”. In tale ottica è stato annullato il provvedimento di decadenza del 17 giugno 2010, adottato un anno e mezzo prima della sentenza di assoluzione, intervenuta in data 14 dicembre 2011, in considerazione dell“l’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante”.
A quel momento, tuttavia, la Sezione aveva ritenuto di potersi discostare da quella che, allora pareva costituire una isolata decisione osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) - ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico - e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme - oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015).
In quell’occasione, pertanto, la Sezione ha ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato ben tre anni prima; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione, in tal modo ribadendo l’orientamento tradizionale del giudice di appello (cfr., relativamente al trasferimento per incompatibilità di personale già in servizio, Cons. St., Sez. III, 3411/2015, nel senso che “ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento stesso, in base al principio tempus regit actum, deve aversi riguardo alla situazione in fatto ed in diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto (…). A quella data il processo penale per reati connessi ai compiti della qualifica era ancora in corso e della sua pendenza l’ Amministrazione (…) poteva tenere pienamente conto, in ordine ai riflessi sull’immagine dell’ufficio di originaria applicazione del ricorrente e sul sereno adempimento da parte dell’interessato dei compiti di istituto. La sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può, tutt’al più, costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione).
Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015) ritenendo “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098).
In tal modo la Sezione ha condiviso il percorso argomentativo del Supremo Consesso che ha chiarito che la ratio della disposizione del bando in contestazione “può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il ricorrente dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili. Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti. (…). Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità. A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione (…). Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (…) In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo. L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.
Da tale impostazione ermeneutica il Collegio non intende discostarsi nel caso in esame in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio per lesioni personali a seguito di una vicenda scaturita da una lite condominiale per l’uso esclusivo di pertinenze comuni in cui non ha avuto ruolo di colpevole, bensì di ausilio, come si evince dalla sentenza di assoluzione, con formula pienamente liberatoria, che ha ritenuto il ricorrente «totalmente estraneo a tale aggressione (…) in considerazione non solo del fatto che questi è certamente sopraggiunto quando già l’aggressione era conclusa, ma anche dell’atteggiamento del tutto diverso che questi ha assunto … a fronte della patita aggressione della omissis, essendosi cioè subito prestato a darle aiuto».
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, in applicazione dei principi sanciti dall’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente (considerato pure che “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena.
Sussistono tuttavia giusti motivi vista la natura interpretativa della controversia per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in esame e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

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Marco Metello ha scritto:
Marco Metello ha scritto:Per tutti gli utenti del forum comunico la bellissima vittoria ottenuta per mio conto innanzi al Tar Lazio (Sez. 1^ bis), contro il Ministero della Difesa - Comando Generale Arma dei Carabinieri da parte dell'Avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta e Giuseppe Piscitelli (sono stati dei grandi professionisti che ancora una volta hanno dato voce a chi voce non l'aveva piú).



N. 05027/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07532/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7532 del 2013, proposto da:
xxxxxxxx, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Parioli, 55;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
xxxxxxx;
per l'annullamento
della determinazione n. 61/4-43-4-2012 di protocollo del 26 giugno 2013 (notificata l'8 luglio 2013), con la quale il Direttore dell'Ufficio concorsi e contenzioso del Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha escluso il ricorrente "dal concorso, per titoli, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 350 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri, poichè privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. d) del relativo bando; del decreto n. 203 di protocollo del 19 novembre 2012 (divenuto lesivo per il ricorrente soltanto il 18 maggio 2013), con il quale il Direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa ha bandito il concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri; di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e/o conseguenti ai predetti provvedimenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 marzo 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi l’avv. Piscitelli e l’avv. dello Stato Marina Russo per l’Amministrazione resistente.

Il ricorrente premette di aver partecipato al concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri indetto con decreto n. 203 del 19.11.2012. Espone altresì di essere stato escluso una prima volta dal concorso in parola con decreto del 19.4.2013 in quanto risultava privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. b) del relativo bando poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande (31.12.2012) risultava essere imputato in un procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Nola per effetto dell’atto di citazione diretta in giudizio del 22.11.2012; atto che, tuttavia, successivamente è stato ritenuto non idoneo a far acquistare al ricorrente la qualità di indagato sicchè l’Amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento di esclusione ed ha inserito il ricorrente nella graduatoria finale del concorso tra i vincitori con decreto n. 69 del 16.5.2013.
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto del 26.6.2013 con cui è stato nuovamente escluso dal concorso in parola per i medesimi motivi in quanto, nelle more, era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in data 22.4.2013 per i medesimi fatti; impugna altresì, quale atto presupposto, la medesima clausola del predetto bando (art.3, comma 1, lett. d) che prescriveva che il requisito in questione dovessero essere posseduto “fino alla data di effettivo inizio del corso di formazione”
Il ricorso è affidato a censure con cui si denuncia l’illogicità, irragionevolezza ed illegittimità costituzionale della previsione del bando in questione e dell’art. 635 del COM da esso riprodotta per contrasto con gli artt. 27 co. 2 e 3 co. 1 della Costituzione in quanto, nella sostanza, finisce con l’equiparare l’imputato (e quindi un soggetto che si deve presumere innocente) al medesimo trattamento giuridico del condannato.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva.
Con ordinanza n. 3339/2013 l’istanza di sospensiva è stata respinta per difetto di fumus boni iuris sulla base dei precedenti della Sezione (TAR Lazio, Sez. I bis N. 7277/2014 E 11519/2014) che avevano disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.
Successivamente all’ intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente in data 28.1.2015, il predetto ha ripresentato l’istanza cautelare che è stata tuttavia nuovamente respinta con ordinanza n. 2233 del 28.5.2015. Il Consiglio di Stato con ordinanza n.3781 del 28.8.2015 ha accolto l’appello cautelare solo “ai fini della fissazione della udienza di discussione ai sensi dell’art. 55 vo. 10 CPA” ritenendo immediatamente ravvisabile il fumus boni iuris (ed infatti specifica che “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 in relazione all'evocato contrasto con gli art. 3 comma 1 e 27 comma 2 Cost. richiede delibazione nella sede propria del merito”).
In vista dell’udienza di trattazione del merito il ricorrente ha presentato memoria conclusionale.
All’udienza pubblica del 2.3.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata inizialmente affrontata dalla Sezione con sentenza n. 10943/2015 che ha disatteso la richiesta di “un’interpretazione costituzionalmente orientata delle clausole del bando di concorso in contestazione, finalizzata a renderlo compatibile con l'art. 27 della Costituzione” - che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – ritenendo tale lettura non pertinente in quanto la controversia in esame concerne i requisiti di partecipazione a un concorso e di ammissione a un pubblico impiego, sicchè risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall'art. 27, secondo comma, Cost. e dell'analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia (vedi, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).
Con la medesima sentenza inoltre veniva affrontata la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – recentemente intervenuta a favore di parte ricorrente, riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
La sentenza in parola dava atto anche del recente, più favorevole orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015, secondo cui “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”. In tale ottica è stato annullato il provvedimento di decadenza del 17 giugno 2010, adottato un anno e mezzo prima della sentenza di assoluzione, intervenuta in data 14 dicembre 2011, in considerazione dell“l’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante”.
A quel momento, tuttavia, la Sezione aveva ritenuto di potersi discostare da quella che, allora pareva costituire una isolata decisione osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) - ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico - e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme - oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015).
In quell’occasione, pertanto, la Sezione ha ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato ben tre anni prima; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione, in tal modo ribadendo l’orientamento tradizionale del giudice di appello (cfr., relativamente al trasferimento per incompatibilità di personale già in servizio, Cons. St., Sez. III, 3411/2015, nel senso che “ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento stesso, in base al principio tempus regit actum, deve aversi riguardo alla situazione in fatto ed in diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto (…). A quella data il processo penale per reati connessi ai compiti della qualifica era ancora in corso e della sua pendenza l’ Amministrazione (…) poteva tenere pienamente conto, in ordine ai riflessi sull’immagine dell’ufficio di originaria applicazione del ricorrente e sul sereno adempimento da parte dell’interessato dei compiti di istituto. La sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può, tutt’al più, costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione).
Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015) ritenendo “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098).
In tal modo la Sezione ha condiviso il percorso argomentativo del Supremo Consesso che ha chiarito che la ratio della disposizione del bando in contestazione “può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il ricorrente dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili. Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti. (…). Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità. A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione (…). Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (…) In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo. L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.
Da tale impostazione ermeneutica il Collegio non intende discostarsi nel caso in esame in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio per lesioni personali a seguito di una vicenda scaturita da una lite condominiale per l’uso esclusivo di pertinenze comuni in cui non ha avuto ruolo di colpevole, bensì di ausilio, come si evince dalla sentenza di assoluzione, con formula pienamente liberatoria, che ha ritenuto il ricorrente «totalmente estraneo a tale aggressione (…) in considerazione non solo del fatto che questi è certamente sopraggiunto quando già l’aggressione era conclusa, ma anche dell’atteggiamento del tutto diverso che questi ha assunto … a fronte della patita aggressione della omissis, essendosi cioè subito prestato a darle aiuto».
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, in applicazione dei principi sanciti dall’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente (considerato pure che “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena.
Sussistono tuttavia giusti motivi vista la natura interpretativa della controversia per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in esame e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

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Il CdS ribalta la sentenza del Tar Lazio e accoglie la tesi del Ministero della Difesa - Amministrazione -
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1) - esclusione dalla rafferma biennale e dalla partecipazione all'immissione in SPE

2) - immissione dei volontari in ferma quadriennale al servizio permanente

3) - “per il reato di rissa è stato citato in giudizio (art. 552 c.p.p.), ma non rinviato a giudizio (art. 429 c.p.p.) e la sospensione dal servizio che lo ha riguardato è stata di natura obbligatoria e non disciplinare”.

Leggete tutto il resto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201701969
- Public 2017-04-28 -


Pubblicato il 28/04/2017

N. 01969/2017 REG.PROV.COLL.
N. 03632/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3632 del 2016, proposto da:
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giancarlo Viglione, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere dei Mellini, 17;

per la riforma
della sentenza breve del TAR Lazio, sez. I-bis, n. 663/2016, resa tra le parti e concernente esclusione dell’appellato dalla rafferma biennale e dalla partecipazione all'immissione in SPE nell’Aeronautica Militare;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Natale (avv. Stato) e Viglione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, il Ministero della Difesa impugna la sentenza 21 gennaio 2016 n. 663, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I-bis, in accoglimento del ricorso proposto dal signor -OMISSIS- ha annullato i provvedimenti con i quali lo stesso è stato escluso dalla rafferma biennale e dalla partecipazione all’immissione nel servizio permanente dell’Aeronautica Militare.

La sentenza impugnata – considerato che l’-OMISSIS- era divenuto, con decorrenza 7 giugno 2012, “primo aviere”, corrispondente a caporal maggiore, qualifica per la quale “è necessario, ai fini dell’esclusione della rafferma biennale, l’intervenuta condanna o il rinvio a giudizio, ex art. 3, co. 1, D.M. 8 luglio 2005 – ha affermato che “non appaiono sussistere le condizioni per la sua esclusione dalla rafferma e dalla conseguente partecipazione alla immissione dei volontari in ferma quadriennale al servizio permanente nell’Aeronautica Militare per il 2014”.

Ciò in quanto, secondo la sentenza, il ricorrente – che ha assunto la qualifica di primo aviere in data precedente ai provvedimenti impugnati – “per il reato di rissa è stato citato in giudizio (art. 552 c.p.p.), ma non rinviato a giudizio (art. 429 c.p.p.) e la sospensione dal servizio che lo ha riguardato è stata di natura obbligatoria e non disciplinare”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 3, co. 1, lett. d) ed e) del D.M. 8 luglio 2005 e degli artt. 60, 429 e 552 c.p.p.; ciò in quanto:

a) la sentenza “non si è avveduta dell’equivalenza tra il decreto di citazione a giudizio, emesso ai sensi dell’art. 552 c.p.p. ed il decreto che dispone il giudizio, emesso ai sensi dell’art. 429 c.p.p.”, atti che introducono entrambi “la fase del giudizio vero e proprio”, con la sola differenza che, nei casi di citazione diretta a giudizio, “l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero non è sottoposto al vaglio del giudice dell’udienza preliminare”;

b) inoltre, ai fini della verifica della sussistenza di impedimenti ex art. 3, co. 1, lett. e) D.M. 8 luglio 2005 (non esservi stati provvedimenti di sospensione dal servizio nel corso della ferma), la qualificazione del provvedimento di sospensione come atto avente natura obbligatoria, non disciplinare “è palesemente irrilevante, giacchè l’adozione da parte dell’amministrazione di un provvedimento di sospensione dall’impiego, quale che ne sia la natura giuridica, vale ex se a legittimare l’esclusione dalla partecipazione al concorso in questione e la concessione di una rafferma biennale al militare nei cui confronti sia stato adottato siffatto provvedimento”.

Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS--, che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Con ordinanza 15 luglio 2016 n. 2814, questa Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, “ai limitati fini di una tempestiva disamina della questione di merito . . . anche in relazione al parere reso dalla II sez. di questo Consiglio su fattispecie analoga (n. 2627 del 17 settembre 2015)”.

All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.

Ai fini di una migliore comprensione del thema decidendum, occorre precisare che la presente controversia trae origine dall’intervenuto decreto di citazione a giudizio del signor -OMISSIS-, innanzi al Giudice monocratico del Tribunale di Potenza, per il reato di rissa.

In ragione di ciò, l’-OMISSIS-, in servizio nelle Forze Armate sin dal 2008:

- non veniva promosso al grado di “primo aviere”;

- vedeva non accolta l’istanza di rafferma biennale (novembre 2014);

- veniva escluso dall’immissione in servizio permanente dell’Aeronautica Militare, che ha quale presupposto l’accoglimento dell’istanza di rafferma biennale.

Il primo dei tre provvedimenti è stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ed è stato accolto con decreto 4 novembre 2015, emesso sulla base del parere di questo Consiglio di Stato, sez. II, reso nell’adunanza del 26 agosto 2015.

Gli altri due provvedimenti sono stati impugnati con due distinti ricorsi giurisdizionali, riuniti e decisi con la sentenza appellata nella presente sede.

In particolare, quanto al primo di essi, l’istanza di rafferma biennale non veniva accolta poichè – in disparte il mancato possesso della qualifica di primo aviere (poi conseguita, con retrodatazione, per effetto dell’accoglimento del ricorso straordinario) – l’-OMISSIS- risultava essere destinatario di un decreto di citazione a giudizio e di un provvedimento di sospensione precauzionale dall’impiego a titolo obbligatorio dal 1 al 4 gennaio 2011.

Ciò in contrasto con l’art. 3, co. 1, lett. d) ed e) del Decreto del Ministro della Difesa 8 luglio 2005, in base al quale occorre, tra gli altri requisiti di ammissione alla rafferma, il “non avere riportato condanne penali per delitti non colposi né risultare essere rinviati a giudizio o ammessi a riti alternativi per delitti non colposi”, nonché il “non essere stati sospesi dal servizio nel corso della ferma”.

Quanto al secondo provvedimento, l’esclusione dalla immissione dei volontari in servizio permanente dell’Aeronautica Militare era determinata sia dal fatto che l’-OMISSIS- non risultava essere “più in servizio quale volontario in ferma prefissata quadriennale”, sia dal fatto che egli non aveva il requisito “consistente nel non essere stato condannato per delitti non colposi ovvero non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi”.

E ciò in violazione del paragrafo 3, sottoparagrafo a), rispettivamente 2° e 7° alinea della circolare Ministero della difesa 4 marzo 2014.

La sentenza appellata, con riferimento ad entrambi i provvedimenti impugnati, ha rilevato l’insussistenza dei presupposti per la loro adozione, poiché il ricorrente (attuale appellato) “per il reato di rissa è stato citato in giudizio (art. 552 c.p.p.), ma non rinviato a giudizio (art. 429 c.p.p.) e la sospensione dal servizio che lo ha riguardato è stata di natura obbligatoria e non disciplinare”.

3. La questione di diritto che costituisce il tema centrale della presente controversia è rappresentata, dunque, dalla corretta interpretazione dell’art. 3, co. 1, lett. d) ed e) del D.M. 8 luglio 2005, che prevede, tra i requisiti per l’ammissione alla rafferma biennale (propedeutica anche per la successiva immissione in servizio permanente):

- lett. d): “non avere riportato condanne penali per delitti non colposi né risultare essere rinviati a giudizio o ammessi a riti alternativi per delitti non colposi”;

- lett. e): “non essere stati sospesi dal servizio nel corso della ferma”.

Secondo la sentenza impugnata (come è desumibile dalla pur sintetica motivazione della stessa), la citazione a giudizio, ricevuta dall’-OMISSIS-, non equivale a rinvio a giudizio (ed è dunque inidonea ad integrare l’elemento ostativo di cui alla lett. d), così come non sussiste l’elemento ostativo sub lett. e), poiché occorre una sospensione “disciplinare” e non “obbligatoria” (per effetto, come nel caso di specie, dell’intervenuto arresto dell’interessato).

L’appellante amministrazione, invece, per il tramite dei motivi di appello proposti, sostiene da un lato, la sostanziale equivalenza del decreto di citazione a giudizio con il rinvio a giudizio e, dall’altro lato, ritiene che costituisca elemento ostativo una qualsivoglia sospensione dal servizio, non riferendosi la norma – più restrittivamente – alla sola sospensione disciplinare.

Occorre, inoltre, ricordare che questo Consiglio di Stato, sez. II, con parere n. 435/2015, reso nell’Adunanza del 26 agosto 2015, ricordato anche dalla ordinanza n. 2814/2016 - e proprio con riferimento alla situazione oggetto anche della presente controversia -, nel dichiarare fondate le censure proposte, ha affermato:
“ Il decreto di citazione a giudizio può essere ritenuto equivalente, ai fini della disposizione in commento, alla richiesta di rinvio a giudizio, ma non anche alla sentenza di rinvio a giudizio, cui fa evidente riferimento l’art. 1051, co. 2, lett. a) d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66.

Difatti, il decreto di citazione a giudizio è uno dei modi in cui il P.M. esercita l’azione penale al termine delle indagini preliminari (art. 405), ed è emesso direttamente dal P.M. per citare a giudizio l’imputato innanzi al Tribunale monocratico, per i reati previsti dall’art. 550 c.p.p. . . .

Poichè i reati presi in considerazione ai fini del decreto di citazione a giudizio, rispetto a tutti gli altri che possono essere oggetto del rito ordinario attraverso la sentenza di rinvio a giudizio, si rivelano tendenzialmente di minore gravità di questi ultimi, non essendo per i primi previsto il filtro del passaggio al giudice delle indagini preliminari, deve escludersi, ai fini dell’art. 1051, co. 2, lett. a) cit., l’equivalenza tra decreto di citazione a giudizio e il rinvio a giudizio, a meno di non voler adottare una interpretazione non conforme al principio di eguaglianza”.

4. La Sezione, pur consapevole dell’orientamento espresso da questo Consiglio di Stato in sede consultiva (e proprio con riferimento al medesimo caso costituente “presupposto” degli atti oggetto del presente giudizio, sia pure esaminato per finalità amministrative differenti), ritiene che l’essere stato destinatario, come nel caso di specie, di un decreto di citazione a giudizio rientri nell’elemento ostativo di cui all’art. 3, co. 1, lett. d) del D.M. 8 luglio 2005; così come qualsiasi “sospensione dal servizio”, e non solo quella avente natura disciplinare, integri l’elemento ostativo di cui alla lett. e) della disposizione predetta.

Quanto al citato art. 3, co. 1, lett. d), occorre osservare come lo stesso richiami sia la condanna penale riportata per delitti non colposi (da ritenersi, in mancanza di ulteriori indicazioni, anche come condanna non definitiva), sia le ipotesi di “rinvio a giudizio” ovvero di “ammissione a riti alternativi”, sempre per delitti non colposi.

L’art. 405 c.p.p. prevede che il pubblico ministero eserciti l’azione penale:

- o con richiesta di rinvio a giudizio, la quale, a seguito dell’udienza preliminare, può dar luogo ad una sentenza di non luogo a procedere o ad un decreto che dispone il giudizio, ai sensi degli artt. 424 e 429 c.p.p.;

- ovvero formulando l’imputazione nei casi previsti nei titoli II (applicazione della pena su richiesta delle parti), III (giudizio direttissimo), IV (giudizio immediato) e V (procedimento per decreto) del Libro VI.
Inoltre, ai sensi dell’art. 550 c.p.p. il pubblico ministero esercita altresì l’azione penale con la citazione diretta a giudizio, disposta con decreto (art. 552), oltre che nei casi singolarmente indicati al comma 2, “quando si tratta di contravvenzioni ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva”.

A questi ultimi casi – tutti costituenti “procedimenti speciali”, ai sensi del libro VI della Parte II del c.p.p. - occorre aggiungere, quale ulteriore ipotesi di tale genere di procedimenti, anche l’ipotesi di giudizio abbreviato che, ai sensi dell’art. 438 e segg. C.p.p. può essere richiesto dall’imputato in sede di udienza preliminare, perché il processo sia ivi definito allo stato degli atti.

Orbene, la lett. d) dell’art. 3, co. 1, D.M. 8 luglio 2005, in disparte il caso di intervenuta condanna, richiede, ai fini dell’ammissione alla rafferma biennale, che il soggetto non risulti rinviato a giudizio (il che avviene, come si è detto, con il decreto che dispone il giudizio all’esito dell’udienza preliminare) ovvero che lo stesso non sia stato ammesso a riti alternativi (dovendosi intendere per tali i procedimenti speciali innanzi richiamati), in ambedue le ipotesi per delitti non colposi.

All’ipotesi, dunque, del rinvio a giudizio si affianca anche quella della ammissione ai riti alternativi; e con la stessa è da ritenere che si intendono indicare tutti i casi in cui il soggetto abbia assunto la qualifica di imputato, per effetto dell’esercizio dell’azione penale da parte del P.M..

E ciò in quanto solo con tale interpretazione è possibile “unificare” e rendere oggettivamente identificabile la situazione processuale indicata dalla norma.

Ed infatti, qualora si intenda affermare che il riferimento alla “ammissione” ai riti alternativi indichi solo le ipotesi in cui vi sia stata positiva delibazione del giudice in ordine al ricorso a tali procedimenti speciali, si ottiene di ricomprendere (nel novero dell’elemento ostativo) – e senza alcuna ragionevole giustificazione - i casi di giudizio abbreviato (art. 438 c.p.p.) e di giudizio immediato (art. 455 c.p.p.), ma, al tempo stesso, si perviene ad escludere, oltre al caso di citazione diretta a giudizio, anche il caso di giudizio direttissimo (art. 449 ss. c.p.p.), con la conseguenza che un soggetto, imputato di delitti anche gravi, pur tratto immediatamente innanzi al giudice, non potrebbe essere escluso per ciò solo dalla rafferma biennale.

Ed è inoltre da notare che, nell’ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’art. 448 c.p.p. prevede che il giudice, se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta, “pronuncia immediatamente sentenza”, di modo che anche a tale ipotesi di “rito alternativo” mal si attaglia l’interpretazione innanzi riportata.

Né è possibile sostenere che la scelta tra l’una e l’altra delle situazioni processuali (nel senso di considerare favorevolmente l’ipotesi di rinvio a giudizio ed escludere, in tutto o in parte, le altre si fonda sulla maggiore o minore gravità dei reati considerati, poiché è agevole osservare come nel caso di giudizio direttissimo possono ricorrere ipotesi di gravi delitti, così come anche nel caso di citazione diretta a giudizio possono ricorrere ipotesi di reati di non lieve entità (ad esempio, i delitti di rissa, furto aggravato, ricettazione, etc.).

Alla luce di quanto esposto, occorre ritenere che l’art. 3, co. 1, lett. d) D.M. 8 luglio 2005, laddove prevede, quale elemento ostativo per l’ammissione alla rafferma biennale, quello di “non avere riportato condanne penali per delitti non colposi né risultare essere rinviati a giudizio o ammessi a riti alternativi per delitti non colposi”, intende escludere tutti coloro che abbiano riportato condanne, anche non definitive, per delitti non colposi, ovvero coloro che abbiano assunto la qualifica di imputato, per effetto dell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.

Né tale interpretazione si pone in contrasto con il principio di tassatività delle clausole di esclusione (ricordato dall’appellato: v. pag. 14 memoria del 7 luglio 2016), in quanto essa costituisce interpretazione del dato normativo espresso (“non essere stati ammessi a riti alternativi per delitti non colposi”), onde verificare se il caso considerato vi rientri in via immediata e diretta, e non in applicazione analogica della norma ad un caso distinto (ma analogo) a quello rappresentato.

E’ appena il caso di ricordare che l’interpretazione analogica attiene ai metodi di integrazione del diritto (ed è quindi, secondo talune ricostruzioni, un atto di costruzione normativa), mentre l’interpretazione (anche) estensiva rientra nei metodi interpretativi propriamente detti.

D’altra parte, anche con riguardo alle norme penali, la giurisprudenza ritiene non consentita l’applicazione analogica, mentre ammette l’interpretazione estensiva (Cass. Pen., sez. un., 25 giugno 2009 n. 38691; sez. III, 22 ottobre 2009 n. 43385 e 13 luglio 2009 n. 39078).

5. Quanto all’ulteriore elemento ostativo all’ammissione alla rafferma biennale, rappresentato, ai sensi della lett. e) dell’art. 3, co. 1, D.M. 8 luglio 2005, dal “non essere stati sospesi dal servizio nel corso della ferma”, occorre rilevare come non sussistano elementi per ritenere che il riferimento alla sospensione debba essere limitato alla sola sospensione disciplinare e non anche a quella obbligatoria, come nel caso di quella conseguente alla perdita dello status libertatis del militare.

Tale interpretazione, oltre a non essere consentita dal tenore letterale della norma, non appare giustificata sul piano logico-sistematico, poiché porta a ritenere possibile l’ammissione alla rafferma biennale di un militare colpito da provvedimento di custodia cautelare, anche per gravi reati, ancorché non sia stata ancora esercitata l’azione penale.

Ovviamente, laddove, anteriormente al momento in cui l’esistenza (o meno) dell’elemento ostativo deve essere verificata, vi sia stata non solo la revoca del provvedimento di sospensione obbligatoria per sopravvenuto difetto del presupposto (ad esempio, cessazione dello stato di detenzione), ma anche un giudizio negativo dell’esistenza stessa di detto presupposto (ad esempio, una sentenza di proscioglimento con formula piena), ciò comporta che il “fatto storico” della sospensione non possa assumere rilievo e dunque porsi quale elemento impeditivo all’ammissione alla rafferma biennale.

6. Nel caso di specie, l’appellato risulta destinatario di un decreto di citazione a giudizio per il reato di rissa e risulta altresì essere stato sospeso dal servizio nel corso della ferma, in conseguenza del suo arresto. Né, allo stato degli atti, risulta che lo stesso sia stato prosciolto con formula ampia dal reato contestatogli.

Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, risultano dunque ricorrere, nel caso di specie, entrambi gli elementi ostativi all’ammissione alla ferma biennale, di cui alle lettere d) ed e) dell’art. 3, co. 1, D.M. 8 luglio 2005.

Ciò comporta che, ai fini della esclusione dalla immissione dei volontari in servizio permanente dell’Aeronautica Militare (secondo provvedimento impugnato) risulta il difetto del requisito della permanenza in servizio, condizione indispensabile a tali fini.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello del Ministero della Difesa deve essere accolto, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, devono essere respinti i ricorsi instaurativi dei giudizi di I grado, riuniti ed accolti con la predetta sentenza.

Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero della Difesa (n. 3632/2016 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta i ricorsi instaurativi dei giudizi di I grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ………….

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oberdan Forlenza Filippo Patroni Griffi





IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Marco Metello
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Re: Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

Messaggio da Marco Metello »

Panorama, la Sentenza del Consiglio di Stato da te menzionata non ha nulla a che vedere con la mia sentenza passata in giudicato a seguito della quale il Ministero della Difesa è stato costretto a ricostruirmi la carriera.
Tra l'altro, io appartengo all'Arma dei Carabinieri e NON l'A.M....

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Re: Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma

Messaggio da panorama »

Senz'altro non ha nulla a che fare con i tuoi fatti ma, visto che si parla di concorsi/corsi interni ritengo che l'informazione serva prima che uno intraprenda le via legali o se si vuole partecipare, appunto, ai concorsi/corsi trovandosi con problemi di giustizia, anche non definitivi.
Ciao
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