Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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Articolo 55 septies, comma 5 ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e Circolare n. MD GMIL 0902036 in data 23 aprile 2014 del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare.
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Re: Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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Annullata la circolare F.P. n. 2/2014. No all’utilizzo di permessi personali in caso di visite mediche, esami e accertamenti diagnostici.
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IL TAR LAZIO precisa:

1) - Ne consegue, quindi, che la circolare impugnata, operando direttamente nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, è illegittima per quanto dedotto essenzialmente e in misura assorbente nel primo motivo di ricorso, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti.

2) - Per quanto dedotto, perciò, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della circolare impugnata, laddove impone alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/01 di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore).

N.B.: sono 2 sentenze che annullano la circolare della Funzione Pubblica.
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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201505714 - Public 2015-04-17 -


N. 05714/2015 REG.PROV.COLL.
N. 08500/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8500 del 2014, proposto da:
Federazione Lavoratori della Conoscenza -Cgil, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Isetta Barsanti Mauceri e Francesco Americo, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, Via Cosseria, 2;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento, previa sospensiva,
della Circolare n. 2 adottata dal Dipartimento della Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio in data 17.02.2014, pubblicata in GU Serie generale n. 85 dell'11.4.2014, nonchè dei provvedimenti attuativi ancorchè non conosciuti di data ignota e non comunicati e di ogni atto presupposto, connesso e conseguente

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica;
Vista la memoria difensiva della ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 25 febbraio 2015 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, la Federazione Lavoratori della Conoscenza-CGIL (FLC-CGIL) chiedeva l’annullamento, previa sospensione, della circolare in epigrafe.

In particolare, tale disposizione, rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni, era inerente all’applicazione dell’art. 55-septies, comma 5 ter, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, l. n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16 bis, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013. Tale norma prevede ora che “Nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”.

Tale testo legislativo, nella sua precedente conformazione, prevedeva invece - per quel che rileva nella presente sede - l’espressione “l'assenza è giustificata” in luogo di quella “il permesso è giustificato” e dopo le parole "di attestazione" non prevedeva l’espressione “anche in ordine all'orario”.

Ebbene, sulla base della novella legislativa in questione, il Dipartimento della Funzione Pubblica adottava la suddetta circolare ove era precisato tra l’altro che, a seguito della sua entrata in vigore, “…per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)…”; a tale osservazione seguivano poi ulteriori indicazioni in merito alle modalità di compilazione dell’attestazione in questione.

La FLC-CGIL, quindi, premettendo che il suo interesse all’impugnazione, in base alle disposizioni del suo Statuto, era quello di tutelare gli interessi di tutti i lavoratori della scuola statale, dell’università e degli enti pubblici di ricerca nonché delle accademie di belle arti e dei conservatori di musica statale in relazione a un valore costituzionalmente protetto quale era il diritto alla salute, evidenziava che il personale di tali comparti si era domandato subito se per l’espletamento delle prestazioni indicate dalla norma era necessario richiedere un “permesso” ovvero, previa certificazione medica, un giorno di assenza per motivi di salute, nelle ipotesi di prestazione diagnostica non legata ad uno stato di malattia temporaneamente invalidante, tenuto conto delle diverse conformazioni dei permessi orari complessivi previsti per i vari comparti, di cui faceva una ricostruzione succinta.

In particolare, secondo la ricostruzione della Federazione ricorrente, con riferimento al comparto scuola, in base all’impugnata circolare il relativo personale sarebbe stato costretto a utilizzare i tre giorni annui di permessi personali o, per patologie gravi con terapie e trattamenti lunghi, a chiedere giorni di ferie.
Per tale ragione, la FLC-CGIL lamentava, in sintesi, quanto segue.

“1. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 4 comma 16 bis del decreto legge 101/2013 nonché del principio di gerarchia delle fonti. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento delle circostanze, sviamento”.

Il Dipartimento della Funzione Pubblica aveva ritenuto di dover interpretare la norma nei confronti della generalità dei dipendenti pubblici e non in relazione a quei soli comparti ove vi poteva essere qualche dubbio interpretativo.

La circolare impugnata, nell’introdurre la locuzione “permessi”, non aveva considerato che la disposizione normativa di riferimento utilizzava tale termine in senso generico e quale modifica tecnica volta a stabilire che la giustificazione era da riferirsi al permesso richiesto e non all’assenza in quanto tale, con la conseguenza che ciò che doveva essere dimostrato, ai fini dell’esercizio del diritto, non era lo stato morboso (malattia in senso stretto) ma il titolo (appunto, il permesso) che aveva determinato l’insorgenza del diritto stesso (visita specialistica o esame clinico dall’esito, auspicabilmente, anche negativo). Poiché nell’ipotesi di mancato riscontro di patologie la giustificazione dell’assenza non poteva consistere in una certificazione medica di attestazione di stato patologico, come nelle assenza “per malattia”, per tale ragione il legislatore si riferiva genericamente al “permesso”.

Inoltre, l’interpretazione dell’Amministrazione non considerava l’ipotesi di sottoposizione, in caso invece di gravi patologie, a frequenti controlli e visite e la conseguente insufficienza del numero di permessi per ragioni personali.

In tal senso, la circolare, quale fonte “sotto ordinata” alla legge, non poteva introdurre limiti non previsti dalla norma primaria, secondo la conclusione cui è da tempo pervenuta la giurisprudenza amministrativa e della Corte di Cassazione, fermo restando che essa non vincolerebbe la stessa Autorità emanante né potrebbe creare obblighi per sé e per i giudici, ponendosi altrimenti in contrasto con l’art. 23 Cost.
“2. Eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti, travisamento delle circostanze di fatto, illogicità ed ingiustizia manifesta”.

I “permessi” regolamentati nei rispettivi contratti di comparto hanno una finalità del tutto diversa da quella relativa alla cura dello stato di salute e anche per la loro esiguità non possono essere estesi ad altri scopi.

“Violazione art. 97 e 32 della Cost.”.

La Federazione ricorrente riteneva che una diversa interpretazione fondata sulla lettera dell’art. 16 bis cit. risulterebbe in contrasto con gli artt. 32 e 97 Cost., perché in violazione del diritto alla salute e all’integrità fisica e psichica dell’individuo.

Si costituiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri con atto di mera forma.

La domanda cautelare, su istanza di parte, era rinviata alla trattazione del merito.

La Federazione ricorrente depositava una memoria a sostegno ulteriore delle proprie tesi difensive e, alla pubblica udienza del 25 febbraio 2015, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio rileva la fondatezza delle tesi della Federazione ricorrente, nel senso che si va a illustrare.

In primo luogo, si ritiene opportuno precisare che l’utilizzo della parola “permesso”, in luogo della seconda espressione “assenza” invece presente nel precedente testo, non è stato logicamente introdotto a meri fini linguistici, per evitare una ripetizione dello stesso concetto, ma per fare riferimento a modalità di regolazione della mancata prestazione lavorativa legate agli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza diversi dalla malattia intesa come stato patologico in atto.

La norma infatti, già peraltro nella prima stesura, fa riferimento non solo a “terapie” e “prestazioni specialistiche”, che potrebbero ben collegarsi a stati patologici, ma anche a generiche “visite” ed “esami diagnostici”, che tali stati – auspicabilmente peraltro – potrebbero non rilevare.

E’ evidente, infatti, che un soggetto può sottoporsi a indagini diagnostiche per mero fine esplorativo nonché a visita medica a mero scopo preventivo e/o di controllo di uno stato di buona salute.

Non appare quindi rilevante ai presenti fini ogni richiamo alla normativa (già esistente) che regola lo stato di “malattia” e i collegati diritti costituzionalmente protetti, che non appaiono messi in discussione dalla novella legislativa, la quale – si ribadisce – appare posta al fine di regolare situazioni di assenza dal lavoro non direttamente collegate ad uno stato patologico acclarato.

In sostanza, da un punto di vista sistematico, la novella in questione è stata disposta perché si erano spesso riscontrate anomalie nel ricorso all’istituto della “assenza per malattia” da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata.

Ciò non toglie, comunque, che in caso di effettiva patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante, a sua discrezionale valutazione tecnica, ritiene una (sia pure temporanea) inabilità al lavoro del dipendente, l’assenza è giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione e tale circostanza si manifesta certamente ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico curante ritenga sussistente uno stato patologico o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante.

Per quanto evidenziato, quindi, nè la circolare impugnata né - tantomeno - la legge hanno inteso sopprimere l’istituto dell’assenza per malattia, che continua ad essere applicabile, così come continuano ad essere applicabili, in tal caso, l’art. 71 l. n. 133/08 nonché le norme dei CCNL sul punto.

Sotto tale profilo, quindi, può concludersi nel senso che la volontà del legislatore, nell’utilizzare la parola “permesso” in luogo di “assenza”, non può che essere ricondotta all’istituto giuridico rappresentato dai “permessi” e non all’istituto dell’assenza per malattia, in quanto la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non necessariamente presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica che la attesti.

Ne consegue, però, che non può ritenersi, come invece desumibile dalla circolare impugnata, che il riferimento ai “permessi” debba essere inserito “sic et simpliciter” nell’ambito della normativa contrattale collettiva vigente, senza alcuna modifica e/o integrazione.

Il Collegio, infatti, osserva che la norma di cui all’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, nell’attuale conformazione, non fa alcun riferimento in questo senso, limitandosi ad affermare – appunto - che “il permesso” è giustificato mediante la presentazione di una determinata attestazione.

Il Collegio ritiene che se il legislatore avesse voluto dire quanto sostenuto dalle Amministrazioni resistenti, avrebbe fatto uso di locuzioni del tipo “il permesso regolato dai vigenti contratti collettivi nazionali di comparto” o simili e non avrebbe utilizzato genericamente la locuzione “il permesso”.

Ciò vuol dire che un’interpretazione logicamente e sistematicamente orientata dalla norma non può essere quella proposta con la circolare impugnata, che direttamente ritiene di richiamare i permessi per “documentati motivi personali secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)”.

Ciò perché, evidentemente, tali permessi, e la relativa contrattazione di comparto, erano stati individuati nella vigenza della normativa precedente, che non faceva distinzione sull’assenza per malattia, come sopra evidenziato. E’ chiaro che tali “permessi” riguardavano la necessità di assentarsi dal lavoro per le ragioni più varie (indicate anche dalla Federazione sindacale ricorrente) ma non anche per le assenze per terapie e simili di cui all’art. 55-septies cit. allora vigente.

L’utilizzo imposto immediatamente di tale tipo di permessi comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di “assenza per malattia” prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali “permessi” per documentati motivi personali” diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.

Ne consegue, ad opinione del Collegio, che la novella legislativa in esame non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.

Tale conclusione appare confermata dalla stessa Amministrazione, secondo la documentazione depositata in diverso giudizio avente ad oggetto anche la medesima impugnativa in questa sede trattata e di cui il Collegio può avvalersi, laddove lo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica ha inviato a vari enti, una “Ipotesi di atto di indirizzo quadro all’ARAN per la sottoscrizione di un CCNQ in materia di rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti”, sulla base delle “stratificazioni regolative in materia” che hanno indotto nel tempo “problematiche interpretative di diversa natura”.

Nello specifico, è evidenziata proprio la problematica relativa alla novella dell’art. 55-septies, comma 5.ter, cit., laddove si sottolinea che “Le assenze dal servizio per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici richiedono una specifica disciplina contrattuale, con carattere di omogeneità per tutti i comparti e le aree di contrattazione” e che “Tali assenze presentano la caratteristica di non essere assimilabili in tutto all’assenza per malattia, in quanto manca il presupposto della patologia in atto e di essere entro certi limiti giustificabili per la particolare causa, consistente nella esigenza di cura o di prevenzione”. Segue poi una dettagliata descrizione delle ipotesi di individuazione di specifici permessi legati a tale tipologia di assenza, diversi da quelli già previsti dalla contrattualistica vigente e ideati per scopi ulteriori, nella vigenza della normativa precedente all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 16-bis, d.l. n. 101/13, conv. in l. n. 125/13, nonché una dettagliata descrizione dell’oggetto della futura contrattazione relativa a congedi parentali, per maternità, monte-ore”.

Ne consegue, quindi, che la circolare impugnata, operando direttamente nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, è illegittima per quanto dedotto essenzialmente e in misura assorbente nel primo motivo di ricorso, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti.

Per quanto dedotto, perciò, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della circolare impugnata, laddove impone alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/01 di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore).

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la circolare impugnata nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giulia Ferrari, Presidente FF
Raffaello Sestini, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/04/2015

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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201505711 - Public 2015-04-17 -


N. 05711/2015 REG.PROV.COLL.
N. 07765/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7765 del 2014, proposto da:
L. F., S. D., M. M. nonchè UIL - Ricerca Università AFAM, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall'avv. Dino Dei Rossi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via G.G. Belli, 36;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento, previa sospensione,
- della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2/2014 del 17.2.2014 avente ad oggetto "decreto legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito in legge n. 125 del 30 ottobre 2013 - Disposizioni urgenti per il perseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni" - art. 4 comma 16 bis - assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici";

- della direttiva del Consiglio Nazionale delle Ricerche del 3 aprile 2014 avente ad oggetto "Assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici - art. 4 comma 16 bis del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2/2014";

- di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e consequenziali, ivi compresa la nota del Consiglio Nazionale delle Ricerche n. 0027311 del 7.4.2014 di trasmissione della precedente direttiva del 3.4.2014.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica e del CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche, con la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 25 febbraio 2015 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i sig.ri L. F., S. D. e M. M., quali dipendenti del C.N.R., e la UIL – Ricerca Università AFAM, quale Organizzazione sindacale firmataria dei cc.nn.ll. del comparto ricerca e maggiormente rappresentativa all’interno del CNR (UIL RUA), chiedevano l’annullamento, previa sospensione, della circolare e della direttiva in epigrafe.

In particolare, la circolare n. 2/2014, rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni, era inerente all’applicazione dell’art. 55-septies, comma 5 ter, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, l. n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16 bis, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013. Tale norma prevede ora che “Nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”.

Tale testo legislativo, nella sua precedente conformazione, prevedeva invece - per quel che rileva nella presente sede - l’espressione “l'assenza è giustificata” in luogo di quella “il permesso è giustificato” e dopo le parole "di attestazione" non prevedeva l’espressione “anche in ordine all'orario”.

Ebbene, sulla base della novella legislativa in questione, il Dipartimento della Funzione Pubblica adottava la suddetta circolare ove era precisato tra l’altro che, a seguito della sua entrata in vigore, “…per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)…”; a tale osservazione seguivano poi ulteriori indicazioni in merito alle modalità di compilazione dell’attestazione in questione.

Dal canto suo il C.N.R. emanava la direttiva in epigrafe con la quale, in riferimento alla circolare, specificava che “…alla luce della nuova disposizione, per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire: - dei permessi per documentati motivi personali previsti dall’art. 8, co 1, lettera d), del CCNL del 21/02/2002; - oppure per le ore eccedenti i permessi retribuiti o qualora gli stessi siano stati già fruiti, delle ore lavorate in eccesso…”..

I ricorrenti, quindi, richiamando tali atti e riportando il testo dell’art. 8 CCNL cit. e delle altre normative operanti in punto di assenza per malattia, lamentavano, in sintesi, quanto segue.

“I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 55-septies, comma 5-ter, del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 come novellato dall’art. 16-bis del decreto legge 31.8.2013 n. 101 convertito in legge 30.10.2013 n. 125. Eccesso di potere per falsità nei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà”.

Il legislatore – secondo la ricostruzione dei ricorrenti – con l’utilizzo della locuzione “permesso” voleva solo evitare la ripetizione della parola “assenza” di cui al testo precedente e non fare riferimento ai permessi di cui all’art. 8 CCNL cit., di numero limitato e previsti per specifiche incombenze (nascita figli o gravi motivi personali, per un massimo di tre giorni o 18 ore in totale, non cumulabili), come invece desumibile dalla circolare e dalla direttiva impugnate.

La conclusione cui pervenivano i ricorrenti era legata a un profilo letterale, in quanto la locuzione “il permesso” non era seguita da alcuna specificazione ulteriore che avrebbe giustificato l’interpretazione invece evidenziata dall’Amministrazione (ad es. la specificazione: “regolamentato dai contratti collettivi nazionali di lavoro”), nonché a un profilo sistematico, in quanto l’art. 71 l. n. 133/2008, concernente la regolamentazione delle assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti della pp.aa., non risultava abrogato e non prevedeva alcuna correlazione tra l’assenza per malattia e la concessione di un “permesso”.

“II. Violazione dell’art. 71 della legge 6.8.2008 n. 133. Sotto altro profilo, violazione e falsa applicazione dell’art. 55-septies, comma 5-ter, del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 come novellato dall’art. 16-bis del decreto legge 31.8.2013 n. 101 convertito in legge 30.10.2013 n. 125. Eccesso di potere per falsità nei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà”

L’assenza per malattia per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici è sempre giustificata in quanto tale, trattandosi dell’espletamento di un diritto del dipendente pubblico tutelato dall’art. 32 Cost., ferma restando la sola mera decurtazione economica nei primi dieci giorni di assenza per tale motivo, di cui all’art. 71 l. n. 133/08 cit., per cui, anche sotto tale profilo, il richiamo ai permessi di cui all’art. 8 CCNL cit. appariva illegittimo.

“III. Sotto altro profilo, violazione dell’art. 71 della legge 6.8.2008 n. 133 e dell’art. 55-septies, comma 5 ter, del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 come novellato dall’art. 16-bis del decreto legge 31.8.2013 n. 101 convertito in legge 30.10.2013 n. 125, nonché dell’art. 17 del ccnl ricerca 1998-2001. Eccesso di potere per falsità nei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà”.

La censurata interpretazione non teneva conto della circostanza per la quale i permessi di cui all’art. 8 CCNL cit. sono in numero limitato e il dipendente potrebbe averli già esauriti al momento della necessità per malattia o dovrebbe rinunciare ad ottenerli qualora, al contrario, li avesse già utilizzati a tale scopo ma ne avesse necessità per le ragioni originariamente previste, quali nascita figli e/o gravi ragioni personali.

La relativa previsione, che impone il recupero in questi casi avvalendosi dell’istituto del c.d. “monte ore”, è palesemente illegittima in quanto l’art. 71 l. n. 133/08 cit. non fa alcun riferimento ad ulteriori forme di decurtazione diverse da quella economica ivi indicata e così pure lo stesso art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, come novellato, non richiama tale istituto, che costringerebbe altrimenti il dipendente a ore di lavoro “straordinario” coattive per recuperare le ore utilizzate per l’assenza per malattia.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso.

In prossimità delle due camere di consiglio, di cui la prima rinviata a istanza di parte, del 25 giugno e del 9 luglio 2014, i ricorrenti depositavano memorie illustrative e ulteriore documentazione.

Alla seconda camera di consiglio suddetta la trattazione della questione era rinviata al merito.

Per la pubblica udienza entrambe le parti costituite depositavano ulteriori memorie a sostegno delle rispettive tesi.

In particolare le Amministrazioni resistenti, oltre a confutare nel merito le censure dei ricorrenti, eccepivano anche l’inammissibilità del ricorso, in quanto avente ad oggetto l’impugnativa di una “circolare”, nonché la carenza di interesse ad agire dei ricorrenti, in assenza di un atto lesivo della loro posizione.

La causa era quindi trattenuta per la decisione di merito all’udienza del 25 febbraio 2015.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, deve rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dai sig.ri F., D. e M., quali dipendenti C.N.R.

E’ nota infatti la giurisprudenza secondo la quale, nel processo amministrativo, l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c. e che sono legati alla prospettazione di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e all'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. Ne consegue che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente, con la precisazione che l'individuazione dell'interesse all'impugnazione deve essere effettuata in rapporto al “bene della vita” cui il ricorrente aspira, il che determina che l'interesse a ricorrere deve essere, oltre che personale e diretto, anche attuale e concreto, ossia tale che, in caso di accoglimento del gravame, il soggetto consegua subito il vantaggio di vedere rimosso il pregiudizio effettivo ed immediato derivante dal provvedimento amministrativo (per tutte: TAR Campania, Na, Sez. I, 12.7.11, n. 3725).

Come ulteriore corollario è stato altresì specificato che il requisito dell'”attualità” dell'interesse non è rilevabile allorchè il pregiudizio derivante dall'atto amministrativo impugnato è meramente eventuale, vale a dire quando l'emanazione del provvedimento non è di per sé stata in grado di arrecare una lesione (diretta) nella sfera giuridica del soggetto ricorrente né è certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo, per cui è inammissibile anche un ricorso proposto per ottenere una pronuncia “di principio” che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell'Amministrazione, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all'oggetto del giudizio, con carattere – come detto - diretto e attuale (Cons. Stato, Sez. VI, 19.6.09, n. 4125 e 14.1.09, n. 111).

Ebbene, nel caso di specie, i tre ricorrenti sopra indicati non hanno dimostrato di aver subito una lesione personale, diretta, attuale e concreta dai provvedimenti impugnati, lesione che in effetti subirebbero comunque solo con l’adozione di uno specifico atto applicativo nei loro confronti (Cons. Stato, Sez. IV, 18.11.13, n. 5451), individuabile nel diniego del “permesso” in questione o nell’obbligo di ricorrere a tutte le circostanze alternative rappresentate da loro stessi nel ricorso, solo avverso il quale reagire in sede giurisdizionale, peraltro avanti al Giudice dotato della relativa giurisdizione.

Né possono valere le osservazioni contrarie illustrate dagli stessi ricorrenti nella memoria per l’udienza pubblica, in quanto essi fanno riferimento ad una generica e futura necessità di “comportarsi diversamente da quanto avveniva anteriormente all’adozione degli atti impugnati…” (pag 10 mem. cit.) ma ciò, oltre a valere per tutti i dipendenti del C.N.R., escludendo quindi l’interesse personale e attuale sopra rammentato, conferma che allo stato non vi è stata ancora una lesione precisa e circostanziata né i medesimi hanno provato di dovere necessariamente e immediatamente dare luogo ad assenza per le pratiche legate alla verifica della propria situazione sanitaria di cui si occupano gli atti impugnati.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi per quel che riguarda l’organizzazione sindacale pure ricorrente.

E’ principio generale, infatti, quello che vuole le organizzazioni in questione legittimate ad agire per la tutela di un interesse collettivo, quale è quello, nel caso di specie e per quanto sarà in prosieguo specificato, del rispetto della contrattazione collettiva di settore.

Esse sono legittimate ad agire in giudizio a tutela delle proprie prerogative, in quanto istituzioni esponenziali di una determinata categoria di lavoratori e degli interessi collettivi della categoria stessa, interamente considerata (per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 10.3.11, n. 1540 e 30.1.07 n. 351 nonché TAR Lazio, Sez. II q, ord. 20.5.14, n. 5290), come accade nel caso di specie.

Nella concreta fattispecie, quindi, l'associazione sindacale ricorrente, in quanto maggiormente rappresentativa all’interno del “comparto ricerca” (UIL RUA) - con affermazione contenuta nella memoria per l’udienza pubblica e non smentita dalla difesa erariale - nonché firmataria dei cc.nn.ll del comparto in questione, risulta senz'altro titolare di una posizione soggettiva che la legittima ad agire al fine di tutelare proprio le posizioni collettive da essa rappresentate con la sottoscrizione contrattuale suddetta, tra cui rientrano anche quelle relative alle modalità di fruizione e “conteggio” dei permessi per assentarsi dalla prestazione lavorativa.

Non si riscontra neanche l’inammissibilità del ricorso per avere questo ad oggetto una circolare, in quanto risulta impugnata anche la direttiva del C.N.R. del 3 aprile 2014, quale atto applicativo della medesima e, in quanto tale, lesivo della posizione giuridica dell’organizzazione ricorrente per quanto detto in precedenza.

E’ noto infatti l’ulteriore principio giurisprudenziale che esclude l’impugnabilità della circolare non direttamente precettiva ma solo in assenza di atto applicativo lesivo; qualora tale atto sia stato adottato ed impugnato, nella medesima sede giurisdizionale ben può impugnarsi anche l’atto presupposto ritenuto illegittimo su cui esso si fonda (per tutte: TAR Friuli, 8.5.09, n. 320), come accaduto appunto nel caso di specie.

Chiarito ciò in via preliminare e passando ad esaminare il merito del ricorso, il Collegio rileva la fondatezza del medesimo in relazione a quanto dedotto principalmente con il terzo motivo.

Per quel che riguarda il primo e secondo motivo, infatti, il Collegio osserva che le censure ivi illustrate si fondano essenzialmente sull’assunto che il legislatore abbia voluto soltanto evitare la riproduzione della parola ”assenza” invece presente due volte nel precedente testo del comma 5 ter cit.e sulla considerazione che l’assenza del dipendente si fondi sempre su uno stato patologico che richiede l’espletamento di indagini diagnostiche.

In realtà, sul punto, appaiono condivisibili le osservazioni di cui alla difesa erariale, laddove evidenziano che l’utilizzo della parola “permesso”, in luogo della seconda espressione “assenza” invece presente nel precedente testo, non è stato logicamente introdotto a meri fini linguistici, per evitare una ripetizione dello stesso concetto, ma per fare riferimento a modalità di regolazione della mancata prestazione lavorativa legate agli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza diversi dalla malattia intesa come stato patologico in atto.

La norma infatti, già peraltro nella prima stesura, fa riferimento non solo a “terapie” e “prestazioni specialistiche”, che potrebbero ben collegarsi a stati patologici, ma anche a generiche “visite” ed “esami diagnostici”, che tali stati – auspicabilmente peraltro – potrebbero non rilevare.

E’ evidente, infatti, che un soggetto può sottoporsi a indagini diagnostiche per mero fine esplorativo nonché a visita medica a mero scopo preventivo e/o di controllo di uno stato di buona salute.

Non appare quindi condivisibile ogni richiamo alla normativa già esistente che regola lo stato di “malattia” e i collegati diritti costituzionalmente protetti, che non appaiono messi in discussione dalla novella legislativa, la quale – si ribadisce – appare posta al fine di regolare situazioni di assenza dal lavoro non direttamente collegate ad uno stato patologico acclarato.

Come pure affermato nelle difese erariali, da un punto di vista sistematico, la novella in questione è stata disposta perché si era riscontrato abuso nel ricorso all’istituto della “assenza per malattia” da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata.

Ciò è confermato dalle stesse Amministrazioni nella loro memoria per l’udienza pubblica, secondo cui “…non vi è alcun dubbio che in caso di patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante a sua insindacabile valutazione ritenga esistente l’inabilità al lavoro, l’assenza viene giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione. Ciò avviene quindi ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico ritenga sussistente la malattia o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante…Né la circolare o la legge hanno inteso sopprimere l’istituto dell’assenza per malattia, che continua ad essere applicabile”, così come continuano ad essere applicabili, in tal caso, l’art. 71 l. n. 133/08 nonché l’art. 17 del CCNL richiamati dall’organizzazione sindacale ricorrente, aggiunge il Collegio.

Sotto tale profilo, quindi, si richiama la conclusione delle Amministrazioni costituite, secondo cui “…nella volontà del legislatore, la parola ‘permesso’ non può che essere ricondotta all’istituto giuridico dei permessi già previsti nei diversi CCNL di comparto e non all’istituto dell’assenza per malattia, in quanto la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non necessariamente presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica”.

Tale conclusione, però, ad avviso del Collegio, risulta condivisibile solo per la seconda parte, laddove – appunto – fa riferimento alla non necessaria presenza di patologia in atto per sottoporsi a visita o esame diagnostico, ma non per la prima, laddove si afferma che la parola “permesso” non può che essere ricondotta all’istituto giuridico dei permessi già previsti nei diversi CCNL di comparto.

In primo luogo il Collegio osserva che la norma di cui all’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, nell’attuale conformazione, non fa alcun riferimento in questo senso, limitandosi ad affermare che “il permesso” è giustificato mediante la presentazione di una determinata attestazione.

Condivisibili sono questa volta, sotto tale profilo, le affermazioni dell’organizzazione sindacale ricorrente, secondo cui se avesse voluto dire quanto sostenuto dalle Amministrazioni resistenti, il legislatore avrebbe fatto uso di locuzioni del tipo “il permesso regolato dai vigenti contratti collettivi nazionali di comparto” o simili e non avrebbe dato luogo a un generico riferimento a “il permesso”.

Ciò vuol dire che un’interpretazione logicamente e sistematicamente orientata dalla norma non può essere quella proposta con la circolare e la direttiva impugnata, che direttamente ritengono di richiamare, rispettivamente, i permessi per “documentati motivi personali secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)” e i permessi “per documentati motivi personali previsti dall’art. 8, comma 1, lettera d), del CCNL del 21/02/2002”.

Ciò perché, evidentemente, tali permessi, e la relativa contrattazione di comparto, erano stati individuati nella vigenza della normativa precedente, che non faceva distinzione sull’assenza per malattia, come sopra evidenziato. E’ chiaro che tali “permessi” riguardavano le ragioni più varie indicate dall’organizzazione sindacale ricorrente ma non anche le assenze per terapie e simili di cui all’art. 55-septies cit.

L’utilizzo imposto immediatamente di tale tipo di permessi comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che – come condivisibilmente osservato nel ricorso e ribadito nelle successive memorie – ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di “assenza per malattia” prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali “permessi” per documentati “motivi personali” diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.

Ne consegue, ad opinione del Collegio, che la novella legislativa in esame non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.

Tale conclusione appare confermata dalla stessa Amministrazione, secondo la documentazione depositata in giudizio da parte ricorrente.

Infatti, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha inviato a vari enti, con nota protocollata dal C.N.R. il 13 giugno 2014, una “Ipotesi di atto di indirizzo quadro all’ARAN per la sottoscrizione di un CCNQ in materia di rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti”, sulla base delle “stratificazioni regolative in materia” che hanno indotto nel tempo “problematiche interpretative di diversa natura”.

Nello specifico, è evidenziata proprio la problematica relativa alla novella dell’art. 55-septies, comma 5.ter, cit., laddove si sottolinea che “Le assenze dal servizio per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici richiedono una specifica disciplina contrattuale, con carattere di omogeneità per tutti i comparti e le aree di contrattazione” e che “Tali assenze presentano la caratteristica di non essere assimilabili in tutto all’assenza per malattia, in quanto manca il presupposto della patologia in atto e di essere entro certi limiti giustificabili per la particolare causa, consistente nella esigenza di cura o di prevenzione”. Segue poi una dettagliata descrizione delle ipotesi di individuazione di specifici permessi legati a tale tipologia di assenza, diversi da quelli già previsti dalla contrattualistica vigente e ideati per scopi ulteriori, nella vigenza della normativa precedente all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 16-bis, d.l. n. 101/13, conv. in l. n. 125/13, nonché una dettagliata descrizione dell’oggetto della futura contrattazione relativa a congedi parentali, per maternità, monte-ore”.

Ne consegue, quindi, che i provvedimenti impugnati sono illegittimi per quanto dedotto essenzialmente nel terzo motivo di ricorso, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali disomogenei riconducibili a singoli enti pubblici o assimilati in riferimento a CCNL già sottoscritti.

Per quanto dedotto, perciò, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della circolare e della direttiva impugnate, laddove impongono di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali già previsti dalla contrattazione collettiva, in particolare dall’art. 8, , comma 1, lettera d), del CCNL del 21/02/2002.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi sia per la novità della fattispecie sia per la parziale dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile per carenza di interesse relativamente ai ricorrenti F.., D.. e M.. e in parte lo accoglie, relativamente all’impugnativa proposta dalla UIL – Ricerca Università AFAM e, per l’effetto, annulla nei sensi di cui in motivazione i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giulia Ferrari, Presidente FF
Raffaello Sestini, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/04/2015
panorama
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Re: Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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permessi per VISITE MEDICHE

allego concordanza con la sentenza del Tar Lazio da parte del Ministero della Salute datata 24.04.2015.

vedi/leggi e scarica se d'interesse.
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Re: Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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anche il Ministero dell'Istruzione si adegua alla sentenza.

Ma nell'Arma quando avverrà anche l'adeguamento?

N.B.: vedi/leggi e scarica PDF speriamo che i Cobar/Coir e Cocer prendano anche il buon seno del dovere.
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Re: Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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Il Ministero dell’Interno risponde al COISP sulla problematica relativa ad ASSENZE PER L'ESPLETAMENTO DI VISITE, TERAPIE, PRESTAZIONI SPECIALISTICHE OD ESAMI DIAGNOSTICI.

vedi, leggi e scarica PDF se d'interesse per confronto.
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Re: Circolare Funzione Pubblica n. 2/2014. Contestata

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2-5-2018 Supplemento ordinario n. 21/L alla GAZZETTA UFFICIALE Serie generale - n. 1002

(FF.PP. a Ordinamento Militare - CC. e GdiF.)

Art. 24.
Permessi brevi

1. Previa valutazione del comandante di Corpo o di reparto, può essere concesso al dipendente che ne faccia richiesta il permesso di assentarsi per brevi periodi durante l’orario di lavoro, ivi comprese le assenze per espletare visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici, di cui all’articolo 55- septies , comma 5- ter , del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. I permessi di cui al primo periodo non possono essere in nessun caso di durata superiore alla metà dell’orario di lavoro giornaliero e non possono comunque superare le cinquantaquattro ore nel corso dell’anno.

2. La richiesta del permesso deve essere formulata in tempo utile per consentire al comandante di Corpo o di reparto di adottare le misure organizzative necessarie.

3. Il personale è tenuto a recuperare le ore non lavorate entro il mese successivo, secondo le disposizioni del comandante di Corpo o di reparto. Nel caso in cui il recupero non venga effettuato, la retribuzione viene proporzionalmente decurtata.

4 . Per le visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici di cui al comma 1, in caso di gravi motivi debitamente documentati, qualora l’esigenza comporti un’assenza di durata superiore alla metà dell’orario di lavoro giornaliero, il militare può essere posto in licenza straordinaria di cui all’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n. 395.
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